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La patologia dell’atto amministrativo
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Capitolo Settimo
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n questo capitolo viene analizzato lo stato patologico dell’atto amministrativo.
Come tutti gli altri atti giuridici, infatti, l’atto amministrativo può essere valido se conforme alla legge, ovvero invalido quando è difforme dalla norma che
lo disciplina.
invalido
violazione di criteri
di opportunità
vizio di merito
in opportunità
Es
incompetenza
se
violazione di norma giuridica
vizio di legittimità
irregolare
li
imperfetto inefficace ineseguibile
br
PATOLOGIA DELL’ATTO AMMINISTRATIVO
eccesso di potere
violazione di legge
testuale
virtuale
totale
parziale
diretta
derivata
ig
ht
©
tipi di
invalidità
1. GLI STATI PATOLOGICI DELL’ATTO AMMINISTRATIVO
op
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La patologia dell’atto amministrativo può essere considerata una delle tematiche più discusse nell’ambito del diritto amministrativo.
In generale, quando si parla di invalidità dell’atto si fa riferimento alla
difformità del medesimo dal diritto e alla conseguente sanzione della inefficacia dell’atto stesso.
Con l’espressione vizio dell’atto amministrativo si indica, invero, la divergenza tra la fattispecie in concreto posta in essere dalla P.A. ed il modello astratto predeterminato in sede normativa.
C
Al fine di rilevare un vizio dell’atto è, infatti, necessario procedere ad una comparazione tra
l’atto posto in essere ed il modello astratto. In diritto amministrativo esiste una particolarità in
base alla quale la fattispecie astratta deve rispondere ad un duplice criterio: essa deve essere conforme alle norme di legge, da un lato, ed alle regole di opportunità, dall’altro. Si tratta di due
parametri costituzionalizzati nell’art. 97 Cost., che sancisce il principio di legalità, nonché quello
di buona amministrazione.
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Ne consegue che i vizi che possono inficiare l’atto amministrativo possono
essere vizi di legittimità (qualora l’atto si discosti da quanto disposto dalle
norme imperative) e vizi di merito (qualora l’atto, sebbene conforme alle
norme, non sia rispondente alle regole di buona amministrazione).
Gli stati patologici di un atto, come si evince dallo schema che segue, possono assumere diverse gradazioni a seconda della maggiore o minore divergenza del provvedimento concreto dal parametro normativo di riferimento,
che ne disciplina il modello astratto.
➤ Quando difetti o sia viziato uno degli elementi o requisiti prescritti, ovvero quando vi sia lesione dell’interesse concreto tutelato dalla norma
violata. A seconda della gravità dei vizi l’atto può essere nullo o annullabile
Irregolare
➤ Quando l’atto presenta un vizio per il quale la legge non commina conseguenze negative per l’atto stesso, ma solo delle sanzioni amministrative
a carico dell’agente
li
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Invalido
se
Oltre alle ipotesi di invalidità ed irregolarità dell’atto amministrativo vi
sono degli stati patologici caratterizzati dal fatto che il provvedimento, pur
conforme allo schema legale, non è comunque idoneo a produrre effetti.
Tali sono i casi di imperfezione, inefficacia o ineseguibilità dell’atto amministrativo.
➤ Allorché non si sia ancora concluso il suo ciclo di formazione (D.P.R. non
controfirmato dal Ministro)
Inefficace
➤ Quando l’atto, benché perfetto, non è idoneo a produrre gli
effetti giuridici in quanto sono
inesistenti i requisiti d’efficacia previsti
•
dalla legge (controlli)
dalla natura dell’atto ricettizio (comunicazione)
dallo stesso provvedimento (condizione
sospensiva, termine iniziale)
➤ Quando diventa, di regola temporaneamente, inefficace per il sopravvenire di un atto ostativo (es. ordinanza di sospensione) (VIRGA)
ht
Ineseguibile
•
•
©
Es
Imperfetto
2. L’INVALIDITÀ DELL’ATTO AMMINISTRATIVO
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L’atto amministrativo è invalido quando è difforme dalla norma che lo disciplina (v. in Appendice voce → Invalidità).
In relazione alla natura della norma si possono individuare due grandi categorie di vizi:
se la norma è una norma giuridica, il vizio che consegue sarà un vizio di legittimità e
potrà comportare l’inesistenza o l’illegittimità dell’atto;
se la norma non è giuridica, ma rientra nelle cd. norme di buona amministrazione (norme
che impongono alla P.A. di attenersi, nell’esercizio dei suoi poteri discrezionali, a criteri
di opportunità e di convenienza), il vizio conseguente sarà un vizio di merito e l’atto sarà
inopportuno.
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•
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In relazione alla gravità della violazione si delineano i due concetti di nullità e di annullabilità.
L’atto amministrativo è nullo quando manchi di uno degli elementi essenziali richiesti dalla legge; è annullabile quando qualcuno dei suoi elementi sia
viziato.
La patologia dell’atto amministrativo
L’invalidità può essere:
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— testuale o virtuale, a seconda che sia esplicitamente espressa nel testo oppure solo desumibile da esso;
— totale o parziale, dal momento che può intaccare tutto l’atto o solo una parte di esso;
— diretta o derivata, quest’ultima si verifica allorquando l’invalidità di un determinato atto
inficia un atto successivo ad esso connesso che, di per sé, potrebbe essere legittimo.
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3. LA NULLITÀ
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Si tratta di una categoria in passato identificata autonomamente solo dai
fautori della tesi negoziale del provvedimento. In particolare, VIRGA riscontra
tale vizio quando manca un cd. elemento essenziale dell’atto (soggetto, oggetto,
volontà, forma, destinatario). A tale presupposto (mancanza di un elemento
essenziale dell’atto), l’art. 21septies della L. 241/1990, introdotto dalla L. 112-2005, n. 15, ne ha aggiunti altri: è nullo il provvedimento viziato da difetto
assoluto di attribuzione, quello adottato in violazione o elusione di giudicato e
negli altri casi espressamente previsti dalla legge. In tal modo, con la detta
previsione legislativa, la nullità dell’atto amministrativo acquista il pieno riconoscimento sul piano normativo. Inoltre, la citata disposizione attribuisce
alla giurisdizione esclusiva del G.A. le questioni inerenti alla nullità dei provvedimenti amministrativi che violino o eludano il giudicato.
La norma introdotta dalla L. 15/2005 ha, infatti, definitivamente positivizzato la figura della nullità, alla quale il legislatore ha assegnato la natura di
rimedio tipico, contrapposta all’annullabilità, innovando in tal modo l’intero
sistema della patologia. Ciò si traduce sul piano pratico, come evidenziato
dalla dottrina, nella circostanza che, qualora non sia possibile sussumere un
vizio dell’atto in alcuna delle ipotesi individuate dall’art. 21septies L. 241/1990,
lo stesso darà luogo ad una illegittimità annullabile, stante la natura tassativa
dell’elencazione quivi contenuta.
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La nullità comporta le seguenti conseguenze sull’atto amministrativo:
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a) inesistenza giuridica dell’atto, e quindi inefficacia dello stesso;
b) inesecutorietà: l’atto nullo è inefficace e, come tale, è anche inesecutorio;
c) inannullabilità: l’atto nullo è inesistente e, come tale, non può essere annullato. L’annullamento può aversi solo per atti che «esistono», ma sono viziati;
d) insanabilità e inconvalidabilità: l’atto nullo non può essere sanato né convalidato. È, invece,
ammessa la conversione, in altro atto valido, dell’atto nullo che presenti i requisiti e gli elementi essenziali del nuovo atto e realizzi, se convertito nell’atto diverso, l’interesse pubblico.
4. L’ILLEGITTIMITÀ DELL’ATTO AMMINISTRATIVO: NOZIONE E CASI
yr
L’atto amministrativo esistente che presenti vizi di legittimità che incidono
su elementi essenziali di esso è illegittimo e, quindi, annullabile.
C
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Fonti positive dei vizi di legittimità che importano l’annullabilità dell’atto
amministrativo sono l’art. 26 del R.D. 26-6-1924, n. 1054 (T.U. delle leggi
del Consiglio di Stato) e l’art. 21octies della L. 7-8-1990, n. 241, introdotto
dalla L. 15/2005, che individuano tre categorie di vizi:
— incompetenza;
— eccesso di potere;
— violazione di legge.
La L. 11-2-2005, n. 15 comprime l’area delle invalidità giuridiche degli atti amministrativi: ed
invero il legislatore ha stabilito che sono da considerare invalidi solo i provvedimenti amministrativi viziati da violazione di norme di carattere sostanziale. Ciò si traduce nella possibili-
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tà che, in determinate ipotesi previste dal legislatore, il provvedimento amministrativo, che
pur si discosti dal parametro normativo di riferimento, non sia annullabile.
L’art. 21octies, comma 2, della L. 241/1990, infatti, prevede che non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norma sul procedimento o sulla forma degli atti qualora,
per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non
avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. Il provvedimento amministrativo, inoltre, non è comunque annullabile per mancata comunicazione dell’avvio del procedimento, qualora l’amministrazione dimostri in giudizio che il provvedimento non avrebbe
potuto essere diverso da quello in concreto adottato.
La differenza fra le due ipotesi contemplate nel comma 2 del detto articolo è di non poco conto. La prima ipotesi concerne i vizi procedimentali e di forma e necessita, ai fini dell’applicazione della sanatoria, che l’atto sia vincolato e che sia palese l’obbligatorietà del suo contenuto
dispositivo; la seconda ipotesi, invece, è più specifica e salva il provvedimento viziato dalla
mancata comunicazione di avvio del procedimento solamente nel caso in cui l’amministrazione dimostri in sede processuale (è sulla stessa, infatti, che ricade l’onere della prova) l’obbligatorietà del suo contenuto dispositivo: la previsione de qua si applica, quindi, anche alle ipotesi
di attività amministrativa discrezionale.
Tale norma è stata interpretata nel senso di una «dequotazione» dei vizi della partecipazione al
procedimento amministrativo, che dalla stessa viene decisamente depotenziata; infatti, dall’interpretazione della citata disposizione si evince che la partecipazione del privato, laddove l’apporto di questo risulti sostanzialmente inutile per la P.A., viene frustrata, nel caso in cui il provvedimento finale non possa comunque essere differente da quello poi concretamente adottato.
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A) L’incompetenza
La competenza indica la misura della sfera di attribuzione di un dato
organo (v. Cap. III, par. 8). La violazione delle norme che la disciplinano dà
luogo all’incompetenza che può manifestarsi in due forme:
— incompetenza assoluta;
— incompetenza relativa.
ig
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Quando si fa riferimento all’incompetenza quale causa di annullabilità
dell’atto, ci si riferisce all’incompetenza relativa che si ha quando un organo
amministrativo invade la sfera di competenza di un altro organo appartenente allo stesso settore amministrativo o, comunque, allo stesso ente.
Diverse dall’incompetenza relativa sono l’incompetenza assoluta e l’acompetenza, per le quali non opera il regime dell’annullabilità dell’atto.
Mentre l’incompetenza assoluta si ha quando l’atto adottato dalla P.A. è
inerente ad una materia riservata ad altro potere dello Stato ovvero quando
lo stesso, pur rientrando in una materia affidata all’amministrazione è adottato da un soggetto nell’esercizio di un potere del tutto estraneo alle sue attribuzioni, l’acompetenza si verifica quando l’atto è posto in essere da un soggetto che non è investito della pubblica funzione.
C
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B) L’eccesso di potere
Per aversi eccesso di potere, che efficacemente viene definito come scorrettezza in una scelta discrezionale, occorrono tre requisiti:
1) un potere discrezionale della P.A., poiché per gli atti vincolati, essendone
predeterminato dalla legge il contenuto, non può riscontrarsi un vizio della funzione (o della volontà);
2) uno sviamento di tale potere, ossia un esercizio del potere per fini diversi da quelli stabiliti dal legislatore con la norma attributiva dello stesso;
3) la prova dello sviamento, necessaria per far venir meno la presunzione di
legittimità dell’atto.
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Le figure più rilevanti di eccesso di potere (cd. figure sintomatiche)
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Travisamento ed erronea valutazione dei fatti
Quando la P.A. abbia ritenuto esistente un fatto inesistente ovvero quando abbia dato ai
fatti un significato erroneo, illogico o irrazionale.
Illogicità o contraddittorietà dell’atto
Quando la motivazione dell’atto sia illogica o contrastante in varie parti, o quando la
motivazione sia in contrasto col dispositivo.
Contraddittorietà tra più atti
Quando più atti successivi siano contrastanti fra loro in modo da non far risultare quale
sia la vera volontà della P.A. (così ad esempio, nel caso in cui, dopo aver collocato a riposo un impiegato, gli si affidi un nuovo incarico).
Inosservanza di circolari
La violazione di una circolare (atto interno) non può dar luogo di per sé a vizio di legittimità; tuttavia l’inosservanza di circolari importa eccesso di potere per la contraddizione esistente fra la volontà manifestata col provvedimento nel singolo caso concreto e
quella manifestata in via generale dalla P.A. con l’emanazione della circolare (v. in Appendice voce → Norma interna).
Disparità di trattamento
Si verifica quando per identiche situazioni di fatto si adottino provvedimenti diversi: è il
caso, ad esempio, in cui, dopo aver accertato la uguale responsabilità di due impiegati,
l’uno è assolto e l’altro punito.
Ingiustizia manifesta
Questa figura è rarissima, poiché in genere l’ingiustizia attiene piuttosto all’opportunità
o alla convenienza dell’atto, e quindi al merito, non alla legittimità. Il Consiglio di Stato,
tuttavia, ha individuato alcune ipotesi di ingiustizia manifesta che si concretano in vero
e proprio eccesso di potere, quale ad esempio il caso in cui si infligga una pena per scarso rendimento ad un impiegato menomato da un infortunio subito sul lavoro. Si tratta,
comunque, di una figura sintomatica che si sostanzia in atti espressione di grave iniquità.
Violazione e vizi del procedimento
In linea di massima la violazione di una norma procedurale concreta una violazione di legge
e non già un eccesso di potere. Vi sono, tuttavia, delle ipotesi di vere e proprie figure di eccesso di potere quali: l’atto emesso sul presupposto di un parere viziato da errore o travisamento di fatto; il difetto di istruttoria, che ricorre sia quando la P.A. abbia omesso del tutto
di porre in essere attività istruttoria, sia quando l’istruttoria ci sia stata ma presenti gravi vizi.
Vizi della volontà
Questa figura è presa in considerazione dai fautori della teoria negoziale e si verifica quando
l’atto sia stato emesso a seguito di un procedimento non corretto di formazione della volontà.
Mancanza di idonei parametri di riferimento
Altra figura di eccesso di potere è stata elaborata in seguito alla considerazione giurisprudenziale secondo la quale la P.A. non può incidere sulle situazioni soggettive istituzionalmente libere dei cittadini, senza la guida di idonei parametri generali di riferimento. La
loro mancanza, quindi, concreta un’ipotesi di eccesso di potere ogni qualvolta la pretesa
tutelata del singolo sia in posizione di conflitto con quella analoga di altri soggetti.
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C) La violazione di legge
È una figura residuale comprensiva di tutti gli altri vizi di legittimità che
non configurino né incompetenza relativa né eccesso di potere.
Le ipotesi
I casi di violazione di legge possono così raggrupparsi:
vizio di forma: e cioè inosservanza delle regole prescritte per la manifestazione di volontà (la mancanza assoluta di forma è, invece, causa di nullità);
difetto di motivazione o motivazione insufficiente;
inosservanza delle disposizioni relative alla valida costituzione dei collegi: quali le norme
per la convocazione, le votazioni, i quorum, la verbalizzazione etc.;
contenuto illegittimo;
difetto di presupposti legali;
violazione dei criteri di economicità, efficacia, imparzialità, trasparenza e pubblicità
dell’azione amministrativa di cui all’art. 1 L. 241/1990 (come novellato nel 2005 e nel 2009).
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D) Conseguenze dell’illegittimità
A differenza dell’atto inesistente, l’atto illegittimo:
— è giuridicamente esistente;
— è efficace;
— è esecutorio (finché non venga annullato).
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L’espressione «legge» è da intendere in senso ampio, comprendendo tutti
gli atti di normazione non solo primaria ma anche secondaria. Non rientrano
in tale nozione le circolari, che sono norme interne e la cui violazione, come
visto, concreta eccesso di potere.
se
li
br
L’annullamento si verifica soltanto a seguito di un apposito provvedimento
dell’autorità amministrativa o di una sentenza del giudice amministrativo;
esso, inoltre, può essere richiesto solo dal soggetto nel cui interesse era posta
la norma violata.
L’atto annullabile, infine, può essere sanato, ratificato o convertito in un atto
valido.
L’esistenza di un vizio di legittimità non impedisce che l’atto amministrativo produca egualmente i suoi effetti e possa perciò essere portato ad esecuzione, fino al suo eventuale annullamento.
Il nostro ordinamento prevede comunque i seguenti rimedi contro gli atti illegittimi:
•
•
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•
una sentenza del giudice amministrativo (Tribunale Amministrativo Regionale e Consiglio
di Stato) che annulli l’atto su ricorso giurisdizionale dell’interessato;
una decisione dell’autorità amministrativa che annulli l’atto su ricorso amministrativo
dell’interessato;
un atto amministrativo adottato spontaneamente d’ufficio dalla P.A., che ritiri l’atto viziato
(cc.dd. atti di ritiro);
un atto o un procedimento della P.A. che anziché eliminare l’atto viziato lo sani o ne provochi la conservazione (cd. sanatoria e conservazione dell’atto illegittimo).
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V. schema pagina seguente
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VIZI DI LEGITTIMITÀ
INCOMPETENZA
provvedimento
per materia
da organo non competente
per grado
ma dalla stessa P.A. di chi è competente
per territorio
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figure
elementi
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per valore
ECCESSO DI POTERE
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figure
elementi
travisamento ed erronea valutazione dei fatti
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potere discrezionale
illogicità o contraddittorietà della motivazione
sviamento di potere
contraddittorietà tra atti
se
prova
inosservanza di circolari
disparità di trattamento
ingiustizia manifesta
Es
violazione e vizi del procedimento
vizi della volontà
mancanza di parametri di riferimento
VIOLAZIONE DI LEGGE
figure
©
elementi
atto della P.A.
ht
contrasto con la legge
ig
ininfluenza dell’elemento
psicologico
vizio di forma
difetto o insufficienza di motivazione
invalida costituzione del collegio
contenuto illegittimo
difetto di presupposti legali
violazione dei criteri di economicità, efficacia, imparzialità, trasparenza e pubblicità
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5. GLI ATTI DI RITIRO IN GENERALE
C
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L’amministrazione pubblica, nel perseguimento del pubblico interesse, gode
di una serie di poteri riconducibili, tutti, a quello, generale, di autotutela. Con
il termine autotutela amministrativa si intende fare riferimento a quel potere dell’amministrazione di rimuovere unilateralmente ed autonomamente
gli ostacoli che impediscono la realizzazione dell’interesse pubblico per il
quale il legislatore ha conferito lo specifico potere.
Gli atti di ritiro, quindi, sono quei provvedimenti amministrativi a contenuto negativo, emanati in base ad un riesame dell’atto compiuto nell’esercizio
del medesimo potere amministrativo esercitato con l’emanazione dell’atto al
fine di eliminarlo.
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Gli atti di ritiro presentano i seguenti caratteri:
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sono discrezionali, quanto alla emanazione: la P.A. valuta di volta in volta se sussista un
interesse pubblico concreto ed attuale a ritirare il provvedimento;
sono provvedimenti esecutori: una volta intervenuti i requisiti di esecutività o di obbligatorietà per essi prescritti;
sono provvedimenti formali: il procedimento e le forme sono, di solito, le medesime prescritte per l’atto ritirato;
devono essere motivati obbligatoriamente (art. 3 L. 241/1990): si richiede per l’atto di
ritiro la motivazione, anche quando non sia richiesta per l’atto ritirato;
sono provvedimenti recettizi: devono, cioè, essere necessariamente portati a conoscenza dei destinatari;
sono soggetti alle regole della L. 241/1990 in tema di silenzio-rifiuto e di obbligo di
comunicazione dell’avvio del procedimento.
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A) L’annullamento d’ufficio
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Gli atti di ritiro sono generalmente classificati in cinque tipi dalla dottrina
(anche se non sempre vi è identità di terminologia):
a) l’annullamento d’ufficio;
b) la revoca;
c) l’abrogazione;
d) la pronuncia di decadenza;
e) il mero ritiro.
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Es
L’annullamento è un provvedimento amministrativo di secondo grado, con il quale viene caducato, con efficacia retroattiva (ex tunc, ossia dalla data della sua emanazione) un atto amministrativo illegittimo, per la presenza di vizi di legittimità originari dell’atto (invalidità originaria).
L’art. 21nonies della L. 241/1990, introdotto dalla L. 11-2-2005, n. 15, dispone che il provvedimento amministrativo illegittimo (perché adottato in violazione di legge o viziato da eccesso
di potere o da incompetenza o, ancora, perché adottato in violazione di norme sostanziali sul
procedimento o sulla forma degli atti, sempreché non si tratti di atti a natura vincolata) può essere annullato d’ufficio, sussistendone le ragioni di pubblico interesse, entro un termine ragionevole e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati, dall’organo che lo ha emanato, ovvero da altro organo previsto dalla legge.
Tale tipologia di annullamento è posta in essere su iniziativa della P.A. e va tenuta distinta
dall’annullamento su ricorso amministrativo e dall’annullamento in sede di controllo. Il potere
d’annullamento d’ufficio è un potere generale della P.A. e non occorre una espressa previsione di
legge per il suo esercizio.
Conseguenza dell’efficacia retroattiva dell’annullamento d’ufficio è che vengono meno anche
gli effetti dell’atto annullato.
Il comma 2 dell’art. 21nonies fa salva la possibilità di convalida del provvedimento annullabile, sussistendone le ragioni di interesse pubblico ed entro un termine ragionevole.
B) La revoca
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Secondo quanto affermato dall’art. 21quinquies della L. 241/1990, introdotto dalla L. 15/2005,
il provvedimento amministrativo ad efficacia durevole può essere revocato da parte dell’organo
che lo ha emanato ovvero da altro organo previsto dalla legge per sopravvenuti motivi di pubblico interesse ovvero nel caso di mutamento della situazione di fatto o di nuova valutazione
dell’interesse pubblico originario. La revoca determina la inidoneità del provvedimento revocato a produrre ulteriori effetti e l’obbligo di provvedere all’indennizzo dei pregiudizi verificatisi
in danno dei soggetti direttamente interessati. Tale indennizzo è parametrato, secondo la L. 2-42007, n. 40 (di conversione del D.L. 7/2007, cd. Bersani bis), che ha aggiunto il comma 1bis all’art.
21quinquies, al solo danno emergente, con esclusione, quindi, del lucro cessante.
Tale previsione consente di rendere più netto il distinguo fra indennizzo (obbligo che nasce
di solito in conseguenza di un atto pregiudizievole, ma lecito) e risarcimento del danno (che
sorge invece in virtù di un atto illecito, e che è parametrato al danno emergente e al lucro cessante, ossia al guadagno che il soggetto leso avrebbe conseguito se non avesse subito il torto).
Le controversie in materia di determinazione e corresponsione dell’indirizzo sono attribuite
alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.
La patologia dell’atto amministrativo
Sono irrevocabili:
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— gli atti vincolati, perché questi sono sottratti al potere della P.A. di valutare le ragioni concernenti il merito;
— gli atti la cui efficacia si è già esaurita (ad es. per scadenza del termine, o per raggiungimento
dello scopo);
— gli atti costitutivi di status;
— gli atti costitutivi di diritti quesiti;
— i provvedimenti contenziosi (ad es. le decisioni su ricorsi amministrativi);
— gli atti di mera esecuzione;
— gli atti imperfetti.
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La revoca ha efficacia ex nunc: gli effetti dell’atto revocato cessano solo dal momento dell’operatività della revoca, mentre restano in piedi gli effetti già prodotti in precedenza.
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Differenze
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La revoca si basa su una differente e susseguente valutazione discrezionale delle condizioni di
opportunità che avevano portato alla emanazione dell’atto. Essa si differenzia dalla revocazione, che è un mezzo di impugnazione di sentenze pronuciate in grado d’appello o in unico
grado, la quale si basa su un apprezzamento di circostanze e presupposti ignorati al momento
dell’emanazione dell’atto (art. 395 c.p.c.).
C) L’abrogazione
se
Secondo autorevole dottrina (VIRGA), è un atto di ritiro che si attua per il sopravvenire di
nuove circostanze di fatto che rendono l’atto non più rispondente al pubblico interesse si differenzia
dalla revoca, che si concreta nella rivalutazione delle stesse circostanze originarie.
Altra dottrina (SANDULLI) osserva, invece, che anche in tale ipotesi ricorre la revoca.
Es
Tale interpretazione esclude la configurabilità autonoma del potere di abrogazione sulla base
dei seguenti rilievi:
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— l’abrogazione attiene, come la revoca, a valutazioni di opportunità dell’atto;
— l’abrogazione, come configurata da VIRGA, ha la medesima efficacia (ex nunc) della revoca;
— nella pratica è assai difficile distinguere tra esigenze pubbliche preesistenti e sopravvenute, in quanto tale diversità è sempre frutto di diverse valutazioni soggettive. In assenza,
quindi, di concrete diversità giuridiche, sembra preferibile evitare distinzioni astratte, e
parlare in ogni caso di revoca.
Il regime giuridico dell’abrogazione è il seguente:
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ht
a) gli atti suscettibili di abrogazione sono gli stessi che possono essere revocati;
b) gli effetti della abrogazione si producono (come per la revoca) ex nunc;
c) la differenza tra revoca e abrogazione starebbe nel fatto che la prima comporta un riesame del
merito dell’atto al momento della sua emanazione; la seconda, invece, una valutazione della
opportunità di tenere in vita il rapporto creato dall’atto in relazione a mutate situazioni di
fatto (VIRGA); tale diversità, ammesso che esista, non influisce sul regime giuridico dell’atto.
D) La pronuncia di decadenza
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È un atto di ritiro, con efficacia ex nunc (cioè della sua adozione) che la P.A. utilizza nei confronti di precedenti atti ampliativi delle facoltà dei privati, in caso di:
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— inadempimento degli obblighi o degli oneri incombenti sui destinatari;
— mancato esercizio da parte dei medesimi delle facoltà derivanti dall’atto amministrativo;
— venir meno di requisiti di idoneità necessari sia per la costituzione che per la continuazione del
rapporto.
E) Il mero ritiro (VIRGA)
C
È un atto di ritiro che si esplica, anche per fatti concludenti, nei confronti di atti non ancora
efficaci come, per esempio, per gli atti del procedimento non ancora perfezionatosi, gli atti privi di
un requisito di esecutività o di obbligatorietà, ovvero gli atti per loro natura inefficaci (es.: atti nulli).
Perché possa farsi luogo al ritiro è condizione sufficiente l’accertamento della illegittimità o
inopportunità dell’atto, non essendo richiesto l’apprezzamento di un interesse pubblico, concreto
ed attuale al suo ritiro. Del resto, poiché esso attiene ad un atto inefficace, non vi è alcun affidamento nei destinatari meritevole di essere tutelato (VIRGA).
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6. LA SANATORIA DELL’ATTO AMMINISTRATIVO VIZIATO: LA CONVALESCENZA E LA CONSERVAZIONE
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L’atto amministrativo che non sia radicalmente inesistente ma solo annullabile può essere, anziché ritirato, sanato con una successiva manifestazione
di volontà da parte della P.A. Si distinguono al riguardo ipotesi di:
a) convalescenza, che tende direttamente a eliminare il vizio che inficia l’atto;
b) conservazione, che tende a rendere l’atto, nonostante la sua invalidità, inattaccabile da parte dei soggetti destinatari con i ricorsi amministrativi o
giurisdizionali.
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A) La convalescenza
Ratifica
➤ È un provvedimento nuovo, autonomo, costitutivo con cui l’autorità
astrattamente competente si appropria dell’atto adottato da un’autorità
incompetente dello stesso ramo. Si differenzia dalla convalida per l’autorità che lo pone in essere (non è la stessa autorità emanante) e per il vizio
sanabile (che è solo l’incompetenza relativa)
Sanatoria
➤ Si ha quando un atto o un presupposto di legittimità, mancante al momento dell’emanazione dell’atto amministrativo, viene emesso successivamente in modo da perfezionare ex post l’atto illegittimo
Es
se
li
Convalida
➤ È un provvedimento nuovo, autonomo, costitutivo che elimina i vizi di
legittimità di un atto invalido precedentemente emanato dalla stessa
autorità. Esso deve contemplare l’atto che si intende convalidare, il vizio
da cui è affetto, la volontà di rimuovere il vizio. La convalida può riguardare atti annullabili, che non siano stati precedentemente annullati, in
relazione ai quali l’autorità abbia il relativo potere e il vizio inficiante
possa essere eliminato
B) La conservazione
©
A differenza della convalescenza, la conservazione mira solo a rendere l’atto invalido inattaccabile dai ricorsi amministrativi o giurisdizionali.
ht
ig
Nozione
op
yr
Consolidazione
Acquiescenza
C
➤ Opera nell’ipotesi di raggiungimento dello scopo e consente la conservazione dell’atto illegittimo per vizi di forma laddove risulta ugualmente
perseguito in modo efficace l’interesse pubblico. Il principio si concretizza attraverso una serie di figure giuridiche che tendono a rendere inattacabile da ricorsi un atto amministrativo che è e resta invalido (applicazione del principio generale di conservazione degli atti giuridici)
➤ È una causa di conservazione oggettiva dell’atto amministrativo che dipende dal decorso del termine perentorio entro il quale l’interessato
avrebbe potuto opporre ricorso contro l’atto invalido (si tratta di una figura processualistica accostabile al passaggio in giudicato della sentenza)
➤ È una causa di conservazione
soggettiva dell’atto amministrativo che dipende da manifestazioni espresse o da fatti
concludenti con i quali il soggetto privato si preclude la
possibilità d’impugnare l’atto.
Ne sono requisiti:
•
•
•
l’esistenza del provvedimento
la conoscenza dell’interessato
l’accettazione del privato mediante comportamento equivoco e spontaneo
La patologia dell’atto amministrativo
•
•
conferma propria qualora sia adottata sulla base
di un nuovo iter procedimentale (nuova istruttoria, nuova ponderazione di interessi pubblici,
nuovo provvedimento)
– adottato dalla
stessa autorità
– senza una nuoconferma impropria e cioè
va istruttoria
atto meramente confermati- – conferma del
vo
dispositivo e
della motivazione del provvedimento
br
i
Conferma
➤ È una manifestazione di
volontà non innovativa
con cui l’autorità ribadisce
una sua precedente determinazione, eventualmente
ripetendone il contenuto
p.
➤ Consiste nel considerare un atto invalido come appartenente ad un altro tipo,
di cui presenta i requisiti di forma e di sostanza (utile per inutile non vitiatur)
S.
Conversione
op
yr
ig
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Es
se
li
Il carattere di conferma propria o impropria di un atto assume rilevanza ai fini dell’impugnazione: preclusa per la conferma impropria (carenza di interesse a ricorrere, eludibilità dei termini per l’impugnazione), configurabile per la conferma propria (v. in Appendice voce → Atti confermativi).
C
A
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113
A
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202
p.
B
Beni demaniali artt. 822-824 c.c.; R.D. 18-11-1923, n. 2440; D.P.R. 8-6-2001, n. 327; L.
cost. 18-10-2001, n. 3; L. 30-12-2004, n. 311
B
ht
©
Es
se
li
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S.
Si definiscono (—) i beni che appartengono ad un ente pubblico territoriale e che rientrano tra quelli indicati negli artt. 822 e 824 c.c., nonché i beni ad essi assimilabili;
inoltre, sono demaniali tutti i beni che leggi speciali assoggettano al particolare regime
giuridico del demanio.
Sono (—), pertanto, tutti quei beni che, per natura o per espressa disposizione di legge,
servono a soddisfare bisogni collettivi in modo diretto; per tale ragione vengono sottoposti a speciali vincoli.
I (—) sono sempre beni immobili o universalità di beni mobili e devono appartenere ad
enti pubblici territoriali (Stato, Regioni, Province, Comuni).
Quanto alle differenze è possibile distinguere il demanio necessario da quello accidentale (o eventuale). Nel primo sono ricompresi tutti quei beni che non possono che appartenere allo Stato o ad altri enti pubblici territoriali. Rientrano in tale categoria il
demanio marittimo, il demanio idrico e il demanio militare. Il demanio accidentale, invece, annovera tutti i beni che possono anche non essere demaniali e che sono tali solo
se appartenenti ad uno degli enti suddetti.
Appartengono a questa categoria: il demanio stradale, il demanio ferroviario, il demanio
aeronautico, gli acquedotti ed, infine, il demanio storico, archeologico, artistico e culturale.
È altresì doveroso specificare che, accanto al demanio necessario e a quello accidentale, si individua il demanio regionale (sorto con la costituzione delle Regioni) ed il demanio comunale specifico (comprendente i cimiteri ed i mercati di proprietà del Comune). Tuttavia in proposito va segnalato che nell’art. 119 Cost. (così come novellato
dalla L. cost. 3/2001) non si parla più di demanio con riferimento agli enti territoriali
bensì di patrimonio riconosciuto a Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni.
I beni che fanno parte del demanio pubblico:
a) sono inalienabili: qualsiasi atto di trasferimento è nullo (art. 823 c.c.). Essi possono
essere trasferiti dal demanio di un ente pubblico territoriale ad un altro ente pubblico
territoriale, a condizione che la loro appartenenza a un ente specifico non abbia carattere di stretta necessità e il trasferimento non pregiudichi la demanialità dei beni;
b) non sono suscettibili di acquisto a titolo originario per usucapione da parte di altri
soggetti, in quanto non possono formare oggetto di diritti di terzi, se non nei modi
e limiti stabiliti dalle leggi che li riguardano (artt. 823 e 1145 c.c.);
c) il diritto di proprietà «pubblica» dell’ente è imprescrittibile;
d) i (—) sono insuscettibili di espropriazione forzata. Per quanto riguarda la possibilità che essi formino oggetto di espropriazione per pubblica utilità, il T.U. delle espropriazioni (D.P.R. 327/2001), all’art. 4, stabilisce che i beni appartenenti al demanio
pubblico non possono essere espropriati fino a quando non ne viene pronunciata
la sdemanializzazione.
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Beni patrimoniali disponibili R.D. 18-11-1923, n. 2440; L. 29-1-1992, n. 35; L. 24-
C
op
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12-1993, n. 537; L. 23-12-1996, n. 662; L. 15-5-1997, n. 127; L. 23-12-1998, n. 448; L.
23-12-1999, n. 488; L. 23-12-2000, n. 388; D.P.R. 13-2-2001, n. 189; L. 2-4-2001, n. 136;
artt. 15, 26 ss. D.L. 30-9-2003, n. 269 conv. in L. 24-11-2003, n. 326; D.L. 25-6-2008, n.
112, conv. in L. 6-8-2008, n. 133
Sono tali tutti i beni, diversi dai beni demaniali [vedi →] e dai beni patrimoniali indisponibili [vedi →], di proprietà dello Stato e degli altri enti pubblici (anche non territoriali).
Fra essi rientrano: il patrimonio mobiliare, comprendente il denaro, gli utensili ed il
patrimonio fondiario ed edilizio. Si tratta, quindi, di beni produttivi di reddito per
l’ente e posseduti da questo a titolo di proprietà.
I (—) non sono assoggettati al regime pubblicistico, ma a quello ordinario di diritto
privato, ad eccezione dell’alienazione che deve avvenire nelle forme del diritto pubblico.
Beni patrimoniali indisponibili art. 828 c.c.; R.D. 18-11-1923, n. 2440; D.P.R. 8-62001, n. 327; D.L. 30-9-2003, n. 269, conv. in L. 24-11-2003, n. 326
Sono beni che, pur essendo preordinati al soddisfacimento, in modo diretto, del pubblico interesse, non rivestono tuttavia un carattere tale da richiedere l’assoggettamento al regime speciale dei beni demaniali [vedi →].
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br
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S.
p.
Essi, pur essendo beni pubblici, possono appartenere a qualsiasi ente pubblico, non
solo territoriale, e consistere sia in beni mobili che immobili.
Tali beni sono vincolati ad una destinazione di pubblica utilità e non possono essere sottratti a tale destinazione, se non nei modi stabiliti dalle leggi che li riguardano
(art. 828 c.c.). Da ciò la dottrina ha affermato il principio della alienabilità di tali beni,
purché essa non comporti la sottrazione dei beni stessi alla loro destinazione pubblica.
Sono, comunque, inalienabili: le miniere e le foreste, gli atti ed i documenti di enti
pubblici, i beni di interesse artistico e storico.
I (—) sono altresì:
— soggetti ad usucapione da parte di terzi soltanto nel caso in cui siano stati sottratti
alla loro destinazione a non domino e poi trasferiti a terzo in buona fede, il quale
quindi potrà acquistarli per usucapione nei termini di legge;
— analogamente ai beni demaniali, sono insuscettibili di espropriazione forzata.
Il testo unico delle espropriazioni (D.P.R. 327/2001), al comma 2 dell’art. 4, stabilisce
che i beni appartenenti al patrimonio indisponibile dello Stato e degli altri enti pubblici possono essere espropriati per perseguire un interesse pubblico di rilievo superiore a quello soddisfatto con la precedente destinazione.
A
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Buona amministrazione
Buona amministrazione [PRINCIPIO DI] art. 97 Cost.; L. 7-8-1990, n. 241
C
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se
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Tale principio sta ad indicare che l’azione amministrativa deve essere esplicata in modo
efficiente ed appropriato affinché l’interesse pubblico sia perseguito secondo criteri di
economicità [vedi → Economicità], efficacia [vedi → Efficacia], efficienza e speditezza e
col minor sacrificio degli interessi particolari dei privati. Per il rispetto di questo principio costituzionalmente garantito la P.A. è tenuta non solo ad autorganizzarsi in modo
da esplicare con prontezza, semplicità ed economia di mezzi la propria attività, ma
anche ad aggiornarsi e a razionalizzare al massimo i suoi servizi in vista degli obiettivi
che è tenuta a raggiungere. Va rilevato, tra l’altro, che gli atti in contrasto col principio
in parola sono caducabili, modificabili, revocabili, annullabili d’ufficio.
A seguito dell’entrata in vigore della L. 241/1990, che ha dettato norme sullo snellimento del procedimento amministrativo [vedi →] e il diritto di accesso ai documenti della
pubblica amministrazione [vedi →], il principio di (—), per anni rimasto solo sulla
carta, è stato finalmente oggetto di una vera e propria disciplina positiva.
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