La meteorologia e la sua terminologia
INDICE
A
Acqua - Aerosol - Albedo - Anticiclone Russo/Siberiano - Anticicloni - Atmosfera Aria fredda in Italia
7
B
Boundary Layer - Brezza - Bulbo umido - Burian
4
C
Cambiamenti del tempo - Cape - Cicloni - Clima - Convergenza - Corrente del golfo Cut off
7
D
Dew point - Divergenza
2
E
El nino - Evapotraspirazione
2
F
Figure bariche - Foehn - Fronti - Fulmini
4
G
Galaverna - Geopotenziali - Gragnola - Gradiente termico verticale - Grandine Gust front
6
H
-
-
I
Indice di calore - Interpretare le mappe - Inversione termica
3
J
Jet stream
1
L
Lifted index - Limite neve
2
M
Masse d’aria fredda - Masse d’aria calda - Modelli - Monsoni Movimenti verticali d’aria
5
N
Nao - Nebbia - Neve - Nubi
4
O
Omega
1
P
Pcai - Perturbazioni in Italia - Pressione
3
Q
Qbo
1
R
Radiosondaggi - Raggi ultravioletti
2
S
Shelf cloud - Spaghetti - Squall line - Ssta - Stau - Stratwarming
6
T
Temperatura - Temporali - Tendenza barometrica - Tornado
4
U
Umidità
1
V
Velocità verticali - Vento - Visibilità - Vorticità
4
W
Wejkoff - Westerlies - Wind shear
3
Z
Zero termico - Zero assoluto
2
Totale termini - 74
Totale pagine - 70
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La meteorologia e la sua terminologia
A
Acqua
Il vapore acqueo contenuto nell’atmosfera, seppur presente in concentrazioni limitate, riveste un
ruolo fondamentale negli scambi energetici atmosferici.
Le transizioni di fase
I processi di transizione di fase sono molto importanti in quanto responsabili di scambi di
grosse quantità di energia. Le transizioni di fase che avvengono nel verso della freccia richiedono
energia:
Solido 
Solido 
Liquido 
Liquido FUSIONE
Vapore SUBLIMAZIONE
Vapore EVAPORAZIONE
Le transizioni di fase che avvengono nel verso della freccia liberano energia:
Solido 
Solido 
Liquido 
Liquido SOLIDIFICAZIONE
Vapore BRINAMENTO
Vapore CONDENSAZIONE
Si definisce calore latente, l’energia termica necessaria per la transizione di fase di 1 kg di sostanza.
Per convezione si assume positiva l’energia richiesta, negativa quella liberata:
Calore latente di condensazione - 2.500.000 J/kg
Calore latente di evaporazione + 2.500.000 J/kg
Calore latente di fusione - 330.000 J/kg
Calore latente di solidificazione + 330.000 J/kg
Calore latente di sublimazione - 2.830.000 J/kg
Calore latente di brinamento + 2.830.000 J/kg
L’evaporazione di 1 kg di acqua richiede energia (2.500.000 J). Tale energia viene ceduta durante la
condensazione.
Le grandezze igrometriche
L’aria può essere considerata una miscela di due gas: vapore acqueo e aria secca. La massa di
vapore acqueo che può essere contenuta in una massa d’aria, ad una data temperatura e pressione,
ha un limite superiore che viene raggiunto in condizioni di saturazione.
In tale condizione un eventuale eccesso di vapore acqueo condensa formando goccioline di acqua
(acqua nella fase liquida). La massa di vapore acqueo che può essere contenuta in una massa d’aria
aumenta con la temperatura e diminuisce con la pressione.
Pressione di vapore
In una miscela di gas, ogni componente esercita una pressione che è pari a quella che eserciterebbe
se occupasse da solo il volume a disposizione (legge delle pressioni parziali di Dalton). La
pressione di vapore rappresenta quindi la pressione esercitata dal vapore acqueo. Essa è
proporzionale alla percentuale di vapore acqueo presente nell’atmosfera. Se una particella di aria ha
pressione pari a 1000 hPa ed è composta dal 78% di azoto, 21% di ossigeno e 1% di vapore acqueo,
la pressione parziale del vapore acqueo è pari a 10 hPa (1% di 1000 hPa). La pressione di vapore
esercitata in condizioni di saturazione viene definita pressione di vapore saturo e rappresenta il
valore massimo in quelle condizioni di temperatura e pressione.
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La meteorologia e la sua terminologia
Aerosol
Il particolato atmosferico (aerosol) è l’insieme delle particelle solide (polveri) o liquide (goccioline)
che si trovano in sospensione nella bassa atmosfera per cause naturali o anche tropogeniche. Gli
aerosol sono costituiti in prevalenza da particelle di sale marino, polveri, solfati, nitrati, sostanze
organiche e fumi. La loro origine è associata ad una ricca varietà di processi quali la combustione,
la condensazione in piccole particelle di alcuni gas reattivi come conseguenza di processi chimici o
fotochimica, la dispersione nell’atmosfera di particelle solide in seguito all’erosione del suolo ad
opera di agenti atmosferici, la dispersione di soluzioni saline che all’atto dell’evaporazione
immettono sale marino nell’atmosfera.
Le particelle che si formano per condensazione sono solitamente sferiche, le altre possono essere
cristalli, fibre, agglomerati o frammenti irregolari. Per praticità, tutte le particelle sono descritte in
termini di diametro sferico equivalente, definito come il diametro di una sfera avente lo stesso
volume della particella di aerosol. Il diametro può andare da 10-3 micron fino a 100 micron.
La concentrazione degli aerosol è estremamente variabile nel tempo e nello spazio, ed è maggiore
nelle vicinanze delle sorgenti quali città, mari o vulcani attivi. Parte del pulviscolo atmosferico si
comporta da nucleo di condensazione già in presenza di una modesta sovrasaturazione dell’ 1-2%.
Il processo di formazione delle goccioline a partire dalla condensazione del vapore sui nuclei
igroscopici è chiamato enucleazione eterogenea. La formazione di goccioline a partire dalla
semplice condensazione del vapore in presenza di elevati valori di sovrasaturazione o di
temperature fortemente negative è, invece, nota come enucleazione omogenea. I nuclei di
condensazione sono particelle il cui diametro va da 0,1 micron fino a 4 micron. La categoria più
numerosa è quella con diametro inferiore a 0,2 micron; tali nuclei sono i primi a dare inizio al
processo di formazione delle droplet all’interno di una massa d’aria satura e pertanto ad essi sono
associate goccioline più grandi all’interno della nube. Le gocce più grandi, avendo una maggiore
tensione superficiale rispetto a quelle più piccole, tendono a ingrossarsi a spese di queste ultime,
fino a raggiungere le dimensioni di una goccia di pioggia.
La concentrazione dei nuclei di condensazione nell’atmosfera è di 500-1000 particelle per cm3, che
corrisponde al numero di gocce che mediamente si formano in una nube.
Un’importante classificazione del nuclei igroscopici può essere fatta distinguendo fra i nuclei attivi
a temperature positive e quelli attivi a temperature negative. In base a questa distinzione è possibile
classificare i nuclei igroscopici in:

nuclei di condensazione: nuclei attivi a temperature positive che favoriscono la formazione
di goccioline in seguito alla condensazione del vapore acqueo.

nuclei glaciogeni: nuclei attivi a temperature negative che agevolano la formazioni di
cristalli di ghiaccio. Se la formazione avviene a partire dal congelamento di goccioline
d’acqua sopraffuse i nuclei glaciogeni sono detti di ghiacciamento, mentre nel caso di
formazione di cristalli direttamente dalla sublimazione del vapore acqueo i nuclei glaciogeni
sono detti di sublimazione.
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Albedo
La radiazione solare, oltre ad essere assorbita e diffusa nell’attraversare l’atmosfera, viene anche
parzialmente riflessa verso lo spazio ad opera delle nubi, dei gas atmosferici e della superficie
terrestre. Si definisce albedo il rapporto fra l’energia riflessa e quella totale incidente sulla
superficie considerata.
Tipo di superficie
Nubi sottili
Nubi spesse
Mare calmo
Mare agitato
Foresta equatoriale
Foresta delle latitudini medio - alte in estate
Praterie e campi coltivati
Savana tropicale
Sabbia
Are intensamente urbanizzate
Neve vecchia
Neve fresca
Albedo
4%
85%
2-5%
2-10%
5-15%
15-20%
15-20%
20-25%
25-30%
15-25%
50-70%
80-90%
Anticiclone Russo/Siberiano
L’anticiclone russo-siberiano è la figura termica per antonomasia; si genera in autunno (fra ottobre e
novembre) nelle steppe siberiane più interne del continente asiatico, dove già in quel periodo la
temperatura durante il giorno rimane di molti gradi al di sotto dello zero.
Il peso dell’aria fredda favorisce la nascita di questa
figura così maestosa, duratura e stabile nella sua
posizione, e la mantiene fino a primavera inoltrata,
portando il gelo e il secco agli abitanti della Siberia.
Come tutti gli anticicloni termici la sua struttura si
sviluppa fra il suolo ed i 2-3 km di quota, mentre più in
alto è presente una struttura di bassa pressione o (più
abitualmente) una "palude barica" (un’area molto vasta
dove la pressione è livellata sugli stessi valori ovunque).
In alcune occasioni, a seconda del movimento delle
depressioni atlantiche alle medie latitudini, parte di
quest’aria fredda può "traboccare" oltre gli Urali, portando alla formazione di una cellula
anticiclonica termica fra la Scandinavia e la Russia Bianca. Se oltretutto questo rovesciamento
avviene con violenza e rapidità, la spinta verso ovest può essere talmente intensa da permettere
all’aria gelida di arrivare fin verso il Mediterraneo; in queste occasioni si genera il vento
denominato "Burian", che ci ha fatto visita per l’ultima volta il 26 dicembre 1996 quando le
temperature sono crollate sotto lo zero anche nelle ore più calde un po’ su tutto il centro-nord Italia.
Anticicloni
Gli anticicloni sono zone di alta pressione sulla superficie terrestre a forma circolare o ellittica, che
causano modeste variazioni dei parametri meteorologici. Al loro interno i venti sono deboli, spesso
a regime di brezza, e soffiano in senso orario nell’emisfero boreale e antiorario in quello australe.
L’aria, essendo pesante, si comprime, si riscalda e diventa più secca (fenomeno detto subsidenza),
dissolvendo spesso le nubi. In presenza di un anticiclone, però, durante l’inverno possono formarsi
nebbie o foschie a causa delle inversioni termiche nei pressi del suolo, mentre durante l’estate il
forte riscaldamento del suolo può causare la formazione improvvisa di cumulonembi con i
conseguenti temporali di calore.
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La meteorologia e la sua terminologia
Gli anticicloni possono essere di diversi tipi:

Anticicloni dinamici: sono legati alla circolazione generale dell’atmosfera ed interessano i
tropici in tutte le stagioni. Sono caldi, occupano l’intera troposfera e, specialmente
d’inverno, possono stazionare per settimane sulla stessa zona (anticicloni di blocco),
impedendo l’ingresso delle perturbazioni, che vengono deviate lungo i bordi settentrionali o
meridionali del sistema anticiclonico. Un tipico esempio dell’emisfero boreale è dato
dall’anticiclone delle Azorre, che riveste grande importanza nell’evoluzione meteorologica
europea. Mentre d’estate esso può arrivare ad occupare l’intero bacino del Mediterraneo,
apportando condizioni prolungate di bel tempo, d’inverno si ritira in genere nei suoi luoghi
di origine consentendo, perciò, alle perturbazioni atlantiche di giungere sino al Mar
Mediterraneo. Nelle stagioni intermedie, invece, l’anticiclone delle Azorre si sposta
continuamente, determinando tempo molto variabile.

Anticicloni termici: occupano le aree più fredde della Terra, come i Poli e d’inverno la
Siberia, e a causa della loro grande estensione si muovono molto lentamente, Verso i 40005000 metri, però, essi sono sostituiti da cicloni o depressioni, poiché la pressione
atmosferica diminuisce più rapidamente nell’aria fredda che nell’aria calda per effetto della
compensazione barica.

Anticicloni mobili o di chiusura: si trovano fra due depressioni e sono prodotti dall’afflusso
di masse d’aria fredda. Al contrario degli altri anticicloni, questi sono interessati da venti
forti e sono molto piccoli, per cui si spostano rapidamente, provocando un miglioramento
del tempo soltanto temporaneo (1 o 2 giorni al massimo)
In generale comunque alle zone di alta pressione cioè in presenza di anticicloni, il tempo risulta
durante il giorno, stabile soleggiato e assenza di precipitazioni, escludendo comunque i casi
particolari.
Atmosfera
L'atmosfera
terrestre
è
composta
prevalentemente da azoto (78%) e da
ossigeno (21%), con piccole percentuali di
argo (0,9%), anidride carbonica e altri gas.
Questo particolare miscuglio di gas
costituisce l'aria. L'atmosfera costituisce un
sistema dinamico molto complesso:
movimenti e spostamenti sono responsabili
dei diversi climi e del tempo meteorologico,
delle perturbazioni e dei venti. Naturalmente
non esiste un'altezza precisa ove l'atmosfera
ha il suo limite ma per convenzione tale
limite è fissato a 1.000 chilometri, oltre
questa
altezza
troviamo
il
vuoto
interplanetario. L'atmosfera viene divisa in
fasce, ognuna delle quali ha temperature e
caratteristiche differenti. Lo strato più
prossimo alla crosta è la troposfera,
compresa tra 0-15 km da terra, dove
avvengono tutti i fenomeni meteorologici
che conosciamo. Sopra si trova la
stratosfera, compresa tra 15-50 km, che
include una fascia di ozono che ripara la Terra dalle radiazioni ultraviolette provenienti dal Sole.
Più in alto si incontra la mesosfera, 50-90 km, dove ha luogo il curioso fenomeno delle nubi
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nottilucenti. L'alta mesosfera fa parte di quella regione elettromagnetica chiamata di ionosfera:
questo strato non si lascia attraversare dalle onde radio ma le riflette sulla Terra, dove vengono
captate. Le regioni della parte superiore dell'atmosfera sono meno conosciute e non hanno grande
influenza su ciò che accade sulla superficie terrestre. Oltre la mesosfera troviamo la termosfera compresa tra i 90 e i 500 km da terra circa - una grande zona, molto calda, anch'essa permeata dalla
ionosfera. Lo strato più esterno, infine, è l'esosfera, compresa tra i 500 e i 1.000 km circa da terra,
oltre la quale incomincia il vuoto interplanetario.
Aria fredda in Italia
Le masse d’aria fredda che raggiungono la nostra Penisola possono essere divise in due categorie:

Correnti artiche marittime

Correnti continentali
Vi sono anche le polari marittime, ma queste in genere non partono mai dai grossi scossoni in
campo termico. Le correnti artiche marittime vengono da nord, dal Circolo Polare Artico. Sono
messe in moto da una rimonta anticiclonica che si allunga fino al nord Atlantico, bloccando le miti
correnti da ovest. Si tratta di aria fredda soprattutto alle quote superiori, di conseguenza si presente
instabile e apportatrice di rovesci nevosi. A contatto con il Mediterraneo, in genere, forma
depressioni per contrasto termico, con tempo perturbato specie al centro e al sud. Le correnti fredde
continentali sono di norma le più gelide di tutte. Vengono da est, dalla Siberia. In questo caso a
veicolarle verso l’Italia ci pensa il famigerato anticiclone russo, che con un gelido abbraccio ingloba
gran parte del Continente Europeo. L’anticiclone, tuttavia, ha bisogno della collaborazione di una
depressione situata tra il Mari Ionio e la Grecia. Tali correnti sono l’espressione dell’inverno più
crudo e freddo! In genere si tratta di aria gelida a livello del suolo. Di conseguenza ha
comportamento scarsamente instabile, ma può contrastare con aria più umida in loco e determinare
abbondanti nevicate da “scorrimento”. Se l’avvezione fredda è particolarmente massiccia e veloce
si parla di Burian, il vento freddo della Steppa! Questa forte corrente fredda porta abbondanti
nevicate nelle zone esposte, quindi sul medio-basso Adriatico e il retrostante Appennino. Se ad una
situazione di Burian fa seguito un respiro più umido dall’Atlantico, tutto il nord Italia viene
investito da abbondanti nevicate, specie sull’Appennino Ligure, sulle Alpi e sul Piemonte.
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B
Boundary Layer
Il Boundary Layer (PBL) è caratterizzato da un attivo rimescolamento verticale dovuto alla
turbolenza ossia ai moti vorticosi generati dagli ostacoli al suolo, dall’attrito viscoso interno e dai
moti convettivi innescati dalle bolle d’aria calda che si sviluppano sui suoli surriscaldati dai raggi
solari. Per di più tale strato assorbe la maggior parte del calore e del vapore emessi dalla superficie
terrestre. L’altezza del PBL, ossia l’estensione verticale fin dove si avvertono le influenze diurne
del suolo, non è costante durante il giorno ma dipende dall’intensità del rimescolamento termico.
Di giorno, quando la Terra è riscaldata dal Sole, vi è un trasferimento di calore verso l’alto,
soprattutto a opera delle termiche e la profondità del PBL si spinge in genere fino a 1-2 km. Invece
di notte la Terra si raffredda più rapidamente dell’atmosfera cosicché è l’atmosfera a cedere calore
al suolo per irraggiamento. Il conseguente raffreddamento dello strato d’aria più prossimo al suolo
tende ad annullare il rimescolamento turbolento cosicché il PBL in genere è inferiore a 100 metri.
Tale andamento periodico dell’altezza del PBL, legato al ciclo giornaliero del Sole, può essere
interrotto alle medie latitudini, dal passaggio delle tipiche perturbazioni del tempo a grande scala,
nelle quali vento e nubi influenza il PBL in misura maggiore del ciclo diurno del calore e delle
caratteristiche del suolo. All’interno del PBL vi sono due strati particolarmente legati alle
caratteristiche del suolo. Il primo, denominato Laminar Boundary Layer, è uno strato non turbolento
aderente alla superficie terrestre, avente pochi millimetri di spessore che costituisce una specie di
cuscinetto rispetto allo strato d’aria immediatamente sovrastante, il Turbolent Surface Layer (SL).
Nello Sl la turbolenza raggiunge la massima intensità, soprattutto a causa dei vortici a scala più
piccola generati prevalentemente dalla rugosità del suolo. Di giorno lo SL si estende fino ad
un’altezza di 50-100 metri, ma di notte, in coincidenza dell’abbassamento del top del PBL si riduce
ad appena pochi metri.
Brezza
Classificare le brezze come venti non è proprio esatto perché in genere i venti dipendono dalla
disposizione delle figure bariche che nelle diverse stagioni dominano la scena meteorologica di una
località, inoltre le brezze a differenza dei venti da avvezione (così vengono chiamati quelli legati al
passaggio di una perturbazione) non presentano quasi mai raffiche impetuose come magari può
manifestarsi un vento legato ad una circolazione ciclonica. Se ne deduce quindi che generalmente le
brezze sono legate a figure bariche alto pressorie, si manifestano durante le fasi di tempo stabile
ovvero in regime anticiclonico. Per capire il meccanismo del funzionamento delle brezze bisogna
innanzitutto tenere conto che la radiazione solare incidente sul suolo terrestre scalda quest’ultimo in
maniera diversa a seconda del tipo di suolo su cui impatta. Ci sono tipi di suolo maggiormente
predisposti a scaldarsi con una certa rapidità e altri che invece hanno una rapidità di riscaldamento
meno accentuata. Il suolo a seconda delle sue caratteristiche si riscalda in maniera disomogenea e
avremo quindi zone che presenteranno temperature più alte nei primi strati d’aria sovrastanti e altre
zone con temperature più basse. L’atmosfera riceve calore e quindi si riscalda per conduzione e per
convenzione. Il riscaldamento per conduzione è il processo di riscaldamento del suolo che, una
volta ricevuti i raggi solari, riprometta il calore verso l’alto per via del riscaldamento dei primi strati
di terreno. Il riscaldamento per convenzione è il processo di riscaldamento legato alle leggi della
termodinamica secondo cui le masse d’aria che presentano temperature più calde rispetto alle masse
nelle immediate vicinanze più fredde, tendono a salire. Per cui l’aria calda va a sostituire, salendo,
l’aria più fredda che albergava nell’altezza in cui l’aria calda è appena sopraggiunta, l’aria fredda
avendo un peso specifico inferiore, tende a scendere e così il moto ascendente dell’aria più calda
trasporta calore laddove in precedenza vi erano temperature più basse. Le superfici liquide invece
tendono a riscaldarsi molto lentamente e impiegano altrettanto tempo per raffreddarsi. I moti
dell’aria sia verticali che orizzontali vengono messi in moto proprio dalle differenze termiche tra
masse d’aria vicine. La differenza termica mette in moto la brezza e questo accade perché l’aria
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La meteorologia e la sua terminologia
calda tende a risucchiare l’aria fredda, questo risucchio genera la ventilazione ovvero lo
spostamento d’aria, l’intensità della brezza è direttamente proporzionale alla differenza termica che
si attua, maggiormente le temperature dei due luoghi posti a breve distanza divergono, maggiore
sarà l’intensità della brezza e viceversa.
Bulbo umido
E’ la più bassa temperatura che si può ottenere per evaporazione di acqua nell'aria a pressione
costante. Il nome deriva dalla tecnica di porre un pezzo di garza bagnato sul bulbo di un termometro
a mercurio e di soffiare aria sul rivestimento per favorire l'evaporazione. Poiché il processo di
evaporazione assorbe calore, il termometro si abbasserà a una temperatura inferiore rispetto ad un
termometro a bulbo secco posto nella stessa posizione. La temperatura di bulbo umido e la
temperatura di bulbo secco, determinate contemporaneamente affiancando due termometri,
permettono tra l'altro di determinare il punto di rugiada e l'umidità relativa.
In pratica, calcolare la temperatura di bulbo umido, vuole dire calcolare la temperatura che
raggiungerebbe l’aria con una umidità del 100%.
Burian
Il burian, in italiano burano, è un vento gelido proveniente dalle steppe più remote della Russia, in
zone siberiane. Esso frequentemente staziona in quelle zone, molto spesso si spinge in Asia, al di là
degli Urali, e qualche volta, magari “spinto” da desideri di nuove conquiste, si dirige alle nostre
latitudini, coinvolgendo pure la nostra Italia.
Il suo “viaggio” allora verso di noi, non è ostacolato da alcuna barriera alpina, con esso non può
esistere una sua trasformazione in foehn, poiché questo gelidissimo grecale, attraversando
velocemente le repubbliche orientali dell’Europa, varca vorticosamente i nostri confini dalle regioni
di nord-est, propagandosi successivamente in tutta la penisola. Inutile dire che i valori termici,
allora, subiscono un crollo a picco…ma non solo. Sovente tale fenomeno è accompagnato da
autentiche bufere di neve, anche se il loro apporto non e’ considerevole.
La parola Burian in russo significa tempesta di neve. Con la parola Burian in Italia si indica una
irruzione di aria fredda di matrice prettamente continentale proveniente dalle pianure RussoSiberiane-Sarmatiche. Questo tipo di irruzione non è molto frequente in quando per il suo avvento
deve venirsi a creare un HP termico ovvero una Anticiclone che nasce per lo scorrimento di aria
fredda dall'artico verso il continente Russo. Tale scorrimento (aria fredda su superficie continentale)
va a creare moti discendenti dell'aria in quando l'aria fredda scorrendo su una superficie già di per
se fredda per le sue caratteristiche continentali come si è detto provoca moti discendenti dell'aria, si
ha così la nascita del Famigerato Anticiclone Termico Russo-Siberiano vero promotore del gran
freddo Europeo, non basta solo l'avvento di questo Hp termico affinché il burian si manifesti nella
nostra penisola, ci sono diversi fattori che ne determinano il nostro coinvolgimento: serve infatti
“una catapulta per il freddo”. In vari episodi a svolgere questo importante ruolo sono state le
depressioni mobili atlantiche che nella maggior parte dei casi sono scaturite dal semi-perenne
ciclone d’Islanda. Queste depressioni poi entrando nel mediterraneo vanno in ciclogenesi
approfondendosi sul Golfo di Taranto per ragioni orografiche e se sull'est Europeo vi è “L'orso”,
(così viene chiamato in gergo l'Hp termico Russo) spesso il gran freddo con la relativa
accentuazione dell'instabilità sul versante adriatico viene catapultato verso di noi grazie alla
disposizione delle correnti lungo il margine nord-orientale delle isobare al suolo del minimo che
come si è detto va ad approfondirsi sul mar Ionio. Tuttavia spesso è anche capitato che la
perturbazione atlantica catapultatrice del freddo continentale verso l'adriatico, è passata un pò
troppo, in questo modo il minimo non è andato ad approfondirsi sullo Ionio ma sull'Egeo, in questi
casi il gran freddo seppur richiamato in minima parte genera Stau.
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C
Cambiamenti del tempo
I cambiamenti del tempo sono sempre o molto spesso preannunciati da numerosi fattori che
considerati singolarmente o meglio ancora presi nell’insieme fanno capire l’evoluzione del tempo a
breve termine. Alcuni di essi possono sembrare insignificanti ma non è così, possono dare molte
informazioni. Questi fattori sono le nubi, il vento, il cielo, la visibilità ed il barometro.
Per quanto riguarda le nubi si può dire che in presenza di cirri provenienti dai quadranti occidentali
(W) o meridionali (S), sono generalmente segno di precipitazioni vicine; i cirri possono anche
preannunciare l’arrivo di una bassa pressione mentre, i cirri del tipo “filobus” si possono
considerare la prima manifestazione di una perturbazione ancora lontana. I cirri ad uncino invece
sono segni di precipitazioni più certe. Invece i cumuli ad evoluzione diurna sono segno di tempo
stabile mentre i cumuli in rapido sviluppo verticale sempre al mattino possono preannunciare
imminenti temporali.
Con l’osservazione del vento invece si può ad esempio capire che un improvviso cambiamento della
sua direzione è indice di cambiamento del tempo; se, ancora, il vento aumenta d’intensità e sia a
componente meridionale (S), ci si aspetta un peggioramento. Invece, le regolari brezze di terra o di
mare anticipano il bel tempo, con la dissoluzione degli annuvolamenti cumuliformi. Per quanto
riguarda la colorazione del cielo si può dire che un colore azzurro molto profondo con visibilità
eccezionale indica condizioni del tempo instabili. Inoltre, un progressivo trapasso dall’azzurro al
bianco al grigio, accompagnato da foschia, indica un prossimo cambiamento del tempo. Invece un
azzurro chiaro spesso indice il permanere del bel tempo. Per quanto riguarda la visibilità, una sua
progressiva diminuzione e i graduale intorbidamento dell’atmosfera indica un cambiamento del
tempo con precipitazioni. Un cambiamento della pressione è significativo per capire le condizioni
del tempo prossimo. Se la pressione aumenta o rimane costante e contemporaneamente aumenta la
temperatura, in estate, indica un miglioramento del tempo. Se la pressione aumenta e diminuiscono
temperatura ed umidità, in inverno, si avrà un miglioramento del tempo. Se invece la pressione
diminuisce, in inverno, e invece temperatura ed umidità aumentano, è indizio del peggioramento del
tempo. In estate, una diminuzione della pressione con temperatura in diminuzione e umidità in
aumento, porta cattivo tempo. In inverno, una rapida diminuzione della pressione può essere
l’avviso dell’avvicinarsi di una tempesta o di una violenta perturbazione.
Cape
Cape (indice), è un indice di stabilità che misura l’energia totale di galleggiamento acquistata da
una massa d’aria. L’unità di misura dell’indice è J/Kg. Un indice di 1200, ad esempio, sta ad
indicare che ogni Kg di aria durante l’ascesa, ha ricevuto 1220 Joule. L’indice CAPE (Convective
Available Potential Energy) è molto utile per avere una previsione ed una mappatura delle zone in
cui si possono verificar temporali, proprio in base all’energia in gioco nell’aria. In base ai valori di
questo indice, vengono tratte determinate conclusioni:
Valori CAPE
0< I < 500
501 < I < 1000
1001 < I < 2000
I > 2001
Caratteristiche del temporale
Assenza di temporali
Possibili di temporali isolati
Temporali abbastanza probabili
Probabili forti temporali;
possibili trombe d'aria
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Cicloni
Il ciclone in meteorologia è una regione atmosferica in cui la pressione p minore di quella delle
regioni circostanti alla stessa altitudine. In generale è un’area di bassa pressione individuabile a
livbello del mare da isobare decrescenti verso il punto minimo, detto Centro del ciclone, su una
superficie a pressione costante, da isoipse decrescenti verso il centro. Nell’emisfero boreale, nel
ciclone l’aria è soggetta ad un sistema di venti circolanti in senso antiorario, mentre nell’emisfero
australe in senso orario, ovunque con una componente di moto convergente verso il centro.
I cicloni possono essere di diversi tipi:

Cicloni dinamici: sono di natura fredda, cioè contengono al loro interno aria più fredda delle
zone adiacenti poiché nascono in prossimità del circolo polare (artico e antartico) ad opera
delle veloci correnti occidentali in quota (la cosiddetta “corrente a getto”) che generano
potenti “risucchi” di aria verso l’alto. Poiché sono freddi, sono presenti a tutte le quote. Tali
cicloni si muovono lentamente da ovest verso est e comprendono i fronti caldi e freddi più
noti come “perturbazioni”.

Cicloni termici: sono invece costituiti da aria più caldi delle zone adiacenti e, per questo, si
esauriscono con la quota, poiché nell’aria calda la pressione diminuisce più lentamente con
la quota. Si formano nelle zone equatoriali o, d’estate, all’interno dei continenti. Laddove la
temperatura di partenza è molto elevata e la quantità di vapor acqueo molto abbondante,
come nei cicloni tropicali, i fenomeni assumono carattere molto violento: si parla allora di
“uragani”, “tifoni” e via dicendo, eventi possibili solamente in prossimità dei tropici e,
comunque, sul lato orientale dei continenti – quindi non riguardano l’Europa. Un esempio,
“in piccolo” di ciclone termico è un temporale estivo, generato appunto dal surriscaldamento
del suolo e che, solitamente, ha vita molto breve.
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La meteorologia e la sua terminologia
Clima
Il clima è l’insieme degli stati dell’atmosfera osservati su di un periodo di tempo sufficientemente
lungo (30 anni secondo l’Organizzazione Meteorologica Mondiale - OMM).
Il clima della Lombardia può essere descritto per diverse scale, da quella macroclimatica (es. il
clima europeo), a quella mesoclimatica (es. il clima padano, alpino e insubrico), fino a giungere al
clima locale e al microclima.
In Lombardia si possono notare una serie di elementi fisici che incidono profondamente sul clima:

la relativa vicinanza del Mediterraneo, fonte di masse d’aria umide e miti

la presenza dell’Arco Alpino e dell’Appennino, barriere in grado di creare notevoli
discontinuità orografiche

la presenza di tutti i principali laghi prealpini italiano con il ben noto effetto sul clima

la presenza di una delle maggiori conurbazioni europee: l’area metropolitana milanese
Ciò giustifica la distinzione in tre mesoclimi principali, quello padano, quello alpino e dei laghi e
quello insubrico, ai quali si deve aggiungere il clima delle aree urbane.
Il clima Padano, è relativamente uniforme dal punto di vista climatico, con piogge limitate ( da 600
a 1000 mm), ma ben distribuite nell’anno, temperature medie tra 11 e 14°C, nebbie frequenti, vento
ridotto ed elevate umidità relative con frequenti episodi temporaleschi.
In inverno l’area padana presenta sovente uno strato di aria fredda in vicinanza del suolo che, in
assenza di vento, determina la formazione di gelate e di nebbie spesso persistenti.
Il passaggio alla stagione primaverile risulta di norma brusco e caratterizzato da perturbazioni che
determinano periodi piovosi di una certa entità. L’attività temporalesca vede il suo apice nel periodo
estivo quando si registrano elevati accumuli di energia utile per innescarla e sostenerla.
In autunno il tempo è caratterizzato dal frequente ingresso di perturbazioni atlantiche, che possono
dare luogo a precipitazioni di entità rilevante.
Il clima Alpino è invece caratterizzato da temperature invernali rigide, temperature estive poco
elevate, piogge piuttosto abbondanti concentrate nel periodo estivo, intensa radiazione solare e
ventosità elevata.
Il clima urbano è caratterizzato da temperature sensibilmente superiori a quelle delle aree rurali
circostanti (isola di calore), alterati sono anche i livelli di precipitazioni, di umidità relativa e di
radiazione solare.
Convergenza
Se in un determinato volume di atmosfera giunge più aria di quanta non se ne vada, allora si avrà,
all'interno di tale volume, un accumulo. In altre parole è in atto una convergenza. Analizzando i
campi di vento (o le isoipse) si possono identificare aree di convergenza laddove si ha confluenza
del flusso oppure dove il vento tende a rallentare nella direzione del moto.
Convergenza e divergenza
sono assai importanti in
quanto legati ai moti
verticali. Consideriamo una
zona vicino al suolo in cui
vi sia convergenza. L'aria che giunge, non potendosi accumulare indefinitamente e non potendo
muoversi verso il basso (a causa della presenza del suolo) inizierà a salire. I moti ascendenti
arriveranno al più fino al limite della troposfera, dove la tropopausa stabile rappresenta un limite
invalicabile. Qui si avrà divergenza orizzontale e l'aria si allontanerà dalla colonna di atmosfera
considerata. Ma in questo modo, tramite i moti ascendenti, si avrà un calo di pressione al suolo che
a sua volta genera convergenza, richiamando aria nei bassi strati. Lo stesso fenomeno si può vedere
partendo da una divergenza in quota, la quale, sempre per conservazione della massa, richiama aria
dai bassi strati. La risalita di aria produce un calo di pressione al suolo e conseguente convergenza.
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La meteorologia e la sua terminologia
In questo modo alla convergenza o divergenza a grande scala è associato un moto verticale
ascendente responsabile del maltempo. Si può fare il discorso inverso per moti verticali discendenti
associati al tempo buono.
Corrente del golfo
La corrente del golfo è una corrente superficiale di acqua
calda che parte dal golfo del Messico e si dirige verso il nord
Atlantico, durante il suo percorso ad alta velocità perde
umidità per evaporazione diventando una vera e proprio
autostrada di acqua tiepida e salatissima. L’eccesso di salinità
dell’acqua la rende via via più densa e nel nord Atlantico le
masse superficiali cominciano a sprofondare verso gli abissi
innescando un moto perpetuo profondo che richiama altra
acqua calda superficiale dalle basse latitudini equatoriali
verso nord. Questo circolo continuo è responsabile del clima
mite delle nazioni europee più settentrionali e più occidentali.
A parità di latitudine, i gradi di scarto ad esempio, tra il mare
che circonda l’Inghilterra ed il mare che invece tocca le
sponde canadesi settentrionali, vanno dai 7 ai 10°C, notevoli
in termini di clima, come dire in inverno la differenza tra una
bufera di neve con -5°C e un rovescio di pioggia con +5°C.
Col passare degli anni, gli studiosi hanno notato che questa
corrente, si sta via via indebolendo e il suo cammino viene ad
interrompersi molti km prima, con la conseguenza che l’aria mite non arriva più a toccare le terre
più ad est.
L’interruzione quindi non favorirebbe più l’arrivo di masse d’acqua calda verso nord e le
temperature del nord Atlantico, del mare del Nord e persino della Manica, potrebbero diventare
pericolosamente simili a quelle del mare del Labrador favorendo inverni lunghi e rigidi in Europa.
Cut-off
La goccia fredda è una figura sinottica che solitamente si trova in medio-alta troposfera ed è
riconducibile al distacco, in seno ad una saccatura primaria, di un minimo di geopotenziale chiuso
(cut-off) che tende ad isolarsi dalla saccatura madre. Il
distaccamento solitamente avviene per l’inserimento di
una figura alto pressoria mentre, il moto retrogrado
avviene per merito dei venti o a causa di un blocco
della “goccia fredda”. Quando una goccia fredda si
forma nel periodo caldo generalmente, risulta essere
molto più produttiva in fatto di precipitazioni. Invece
durante il periodo freddo la previsione risulta essere più
difficile ed è importante determinare l’esatto
posizionamento dei minimi al suolo, in inverno inoltre
le gocce sono sempre meno produttive che nel periodo
caldo. Questa diversa produttività dei cut-off è
determinata dall’ammontare dell’energia in gioco: nella
stagione calda la potenza energetica è elevata e il contrasto dell’aria calda con quella fredda è molto
accentuato anche ad alta quota, provocando più facilmente i temporali, ecco perché in inverno le
“gocce fredde” sono meno produttive.
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La meteorologia e la sua terminologia
D
Dew point
Rappresenta il valore di temperatura al quale occorre raffreddare una massa di aria (a pressione
costante) per far condensare il vapore acqueo in essa contenuta. La temperatura di rugiada
diminuisce con l’umidità. Nelle giornate di favonio i valori di umidità sono molto bassi ed è
abbastanza usuale che, nel periodo invernale, i valori della temperatura di rugiada assumano valori
negativi. In una giornata con T +10°C e UR 20% la temperatura di rugiada è circa -12°C. Viceversa
nelle calde e afose giornate estive i valori della TD possono anche essere superiori a 20°C. In una
giornata con T +28°C e UR 65% la temperatura di rugiada è circa +21°C.
Spesso nelle zone sottovento a catene montuose, una rapida diminuzione della temperatura di
rugiada è indice della presenza di effetto favonico. Quando l’aria è satura di vapore acqueo
(UR=100%) il valore della temperatura di rugiada coincide con quello della temperatura.
L’aria può contenere solo quantità definite di vapore, che variano a seconda della temperatura: più
l’aria è calda, maggiore è la quantità di vapore che può essere immagazzinata. Quando l’aria non è
più in grado di ospitare altro vapore acqueo, si dice che ha raggiunto il punto di saturazione. La
temperatura alla quale il vapore acqueo inizia a condensare è nota come punto di rugiada. Se la
condensazione avviene vicino al suolo, le molecole d’acqua liquida tenderanno a raggrupparsi su
varie superfici, formando piccole goccioline: la rugiada. Quando la temperatura delle superfici è
inferiore al punto di congelamento, cioè il punto di rugiada è minore di 0°C, il vapore acqueo si
trasforma immediatamente in cristalli di ghiaccio.
Divergenza
Al contrario si avrà divergenza se l'aria che abbandona il volumetto di atmosfera è in quantità
superiore a quella che vi entra. Questo succede quando il flusso è diffluente, oppure quando il vento
aumenta di intensità nel verso del moto.
Convergenza e divergenza sono assai importanti in quanto legati ai moti verticali. Consideriamo
una zona vicino al suolo in cui vi sia convergenza. L'aria che giunge, non potendosi accumulare
indefinitamente e non
potendo muoversi verso il
basso (a causa della
presenza del suolo) inizierà
a salire. I moti ascendenti
arriveranno al più fino al
limite della troposfera, dove la tropopausa stabile rappresenta un limite invalicabile. Qui si avrà
divergenza orizzontale e l'aria si allontanerà dalla colonna di atmosfera considerata. Ma in questo
modo, tramite i moti ascendenti, si avrà un calo di pressione al suolo che a sua volta genera
convergenza, richiamando aria nei bassi strati. Lo stesso fenomeno si può vedere partendo da una
divergenza in quota, la quale, sempre per conservazione della massa, richiama aria dai bassi strati.
La risalita di aria produce un calo di pressione al suolo e conseguente convergenza. In questo modo
alla convergenza o divergenza a grande scala è associato un moto verticale ascendente responsabile
del maltempo. Si può fare il discorso inverso per moti verticali discendenti associati al tempo
buono.
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La meteorologia e la sua terminologia
E
El Niño
El Niño è un disturbo del sistema atmosferico oceanico del pacifico che, ha importanti ripercussioni
su tutta la Terra, esso può causare forti venti e piogge molto abbondanti che possono durare anche
per molte settimane con il conseguente rischio di alluvioni. L’effetto opposto al “El Niño” è “La
Niña” che genera esattamente effetti opposti, cioè freddo intenso ed in inverno nelle zone
interessate può nevicare anche per settimane.
In condizioni normali, i venti Alisei soffiano verso ovest lungo la fascia tropicale del Pacifico.
Questi venti accumulano uno strato di acque calde superficiali nel Pacifico orientale. In questo
modo la superficie del mare della regione indonesiana si solleva di mezzo metro rispetto a quella
che bagna le coste dell'Ecuador. Anche la temperatura superficiale è di circa 8 gradi centigradi più
alta rispetto a quella del Sud America: questo è dovuto alla risalita, nel Pacifico orientale, dei livelli
profondi di acque fredde.
Nei periodi caratterizzati da "El Niño", gli Alisei si indeboliscono nelle regioni centrali e
occidentali del Pacifico e, di conseguenza, il termoclino (lo strato di acque che sta al di sotto di
quello superficiale, nel quale la temperatura si abbassa più velocemente rispetto agli altri strati) del
Pacifico orientale si abbassano mentre si solleva quello occidentale. Le osservazioni al meridiano
110° Ovest mostrano, ad esempio, che durante il 1982-83 l'isoterma dei 17°C si ritirò a circa 150
metri di profondità. Questo fatto riduce l'efficienza della risalita delle correnti fredde e impedisce il
rifornimento della zona eufotica da parte di acque ricche di nutrimento provenienti dal termoclino.
Il risultato fu un aumento della temperatura superficiale e un drastico declino della produttività
primaria che colpì i livelli più alti della catena trofica, compresa la pesca commerciale in queste
regioni.
El Niño" può essere individuato attraverso le misure di temperatura superficiale.
Nel gennaio 1991, le temperature superficiali e i venti erano normali, con acque calde nel Pacifico
occidentale (in rosso nel grafico centrale superiore) e acque fredde, chiamate "lingua fredda" (cold
tongue) nel Pacifico orientale (in verde, nel grafico centrale superiore). I venti del Pacifico
occidentale sono molto deboli mentre quelli orientali soffiano verso occidente (verso l'Indonesia).
Il grafico inferiore riguardante il gennaio 1991 mostra le anomalie rispetto alle medie di gennaio. In
questo diagramma le anomalie sono molto piccole (giallo/verde) e indicano un gennaio "tipico".
Nel gennaio 1998 ci fu un picco delle condizioni El Niño. L'acqua calda (colore rosso nel pannello
in alto a destra) si è diffusa dal Pacifico occidentale verso Est (in direzione del Sud America)
mentre le "lingue fredde" (colore verde) si sono indebolite e i venti del Pacifico occidentale,
normalmente calmi, soffiano con forza in direzione Est, spingendo l'acqua calda vero oriente. Le
anomalie mostrano chiaramente che l'acqua del Pacifico equatoriale è molto più calda rispetto a un
normale gennaio.
Nel gennaio 1997 ci fu una condizione particolarmente fredda ("La Niña"). La lingua fredda (in blu)
è più fredda del solito di circa un grado centigrado. Talvolta (ma non sempre ) gli eventi
denominati La Niña seguono El Niño.
La Niña
Normalità
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El Niño
La meteorologia e la sua terminologia
Evapotraspirazione
L'evapotraspirazione è un parametro usato in agrometeorologia. Consiste nella quantità d'acqua
(riferita all'unità di tempo) che dal terreno passa nell'aria allo stato di vapore per effetto congiunto
della traspirazione, attraverso le piante, e dell'evaporazione, direttamente dal terreno. È spesso
indicata nei manuali con la sigla ET. Il concetto ingloba due processi nettamente differenti, in
quanto l'evaporazione esulerebbe a rigore dalla coltura, tuttavia non è possibile attualmente
scorporare i due fenomeni e trattarli distintamente in modo attendibile. D'altra parte ai fini pratici
interessa il consumo effettivo sia per evaporazione sia per traspirazione. L'unità di misura è il mm
(millimetro), inteso come altezza della massa d'acqua evaporata e traspirata, oppure il m3/ha (metro
cubo ad ettaro). Essendo un fenomeno climatico inverso a quello delle precipitazioni, per
convenzione si usa il millimetro in modo da rendere il parametro direttamente comparabile con le
precipitazioni. In ogni modo, tenuto conto che una massa liquida di 1 mm d'altezza che si estende su
una superficie di 1 ha occupa il volume di 10 m3, 1 mm di evapotraspirazione equivale ad un
consumo di 10 m3/ha.
Evapotraspirazione potenziale
L'evapotraspirazione potenziale, indicata con la sigla ETP o ETp, è un'astrazione, perfezionata nel
1955, che fa riferimento ad una condizione ambientale standard in cui non si considera l'incidenza
dei fattori agronomici, biologici, pedologici e di una parte dei fattori climatici. La finalità di questo
parametro è quella di rendere comparabili i valori di evapotraspirazione nello spazio e nel tempo.
Per questo motivo l'evapotraspirazione potenziale si riferisce al quantitativo massimo che può
essere perso nell'unità di tempo per evaporazione e traspirazione da un prato di graminacea.
Questo parametro climatico si usa a fini pratici o di studio per caratterizzare un determinato
ambiente fisico. Il valore dell'evapotraspirazione potenziale varia nel tempo e nello spazio, ma è del
tutto indipendente dalle colture e dalle tecniche attuate.
Evapotraspirazione effettiva
L'evapotraspirazione effettiva (ETE o ETe), detta anche evapotraspirazione reale (ETR o ETr), fa
riferimento ad un contesto reale, pertanto è definita come il quantitativo d'acqua persa nell'unità di
tempo per evaporazione e traspirazione da una coltura nelle reali condizioni.
Questo parametro climatico si usa ai fini pratici per calcolare il bilancio idrico di una coltura. Il
valore dell'evapotraspirazione effettiva varia in funzione del contesto (epoca, ubicazione, coltura
praticata, condizioni pedologiche e tecnica agronomica).
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La meteorologia e la sua terminologia
F
Figure bariche
Le principali figure bariche sono l'anticiclone russo, l'anticiclone delle azorre, il vortice
polare,l'anticiclone africano,depressione islandese. Queste figure bariche non mantengono sempre
la loro posizione iniziale ma, si spostano a seconda delle stagioni.
Per quando riguarda l'anticiclone russo, in estate non rimane sulla russia ma si sposta verso est
vicino l'asia facendo rimanere la russia scoperta mentre, in inverno si sposta verso ovest e staziona
in russia.
L'anticiclone delle azorre invece, in estate tende ad andare verso est quindi coprendo molte volte
anche la nostra penisola. Per quanto riguarda l'inverno invece, si comporta al contrario spostandosi
verso ovest coinvolgendo l'america.
Il vortice polare invece, in estate tende a stazionare a nord (polo) mentre in inverno tende a scendere
di latitudine quindi verso sud.
La lp islandese invece è fissa e rimane sempre sulla solita zona al cambiare delle stagioni (islanda).
L'anticiclone africano (o subtropicale) in estate si sposta verso nord coinvolgendo spesso anche
l'Italia mentre in inverno staziona a sud (africa).
Con la presenza del nino l'anticiclone sale ad altitudini molto maggiori con quindi precipitazioni
quasi del tutto assenti, con la presenza della nina al contrario l'anticiclone non riesce a salire e
quindi ci sarà spazio per molte depressioni.
Foehn
Quando una massa d’aria è costretta ad attraversare una catena montuosa, alcune grandezze possono
subire una variazione anche piuttosto repentina ed importante a causa di un effetto definito effetto
favonico o semplicemente favonio.
Le variazioni sulla massa d’aria in movimento
All’atto dell’attraversamento, la massa d’aria generalmente subisce delle modificazioni delle
seguenti grandezze:
 Diminuzione dell’umidità relativa e della temperatura di rugiada;
 Diminuzione dell’umidità specifica se sul lato sopravvento ci sono precipitazioni;
 Incremento della temperatura;
 Incremento della velocità del vento con possibilità di raffiche che possono anche essere
molto forti.
 Variazione della direzione del vento;
 Eventuali nuvole tendono a dissolversi.
Le variazioni nelle zone raggiunte dal favonio
Nelle zone raggiunte dal favonio si possono registrare delle variazioni repentine ed importanti di
alcune delle grandezze suddette, in relazione alle caratteristiche della massa d’aria preesistente. E’
molto frequente il caso in cui in seguito all’ingresso del favonio si verifichi una veloce e importante
diminuzione dell’umidità relativa e contestualmente un incremento della temperatura ed un
aumento della velocità del vento. Capita infatti che le situazioni favorevoli al favonio accadano nel
periodo invernale e che le masse d’aria preesistenti abbiano umidità relativa elevata e temperature
molto basse. E’ opportuno distinguere la situazione presente sui due versanti della catena montuosa.
Lato sopravvento
La massa d’aria è costretta a salire lungo il versante (sollevamento orografico) e di conseguenza si
raffredda per espansione adiabatica (raffreddamento di 1°C ogni 100 metri di dislivello). Il
raffreddamento adiabatico della particella d’aria ne provoca un incremento dell’umidità relativa. Se
la particella d’aria raggiunge la condizione di saturazione il vapore acqueo condensa formando le
nubi. Se la salita della particella prosegue, il raffreddamento risulta ora mitigato dalla liberazione
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La meteorologia e la sua terminologia
del calore latente di condensazione. Generalmente il raffreddamento della particella è compreso tra
0,3 - 0,7°C ogni 100 metri di dislivello. Se le condizioni sono favorevoli alla formazione di
precipitazioni buona parte del vapore acqueo viene perso lungo il versante.
Il vapore perso dalla massa d’aria sottoforma di precipitazioni non sarà più disponibile per la
successiva evaporazione lungo il lato sottovento, limitando quindi il raffreddamento lungo la
discesa sul lato sottovento.
E’ importante conoscere la quota alla quale ha inizio il sollevamento orografico della massa d’aria.
Se la sommità della catena montuosa è posta a quota superiore a quella di condensazione allora
potranno formarsi nubi ed eventualmente precipitazioni. Se invece tale quota è inferiore a quella di
condensazione non si formano nubi.
Lato sottovento
Raggiunta la sommità della catena montuosa l’aria tende a scendere lungo il lato sopravvento
riscaldandosi per compressione. L’entità del riscaldamento dipende dall’umidità relativa dell’aria
giunta alla sommità e dalla quantità di vapore acqueo perso lungo il versante sopravvento
sottoforma di precipitazioni. E’ importante sottolineare che il vapore acqueo perso sottoforma di
precipitazioni non è più disponibile nella fase di discesa. Ciò comporta una riduzione del contributo
del raffreddamento evaporativo e di conseguenza la temperatura dell’aria durante la discesa
incrementerà la sua temperatura in maniera più consistente. Se l’aria si trova in condizioni di
saturazione il riscaldamento sarà generalmente compreso tra 0,3 – 0,7°C ogni 100 metri di
dislivello. Il riscaldamento produce una diminuzione dell’umidità relativa e quindi l’evaporazione
delle nubi. L’aria tende quindi ad allontanarsi dalla condizione di saturazione ed il suo
riscaldamento è ora pari a 1°C ogni 100 metri di dislivello. Il cielo tende a divenire limpido.
Nel corso della discesa la velocità della massa d’aria tende ad aumentare ed in alcuni casi può
risultare rafficoso.
Aspetti fondamentali per la temperatura raggiunta sul lato sottovento
 La quota a cui inizia il sollevamento della massa d’aria dipende dalla stabilità della massa
d’aria presente nei bassi strati (tipica è la presenza di forti inversioni termiche nel periodo
invernale).
 L’umidità relativa della massa d’aria in arrivo. Maggiore è l’umidità relativa e prima verrà
raggiunto il LCL. Di conseguenza verrà limitato il raffreddamento della massa d’aria.
 L’umidità specifica della massa d’aria in arrivo. Maggiore è il contenuto di vapore acqueo,
minore sarà l’entità del raffreddamento della particella d’aria in salita.
 Temperatura della massa d’aria in arrivo.
 Possiamo distinguere tre casi particolari di effetto favonico.
1 - Situazione con sbarramento e favonio
E’ la situazioni che generalmente produce le variazioni più vistose delle condizioni del tempo. In
questi casi è frequente vento forte e rafficoso ed un notevole incremento delle temperature.
L’umidità relativa e la temperatura di rugiada subiscono vistose e repentine diminuzioni. In molti
casi l’umidità relativa scende sotto il 15%.
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La meteorologia e la sua terminologia
2 – Situazione di favonio senza sbarramento
Le correnti scorrono al di sopra di un’inversione termica e non raggiungono il livello di
condensazione. In tal caso non si forma il classico muro di nubi sul lato sopravvento e non sono
presenti precipitazioni. E’ abbastanza frequente in inverno.
3 - Sbarramento con favonio limitato alle zone sopra l’inversione termica
Sul lato sottovento il favonio scorre sopra l’inversione termica interessando principalmente le valli
e le zone pedemontane. Anche questa situazione è tipica del periodo invernale. Capita non di rado
che in Pianura Padana le temperature siano inferiori a quelle delle zone pedemontane.
Fronti
In meteorologia si dice fronte la superficie di contatto tra due masse d’aria aventi caratteristiche,
quali la temperatura, la pressione e l’umidità, differenti. I fronti sono associati ad ammassi nuvolosi
tipici per ciascun fronte e il loro passaggio è in genere preannunciato da un abbassamento della
pressione. Si distinguono quattro tipi differenti di fronti e sono distinti tra loro nelle carte
meteorologiche.
La classificazione dei fronti si basa sul loro movimento: si dice fronte caldo quello che delimita
l'invasione di una massa d'aria calda su zone già occupate da aria fredda in arretramento; viceversa,
il fronte freddo segna il confine dell'aria più fredda che avanza sostituendosi a quella più calda.
In prossimità di un fronte si può sempre osservare lo sviluppo di nuvolosità.
Nel caso di un fronte caldo l'aria che sopraggiunge, essendo più leggera, scorre sopra la massa d'aria
fredda che essendo invece più pesante, fa maggiore attrito sul terreno, e con la salita dell'aria si ha
la condensazione dell'umidità presente e la conseguente formazione di nubi, per lo più di tipo
stratificato. L'area interessata da precipitazioni, in genere costituite da piogge non forti ma continue,
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La meteorologia e la sua terminologia
si può estendere per 300-400 chilometri, l'arrivo di un fronte caldo è anticipato dalla presenza dei
cirri, le tipiche nubi a forma di filamento, che preannunciano il peggioramento, anche se il fronte è
ancora distante magari 800 o 1000 chilometri, dopo il passaggio di un fronte caldo, generalmente si
ha
aria
calda
ma
meno
umida.
Ad un fronte freddo sono invece spesso associate manifestazioni temporalesche, l'aria fredda che
avanza solleva in modo più rapido e violento l'aria calda; in questo caso la zona coinvolta è più
localizzata con la formazione di nubi cumuliformi, molto sviluppate in altezza, che danno origine ad
elevata turbolenza e talvolta a violente precipitazioni, come rovesci o addirittura grandine ma, i
fronti freddi passano velocemente, anche in poche ore, lasciando dopo il loro passaggio aria fredda
e asciutta. Si ha invece un fronte stazionario quando di due masse d’aria a contatto, nessuna delle
due riesce a sostituire l’altra e si ha pertanto una situazione di stallo con eventuali fenomeni
precipitativi che possono durare molti giorni finché, o il fronte si dissolve oppure si tramuta in un
fronte caldo o freddo definito. Si parla inoltre di fronte occluso quando un fronte caldo si oppone ad
uno freddo, di solito generando nel mezzo precipitazioni diffuse e persistenti anche se non violente.
In genere comunque il fronte freddo, in quando più veloce, riesce a prevalere scalzando quello
caldo.
Fulmini
Il fulmine è in assoluto il fenomeno più pericoloso prodotto da un temporale in quanto non è
preceduto da nessun segnale premonitore, salvo casi molto rari. Se ne deduce che per un osservatore
di fenomeni temporaleschi il rischio maggiore sia quello dei fulmini, mentre grandine e tornado
sono fenomeni assai più prevedibili da questo punto di vista.
I fulmini sono scariche elettriche derivanti da un accumulo di cariche elettriche di segno opposto
che si viene a creare al suolo e nel Cb, il quale sembra separi le cariche positive da quelle negative
concentrandole progressivamente in regioni diverse. Sembra che i cristalli di ghiaccio alla sommità
della nube siano caricati positivamente, mentre le gocce d'acqua alla base della nube sono caricate
negativamente. Sotto la base del temporale il suolo assume carica positiva e questa regione si
muove assieme al Cb, mentre il terreno esterno al perimetro del Cb mantiene carica negativa.
Si creano quindi differenze di potenziale e ciò produce un'attrazione reciproca delle cariche di
segno opposto: lo strato d'aria che le separa, sebbene sia un buon isolante, non riesce più a impedire
il contatto tra le cariche e avviene così un vero e proprio "corto circuito" che si realizza nel fulmine
(saetta). Le cariche negative si muovono verso quelle positive seguendo percorsi casuali a zig-zag
(scarica portante). Quando si incontrano nasce il fulmine, che è sostenuto da un ritorno di cariche
positive verso la nube (scarica di ritorno) che viaggia alla velocità di circa 96.000 km/s: noi
osserveremo solo un'unica scarica, in quanto gli occhi non riescono a distinguere le due scariche.
Tuttavia, il canale percorso dalla prima scarica può essere utilizzato da altri fulmini e se ciò avviene
si ha il tipico effetto intermittente. Il processo continuerà fino a quando tutte le cariche elettriche
della nube saranno state dissipate.
I tipi di fulmine dipendono dalla ripartizione delle cariche elettriche di segno opposto dentro e
attorno al cumulonembo. I fulmini nube-suolo sono più frequenti nell'area delle correnti
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La meteorologia e la sua terminologia
ascensionali e partono dalla base della nube, caricata negativamente, al suolo, caricato
positivamente. La superficie terrestre e gli oggetti sopra la
stessa conducono l'elettricità molto meglio dell'aria: perciò i
fulmini sfruttano il "potere delle punte" seguendo il percorso
più breve ed abbattendosi su montagne, campanili, antenne,
grandi alberi isolati (pioppi, querce e olmi in primis). Sono
visibili non oltre i 70 km. In casi piuttosto rari i fulmini nubesuolo non partono dalla base del cumulonembo, bensì dalla
sua sommità caricata positivamente e la regione di suolo
esterna al perimetro del temporale che è caricata
negativamente: questi sono i fulmini positivi che possono
raggiungere addirittura lunghezze di 40-50 km per quanto
riguarda la sola scarica principale (senza le ramificazioni) se
questa si abbatte molto distante dalla base del Cb.
Evidentemente sono casi più unici che rari: vengono chiamati fulmini a ciel sereno, anche se così
non è; comunque lunghezze di 20-30 km possono tranquillamente verificarsi.
Fulmine positivo che parte dalla sommità del Cb per raggiungere il suolo: notate il cambio di colore
dal bianco all'arancione per la polvere in prossimità del suolo sollevata dalle correnti di outflow; il
lampo inoltre mostra anche la struttura interna del temporale. I normali fulmini negativi (base della
nube-terra e nube-nube) sono più corti ed arrivano al massimo a 4-5 km: sono comunque la larga
maggioranza. I fulmini nube-nube o lampi si producono all'interno del Cb quando la scarica
elettrica passa tra la base della nube (caricata negativamente) e la sua sommità (caricata
positivamente). La zona della nube ove in genere si sviluppa il maggior numero di lampi è quella a
maggior concentrazione di gocce sopraffuse a contatto coi cristalli di ghiaccio per via del diverso
potenziale elettrico tra cristalli e gocce che collidono fra di loro. Queste scariche illuminano
dall'interno la struttura verticale del temporale, per cui la loro luminosità può essere utilizzata per
valutare la consistenza del temporale: per esempio, i lampi possono illuminare l'overshooting top, e
questo già ci deve mettere all'erta. Considerato che i lampi scoccano a quote più elevate rispetto ai
fulmini nube-suolo, essi sono visibili anche a più di 300 km di distanza se l'aria è limpida e la zona
è pianeggiante. Se invece c'è foschia sono visibili a 100-120 km: la foschia scherma il cielo e al più
si vedono lontani bagliori diffusi.
I fulmini nube-aria si verificano quando una scarica
elettrica si propaga tra un accumulo di cariche
negative o positive all'interno della nube e una zona
di cariche opposte nell'atmosfera circostante.
Solitamente sono fulmini molto più sottili, deboli e
corti dei precedenti e prevalgono di gran lunga alla
sommità della nube: perciò sono anch'essi visibili da
grande distanza.
Solo il 20% dei fulmini tocca terra, ma l'osservazione
dal vivo delle nubi non aiuta granchè l'osservatore
per prevedere le possibili zone colpite da fulmini. Assume comunque una certa importanza
l'individuazione delle rain curtain, ovvero dei rovesci. Infatti i fulmini nube-suolo si attenuano
temporaneamente finchè ci sono i rovesci, mentre risultano essere più pericolosi e frequenti subito
prima degli stessi rovesci poichè il canale di aria ionizzata su cui si indirizzano le scariche portanti
nella fase discendente trova maggior fluidità e penetrazione tanto più l'aria è calda relativamente
all'ambiente circostante.
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La meteorologia e la sua terminologia
G
Galaverna
Una crosta di spuntoni di ghiaccio che ricoprono ogni cosa, questa è la Galaverna (o Galaverna) uno
dei fenomeni meteorologici più spettacolari.
Perché si verifichi sono necessarie alcuni condizioni, primo: la temperatura deve essere sotto lo
zero, secondo: deve esserci almeno una bava di vento, terzo: deve esserci una nube o della nebbia
formata da una miriade di goccioline d’acqua allo stato sopraffuso (cioè liquide nonostante T sotto
0° C). L’acqua pura tende a restare alla stato liquido fino a T di circa -40° C se però, la goccia
d’acqua urta contro un ostacolo, quest’ultima congelerà a contatto con questo, è questo il motivo
per cui sugli aerei che attraversano banchi di nubi, tendono a formarsi dei depositi di ghiaccio. E’
questo il meccanismo della Galaverna. In genere i cristalli di Galaverna, si allungano da 1 a 3 cm
per giorno, se quindi ad esempio viene trovato un cristallo di 6 cm, sta a significare che le
condizioni per la costituzione della Galaverna, permarranno da almeno due giorni.
Geopotenziali
Si definisce il geopotenziale come il lavoro necessario per spostare verso l'alto una massa di aria
unitaria. Posto per convenzione che il geopotenziale sia nullo al livello del mare, esso ad una certa
altezza z altro non è che il lavoro, l'energia spesa per innalzare dal livello del mare fino a z una
massa unitaria di aria.
L'aria in quota si muove in senso antiorario intorno ad un minimo di geopotenziale e nel senso delle
lancette di un orologio intorno ad un suo massimo. Per avere una indicazione di come si muovono
le masse d'aria in quota bisogna guardare le carte riguardanti l'andamento del geopotenziale sulla
superficie a 500 Hpa.
Nelle carte meteorologiche dei geopotenziali sono presenti numerosi parametri che descrivono la
situazione meteorologica ma, quelli più importanti e quindi quelli presi in considerazione più spesso
per la formulazione di previsioni, sono solo tre:
- le isobare, sono le linee bianche
- le altezze geopotenziali, sono i colori
- le isoterme, sono i trattini in nero
Le isobare sono le linee che congiungono i luoghi avente la stessa pressione atmosferica al livello
del mare ed è espressa in mB (millibar) o Hpa (ectoPascal) ma sono entrambe misure equivalenti.
Da queste linee si possono trarre molte informazioni, tra cui la posizione dei vari centri di alta e
bassa pressione al suolo.
Le altezze geopotenziali sono espresse in metri (m) o in decametri (dam). L'altezza geopotenziale
esprime il lavoro fatto dalle forze gravitazionali per alzare una massa unitaria a tale altezza (che
nelle carte a 500 Hpa sarà appunto 500 Hpa cioè 5500 metri).
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La meteorologia e la sua terminologia
Esso indica a quale altezza si trova una determinata pressione in Hpa, in questo caso 500hPa sarà
presente una LP ad ovest dell’irlanda con pressione di 970 Hpa nel suo centro. La carta delle altezze
di geopotenziale a 500 Hpa serve per trovare come sono posizionate in quota le aree di alta
pressione e di bassa pressione. Un geopotenziale alto oltre ad indicare alta pressione, indica anche
una massa calda, mentre un geopotenziale basso viceversa, indica aria più fredda. Quando un
minimo in quota è particolarmente più freddo del circondario ed è "chiuso", è chiamato "goccia
fredda" che in estate è portatrice di temporali intensi.
Nelle isoterme, espresse in °C, a 500hPa, vengono indicati i punti in cui si registrano le stesse
temperature all' altezza di geopotenziale indicata (in questo caso 500hPa). Questo parametro serve
per vedere le avvezioni di aria più fredda a quote medio - alte che, sopratutto dalla primavera all'
autunno possono causare in diverse situazioni lo sviluppo di rovesci o temporali ma, anche di
grandinate e fenomeni più violenti come tornado o trombe d' aria.
Gragnola
E’ un tipo di precipitazione atmosferica solida costituita da pallini che hanno nucleo opaco di
cristalli di neve circondato da uno strato trasparente di ghiaccio. I pallini cadono di solito in
occasione di temporali e pioggia e rimbalzano al suolo quando cadono più lentamente. Con
dimensioni e densità superiori si parla correntemente di grandine. In contrasto con la grandine poi
pallini di gragnola cadono di solito in inverno o all’inizio della primavera con temperature poco
superiori a zero gradi.
Gradiente termico verticale
La variazione di temperatura all’aumentare della quota e quindi al diminuire della pressione
atmosferica, prende il nome di gradiente termico verticale ed è stimato mediamente in -0,65 gradi
ogni 100 metri di elevazione.
Grandine
La grandine, si forma solo nel cumulonembo ad incudine (Cb capillatus incus); all'interno di questa
nube temporalesca una gran quantità di acqua liquida si trova a temperature negative: si tratta di
goccioline sopraffuse (liquide pur in ambiente sottozero) poiché soltanto a -40°C il ghiacciamento
avviene in ogni caso. La grandine è un tipo di precipitazione atmosferica formata da tanti pezzi di
ghiaccio, generalmente sferici, che cadono dalle nubi cumuliformi più imponenti, i cumulonembi.
La grandine si forma in questo modo: se le correnti in un cumulonembo sono abbastanza forti, un
pezzo di ghiaccio viene trasportato in su e in giù nella nube, dove si fonde con altri pezzi di
ghiaccio e gocce d'acqua, per poi ricongelarsi nuovamente e diventare sempre più grande. Quando i
venti non riescono più a sollevare e trattenere questi pezzi di ghiaccio, perché troppo pesanti, essi
cadono a terra alla velocità di proiettili e, causa di questa elevata velocità, non riescono a sciogliersi
prima di essere arrivati al suolo, causando spesso notevoli danni ai raccolti e alle automobili. La
grandine si forma solo nel cumulonembo ad incudine (Cb capillatus incus); all'interno di questa
nube temporalesca una gran quantità di acqua liquida si trova a temperature negative: si tratta di
goccioline sopraffuse (liquide pur in ambiente sottozero) poichè soltanto a -40°C il ghiacciamento
avviene in ogni caso. Inoltre in natura esistono particelle come il sale marino o il pulviscolo
atmosferico in grado di nucleare cristalli di ghiaccio e che trasportati verso l'alto dai forti updrafts
vanno a costituire la parte superiore della nube: questi sono gli embrioni sui quali si svilupperà il
chicco di grandine. Nel Cb coesistono quindi cristalli di ghiaccio (parte alta) e goccioline
sopraffuse, che sono più abbondanti nella zona intermedia: la concentrazione di vapor d'acqua in
equilibrio con le goccioline sopraffuse è maggiore di quella in equilibrio con i cristalli di ghiaccio,
per cui le molecole del vapor d'acqua si depositeranno sul cristallo di ghiaccio mediante
sublimazione, mentre le goccioline presenti evaporeranno per cercare di ristabilire l'equilibrio: ciò
avviene nella parte alta della nube.
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La meteorologia e la sua terminologia
Una volta ingrossatosi il cristallo cade all'interno della nube più velocemente delle goccioline
sopraffuse e nel suo percorso discendente le catturerà provocandone l'istantaneo ghiacciamento al
contatto (meccanismo simile a quello della galaverna): per cui l'adesione di goccioline sopraffuse
sul chicco (o embrione) comincerà solamente quando questo scende nella parte intermedia della
nube dove la concentrazione di goccioline è massima. A questo punto un nuovo meccanismo entra a
far parte della fase di crescita: quando le goccioline sopraffuse si attaccano al cristallo cedono ad
esso una parte del calore latente di solidificazione; infatti nel passaggio da acqua a ghiaccio si libera
calore. L'embrione perciò si riscalda e può arrivare a temperature prossima a 0°C, mentre
nell'ambiente circostante essa è fortemente negativa (-15°C/-20°C); questa è la crescita secca.
Poichè ora l'embrione di ghiaccio ha temperatura prossima a 0°C, le goccioline sopraffuse
ghiacciano parzialmente e una certa quantità d'acqua viene reimmessa nell'ambiente: è la crescita
bagnata. Le fortissime correnti ascendenti (updraft) e discendenti (downdraft) proprie del Cb fanno
sì che l'embrione compia molte salite e discese all'interno della nube: tale fenomeno assume
particolare rilevanza nel caso in cui il temporale assuma una struttura ad asse obliquo per la
presenza di forti venti in quota, magari associati ad una corrente a getto o a situazioni frontali.
Cumulonembi ad asse obliquo che superino i 9-10.000 m di altezza sono una garanzia di forti
grandinate, anche se grandine di piccole-medie dimensioni può cadere anche da Cb ad asse verticale
purchè salgano a quote interessanti. I piccoli chicchi di grandine che si sono formati nella parte
medio - alta della nube verranno trasportati molto avanti dai forti venti andando ad accumularsi
nella parte anteriore del sistema; una volta che essi saranno divenuti sufficientemente pesanti
cominceranno per gravità a scendere verso il basso, ma così facendo entreranno nella zona in cui le
correnti ascendenti sono molto forti. Infatti nella normale cella temporalesca (non supercella)
abbiamo la corrente ascensionale davanti ad essa rispetto alla propria traiettoria con aria calda
(updraft) che risale verso l'interno della cella stessa, mentre la corrente discendente (downdraft) è
nella parte centrale e posteriore della cella, associata alle intense precipitazioni. Ebbene i chicchi
saranno riportati dalla corrente ascendente verso la parte medio - alta della nube e, spinti
nuovamente avanti dalle forti correnti in quota, cominceranno a ricadere venendo ripresi dalla
corrente ascensionale e così via. Se le condizioni favorevoli sussistono (cella ad asse obliquo con
intensi moti verticali indotti dal notevole gradiente di flusso verticale, gradiente termico verticale
accentuato nonchè windshear positivo) i chicchi possono compiere diversi cicli come quello prima
descritto, ingrossandosi a più riprese per la cattura di goccioline sopraffuse. Questi processi
evolutivi determinano una struttura sezionale a "cipolla" a strati con ghiaccio opaco (bianco, anche
perchè vengono conglobate molecole d'aria nella rapida solidificazione) in crescita secca e ghiaccio
trasparente in crescita bagnata (perchè il ghiacciamento è più lento a causa del calore latente, quindi
la gocciolina permane liquida per qualche tempo): ogni strato rappresenta un nuovo viaggio verso la
parte alta della nube. Generalmente (ma non è una regola) più bassa è la temperatura dell'aria alle
varie quote più il chicco è bianco e non lucido, come invece avviene quando le temperature sono
più elevate (soprattutto alle quote medie): questo dipende dal fatto che il chicco in fase di
accrescimento viene rifornito maggiormente di cristalli di ghiaccio (che, come detto, lo rendono
bianco ed opaco) quando l'aria è più fredda, mentre in condizioni di temperature maggiori prevale
l'accrescimento causato da acqua sopraffusa che lo rende lucido e trasparente. La permanenza dei
chicchi in seno al Cb varia da 30 a 45 minuti (e anche più) e gli updrafts possono superare
abbondantemente i 100 km/h: in tal caso saranno possibili chicchi aventi un diametro superiore a 56 cm. Naturalmente più intense saranno le correnti ascendenti maggiori saranno le dimensioni che i
chicchi potranno raggiungere: l'intensità degli updrafts può essere desunta dalla quota che
raggiunge la sommità della nube temporalesca. Cumulonembi che raggiungono la tropopausa sono
potenzialmente molto pericolosi: occhio alle overshooting top! Chicchi dotati di lobi o punte
indicano forti updrafts contenenti molte goccioline sopraffuse: esse, a causa dell'elevata velocità di
ascesa, non fanno in tempo ad unirsi per formare gocce più grosse e quindi si depositeranno sui
lobi, ingrandendoli.
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La meteorologia e la sua terminologia
L'unico fattore che può interrompere il processo di "sali-scendi" è determinato dal fatto che i
chicchi di grandine divengano talmente pesanti da non poter essere più riportati in alta quota dalla
corrente ascensionale, con inevitabile caduta al suolo. I chicchi in caduta vengono radunati e si
organizzano lungo fasce che seguono i massimi di intensità dei downdrafts che accompagnano la
precipitazione. Siccome l'intensità dei downdrafts non è regolare ma pulsante (raffiche), la maggior
quantità di chicchi seguirà le più intense raffiche di vento, colpendo fasce relativamente ristrette ed
irregolarmente distribuite. Accade la stessa cosa per la pioggia: durante i temporali si hanno diversi
apporti pluviometrici in aree anche vicinissime tra di loro. Poichè correnti ascendenti fortissime
presuppongono correnti discendenti altrettanto forti nell'area delle precipitazioni (dinamica +
gravità), l'insorgere di violente raffiche di vento all'arrivo del temporale (outflow) è di cattivo
auspicio ed è probabile il verificarsi della grandine, specie nella prima fase delle precipitazioni
perchè i chicchi sono più pesanti e cadono per primi. Invece la comparsa di grandine nella parte
posteriore del temporale è dovuta al fatto che mentre esso transitava sopra di noi non era ancora
nello stadio di massima intensità, che verrà raggiunto poco dopo: tuttavia i downdrafts che lo
caratterizzano, divergendo nei bassi strati, possono portare raffiche di grandine anche dove il corpo
principale della cella è già transitato, e cioè nella parte posteriore. Oppure può essersi formata una
nuova e molto intensa giovane cella nelle immediate adiacenze della principale con caduta di
grandine. La direzione del vento al suolo ci dirà quale delle due eventualità si è prospettata: se il
vento proverrà da direzione opposta rispetto al moto del temporale (outflow della cella ormai
matura) ci troveremo di fronte ad intensificazione della cella appena passata; se invece il vento
proviene all'incirca dalla stessa direzione di moto della cella transitata (inflow della nuova cella)
allora con ogni probabilità si sarà formata una nuova ed intensa cella. In ultima analisi, la comparsa
di torri cumuliformi sulla parte posteriore del temporale indica chiaramente la tendenza a
"figliazione" di nuove celle dietro allo stesso per sollevamento di aria più calda determinata dai
downdrafts in discesa dalla nube che dilagano verso l'esterno (outflow-gust front). La figliazione di
nuove celle può produrre sistemi praticamente "attaccati" alla cella principale, dando l'impressione
di rinvigorimento del temporale stesso; del resto col termine "temporale" non si indica
necessariamente un Cb solo ma anche la presenza di sistemi multicellari su una determinata area
geografica.
Grandine notturna
La grandine è certamente più rara di notte, sebbene sia più esatto dire che lo è nella seconda parte
della notte, verso l'alba e le prime ore del mattino. Una ricerca che ho compiuto nella bassa pianura
ravennate dal 1970 ad oggi ha dimostrato che la fascia oraria meno a rischio è quella che va dalle
04,00 alle 8,00, mentre le più a rischio sono quella dalle 16,00 alle 19,00 con un secondo picco
dalle 22,00 alle 00,00. Alla base di tutto ciò vi è certamente il fatto che nella fascia oraria 04,0008,00 si hanno normalmente i più bassi valori termici giornalieri che ovviamente si traducono in un
minore gradiente termico verticale. Nella prima parte della notte però le temperature possono essere
ancora alquanto alte con tassi igrometrici generalmente elevati: in tal caso la formazione di celle
grandinigene può avvenire tranquillamente, specie se ad innesco frontale. Inoltre mentre nel
pomeriggio i temporali grandinigeni provengono generalmente dai quadranti occidentali o
nordoccidentali, di notte hanno di solito provenienza nordorientale (fronti freddi o dry-lines che
interessando i Balcani "strisciano" sull'Adriatico). I temporali che di notte si formano in mare sono
spesso grandinigeni: alte percentuali di sale marino che costituiscono la massa d'aria in ascesa sono
ottimi nucleatori di embrioni di grandine e se le correnti guida sono nordorientali tali celle possono
interessare l'entroterra con eventi talvolta molto vistosi. Quindi si è più al sicuro nella seconda parte
della notte ed intorno all'alba; molto meno nella prima parte.
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La meteorologia e la sua terminologia
Gust front
Il gust front consiste in aria fredda che scende dalle nuvole temporalesche, tocca terra si apre a
ventaglio e si dirige in preferenza nella direzione di spostamento dei temporali e delle nuvole
associate ad essi, creando un fronte di avanzamento che precede i temporali. Il gust front (in pratica
un ammasso di aria fredda) è una delle cause della diminuzione delle temperature subito prima
dell’arrivo di un temporale.
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La meteorologia e la sua terminologia
I
Indice di calore
L’Indice di Calore, “Heat Index” (HI) o “Apparent Temperature” (AT), è un indice, calcolato in
gradi Fahrenheit (°F), che permette di stimare il disagio fisiologico dovuto alla esposizione a
condizioni meteorologiche caratterizzate da alte temperature ed elevati livelli igroscopici dell’aria.
Siccome per poter applicare la formula è richiesta la temperatura in °F, è necessario trasformare i
valori della temperatura da °C in °F.
L’Indice di Calore viene impiegato abitualmente negli Stati Uniti d’America, dal National Weather
Service della NOAA (National Oceanic and Atmospheric Administration), per valutare il disagio
termico durante l’estate, periodo in cui il calore e la radiazione solare rappresentano un serio
problema nazionale.
Quando l’Indice di Calore supera per almeno due giorni consecutivi i 105°F – 110°F (41°C –
43°C), il Servizio Meteorologico Nazionale avvia una procedura di allerta per la popolazione
americana.
Categoria
Indice di calore (HI)
Cautela
80°F (27°C)  HI < 89°F
(32°C)
Estrema cautela
Pericolo
Elevato pericolo
Possibili disturbi da
calore per persone
Possibile stanchezza in
seguito a prolungata
esposizione al sole e/o
attività fisica
Possibile
colpo di sole,
90°F (32°C)  HI < 104°F
crampi da calore con
(40°C)
prolungata esposizione e/o
attività fisica
Probabile colpo di sole,
105°F (41°C)  HI < 129°F
crampi da calore o
(54°C)
spossatezza, possibile
colpo di calore con
prolungata esposizione al
sole e/o attività fisica
Elevata probabilità di colpo
HI  130°F (54°C)
di calore o colpo di sole in
seguito a continua
esposizione
La sgradevole sensazione di afa è causata dalla presenza simultanea di valori elevati di temperatura
ed umidità dell’aria. Infatti in tali condizioni il corpo ha difficoltà a refrigerasi, nonostante la
sudorazione e la vasodilatazione. Se l’afa è intensa il corpo rischia di perdere, per sudorazione,
quasi tutto il contenuto in acqua dei tessuti, ossia si disidrata, cosicché la temperatura corporea, non
più controllata dalla sudorazione, inizia a salire fino a superare, talvolta, i 42 ° C, limite oltre il
quale avviene il decesso per colpo di calore.
la temperatura apparente (o indice di calore), la quale indica la temperatura effettiva da noi
avvertita in presenza di afa . Si rischia il colpo di calore quando tale indice supera 42° C. Ad
esempio, se il termometro segna 32° C e l’igrometro misura un’umidità del 60% , la temperatura
apparente è 36°C. Invece con una temperatura di 38° C ma un’umidità relativa appena del 10% si
avverte una temperatura di 33° C.
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La meteorologia e la sua terminologia
Interpretare le mappe
Per quanto riguarda le carte di pressione al suolo, su di esse sono tracciate le linee di uguale
pressione (isobare) che permettono di distinguere aree di basse pressione e aree di alta pressione.
Ad ogni isobara è associato il corrispondente valore di pressione espresso in Hpa. Inoltre può essere
stimata la direzione del vento al suolo, il quale non scorre esattamente lungo le isobare ma, a causa
dell’attrito, le interseca con un angolo di 30°. Attorno ai sistemi di bassa pressione il vento tende a
deviare verso il centro producendo convergenza favorendo così la condensazione e la formazione di
nubi e pioggia. Al contrario, attorno ad un anticiclone il vento tende ad allontanarsi dal centro,
quindi a divergere, generando moti che inibiscono la condensazione e quindi la formazione di nubi.
In alcune carte vengono inoltre individuati i fronti; quello freddo segue sempre quello calda e
viaggia più velocemente di quest’ultimo, con il trascorrere del tempo quindi, il fronte freddo
raggiungerà quello caldo dando origine al fenomeno di occlusione. I due fronti si uniscono per
originare il fronte occluso, con l’occlusione il sistema depressionario raggiunge la sua massima
intensità.
Talvolta nella carta di pressione al suolo sono tracciate anche le isoallobare ovvero le linee che
indicano la tendenza barometrica per le prossime ore. Guardando inoltre temperatura. Umidità e
venti vicino al suolo, si possono individuare sia le avvezioni termiche che di umidità, unitamente
alle zone di convergenza e di divergenza.
Parlando invece di carte a 850 Hpa (1500 metri circa), esse mostrano solitamente la temperatura e
l’altezza di geopotenziale e le isoipse cioè le linee che uniscono i punti con uguale altezza di
geopotenziale, il cui valore corrisponde alla quota, espressa in metri o decametri, alla quale la
pressione vale 850 Hpa.
Vengono spesso indicati numerosi centri di alta e bassa pressione ma, solo alcuni sono veramente
importanti per determinare la situazione barica complessiva, i più significativi quindi sono quelli
che hanno molte isoipse che li racchiudono, in quanto sono quelli più profondi ed intensi.
Anche l’umidità relativa può essere ritrovata sulle carte, essa permette di stimare la presenza di nubi
basse quando è prossima al valore di saturazione (100%).
Altro importante valore è la vorticità potenziale (Pv) che permette di evidenziare le aree cicloniche.
Anche la temperatura potenziale equivalente (Tetae), che è una combinazione di temperatura
dell’aria e contenuto di umidità, permette di individuare le aree cicloniche favorevoli alla
formazione di temporali intensi.
Una terza serie di mappe, sono le mappe a 700 Hpa nelle quali vengono solitamente mostrati i
campi di umidità e di velocità verticali, i quali si rilevano indispensabili per valutare la presenza di
nubi medie e quindi di possibile tempo perturbato; sono le nubi che si formano a circa 3000 metri,
quelle principalmente in grado di produrre precipitazioni. Le velocità verticali vengono
convenzionalmente espresse in variazione di pressione nell’unità di tempo (Pa/h – mbar/h). Se
espresse in termini di pressione, valori positivi indicano moti discendenti e quindi poco probabile
formazione di nuvolosità, invece valori negativi indicano moti ascendenti ai quali è associato il
raffreddamento dell’aria con conseguente condensazione e formazioni di nubi.
Seguono poi le carte a 500 Hpa attorno ai 550 metri di altezza sul mare, all’incirca metà
troposfera, questa parte di atmosfera può considerarsi non influenzata dagli effetti del suolo. In linea
generale si può dire che le aree caratterizzate da nuclei di vorticità positiva corrispondono a zone di
maltempo e viceversa. Realmente, ciò che conta è l’avvezione di vorticità (la variazione verticale di
vorticità) che può essere ricavata sovrapponendo le isoipse al campo di vorticità, l’avvezione
avviene lungo le isoipse stesse. Dove la vorticità aumenta si ha avvezione positiva e quindi cattivo
tempo, viceversa per avvezioni negative di vorticità si tende a rafforzare la circolazione
anticiclonica.
Di frequente, ad una depressione al suolo corrisponde in quota una saccatura. Una depressione che
risulta ben visibile sial al suolo che a 500 Hpa, può essere considerata ben strutturata a tutti i livelli
e apporterà quindi un deciso peggioramento. Durante la fase più attiva, un sistema depressionario
tende ad avere un l’asse verticale inclinato verso nord-ovest, ovvero il minimo al suolo è più
Daniele Longo - 769922304
La meteorologia e la sua terminologia
avanzato del minimo in quota. Man mano che il sistema matura e perde di intensità i minimi
tendono ad allinearsi e il sistema si isola dalle correnti occidentali (cut-off) e pian piano si colma.
Nel caso di una goccia fredda in quota, può succedere che a 500 Hpa le isoipse mostrino una chiara
circolazione ciclonica chiusa, mentre alla superficie non ve ne sia traccia.
Esistono infine carte a 200 e 300 Hpa ossia al limite della tropopausa ad una quota di 9000-10000
metri. La tropopausa è caratterizzata dal massimo contrasto termico esistente tra aria delle regioni
polari e delle media latitudini. La linea che demarca il confine tra queste due masse d’aria è detta
fronte polare. Il contrasto termico genera una forte corrente, detta jet stream che corre in
corrispondenza del fronte polare. All’interno del jet stream il vento raggiunge velocità anche
superiori ai 200 km/h. Questa corrente a getto oscilla in direzione meridiana, e tali oscillazioni non
sono altro che le onde di Rossby. Il jet stream non è continuo ma è caratterizzato da ristrette zone di
massima intensità che prendono il nome di jet streak e permettono di individuare aree in cui i
processi di ciclogenesi sono favoriti. (un jet streak si considera particolarmente significativo
quando supera i 100 nodi ovvero i 160 km/h o 45 m/s.)
Nell’alta troposfera vengono anche mostrate le carte di vorticità potenziale; questa grandezza è in
pratica il rapporto tra vorticità assoluta e stabilità dell’aria, può essere considerata come la vorticità
assoluta.
Inversione termica
In condizioni normali, la temperatura dell’aria, diminuisce all’aumentare della quota, in pratica la
temperatura dell’aria è strettamente legata a quella del suolo: a contatto con quest’ultimo l’aria si
riscalda e alleggerendosi tende a salire di quota. Durante questa fase ascensionale la stessa massa
d’aria si espande in quanto all’aumentare della quota diminuisce la pressione, ed espandendosi
quindi la temperatura tende a diminuire.
In realtà può capitare che la temperatura dell’aria aumenti con l’aumentare della quota: è il caso
delle inversioni termiche. Si possono verificare delle inversioni termiche al suolo ma anche in
quota. Le inversioni termiche al suolo si hanno durante l’inverno: se ad esempio il terreno è coperto
di neve che impedisce al sole di scaldare il terreno, l’aria a contatto con il terreno si raffredda
rapidamente raggiungendo temperatura inferiori rispetto agli strati sovrastanti e si ha così la
formazione delle nebbie. Nelle inversioni termiche in quota si verifica invece lo scorrimento di aria
calda al di sopra di uno strato freddo. L’aria fredda ha la possibilità di salire sino a quanto incontra
lo strato di aria calda: non avendo più possibilità di espandersi verticalmente, si assiste ad una
espansione orizzontale e questo fenomeno è riconoscibile con la formazione di nubi a forma di
incudine che danno origine ai temporali.
Consiste nel fatto che in quota la temperatura è più alta che a quote più basse, questo fenomeno non
è impossibile ma è molto probabile soprattutto in inverno, mentre durante le altre stagione di solito
è più freddo in quota che al suolo. Si verifica soprattutto d'inverno, se al suolo ci sono 0°c non serve
vedere la temperatura in quota perchè sarebbe alta, l’inversione termica non si verifica sempre
Se il fenomeno si verifica e per esempio al suolo si hanno 0°c, qui la neve potrebbe cadere,
avverrebbe lo stesso processo che avviene quando fa freddo in quota però inversamente, questo è
un fenomeno raro però può accadere, raro perchè di solito quando c'è un inversione termica il cielo
è sereno.
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La meteorologia e la sua terminologia
J
Jet stream
Le correnti a getto furono notate per la prima volta dagli scienziati atmosferici nel diciannovesimo
secolo usando aquiloni e più tardi palloni atmosferici, ma prima dell'aviazione di massa i così detti
"venti alti" (o forti westerlies) erano di scarso interesse, e molti osservatori pensavano che le
osservazioni individuali fossero semplici e inutili occorrenze.
E’ una corrente (oltre i 5000 metri) che spinge tutte le perturbazioni in una certa direzione, questa
corrente può coincidere con quella del golfo.
Ci sono due principali correnti a getto alle latitudini polari, ciascuna in tutti e due gli emisferi, e due
minori correnti subtropicali più vicine all'equatore. Nell'emisfero boreale le correnti caratterizzano
principalmente le latitudini comprese fra i 30°N e i 70°N in quanto alle correnti polari e le latitudini
fra i 20°N e i 50°N in quanto alle correnti subtropicali. C'è anche il jet stream equatoriale di oriente
che è presente durante l'estate dell'emisfero nord tra i 10°N e i 20°N.
La velocità del vento varia con la temperatura gradiente, in media 55 km/h o 35 mph in estate e 120
km/h o 75 mph in inverno, sebbene siano conosciute velocità superiori ai 400Km/h o 250 mph.
Tecnicamente la velocità del vento deve essere più alta di 90km/h o 55 mph per essere chiamata jet
stream.
Al jet stream e' associato il fenomeno conosciuto come turbolenza di aria limpida (CAT), che e' il
risultato di turbolenze di grandi masse d'aria, causate dal windshear verticale e orizzontale connesso
al jet stream. Il CAT è più forte sul lato freddo del flusso, di solito vicino o appena sotto l'asse del
flusso stesso.
I jet streams sono forti correnti d'aria con un profilo ondulato che spirano in alta quota
(generalmente intorno ai 30.000 piedi, cioè 9.000-10.000 metri, la quota di volo degli aerei di linea)
a velocità sino ai 400 Km orari. Normalmente però hanno una media di 100-150 Km/h ed una
direzione da Ovest verso Est.
Il flusso d'aria viene creato dall'incontro delle masse calde dell'equatore e quelle fredde dei poli e
direzionato più o meno regolarmente verso Est.
Le correnti a getto possono essere spiegate in questo modo: in generale, i venti più forti si trovano
appena sotto la tropopausa (a parte durante i tornado, gli uragani o altri avvenimenti eccezionali).
Se due masse d'aria di differenti temperature si incontrano la risultante differenza di pressione è più
alta a quelle altezze. Se una delle masse d'aria giace a nord dell'altra, il vento non fluirà direttamente
dall'area calda a quella fredda come ci si aspetterebbe, ma verrà deflesso dalla Forza di Coriolis e
fluirà lungo il confine delle due masse d'aria.
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La meteorologia e la sua terminologia
L
Lifted
Lifted (index) è un indice che misura la stabilità dell’aria nella troposfera, è espresso in gradi
centigradi (C°) ed è molto utile a prevedere temporali di forte intensità. L’indice è definito come la
differenze tra la temperatura a 500 Hpa, e la temperatura, sempre a 500 Hpa, raggiunta da una
particella d’aria che si è sollevata dal suolo. E’ molto simile all’indice CAPE.
Valori di LI
LI >2
0 < LI < 2
-2 < LI < 0
-4 < LI < -2
LI <-6
Caratteristiche del temporale
Assenza di temporali
Possibili temporali isolati
Temporali abbastanza probabili
Possibilità di temporali forti
Probabili forti temporali;
possibili trombe d'aria
Limite neve
La neve può arrivare fino in pianura solo in condizioni particolari che non sempre sono in grado di
realizzarsi contemporaneamente. E’ necessario innanzitutto un cuscino d’aria piuttosto fredda nei
bassi strati, senza che però alle quote superiori siano presenti inversioni termiche, altrimenti, anche
se al suolo la temperatura rimanesse prossima o sotto lo zero, cadrebbe pioggia. Dunque per
nevicare è importante che faccia freddo anche in quota. Durante il passaggio di un fronte freddo la
neve può raggiungere la pianura anche con temperature che al suolo sfiorano i 4°C. Se la
precipitazione è intensa infatti la fusione dei fiocchi sottrae calore all’ambiente e la neve può
guadagnare metri verso il fondovalle. In genere il fiocco diventa pioggia 400 – 500 metri al di sotto
della quota dello zero termico. Ma la casistica è lunga complessa e molto variabile: si può avere
neve fino in pianura se lo zero termico è collocato intorno ai 700 metri, e la temperatura al suolo
non superi i 3°C, ma si può avere pioggia o nevischio in caso di omotermia tra i 1000 m e la
pianura. In altre parole se a 1000 m c’è 1°C e per tutta la colonna d’aria verticale fino al piano c’è la
stessa temperatura o leggermente più basse, il fiocco si conserverà un po’ bagnato fino alle zone
pianeggianti. In città può accadere di tutto: neve nelle zone più fredde e pioggia nel centro, oppure
nevischio in un quartiere centrale dove sono presenti residue sacche fredde alle varie quote e
pioggia nelle zone periferiche a temperature inferiori perché in quota sta affluendo aria calda. Uno
strato d’aria fredda immobile dello spessore di 1500 mt incassato nelle montagne può creare
variazione spettacolari da un versante all’altro. Le nevicate da fronte freddo, magari di tipo
temporalesco primaverile, sono in grado di portare la neve a quote molto basse, abbattendo la
temperature di diversi gradi in pochi minuti. L’aria fredda dalle montagne scende rapidamente verso
il fondovalle sottoforma di bolle o impulsi. Interessante poi notare cosa si verifica nella fasi postfavoniche fredde. Il foehn, a torto non viene ancora considerato come vento portatore di neve.
Anche il favonio è invece in grado di preparare cuscini freddi.
Daniele Longo - 769922304
La meteorologia e la sua terminologia
M
Masse d’aria fredda
Le masse d’aria fredda si originano delle zone polari o sui continenti, ove si presentano come masse
ad equilibrio fortemente stabile e a temperatura bassa. Muovendosi verso le nostre latitudini, esse
entrano in contatto con regioni a temperatura più elevata, in tal modo le masse d’aria fredda si
riscaldano dal basso ed il loro equilibrio va alternandosi, diventando perciò masse instabili.
L’instabilizzazione comporta l’insorgere di moti convettivi i quali fanno si che il vento divenga a
raffiche; esse provocano inoltre, ove l’aria abbia acquistato una quantità di vapore sufficiente,
nuvolosità a notevole e forte sviluppo verticale, con precipitazioni di neve e di pioggia aventi
carattere di rovescio e spesso accompagnati da frequenti scariche elettriche.
Masse d’aria calda
Le masse d’aria calda si originano nelle regioni subtropicali e sui continenti caldi, ove si presentano
come masse stabili e a temperature elevate. Muovendosi verso le nostre latitudini, i loro strati
inferiori vengono a contatto con regioni a temperatura meno elevata, le masse quindi si raffreddano
dal basso ed il loro equilibrio diventa ancora più stabile. Mancano quindi i moti convettivi , di
conseguenza i venti spirano senza raffiche; la nuvolosità è prevalentemente stratificata e le
precipitazioni che possono derivarne sono leggere, continue e accompagnate da deboli piogge.
Modelli
Per la lettura e l’interpretazione delle carte
meteorologiche
(modelli
matematici),
l’elemento fondamentale da controllare è
l’orario di riferimento in quanto, le osservazioni
devono essere tempestive e sempre recenti.
Il prossimo passo consiste nell’individuare i
principali centri d’azione ovvero le zone di alta
e di bassa pressione, specie quelli prossimi
all’area geografica di maggiore interesse.
Nella carte in considerazione il maggiore centro
d’azione è il profondo minimo (963 Hpa)
centrato tra Islanda e Isole Britanniche.
Tra le figure bariche principali va incluso
obbligatoriamente l’anticiclone posto ad ovest
della Spagna in pieno atlantico e si tratta del
famoso anticiclone delle Azzorre che estende i
suoi effetti sull’Iberia e sull’Africa nordoccidentale.
Una volta riconosciute le principali figure
bariche presenti sulla cartina, può essere utile
approfondire
la
ricerca
su
“minori”
configurazioni bariche, nel nostro caso si tratta
di
una
depressione
sottovento che si sta
creando sul ligure.
A questo punto tocca
passare all’individuazione
dei fronti segnati sulla cartina coinvolgendo principalmente l’attenzione sui
sistemi prossimi all’area di maggiore interesse. Nel nostro caso possiamo
constatare un vasto sistema frontale centrato nella depressione al largo
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La meteorologia e la sua terminologia
dell’Inghilterra. Un fronte freddo intanto è alle porte dell’arco alpino mentre un fronte caldo tende
ad allontanarsi verso est. Un aspetto interessante del sopraggiungere di aria fredda è segnalato dalla
curvatura delle isobare in prossimità del fronte, infatti, subito dopo il passaggio del fronte la
pressione tende ad aumentare formando un promontorio mobile.
Successivamente si può fare una valutazione di massima sul verso di circolazione delle masse d’aria
e sulla loro intensità. Ricordando che nell’emisfero nord l’aria circola in senso orario intorno alle
Hp e in senso antiorario nelle Lp, si possono tracciare tramite frecce i movimenti delle masse d’aria
intorno ai rispettivi centri di pressione.
Monsoni
Quando si parla di monsoni si indicano i venti che soffiano dai continenti verso l’oceano nel
semestre freddo e viceversa in quello caldo: sono pertanto venti che cambiano stagionalmente la
loro direzione. In un clima monsonico, l’inversione stagionale del regime dei venti è causa di
cambiamenti profondi nelle temperature e nella quantità delle piogge.
I monsoni non sono comunque sinonimo di abbondanti precipitazioni, perché il “monsone umido”
che porta con se aria tiepida e umida di origine oceanica, è periodicamente sostituito dal “monsone
secco” che trascina al suo seguito aria fresca e secca di origine continentale. La variazione del
regime dei venti con la stagione è la caratteristica dominante del clima di tutta la fascia tropicale
che si estende dall’Africa verso levante fino a gran parte del Pacifico occidentale.
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La meteorologia e la sua terminologia
Il loro ciclo annuale può essere considerato come il risultato, da una parte, della variazione
stagionale dell’energia proveniente dal sole e, dall’altra, del diverso modo con cui le singole aree
del continente si riscaldano rispetto ai vicini oceani. Regioni differenti del globo infatti si riscaldano
o raffreddano in modi e tempi diversi, in base alla quantità di energia solare che ricevono e alla loro
capacità di immagazzinarla. E distese marine possono distribuire su uno strato di parecchie
centinaia di metri l’energia solare assorbita e pertanto immagazzinano il calore in maniera molto più
efficiente della terraferma, la quale invece si riscalda o raffredda molto più velocemente, a causa del
sottile strato interessato dagli scambi di calore con l’atmosfera. Per riequilibrare lo sbilancio
energetico la natura agisce in modo tale da trasferire calore dalle zone che hanno ricevuto più
energia solare a quelle che ne hanno ricevuta meno e, in quelle regioni in cui vengono a contatto
grandi distese marine e vasti continenti terrestri, ciò avviene attraverso il fenomeno dei monsoni. I
monsoni sono quindi delle fortissime brezze che scandiscono il ciclo estate-inverno nelle regioni di
confine tra grandi placche continentali e vaste distese oceaniche. Il meccanismo dei monsoni è
inoltre esaltato anche dall’opposto rincorrersi delle stagioni nei due emisferi. L’orbita della Terra
attorno al Sole crea, infatti, anche uno sbilancio energetico tra i due emisferi. L’emisfero che riceve
più direttamente la radiazione solare (in estate) acquista più energia di quanta non ne perda in uscita
verso lo spazio, e quindi si riscalda; viceversa l’emisfero che attraversa la sua stagione invernale
perde più energia di quanta ne riceva, e di conseguenza si raffredda. Questo scompenso viene in
parte colmato dalla circolazione generale e dalle correnti oceaniche che trasportano il calore dalle
regioni calde a quelle fredde. In particolare, i venti in quota trasportano il calore che sale
nell’emisfero che attraversa la stagione calda verso l’emisfero che è immerso nella stagione
invernale, mentre in prossimità della superficie il ciclo si chiude con il trasporto di aria
relativamente più fresca dall’emisfero “invernale” a quello “estivo”: è la spinta aggiuntiva che
rende i monsoni particolarmente intensi.
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La meteorologia e la sua terminologia
Durante la stagione monsonica però, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, non piove tutti i
giorni, ma ad ondate successive, intervallate da periodi di relativo bel tempo. L’aria umida portata
dai monsoni infatti, quando giunge sul continente, scaldata dal basso, sale nell’atmosfera dando vita
alle imponenti nubi che portano piogge torrenziali. Dove cadono le abbondanti piogge però il suolo
si raffredda e non è più in grado di riscaldare dal basso l’aria umida trascinata dai monsoni: accade
così che la regione più calda, dove le correnti ascensionali sono più forti e verso cui sono risucchiati
i monsoni, si sposti sempre più a nord. In compenso, man mano che i monsoni si spingono a nord,
anche l’area delle piogge si sposta sempre più verso l’entroterra cosicché le zone costiere grazie al
bel tempo tornano a scaldarsi, fino a dare inizio ad un nuovo ciclo. Il ciclo, che comprende il
periodo delle piogge torrenziali e le successive giornate di bel tempo necessarie a riscaldare
nuovamente il suolo, dura in media dalle due alle tre settimane. Nel complesso, invece, i venti
monsonici raggiungono la massima intensità verso la fine, e non nel mezzo dell’estate: l’oceano,
contrariamente ai continenti, raggiunge le maggiori temperature superficiali, e quindi anche la
massima evaporazione, tra agosto e settembre e non tra luglio ed agosto.
Movimenti verticali d’aria
Le masse d’aria si spostano prevalentemente lungo direzioni orizzontali a seguito delle variazioni
della pressione atmosferica. I movimenti più importanti sono però quelli che avvengono lungo
direzioni verticali; essi sono infatti responsabili della condensazione del vapore acqueo presente
nella massa d’aria (nel caso di moti ascendenti) oppure della sua evaporazione (nel caso di moti
discendenti). L’entità delle velocità verticali è piuttosto modesta e generalmente dell’ordine di
qualche cm/s. Tuttavia durante i fenomeni temporaleschi si possono raggiungere valori dell’ordina
della decina di metri al secondo.
I movimenti verticali dell’aria possono originarsi a seguito di cause di natura diversa:
1. movimenti indotti dalla presenza di una depressione (sollevamento ciclonico)
2. movimenti indotti dalla presenza di un fronte (sollevamento frontale)
3. movimenti indotti dalla presenza di un ostacolo orografico (sollevamento orografico)
4. movimenti di natura convettiva (moti convettivi)
1. Sollevamento ciclonico
In presenza di una depressione, a causa della divergenza in quota, si genera un movimento
verticale di aria la quale si sposta dagli strati inferiori dell’atmosfera verso quelli superiori.
Nel caso di un ciclone dinamico si possono distinguere le seguenti fasi:
 Divergenza in quota. Cause di natura dinamica (divergenza della corrente a getto nel ramo
ascendente di una saccatura) generano divergenza nell’alta troposfera (mediamente 300
hPa).
 2 – Diminuzione della pressione atmosferica nei bassi strati. Diminuisce la massa di aria
presente nella colonna d’aria e quindi la pressione atmosferica.
 3 – Convergenza di aria nei bassi strati. A seguito della diminuzione della pressione, si
instaura un moto orizzontale di aria che tende a provenire dalle zone adiacenti alla colonna
d’aria per colmare il gradiente barico (convergenza nei bassi strati).
 4 – Aumento della pressione atmosferica nei bassi strati. La convergenza di aria nei bassi
strati produce un aumento di pressione nello strato inferiore della colonna. Nei bassi strati
della colonna la pressione atmosferica si mantiene comunque inferiore a quella dell’aria
adiacente alla colonna.
 5 - Moto verticale ascendente. L’aumento di pressione nei bassi strati provoca un moto
verticale dell’aria verso l’alto (l’aria infatti non può muoversi lateralmente in quanto le zone
adiacenti hanno una pressione atmosferica superiore).
Nel caso di un ciclone termico si possono distinguere le seguenti fasi:
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La meteorologia e la sua terminologia




1 – Riscaldamento del suolo. Il suolo si riscalda a seguito del forte irraggiamento diurno e
trasmette parte del calore allo strato d’aria sovrastante.
2 – Diminuzione della pressione degli strati inferiori dell’atmosfera. Gli strati prossimi al
terreno si riscaldano, diventano più leggeri e tendono a salire verso l’alto.
3 – Convergenza di aria nei bassi strati. La diminuzione di pressione provoca un richiamo di
aria dalle zone circostanti, generando convergenza nei bassi strati della colonna d’aria.
4 – L’aria che converge provoca un aumento della pressione nella base della colonna.
L’aria presente negli strati inferiori viene quindi richiamata verso l’alto e si genera un movimento
verticale. Il sollevamento della massa d’aria provoca un raffreddamento a seguito dell’espansione
(salendo l’aria occuperà zone a minore pressione) adiabatica del fluido (raffreddamento di 1°C/100
m finchè UR<100%). Il raffreddamento comporta un aumento dell’umidità relativa (non di quella
specifica) e di conseguenza raggiunto il livello al quale la massa d’aria diviene satura (UR pari a
100% e temperatura di rugiada coincidente con la temperatura di bulbo secco e la temperatura di
bulbo umido), il vapore acqueo condensa dando luogo alla formazione delle nubi.
Il raffreddamento oltre tale livello viene in parte compensato dalla liberazione del calore latente di
condensazione. Pertanto la diminuzione della temperatura diviene inferiore a 1°C ogni 100 metri ed
assume valori che dipendono dal contenuto di vapore acqueo dell’aria. Generalmente è lecito
assumere un valore medio pari a 0,65°C ogni 100 metri; normalmente è compreso tra 0,7°C/100 m
e 0,5°C/100 m.
2 Sollevamento frontale
 Fronte caldo - Un fronte caldo tende a scorrere sopra l’aria fredda preesistente dando luogo
alla formazione di nubi estese a causa dei lenti moti ascendenti che si originano dal
sollevamento. Le precipitazioni che ne derivano sono estese e prolungate ma di intensità
debole o moderata. Le velocità verticali sono dell’ordine di qualche decina di centimetri al
secondo
 Fronte freddo - L’aria fredda che caratterizza il fronte tende a incunearsi sotto lo strato di
aria calda preesistente sollevandola bruscamente e provocando un consistente moto
ascendente. Le precipitazioni che ne derivano sono a prevalente carattere di rovescio e
spesso di originano temporali. Le velocità verticali sono dell’ordine di qualche metro al
secondo.
3 Sollevamento orografico
Le masse d’aria in presenza di ostacoli orografici sono costrette a superarli aggirandoli (laddove è
possibile) oppure scavalcandoli (caso frequente in presenza di catene montuose).
L’ascesa forzata provoca un’espansione della massa d’aria e quindi un raffreddamento di circa
1°C ogni 100 metri di dislivello.
Esistono due possibilità:
 L’aria non diventa satura.
Se, raggiunta la sommità della catena montuosa, l’aria non diventa satura non si formano
nubi ed essa discende dal versante sottovento riscaldandosi per compressione adiabatica di
1°C ogni 100 metri.
 L’aria raggiunge una quota alla quale diventa satura.
Se, durante l’ascesa, l’aria diventa satura si formano le nubi. La quota alla quale avviene la
condensazione prende il nome di livello di condensazione forzata (LCL, Lifting
Condensation Level).
Proseguendo nell’ascesa l’aria si raffredderà ulteriormente seguendo, però, un processo
adiabatico saturo (raffreddamento più contenuto). Si forma nuvolosità estesa lungo la catena
montuosa con base delle nubi posta a quota corrispondente al LCL, ed eventualmente
precipitazioni.
Tale situazione prende nome di sbarramento (o stau).
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La meteorologia e la sua terminologia
Sul versante sottovento si formano forti correnti discendenti che talvolta raggiungono la
pianura
con forti raffiche. Tale situazione prende il nome di favonio (o föhn).
Possiamo distinguere due casi in funzione della temperatura raggiunta dalla particella di
aria:
o La particella d’aria diventa più calda dell’ambiente circostante:
Essa tenderà a seguire spontaneamente il moto verticale ascensionale, anche se
viene meno la spinta orografica a causa del raggiungimento della sommità della
catena montuosa. Il livello al quale la particella diviene più leggera dell’ambiente
circostante prende il nome di livello di libera convezione (LFC, Level Free
Convection). Spesso la spinta orografica è in grado di vincere l’iniziale stabilità
dell’aria e provocare la formazione di temporali a ridosso delle catene montuose.
In tali condizioni si parla di instabilità latente o condizionale.
o 2.2) La particella rimane più fredda dell’ambiente circostante:
Essa non raggiunge il LFC ed una volta terminata la spinta orografica tenderà a
discendere sul
versante sottovento riscaldandosi per compressione adiabatica. Finchè rimane
satura subirà un riscaldamento adiabatico saturo, successivamente un
riscaldamento adiabatico secco.
La probabilità che una particella di aria raggiunga il LCL aumenta con
l’aumentare dell’umidità e della quota media della catena montuosa.
Valori tipici: circa 0,5 - 1 m/s. Il loro valore dipende dall’intensità del vento e
dall’inclinazione
dell’ostacolo orografico.
4 Moti convettivi
Alcune aree della superficie terrestre tendono a riscaldarsi maggiormente rispetto ad altre. L’aria a
contatto con queste zone più calde tende a diventare più calda dell’aria circostante. Invisibili bolle
di aria calda tendono a staccarsi dal terreno e salire spontaneamente espandendosi e raffreddandosi
durante l’ascesa. Il raffreddamento è adiabatico secco (1°C ogni 100 metri). Tali moti verticali
prendono nome di termiche. L’aria continua a salire finché la sua temperatura rimane superiore a
quella dell’ambiente circostante. Aria più fresca tende a scendere per colmare il vuoto lasciato
dall’aria calda. Si forma così una cella convettiva. Se il raffreddamento della particella è tale che
essa diventa satura, tendono a formarsi delle nubi cumuliformi. Il livello al quale avviene la
saturazione dell’aria è detto livello di condensazione. Oltre questo livello il raffreddamento è
adiabatico saturo (circa 0,6°C/100 m).
In alcuni casi la formazione dei cumuli gioca a sfavore dello sviluppo della termica in quanto le
nubi potrebbero impedire il soleggiamento delle aree e quindi bloccare il moto ascensionale. Il
cumulo in questo caso tende a scomparire per poi riformarsi non appena si ripristina la termica.
L’ascesa continua finché la temperatura della particella rimane superiore a quella dell’ambiente
circostante e può proseguire fino alla tropopausa formando imponenti nubi cumuliformi. La
tropopausa rappresenta un limite che difficilmente la particella di aria riesce a superare. Solo nel
caso di moti convettivi particolarmente intensi può accadere che l’aria riesca a oltrepassare la
tropopausa.
Valori tipici: 1-4 m/s ma anche di qualche decina di m/s nei temporali molto intensi.
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N
Nao
NAO: North Atlantic Oscillation, il “motore” della circolazione atmosferica fra il Nordatlantico e
l’Europa. Immaginabile come un’altalena che oscilla fra una fase positiva durante la quale alta
pressione subtropicale e bassa pressione polare sono molto intense e inducono correnti occidentali
dall’Atlantico verso l’Europa, con inverni prevalentemente miti e umidi, a carattere oceanico,
sull’Europa centro-settentrionale e miti, secchi e stabili su quella meridionale.
L’altro estremo è la fase negativa, caratterizzata al contrario da alta pressione subtropicale e bassa
pressione polare più deboli, con frequenti split del Vp e retrogressione di basse polari, in aggiunta a
ponti di alte pressioni a latitudini settentrionali e incursioni di basse pressioni sul Mediterraneo, con
inverni potenzialmente freddi, a carattere continentale sull’Europa centrale e instabili, umidi e
anche nevosi su quella meridionale. Cosa causa questa oscillazione? Difficile dirlo, forse incide la
fase del ciclo solare e la Qbo, qualche influenza la può avere anche la fase dell’ENSO, ma molti
recenti studi si sono concentrati sulle anomalie della temperatura superficiale delle acque (SSTAs)
del Nordatlantico come fattore innescante o che tende a far persistere (o forzare) il carattere della
Nao con lags di qualche mese.
Nebbia
E' formata da gocce di vapore acqueo che sono sospese nell'aria e, sono tanto grosse e numerose
riducendo la visibilità fino a meno di un chilometro (nebbia) nel caso in cui invece la visibilità
superi il km si parla di foschia. Solitamente si forma a causa del riscaldamento che c'è durante il
giorno e a causa della escursione termica tra le temperature diurne e notturne (nebbia per
irraggiamento).
Altra cause della formazione della nebbia sono la presenza di un'alta pressione insistente da giorni
(con cielo sereno o poco nuvoloso),presenza di vento ed elevata umidità dell'aria al suolo e aria
secca
a 200-300 mt. di altezza, inversioni termiche con base al suolo, o infine uno strato di isotermia a
200-300 mt.
La nebbia da irraggiamento può sparire anche nel giro di pochi istanti a causa del vento superiore ai
4 km/h; con vento inferiore ai 2 o 4 km orari.
Per il mantenimento della nebbia, lo strato più alto deve avere una temperatura di 10°; se la
temperatura invece non è 10° o il vento a 200-300 mt. supera i 10 / 12 km/h, allora la nebbia si
forma assumendo l'aspetto di banchi di nubi frastagliate ad altezza d'uomo.
Neve
La presenza di temperature negative all'interno delle nubi determina la costruzione del cristallo di
neve: esso prende origine dalla sublimazione delle goccioline di vapore acqueo attorno a minuscoli
nuclei di congelamento. Nell'atmosfera la temperatura ed il grado di umidità influenzano lo
sviluppo del cristallo secondo direttrici diverse: verso l'alto, sui lati oppure sugli angoli,
determinando la formazione di diverse tipologie di cristalli. Questi, turbinando nell'aria, possono
combinarsi tra loro formando i ben visibili fiocchi di neve. Difficilmente i cristalli arrivano indenni
al suolo: già durante la caduta la loro forma può essere assai modificata soprattutto per effetto del
vento. La loro vita al suolo è poi soggetta ad altre trasformazioni, dette metamorfismi, determinate
dalle variazioni della temperatura dell'aria che influenza il manto nevoso: Con temperatura dell'aria
prossima agli 0 °C mantiene temperature simili anche all'interno del manto favorendo
l'arrotondamento dei cristalli e l'assestamento della neve (metamorfismo distruttivo); con
temperature dell'aria fortemente negative si determina la formazione di strati più freddi all'interno
del manto in prossimità della superficie e strati con temperature prossime allo zero in profondità.
Questa differenza di temperatura della neve, in rapporto allo spessore del manto stesso, viene
definita gradiente. Quanto più esso è elevato, tanto più è favorita la costruzione di cristalli
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La meteorologia e la sua terminologia
sfaccettati, o a calice, negli strati basali ed intermedi (metamorfismo costruttivo), in superficie, con
questa temperatura abbiamo la cristallizzazione dell'umidità dell'aria e la formazione di brina. Il
raggiungimento di temperature di 0° C del manto nevoso, dovuto a radiazione solare, irraggiamento
geotermico, vento o altri fattori determina la fusione dei grani e dei cristalli di neve (metamorfismo
da fusione). Le precipitazioni nevose si sovrappongono cronologicamente le une alle altre formando
degli strati con caratteristiche fisiche e meccaniche.
Nubi
Le nubi sono un insieme di minutissime goccioline d'acqua (nubi
basse) o di minutissime particelle di ghiaccio (nubi alte) che
"galleggiano" nell'aria e si formano a causa della condensazione del
vapore acqueo. La condensazione è il passaggio del vapore dallo
stato gassoso allo stato liquido o solido, visibile quando la
temperatura dell'aria che lo contiene scende al di sotto del punto di
condensazione o punto di rugiada. Si ha il punto di rugiada quando
l'umidità relativa raggiunge il 100%, cioè quando l'aria ad una data
temperatura è satura. La quantità di vapore che può essere contenuta
in un certo volume d'aria è in relazione alla temperatura; l'aria è
satura quando possiede quella massima quantità di vapore che può
contenere ad una data temperatura, cioè quando la sua umidità
relativa è pari al 100%. Se in un volume di aria satura aumentiamo il
vapore o diminuiamo la temperatura, il vapore si condensa. In realtà,
affinché una nube si formi non è sufficiente che la temperatura si
abbassi oltre il punto di saturazione. L'atmosfera può contenere una
quantità di vapore maggiore di quella necessaria a saturarla alla
temperatura del momento, senza che avvenga la condensazione. In
questo caso l'aria è detta sovrassatura. Oltre ai gas e al vapore
acqueo, nell'aria sono presenti particelle solide chiamate pulviscolo
atmosferico: si tratta di sali minerali, sostanze chimiche, impurità
varie trasportate dal vento; alcune di esse fanno da supporto per la
condensazione del vapore acqueo e per tale motivo è stato dato loro
il nome di nuclei di condensazione. Le nubi più spettacolari sono i
Cumuli, originati dalla rapida ascesa dell'aria. Se piccoli, la loro vita
sarà di 10-15 minuti, mentre se grandi avranno una vita di circa 30
minuti. Le nubi stratiformi basse o medie hanno vita più lunga,
potendo rimanere nel cielo intere giornate. Infatti, nella porzione
dell'atmosfera occupata da nubi stratiformi, l'aria è stabile, cioè non
ha tendenza a salire o a scendere, per cui la nube si trova in
posizione di relativa quiete o, come si dice in meteorologia, in
equilibrio stabile.
LE SETTE CAUSE DELLA FORMAZIONE DELLE NUBI
1) Nelle notti serene, il suolo perde una parte del calore fornitogli dal
Sole, questa perdita di calore, non compensata adeguatamente dalla
successiva radiazione solare, fa sì che il suolo si raffreddi sempre di
più; a contatto con il suolo freddo, l'aria - se è molto umida - può
raffreddarsi al di sotto del punto di rugiada e dare origine a nubi
basse stratiformi o a nebbie.
2) A contatto con una superficie calda che può essere una zona
brulla e assolata, l'aria si riscalda anch'essa, si dilata, diventa più
leggera e s'innalza. La dilatazione abbassa la temperatura e più l'aria
si alza, più si raffredda. Questa perdita di calore detta
raffreddamento adiabatico, che è di circa 1°c ogni 100 metri di
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La meteorologia e la sua terminologia
altitudine, è la causa principale della formazione di nubi cumuliformi.
3) Le nubi si possono anche formare per il raffreddamento progressivo di venti caldi e umidi da s/e
o s/o. Si avranno in questo caso nubi stratiformi.
4) L'aria che sovrasta una data regione può essere costretta, da aria più fredda che vi si incunea
sotto, ad innalzarsi violentemente. Elevandosi, l'aria subisce il raffreddamento adiabatico e si avrà
di conseguenza la formazione di nubi cumuliformi.
5) L'aria calda può anche spostarsi per scorrimento su un piano inclinato costituito da aria più
fredda. Con la quota subisce il raffreddamento adiabatico e, se la temperatura dell'aria scende al di
sotto del suo punto di condensazione (punto di rugiada), si avranno nubi stratificate.
6) Quando il vento investe una catena montuosa e l'aria è costretta a innalzarsi lungo un pendio,
essa si raffredda; se si raffredda al di sotto del punto di condensazione, si avranno nubi orografiche
e, se il fenomeno è rilevante, anche piogge forti e persistenti nel lato sopravvento della montagna.
7) Anche la pioggia e la neve provenienti da nubi alte, attraversando uno strato relativamente caldo
lo raffreddano. Se il raffreddamento scende al di sotto del punto di rugiada dell'aria attraversata, si
avranno nubi di solito stratificate.
LA CLASSIFICAZIONE DELLE NUBI
Nubi Alte
CIRRI (Cirrus)
Sono nubi isolate costituite di cristalli di ghiaccio, bianche, delicate, trasparenti e a struttura
filamentosa.
Il loro nome significa "ricciolo di piuma". Possono presentarsi con le estremità a uncino, a ciuffi
isolati o in banchi che si stagliano nell'azzurro del cielo. Attraverso queste nubi è possibile
intravedere il sole.
CIRROCUMULI (Cirrocumulus)
I cirrocumuli sono formati da cristalli di ghiaccio disposti in piccoli ammassi globulari di colore
bianco.
Attraverso di essi è possibile scorgere nettamente la posizione del sole o della luna. Possono essere
disposti in distese più o meno vaste, o in banchi formati da piccoli "cuscinetti" di grandezza
variabile. I cirrocumuli possono provenire dalla trasformazione di cirri e cirrostrati, dalla
diminuzione delle dimensioni di un banco di altostrati oppure dal sollevamento orografico di uno
strato di aria umida.
CIRROSTRATI (Cirrostratus)
Questa nube, costituita essenzialmente da cristalli di ghiaccio, ha una densità ed un'estensione
nettamente superiore a quella dei cirri.
I cirrostrati, lasciano intravedere il Sole e la Luna e formano, attorno ad essi, un alone colorato. I
cirrostrati hanno un aspetto lattiginoso, fibroso, e possono coprire interamente il cielo. Se il Sole è
in prossimità dell'orizzonte, tali nubi possono essere scambiate con cirri per effetto di prospettiva.
Anche un velo lattiginoso di nebbia può condurre in inganno, ma la distinzione apparirà chiara
sapendo che il velo di nebbia è piuttosto opalescente.
CONTRAILS (le scie degli aerei)
I gas di scarico degli aeroplani contengono una grande quantità di vapore acqueo; quando questo
vapore viene a contatto con l'aria gelida delle alte quote si condensa immediatamente, formando la
tipica scia di condensazione. Quando le scie tendono a permanere a lungo nel cielo o addirittura si
estendono in larghezza è segno che in quota è presente aria molto umida. Le scie di condensazione,
in inglese contrail (condensation trail) si formano quando l'aria calda e umida proveniente dal
reattore, cioè dalla combusione dei gas di scarico, si mescola con l'aria dell'ambiente circostante
caratterizzata da una bassa pressione di vapore e una bassa temperatura.
Daniele Longo - 769922304
La meteorologia e la sua terminologia
Nubi medie
ALTOCUMULI (Altocumulus)
Queste nubi si presentano in banchi di colore bianco o grigio. Di solito sono composte di lamelle o
di masse tondeggianti collegate o no tra loro. Si possono confondere con i cirrocumuli se sono
formati da piccoli elementi, ma possono essere riconosciuti perché hanno una larghezza apparente
maggiore. Quando il bordo o una parte sottile di un banco di altocumuli si trova a passare davanti al
sole, si manifesta il fenomeno della corona che consiste in uno stretto anello colorato.
Queste nubi sono costituite da goccioline d'acqua che, se la temperatura è molto bassa, si
trasformano in cristalli di ghiaccio.
ALTOSTRATI (Altostratus)
L'altostrato copre totalmente o parzialmente il cielo, ma sempre in maniera uniforme, con un velo
più o meno denso, fibroso, striato di colore grigio tendente all'azzurrognolo, con ombre proprie più
o meno marcate, secondo lo spessore. L'altostrato è costituito da gocce d'acqua e fiocchi di neve. Se
la temperatura, a quella quota, è molto bassa, la nube può essere formata da cristalli di ghiaccio.
Può assumere spessori di molte centinaia di metri ed estensioni di centinaia di chilometri ed essere
formata di più strati sovrapposti in bande parallele e con nette ondulazioni. Se lo spessore della
nube non è considerevole, trae facilmente in inganno l'osservatore che può confonderla con un
cirrostrato più denso. Sotto l'altostrato si possono formare nubi sfrangiate.
Nubi basse
STRATOCUMULI (Stratocumulus)
Gli stratocumuli si presentano in grossi ammassi scuri, tondeggianti, che ricoprono, specialmente
d'inverno, quasi interamente il cielo e che mostrano sempre la presenza di elementi più o meno
collegati fra loro. Gli elementi che li costituiscono sono analoghi a quelli degli altocumuli ma, dato
che si trovano a livello più basso, appaiono di dimensioni maggiori. Non è possibile confondere gli
stratocumuli con gli altocumuli poiché i primi hanno una larghezza apparente superiore a 5 gradi.
Gli elementi di queste nubi sono talvolta raggruppati in bande parallele, con ondulazioni orientate
nella stessa direzione. Possono essere più o meno trasparenti e lasciar vedere spazi di cielo o
presentarsi in strati tanto sottili da lasciar apparire la posizione del sole o della luna. Talvolta le nubi
sono così opache da nascondere il sole.
STRATI (Stratus)
E' simile a nebbia sospesa in quota e, a volte, è tanto basso da occultare la sommità di collinette. Da
al cielo un aspetto offuscato e uniforme. Può dare luogo a precipitazioni costituite di pioggia minuta
e fitta o di prismi di ghiaccio o di nevischio, quando la nube, molto opaca, si forma sotto altre nubi
quali altostrati e nembostrati. Generalmente lo strato si forma per l'abbassamento della temperatura
degli strati più bassi dell'atmosfera o, al contrario, per il sollevamento di nebbia a causa del
riscaldamento del suolo.
NEMBOSTRATI (Nimbostratus)
Con la presenza di questa nube, il vero cattivo tempo si è già stabilito. E' di colore grigio scuro,
molto spesso, senza forme definite e margini frastagliati. Di solito si presenta come uno strato basso
di grande estensione la cui parte inferiore è spesso nascosta da nubi che corrono veloci con il vento.
Sono sempre opachi, tanto da nascondere il Sole o la Luna, danno luogo a precipitazioni continue
sotto forma di neve o di pioggia
Daniele Longo - 769922304
La meteorologia e la sua terminologia
Cumuli - Nubi a sviluppo verticale
CUMULI ( Cumulus)
Chiamati signori del cielo, sono le nubi più appariscenti. Gli aspetti dei cumuli sono mutevoli; si
tratta sempre di nubi isolate, generalmente dense, con contorni ben definiti, a piccolo o a grande
sviluppo verticale, ma sempre a forma di cupole o di torri, con la parte superiore simile a un
cavolfiore. La loro base è quasi sempre orizzontale e le parti superiori un bianco splendente. Lo
sviluppo in altezza dei cumuli dipende dalla maggiore o minore instabilità dell'aria.
CUMULONEMBI
Sono le nubi che producono scariche elettriche. Si presentano in masse imponenti, di aspetto
minaccioso, simili a montagne o torrioni a grande sviluppo verticale, talvolta fino a raggiungere il
livello dei cirri. Essendo le loro dimensioni orizzontali e verticali sempre notevoli, queste nubi sono
visibili soltanto a grande distanza. Queste nubi si distinguono dai cumuli perché la parte inferiore è,
di solito, sfrangiata, mentre la parte superiore non ha forma di cavolfiore.
Daniele Longo - 769922304
La meteorologia e la sua terminologia
O
Omega
L’omega è una configurazione barica in cui vengono considerate due basse pressioni ed una alta
pressione. Prende questo nome appunto dalla lettera greca “omega” proprio perché assume una
forma molto simile. Questa configurazione è quindi caratterizzata dalla presenza di due cicloni di
cui uno sulla Russia ed uno sulle aborre, ed in mezzo ai due anticicloni, si instaura un promontorio
anticiclonico formando così un’omega.
La figura opposta prende il nome di omega rovesciato che si forma, con la presenza di una saccatura
sul mediterraneo tra mar di Sardegna e mar di Sicilia e due alte pressioni una ad est (hp russa o hp
balcanica) ed una a ovest (hp azorriana). Le precipitazioni sulle nostre zone sarebbero comunque
molto scarse o quasi assenti così come nel classico omega ma, al contrario si avrebbe molto freddo.
Ecco l’omega, caratterizzato appunto da una zona anticiclonica incuneata tra due zone cicloniche di
bassa pressione ai suoi lati. Il contro-omega è invece caratterizzata da una zone ciclonica insediata
tra due zone anticicloniche poste ai suoi lati, la figura che ne risulta è un omega capovolto.
Daniele Longo - 769922304
La meteorologia e la sua terminologia
P
Pcai (Probabilità irruzione aria artica continentale)
Il PCAI è un indice creato per calcolare la probabilità di un’irruzione fredda di tipo artico
continentale verso l’Europa Centrale e di conseguenza l’Italia ed il Mediterraneo. Di seguito un
grafico estrapolato dalle elaborazioni Gfs.
Con valori compresi tra:
 -175 / -75 : Probabilità di irruzione pressoché nulla, moderate possibilità di modesta
intensità, nei giorni successivi.
 -75 / -25
: Probabilità di irruzione prossime a zero.
 -25 / +25 : Probabilità di irruzione molto bassa o nulla, modesta nei giorni successivi.
 +25 / +50 : Probabilità di irruzione bassa.
 +50 / +85 : Probabilità di irruzione media ma di modesta intensità.
 +85 /+ 120 : Probabilità di irruzione elevata, in caso di persistenza su detti valori, molto
elevata.
 > +120
: Probabilità di irruzione molto elevata, in caso di persistenza, probabilità di
irruzione storicamente rilevante.
L’indice viene calcolato tenendo presente le pressioni sul livello del mare e i geopotenziali
all’altezza di 500 Hpa rilevati in 3 punti particolari dell’emisfero. Un punto è l’Inghilterra
meridionale, il secondo nella parte settentrionale della penisola scandinava ed il terzo nell’isola di
Nuova Zemlja. Sono state scelte queste località perché si trovano sulla traiettoria di una figura
essenziale per le sorti di una eventuale irruzione artica continentale: questa figura è un anticiclone il
cui bordo orientale grosso modo dovrà posizionarsi in prossimità dei territori di confine tra il
continente europeo e gli oceani atlantico ed artico.
Daniele Longo - 769922304
La meteorologia e la sua terminologia
Perturbazioni in Italia
Gli episodi di maltempo al nord si verificano solo con minimi situati sul nord del mediterraneo, di
solito secondari ad un minimo più profondo situato al largo dell’atlantico.
Già dalle mappe a 850 Hpa si può capire se il tempo sarà perturbato a meno, basti guardare le
correnti che corrispondono alle linee bianche che sono tracciate.


Meglio ancora se il minimo è situato nel golfo
ligure (genoa - low), maltempo limitato al nordovest e Toscana, in casi del genere in inverno
arrivano le nevicate decise fino in pianura, a
condizione che in concomitanza ci sia una
irruzione fredda da est o nord - est nei giorni
precedenti, che abbia raffreddato il suolo creando
il cosiddetto “cuscinetto padano” che si forma
però solo in seguito ad almeno 2/3 giorni con
minime molto fredde (almeno -4/-5 °C).


Ecco il caso di un minimo situato nel golfo del
Leone, portatore di mal tempo un po’ su tutta
Italia, specie al nord.
Una situazione che invece porta maltempo
limitato al centro - sud, è il caso di un minimo
situato all’altezza della Grecia, che genera
correnti da nord - est su tutto il paese con
freddo al nord e al centro Italia.
Con la presenza di minimi in adriatico, quali
quello all’altezza delle Marche o quello
all’altezza della Puglia, si crea una situazione di
bel tempo al nord con correnti da nord - ovest su
tutto il nord Italia (foehn) e invece, brutto tempo
dall’Emilia Romagna in giù soprattutto sulle
regioni adriatiche.
Daniele Longo - 769922304
La meteorologia e la sua terminologia
Pressione
La pressione diminuisce all’aumentare della quota.
- 850 Hpa  1500 metri
- 500 Hpa  5500 metri
- 400 Hpa  7000 metri
- 300 Hpa  9000 metri
- 200 Hpa  12000 metri
Alle aree di bassa pressione è legato il maltempo, alle area di alta invece, tempo stabile e buono.
Una diminuzione più o meno netta di pressione, spesso precede di poco il sopraggiungere del
cattivo tempo. La valenza prognostica del barometro è identificata in quella che viene chiamata
tendenza barometrica, cioè la quantità di variazione di pressione in un determinato arco di tempo.
In condizioni di normalità, la pressione aumenta la mattina e la sera diminuendo nel pomeriggio per
effetto del riscaldamento dell’aria che diventa così meno densa e quindi meno pesante esercitando
meno pressione.
Le figure bariche principali prendono il nome di area di alta e bassa pressione; le basse pressioni
sono denominate anche cicloni, area depressionaria o low-pressions, mentre le aree di alta pressione
sono chiamate anche anticicloni o high-pressions.
Isobare ravvicinate indicano condizioni di instabilità e
di forti venti.
E’ possibile inoltre, seguendo le variazioni
barometriche durante la giornata, rendersi conto
dell’eventuale arrivo di una perturbazione indicata da
una costante diminuzione delle pressione
Talvolta una zona di alta pressione si espande fino ad
incunearsi tra due depressioni. e se l'espansione
avviene da sud verso nord, le linee isobariche si
dispongono a forma di U rovesciata, questa
configurazione si definisce promontorio.
Nell’ambito dell’alta pressione si usa chiamare promontorio quella zona di alta le cui isobare non si
chiudono intorno al massimo ma si protendono come a formare un promontorio geografico. Nel
caso in cui l'espansione è da est verso ovest, allora, si parla di cuneo. In entrambe le situazioni, il
cielo è generalmente sereno o poco nuvoloso, l'atmosfera è limpida e la visibilità è ottima;
purtroppo, è una situazione instabile perché questi fenomeni sono di breve durata.
Se invece la depressione si insacca fra due zone anticicloniche si parla allora di saccatura e le
isobare avranno forma di V o di U e i rovesci e i temporali saranno violenti. La saccatura rispetto al
promontorio, ha una caratteristica grafica di solito ben marcata, mentre il promontorio ha una
curvatura generalmente dolce. Se si congiungono i punti di massima curvatura, si ottiene una linea
più o meno retta detta “asse della saccatura”.
L’asse della saccatura rappresenta il luogo in cui i fenomeni connessi alla perturbazione si
verificano con maggior insistenza, il passaggio dell’asse segna inoltre il cambiamento di direzione
di provenienza del vento.
Al passaggio dell’asse, nel nostro emisfero, il vento ruota da SW a NW in senso orario. Un’area
posta tra due alte o due basse pressioni è chiamato sella. Nelle carte meteorologiche, in
corrispondenza del centro della depressione le pressioni crescono dal centro verso l’esterno mentre
nella alte pressioni la pressione diminuisce man mano che si passa dall’interno all’esterno.
Daniele Longo - 769922304
La meteorologia e la sua terminologia
La pressione atmosferica in una giornata in condizioni di tempo non perturbato, non è stabile ma
subisce delle oscillazioni di valore tra l’alba e il tramonto con aumenti e diminuzioni alternati tra
loro.
Daniele Longo - 769922304
La meteorologia e la sua terminologia
Q
Qbo
QBO: Quasi Biennal Oscillation dei venti stratosferici equatoriali (a 50 e a 30 hPa). Si è notato che
circa ogni 28-29 mesi questi venti invertono la loro rotta di 180 gradi, soffiando da ovest (QBO
positiva) e poi da est (QBO negativa) e così via. Cosa c’entra questo con le previsioni stagionali?
Ebbene: per il fenomeno delle teleconnessioni, questa oscillazione influenza diversi parametri pure
nella troposfera, per es.: la frequenza degli uragani dell’Atlantico (spesso superiore nella fase
positiva, ma non sempre!), l’intensità del Jetstream polare (più forte in fase positiva), gli scambi
lungo i meridiani di differenti masse d’aria (favoriti in fase negativa), l’insorgenza di uno
Stratwarming nella stratosfera polare invernale (in combinazione con l’intensità del ciclo solare: in
fase negativa al minimo del ciclo solare e in fase positiva al massimo) e dunque la possibilità di
split del VP troposferico e relative colate di aria artica (gennaio 1985 come esempio paradigmatico)
ecc. ecc. Dunque non è proprio il valore preciso in se che importa, l’importante è invece guardare in
che fase dell’oscillazione si trova il periodo preso in esame per la previsione.
Daniele Longo - 769922304
La meteorologia e la sua terminologia
R
Radiosondaggi
In linea di principio l'esame dei radiosondaggi nella parte in cui sono riportati i vari indici
termodinamici deve rappresentare un aiuto per il previsore che deve sempre avvalersi in primo
luogo dell'analisi sinottica ai vari livelli isobarici, tenere nel dovuto conto l'orografia del luogo di
destinazione della previsione e conoscere il clima della zona d'interesse. E' inoltre opportuno tener
presente che la maggior parte di tali indici sono stati coniati negli States a loro uso e consumo e
come sempre accade in questi casi avranno la massima attendibilità nel luogo d'origine. Gli indici
termodinamici indicano la predisposizione in atmosfera all'innesco di fenomeni temporaleschi, che
tuttavia non è detto debbano per forza svilupparsi se manca la spinta iniziale (frontale, orografica o
per forte riscaldamento dal basso) od in particolari condizioni dinamiche: ad esempio in Romagna
con fohn appenninico si possono avere indici favorevoli, ma ovviamente nulla succede a causa della
catabasi indotta dalle correnti discendenti, venendo a mancare la spinta iniziale. Va da sè che i
fenomeni temporaleschi, se non sono a vasta scala, possono insorgere o meno in base a molti fattori
locali, difficilmente desumibili dai radiosondaggi, e massima attenzione deve essere posta alla
curvatura (ciclonica o anticiclonica) delle correnti a 500 hPa prescindendo da qualunque indice
termodinamico. Lo stesso discorso vale per l'eventualità inversa: si possono avere temporali con
indici sfavorevoli se una massa d'aria deve risalire una catena montuosa (stau) oppure in caso di
passaggi di fronti caldi con aria pseudoinstabile (in tal caso gli indici saranno al massimo poco
favorevoli); anche uno status che vede aria secca e poco calda nei bassi strati ma con forte getto in
quota (divergenza) può innescare lo sviluppo di Cb. Comunque i fattori principali sono legati al
microclima di ogni regione; una buona norma è quella di archiviare i radiosondaggi quando si
verificano temporali e costruirsi una serie storica molto utile per ricavare dati statistici. Lo sviluppo
di supercelle prescinde spesso dall'effettivo valore degli indici termodinamici che non considerano
il wind shear, cioè la variazione in direzione e velocità del vento tra bassa ed alta troposfera che
riveste un ruolo fondamentale. CAPE, LI, TT, K, U e SI sono infatti desunti dai gradienti
termoigrometrici verticali tra i vari piani isobarici ma risultano utili per sapere se l'atmosfera è
predisposta o meno allo sviluppo di attività temporalesca. Invece SWEAT, BRN e SREH tengono
conto anche del wind shear e quindi rivestono maggior importanza nella previsione di supercelle e
tornado. La provenienza del vento nei radiosondaggi viene espressa in gradi sessagesimali, per cui a
0° (o 360°) corrisponde il N, a 90° l'E, a 180° il S, a 270° l'W; con 45° abbiamo NE, 135° SE, 225°
SW, 315° NW. Il diagramma aerologico più diffuso è lo Skew T-ln p, così chiamato perchè ha
come coordinata verticale la pressione p in scala logaritmica, tra il suolo e 100 hPa, mentre sulle
ascisse ci sono i valori della temperatura; le isoterme però sono inclinate di 45° verso destra,
rispetto alle linee orizzontali della pressione. Per meglio spiegare l'interpretazione dei
radiosondaggi si fa riferimento al diagramma termodinamico di Udine relativo alle ore 18Z del 28
agosto 2003, giorno in cui il Veneto orientale è stato colpito da un'impressionante serie di violenti
temporali grandinigeni. La curva di stato (della temperatura) è quella rossa, quella del dew point
(della temperatura di rugiada) è azzurra. La vicinanza fra queste due curve presuppone aria molto
umida e vicina alla saturazione: è il caso delle giornate estive con afa nei bassi strati e notevole
energia termica a disposizione del temporale. La linea verde è la velocità del vento in nodi; la linea
viola è quella dell'adiabatica satura. Quest'ultima indica la termovariazione adiabatica verticale in
presenza di aria satura. Sappiamo che l'aria secca in salita perde 1°C per ogni 100 m di salita, me se
comincia la condensazione allora interverrà il calore latente (590 cal/grammo nel passaggio vaporeacqua); tale calore farà che l'aria non perda più 1°C ogni 100 m di salita ma 0,6°C circa (dipende da
molti fattori ma quello è più o meno il tasso di termovariazione in aria satura). La linea che
costituisce l'adiabatica satura mostra, partendo dalla temperatura al momento dell'inizio della
condensazione, i vari valori di temperatura (salendo di quota) che assumerebbe la particella d'aria ai
successivi livelli troposferici.
Daniele Longo - 769922304
La meteorologia e la sua terminologia
La linea viola dell'adiabatica parte da due punti alla base del grafico in quanto il tratto di linea (sulla
destra) che va dal suolo al livello di
condensazione (LCL: linea retta viola tra 800 e
900 hPa) non è l'adiabatica satura, ma è quella
secca, poichè fin lì l'aria non condensa in
goccioline, per cui perde 1°C ogni 100 metri di
salita. L'adiabatica satura è tracciata solo
dall'LCL in su (infatti essa è meno inclinata
dell'adiabatica secca perdendo non 1°C ma
0.6°C per ogni 100 m di salita). L'altro tratto
viola che va dall'LCL più "a sinistra" è
l'isoigrometrica che incontrerebbe la nostra
particella d'aria in ascesa nei pressi dell'LCL e
rappresenta in pratica il dew point della massa
d'aria a livello del suolo (nell'esempio circa
18°C). L'area verde tra la curva rossa e quella
viola rappresenta il CAPE, l'area rossa tra la
curva di stato e la linea viola rappresenta il
CINH. Nell'esempio sopra l'area del CAPE è
molto più estesa di quella del CINH, per cui le
condizioni sono favorevoli allo sviluppo di
attività termoconvettiva stante la notevole
energia in gioco. La linea gialla sulla parte bassa del grafico corrisponde all'area verde del CAPE (il
valore sulla scala in basso corrisponde a quello numerico che si ritrova nell'elenco degli indici
termodinamici). La scritta CINH*5 indica un artifizio per riportare il tracciato sia del CAPE che del
CINH in contemporanea: il CINH viene moltiplicato per 5 onde evitare grafici interminabili. LCL è
il livello di condensazione forzata; è il livello dove l'adiabatica secca, tracciata a partire dalla
temperatura osservata al suolo, incontra la isoigrometrica che passa per il valore iniziale di dew
point al suolo. L'isoigrometrica è una linea che unisce, per ogni valore di temperatura e pressione,
tutti i punti nei quali la massa d'aria satura ha la stessa umidità specifica. In LCL la massa d'aria, ora
satura, è però ancora stabile perchè più fredda dell'ambiente circostante. LCL in genere corrisponde
alla quota alla quale si forma la base della nube cumuliforme poichè a tale livello inizia la
condensazione del vapore acqueo. Un LCL piuttosto basso indica aria molto umida su tutta la
colonna d'aria e maggiore possibilità di fenomeni intensi. Inoltre con LCL molto basso eventuali
tornado vanno in "touch-down" più facilmente poichè hanno meno metri da percorrere per toccare
terra. Un discorso simile può essere fatto anche per il LFC che è il livello di libera convezione. LFC
è il livello dove la curva dell'adiabatica satura taglia la curva di stato: da questo livello in poi la
condensazione si sviluppa in genere in altitudine fino a quando la particella non ha esaurito il suo
contenuto in vapore (instabilità latente o condizionale). EL è il livello di equilibrio (Equilibrium
Level). EL corrisponde alla base dell'inversione termica permanente presente tra troposfera e
stratosfera e rappresenta il punto ove la curva di stato interseca l'adiabatica satura (oltre quella quota
i processi convettivi tendono ad arrestarsi). Un buon sistema per individuare la presenza di
overshooting top in un cluster temporalesco, se la visuale non è buona a causa di nubi basse, è
quello di individuare l'Equilibrium Level con il radiosondaggio e vedere, tramite una buona
scansione del cloud top (ad esempio quelle dell'AM), l'altezza massima delle nubi; se è maggiore
della quota dell'Equilibrum Level, con molta probabilità si è in presenza di overshooting top.
Daniele Longo - 769922304
La meteorologia e la sua terminologia
Raggi ultravioletti
I raggi ultravioletti rappresentano appena l’1% dell’energia in arrivo dal Sole, ma anche la
componente solare più dannosa per gli esseri viventi. Hanno infatti la capacità di penetrare
attraverso l’epidermide in profondità nei tessuti, anche se non tutti in uguale misura. Infatti i raggi
UV vengono di solito suddivisi, a seconda della loro lunghezza d’onda, in tre bande; gli UVA UVB
ed UVC. I più penetranti, e quindi più pericolosi, sono quelli con lunghezza d’onda più corta, ossia
gli UVC e gli UVB, detti anche raggi ultravioletti “duri”. Gli strati alti dell’atmosfera assorbono
integralmente i raggi UVC e parte dei raggi UVB. La radiazione ultravioletta che raggiunge la
superficie terrestre è costituita essenzialmente da UVA e, in misura minore, da UVB. Ovviamente
la frazione di raggi UV che raggiunge la superficie terrestre varia nel tempo e nello spazio. Ecco, un
elenco dei fattori dai quali dipende la dose di raggi ultravioletti al suolo:

ora del giorno: il 20%-30% circa degli UV arriva tra le 11.00 e le 13.00 locali mentre il 75%
del totale è concentrato tra le 09.00 e le 15.00. Quando il Sole è alto sull’orizzonte i raggi
compiono infatti un percorso più breve dentro l’atmosfera, minimizzando in tal mondo
l’assorbimento da parte dell’aria;

stagione: nelle regioni temperate gli UV raggiungono la massima intensità in estate e la
minima in inverno;

latitudine: il flusso annuale di raggi UV è massimo all’Equatore e minimo ai Poli;

nuvole: il generale le nubi diminuiscono la quantità di energia solare in arrivo. Un cielo con
nuvole sparse, attenua appena del 10% l’intensità dei raggi UV. La frazione in arrivo al
suolo si riduce del 25% circa con cielo molto nuvoloso e con cielo coperto l’attenuazione
raggiunge il 70% circa;

altitudine: con la quota la radiazione ultravioletta aumenta notevolmente di intensità. Ad
esempio, in estate a 3000 metri la radiazione è quasi quattro volte più intensa che a 700
metri. In inverno gli UV si riducono, rispetto all’estate, di 8 volte circa in montagna e 16
volte in pianura;

riflessione: la parte riflessa dalla superficie terrestre e dai mari è generalmente bassa (< del
7%), tuttavia il tipo di superficie può fare davvero la differenze: manti erbosi e specchi
d’acqua riflettono meno del 10% della radiazione in arrivo, la sabbia riflette circa il 25% dei
raggi UVB incidenti, mentre la neve fresca arriva a riflettere circa l’80%. Ecco perché in
montagna i raggi ultravioletti sono particolarmente insidiosi: all’effetto altitudine si
aggiunge infatti anche l’effetto riflessione da parte della neve.
Di seguito la media annuale della radiazione solare in superficie orizzontale al livello del mare su
scala mondiale misurata in w/m2
Daniele Longo - 769922304
La meteorologia e la sua terminologia
S
Shelf cloud
Una shelf cloud (nube a mensola) è una nube bassa, lunga, a volte arcuata, orizzontale o a forma di
cuneo associata a un gust front temporalesco e raramente al transito di fronte freddo che non
provoca però temporali. Questa nube viene anche chiamata disco supercellulare quando si forma sul
bordo avanzante (lato orientale) alla base di una supercella. Una Shelf Cloud si forma quando l’aria
calda ed umida, presente al suolo o nei bassi strati, viene sollevata dal transito del gust front
(outflow) fino alla quota di condensazione dove prende corpo questa "mensola nuvolosa" a volte
spettacolare ma anche paurosa a causa delle enormi dimensioni, della sua vicinanza al suolo e del
colore molto scuro. Il bordo avanzante (guardando verso Ovest) della Shelf Cloud ha le pareti
generalmente lisce, striature con la forma di solchi alla base del Cumulonembo e disposti
parallelamente rispetto alla direzione del movimento della cella temporalesca. Le striature con la
forma di solchi sono causate: dalla differenza di umidità presente nei vari strati dell’aria ascendente
e dalla convergenza delle correnti che si trovano sul lato anteriore avanzante della cella
temporalesca. Il lato inferiore della Shelf Cloud è in contatto con le precipitazioni ed appare molto
turbolento, incavato verso l'alto, nero e di aspetto stracciato (fractocumuli). La Shelf Cloud può dare
origini a precipitazioni piovose intense ed in alcuni
casi originare deboli tornado anche se non è provvista
di movimenti rotatori in quanto avanza sotto la spinta
dell'outflow ma senza ruotare. Una rotazione è
presente solo dalla base della supercella a tutto il
cumulonembo esclusa l'incudine che invece ha solo
un movimento di espansione. La rotazione della
supercella temporalesca crea delle striature o dei
solchi nella Shelf Cloud ma non la fa ruotare in
quanto quest’ultima non è ancorata alla base del cumulonembo ma lo precede di pochissimo.
Spaghetti
Uno degli altri modelli metereologici in
circolazione, è il modelli degli spaghetti
che consiste in una serie di linee che
appunto vengono denominate spaghetti
per via delle loro forme. Nel modello
vengono rappresentate le temperature a
850 Hpa e l’intensità in mm delle
precipitazioni previste. Le principali linee
sono quella rossa che consistente nella
media trentennale delle temperature.
Inoltre abbiamo la linea blu che
rappresenta il run attuale secondo Gfs, ed
infine la linea grigia che rappresenta il run
Ensemble.
Questi i colori principali, vi sono tuttavia
affiancati molti altri colori che si
riferiscono alle varie perturbazioni (P)
inizializzate accanto al run ufficiale in
modo da avere a disposizioni maggiori linee di tendenza, di solito queste perturbazioni parallele
sono 9 o 10.
Daniele Longo - 769922304
La meteorologia e la sua terminologia
Squall line
Per quanto riguarda la Squall line si tratta di una "massa"
nuvolosa che assomiglia grossomodo ad una linea...è
costituita da nubi temporalesche, dunque cumulonembi,
con moderato-forte sviluppo(anche abbastanza rapido) e
appunto "allineate" fra loro che formano una vera e
propria barriera, che avanza in un fronte freddo seguendo
il gust front(appunto l'avanzamento del fronte). La Squall
line si sviluppa lungo la linea che separa l'aria calda nei
bassi strati dall'aria piu fredda negli alti strati, che va
quindi a richiamare in contrasto l'aria piu calda e scende con moto piu o meno verticale
(outflow:l'aria fredda che scende in un fronte) In genere in una Squall line il downdraft si colloca
subito dietro all'updraft per cui è frequente osservare, nella zona di contatto di queste due correnti,
un'imponente shelf cloud, soprattutto nei mesi estivi, prodotta dall'aria fredda discendente che porta
a condensare parte del vapore acqueo contenuto nella corrente ascendente. La formazione di una
Squall line è prerogativa del passaggio di un fronte freddo nei mesi più caldi dell'anno anche se non
è da escludere una sua nascita durante il passaggio di un fronte freddo particolarmente intenso nei
mesi autunnali o invernali. Una Squall line può provocare precipitazioni grandigene con chicchi di
medie o grandi dimensioni, deboli tornado (tromba d'aria), eventuali alluvioni lampo nel caso in cui
le celle temporalesche che la compongono sono stazionarie o molto lente ed i downburst quando si
formano in un ambiente con forti venti alle quote medie. Può capitare che un downburst
estremamente intenso acceleri una porzione della Squall line portandola davanti al resto della linea
producendo un bow echo (un eco lineare ma curvato verso l'esterno a forma di arco) individuabile
da un tracciato radar ma impossibile da osservare visivamente.
Ssta
SSTA: Sea Surface Temperature Anomaly: questa caratteristica può influenzare la circolazione
atmosferica fra il Nordatlantico e l’Europa molto più spesso di quello che potrebbe sembrare a
prima vista. Ad ovest del nostro continente giace un’enorme massa d’acqua che ha la capacità di
rilasciare nell’atmosfera un’immensa quantità di energia sottoforma di calore. La corrente calda che
proviene dal Golfo del Messico e che lambisce le coste nordoccidentali europee mantenendo un
clima mite in queste regioni è un buon esempio di come l’oceano possa influenzare direttamente
l’atmosfera a grande distanza. Sprofondando verso quote più basse del mare, questo “fiume”
oceanico rilascia nell’atmosfera massicce dosi di energia che influenzano a loro volta la temperatura
dell’aria, dunque pure la pressione atmosferica e quindi, in ultima analisi, la circolazione di venti. Il
sistema oceano-atmosfera è retroattivo, i due parametri si influenzano a vicenda, poichè a volte,
come conseguenza di venti persistenti su ampie zone dell’oceano (per es. dopo lunghi periodi di
alisei sostenuti), le temperature superficiali di queste ultime cambiano verso un’anomalia (per es.
diventano molto più fredde) e questo a sua volta può causare anomalie nella distribuzione della
pressione atmosferica, come già detto prima. Vari studi hanno già messo in evidenza come SSTA in
determinate zone del Nordatlantico possano incentivare o mantenere determinate configurazioni
nella distribuzione della pressione atmosferica sull’Europa a distanza di qualche mese: per es.
persistenti anomalie positive nella porzione di oceano al largo dell’isola di Terranova tendono a
indurre, in autunno, blocchi anticiclonici fra il Nordatlantico orientale e l’Europa occidentale, il
contrario, invece porta forti ciclogenesi sul medio Nordatlantico. Un altro esempio recente mette in
evidenza come SSTA negative in giugno nel Golfo della Guinea tendano poi a favorire altezze del
geopotenziale a 500 hPa ampiamente positive sul comparto euromediterraneo occidentale in agosto.
Daniele Longo - 769922304
La meteorologia e la sua terminologia
Stau
Può accadere che forti venti spingano l’aria ai piedi di una catena montuosa e trovando ostacolo,
l’aria salde di quota, questo è un moto forzato
e veloce che causa la rapida condensazione
dell’umidità per effetto della repentina
diminuzione della temperatura. Quindi, nel
versante esposto al vento, si avranno
precipitazioni di carattere intenso ma non
violente (effetto stau). A questo punto l’aria
che supera la sommità del monte, è
praticamente priva della sua umidità iniziale,
si tratta di aria fredda che tende a portarsi
verso valle. Perdendo quota tende a riscaldarsi,
in pratica si comprime a causa della pressione e aumenta la sua temperatura, questo fenomeno si
chiama riscaldamento adiabatico. A valle arriva quindi una massa di aria calda che genere l’effetto
foehn: questo è riconoscibile quando si notano della masse nuvolose addossate ai rilievi montuosi
ma che non superano il versante.
Stratwarming
La stratosfera è lo strato atmosferico compreso tra 11 e 50 km circa di altitudine ed è una regione
che si trova oltre la quota alla quale avvengono i fenomeni che sono all'origine del tempo
atmosferico o in altre parole la troposfera (da 0 a circa 10-12 km), il cui limite superiore è
individuabile nella tropopausa. Tuttavia è bene tenere presente che i due livelli non sono per niente
scollegati o non comunicanti e che invece interagiscono tra loro in varie circostanze.
Nell'emisfero nord la normale circolazione stratosferica invernale (ad esempio a 10 hPa,
corrispondenti ad una quota di circa 28-30 km) è contrassegnata da un importante vortice ciclonico
freddo posto in corrispondenza delle zone polari e con valori termici dell'ordine di –80 °C. Tale
vortice è generalmente ellittico, poiché viene in genere contratto da un vicino anticiclone periferico
individuabile nell'anticiclone delle Aleutine (il cui nome deriva dalla zona geografica sopra la quale
si viene a dividere). Durante la stagione invernale la temperatura stratosferica alle latitudini polari
può subire repentini ed intensi incrementi (anche fino a 70°C d’aumento in pochi giorni) per cause
ed effetti di varia natura ed alcuni dei quali ancora in corso di studio. Conseguentemente al
verificarsi di questo riscaldamento si origina una frattura dinamica del vortice ciclonico
stratosferico a latitudini polari, il quale si scinde in due sistemi depressionari separati ed in mezzo ai
quali si insinua un potente anticiclone originato dal riscaldamento. In molti casi (non tutti è bene
rilevarlo) l'aumento termico si diffonde verso il basso (troposfera), con tempi di diffusione che
variano da 10 a 20 giorni a seconda dell'intensità del riscaldamento ed dal momento della sua
massima intensità stratosferica. A questo punto l'incremento termico diffusosi a quote troposferiche
genera di per sé l'innesco di anticiclogenesi molto marcata, sempre in corrispondenza di latitudini
polari; in pratica la cella anticiclonica stratosferica originata dal riscaldamento si può ritrovare con
simili caratteristiche 10-20 giorni dopo a livelli troposferici polari. La presenza di potenti anticicloni
polari troposferici induce a spostare verso sud il vortice polare freddo invernale che, inoltre, è
alimentato da continue discese di aria artica pilotate dal massimo anticiclonico, approfondendolo a
più riprese e dando origine ad intense colate artiche in quota che andranno ad interessare aree
geografiche poste a latitudini piuttosto basse rispetto alla norma; in quelle zone si assisterà ad un
periodo più o meno prolungato contraddistinto da forti ondate di freddo che normalmente si
esplicano in 2-3 affondi molto intensi (Gennaio 1985).
Lo stratwarming è quindi un improvviso riscaldamento della stratosfera dovuto ad improvvise
irruzioni di aria artica, può coinvolgere la più bassa troposfera.
Nella parte alta dell'emisfero ci saranno temperature normali con poche nevicate, mente nella parte
bassa il contrario. A nord del vortice formato con lo stratwarming avremo temperature miti e poche
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La meteorologia e la sua terminologia
precipitazioni a sud invece, al contrario le temperature saranno più basse e le precipitazioni più
abbondanti.
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La meteorologia e la sua terminologia
T
Temperatura
E’ la grandezza fisica che esprime lo stato termico di un sistema e che descrive la sua attitudine a
scambiare calore con l’ambiente o con altri corpi.
Quando due sistemi sono posti a contatto termico, il
calore fluisce dal sistema a temperatura maggiore a
quello con temperatura minore, fino al raggiungimento
dell’equilibrio termico, in cui i due sistemi si
troveranno alla stessa temperatura.
La temperatura degli strati più bassi dell’atmosfera è
determinata non dai raggi diretti del sole che li
attraversano, ma dal calore rilasciato dal suolo in
seguito all’irraggiamento solare. Questo fenomeno
spiega perché la temperatura diminuisce all’aumentare
della quota passando da un valore medio di riferimento
di 15,5°
al livello del mare fino ai -55° degli 11.000 m sul
livello del mare. Lo zero assoluto è la temperatura più bassa in assoluto al di sotto della quale non è
possibile andare, quando si arriva allo zero assoluto la materia si comporta in maniera diversa dal
normale.
La temperatura, sia per effetti naturali che per cause umani quali l’inquinamento, sta aumentando
in media in tutta il globo terrestre, di seguito in grafico illustrativo di ciò.
Temporali
Il temporale è il più violento dei fenomeni atmosferici, per la formazione di un temporale occorre
aria fredda in quota ed aria calda ed umida al suolo, quando ci sono questi due elementi anche in
condizioni di alta pressione possono verificarsi temporali, mentre quando questi due elementi non
sono presenti, i temporali non si possono verificare.
Con la formazione dei temporali, sono molto
frequenti i fulmini che sono generati dallo
sfregamento delle gocce d'acqua che mosse dai
venti si caricano di elettricità; la loro potenza viene
misurata in volt.
Temporale a cella singola
E’ la forma più semplice di temporale e si sviluppa
indipendentemente da altri Cb, per cui attraversa gli
stadi di sviluppo, maturazione e dissolvimento
Daniele Longo - 769922304
La meteorologia e la sua terminologia
senza creare altre celle. Si nota ad occhio nudo come un singolo cumulonembo dotato di un'unica e
grossa protuberanza. Tuttavia una vera cella singola è alquanto rara, perchè anche con un debole
wind shear il gust front spesso innesca la crescita di un'altra cella poco distante mediante il
sollevamento dell'aria caldo umida stagnante in loco (mini fronte freddo). E' difficile prevedere
l'insorgenza di una cella singola, perchè queste si sviluppano in momenti e luoghi apparentemente
casuali; inoltre sono disorganizzate e con scarso wind shear durano mezz'ora circa (a volte anche
un'ora, ma sono casi insoliti) perchè downdraft ed updraft interferiscono fra di loro; inoltre l'outflow
ben presto isolerà la sorgente caldo umida che manteneva in vita il cumulonembo il quale al termine
del suo ciclo vitale mostrerà solo un'incudine sospesa nell'aria (cirri falsi). Sebbene la maggior parte
delle celle singole non siano intense, alcune di queste possono originare brevi episodi di forte
maltempo specialmente nella fase di collasso: questi temporali si chiamano pulse storm e
ovviamente si formano in ambienti più instabili rispetto alle normali celle singole. Le pulse storm
(tempeste pulsanti) sono dotate di updraft leggermente più intensi e veloci, quindi esiste il rischio di
brevi grandinate, brevi downburst e occasionalmente deboli tornado. A volte, come nella foto sopra,
si nota benissimo la pulsazione del temporale mediante la successiva comparsa di alcune incudini su
un lato del cumulonembo.
Temporale a cella multipla
Il movimento di un qualsiasi temporale dipende dal modello di crescita del o dei cumulonembi e dai
venti dominanti: le celle temporalesche infatti sono guidate dai venti nella medio - alta troposfera
(level-guide intorno ai 6000 m di altezza). Se una cella si forma e poi interrompe la sua crescita,
essa verrà trasportata dai venti in quota per poi evaporare: questo è ciò che accade normalmente
nelle celle singole e nei temporali più deboli. Invece nei sistemi temporaleschi composti da più celle
(multicelle, per l'appunto) il fenomeno della rigenerazione porta alla continua ricreazione di nuove
cellule, in modo che il temporale possa mantenere le sue caratteristiche. Questo è il metodo adottato
dai temporali intensi per mantenersi a lungo. Le pulsazioni dell'updraft possono essere molto vicine
tra di loro e ciò conferisce per più tempo caratteristiche abbastanza uniformi al temporale. Se invece
sono lontane tra di loro, il temporale sarà ciclico (cyclic storm) e attraverserà fasi più deboli e fasi
più forti. Queste pulsazioni nel sistema possono essere individuate da distante osservando lo spazio
tra le sommità dei cumuli o dei cumulonembi e il tasso individuale di crescita delle torri
temporalesche. Nel primo caso la sommità del Cb temporalesco sarà abbastanza uniforme e a
occhio nudo non si distinguono bene le singole torri temporalesche; nel secondo caso invece
vedremo una successione di torri crescenti (per es. nella flanking line e in genere in tutte le
multicelle) in quanto ogni torre matura, si espande in alto (incudine) e poi produce i downdrafts i
quali costituiscono una sorta di controbarriera che fungerà da "trampolino" per l'ascesa di nuova
aria caldo umida (vedi modello). Il cluster di multicelle (grappolo di multicelle) è un gruppo di celle
singole che si muove come una singola unità e in cui ogni cella si trova in differenti stadi di
sviluppo: esso è certamente più intenso della cella singola ma nel contempo è molto più debole
della supercella. E' il più comune tipo di temporale, conosciuto come formazioni di Cb a
"grappolo", tipiche delle gocce fredde in quota (in tal caso non sono presenti linee di discontinuità
frontale lungo le quali si organizzano i temporali) o ad avvezioni fredde postfrontali: in entrambi i
casi i venti in quota non sono mai molto forti, per cui la struttura delle incudini è poco inclinata
(asse pressochè verticale) dando la forma rotondeggiante all'immagine satellitare. E' questo il
motivo per cui al satellite molti cluster multicellulari vengono confusi con una supercella: un attento
esame delle immagini radar chiarirà la tipologia del fenomeno. Nel caso di multicelle di origine
frontale si osserverà un profilo satellitare caratterizzato ancora da struttura circolare, ma con bordi
più allungati nel senso della direzione del vento in quota che permette alle incudini di distendersi
ma esse possono essere confuse con altra nuvolosità generata dal fronte, per cui non saranno
facilmente distinguibili, salvo che per un bianco più brillante rispetto agli altri ammassi annessi.
Poichè il cluster si muove, ogni cellula prende il suo turno come la cella dominante nel cluster: lo
sviluppo di nuove celle può avvenire indifferentemente davanti o dietro al cluster stesso. Ciò
dipende da diversi fattori come l'orografia, flusso alle quote superiori molto teso, direzione
Daniele Longo - 769922304
La meteorologia e la sua terminologia
dell'inflow, presenza di fonti
di vapore acqueo come il
mare, corsi d'acqua piuttosto
estesi (per es. il fiume Po) o
le valli di Comacchio. In linea
di massima le nuove celle si
sviluppano davanti quando il
cluster è di origine frontale o
prefrontale; dietro o sul lato
SW quando il cluster è
originato da gocce fredde in
quota o di matrice orografica
(azione
retroattiva).
Ipotizziamo
un
cluster
originato da una goccia
fredda in quota (il caso più
ricorrente) e che si muova
verso E: nuove cellule si
formeranno
sul
lato
sudoccidentale, ovvero a S, SW o W rispetto al bordo del cluster. Le celle mature si collocano al
centro del cluster, mentre quelle più senescenti si dissipano sul lato nordorientale, ovvero a N, NE o
E rispetto al bordo del cluster. Il Cb principale (celle centrali del cluster) funge da catalizzatore
"succhiando" a sè le nuove celle, per cui le celle periferiche (S, SW o W dello stesso) permangono
adiacenti ad esso. Comunque il "risucchio" delle celle più giovani dipende anche dall'intensità del
Cb principale rispetto alle altre celle in sviluppo: a volte la differenza a livello potenziale non è
molto significativa, per cui più è scarsa la differenza tra individuo principale e le altre celle, meno
queste ultime verranno "pilotate" dalla cella madre. Nel caso della flanking line si presuppone che
essa sia costituita da cumuli congesti in fase di ulteriore sviluppo, ma non ancora allo stadio di Cb
maturi, per cui essa viene facilmente sottoposta al richiamo del Cb principale. Ciò avviene con lo
sviluppo delle nubi cumuliformi del tipo cumuli medi e cumuli congesti: col passar dei minuti uno
di questi cumuli si ingrosserà più degli altri evolvendo in cumulonembo dal quale inizierà a cadere
una colonna di pioggia. Può così partire anche la corrente discendente, ovvero il downdraft con
relativo outflow e gust front: esso può isolare l'aria calda destinata alla cella principale (originaria).
Ecco che allora l'updraft delle celle circostanti si intensifica perchè esse avranno più aria caldo
umida a disposizione, la quale salirà nelle future celle proprio grazie al gust front della cella in fin
di vita; questo finchè un'altra cella diverrà dominante, la quale a sua volta ripeterà il ciclo appena
visto almeno finchè ci sarà aria caldo umida vicino al suolo. Questo meccanismo della
rigenerazione proseguirà per alcune ore con un continuo cambio di struttura nel temporale.
Multicella con 4 torri convettive: la cella più vecchia è la 1 (struttura fibrosa alla sommità indice di
ghiacciamento ormai avvenuto), quella più giovane è la 4 (protuberanze sommitali ancora nette
perchè
costituite
solo
da
acqua
e
non
ghiaccio)
Foto dell'autore (7 giugno 2005, veneziano). In un temporale multicellulare ogni cella si origina 510 km prima del corpo principale (ovvero davanti o dietro il nucleo centrale) e alla destra dello
stesso rispetto alla direzione di spostamento del cluster. Il ritmo di rigenerazione delle nuove cellule
è in media di una ogni 15 minuti e siccome la loro vita è di circa 45 minuti, mediamente in ogni
temporale multicellulare convivono tre cellule, le quali ovviamente avranno diversi stadi di
sviluppo (sviluppo, maturazione, dissolvimento). Questo tipo di evoluzione causa un fatto molto
importante: mentre le singole cellule si muovono con la level-guide, il temporale nel suo insieme
percorre una traiettoria posta alla destra della stessa level-guide con una velocità di 20-25 km/h
ovvero più che doppia rispetto a quella con cui si muovono le singole cellule. La crescita delle celle
sulla destra del cluster è la regola, in quanto si verifica con inflow proveniente grosso modo da SE:
posto che il cluster muova verso E, le nuove celle si sviluppano verso S-SW (all'incirca). Ne risulta
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La meteorologia e la sua terminologia
che l'intera struttura (cluster + nuove celle) si muove verso SE e S piuttosto che verso E. Un caso
insolito si verifica quando un temporale che si muove verso E ha il suo inflow principale grosso
modo sul lato NW. La rigenerazione delle nubi allora avverrà sul lato N del nucleo principale
(ovvero sul lato sinistro rispetto alla direzione di avanzamento); questo sviluppo multicellulare avrà
l'effetto di cambiare la direzione del sistema verso NE e N piuttosto che verso E. Per cui un
osservatore, posto ad E del cluster noterà la cella originaria morente e le cellule più nuove con le
precipitazioni svilupparsi verso N; quindi l'osservatore non verrà colpito dalle precipitazioni
principali. Si comprende quindi che il tasso di crescita e la direzione dell'inflow alla superficie
influenzano angolo e direzione dello sviluppo multicellulare. Questo movimento peculiare delle
multicelle ha confuso e ancora confonde molte persone, come i contadini, i quali pensano che il
temporale "ha cambiato direzione" oppure "sta tornando indietro". Avrete capito che questa
confusione deriva dalle celle più nuove che si sviluppano sul lato posteriore del temporale (nel caso
della goccia fredda): se la rigenerazione delle celle sul lato posteriore è rapida, sembra che la
multicella si muova nella direzione opposta. In ogni caso la deviazione dalla rotta "standard"
avviene sempre sul lato dove c'è lo sviluppo multicellulare e dove c'è l'inflow: il lato dell'inflow è
riconoscibile da nubi basse e scure. Sebbene il sistema multicellulare comprenda celle che vivono
per un periodo non superiore alle celle singole (circa 45 minuti), il cluster persiste per parecchie ore
grazie al fenomeno della rigenerazione: possono quindi verificarsi forti rovesci, specialmente se più
celle mature stazionano sulla stessa area, downburst (oltre 130 km/h), grandine moderata con
dimensioni pari e non superiori a quelle di palle da golf e a volte deboli tornado: questi ultimi sono
più probabili nel settore in cui updraft e downdraft sono molto vicini tra loro.
Tendenza barometrica
E’ la quantità di variazione della pressione in un determinato arco di tempo. Se sulla cartina dove
sono riportate le stazioni meteorologiche, riportiamo l’entità delle variazioni di pressione registrate
durante un periodo di 3 ore, otteniamo una cartina delle tendenze barometriche. Le variazioni
possono essere positive in caso di una aumento della pressione, negativa dovute ad una diminuzione
della pressione e invece nulle se la pressione è rimasta costante. Si può inoltre affermare che il
tempo su alcune località stia cambiando, poiché la pressione è in calo, questo vuol dire che un’area
di bassa pressione si sta spostando verso le zone che hanno registrato una diminuzione della
pressione. La caduta di pressione sarà maggiormente marcata nelle zone interessate direttamente dal
passaggio del minimo, se la variazione è nulla, si può dedurre che il minimo passerà a distanza dal
punto in cui la stiamo misurando. Tendenze barometriche di grande entità fanno presagire un
repentino cambio del tempo con cattive condizioni meteorologiche particolarmente marcate. Se si
congiungono, con delle linee, i punti che hanno registrato la stessa variazione di pressione, si
ottengono le cosiddette isoallobare.
Tornado
I tornado sono vortici depressionari di breve durata dove
i venti possono raggiungere velocità molto elevate,
superiori ai 300400 Km/h e si sviluppano grazie ad una
destabilizzazione molto forte dell’aria e si formano
quando è presente al suolo aria molto calda e afosa mente
in quota l’aria è fredda e secca, si sviluppano da
supercelle con estensione molto ampia. Prima del
sopraggiungere di un tornado il cielo si fa verdino e in
alcuni casi può cadere grandine anche di grosse
dimensioni. Questi fenomeni avvengono essenzialmente
nelle zone pianeggianti degli Stati Uniti e dell'Australia e si sviluppano sotto le grandi nubi
temporalesche (cumulonembi).Un tornado medio ha un diametro di 100200 m, si sposta sulla
superficie terrestre ad una velocità di alcune decine di Km/h e dura pochi minuti. Pur avendo una
breve durata, sono in grado di distruggere tutto quello che incontrano sul loro percorso a causa delle
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La meteorologia e la sua terminologia
violente correnti ascensionali e dei venti fortissimi al loro interno. Sono stati segnalati dei tornado
"mostri", fortunatamente piuttosto rari, con diametri superiori al miglio (circa 1,6 Km) e con durate
uguali o superiori all'ora. La velocità sul suolo oscilla tra i 30 e gli 80 km/h, con punte di 110 Km/h
per cui la zona colpita può essere piuttosto ampia anche nel caso in cui il fenomeno duri pochi
minuti. La caratteristica più impressionante dei tornado è l'elevata velocità del vento che raramente
supera i 400 Km/h, tuttavia qualche esperto ha parlato di punte di 800 Km/h; ma fortunatamente
nella maggior parte dei casi la velocità è inferiore ai 180 Km/h. Ovviamente tali velocità sono
soltanto stimate, non essendoci strumenti in grado di misurarle direttamente e di resistere all'impatto
con tali venti; le stime sono state effettuate dagli esperti in base ad un'attenta osservazione degli
effetti prodotti e delle riprese cinematografiche effettuate. Per lo stesso precedente motivo, mancano
misure esatte della pressione al centro dei vortici; tuttavia sono state stimate diminuzioni di 200
hPa, ossia il 20% del valore normale della pressione atmosferica (si ricorda che 1 hPa = 100 Pascal
e che la pressione normale al livello del mare è 1013 hPa, equivalenti a 760 mm di mercurio.
Daniele Longo - 769922304
La meteorologia e la sua terminologia
U
Umidità
E’ la quantità di vapore acqueo presente nell’atmosfera.
Umidità assoluta
E’ una grandezza data dal rapporto tra la massa di vapore acqueo ed il volume di aria. Si esprime in
grammi di vapore su metro cubo di aria [gv/m3]. L’umidità assoluta non viene comunemente
utilizzata in meteorologia. Infatti una particella di aria che si sposta verticalmente varia il proprio
volume a causa della variazione della pressione atmosferica (si espande se sale, si contrae se
scende). Il valore dell’umidità assoluta può quindi variare anche se il contenuto di vapore acqueo
rimane costante. Si introducono due grandezze che sono indipendenti dal valore del volume
dell’aria ed i cui valori rimangono costanti finchè non si aggiunge o toglie vapore acqueo all’aria
(ovvero non avvengono transizioni di fase)
Umidità specifica q
E’ una grandezza data dal rapporto tra la massa di vapore acqueo e la massa di aria. Si esprime in
[gv/kg].
Rapporto di mescolanza (Mixing Ratio) r
E’ una grandezza data dal rapporto tra la massa di vapore acqueo e la massa di aria secca. Si
esprime in [gv/kg].
Umidità relativa
E’ una grandezza che esprime il rapporto tra la massa di vapore contenuta nell’aria e la massa di
vapore che l’aria conterrebbe se fosse in condizioni di saturazione. Viene espressa in valore
percentuale ed indica quanto ci si discosta dalla condizione di saturazione. Può assumere valori
compresi tra 0% (aria completamente priva di vapore acqueo) e 100% (condizioni di saturazione).
Il valore dell’umidità relativa non fornisce alcuna indicazione sul contenuto effettivo di vapore
acqueo nell’aria. Se la quantità di vapore acqueo rimane costante, un incremento della temperatura
provoca una diminuzione dell’umidità relativa. Una diminuzione della temperatura provoca invece
un aumento dell’umidità relativa. L’aria calda può contenere più vapore acqueo dell’aria fredda.
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La meteorologia e la sua terminologia
V
Velocità verticali
La mappa delle velocità verticali tiene conto dei rilievi per le precipitazioni ed indica le zone in cui
esse saranno più intense (colori tendenti al viola ed associati anche al rosso).
Dove il colore invece va dal blu associato al viola viene indicato foehn dove le precipitazioni
saranno assenti o poco probabili.
La mappa va associata alla mappa dell'umidità relativa per localizzare le zone delle precipitazioni
Vento
Il vento è lo spostamento di una massa d'aria da una zona dove la pressione atmosferica è maggiore
ad una dove è minore. Trovandosi ai margini di una depressione
il vento spirerà da sud / sud-ovest, se invece ci si trova nella
stessa zona con un vento alle spalle che giunge da sud, secondo
la legge di Buys Ballot, la depressione si troverà davanti a
sinistra rispetto alla nostra posizione. Normalmente la velocità
del vento aumenta con la quota. I venti si distinguono in base
alla loro provenienza e viceversa conoscendo la loro provenienza
si può arrivare a riconoscere il vento che sta spirando. Si
definiscono così la Tramontana proveniente dal Nord, il Grecale
da Nord-est, il Levante da Est, lo Scirocco da Sud-est, il
Mezzogiorno che spira da Sud, il Libeccio da Sud-ovest, il
Ponente da Ovest, infine il Maestrale da Nord-ovest. La forza di
coriolis è una di quella forze presenti nel nostro pianeta, a causa della rotazione della Terra, essa è
tanto maggiore, maggiore è la velocità dei corpi, la forza di coriolis inoltre è nulla all’equatore e
massima ai poli. L’intensità del vento è data dalla grandezza della variazione di pressione rispetto
ad una certa distanza. Le isobare molto fitte corrispondono ai fianchi molto ripidi di una montagna,
per cui la forza che induce il vento a muoversi sarà molto intensa. La variazione di pressione in uno
spazio definito prende il nome di gradiente barico: più
le isobare sono vicine, più alto sarà il gradiente barico e
più intensa sarà la velocità del vento. Generalmente le
isobare si presentano più ravvicinate presso le basse
pressioni, mentre nelle zone di alta sono più distanti
l’una dall’altra, a dimostrazione che quando ci si trova
in regime di alte pressioni, i venti sono deboli e talvolta
assenti. La variazione di Hpa fino a 300 metri è stimata
nella diminuzione di 1 Hpa ogni 10 metri. Il vento raggiunge in genere la minima intensità all'alba,
quando il rafforzamento delle inversioni termiche da irraggiamento notturno ostacola sia le brezze
che il rimescolamento con gli strati superiori. Un improvviso mutamento della direzione del vento
indica un cambiamento delle condizioni meteorologiche. Se le nuvole alle varie quote si muovono
in direzioni opposte questo indica venti diversi a differente altitudini ed è un indizio di
peggioramento della situazione. Un’improvvisa variazione delle velocità o della direzione del vento
viene definita “wind – shear”.
Simbolo
Velocità
km/h
Calma
1–5
6-13
14-22
23-31
32-40
Nome
Calma
Bava di
vento
Brezza
leggera
Vento
moderato
Vento
teso
Vento
fresco
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86-94
192-198
Tempesta Uragano
La meteorologia e la sua terminologia
Ecco una immagine indicante tutti i venti che soffiano nel mediterraneo
Il Maestrale
E’ un flusso d'aria fredda da NW, di origine atlantica che, incanalandosi tra i Pirenei, il Massiccio
Centrale e le Alpi sfocia, aprendosi a ventaglio, sul Golfo del Leone. Le condizioni classiche che lo
generano sono la presenza di una zona di alta pressione a SW della Francia; una depressione che
interessa il Mediterraneo Centro Occidentale, la cui posizione condiziona la zona di mare
interessata dal Maestrale. Il Maestrale soffia infatti a occidente della depressione, tanto più forte,
quanto più importanti sono le differenze dei valori di pressione tra la zona anticiclonica, di cui
sopra, e la depressione sulle regioni tirreniche. Ciò che rende temibile questo vento, oltre alla forza
con la quale può soffiare, e' la rapidità con cui spesso irrompe al passaggio del fronte freddo. Le
zone dove il Maestrale in genere è più violento sono la foce del Rodano, Capo Corso e le Bocche di
Bonifacio; poiché il vento risulta incanalato ed accelerato dai rilievi. Ciò che lo distingue in
particolare dagli altri venti occidentali è il suo carattere di aria fredda.
Il Maestrale o Mistral può essere suddiviso in quattro tipi a seconda delle caratteristiche e delle
condizioni scatenanti.
Il Mistral generalizzato
E’ un flusso da NW che interessa tutta l'Europa Occidentale e il Mediterraneo ed é più frequente in
inverno e primavera. In questo caso si può osservare una vastissima zona depressionaria sull'Europa
Centrale e un promontorio di alta pressione che dalle Azzorre si estende sino alla Spagna. Nelle
zone solitamente più esposte al Mistral si possono verificare in queste condizioni burrasche forti e
persistenti.
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La meteorologia e la sua terminologia
Il Mistral bianco
E’ quello più caratteristico e conosciuto in quanto soffia in particolare durante la bella stagione. Il
cielo e' terso, l'aria secca e trasparente, é il caso di un fronte freddo che penetra nel Mediterraneo,
con un flusso di aria fredda sul Golfo del Leone e la classica formazione di una depressione sul
Tirreno Settentrionale.
Il Mistral nero
Il cielo coperto da nubi basse, i frequenti rovesci e temporali sono tipici di un flusso d'aria fredda di
origine polare marittima da NW. E’ caratterizzato dal passaggio di successivi fronti freddi che si
spostano dalla Francia da NW verso SE. Al passaggio di ogni fronte il tempo sembrerebbe
migliorare, ma fino a che non si osserva un importante e graduale rialzo del valore di pressione sulle
zone tirreniche, il flusso del vento da Maestrale non si attenua.
Il Mistral locale
Soffia moderatamente sulla parte Nord del Golfo del Leone quando il tempo non e' perturbato e le
differenze di pressione tra le zone tirreniche e le regioni dell'Europa più a occidente sono deboli. Le
depressioni sottovento alle catene montuose sono tra le condizioni associate all'instaurarsi del forte
vento da Maestrale per il quale vi è la formazione di una depressione sul Tirreno determinata dallo
sbarramento opposto al vento dalle Alpi. In genere un regime di vento da Maestrale determina, sulla
parte Nord Occidentale del Mediterraneo, due vere e proprie regioni meteorologiche (idealmente
separate dalla zona di Tolone, all'incirca in corrispondenza del 6° di Longitudine Est). Ad W di
Tolone la pressione aumenta, la temperatura scende di qualche grado e l'umidità diminuisce; ad Est
di Tolone la pressione cala, il cielo si vela di cirrostrati e l'umidità sale. La circolazione ciclonica
dei venti nella zona depressionaria fa si che spesso si osservino venti dal II quadrante sulla parte
orientale del Mar Ligure e venti dal I quadrante sulla zona occidentale.
La Tramontana
La Tramontana è un vento freddo settentrionale. Sul Mar Ligure spira in prevalenza durante il
periodo invernale e può soffiare con violenza soprattutto allo sbocco delle valli. Può presentarsi a
cielo sereno, in regime anticiclonico (Tramontana chiara) o con cielo nuvoloso e precipitazioni
quando e' associata ad un sistema perturbato (Tramontana scura). Può irrompere con rapidità,
annunciata dal repentino calo della temperatura o da un improvviso interrompersi della brezza di
mare. La Tramontana forte può seguire ad un forte maestrale sul Tirreno, od essere associata ad un
flusso da Bora (NNE) sull'Adriatico specie in inverno.
La Bora
E’ tra i venti più violenti del Mediterraneo. Si usa differenziare la Bora scura, associata a rovesci,
grandine, neve e ad una riduzione della visibilità, dalla Bora chiara caratterizzata dai locali cumuli
sui rilievi e cielo sereno sul mare. Esempio di configurazione barica che determina venti dal I
quadrante sull’ Adriatico Settentrionale e Tirreno Centro-Settentrionale. Un passo da Bora può
essere dovuto ad un esteso anticiclone sull’ Europa Centro Orientale.
Il Grecale
Quando soffia sullo Ionio in genere e' causato da un'alta pressione sulla Penisola Balcanica e da una
bassa pressione sul Mar Libico Sul Tirreno può avere un carattere più locale ed essere generato da
una zona di alta sull'Europa Centrale ed un minimo. anche relativo, su Spagna o Baleari. Un buon
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La meteorologia e la sua terminologia
segno premonitore sulle coste occidentali della nostra Penisola, dell'imminente vento da NE e'
l'importante diminuzione del valore di umidità relativa.
Lo Scirocco
Lo Scirocco c un vento caldo e umido, da SE. associato a nuvolosità e piogge. é comunque generato
da un sistema depressionario sul Mediterranco rispetto al quale spira sulla parte orientale. é più
frequente in primavera e autunno. E’ legato ad una diminuzione della visibilità, a un forte aumento
dell'umidità (80-90' ) e a un aumento della temperatura mentre, la pressione diminuisce. Spesso la
pioggia dello Scirocco e' carica di sabbia trasportata per centinaia di chilometri dalle zone aride
dell'Africa. A seconda delle zone interessate dalla depressione, lo Scirocco infatti soffia sui mari a
Est o ad Ovest della nostra Penisola, convogliando aria calda e umida proveniente dalle coste
africane. Anche in questo caso, lo Scirocco e' annunciato dall'aumento del moto ondoso e dalla
risacca che si crea in numerosi porti; si potrà inoltre osservare che le nubi basse, cariche di umidità,
viaggiano veloci da SE verso NW.
Il Libeccio
E’ un vento da SW provocato, in genere, dall'entrata di una perturbazione atlantica nel bacino
Mediterraneo. Può soffiare durante tutto il corso dell'anno, anche se statisticamente è più frequente
in autunno ed inverno. Sul Tirreno Settentrionale e sul Mar Ligure, il Libeccio e' quasi sempre
preceduto da venti sciroccali, il consueto crollo del valore della pressione e il conseguente
peggioramento del tempo. Con il Libeccio in genere, le piogge si attenuano.
Levante
Il levante è un vento caldo da est / nord-est, che spira dal Canale di Alboran e viene incanalato
verso lo stresso di Gibilterra. Le regioni interessate sono quindi la costa sudorientale spagnola,
Gibilterra e il Golfo di Cadice. In genere tranquillo vento umido di brezza sulla costa sudorientale
spagnola e le Baleari, il levante va ad interessare come vento talvolta fino a burrasca anche la prate
orientale del Golfo di Cadice. Dal punto di vista sinottico, il levante può originarsi in tre modi
diversi:
1. alta pressione sull’Europa occidentale e bassa pressione a SW di Gibilterra in Atlantico e a
sud di Gibilterra sul Marocco
2. cellula di alta pressione sulle Baleari
3. fronte freddo in avvicinamento da ovest verso lo stretto di Gibilterra
Può avere luogo in ogni momento dell’anno, ma è più frequente da luglio ad ottobre e in marzo.
Ponente
Il Ponente soffia specialmente d'inverno dall'Atlantico. E’ un vento che spira da Ovest. Vento
estivo, fresco e pomeridiano, la sua influenza è sentita sul Tirreno e sull’Adriatico centromeridionale.
Mezzogiorno
E’ un vento umido e caldo che spira da Sud portare di piogge. I suoi effetti sul clima italiano sono
piuttosto deboli e poco sensibili. Il Mezzogiorno (ostro) è a volte identificato col Libeccio e con lo
Scirocco ai quali è simili in termini di effetti.
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La meteorologia e la sua terminologia
Visibilità
La visibilità concessa dal tempo meteorologico, misurabile in metri o km viene espressa appunto in
base a quanti metri di distanza in profondità, si riesce a guardare.
Il grado di visibilità viene suddiviso in 5 sotto-categorie:





visibilità ottima
visibilità buona
visibilità scarsa
visibilità cattiva
visibilità pessima
:
:
:
:
:
maggiore di 2000 mt.
tra 1800 mt. e 1200 mt.
tra 1800 mt. e 400 mt.
tra 400 mt. e 100 mt.
inferiore a 100 mt.
Gradi d’intensità
Definizione
Da mt. A mt.
I
foschia
330
1200
II
nebbia rada
150
330
III
nebbia moderata
50
150
IV
nebbia fitta
20
50
V
nebbia fittissima
10
20
VI
muro di nebbia
0
10
Vorticità
La vorticità può essere intuitivamente vista come la rotazione, lo spin di un fluido. Per convenzione
è positiva la vorticità di un fluido che ruota in senso antiorario (ciclonico), negativa se la rotazione
avviene in senso orario (anticiclonico). La vorticità viene quindi individuata da isoipse curve e in tal
caso è tanto maggiore quanto più è accentuata la curvatura. Inoltre si genera vorticità anche a causa
di shear di vento, ovvero quando l'intensità del vento varia nella direzione perpendicolare al vento
stesso (vedi figure). La somma di questi due contributi si chiama vorticità relativa. Un ultimo
contributo alla vorticità è legato alla rotazione terrestre. Questo contributo, noto come vorticità
planetaria, è massimo ai poli e nullo all'equatore. Una massa d'aria che si muove verso il polo nord
aumenta la sua vorticità planetaria. Vorticità relativa e planetaria si sommano per dare la vorticità
assoluta.
Nel caso di un ciclone, la vorticità è generata sia dal flusso che ruota in senso antiorario, sia dal
fatto che il vento aumenta di intensità allontanandosi dal centro, quindi generando uno shear che
produce vorticità positiva. Il contrario avviene negli anticicloni.
Vorticità, convergenza, divergenza e moti verticali fanno parte dello stesso meccanismo dinamico
alla base dei moti in atmosfera. Infatti quando si ha convergenza al suolo (ad esempio dovuta alla
divergenza in quota come visto prima o al riscaldamento dell'aria vicino al suolo che produce un
calo di pressione) a causa della forza di Coriolis il flusso viene deviato verso destra. Ne consegue
che laddove ci sia convergenza il moto venga ad avere una rotazione antioraria, ovvero vorticità
ciclonica (positiva). A questa circolazione è associato poi un moto verticale ascendente. Ecco
spiegato quindi, in modo semplice, la dinamica di un ciclone. Al contrario, nel caso di divergenza al
suolo, la forza di Coriolis produrrà vorticità anticiclonica (negativa), si avranno moti verticali
discendenti e convergenza nell'alta atmosfera.
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La meteorologia e la sua terminologia
W
Wejkoff
Il ponte di Wejkoff è un ponte Anticiclonico che si forma, non molto spesso purtroppo, tra Oceano
Atlantico e tra le steppe Russe/Siberiane. Come detto, intorno ai centri di alta pressione, le correnti
ruotano (nell'emisfero Nord) in senso orario, e quindi quando avviene la fusione tra Anticiclone
Azzoriano ed Anticiclone Russo/Siberiano, si viene a formare un lunghissimo ponte Anticiclonico
che permette l'arrivo di masse d'aria molto fredde sull'Europa e sul Mediterraneo, direttamente dalla
Siberia. E’ la configurazione che ha causato le irruzioni storiche che tutti ricordiamo, come, ad
esempio (le più recenti) nel 1991 e nel 1996.
Westerlies
La circolazione generale dell’atmosfera è caratterizzata dalla presenza di tre celle convettive (per
ciascun emisfero) che si generano a causa della differenza di temperatura tra polo ed equatore e per
effetto della deviazione delle correnti indotta dalla forza di Coriolis.
Senza l’azione della forza di Coriolis (che insorge per effetto della rotazione terrestre intorno al
proprio asse), lo scambio termico avverrebbe lungo la direzione dei meridiani, dalle zone
equatoriali alle zone polari, ristabilendo in tal modo l’equilibrio termico planetario. La presenza
della forza di Coriolis, provoca invece la deviazione verso destra (nell’emisfero boreale, a cui
faremo riferimento) delle correnti; tale deviazione diventa sempre più importante all’aumentare
della latitudine, assumendo valore nullo all’equatore e massimo ai poli.
Le correnti vengono quindi deviate progressivamente dal loro percorso N-S (dall’equatore verso il
polo) e già intorno ai 30°di latitudine assumono definitivamente direzione O-E.
Le correnti in quota hanno quindi direzione occidentale (correnti occidentali o westerly); tale
direzione però impedisce gli scambi termici tra i poli e l’equatore provocando un progressivo
riscaldamento all’equatore ed un progressivo raffreddamento ai poli.
In tale situazione, intorno ai 30° e 60° di latitudine, si vengono a creare forti variazioni di
temperatura, responsabili dell’insorgere di forti gradienti orizzontali di pressione e formazione di
venti molto intensi noti come correnti a getto (o jet streams). Intorno ai 30° di latitudine si forma la
corrente a getto sub-tropicale, mentre intorno ai 60° di latitudine quella polare.
Le correnti a getto scorrono all’interno delle correnti occidentali; la più importante e persistente è
quella polare, caratterizzata da velocità mediamente comprese tra i 150-250 km/h, larghezza 150Daniele Longo - 769922304
La meteorologia e la sua terminologia
500 km, lunghezza 3-8 km, spessore 3,5 km.
Le massime velocità si raggiungono nel cuore della corrente (detto asse o core), situato mediamente
intorno ai 10 km di quota (in prossimità della tropopausa).
La direzione e l’intensità delle correnti a getto viene generalmente indicata sulle carte a 300 hPa
(circa 9.000 m di quota). Su queste carte la velocità delle correnti è evidenziata mediante le isotache
(linee che uniscono i punti con uguale velocità del vento); isotache con valori maggiori di 60-70
nodi indicano la presenza della corrente a getto.
Il progressivo incremento della differenza di temperatura lungo i paralleli, provoca l’aumento del
gradiente di pressione e quindi della velocità delle correnti occidentali; in tal modo si assiste alla
formazione delle correnti a getto.
A causa di forzati ed improvvisi rallentamenti, la corrente a getto modifica bruscamente la sua
traiettoria cominciando ad oscillare lungo i meridiani. I rallentamenti della corrente sono
principalmente legati alla presenza di ostacoli orografici o all’alternanza tra oceano e continente, in
grado di modificare il gradiente orizzontale di pressione.
Le ondulazioni che si generano (onde di Rossby) tendono ad amplificarsi fino ad estendersi verso le
zone equatoriali e polari ed hanno lunghezza d’onda dell’ordine di 4.000-10.000 km
Le onde tendono ad allungarsi progressivamente lungo i meridiani, formando nelle parti terminali,
dei vortici che possono essere di due tipi:
1. vortici pieni di aria calda a circolazione anticiclonica in corrispondenza delle alte latitudini:
(anticicloni di blocco);
2. vortici pieni di aria fredda (gocce fredde) in corrispondenza delle basse latitudini:
In questo modo la natura ristabilisce l’equilibrio termico a livello planetario.
Il flusso delle correnti occidentali viene generalmente indicato come flusso zonale e la sua intensità
è caratterizzata dalla differenza di pressione orizzontale esistente tra i 35° e 55° di latitudine. Tale
differenza viene definita indice zonale. Più l’indice zonale è alto, maggiore sarà la velocità delle
correnti occidentali e conseguentemente la possibilità della formazione di ondulazioni. Viceversa,
bassi valori dell’indice zonale bassi indicano che le correnti occidentali sono molto deboli.
In seguito alla formazione delle ondulazioni, le correnti rallentano bruscamente portando alla
scomparsa delle correnti a getto. Se le correnti occidentali rimangono deboli, si possono creare
situazioni di blocco con permanenza delle ondulazioni per diverso tempo. Le onde hanno una durata
media di circa 2-3 settimane e la loro propagazione può essere espressa dalla seguente relazione:
C = U – 0,4 L2
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La meteorologia e la sua terminologia
U indica la componente media della velocità della corrente lungo la direzione occidentale, espressa
in m/s
L e la lunghezza d’onda, espressa in migliaia di km
La stazionarietà dell’anticiclone di blocco genera una situazione di blocking; ad esempio il blocking
dell’anticiclone delle Azzorre provoca la deviazione delle perturbazioni atlantiche verso le alte
latitudini, favorendo condizioni di bel tempo sull’Italia per lunghi periodi di tempo.
Viceversa la stazionarietà di una goccia fredda nei pressi della nostra penisola, può anche provocare
forti condizioni di maltempo.
Wind shear
Lo wind shear è la variazione di velocità ed intensità del vento con la quota: è una particolare
circolazione atmosferica, favorita da infiltrazioni fresche in quota, che dà l’impressione di vedere le
nubi convergere da direzioni diverse.
Se il vento salendo di quota proviene da direzioni che ruotano gradualmente in senso orario
esempio SE al suolo, SW a 1500 metri e W a 5000 metri avremo una rotazione all’interno della
cella temporalesca in senso antiorario in grado di “stimolare” la salita dell’aria; oppure si piò dire
che il vento in quota deve provenire dalla sinistra rispetto alla direzione del vento che si trova nello
strato inferiore: è lo wind shear positivo. Se invece il profilo verticale del vento è contrario a quello
sopra (vento in quota che proviene dalla destra rispetto a quello negli strati inferiori) avremo wind
shear negativo che scoraggia i moti verticali a meno che non ci sia un gradiente termico verticale
notevole.
Se lo wind shear positivo è un minimo, ovvero se ci sono piccoli cambiamenti nella direzione e
velocità del vento su una breve distanza verticale, saranno favoriti i sistemi multi cellulari e in
genere tutti i comuni temporali ad asse verticale: è il caso di un debole inflow alla base e quindi di
un outflow eccessivamente intenso che spingerà il gust front per parecchi km avanti raffreddata su
una zona molto estesa intorno al temporale: l’updraft non durerà a lungo anche perché le
precipitazioni cadranno attraverso lo stesso updraft. In parole povere, updraft e downdraft sono
molto vicini tra di loro e quindi si “disturbano” a vicenda.
Se invece lo wind shear è maggiore il temporale avrà updraft decisamente più longevi e il Cb salrà
sempre più di quota: è il caso di forti inflow alla base della nube i quali “manterranno” il gust front
vicino al nucleo temporale, quindi il Cb disporrà della sorgente di aria caldo-umida per più tempo e
l’updraft non sarà invaso dalle precipitazioni, in quanto esse cadranno dalla sommità dell’updraft
stesso e non attraverso esso. In questa situazione sono di gran lunga favorite le supercelle e in
generale tutti i temporali ad asse obliquo in cui l’asse dell’updraft è per l’appunto obliquo.
Le celle temporalesche presentano asse obliquo quanto le correnti in quota ( tra 6 e 10 km circa)
sono molto intense, per esempio in una corrente a getto: la parte superiore delle celle (incudini)
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viene così portata a notevole distanza rispetto alla base, assumendo struttura molto inclinata; se in
quota i venti sono molto forti è intuitivo che a quell’altezza sfugge molto più aria rispetto al flusso
presente nei bassi strati e la corrente ascensionale spesso non è in grado di colmare il deficit di
flusso che si viene a creare: a questo punto l’unico sistema possibile per ricreare l’equilibrio è
un’intensificazione del richiamo di aria dal basso che si traduce in una corrente ascensionale più
forte.
Si originano così forti temporali; inoltre quando i downdraft arrivano al suolo essi conserveranno
una certa quantità di moto che avevano quando l’aria che li costituisce era ad alta quota: si possono
così originare raffiche violentissime ben oltre i 100 km/h a causa della forza di gravità sommata alla
quantità di moto con danni notevoli e alle quali spesso viene erroneamente attribuita la definizione
di tornado o tromba d’aria.
I temporali ad asse obliquo si possono vedere anche a occhio nudo con un po’ di fortuna se non ci
sono nubi basse in ostacolo e si presentano con le incudini visibili molto prima che sopracciunga il
corpo centrale della cella ( da non confondere col temporale in dissolvimento). Al satellite
assumono una forma più lineare che tondeggiante ( a differenza dei comuni temporali ad asse
verticale) dovuta alla notevole distensione dell’incudine operata dai forti venti in quota.
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Z
Zero termico
Il livello dello zero termico (FZL, freezing level) individua l'altitudine al di sotto della quale la
temperatura dell'aria passa da valori negativi a valori positivi. In meteorologia aeronautica il FZL
assume una notevole importanza per diverse ragioni:
 Individuazione della quota al di sopra della quale inizia il rischio di ghiacciamento
 Analisi della possibilità che le nevicate giungano al suolo
 Riconoscimento delle condizioni favorevoli alla pioggia congelata
Zero assoluto
Lo zero assoluto è la temperatura più basse che teoricamente si possa ottenere in qualsiasi sistema
macroscopico, e corrisponde a 0 K (-273.15 °C; -459,67 °F). Si può mostrare con le leggi della
termodinamica che la temperatura non può mai essere esattamente pari allo zero assoluto, anche se
è possibile raggiungere temperature arbitrariamente vicino ad esso. Allo zero assoluto le molecole e
gli atomi di un sistema ha il minor quantitativo possibile di energia cinetica permesso dalle leggi
della fisica. Questa energia minima corrisponde all’energia di punto zero, prevista dalla meccanica
quantistica per tutti i sistemi che abbiano un potenziale confinante.
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La meteorologia e la sua terminologia
APPENDICE
01
Le nubi temporalesche
21
02
L’interpretazione dei Modeli
11
03
Il Clima (mondiale - europeo - italiano - varesino)
11
04
-
05
-
06
-
07
-
08
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09
-
10
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11
-
12
-
13
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14
-
15
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16
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17
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19
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20
-
21
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22
-
23
-
Totale pagine – 43
Totale argomenti - 03
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La meteorologia e la sua terminologia
Le nubi temporalesche
1. Le correnti convettive
Le nubi temporalesche hanno la peculiarità
di svilupparsi in senso verticale grazie alle
correnti convettive, ovvero mediante flussi
d’aria ascendenti e discendenti a differente
temperatura e umidità. Ciò è possibile grazie
al sole che riscalda il terreno e gli strati
d’aria subito sopra lo stesso. Il suolo infatti
non è omogeneo in quanto esistono zone che
assorbono in misura diversa la radiazione
solare: parcheggi, strade, campi arati si
riscaldano più facilmente rispetto a distese
innevate, al mare o ai boschi.
In tal modo si creeranno delle bolle di aria
più calda negli strati prossimi alla superficie
terrestre: sono le cosiddette “termiche” o
“celle convettive” che, essendo più leggere
dell’aria circostante, saliranno verso l’alto, si espanderanno grazie alla minor pressione rispetto a
quella del suolo e subiranno un raffreddamento che ad una certa quota porterà alla condensazione
del vapore acqueo contenuto nella massa in ascesa.
Processi di condensazione in un fractocumulo
Il processo della condensazione comporta la liberazione di “calore latente” che andrà in parte a
riequilibrare la perdita di calore dovuta all’espansione, quindi da quel momento l’aria in ascesa si
raffredderà in misura minore. E’ a questo punto che interviene il fattore “instabilità” poiché l’aria
che sale nella nube sarà ulteriormente più calda di quella circostante e subirà un’ulteriore spinta
ascensionale; maggiore umidità nell’aria significa maggior energia a disposizione per i temporali in
quanto a parità di tempo condenserà una maggior quantità di vapore.
Il livello di condensazione è chiaramente indicato dalla base piatta dei Cumulonembi (abbreviato in
Cb) o dei Cumuli (abbreviato in Cu) che sono le nubi a sviluppo verticale per eccellenza: maggiore
è il contenuto in umidità dell’aria, minore
sarà la quota di condensazione poiché
sarà necessario un minor raffreddamento
della stessa per portarla alla saturazione
ovvero al punto in cui essa non è più in
grado di ospitare altro vapor acqueo il
quale quindi comincerà a condensare
rendendo visibile la nube.
La base piatta di un cumulo imponente
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La meteorologia e la sua terminologia
La nube allo stadio iniziale di sviluppo avrà ancora un aspetto innocuo di un cumulo largo alcuni
chilometri; tuttavia, l’accelerazione delle correnti verticali dovuta alla condensazione origina un
risucchio d’aria dall’ambiente, sia dai lati della nube sia da sotto la stessa base nuvolosa: questa
corrente caldo-umida che alimenta dal basso la nube si chiama inflow ed è quella che poi diverrà la
corrente ascensionale all’interno della nube, denominata updraft.
Splendido updraft
Ad un certo punto l’updraft, una volta giunto a grandi quote (10-12 km), a causa del calore liberato
nella fase di condensazione, si raffredda notevolmente diventando così più pesante dell’aria
circostante e precipita. Dall’incudine nascono così le correnti discendenti interne alla nube,
denominate downdraft, in cui parte delle goccioline sopraffuse (cioè allo stato liquido pur in
ambiente sottozero) evaporano in quanto scendendo trovano strati d’aria sempre più caldi e a
maggior pressione atmosferica.
Evidente downdraft con la banda di pioggia e grandine
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La meteorologia e la sua terminologia
Il fenomeno dell’evaporazione porta al raffreddamento della massa d’aria in cui si trovano queste
goccioline: ecco quindi che l’aria fredda della corrente discendente si raffredda ancor di più, dato
che essa fornisce il “calore latente di evaporazione” necessario perché avvenga il passaggio di stato,
e accelera così il suo moto di discesa raggiungendo le massime velocità proprio in prossimità del
suolo, dove le correnti fredde si aprono a ventaglio propagandosi orizzontalmente in maniera
turbinosa: questa è la corrente chiamata outflow che costituisce il “gust front” di un temporale,
meglio conosciuto come “linea dei groppo” o “fronte delle raffiche”.
Gust front
Questo mini fronte freddo solleva bruscamente l’aria calda che sta davanti alla stessa cella
temporalesca prolungandone generalmente la durata: può accadere che l’aria calda preesistente al
suolo sollevata dal gust front incontri nella fase di ascesa dell’altra aria fredda in quota (es. goccia
fredda). La contemporanea presenza di aria fredda al suolo, che svolge azione di spinta, e di aria
fredda in quota, che svolge azione di risucchio, può dare il via a fenomeni temporaleschi di
rilevante intensità.
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La meteorologia e la sua terminologia
2. Strutture temporalesche
a) Cella singola: è la forma più semplice di temporale e attraversa gli stadi di sviluppo,
maturazione e dissolvimento senza creare altre celle; si nota ad occhio nudo come un singolo
cumulonembo dotato di un'unica e grossa protuberanza prima che questo formi l’incudine. E'
difficile prevederne l'insorgenza, perchè queste si sviluppano in momenti e luoghi apparentemente
casuali e in maniera disorganizzata: essendo temporali ad asse verticale, updraft e downdraft
interferiscono fra di loro quindi raramente superano la mezz’ora di vita.
Cella singola in evoluzione a multicella
1. incudine vecchia
2. incudine più giovane
b) Cluster di multicelle: il temporale attraverserà fasi più deboli e fasi più intense date dalla
rigenerazione delle singole celle che, nel loro insieme, costituiscono il temporale a multicella
(cluster). Dal vivo vedremo una successione di torri crescenti in quanto ogni torre matura si eleva
verso
l’alto
formando
l’incudine e produrrà il
downdraft e conseguente
outflow che innescherà lo
sviluppo di una nuova cella
poco distante e così via. Lo
sviluppo di nuove celle può
avvenire indifferentemente
davanti o
dietro al cluster stesso: in
genere le nuove celle si
sviluppano davanti quando
il cluster è di origine
frontale o prefrontale;
dietro o sul lato SW
quando
il
cluster
è
originato da aria fredda in
quota o è di matrice orografica. E' il più comune tipo di temporale ed è individuabile dal satellite
per la forma tondeggiante o a grappolo.
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La meteorologia e la sua terminologia
c) Linea di multicelle: è conosciuta anche come squall line o linea di groppo e rappresenta il "salto
sinottico" di vento al passaggio di un fronte freddo in cui le correnti umide meridionali prefrontali
vengono sostituite da aria fredda postfrontale dal quadrante nordoccidentale. L'allineamento dei Cb
è favorito dal fronte freddo avanzante e questi ne seguono fedelmente l'orientamento specialmente
se il cuneo freddo è ben definito e giovane.
Nelle ore di luce la linea di groppo appare come un muro di Cb avanzanti che ricordano un lungo
sistema di temporali multicellulari. Lo sviluppo delle celle avviene nell'estremità S della linea, il
dissolvimento nell'estremità N e in mezzo a queste due estremità c'è un'enorme incudine che si
estende davanti ai corpi verticali dei cumulonembi.
d) Supercella: si tratta di un sistema di correnti ascendente e discendente su vasta scala in cui la
prima è dotata di moto rotatorio (updraft rotante) e conosciuta col termine di mesociclone che è un
ciclone in miniatura con diametro di alcune decine di km. La supercella, per certi versi, può essere
considerata come un’enorme cella singola provvista al suo interno di una corrente ascensionale
rotante in senso antiorario (nel nostro emisfero). E’ il tipico temporale foriero di tornado e la sua
formazione presuppone un forte gradiente termo-igrometrico verticale (aria caldo-umida al suolo,
aria fredda e secca in quota), forti venti in quota e uno spiccato wind shear verticale positivo.
La supercella può essere provvista di una "flanking line", cioè una linea di cumuli medi e cumuli
congesti (prodotti dall'outflow della supercella) che si estende verso l'esterno dal settore SW della
supercella stessa.
Supercella vista al satellite: si noti l’overshooting top e la flanking line
Oltre al mesociclone, le supercelle differiscono dalle normali celle per via delle correnti discendenti
che, invece di divergere all'esterno del temporale come outflow, vengono in parte richiamate
all'interno del Cb ad opera del mesociclone portando così alla formazione della "wall cloud".
Inoltre, la forte convergenza presente sia davanti sia dietro alla supercella ne rallenta di molto il
movimento traslatorio: i temporali a supercella possono rimanere bloccati per ore in zone
geografiche precise prima di spostarsi o attenuarsi.
e) Sistemi convettivi a mesoscala (MCS-MCC): differiscono dalle supercelle per il fatto che
nascono sempre dall'unione di diversi elementi temporaleschi, mentre la supercella è intesa come
unico individuo; dopodiché le differenze riguardano la fenomenologia, che sarà sempre più
importante nelle supercelle, benché MCS-MCC possano causare danni e rischi alluvionali.
MCS (Mesoscale Convective System): è un sistema temporalesco di dimensioni spaziali
alquanto limitate e costituito da diverse celle ravvicinate tra loro in diversi stadi evolutivi;
generalmente persiste per diverse ore e può percorrere molti km alquanto attivo supportato dal
continuo ricambio tra celle in dissoluzione e celle giovani in formazione grazie al noto fenomeno
della rigenerazione.
Un MCS può essere lineare oppure circolare: in quest’ultimo caso si tratterà di un cluster generato
da semplici avvezioni di aria fredda in quota senza un transito frontale vero e proprio. In sostanza
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La meteorologia e la sua terminologia
si tratta di linee o cluster temporaleschi piuttosto intensi e duraturi; in Pianura Padana sono
sistemi abbastanza frequenti ogni qualvolta vi sia un ingresso frontale ben definito.
MCC (Mesoscale Convective Complex): si può definire come un sistema di diversi MCS
ravvicinati tra loro e alquanto vigorosi oppure un grande MCS. Gli MCC, visti al satellite, sono
generalmente di forma tondeggiante od ovale e ricoprono aree geografiche piuttosto vaste
(indicativamente da 50 km fino ad alcune centinaia di km). Possono durare molte ore e scaricare
enormi quantità di pioggia con rischio di eventi alluvionali, essendo sistemi ad elevato potenziale
(più frequenti negli Stati Uniti). Volendo semplificare si pongono a metà strada tra gli MCS e le
supercelle, ma come potenziale sono molto più vicini alle seconde che non ai primi.
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3. Le nubi cumuliformi
Le nubi cumuliformi vengono usualmente distinte in 2 generi (Cumulus -Cu- e Cumulonimbus -Cb)
e in 6 specie. Il genere Cumulonimbus identifica le nubi temporalesche.
a) Cumulus fractus: conosciuti come fractocumuli o fractus; sono brandelli di nubi basse e
sfilacciate in continua evoluzione sotto la base del temporale e sono originati dall’aria caldo umida
dell’inflow che va a contrastare con le correnti discendenti più fredde e secche del downdraft.
Denotano quindi l’attività convettiva in corso all’interno della cella temporalesca: si tratterà di
temporali relativamente giovani che possono essere di una certa intensità.
Fractus alla base di un temporale
I fractus tendono ad allontanarsi dall’area delle precipitazioni perché trasportati verso l’esterno dalle
correnti di outflow; se invece salgono verso l’alto indicano l’imminente formazione di un nuovo
updraft, se ruotano potrebbero tradire la presenza di un mesociclone.
b) Cumulus humilis: comunemente detti "cumuli di bel tempo" con dimensioni ridotte. I cumuli di
bel tempo si presentano come piccoli banchi bianchi, sparsi e con contorni ben netti. Si osservano
con tempo bello e tipicamente si formano nella mattinata, raggiungono il loro massimo sviluppo
nelle ore pomeridiane e svaniscono in serata. Se invece permangono anche di sera e di notte
possono indicare l'instaurarsi di condizioni ideali per lo sviluppo di temporali.
Cumuli di bel tempo
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c) Cumulus mediocris: ovvero cumuli medi, di estensione moderata e senza protuberanze
sviluppate. Possono avere una base scura ma non originano precipitazioni di rilievo. Rappresentano
una "via di mezzo" tra i cumuli di bel tempo e i cumuli congesti.
Cumuli medi
d) Cumulus congestus: ovvero cumuli congesti o imponenti con protuberanze marcate e sviluppate
di aspetto soffice (non fibroso); se ci sono le condizioni adatte i congesti continuano lo sviluppo per
diventare cumulonembi. Nel cumulo congesto non ci sono elettrometeore (fulmini, lampi): se queste
si presentano, bisogna necessariamente classificare la nube sotto osservazione come un
cumulonembo.
Cumulo congesto
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e) Cumulonimbus calvus o Cb calvus: contorni sono in genere lisci, brillanti, ben definiti. La
sommità è arrotondata con struttura fibrosa (indice di ghiacciamento già avvenuto) e si eleva a
forma di montagna o di torre senza incudine o frange di cirri falsi; possono dare origine a
precipitazioni sotto forma di rovesci o a manifestazioni temporalesche.
Cb calvus in evoluzione
f) Cumulonimbus capillatus incus o Cb incus: questo Cb invece ha sommità appiattita (incudine),
fibrosa e a volte distintamente cirriforme (cirri falsi) indice di pieno sviluppo; rappresenta
l'evoluzione successiva al Cb calvus ed è così grande che la sua forma d'insieme può essere vista
solo da notevole distanza. Al Cb incus sono associati i fenomeni temporaleschi.
Lontano Cb incus al tramonto
Tecnicamente il ghiacciamento segna la fase del passaggio da Cu congesto a Cb calvus, sebbene
elementi di ghiaccio comincino a svilupparsi già nella fase finale del congesto in cui a volte
compaiono le prime piogge. In ogni caso se al di sotto di un qualunque Cb ci sono bande di
precipitazione il ghiacciamento sarà già avvenuto perlomeno da 10-15 minuti.
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Se siamo molto fortunati, potremo osservare un fenomeno che "visualizza" l’istante preciso in cui
sta iniziando il ghiacciamento della nube: in seno ad un Cu congesto che tenda ad evolvere in Cb
calvus il ghiacciamento produce un'ulteriore spinta ascensionale dell'aria (calore latente che
aumenta nel passaggio di stato acqua-ghiaccio o vapore-ghiaccio).
Raro episodio di fibrillazione
Tale spinta può proiettare dei piccoli ciuffi di nube, ancora liquida, al di fuori della sommità del
congesto dando l'effetto di una piccola deflagrazione. Il fenomeno ha una durata di pochi secondi ed
è chiamato "fibrillazione": al suo immediato seguito parte il ghiacciamento della nube e le
precipitazioni.
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4. Le nubi accessorie
Le nubi accessorie sono delle formazioni nuvolose il cui sviluppo dipende da un temporale e in
genere sono "fisicamente" collegate alla sua base escluso il caso della roll cloud; distinguiamo i
seguenti tipi di nubi accessorie.
a) Lowering:: consiste in un piccolo abbassamento nuvoloso attaccato alla base di un cumulonembo
con un diametro di 1-2 km, indica la regione in cui c'è un intenso updraft e può evolvere in wall
cloud. L'aria entra nel lowering sia dal lato caldo (inflow) sia da quello freddo (outflow): l’aria più
fresca risucchiata dall'updraft condenserà a un livello altimetrico minore rispetto alla base originaria
del Cb. Se sotto il lowering c’è calma di vento con i fractus che salgono verso l’alto e che ruotano
possiamo trovarci sotto l’updraft principale (ovvero sotto una probabile wall cloud) e siamo a
rischio tornado.
Un tipico lowering: la sua inclinazione può suggerire il lato da cui proviene buona parte dell'outflow
b) Wall cloud: conosciuta come nube a muro o nube a parete, è un distinto, persistente ed isolato
lowering ed è individuabile mediante il classico "scalino". Può raggiungere un diametro di 8 km e la
genesi è simile a quella di un classico lowering: la nube a muro nasce per il fatto che la corrente
discendente raffreddata all'interno del cumulonembo, invece di dilagare al suolo dietro al temporale
come outflow, viene in parte richiamata all’interno del temporale stesso grazie al movimento
rotatorio indotto dal mesociclone interno alla supercella.
L'aria fredda infiltrata condenserà ad una quota altimetrica inferiore formando dunque una nube a
parete che si evidenzierà al di sotto della base del Cb principale, in genere sul settore sudoccidentale
della supercella stessa (mai sul bordo avanzante). La wall cloud compare solo nelle supercelle: il
tornado di solito scende dalla nube a muro, in quanto questa altro non è che l'estremità inferiore di
un pericoloso mesociclone. Non tutte le wall cloud ruotano e quelle che lo fanno sviluppano con
maggior rapidità il tornado; a sua volta, non tutte le wall cloud rotanti producono tornado.
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Wall cloud: i rovesci più intensi si ritrovano a destra della nube
La Tail cloud è una nube a coda più o meno parallela al terreno, attaccata alla base di una wall
cloud e appare quindi come un prolungamento della stessa: rappresenta la traccia dell'aria fredda
che si appresta ad entrare nel mesociclone, per cui essa si estende sempre a partire dall'area delle
precipitazioni verso la wall cloud. La nube a parete con la sua coda indica l'estensione verso terra
del mesociclone e compare di preferenza nei mesocicloni maturi o in decadimento quando cioè sono
più elevate le probabilità di tornado.
c) Shelf cloud: conosciuta come nube a mensola, è bassa, lunga, a volte arcuata per via della spinta
originata dal downdraft, orizzontale e individuabile mediante il classico "cuneo". La shelf cloud
spesso è presente nella supercella: si presenta sul bordo avanzante del temporale e precede di
pochissimo l'area dei rovesci di pioggia o grandine. Si forma quando il gust front solleva l'aria caldo
umida davanti ad esso fino al suo livello di condensazione formando questa "mensola nuvolosa".
Shelf cloud giovane
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Shelf cloud matura
Questa nube non è provvista di movimenti rotatori (a differenza della wall cloud) in quanto avanza
sotto la semplice spinta dell'outflow; è la base vera e propria della supercella a ruotare e ovviamente
tutto il cumulonembo esclusa l'incudine che invece si espande. Infatti, la shelf cloud, se osservata
per più minuti, tenderà ad allontanarsi dall'area delle precipitazioni (a differenza della wall cloud)
tanto da poter essere confusa con una roll cloud.
d) Roll cloud: conosciuta come nube a rullo, è bassa, a volte arcuata, orizzontale, lunga, tubolare,
relativamente rara e completamente staccata dalla base del temporale a differenza delle più comuni
shelf cloud e delle assai più rare wall cloud. Può rappresentare un’evoluzione successiva alla shelf
cloud e ruota secondo un asse orizzontale; può deviare anche dall’effettiva direttrice seguita dal
cumulonembo e, in casi ancor più rari, può presentarsi col cielo sereno perché originata da una
corrente di outflow proveniente da un temporale in decadimento distante parecchi km.
Roll cloud vicina alla base del temporale
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e) Inflow tail: trattasi di una nube a forma di coda più o meno inclinata sotto la base del temporale
che tradisce una forte corrente di inflow vicina ad una di outflow. Non va confusa con la tail cloud
della wall cloud: infatti l’inflow tail è collegata "direttamente" alla base del temporale senza la
partecipazione della nube a muro. L’inflow tail denota il lato di aspirazione del possibile tornado:
nel raggio di qualche centinaio di metri dalla nube potrebbe ben presto comparire il vortice.
Inflow tail e relativa area a rischio tornado
f) Funnel cloud: è una colonna d'aria in rotazione che non è in contatto con il terreno, che scende da
un cumulonembo o congesto ed è quasi sempre osservabile come una nube a imbuto.
Funnel cloud in discesa da Cb calvus
E’ una nube alquanto rara e può presentarsi in ogni settore del temporale che non deve essere
necessariamente una supercella: può quindi comparire nel punto d’unione tra una inflow tail e la
base del Cb, sotto una shelf cloud, sotto una flanking line, sotto una wall cloud (il caso classico),
sotto la semplice base del temporale non provvista di nubi accessorie e alla base di un cumulo
congesto (caso quest’ultimo più frequente sopra il mare). Può evolvere in tornado e sebbene la nube
a imbuto non si estenda fino al suolo il tornado può essere già attivo.
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5. Mammatus e knuckles
I due tipi di formazioni nuvolose che andremo ad esaminare hanno entrambe come sede di sviluppo
l’incudine di un cumulonembo: anche se appaiono simili, la loro genesi è diversa come diversi sono
gli indizi che essi ci forniscono riguardo l’intensità del temporale considerato.
a) Mammatus: quando gli updrafts portano parte delle precipitazioni verso l'alto, l'aria alla sommità
del Cb perde gradualmente tutta la quantità di moto e si estende orizzontalmente in tutte le direzioni
divenendo parte dell'incudine stessa. Infatti l'aria nell'incudine, specie se in avanzato stadio di
sviluppo, si è già raffreddata abbastanza da non poter più salire: se poi l'incudine si avvicina alla
stratosfera allora i moti discendenti saranno ulteriormente favoriti dal momento che da quella quota
la temperatura ambiente comincia ad aumentare.
Quest'aria trasportata dall'updraft contiene una maggior concentrazione di cristalli di ghiaccio e
goccioline d'acqua, quindi diverrà satura, più fresca e più pesante di quella circostante: ogni
mammatus rappresenta un potenziale piccolo rovescio che però non raggiunge il suolo evaporando
prima di arrivarci sia per l'aria più secca sottostante sia per l'aumento termico indotto dai movimenti
discendenti stessi che dissolve la massa nuvolosa; si presentano sia sottovento sia sopravvento
all'incudine, preferendo di gran lunga quest'ultimo settore, motivo per cui a volte possono inscenare
uno straordinario spettacolo grazie all'assenza di nubi basse nella parte posteriore del temporale.
Mammatus di un'incudine in allontanamento
Le mammatus a volte possono indicare temporali di notevole violenza poiché la loro presenza a
volte è sintomo di precedenti forti sollevamenti e di probabile raggiungimento della tropopausa da
parte del Cb che li genera. Tuttavia queste formazioni possono benissimo presentarsi anche in
temporali in fase di dissolvimento e in tutti i Cb non intensi: quest’ultimi potrebbero formare una
incudine "prematura" a quote più basse del normale, magari per la presenza di un�inversione
termica sui 4000 metri, con la conseguente formazione di mammatus; in tal caso il temporale non
sarà intenso per il ridotto spessore del cumulonembo.
b) Knuckles: si tratta di piccole sporgenze ricche di protuberanze lungo i bordi di una grossa
incudine che corrispondono a separati updraft pulsanti. Possono formarsi anche sulla parte inferiore
e limitrofa dell’incudine, mentre le mammatus preferiscono la parte inferiore "centrale ed interna"
dell'incudine. Per questo motivo i knuckles possono essere individuati anche a qualche decina di
km, mentre le mammatus si vedono generalmente solo quando l’incudine è sopra di noi (fatto salvo
il caso di incudini illuminate dalla luce radente del tramonto o dell’alba).
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Evidentissimi knuckles sotto un'incudine
I knuckles quindi non sono le mammatus e di solito appaiono sul lato sopravvento dell'incudine,
ovvero in quel settore che si estende in direzione contraria al flusso in quota, e indicano una rapida
espansione del Cb dovuta alla presenza di updrafts molto intensi. Ad esempio, se il temporale si
muove verso E, la parte più allungata dell'incudine sarà ad E dello stesso temporale (sottovento) e si
allungherà in tale direzione, mentre il settore sopravvento sarà ad W del temporale e tenterà di
allungarsi verso W. In genere, l'incudine sottovento è sottile e allungata, invece l'incudine
sopravvento è molto grossa, arrotondata e assai più corta.
I knuckles, se numerosi e ben sviluppati, indicano che il temporale è con molte probabilità di tipo
grandinigeno e la loro comparsa dipende direttamente dagli updrafts. Le mammatus sono più
inaffidabili riguardo le possibilità di grandinate e tornado poiché la loro comparsa dipende solo
indirettamente dagli updrafts.
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6. L’analisi visiva del cumulonembo
L’osservazione critica delle caratteristiche di una nube temporalesca può dare ottimi risultati se
supportata da una certa esperienza; estensione, colore, movimento e struttura sono i 4 parametri da
prendere in considerazione per poter elaborare una previsione ad elevata affidabilità per le ore
immediatamente successive.
Seguono alcune utili indicazioni, distinte secondo la lontananza del Cb sotto osservazione: da
lontano ne vedremo la sommità e in parte il corpo verticale, da vicino vedremo soprattutto la sua
base. Ovvio che in caso di elevata visibilità si potrà apprezzare il cumulonembo nella sua interezza
con incudine, parete, base e relative precipitazioni al di sotto di quest’ultima.
a) Sommità del cumulonembo: la presenza di knuckles indica elevate probabilità di fenomeni
grandinigeni anche violenti; tuttavia la loro assenza non esclude questa eventualità: nel caso di
temporali ad asse obliquo, di supercelle e di cluster con celle senescenti l’enorme incudine può non
mostrare ai suoi bordi i knuckles.
Com’è intuibile, se l'incudine sul lato sopravvento continua a svilupparsi, ciò sta a significare che
gli updrafts sono veramente molto intensi, tanto da riuscire a contrastare efficacemente i venti
contrari della media troposfera; il temporale sarà di forte intensità.
Sporgenza nell'incudine sopravvento indice di forti temporali
Una incudine sottile e sfilacciata indica che il temporale ha superato anche la fase di maturità: i
fenomeni sono in fase di esaurimento.
Diversi stadi evolutivi di un temporale a multicella; precipitazioni più intense nel Cb a destra
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La presenza sopra la superficie piatta dell’incudine di cupole dall’aspetto cumuliforme (le
cosiddette overshooting top) tradisce la presenza di un potente updraft con possibilità di violente
grandinate, forti downdrafts e tornado nell’area in questione: in pratica, la cupola deriva da updraft
molto veloci che non fanno in tempo a ghiacciarsi o ad appiattirsi.
Overshooting top
Il pileus è una nube a forma di berretto o cappuccio e si forma quando l'aria ancora stabile che sta
immediatamente sopra un Cu congesto od un Cb calvus viene spinta dalla nube stessa, in estensione
verticale, attraverso il proprio livello di condensazione. Si forma così un velo nuvoloso molto tenue
e della durata di pochi secondi che sovrasta quasi a contatto la sommità della nube: indica
l’imminente formazione del Cb incus e quindi del temporale.
Pileus
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b) Corpo verticale del cumulonembo: la presenza di "sfilacciamenti" (fractocumuli) sulle pareti di
un Cu congesto o Cb calvus che tenti di evolvere in temporale (Cb incus) denota in genere lo scarso
gradiente termico verticale, ossia l'assenza di aria sufficientemente fredda alle quote più alte.
Invece, di solito, la presenza di questi brandelli sulle pareti di un Cu medio in evoluzione verso un
Cu congesto indica instabilità la cui intensità sarà tutta da quantificare mediante la presenza o meno
di altri Cb calvus-incus già formati nelle vicinanze.
La diversa composizione della nube ne influenza l'aspetto
c) Base del cumulonembo: se le bande dei rovesci sono dense ma senza attività elettrica è probabile
che il temporale arriverà scarico; oppure può essere che il sistema si stia formando proprio nelle
vicinanze per poi intensificarsi mentre si allontanerà assumendo così tutti i "connotati" da temporale
grazie all’acquisita attività elettrica. Se le bande invece non permettono di vedere nient’altro oltre le
stesse e c'è attività elettrica in zona, allora è imminente un forte rovescio.
In estate, bande di precipitazione biancastre indicano grandine in caduta al suolo, una base
verdognola indica anch’essa grandine (anche se in parziale fusione), una base giallastra può indicare
due cose: il riflesso verso il basso della luce solare operato dalle overshooting top e dalle incudini
oppure le schiarite in avanzata dietro la cortina di precipitazioni; nel primo caso avremo un
temporale potenzialmente intenso con grandine, nel secondo un temporale di intensità medio-bassa
o bassa.
La presenza di grosse nubi accessorie come shelf cloud e roll cloud sotto la base del Cb indica un
temporale con correnti termoconvettive sostenute e ben organizzate e quindi concrete possibilità di
fenomeni anche intensi o estesi su un’area insolitamente ampia.
La forma della base e la sua apparenza non è un buon indicatore riguardo l’intensità dei fenomeni:
dipende da caso a caso. In linea generale, comunque, una base molto turbolenta indica un temporale
giovane o in fase di maturità con fenomeni anche intensi.
Attenzione a non confondere la base del temporale con la base dell’eventuale nube accessoria (es.
shelf cloud): non sono la stessa cosa.
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7. Il riconoscimento della supercella
Il riconoscimento di una supercella si esegue in 3 modi a seconda della nostra esperienza e delle
risorse a disposizione nel momento dell’analisi: dal vivo, dal satellite e dal radar. La rotazione
conferisce a questo tipo di temporale caratteri molto particolari utili per giungere alla sua
individuazione. Per esclusione, se mancano tali peculiarità si parlerà di comuni celle temporalesche
intese come cella singola, cluster di multicelle, linea di multicelle, MCS-MCC.
1) osservazione dal vivo
a) vista da vicino, enorme base avanzante del temporale (solitamente dotata di shelf cloud)
provvista di moto rotatorio antiorario nell’emisfero nord
b) vista da vicino, eventuale wall cloud alla base del cumulonembo (questa nube a muro non si
presenta mai sul bordo avanzante del temporale ma per lo più sulla parte posteriore)
c) vista da lontano, grossa e persistente overshooting top (cupola) sopra l'incudine del
cumulonembo
d) striature sui fianchi del cumulonembo, sulla parte inferiore degli stessi, indice di rotazione
all'interno della supercella; tali striature possono apparire anche sul bordo anteriore di una shelf
cloud ma queste sono decisamente meno affidabili
e) le bande di precipitazione sono molto fitte e non sono disposte a linea, quindi oltre le stesse non
si vedranno subito le schiarite
f) possono osservarsi anche delle bande nuvolose ("inflow band") più o meno compatte e regolari,
eventualmente saldate alla base del temporale e disposte più o meno parallelamente al terreno con
angolazione variabile a seconda del flusso umido dell’inflow; sono relativamente rare e tipicamente
si dirigono verso il centro del temporale
Inflow band costituite in sostanza da grossi fractocumulo
2) osservazione dal satellite
a) la supercella appare molto bianca al satellite infrarosso
b) al satellite polare può essere individuata l’ombra dell’overshooting top sulla superficie
dell’incudine
c) molto raramente, sulla parte occidentale può comparire una corona di nubi indice di forti
supercelle
d) alla moviola satellitare, la supercella (poiché ruota) non segue la direzione dominante dei corpi
nuvolosi deviando generalmente verso sinistra se le correnti nella media troposfera sono occidentali
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La meteorologia e la sua terminologia
e) è di forma tondeggiante od elittica con eventuale flanking line che sembra partire dalla parete
meridionale della supercella stessa; la flanking line si estende verso l'esterno dal settore SW della
supercella; se è formata da Cb o grossi congesti può essere visualizzata anche dalle mappe radar
relative all’intensità di precipitazione
Flanking line ("virgola bianca") vista dal satellite
La supercella non è mai a forma di linea anche se può apparire tale nel caso di temporali ad asse
molto obliquo in cui le incudini, molto allungate, conferiscono alla supercella un forma più lineare
che tondeggiante.
3) osservazione al radar
a) nelle radarate che mostrano l'intensità di precipitazione, è possibile scorgere un eco ad uncino più
o meno definito a seconda dei casi, vicino al quale si trova il settore a "fondoscala" ove l’intensità
delle precipitazioni è massima
Esempi di eco ad uncino supercellulare
b) poiché è plausibile che i temporali ad asse obliquo evolvano rapidamente in supercelle, le
scansioni radar che mostrano una lunga area a bassa reflettività (incudine) con un nocciolo di forti
precipitazioni (eventuale futuro mesociclone) all'inizio della stessa vanno monitorate di continuo
c) anche al radar (se provvisto di moviola) è possibile individuare la deviazione spiegata al punto
2d)
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L’interpretazione dei Modelli
Parte I
Al giorno d'oggi, la meteorologia ha raggiunto un'ampia
diffusione su internet. Su molti siti è possibile reperire le
carte previsionali di svariati modelli, italiani o stranieri,
globali o ad area limitata, insomma è davvero disponibile
una notevole mole di informazioni sottoforma di mappe
colorate. Come destreggiarsi quindi? E soprattutto come
interpretare queste colorate informazioni? Prima di
addentrarsi nella descrizione delle mappe dei modelli
meteorologici, è necessaria una premessa. Deve essere ben
chiaro cosa si vuole vedere, ovvero quali sono le scale
spazio-temporali alle quali siamo interessati. Ci interessa la
circolazione a scala sinottica sull'Europa per la settimana entrante, oppure vogliamo capire se
potranno esserci temporali nel corso della giornata sul Levante Ligure? Ovvio che le due cose non
sono completamente slegate fra loro (grande e piccola scala interagiscono reciprocamente), ma sono
sicuramente diversi gli strumenti ai quali affidare le nostre previsioni. Nel primo caso ci affideremo
alle proiezioni di un modello globale e analizzeremo con particolare riguardo gli andamenti nella
media troposfera (le carte a 500 hPa per intenderci). Nel secondo caso ci affideremo ad un modello
ad
area
limitata,
possibilmente
ad
alta
risoluzione
(http://www.meteogiornale.it/news/read.php?id=10155). In generale, se vogliamo guardare lontano
nel tempo (oltre i 4 giorni) possiamo solo dedicarci alla circolazione a grande scala, preferibilmente
in libera atmosfera, mentre se i range temporali sono brevi (0-48 ore) allora possiamo pretendere
precisione anche per fenomeni più locali. Infine, bisogna sapere che non tutte le variabili sono
uguali. Mentre pressione, vento e umidità sono output diretti dei modelli, attraverso la soluzione
numerica delle complesse equazioni differenziali, la copertura nuvolosa e la precipitazione, ad
esempio, sono prodotti secondari. In altre parole sono ottenuti dalle variabili dirette attraverso
appositi procedimenti. Questo implica che, in aggiunta alla normale impredicibilità del sistemaatmosfera, si aggiunge un'ulteriore fonte di errore. In pratica, se ha senso guardare il geopotenziale
previsto a 5 giorni a 500 hPa, non ha senso (o ne ha molto poco) guardare la corrispondente
previsione di precipitazione, specie se ci interessa un'area molto limitata. Non chiediamo ad un
modello globale la previsione a quattro giorni della precipitazione sulla nostra città ai piedi delle
Alpi (http://www.meteogiornale.it/news/read.php?id=10167), o meglio chiediamogliela, ma non
lamentiamoci se sarà completamente sballata.
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Parte II
Ci sono diverse carte di pressione al suolo, o per essere più
precisi di pressione al livello medio del mare (MSLP),
disponibili in rete, dalle quali si possono raccogliere molte
informazioni. Per poter confrontare tutti i punti compresi
nell'area in esame la pressione viene "normalizzata", cioè
espressa come la pressione che si avrebbe al livello del
mare. Sono tracciate le linee a uguale pressione
(*isobare*) che permettono di distinguere aree di bassa
pressione (segnate con L o B), caratterizzate da
circolazione ciclonica (in senso antiorario) e aree di alta
pressione (H o A), caratterizzate da circolazione
anticiclonica (in senso orario). Ad ogni isobara è associato il corrispondente valore di pressione
espresso in hPa. Inoltre si può stimare la direzione del vento al suolo, il quale non scorre
esattamente lungo le isobare ma, a causa dell'attrito, le interseca, con un angolo di circa 30 gradi
sulla terraferma, di soli 10 gradi sul mare. In particolare, attorno ai sistemi di bassa pressione il
vento ruota in senso antiorario e tende a deviare verso il centro; questo produce convergenza al
suolo e moti ascensionali, che favoriscono la condensazione e la formazione di nubi e pioggia (ecco
perché alla bassa pressione si associa normalmente il brutto tempo). Al contrario, attorno ad un
anticiclone il vento ruota in senso orario e tende ad allontanarsi dal centro, quindi a divergere,
generando moti discendenti che inibiscono la condensazione e quindi la formazione di nubi (quindi
alta pressione foriera di bel tempo). In molte carte vengono pure tracciati i fronti. Quelli blu o
indicati con triangoli sono i fronti freddi, quelli rossi o segnati con semicerchi sono i fronti caldi.
Sono anche tracciate delle linee continue o tratteggiate in corrispondenza dell'asse delle saccature.
Caldo e freddo stanno ad indicare la temperatura della massa d'aria in arrivo, rispetto a quella
esistente. Il fronte freddo segue sempre quello caldo e viaggia più velocemente, quindi con il
trascorrere del tempo lo raggiunge dando origine al fenomeno di occlusione. I due fronti si uniscono
per originare il fronte occluso indicato in viola o con triangoli e semicerchi alternati. Con
l'occlusione il sistema depressionario raggiunge solitamente la fase più intensa, dopo di che inizia a
decadere. I fronti tracciati su queste carte si riferiscono alla posizione al suolo. A livelli superiori la
posizione del fronte normalmente non coincide. Il fronte può essere più indietro o più avanti a
seconda dell'intensità dei venti in quota e dell'attrito con il suolo. Se in quota il fronte è più avanzato
si genera facilmente una situazione di instabilità e il maltempo può essere più accentuato. Ai fronti
sono associati sistemi nuvolosi. Il fronte caldo è preceduto già 24 ore prima da nubi alte (dapprima
cirri poi altostrati) che si trovano anche a più di 500 km dalla linea frontale. A 200-300 km
dall'arrivo del fronte caldo al suolo (quello segnato sulle carte) iniziano le precipitazioni,
generalmente deboli o moderate e continue. La parte attiva del fronte caldo è quella vicina al centro
di bassa pressione attorno al quale ruota. Il cambiamento del tempo legato al passaggio di un fronte
freddo è invece molto più repentino, con formazione di nubi a sviluppo verticale e precipitazioni più
intense ed intermittenti, spesso a carattere di rovescio. Per quanto i fronti siano in genere portatori
di maltempo, la loro intensità e quindi i loro effetti sono assai variabili. Come regola generale si può
ricordare il fatto che in estate, sul continente europeo, i fronti caldi sono poco sviluppati e assai
deboli, mentre in inverno possono essere anche ben più attivi dei fronti freddi. La spiegazione
risiede nel contrasto termico: in estate l'aria sulla terraferma è già calda e il fronte non porta nessun
contrasto, in inverno il contrasto termico è assai rilevante. Talvolta, oltre alle isobare, sono tracciate
anche le isoallobare, ovvero le linee che indicano la tendenza della pressione per le prossime ore.
Queste sono assai utili per valutare sia lo spostamento dei centri di alta e bassa pressione, sia per
stimare la posizione dei fronti, qualora non siano tracciati: quello freddo si posiziona dove le
isoallobare indicano una ripresa della pressione, quello caldo dove il calo di pressione è massimo.
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La meteorologia e la sua terminologia
La carte al suolo possono anche contenere informazioni sul tempo in atto indicate per mezzo dei
simboli standard WMO. Nell'analisi della situazione attuale, la carta alla superficie ha più valore
rispetto a quelle in quota sia perché le osservazioni sono in numero assai maggiore al suolo, sia
perché descrive il tempo che percepiamo direttamente. Infine, guardando temperatura, umidità e
venti vicino al suolo si possono individuare sia le avvezioni termiche (che vedremo in dettaglio
nelle carte a 850 hPa) che di umidità, sia le zone di convergenza o divergenza a cui sono associati
moti verticali rispettivamente ascendenti o discendenti. Come vedremo in seguito le carte al suolo
vanno utilizzate e "sovrapposte" a quelle in quota per avere ulteriori utili informazioni.
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La meteorologia e la sua terminologia
Parte III
Tipicamente, le carte relative alla superficie isobarica 850
hPa (circa 1500 metri di quota) mostrano la temperatura e
l'altezza geopotenziale e risultano utili per valutare le
avvezioni calde e fredde ai bassi livelli. Si noti che in
presenza di orografia, tale superficie rimane sotto al livello
del suolo, quindi al di sopra delle Alpi i campi sono solo
"fittizi", ottenuti tramite estrapolazione. Su terreni non
elevati, al contrario, ci si trova abbastanza lontani dagli
effetti del suolo, e tale superficie segna il confine superiore
dello strato limite planetario (boundary layer). Sulle carte a
850 hPa sono tracciate le isoipse, linee che uniscono i
punti di uguale altezza geopotenziale, il cui valore corrisponde alla quota, espressa in metri o in
decametri, alla quale la pressione vale 850 hPa. Analogamente a quanto visto per le isobare
tracciate nelle carte al suolo, evidenziano le aree di bassa e di alta pressione. In questo senso le carte
a 850 hPa possono essere interpretate come quelle al suolo In prima approssimazione si può
considerare che le masse d'aria si muovono seguendo la direzione indicata dalle isoipse, ruotando in
senso antiorario (orario) attorno alle basse (alte) pressioni. Spesso vengono indicati numerosi centri
di bassa o alta pressione, ma non tutti sono importanti. Sono significativi solo quelli che hanno
molte isoipse che li racchiudono, in quanto sono quelli più profondi ed intensi. Quelli con poche
isoipse sono al contrario deboli, sono solo minimi relativi che non rivestono un ruolo fondamentale
nell'evoluzione a breve termine. Il campo di temperatura a 850 hPa permette facilmente di
individuare masse d'aria fredda o calda e di evidenziarne i movimenti tramite l'evoluzione
temporale prevista dal modello. In pratica si possono valutare le avvezioni calde o fredde, ovvero
capire dove si sposterà una determinata massa d'aria, considerando che lo spostamento avviene
lungo
le
isoipse.
L'intensità
dell'avvezione
dipende
da
tre
fattori:
1) Vicinanza delle isoipse. L'avvezione è sostanzialmente il trasporto di una grandezza (in questo
caso la temperatura) a causa del vento medio. E' facile intuire che ad un vento forte corrisponda una
maggiore avvezione. Più le isoipse sono vicine, più i venti risultano forti, e di conseguenza risulta
più
intensa
l'avvezione.
2) Isoterme e isoipse perpendicolari. Si ha avvezione quando il vento trasporta una massa d'aria
caratterizzata da una certa temperatura verso una zona dove la temperatura è diversa. Se le isoipse e
le isoterme sono parallele, allora lungo la direzione del trasporto non c'è variazione di temperatura,
quindi l'avvezione è nulla. Quando, al contrario, isoterme e isoipse sono perpendicolari l'avvezione
è massima, poiché è massimo il gradiente (variazione) della temperatura nella direzione del
trasporto.
3) Vicinanza delle isoterme. Il valore dell'avvezione è proporzionale sia al vento (punto 1) sia alla
variazione orizzontale di temperatura (gradiente), poiché aumenta il contrasto termico tra le masse
d'aria trasportate dal vento. Quindi più le isoterme sono vicine, più la variazione (gradiente) di
temperatura è maggiore così come più intensa risulterà l'avvezione.
Il carattere (caldo o freddo) dell'avvezione è determinato dalla temperatura dell'aria in arrivo,
rispetto a quella pre-esistente nella zona di interesse. In linea generale, ad un'avvezione è associato
un cambiamento meteorologico, dovuto al contrasto tra masse d'aria di differente temperatura.
Avvezioni calde ai bassi livelli contribuiscono a sviluppare moti verticali a larga scala.
Ad un'avvezione in quota quasi sempre corrisponde una analoga risposta vicino al suolo per cui un
raffreddamento alla 850 hPa può far pensare ad un calo di temperatura anche al suolo. A volte però
ci possono essere sorprese e ritardi dovuti ad esempio al rallentamento delle masse d'aria vicino al
suolo nell'oltrepassare le Alpi.
Osservando isoipse e isoterme a 850 hPa si può individuare la posizione dei fronti. In primo luogo
si deve localizzare un'area in cui sia forte il gradiente termico, o in altre parole, in cui le isoterme
siano molto vicine (ciò indica un brusco cambiamento di temperatura, caratteristica propria del
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La meteorologia e la sua terminologia
fronte). La zona così individuata risulta essere una zona frontale se le isoipse sono perpendicolari
(più o meno) alle isoterme. Il fronte viene tracciato in corrispondenza del bordo caldo della zona
frontale.
Alcune carte di immediata interpretazione mostrano il vento a 850 hPa tramite vettori la cui
lunghezza è proporzionale all'intensità. Qualora non fosse mostrato direttamente, si può accettare
l'approssimazione che, sulle zone a bassa elevazione, il vento sia geostrofico, ovvero scorra
parallelamente alle isoipse, lasciando sulla destra i valori alti di pressione. L'intensità è
proporzionale alla distanza delle isoipse. Le zone con isoipse molto vicine saranno caratterizzate da
vento intenso.
Altre grandezze possono essere tracciate a 850 hPa. L'umidità relativa (RH) permette di stimare la
presenza di nubi basse: se RH è prossima al valore di saturazione (100%) si avrà copertura
nuvolosa. Quando possibile è utile anche valutare la differenza tra temperatura e dew point, nota
come dew point depression. Se tale valore è piccolo a 850 hPa, allora si può supporre che l'intero
boundary layer sia prossimo alla saturazione. La vorticità potenziale (PV) permette di evidenziare
aree cicloniche. In particolare risulta utile nell'individuare i cicloni Mediterranei (tra cui anche gli
"hurricane-like" o "Medicane"), strutture cicloniche a mesoscala molto intense, caratterizzate da un
cuore caldo (massimo di temperatura nel centro del ciclone) e da un massimo di PV nella bassa
troposfera. La temperatura potenziale equivalente (Tetae) è una combinazione di temperatura
dell'aria e contenuto di umidità. Sebbene sia più utile nelle sezioni verticali per valutare la stabilità
atmosferica, risulta utile anche per individuare le aree favorevoli alla formazione di temporali
intensi o sistemi convettivi a mesoscala. Infatti, regioni con alti valori di Tetae (dette "Tetae-ridge")
sono caratterizzate da aria calda e umida, quindi leggera e potenzialmente instabile.
Infine, data la relativa vicinanza tra la superficie terrestre e la 850 hPa, si può stimare la
temperatura al suolo. In estate, può essere interessante ricavare la temperatura massima al suolo
sulle aree pianeggianti: dalle carte si ricavano la temperatura e la quota (altezza geopotenziale) a
850 hPa, dopo di che si calcola la T al suolo considerando una variazione (aumento) di 6°/1000m
fino a 800-1000 metri dalla superficie e di 10°/1000m fino al suolo (supponendo che l'aria sia secca
vicino alla superficie). In inverno si può valutare anche la quota dello zero termico utile per la
previsione delle nevicate: si individuano nella zona di interesse la temperatura e la quota della 850
hPa. Considerando un calo medio di 6°/1000m è facile ricavare la quota dove la T=0.
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La meteorologia e la sua terminologia
Parte IV
La carta a 700 hPa è considerata l'ultima carta relativa alla
bassa atmosfera. Vengono tracciate, analogamente a quanto
visto per l'850 hPa, le isoipse (valori espressi in metri o
decametri), quindi valgono le stesse considerazioni già fatte
(centri di alta/bassa pressione, avvezioni termiche e loro
intensità, posizione dei fronti, vento). Si può solo aggiungere
che questa superficie isobarica è situata mediamente ad una
quota di 3000 m ed è quindi quasi ovunque al di sopra
dell'orografia (almeno di quella vista dai modelli). A 700 hPa,
si distingue con molta più chiarezza l'alternarsi di saccature e
promontori, i centri di alta e bassa pressione (c'è in sostanza meno rumore). Inoltre è il livello al
quale meglio si evidenziano le onde corte, di natura baroclina, che si spostano verso est scorrendo
lungo le onde lunghe (planetarie) di natura barotropica.
Sulle mappe a 700 hPa vengono solitamente mostrati i campi di umidità (relativa e/o specifica) e di
velocità verticale, i quali si rivelano indispensabili per valutare la presenza di nubi medie e di
possibile tempo perturbato. Infatti sono le nubi che si formano attorno ai 3000 metri quelle
principalmente in grado di produrre precipitazioni. Per questo motivo si analizzano di norma le
velocità verticali a 700 hPa. Le velocità verticali vengono convenzionalmente espresse in variazione
di pressione (dovuta al moto verticale) nell'unità di tempo (es. Pa/h o mbar/h) oppure in cm/s. Se
espresse in termini di pressione, valori positivi (negativi) indicano moti discendenti (ascendenti).
Come è noto, a moti verticali ascendenti è associato il raffreddamento della massa d'aria con
conseguente possibile condensazione e formazione di corpi nuvolosi, quindi in generale maltempo.
Aree con moti verticali ascendenti a cui corrispondono valori di umidità relativa sufficientemente
alti (almeno superiori all'80%) saranno caratterizzate da nubi. Si possono avere nubi anche con
valori più bassi di umidità nel caso in cui i moti verticali siano abbastanza intensi. Inoltre, come per
la 850 hPa, la valutazione del dew point depression permette di determinare lo spessore dello
strato umido.
Anche la posizione dei nuclei di precipitazione sono individuabili mettendo assieme le
informazioni della velocità verticale e dell'umidità relativa a 700 hPa (ed eventualmente a 850 hPa).
L'intensità sarà tanto maggiore quanto maggiore sono i valori delle due grandezze.
Ovviamente esistono elaborazioni di output di alcuni modelli che forniscono direttamente la
copertura nuvolosa (e la precipitazione), ma raramente distinguono tra nubi a vari livelli (basse,
medie e alte) e sono da prendere sempre con cautela, specie se si tratta di modelli globali.
Un'ultima applicazione riguarda la previsione del moto dei sistemi convettivi a singola cella, i quali
si propagano seguendo il flusso delle correnti mostrate nelle carte a 700 hPa. Infatti tali sistemi
tendono a propagarsi seguendo il flusso medio dello strato compreso tra la 1000 e la 500 hPa, che in
buona approssimazione corrisponde al flusso alla 700 hPa.
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La meteorologia e la sua terminologia
Parte V
Mentre ai livelli inferiori ci si concentrava principalmente
sui campi di temperatura e umidità, qui ci si concentra sul
flusso e in particolare sulla vorticità assoluta. Con buona
approssimazione si può ritenere che a 500 hPa il campo di
vento abbia divergenza nulla. Ad esempio, nel caso di una
bassa pressione si ha convergenza nei bassi strati, moto
ascensionale e divergenza in alta troposfera; si può
supporre che il punto di inversione tra convergenza e
divergenza lungo la verticale avvenga circa a metà
atmosfera, attorno ai 500 hPa, appunto. Ma se il campo di
vento non presenta divergenza, allora il moto delle onde è
descritto con il campo di vorticità. Ecco quindi che la vorticità assoluta diventa la grandezza
dinamica fondamentale. Nella pratica, con grossa approssimazione si può dire che le aree
caratterizzate da nuclei di vorticità positiva corrispondono a zone di maltempo. In realtà ciò che
conta è l'avvezione di vorticità (o meglio sarebbe la variazione verticale dell'avvezione), che si può
facilmente ricavare sovrapponendo le isoipse al campo di vorticità. L'avvezione avviene lungo le
isoipse stesse. Dove la vorticità aumenta, quindi dove si ha avvezione positiva di vorticità, vengono
forzati moti verticali, quindi si tratta di un'area esposta a cattivo tempo. Viceversa per avvezioni
negative di vorticità si tende a rafforzare la circolazione anticiclonica e quindi il tempo buono. Il
vento medio non fa altro che trasportare la vorticità positiva (ciclonica) verso est, verso zone in cui
la vorticità è inferiore, producendo così un progressivo spostamento verso est della depressione o
della saccatura. La parte di una saccatura che si trova davanti all'asse della saccatura stessa è la
regione soggetta al maggiore aumento di vorticità, ed è infatti la zona in cui il maltempo è più
intenso. Come visto per le quote inferiori, anche a 500 hPa, dall'analisi dell'altezza geopotenziale
(il cui valore è generalmente espresso in decametri) si possono identificare le aree di alta e bassa
pressione, oltre che stimare, qualora non siano direttamente tracciate, la direzione ed intensità del
vento. La carta a 500 hPa è in assoluto la più adatta per esaminare la circolazione a larga scala
caratterizzata dal susseguirsi di saccature e promontori. E' importante che l'analisi del geopotenziale
in quota sia fatta tenendo presente la carta di superficie e quelle dei livelli intermedi (infatti molto
spesso sulla stessa carta vengono riportate sia la pressione al suolo che l'altezza geopotenziale a 500
hPa). Di frequente, ad una depressione al suolo corrisponde in quota una saccatura. Una depressione
che risulta visibile sia al suolo che a 500 hPa significa che è ben strutturata a tutti i livelli e quindi
apporterà un deciso peggioramento. Inoltre si deve osservare che nella fase più attiva, un sistema
depressionario tende ad avere l'asse verticale (linea che unisce i centri di rotazione alle varie quote)
inclinato verso nord-ovest, ovvero il minimo al suolo è più avanzato rispetto al corrispondente
minimo in quota. Man mano che il sistema matura e perde di intensità i minimi tendono ad
allinearsi verticalmente, il sistema si isola dalle correnti occidentali (cut-off a tutte le quote) e pian
piano si colma. Può riprendere vigore se altra aria fredda arriva ad alimentarlo. Nel caso di una
goccia fredda in quota, ovvero un nucleo di aria fredda nella media troposfera, può facilmente
succedere che a 500 hPa le isoipse mostrino una chiara circolazione ciclonica chiusa, mentre alla
superficie non ve ne sia traccia. La goccia fredda è comunque portatrice di maltempo specie in
estate (contrasti termici accentuati), in quanto destabilizza l'atmosfera, favorendo moti convettivi.
Se poi induce una circolazione ciclonica anche nei bassi strati, allora il maltempo sarà ancora più
intenso. In inverno gli effetti di una goccia fredda non associata ad un minimo al suolo, possono
essere anche molto limitati. A 500 hPa viene mostrato talvolta anche il campo di temperatura, dal
quale si possono individuare avvezioni calde o fredde in quota lungo la direzione indicata dalle
isoipse. Infine, sempre considerando che il moto di una massa d'aria a 500 hPa avviene lungo le
isoipse, lasciando i valori di alta pressione sulla destra, si può stimare il moto dei sistemi nuvolosi a
grande scala i quali mediamente si muovono con il flusso a questa quota.
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La meteorologia e la sua terminologia
Parte VI
Quando guardiamo le carte a 200 o 300 hPa ci troviamo al
limite della troposfera, detto tropopausa, ad una quota di
9000-10000 metri. Le carte mostrano il geopotenziale e il
vento che scorre lungo le isoipse, lasciando a destra i
valori di alta pressione.
La tropopausa è caratterizzata dal massimo contrasto
termico esistente tra aria delle regioni polari e delle medie
latitudini. La linea che demarca il confine tra queste due
masse d'aria è detta fronte polare. Non è affatto una linea
retta che abbraccia il globo, ma al contrario è caratterizzata
da ampie oscillazioni meridionali.
Il contrasto termico genera una forte corrente, detta jet
stream (o corrente a getto), che corre in corrispondenza
del fronte polare. All'interno del jet stream che può essere
visto come un vero e proprio fiume di aria che scorre
attorno a tutto il globo, il vento raggiunge velocità
notevoli, anche superiori ai 200 km/h. Questa corrente a
getto, larga qualche centinaio di chilometri, oscilla in
direzione meridiana, e tali oscillazioni altro non sono che
le onde di Rossby. Lungo il fronte polare si fronteggiano
masse d'aria fredda polare e calda sub-tropicale che
spingono verso sud e verso nord rispettivamente. Lo
sviluppo di onde di ampiezza inferiore rispetto alle onde di Rossby che avviene lungo il fronte
polare a causa di questo scontro tra masse d'aria è alla base dei fenomeni di ciclogenesi (cicloni
extratropicali).
In inverno il jet stream si trova ad una quota inferiore rispetto ai mesi caldi, quindi è meglio
individuabile dalle carte a 300 hPa, mentre in estate si preferiscono quelle a 200 hPa. Il jet stream
non è continuo, ma è caratterizzato da ristrette zone di massima intensità, che prendono il nome di
jet streak. I jet streak sono assai importanti poiché permettono di individuare aree in cui processi di
ciclogenesi sono favoriti. Se infatti individuiamo una zona di jet streak che sia abbastanza rettilinea
(non caratterizzata da accentuata curvatura, come vedremo dopo) e la suddividiamo in quattro
quadranti (tracciando una retta lungo la direzione del vento e un'altra ad essa perpendicolare), allora
in corrispondenza dei quadranti anteriore sinistro e posteriore destro si avrà una forte divergenza in
quota. Questa divergenza richiama aria dagli strati sottostanti (non richiama aria dall'alto perché la
tropopausa è molto stabile e agisce come un confine non oltrepassabile) e quindi, producendo moti
ascendenti, favorisce convergenza e ciclogenesi nella bassa troposfera. Questo è uno dei
meccanismi principali di formazione dei sistemi depressionari alle medie latitudini, da cui si
comprende l'estrema importanza di una attenta analisi delle carte a 200-300 hPa. Se invece il jet
streak si trova in corrispondenza dell'asse della saccatura, ovvero dove si ha la curvatura massima
(il gomito) delle correnti, allora si avrà divergenza in quota e moti ascensionali a nord del jet,
convergenza e moti discendenti a sud del jet.
Quando il jet streak si trova in una zona in cui il jet stream forma una curvatura, tipo saccatura,
allora bisogna valutarne esattamente la posizione. Se il jet streak si trova a sinistra (cioè prima, a
ovest) dell'asse della saccatura, allora questa è destinata a intensificarsi e spostarsi verso sud-est. Se
il jet streak si trova a destra (cioè dopo, a est) dell'asse di saccatura, allora la saccatura diverrà più
debole e si muoverà verso nord-est.
Il jet stream è quindi un potente mezzo di previsione, in quanto permette di prevedere dove
attendersi il prossimo sistema perturbato e come si svilupperà.
Nell'alta troposfera vengono anche mostrate le carte di vorticità potenziale (PV): questa grandezza
è in pratica il rapporto tra vorticità assoluta e stabilità dell'aria. Intuitivamente la si può considerare,
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La meteorologia e la sua terminologia
analogamente alla vorticità assoluta, come legata alla rotazione, e sarà positiva per circolazione
ciclonica. Sebbene anche in troposfera venga generata PV, questa è relativamente insignificante
rispetto alla PV generata in stratosfera (la stratosfera è infatti caratterizzata da alti valori di PV).
Quando in troposfera si ha intrusione di aria stratosferica allora viene generata vorticità ciclonica in
quota, alla quale è a sua volta associata divergenza e ad un richiamo di aria dagli strati sottostanti.
Quindi vengono forzati moti ascendenti con conseguente peggioramento meteorologico. Se
l'intrusione stratosferica si accoppia con una circolazione ciclonica nei bassi strati allora si avrà la
formazione di un sistema depressionario vigoroso. La discesa della stratosfera è quindi un fattore
discriminante per avere sistemi depressionari intensi.
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La meteorologia e la sua terminologia
Parte VII
Le mappe di spessori, ovvero di thickness, mostrano la
differenza tra l'altezza geopotenziale della 500 hPa e quella
della 1000 hPa. In pratica è la misura (espressa solitamente
in metri) della distanza che separa queste due superfici
isobariche. Chiaramente quanto più l'aria racchiusa in
questo strato di atmosfera è calda e umida, quindi leggera,
tanto maggiore è lo spessore. Viceversa, aria fredda e
secca è caratterizzata da bassi valori di spessore.
Sostanzialmente le mappe di spessore sono un ulteriore
strumento per individuare masse d'aria a diverse
temperature. Inoltre evidenziano anche i fronti, localizzati
nelle zone in cui le linee di spessore sono molto ravvicinate (forte gradiente termico). Su una carta
di thickness la posizione del fronte freddo corrisponderà al bordo più avanzato dell'area con bassi
valori di spessore che avanza verso l'aria più calda (elevati valori di spessore).
Le avvezioni di spessore corrispondono ad avvezioni termiche. Un'avvezione di spessori piccoli
altro non è che un'avvezione fredda. Forti avvezioni termiche sono in grado di modificare lo
spessore, ma se ciò non avviene allora significa che sono in atto processi concorrenziali. Ad
esempio se un'avvezione calda non è in grado di fare aumentare lo spessore 1000-500 hPa in una
certa area, allora si saranno attivati moti verticali in grado di produrre, in presenza di un adeguato
tasso di umidità, nubi e precipitazioni. In generale lo spessore dello strato aumenta a causa di
avvezione calda o di riscaldamento diabatico (es. dovuto alla radiazione solare), mentre diminuisce
in seguito ad avvezione fredda o raffreddamento diabatico (es. dovuto a evaporazione o a
irraggiamento).
Infine le mappe di spessore possono essere utilizzate per prevedere il movimento dei sistemi
convettivi organizzati, ovvero dei mesoscale convective systems (MCS). Infatti un MCS tende a
restare nello stesso campo termico nel quale si è originato e di conseguenza si muove
parallelamente alle line di uguale spessore (a differenza dei temporali a singola cella che si
muovono invece seguendo il flusso medio tra 1000 e 500 hPa, ovvero con buona approssimazione
seguendo le isoipse a 700 hPa). Fa eccezione il caso in cui le isolinee di spessore siano diffluenti
dinnanzi al MCS. In tal caso il MCS si propaga all'indietro, allontanandosi dalla zona di diffluenza.
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La meteorologia e la sua terminologia
Parte VIII
Tra gli output dei modelli esistono numerose altre carte
che possono essere consultate per analizzare e prevedere il
tempo. Tra le più gettonate ci sono sicuramente le carte di
precipitazione e copertura nuvolosa.
La mappe di precipitazione mostrano la quantità di
pioggia, espressa in mm, che raggiunge il suolo in un certo
arco di tempo (1, 3, 6, 12 o 24 ore) che precede l'istante
segnato sulla mappa stessa. Sono carte assai intuitive e che
necessitano ben poche spiegazioni, se non alcuni consigli.
Innanzi tutto vanno usate con cautela, tenendo ben
presente che il campo di precipitazione è sempre affetto da
un notevole grado di imprecisione. Gli errori nascono sia
dal fatto che la precipitazione non è una variabile primaria
del modello, ma è ottenuta dalle variabili del modello
attraverso procedimenti più o meno semplificati, sia dal
fatto che per sua natura ha intrinsecamente un alto grado di
impredicibilità.
Inoltre, se la precipitazione è di tipo orografico allora
risulta necessaria una buona risoluzione della topografia,
cosa che non è certamente possibile nei modelli globali
(www.meteogiornale.it/news/read.php?id=10167). Quindi
ricordarsi sempre che in territori con orografia complessa,
come l'Italia, affidarsi ai modelli globali per una previsione precisa di precipitazione e molto
rischioso. In teoria i modelli ad area limitata dovrebbero fornire risultati migliori.
Nel caso in cui la precipitazione sia di tipo convettivo, ovvero legata a fenomeni temporaleschi,
bisogna aver presente che i modelli, anche quelli non idrostatici ad alta risoluzione, hanno non
pochi problemi a fornire risultati corretti, in termini di quantità di pioggia e aree colpite (va molto
meglio se la precipitazione è dovuta ad una forzante a larga scala). In tal caso bisogna interpretare la
carte di precipitazione come probabilità che in una data zona si possano verificare fenomeni
temporaleschi con accumuli anche sostanziosi.
Alcuni modelli forniscono anche le mappe di precipitazione nevosa. Per queste si raccomanda
ancora più cautela, nel senso che in situazioni al limite tra pioggia e neve, anche un solo grado di
differenza può far cambiare tutto. Spesso i modelli discriminano tra neve e pioggia in modo
piuttosto rozzo ed errori di temperatura di 1-2 gradi sono sempre in agguato. Quindi per evitare
grosse delusioni invernali, non fidiamoci ciecamente. Queste mappe mostrano la quantità di neve
prevista, accumulata su intervalli di tempo, espressa in mm di acqua equivalente, ovvero l'acqua che
si otterrebbe sciogliendo la neve. In prima approssimazione 1 mm corrisponde ad 1 cm di neve al
suolo.
Anche le mappe di copertura nuvolosa sono assai intuitive. Mostrano la percentuale di copertura
nuvolosa del cielo, ma in generale non distinguono tra nubi basse, medie o alte. Quindi il modello
può fornire una previsione di cielo coperto, ma tale copertura potrebbe essere dovuta solo a nubi
basse senza alcun fenomeno associato. In alcuni casi invece vengono mostrate le nubi alle tre
diverse quote che contribuiscono poi, tramite sovrapposizione, alla copertura nuvolosa totale.
Chiaramente si hanno informazioni in più.
Per le nubi vale quanto detto per la precipitazione: la cautela non è mai troppa, specie se si ha a che
fare con modelli globali e tempi di previsione lunghi.
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La meteorologia e la sua terminologia
Parte IX
Sono in generale tutti parametri assai utili per valutare la
possibilità di sviluppo di fenomeni temporaleschi e la loro
intensità. La CAPE (Convective Available Potential
Energy) misura la quantità di energia disponibile per la
convezione. Tale energia è resa disponibile dal fatto che la
particella d'aria che sale è più calda dell'ambiente
circostante ed è quindi spinta a salire ulteriormente. Nei
diagrammi termodinamici, la CAPE non è altro che l'area
racchiusa tra il profilo della temperatura (curva di stato) e
la linea dell'adiabatica (secca o satura, relativa alla
particella in esame) quando quest'ultima sta a destra della
curva di stato. Valori di CAPE positivi e superiori a 1000 J/kg indicano buona possibilità di
temporali, se superano i 2000 J/kg c'è rischio di fenomeni intensi. Affinché si liberi tutta l'energia
disponibile (CAPE), a volte è necessario superare una barriera energetica, la quale può essere
rappresentata ad esempio da uno strato di inversione. Affinché si sviluppi il temporale bisogna che
la massa d'aria raggiunga il livello di libera convezione e la spesa energetica necessaria è indicata
dal CIN (Convective Inibition Index) . Valori di CIN alti, maggiori di 75, possono precludere la
formazione di moti convettivi. Il LI (Lifted Index) è la differenza, valutata a 500 hPa, tra la
temperatura dell'ambiente (indicata dalla curva di stato del diagramma termodinamico) e la
temperatura che una particella d'aria viene ad avere sollevandosi dal suolo e seguendo l'adiabatica
secca o satura. Se la particella risulta più calda dell'ambiente, allora è forzata a salire ulteriormente:
un LI negativo è quindi indice di instabilità e condizioni favorevoli a temporali. LI < -6 indica
possibilità di fenomeni intensi. Parente stretto del LI è lo SI (Showalter Index) calcolato allo stesso
modo ma considerando le temperature a 850 hPa. Lo si può usare nella stagione fredda. Un altro
indice di stabilità è il K-Index o Whiting Index calcolato a partire dalla temperatura e dal dew
point a 850 hPa (T850 e TD850) e a 700 hPa (T700 e TD700), e dalla temperatura a 500 hPa
(T500),
tutti
valori
ottenibili
dal
diagramma
termodinamico.
K-INDEX = T850 - T500 + TD850 - (T700 - TD700). Quando è inferiore a 25 la probabilità di
temporali è bassa, tra 25 e 40 ci sono buone probabilità di vedere temporali, quando è superiore a 40
ci si attendono fenomeni temporaleschi anche di forte intensità. Esiste anche una correzione di
natura dinamica all'indice K: si aggiunge 5 se a 500 hPa le correnti hanno curvatura ciclonica, si
sottrae 5 se la curvatura è anticiclonica. Anche l'indice TT (Total-Totals) valuta la stabilità. Si
calcola come (T850 - T500) + (TD850 - T500). Se il suo valore è inferiore a 45 è bassa la
probabilità di avere temporali, tra 45 e 50 i temporali sono probabili, mentre se è superiore a 50 c'è
anche il rischio di fenomeni violenti. La PW (Precipitable Water) è la quantità di vapore acqueo
nella colonna d'aria compresa tra la superficie e la 500 hPa (sopra a 500 hPa la quantità di vapore è
generalmente trascurabile, tranne che in caso di convezione già sviluppata), quindi è legato
direttamente alla quantità di acqua che può essere disponibile come precipitazione. La PW non
rappresenta un limite alla quantità di vapore nella colonna d'aria, poiché altro vapore può essere
trasportato dal vento. Come regola empirica, per sistemi temporaleschi che si muovono lentamente,
si può stimare la precipitazione moltiplicando per 5 il valore di PW. Lo Sweat Index (Severe
WEAther Threat index) o SW, combina diversi parametri termodinamici e di vento per fornire
una stima della probabilità di avere fenomeni violenti. Fino a valori di 300 tale probabilità resta
bassa, da 300 a 400 sono possibili fenomeni violenti, oltre 400 il rischio è elevato. Ci sono poi vari
indici che valutano lo shear (variazione del vento con la quota) e la propensione a moti rotatori,
direttamente connessi alla probabilità di avere supercelle, trombe d'aria e tornado. Esempi sono
HEL (Helicity amount) , EHI (Energy elicity index) relativi a rotazioni sul piano orizzontale e
SREH (Storm-relative environmental elicity) che si riferisce invece a moti verticali (updraft e
downdraft).
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La meteorologia e la sua terminologia
Il clima
Clima mondiale
Il clima viene definito come l'insieme delle condizioni atmosferiche (temperatura, umidità,
pressione, venti...) medie che caratterizzano una determinata regione geografica ottenute da
rilevazioni omogenee dei dati per lunghi periodi di tempo (mediamente 30 anni), determinandone la
flora e la fauna, influenzando anche le attività economiche, le abitudini e la cultura delle
popolazioni che vi abitano.
I principali climi presenti sul pianeta Terra sono:
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Clima alpino
Clima continentale
Clima desertico
Clima nivale
Clima temperato
Clima equatoriale
Clima mediterraneo
Clima polare
Clima subtropicale
Clima tropicale
Clima oceanico
Clima subartico
Clima semiarido
Clima alpino
Il clima alpino è l'insieme di manifestazioni fisiche e meteorologiche presenti al di sopra della linea
degli alberi, e tipico delle catene montuose più importanti, come le Alpi.
Il clima diventa più freddo a quote più elevate, con un gradiente termico adiabatico di 10°C per km
di elevazione in altitudine: l'aria diventa più fredda quanto più ci s'innalza, in quanto meno densa.
Di conseguenza, salire di 100 metri in montagna equivale grosso modo a muoversi di 80 km verso il
più vicino polo (45 primi di grado, equivalenti a 0.75° in latitudine). Si tratta di un'approssimazione
evidente, soprattutto in prossimità degli oceani.
Il climatologo Wladimir Köppen ha dimostrato una relazione tra le linee degli alberi artica e
antartica, nonché tra tali linee e l'isoterma dei 10°C: in buona sostanza dimostrò che le aree soggette
a temperature non superiori a 10°C non sviluppano vegetazione ad alto fusto.
Clima continentale
Il clima continentale è il clima tipico della mezza latitudine interna ai grandi continenti dell’
emisfero nord, nelle zone di venti occidentali; un clima simile esiste lungo le coste est e sud-ovest
dello stesso continente e anche in alte elevazioni e in certe altre parti del mondo. Questo clima è
caratterizzato da temperature invernali abbastanza fredde di supporto ad un periodo fisso di neve
stabile ogni anno, e relative a basse precipitazioni che capitano soprattutto in estate, sebbene le aree
delle coste dell’est (soprattutto in America Settentrionale) in maggio, mostrano una costante
distribuzione di precipitazioni.
Clima desertico
In geografia si definisce deserto un'area del tutto o quasi disabitata, in cui non piove quasi mai
(meno di 250 mm all'anno), il terreno è arido e non coltivabile.
Si tratta in genere di aree non adatte all'insediamento di raggruppamento sociali umani e la loro
estensione raggiunge circa il 30% delle terre emerse, (16% deserti caldi e 14% deserti freddi).
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La meteorologia e la sua terminologia
Se ne suole distinguere due tipologie principali:
 aree a clima caldo (deserto roccioso, sabbioso, a dune), presenti nelle regioni tropicali,
caratterizzate da accentuata aridità, vegetazione ridotta o assente, mancanza di corsi d'acqua
perenni, tendenza alla siccità;
 aree a clima freddo (deserto freddo, deserto bianco), presenti nelle regioni settentrionali e
meridionali a margine dei continenti boreali e australi (Groenlandia, Artide e Antartide),
caratterizzate da freddo intenso e perenni distese di neve e ghiaccio.
I paesaggi desertici possiedono alcune caratteristiche comuni.
 I deserti caldi sono spesso composti per la stragrande maggioranza da sabbia, che per
l'azione del vento dà luogo alle caratteristiche dune. Anche affioramenti di strutture rocciose
sono abbastanza comuni e la vegetazione è molto scarsa.
 I deserti freddi sono invece composti soprattutto da ghiaccio e l'assenza di vegetazione è
quasi totale. Deserti caldi e freddi sono accomunati comunque da un fattore preponderante:
il vento.
Clima nivale
Un clima nivale è un clima molto freddo, con precipitazioni prevalentemente nevose e temperature
rigidissime durante tutto l'anno (fino a -40°).
Questa fascia climatica si estende nella zona dei due poli e in parte dell'emisfero boreale. La
vegetazione è prevalentemente composta da muschi e licheni, la fauna da diverse specie animale tra
cui il lupo, l'orso, la volpe, l'ermellino che usano la bianca neve per mimetizzarsi e difendersi dai
pochi abitanti di quelle zone che vivono di caccia per le pellicce. Da quelle zone provengono molti
dei legni più pregiati.
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La meteorologia e la sua terminologia
Clima temperato
Il clima temperato comprende i numerosi climi delle zone comprese tra i paralleli 30 e 50 in
entrambi gli emisferi.
Il clima temperato oceanico
Il clima oceanico è il clima delle coste occidentali dei continenti: il nordovest degli Stati Uniti
d'America (lo stato di Washington), le isole britanniche, le zone atlantiche della Francia, le coste
del mar del Nord e della Manica. Caratteristica precipua di questo tipo di clima sono il totale
annuale delle precipitazioni e la debole escursione termica. Le estati non sono quasi mai aride, a
parte qualche eccezione, come ad esempio l'estate 2005 nell'Europa occidentale.
Il clima oceanico dégradé
Nelle zone interne dei continenti, quindi più lontane dai fattori mitiganti del mare, il clima
temperato oceanico si modifica:
 l'escursione media annuale aumenta; è più freddo in inverno e più caldo in estate.
 le precipitazioni annuali in pianura sono meno importanti.
 i venti perdono la loro forza.
Questo clima a questo punto si può definire un clima temperato continentale.
Il clima mediterraneo
Il clima mediterraneo può essere visto come una sottocategoria del clima temperato, ma a seconda
della posizione geografica (proprio la presenza del mare stesso ad esempio) si possono avere delle
modifiche climatiche e meteorologiche anche abbastanza importanti; diluvi o periodi di aridità
estivi.
Clima temperato freddo
Il clima temperato freddo si può dividere in due diversi climi: il clima temperato freddo con estate
calda e il clima temperato freddo con inverno lungo. Il primo è caratterizzato da un inverno freddo
con temperature che si aggirano normalmente sui 5°C ma che possono raggiungere con poche
difficoltà anche gli 0°C. Le estati sono invece di solito piuttosto calde con temperature che
variano dai 20 ai 30 gradi e si aggirano normalmente sui 25°C; non è comunque difficile rilevare,
in estate una temperatura anche oltre i 33°. E' il genere di clima che troviamo nella foresta
temperata, nella steppa e nella prateria. Un paese caratterizzato da questo clima è il Kazakistan. Il
secondo è caratterizzato da un inverno lungo e spesso freddo con punte di anche -10°. Le estati
sono invece fresche con temperature pressappoco sui 20 gradi. Questo tipo di clima possiamo
trovarlo nella taiga e nelle foreste di montagna. Un particolare stato che predispone di questo
clima è il Canada, specialmente la parte meridionale e quella centrale.
Clima temperato fresco
Il clima temperato fresco presenta un inverno mite con temperature sui 5-10° e un'estate fresca sui
20°, difficilmente la temperatura va sotto lo zero.
Questo particolare tipo di clima può essere definito anche clima atlantico se riguarda i paesi
affacciati su esso. Spesso, troviamo un clima temperato fresco nella foresta temperata a latifoglie.
Paesi che presentano questo particolare tipo di clima sono Irlanda, Gran Bretagna, Nuova
Zelanda.
Clima equatoriale
La zona torrida o zona tropicale è la zona del globo terrestre compreso tra i due tropici: il Tropico
del Cancro a Nord ed il Tropico del Capricorno a Sud. Questa zona è quindi delimitata dai paralleli
di latitudine 23° 27' Nord e 23° 27' Sud, estendendosi per 46° 54'. Questa zona è caratterizzata dal
fatto che i giorni e le notti sono prossimi entrambi alle 12 ore durante tutto l'anno. Questo è dovuto
al fatto che i raggi solari (a mezzogiorno) sono sempre quasi perpendicolari al terreno determinando
un clima abbastanza costante durante tutto l'arco dell'anno. È l'unica zona in cui è possibile
osservare il fenomeno del sole allo zenith: quando i raggi del sole arrivano al suolo perpendicolari
facendo scomparire tutte le ombre. Questo fenomeno capita durante il mezzogiorno del 21 giugno
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La meteorologia e la sua terminologia
(solstizio d'estate) al Tropico del Cancro ed il 21 dicembre (solstizio d'inverno) al Tropico del
Capricorno; nelle altre zone comprese nella fascia capita invece due volte all'anno.
Le temperature medie di questa zona sono tra le più elevate del pianeta causando una forte
evaporazione delle acque (ci sono fiumi e laghi che annualmente o saltuariamente vengono
completamente prosciugati dall'evaporazione) ed un clima costantemente caldo. In tale fascia si
alternano zone caratterizzate da forti precipitazioni che generano le foreste tropicali o pluviali a
zone dove le precipitazioni sono molto scarse dove si sono creati i più grandi ed aridi deserti della
Terra. In questa fascia è molto raro che vi siano delle nevicate a basse quote. L'acqua superficiale
degli oceani, riscaldata dal Sole, forma varie correnti marine, tra cui la famosa è la corrente del
Golfo del Messico che mitiga gli inverni nel nord-ovest dell'Europa.
Clima mediterraneo
Il clima mediterraneo ha lunghe estati calde e asciutte ed inverni miti. È tipico delle regioni che si
affacciano sul Mar Mediterraneo: il sud della Spagna, della Francia, della penisola balcanica e l'
Italia peninsulare. L'agricoltura e l'allevamento vi sono praticati da secoli.
È il clima più caldo d'Europa, ed ha la variante del Clima mediterraneo continentalizzato, noto
anche come Clima della Sicilia centrale, proprio appunto della Sicilia centrale e della regione
spagnola di Madrid.
Clima polare
Il clima polare è un insieme di manifestazioni di temperatura e pressione che creano durante l'anno
la meteorologia dei poli terrestri e delle regioni all'interno dei circoli polari.
La principale caratteristica dei climi polari sta nella temperatura di queste zone, che raramente
supera i 10°C anche nei più caldi giorni d'estate.
Le regioni a clima polare si dividono fondamentalmente in due classi: le aree polari vere e proprie
(Antartide, Groenlandia) e le aree sub polari quali la tundra, dove il terreno semi permanentemente
gelato impedisce la crescita di alberi ad alto fusto.
Clima subtropicale
Il Clima Subtropicale è il clima tipico delle coste poste tra il Tropico del Cancro e i 40° di
Latitudine Nord nell'Emisfero boreale e tra il Tropico del Capricorno e i 40° di Latitudine sud
dell'Emisfero australe. E' caratterizzato da una stagione calda (+24°/+29°) e secca e una piovosa e
mite (16° - 18°/20° - 22°), con rare giornate di freddo e rarissime gelate.
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La meteorologia e la sua terminologia
Clima tropicale
Il clima tropicale è il clima delle due fasce della Terra attorno al Tropico del Cancro e al Tropico
del Capricorno. È caldo e caratterizzato da altissimi livelli di piovosità. In questo clima si
sviluppano le foreste tropicali o pluviali.
Clima oceanico
Il clima oceanico (anche chiamato clima marino della costa ovest e clima marittimo) si trova
tipicamente lungo le coste ovest alle medie latitudini in tutti i continenti del mondo e nell'Australia
sud-orientale. Climi simili si trovano anche sulle alture delle coste tropicali. In genere, rientrano
nella Classificazione dei climi di Koppen come Cfb o Cwb.
I climi oceanici sono caratterizzati da una piccola variabilità della temperatura durante l'anno e
differiscono dal clima mediterraneo in quanto durante l'estate si verificano molte più precipitazioni.
Le precipitazioni sono pertanto possibili in ogni periodo dell'anno, eccetto che nelle aree tropicali,
che avranno climi più simili a quello della Savana (con clima secco in inverno). Un'altra eccezione
parziale è il nord-ovest del Pacifico, in cui le estati sono relativamente secche, ma la stagione delle
piogge è molto umida e abbastanza lunga per evitare l'arsura estiva che si verifica invece nelle
regioni a clima mediterraneo.
Le caratteristiche della temperatura variano tra i climi oceanici: le regioni a più bassa latitudine
sono subtropicali da un punto di vista di calore, ma più comunemente prevale un clima
mesotermico, con inverni freschi ma non freddi ed estati tiepide ma non calde. Le estati sono
generalmente più fresche che nelle aree con clima umido subtropicale. Spostandosi verso i poli, c'è
una zona di clima oceanico subpolare, con inverni relativamente miti ed estati fresche che durano
meno di quattro mesi: in questa fascia di clima cadono, ad esempio, la costa dell'Islanda (emisfero
boreale) e il sud del Cile (emisfero australe).
I climi oceanici sono classificati come umidi, in relazione alle precipitazioni, mentre esiste
l'eccezione del clima oceanico della Patagonia che è invece un clima oceanico secco.
Clima subartico
Le regioni che hanno il clima subartico (chiamato anche clima boreale) sono caratterizzate da un
inverno particolarmente freddo e da una estate breve e calda.
Questo tipo di clima offre delle notevoli escursioni termiche: in inverno la temperatura arriva ai –
40°C ( oppure i – 40°F) ed in estate le temperature giungono fino ai 30° (86° F).
Il clima subartico è considerato un sottotipo del clima continentale.
La vegetazione del clima subartico è generalmente scarsa, solo alcune specie sono capaci di
sopravvivere al lungo freddo ed alla corta estate. Sono perlopiù limitate alle belle conifere dai grossi
tronchi, maggiormente abili alla sopravvivenza veramente difficile alle temperature invernali della
Taiga.
Clima semiarido
I climi aridi sono tipici dei deserti caldi delle zone tropicali e subtropicali e dei deserti freddi in
inverno delle medie latitudini. La loro vegetazione tipica è costituita da cespugli spinosi ed erbe
sparse. Le steppe, tipiche dei climi semiaridi, si formano lungo i margini leggermente più umidi dei
deserti tropicali e in larghe fasce della parte occidentale del Nord America e dell'Asia centrale. La
loro principale caratteristica sono i cespugli e l'erba bassa.
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La meteorologia e la sua terminologia
Le aree della Terra risultano quindi mediamente suddivise per tipi di clima secondo questo criterio:
Il clima terrestre viene inoltre suddiviso secondo un’altra precisa classificazione studiata da uno
scienziato tedesco. Il sistema di classificazione dei climi normalmente adottato, basato sulle
differenze di temperatura e precipitazioni, è quello formulato dal climatologo tedesco Wladimir
Köppen all'inizio del XX secolo. Il suo fondamento consiste nell'osservazione che l'effetto più
evidente e diretto del clima è il tipo di vegetazione associato. Ne risulta una suddivisione della
Terra in cinque grandi aree climatiche, ciascuna corrispondente all'area di distribuzione di una
particolare categoria di piante.
Queste ultime si distinguono infatti in cinque classi, a seconda delle condizioni ambientali di cui
abbisognano: le megaterme crescono in presenza di temperature medie superiori ai 20 °C; le
mesoterme sono tipiche delle temperature comprese tra i 15 e i 20 °C; le microterme sono
caratteristiche delle temperature comprese tra 0 e 15 °C; le echistoterme crescono in presenza di
temperature molto basse, oltre il limite della vegetazione arborea; infine le xerofite sono le piante
adattate ad ambienti aridi, caratterizzati da lunghi periodi di siccità.
In base a questa classificazione della vegetazione si distinguono cinque grandi fasce climatiche:
quella del climi tropicali umidi, corrispondente all'area di diffusione delle piante megaterme; quella
dei climi aridi, in cui crescono le piante xerofite; quella dei climi temperato-caldi, in cui si trovano
le piante mesoterme, quella dei climi boreali, corrispondente alla zona di distribuzione delle piante
microterme e, infine, la zona polare, in cui crescono le piante echistoterme.
Climi tropicali umidi
Tipici della fascia equatoriale calda compresa tra i due tropici, i climi tropicali umidi sono del tutto
privi di una stagione invernale. La temperatura media è costantemente superiore ai 18 °C e
l'escursione termica è molto ridotta. Nell'ambito di questa zona climatica si distinguono
ulteriormente il clima della foresta pluviale, o clima equatoriale, e il clima della savana. Il primo è
caratterizzato da precipitazioni frequenti, il cui effetto più evidente è la vegetazione estremamente
rigogliosa della foresta pluviale; lo si trova nella regione amazzonica, nell'Africa centrale e nelle
regioni costiere dell'oceano Indiano. Il secondo, quello della savana, è il clima di transizione tra
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La meteorologia e la sua terminologia
quello equatoriale umido e quello arido della fascia desertica. Presenta una stagione asciutta e una
vegetazione dominata dalla prateria erbacea, interrotta da qualche specie arborea di tipo xerofitico.
Climi aridi
I climi aridi, caratteristici delle latitudini basse e medie a cavallo dei tropici, sono quelli in cui la
quantità di precipitazioni non riesce a compensare l'acqua persa per effetto dell'evaporazione.
Nell'ambito di questa categoria si distinguono i climi semiaridi, a cui sono associate le steppe
predesertiche, e i climi desertici veri e propri. A seconda della posizione geografica, poi, si
distinguono ulteriormente regioni desertiche calde, con temperature medie superiori ai 18 °C (tra
cui il Sahara, il deserto libico e i deserti iraniani a nord, e il Kalahari e il Gran deserto sabbioso
australiano a sud), e regioni aride fredde, con temperature medie inferiori ai 18 °C, situate
all'interno delle aree continentali (come il deserto di Gobi e le zone aride della Patagonia
meridionale). La vegetazione, molto scarsa, si riduce a poche specie erbacee o arbustive di tipo
xerofitico.
Climi temperati caldi
All'interno di questa ampia categoria si distinguono diversi tipi di climi: quello subtropicale umido,
caratteristico delle regioni orientali dei continenti (come le coste orientali della Cina) comprese tra i
25° e i 40° di latitudine; presenta estati calde e afose con abbondanti precipitazioni e inverni
anch'essi molto piovosi, ma relativamente freddi; la vegetazione che ne risulta è la foresta
subtropicale umida, in cui convivono piante caducifoglie, come il faggio e la quercia, con conifere e
piante tropicali come il bambù. I climi marittimi temperato-freschi, caratteristici delle coste
occidentali dei continenti comprese tra i 40° e i 60° di latitudine, presentano estati fresche e inverni
miti; la temperatura media non scende al di sotto dello 0 °C e non sale al di sopra dei 15 °C; è il
clima tipico delle regioni atlantiche europee, che produce una vegetazione di foreste miste di
sempreverdi e caducifoglie. I climi mediterranei invece, tipici delle zone occidentali comprese tra le
latitudini 30° e 45°, e in particolare delle regioni affacciate sul bacino del Mediterraneo, presentano
un massimo di precipitazioni durante l'inverno. L'escursione termica annua è mitigata dalla presenza
del mare e la vegetazione tipica è la macchia.
Climi boreali
Sono i climi caratterizzati da inverni freddi, presenti nelle zone continentali più interne, alle medie
latitudini. Sono quindi caratteristici dell'emisfero boreale (da cui il nome), dal momento che in
quello australe le masse continentali sono di gran lunga meno estese. Anche all'interno di questa
fascia climatica si può operare un'ulteriore distinzione, tra clima umido continentale e clima
subartico. Il primo, presente nelle regioni centro-orientali del Nord America e dell'Eurasia comprese
tra i 40 e i 50° di latitudine, presenta una stagione fredda di circa 8 mesi, in cui le temperature
rimangono inferiori allo 0 °C, e una stagione calda con temperature di circa 20 °C. Le precipitazioni
sono più abbondanti in estate; quelle invernali sono parzialmente nevose. La vegetazione associata è
quella della foresta di piante decidue (querce, faggi, castagni, betulle, aceri, tigli) e delle steppe,
queste ultime presenti soprattutto nelle pianure della Russia e di alcune zone del Nord America. Il
clima definito subartico è quello presente tra i 50° e i 70° di latitudine, vale a dire dove si estendono
le foreste della taiga, dominate dalle conifere sempreverdi. È caratterizzato da inverni lunghi e
freddi e da estati che, seppur brevi, raggiungono comunque temperature relativamente miti.
Climi polari
Sono definiti polari i climi in cui la temperatura della stagione più calda si mantiene sempre al di
sotto dei 10 °C. Nell'ambito di questa classe climatica si distinguono il clima subpolare e il clima di
gelo perenne. Il primo, con inverni molto rigidi, estati fresche e precipitazioni scarse durante tutto
l'anno, produce una vegetazione priva di specie arboree, costituita essenzialmente da muschi e
licheni (tundra). Il clima di gelo perenne, invece, presenta temperature costantemente inferiori allo 0
°C e una vegetazione praticamente assente. Nella fascia interessata da questo clima, in Antartide,
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La meteorologia e la sua terminologia
nella stazione meteorologica di Vostok, è stata registrata la più bassa temperatura mai misurata sul
pianeta, pari a - 91,5 °C.
Af = clima tropicale senza stagione arida
Aw = clima tropicale con inverno secco
BS = clima arido della steppa
BW = clima arido del deserto
Cf = clima temperato caldo senza stagione secca
Cs = clima temperato caldo con estate secca
Cw = clima temperato caldo con inverno secco
Df = clima temperato freddo senza stagione secca
Dw = clima temperato freddo con inverno secco
ET = clima freddo della tundra
EF = clima freddo del gelo perenne
Clima europeo
Clima Atlantico:
Il clima atlantico interessa le regioni occidentali
bagnate dall'oceano atlantico che esercita una azione
mitigatrice sulla temperatura Questo clima e
caratterizzato da frequenti e abbondanti piogge,
portate dai venti tiepidi e umidi che spirano dal mare.
Le regioni della costa atlantica oltre a risentire
dell'influsso del mare e dei venti occidentali godono i
benefici di una corrente marina detta corrente del
golfo.
Clima Alpino:
La temperatura del clima alpino tipico delle catene
montuose più alte dell'Europa è rigida in inverno e
miti nelle altre stagioni con tempi che oscillano tra
10° nel mese più caldo, -15° nel mese più freddo. Le
precipitazioni sono più abbondanti sulle montagne
mentre all'estremità settentrionale sono scarse Il
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La meteorologia e la sua terminologia
clima alpino è tipico delle alpi Scandinave nell'Europa settentrionale, del Caucaso nell'Europa
orientale, dei Pirenei nell'Europa occidentale, delle Alpi e dei Carpazi nell'Europa centrale
Clima Mediterraneo:
La zona a clima mediterraneo comprende tutte le coste bagnate dal mare omonimo. L'interno delle
tre penisole (Iberica, Italica, Balcanica) risente poco dell'influsso del mare, perché vi sono
numerose catene montuose lungo le coste. Le estati sono calde (23°/25° nel mese più caldo), gli
inverni miti (4°/10° nel mese più freddo) e le precipitazioni, molto variabili da regione a regione,
sono concentrate di solito in inverno. Lungo tutte le coste del Mediterraneo, dov'è presente un clima
mite (detto appunto mediterraneo) si è sviluppata la macchia mediterranea.
Clima Continentale:
Il clima continentale è caratterizzato da forti escursioni termiche annue con inverni freddi e nevosi
ed estati calde. Si distingue in continentale freddo e di transizione. La varietà delle precipitazioni e
delle temperature determina diversi ambienti.
Clima italiano
Il clima in Italia è generalmente temperato. Solo raramente si hanno temperature più alte di 40 gradi
centigradi d'estate, o temperature inferiori ai 10 gradi sotto lo zero d'inverno. Le stagioni sono
abbastanza ben definite: l'inverno è generalmente freddo,
la primavera piovosa con giornate di sole, l'estate calda e
secca e l'autunno sereno, più raramente piovoso, ma mai
rigido. Essendo molto estesa da Nord a Sud, l'Italia può
essere divisa in tre fasce climatiche distinte:
Nord:
Il Nord-Italia, ovvero la parte compresa tra le Alpi e
l'Appennino Tosco-Emiliano, è la zona meno influenzata
dall'azione temperante del mare ed ha un clima molto
rigido d'inverno (nelle città del Nord-Italia, infatti, non
sono rare le nevicate nei mesi di Dicembre, Gennaio e
Febbraio), mentre l'estate è molto calda (a volte
addirittura torrida) e con alti livelli di umidità.
Centro:
Il Centro dell'Italia, compreso approssimativamente tra la
Liguria e Roma, ha un clima temperato, che non presenta
grandi differenze tra le stagioni estreme, anche se si può
passare da un inverno piuttosto rigido ad una stagione
estiva molto calda.
Sud:
Il Sud (che comprende anche le isole maggiori, la Sicilia e la Sardegna) ha un clima secco e
generalmente caldo, con scarse precipitazioni e periodi di vera e propria siccità. L'inverno non è mai
troppo rigido e l'autunno e la primavera hanno temperature più vicine a quelle estive delle altre zone
d'Italia che a quelle invernali.
In quanto detto non rientrano, ovviamente, le zone di montagna, ossia le zone appenniniche del
centro e del sud, che hanno un clima più freddo delle pianure, a causa dell'altezza sul livello del
mare. Non bisogna trascurare, infatti, il ruolo che il Mediterraneo, che circonda la penisola su tre
lati, ha sul clima italiano. Le zone costiere sono meno calde durante l'estate e meno fredde durante
l'inverno rispetto alle zone interne.
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La meteorologia e la sua terminologia
Clima varesino
Il frafico indica la temperatura media nei mesi di giugno-luglio-agosto (estate) e raffronto con la
media dal 1967. Si nota un progressivo aumento medio della stessa temperatura. L’estate più calda
risulta essere l’anno 2003 con 26.2°C di media mentre, l’estate più fredda coincide all’anno 1977
con 19.0°C.
Il secondo grafico mostra la temperatura media nei mesi di dicembre-gennaio-febbraio (inverno), in
questo caso non si nota una netta tendenza all’aumento o alla diminuzione delle T ma, un normale
alternarsi di periodi più o meno freddi o caldi della media. Gli inverni più freddi sono stati il 1979
ed il 1985 mentre, quello più caldo risale al 1975. In questo caso non si constata la tendenza
all’aumento delle T, in risalto negli altri grafici.
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La meteorologia e la sua terminologia
Il grafico mostra il totale della precipitazioni annuali in provincia di Varese dal 1966 con una media
di circa 1500 millimetri, in questo caso si nota una tendenza alla diminuzione del totale delle
precipitazioni annuali e il minimo storico con 971.3 mm proprio negli ultimi anni (2005).
Il grafico mostra la temperatura media annuale dal 1967 ad oggi, anche in questo caso si ha una
tendenza al progressivo aumento della T media e quindi una tendenza al riscaldamento. L’anno con
T media minore risulta essere il 1972 ed il 1978 con 11.4°C; l’anno con T media più alta è invece il
2003 con una T media di 14.1°C.
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La meteorologia e la sua terminologia
Il seguente grafico mostra la temperatura media del mese di Marzo con un minimo storico nell’anno
1971 (4.6°C) ed un massimo nell’anno 1994 (12.3°C); la media climatica è di 8.2°C e anche in
questo caso, la tendenza dal 1989 è verso un aumento della T media in Marzo, anche se negli ultimi
anni, essa è mediamente calata.
Questo grafico raffigura il totale delle precipitazioni, espresso in mm, del mese di febbraio
considerando l’ultimo trentennio. Febbraio più piovoso nell’anno 1973 con circa 277 mm, febbraio
più secco nell’anno 1999 con circa 0.6 mm. La media del mese si attesta intorno agli 78.0 mm, la
tendenza media fa notare un progressivo calo delle precipitazioni, anche se negli ultimi anni vi è un
costante alternarsi di mesi sopra media e mesi decisamente sotto media.
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