La meteorologia e la sua terminologia INDICE A Acqua - Aerosol - Albedo - Anticiclone Russo/Siberiano - Anticicloni - Atmosfera Aria fredda in Italia 7 B Boundary Layer - Brezza - Bulbo umido - Burian 4 C Cambiamenti del tempo - Cape - Cicloni - Clima - Convergenza - Corrente del golfo Cut off 7 D Dew point - Divergenza 2 E El nino - Evapotraspirazione 2 F Figure bariche - Foehn - Fronti - Fulmini 4 G Galaverna - Geopotenziali - Gragnola - Gradiente termico verticale - Grandine Gust front 6 H - - I Indice di calore - Interpretare le mappe - Inversione termica 3 J Jet stream 1 L Lifted index - Limite neve 2 M Masse d’aria fredda - Masse d’aria calda - Modelli - Monsoni Movimenti verticali d’aria 5 N Nao - Nebbia - Neve - Nubi 4 O Omega 1 P Pcai - Perturbazioni in Italia - Pressione 3 Q Qbo 1 R Radiosondaggi - Raggi ultravioletti 2 S Shelf cloud - Spaghetti - Squall line - Ssta - Stau - Stratwarming 6 T Temperatura - Temporali - Tendenza barometrica - Tornado 4 U Umidità 1 V Velocità verticali - Vento - Visibilità - Vorticità 4 W Wejkoff - Westerlies - Wind shear 3 Z Zero termico - Zero assoluto 2 Totale termini - 74 Totale pagine - 70 Daniele Longo - 769922304 La meteorologia e la sua terminologia A Acqua Il vapore acqueo contenuto nell’atmosfera, seppur presente in concentrazioni limitate, riveste un ruolo fondamentale negli scambi energetici atmosferici. Le transizioni di fase I processi di transizione di fase sono molto importanti in quanto responsabili di scambi di grosse quantità di energia. Le transizioni di fase che avvengono nel verso della freccia richiedono energia: Solido Solido Liquido Liquido FUSIONE Vapore SUBLIMAZIONE Vapore EVAPORAZIONE Le transizioni di fase che avvengono nel verso della freccia liberano energia: Solido Solido Liquido Liquido SOLIDIFICAZIONE Vapore BRINAMENTO Vapore CONDENSAZIONE Si definisce calore latente, l’energia termica necessaria per la transizione di fase di 1 kg di sostanza. Per convezione si assume positiva l’energia richiesta, negativa quella liberata: Calore latente di condensazione - 2.500.000 J/kg Calore latente di evaporazione + 2.500.000 J/kg Calore latente di fusione - 330.000 J/kg Calore latente di solidificazione + 330.000 J/kg Calore latente di sublimazione - 2.830.000 J/kg Calore latente di brinamento + 2.830.000 J/kg L’evaporazione di 1 kg di acqua richiede energia (2.500.000 J). Tale energia viene ceduta durante la condensazione. Le grandezze igrometriche L’aria può essere considerata una miscela di due gas: vapore acqueo e aria secca. La massa di vapore acqueo che può essere contenuta in una massa d’aria, ad una data temperatura e pressione, ha un limite superiore che viene raggiunto in condizioni di saturazione. In tale condizione un eventuale eccesso di vapore acqueo condensa formando goccioline di acqua (acqua nella fase liquida). La massa di vapore acqueo che può essere contenuta in una massa d’aria aumenta con la temperatura e diminuisce con la pressione. Pressione di vapore In una miscela di gas, ogni componente esercita una pressione che è pari a quella che eserciterebbe se occupasse da solo il volume a disposizione (legge delle pressioni parziali di Dalton). La pressione di vapore rappresenta quindi la pressione esercitata dal vapore acqueo. Essa è proporzionale alla percentuale di vapore acqueo presente nell’atmosfera. Se una particella di aria ha pressione pari a 1000 hPa ed è composta dal 78% di azoto, 21% di ossigeno e 1% di vapore acqueo, la pressione parziale del vapore acqueo è pari a 10 hPa (1% di 1000 hPa). La pressione di vapore esercitata in condizioni di saturazione viene definita pressione di vapore saturo e rappresenta il valore massimo in quelle condizioni di temperatura e pressione. Daniele Longo - 769922304 La meteorologia e la sua terminologia Aerosol Il particolato atmosferico (aerosol) è l’insieme delle particelle solide (polveri) o liquide (goccioline) che si trovano in sospensione nella bassa atmosfera per cause naturali o anche tropogeniche. Gli aerosol sono costituiti in prevalenza da particelle di sale marino, polveri, solfati, nitrati, sostanze organiche e fumi. La loro origine è associata ad una ricca varietà di processi quali la combustione, la condensazione in piccole particelle di alcuni gas reattivi come conseguenza di processi chimici o fotochimica, la dispersione nell’atmosfera di particelle solide in seguito all’erosione del suolo ad opera di agenti atmosferici, la dispersione di soluzioni saline che all’atto dell’evaporazione immettono sale marino nell’atmosfera. Le particelle che si formano per condensazione sono solitamente sferiche, le altre possono essere cristalli, fibre, agglomerati o frammenti irregolari. Per praticità, tutte le particelle sono descritte in termini di diametro sferico equivalente, definito come il diametro di una sfera avente lo stesso volume della particella di aerosol. Il diametro può andare da 10-3 micron fino a 100 micron. La concentrazione degli aerosol è estremamente variabile nel tempo e nello spazio, ed è maggiore nelle vicinanze delle sorgenti quali città, mari o vulcani attivi. Parte del pulviscolo atmosferico si comporta da nucleo di condensazione già in presenza di una modesta sovrasaturazione dell’ 1-2%. Il processo di formazione delle goccioline a partire dalla condensazione del vapore sui nuclei igroscopici è chiamato enucleazione eterogenea. La formazione di goccioline a partire dalla semplice condensazione del vapore in presenza di elevati valori di sovrasaturazione o di temperature fortemente negative è, invece, nota come enucleazione omogenea. I nuclei di condensazione sono particelle il cui diametro va da 0,1 micron fino a 4 micron. La categoria più numerosa è quella con diametro inferiore a 0,2 micron; tali nuclei sono i primi a dare inizio al processo di formazione delle droplet all’interno di una massa d’aria satura e pertanto ad essi sono associate goccioline più grandi all’interno della nube. Le gocce più grandi, avendo una maggiore tensione superficiale rispetto a quelle più piccole, tendono a ingrossarsi a spese di queste ultime, fino a raggiungere le dimensioni di una goccia di pioggia. La concentrazione dei nuclei di condensazione nell’atmosfera è di 500-1000 particelle per cm3, che corrisponde al numero di gocce che mediamente si formano in una nube. Un’importante classificazione del nuclei igroscopici può essere fatta distinguendo fra i nuclei attivi a temperature positive e quelli attivi a temperature negative. In base a questa distinzione è possibile classificare i nuclei igroscopici in: nuclei di condensazione: nuclei attivi a temperature positive che favoriscono la formazione di goccioline in seguito alla condensazione del vapore acqueo. nuclei glaciogeni: nuclei attivi a temperature negative che agevolano la formazioni di cristalli di ghiaccio. Se la formazione avviene a partire dal congelamento di goccioline d’acqua sopraffuse i nuclei glaciogeni sono detti di ghiacciamento, mentre nel caso di formazione di cristalli direttamente dalla sublimazione del vapore acqueo i nuclei glaciogeni sono detti di sublimazione. Daniele Longo - 769922304 La meteorologia e la sua terminologia Albedo La radiazione solare, oltre ad essere assorbita e diffusa nell’attraversare l’atmosfera, viene anche parzialmente riflessa verso lo spazio ad opera delle nubi, dei gas atmosferici e della superficie terrestre. Si definisce albedo il rapporto fra l’energia riflessa e quella totale incidente sulla superficie considerata. Tipo di superficie Nubi sottili Nubi spesse Mare calmo Mare agitato Foresta equatoriale Foresta delle latitudini medio - alte in estate Praterie e campi coltivati Savana tropicale Sabbia Are intensamente urbanizzate Neve vecchia Neve fresca Albedo 4% 85% 2-5% 2-10% 5-15% 15-20% 15-20% 20-25% 25-30% 15-25% 50-70% 80-90% Anticiclone Russo/Siberiano L’anticiclone russo-siberiano è la figura termica per antonomasia; si genera in autunno (fra ottobre e novembre) nelle steppe siberiane più interne del continente asiatico, dove già in quel periodo la temperatura durante il giorno rimane di molti gradi al di sotto dello zero. Il peso dell’aria fredda favorisce la nascita di questa figura così maestosa, duratura e stabile nella sua posizione, e la mantiene fino a primavera inoltrata, portando il gelo e il secco agli abitanti della Siberia. Come tutti gli anticicloni termici la sua struttura si sviluppa fra il suolo ed i 2-3 km di quota, mentre più in alto è presente una struttura di bassa pressione o (più abitualmente) una "palude barica" (un’area molto vasta dove la pressione è livellata sugli stessi valori ovunque). In alcune occasioni, a seconda del movimento delle depressioni atlantiche alle medie latitudini, parte di quest’aria fredda può "traboccare" oltre gli Urali, portando alla formazione di una cellula anticiclonica termica fra la Scandinavia e la Russia Bianca. Se oltretutto questo rovesciamento avviene con violenza e rapidità, la spinta verso ovest può essere talmente intensa da permettere all’aria gelida di arrivare fin verso il Mediterraneo; in queste occasioni si genera il vento denominato "Burian", che ci ha fatto visita per l’ultima volta il 26 dicembre 1996 quando le temperature sono crollate sotto lo zero anche nelle ore più calde un po’ su tutto il centro-nord Italia. Anticicloni Gli anticicloni sono zone di alta pressione sulla superficie terrestre a forma circolare o ellittica, che causano modeste variazioni dei parametri meteorologici. Al loro interno i venti sono deboli, spesso a regime di brezza, e soffiano in senso orario nell’emisfero boreale e antiorario in quello australe. L’aria, essendo pesante, si comprime, si riscalda e diventa più secca (fenomeno detto subsidenza), dissolvendo spesso le nubi. In presenza di un anticiclone, però, durante l’inverno possono formarsi nebbie o foschie a causa delle inversioni termiche nei pressi del suolo, mentre durante l’estate il forte riscaldamento del suolo può causare la formazione improvvisa di cumulonembi con i conseguenti temporali di calore. Daniele Longo - 769922304 La meteorologia e la sua terminologia Gli anticicloni possono essere di diversi tipi: Anticicloni dinamici: sono legati alla circolazione generale dell’atmosfera ed interessano i tropici in tutte le stagioni. Sono caldi, occupano l’intera troposfera e, specialmente d’inverno, possono stazionare per settimane sulla stessa zona (anticicloni di blocco), impedendo l’ingresso delle perturbazioni, che vengono deviate lungo i bordi settentrionali o meridionali del sistema anticiclonico. Un tipico esempio dell’emisfero boreale è dato dall’anticiclone delle Azorre, che riveste grande importanza nell’evoluzione meteorologica europea. Mentre d’estate esso può arrivare ad occupare l’intero bacino del Mediterraneo, apportando condizioni prolungate di bel tempo, d’inverno si ritira in genere nei suoi luoghi di origine consentendo, perciò, alle perturbazioni atlantiche di giungere sino al Mar Mediterraneo. Nelle stagioni intermedie, invece, l’anticiclone delle Azorre si sposta continuamente, determinando tempo molto variabile. Anticicloni termici: occupano le aree più fredde della Terra, come i Poli e d’inverno la Siberia, e a causa della loro grande estensione si muovono molto lentamente, Verso i 40005000 metri, però, essi sono sostituiti da cicloni o depressioni, poiché la pressione atmosferica diminuisce più rapidamente nell’aria fredda che nell’aria calda per effetto della compensazione barica. Anticicloni mobili o di chiusura: si trovano fra due depressioni e sono prodotti dall’afflusso di masse d’aria fredda. Al contrario degli altri anticicloni, questi sono interessati da venti forti e sono molto piccoli, per cui si spostano rapidamente, provocando un miglioramento del tempo soltanto temporaneo (1 o 2 giorni al massimo) In generale comunque alle zone di alta pressione cioè in presenza di anticicloni, il tempo risulta durante il giorno, stabile soleggiato e assenza di precipitazioni, escludendo comunque i casi particolari. Atmosfera L'atmosfera terrestre è composta prevalentemente da azoto (78%) e da ossigeno (21%), con piccole percentuali di argo (0,9%), anidride carbonica e altri gas. Questo particolare miscuglio di gas costituisce l'aria. L'atmosfera costituisce un sistema dinamico molto complesso: movimenti e spostamenti sono responsabili dei diversi climi e del tempo meteorologico, delle perturbazioni e dei venti. Naturalmente non esiste un'altezza precisa ove l'atmosfera ha il suo limite ma per convenzione tale limite è fissato a 1.000 chilometri, oltre questa altezza troviamo il vuoto interplanetario. L'atmosfera viene divisa in fasce, ognuna delle quali ha temperature e caratteristiche differenti. Lo strato più prossimo alla crosta è la troposfera, compresa tra 0-15 km da terra, dove avvengono tutti i fenomeni meteorologici che conosciamo. Sopra si trova la stratosfera, compresa tra 15-50 km, che include una fascia di ozono che ripara la Terra dalle radiazioni ultraviolette provenienti dal Sole. Più in alto si incontra la mesosfera, 50-90 km, dove ha luogo il curioso fenomeno delle nubi Daniele Longo - 769922304 La meteorologia e la sua terminologia nottilucenti. L'alta mesosfera fa parte di quella regione elettromagnetica chiamata di ionosfera: questo strato non si lascia attraversare dalle onde radio ma le riflette sulla Terra, dove vengono captate. Le regioni della parte superiore dell'atmosfera sono meno conosciute e non hanno grande influenza su ciò che accade sulla superficie terrestre. Oltre la mesosfera troviamo la termosfera compresa tra i 90 e i 500 km da terra circa - una grande zona, molto calda, anch'essa permeata dalla ionosfera. Lo strato più esterno, infine, è l'esosfera, compresa tra i 500 e i 1.000 km circa da terra, oltre la quale incomincia il vuoto interplanetario. Aria fredda in Italia Le masse d’aria fredda che raggiungono la nostra Penisola possono essere divise in due categorie: Correnti artiche marittime Correnti continentali Vi sono anche le polari marittime, ma queste in genere non partono mai dai grossi scossoni in campo termico. Le correnti artiche marittime vengono da nord, dal Circolo Polare Artico. Sono messe in moto da una rimonta anticiclonica che si allunga fino al nord Atlantico, bloccando le miti correnti da ovest. Si tratta di aria fredda soprattutto alle quote superiori, di conseguenza si presente instabile e apportatrice di rovesci nevosi. A contatto con il Mediterraneo, in genere, forma depressioni per contrasto termico, con tempo perturbato specie al centro e al sud. Le correnti fredde continentali sono di norma le più gelide di tutte. Vengono da est, dalla Siberia. In questo caso a veicolarle verso l’Italia ci pensa il famigerato anticiclone russo, che con un gelido abbraccio ingloba gran parte del Continente Europeo. L’anticiclone, tuttavia, ha bisogno della collaborazione di una depressione situata tra il Mari Ionio e la Grecia. Tali correnti sono l’espressione dell’inverno più crudo e freddo! In genere si tratta di aria gelida a livello del suolo. Di conseguenza ha comportamento scarsamente instabile, ma può contrastare con aria più umida in loco e determinare abbondanti nevicate da “scorrimento”. Se l’avvezione fredda è particolarmente massiccia e veloce si parla di Burian, il vento freddo della Steppa! Questa forte corrente fredda porta abbondanti nevicate nelle zone esposte, quindi sul medio-basso Adriatico e il retrostante Appennino. Se ad una situazione di Burian fa seguito un respiro più umido dall’Atlantico, tutto il nord Italia viene investito da abbondanti nevicate, specie sull’Appennino Ligure, sulle Alpi e sul Piemonte. Daniele Longo - 769922304 La meteorologia e la sua terminologia B Boundary Layer Il Boundary Layer (PBL) è caratterizzato da un attivo rimescolamento verticale dovuto alla turbolenza ossia ai moti vorticosi generati dagli ostacoli al suolo, dall’attrito viscoso interno e dai moti convettivi innescati dalle bolle d’aria calda che si sviluppano sui suoli surriscaldati dai raggi solari. Per di più tale strato assorbe la maggior parte del calore e del vapore emessi dalla superficie terrestre. L’altezza del PBL, ossia l’estensione verticale fin dove si avvertono le influenze diurne del suolo, non è costante durante il giorno ma dipende dall’intensità del rimescolamento termico. Di giorno, quando la Terra è riscaldata dal Sole, vi è un trasferimento di calore verso l’alto, soprattutto a opera delle termiche e la profondità del PBL si spinge in genere fino a 1-2 km. Invece di notte la Terra si raffredda più rapidamente dell’atmosfera cosicché è l’atmosfera a cedere calore al suolo per irraggiamento. Il conseguente raffreddamento dello strato d’aria più prossimo al suolo tende ad annullare il rimescolamento turbolento cosicché il PBL in genere è inferiore a 100 metri. Tale andamento periodico dell’altezza del PBL, legato al ciclo giornaliero del Sole, può essere interrotto alle medie latitudini, dal passaggio delle tipiche perturbazioni del tempo a grande scala, nelle quali vento e nubi influenza il PBL in misura maggiore del ciclo diurno del calore e delle caratteristiche del suolo. All’interno del PBL vi sono due strati particolarmente legati alle caratteristiche del suolo. Il primo, denominato Laminar Boundary Layer, è uno strato non turbolento aderente alla superficie terrestre, avente pochi millimetri di spessore che costituisce una specie di cuscinetto rispetto allo strato d’aria immediatamente sovrastante, il Turbolent Surface Layer (SL). Nello Sl la turbolenza raggiunge la massima intensità, soprattutto a causa dei vortici a scala più piccola generati prevalentemente dalla rugosità del suolo. Di giorno lo SL si estende fino ad un’altezza di 50-100 metri, ma di notte, in coincidenza dell’abbassamento del top del PBL si riduce ad appena pochi metri. Brezza Classificare le brezze come venti non è proprio esatto perché in genere i venti dipendono dalla disposizione delle figure bariche che nelle diverse stagioni dominano la scena meteorologica di una località, inoltre le brezze a differenza dei venti da avvezione (così vengono chiamati quelli legati al passaggio di una perturbazione) non presentano quasi mai raffiche impetuose come magari può manifestarsi un vento legato ad una circolazione ciclonica. Se ne deduce quindi che generalmente le brezze sono legate a figure bariche alto pressorie, si manifestano durante le fasi di tempo stabile ovvero in regime anticiclonico. Per capire il meccanismo del funzionamento delle brezze bisogna innanzitutto tenere conto che la radiazione solare incidente sul suolo terrestre scalda quest’ultimo in maniera diversa a seconda del tipo di suolo su cui impatta. Ci sono tipi di suolo maggiormente predisposti a scaldarsi con una certa rapidità e altri che invece hanno una rapidità di riscaldamento meno accentuata. Il suolo a seconda delle sue caratteristiche si riscalda in maniera disomogenea e avremo quindi zone che presenteranno temperature più alte nei primi strati d’aria sovrastanti e altre zone con temperature più basse. L’atmosfera riceve calore e quindi si riscalda per conduzione e per convenzione. Il riscaldamento per conduzione è il processo di riscaldamento del suolo che, una volta ricevuti i raggi solari, riprometta il calore verso l’alto per via del riscaldamento dei primi strati di terreno. Il riscaldamento per convenzione è il processo di riscaldamento legato alle leggi della termodinamica secondo cui le masse d’aria che presentano temperature più calde rispetto alle masse nelle immediate vicinanze più fredde, tendono a salire. Per cui l’aria calda va a sostituire, salendo, l’aria più fredda che albergava nell’altezza in cui l’aria calda è appena sopraggiunta, l’aria fredda avendo un peso specifico inferiore, tende a scendere e così il moto ascendente dell’aria più calda trasporta calore laddove in precedenza vi erano temperature più basse. Le superfici liquide invece tendono a riscaldarsi molto lentamente e impiegano altrettanto tempo per raffreddarsi. I moti dell’aria sia verticali che orizzontali vengono messi in moto proprio dalle differenze termiche tra masse d’aria vicine. La differenza termica mette in moto la brezza e questo accade perché l’aria Daniele Longo - 769922304 La meteorologia e la sua terminologia calda tende a risucchiare l’aria fredda, questo risucchio genera la ventilazione ovvero lo spostamento d’aria, l’intensità della brezza è direttamente proporzionale alla differenza termica che si attua, maggiormente le temperature dei due luoghi posti a breve distanza divergono, maggiore sarà l’intensità della brezza e viceversa. Bulbo umido E’ la più bassa temperatura che si può ottenere per evaporazione di acqua nell'aria a pressione costante. Il nome deriva dalla tecnica di porre un pezzo di garza bagnato sul bulbo di un termometro a mercurio e di soffiare aria sul rivestimento per favorire l'evaporazione. Poiché il processo di evaporazione assorbe calore, il termometro si abbasserà a una temperatura inferiore rispetto ad un termometro a bulbo secco posto nella stessa posizione. La temperatura di bulbo umido e la temperatura di bulbo secco, determinate contemporaneamente affiancando due termometri, permettono tra l'altro di determinare il punto di rugiada e l'umidità relativa. In pratica, calcolare la temperatura di bulbo umido, vuole dire calcolare la temperatura che raggiungerebbe l’aria con una umidità del 100%. Burian Il burian, in italiano burano, è un vento gelido proveniente dalle steppe più remote della Russia, in zone siberiane. Esso frequentemente staziona in quelle zone, molto spesso si spinge in Asia, al di là degli Urali, e qualche volta, magari “spinto” da desideri di nuove conquiste, si dirige alle nostre latitudini, coinvolgendo pure la nostra Italia. Il suo “viaggio” allora verso di noi, non è ostacolato da alcuna barriera alpina, con esso non può esistere una sua trasformazione in foehn, poiché questo gelidissimo grecale, attraversando velocemente le repubbliche orientali dell’Europa, varca vorticosamente i nostri confini dalle regioni di nord-est, propagandosi successivamente in tutta la penisola. Inutile dire che i valori termici, allora, subiscono un crollo a picco…ma non solo. Sovente tale fenomeno è accompagnato da autentiche bufere di neve, anche se il loro apporto non e’ considerevole. La parola Burian in russo significa tempesta di neve. Con la parola Burian in Italia si indica una irruzione di aria fredda di matrice prettamente continentale proveniente dalle pianure RussoSiberiane-Sarmatiche. Questo tipo di irruzione non è molto frequente in quando per il suo avvento deve venirsi a creare un HP termico ovvero una Anticiclone che nasce per lo scorrimento di aria fredda dall'artico verso il continente Russo. Tale scorrimento (aria fredda su superficie continentale) va a creare moti discendenti dell'aria in quando l'aria fredda scorrendo su una superficie già di per se fredda per le sue caratteristiche continentali come si è detto provoca moti discendenti dell'aria, si ha così la nascita del Famigerato Anticiclone Termico Russo-Siberiano vero promotore del gran freddo Europeo, non basta solo l'avvento di questo Hp termico affinché il burian si manifesti nella nostra penisola, ci sono diversi fattori che ne determinano il nostro coinvolgimento: serve infatti “una catapulta per il freddo”. In vari episodi a svolgere questo importante ruolo sono state le depressioni mobili atlantiche che nella maggior parte dei casi sono scaturite dal semi-perenne ciclone d’Islanda. Queste depressioni poi entrando nel mediterraneo vanno in ciclogenesi approfondendosi sul Golfo di Taranto per ragioni orografiche e se sull'est Europeo vi è “L'orso”, (così viene chiamato in gergo l'Hp termico Russo) spesso il gran freddo con la relativa accentuazione dell'instabilità sul versante adriatico viene catapultato verso di noi grazie alla disposizione delle correnti lungo il margine nord-orientale delle isobare al suolo del minimo che come si è detto va ad approfondirsi sul mar Ionio. Tuttavia spesso è anche capitato che la perturbazione atlantica catapultatrice del freddo continentale verso l'adriatico, è passata un pò troppo, in questo modo il minimo non è andato ad approfondirsi sullo Ionio ma sull'Egeo, in questi casi il gran freddo seppur richiamato in minima parte genera Stau. Daniele Longo - 769922304 La meteorologia e la sua terminologia C Cambiamenti del tempo I cambiamenti del tempo sono sempre o molto spesso preannunciati da numerosi fattori che considerati singolarmente o meglio ancora presi nell’insieme fanno capire l’evoluzione del tempo a breve termine. Alcuni di essi possono sembrare insignificanti ma non è così, possono dare molte informazioni. Questi fattori sono le nubi, il vento, il cielo, la visibilità ed il barometro. Per quanto riguarda le nubi si può dire che in presenza di cirri provenienti dai quadranti occidentali (W) o meridionali (S), sono generalmente segno di precipitazioni vicine; i cirri possono anche preannunciare l’arrivo di una bassa pressione mentre, i cirri del tipo “filobus” si possono considerare la prima manifestazione di una perturbazione ancora lontana. I cirri ad uncino invece sono segni di precipitazioni più certe. Invece i cumuli ad evoluzione diurna sono segno di tempo stabile mentre i cumuli in rapido sviluppo verticale sempre al mattino possono preannunciare imminenti temporali. Con l’osservazione del vento invece si può ad esempio capire che un improvviso cambiamento della sua direzione è indice di cambiamento del tempo; se, ancora, il vento aumenta d’intensità e sia a componente meridionale (S), ci si aspetta un peggioramento. Invece, le regolari brezze di terra o di mare anticipano il bel tempo, con la dissoluzione degli annuvolamenti cumuliformi. Per quanto riguarda la colorazione del cielo si può dire che un colore azzurro molto profondo con visibilità eccezionale indica condizioni del tempo instabili. Inoltre, un progressivo trapasso dall’azzurro al bianco al grigio, accompagnato da foschia, indica un prossimo cambiamento del tempo. Invece un azzurro chiaro spesso indice il permanere del bel tempo. Per quanto riguarda la visibilità, una sua progressiva diminuzione e i graduale intorbidamento dell’atmosfera indica un cambiamento del tempo con precipitazioni. Un cambiamento della pressione è significativo per capire le condizioni del tempo prossimo. Se la pressione aumenta o rimane costante e contemporaneamente aumenta la temperatura, in estate, indica un miglioramento del tempo. Se la pressione aumenta e diminuiscono temperatura ed umidità, in inverno, si avrà un miglioramento del tempo. Se invece la pressione diminuisce, in inverno, e invece temperatura ed umidità aumentano, è indizio del peggioramento del tempo. In estate, una diminuzione della pressione con temperatura in diminuzione e umidità in aumento, porta cattivo tempo. In inverno, una rapida diminuzione della pressione può essere l’avviso dell’avvicinarsi di una tempesta o di una violenta perturbazione. Cape Cape (indice), è un indice di stabilità che misura l’energia totale di galleggiamento acquistata da una massa d’aria. L’unità di misura dell’indice è J/Kg. Un indice di 1200, ad esempio, sta ad indicare che ogni Kg di aria durante l’ascesa, ha ricevuto 1220 Joule. L’indice CAPE (Convective Available Potential Energy) è molto utile per avere una previsione ed una mappatura delle zone in cui si possono verificar temporali, proprio in base all’energia in gioco nell’aria. In base ai valori di questo indice, vengono tratte determinate conclusioni: Valori CAPE 0< I < 500 501 < I < 1000 1001 < I < 2000 I > 2001 Caratteristiche del temporale Assenza di temporali Possibili di temporali isolati Temporali abbastanza probabili Probabili forti temporali; possibili trombe d'aria Daniele Longo - 769922304 La meteorologia e la sua terminologia Cicloni Il ciclone in meteorologia è una regione atmosferica in cui la pressione p minore di quella delle regioni circostanti alla stessa altitudine. In generale è un’area di bassa pressione individuabile a livbello del mare da isobare decrescenti verso il punto minimo, detto Centro del ciclone, su una superficie a pressione costante, da isoipse decrescenti verso il centro. Nell’emisfero boreale, nel ciclone l’aria è soggetta ad un sistema di venti circolanti in senso antiorario, mentre nell’emisfero australe in senso orario, ovunque con una componente di moto convergente verso il centro. I cicloni possono essere di diversi tipi: Cicloni dinamici: sono di natura fredda, cioè contengono al loro interno aria più fredda delle zone adiacenti poiché nascono in prossimità del circolo polare (artico e antartico) ad opera delle veloci correnti occidentali in quota (la cosiddetta “corrente a getto”) che generano potenti “risucchi” di aria verso l’alto. Poiché sono freddi, sono presenti a tutte le quote. Tali cicloni si muovono lentamente da ovest verso est e comprendono i fronti caldi e freddi più noti come “perturbazioni”. Cicloni termici: sono invece costituiti da aria più caldi delle zone adiacenti e, per questo, si esauriscono con la quota, poiché nell’aria calda la pressione diminuisce più lentamente con la quota. Si formano nelle zone equatoriali o, d’estate, all’interno dei continenti. Laddove la temperatura di partenza è molto elevata e la quantità di vapor acqueo molto abbondante, come nei cicloni tropicali, i fenomeni assumono carattere molto violento: si parla allora di “uragani”, “tifoni” e via dicendo, eventi possibili solamente in prossimità dei tropici e, comunque, sul lato orientale dei continenti – quindi non riguardano l’Europa. Un esempio, “in piccolo” di ciclone termico è un temporale estivo, generato appunto dal surriscaldamento del suolo e che, solitamente, ha vita molto breve. Daniele Longo - 769922304 La meteorologia e la sua terminologia Clima Il clima è l’insieme degli stati dell’atmosfera osservati su di un periodo di tempo sufficientemente lungo (30 anni secondo l’Organizzazione Meteorologica Mondiale - OMM). Il clima della Lombardia può essere descritto per diverse scale, da quella macroclimatica (es. il clima europeo), a quella mesoclimatica (es. il clima padano, alpino e insubrico), fino a giungere al clima locale e al microclima. In Lombardia si possono notare una serie di elementi fisici che incidono profondamente sul clima: la relativa vicinanza del Mediterraneo, fonte di masse d’aria umide e miti la presenza dell’Arco Alpino e dell’Appennino, barriere in grado di creare notevoli discontinuità orografiche la presenza di tutti i principali laghi prealpini italiano con il ben noto effetto sul clima la presenza di una delle maggiori conurbazioni europee: l’area metropolitana milanese Ciò giustifica la distinzione in tre mesoclimi principali, quello padano, quello alpino e dei laghi e quello insubrico, ai quali si deve aggiungere il clima delle aree urbane. Il clima Padano, è relativamente uniforme dal punto di vista climatico, con piogge limitate ( da 600 a 1000 mm), ma ben distribuite nell’anno, temperature medie tra 11 e 14°C, nebbie frequenti, vento ridotto ed elevate umidità relative con frequenti episodi temporaleschi. In inverno l’area padana presenta sovente uno strato di aria fredda in vicinanza del suolo che, in assenza di vento, determina la formazione di gelate e di nebbie spesso persistenti. Il passaggio alla stagione primaverile risulta di norma brusco e caratterizzato da perturbazioni che determinano periodi piovosi di una certa entità. L’attività temporalesca vede il suo apice nel periodo estivo quando si registrano elevati accumuli di energia utile per innescarla e sostenerla. In autunno il tempo è caratterizzato dal frequente ingresso di perturbazioni atlantiche, che possono dare luogo a precipitazioni di entità rilevante. Il clima Alpino è invece caratterizzato da temperature invernali rigide, temperature estive poco elevate, piogge piuttosto abbondanti concentrate nel periodo estivo, intensa radiazione solare e ventosità elevata. Il clima urbano è caratterizzato da temperature sensibilmente superiori a quelle delle aree rurali circostanti (isola di calore), alterati sono anche i livelli di precipitazioni, di umidità relativa e di radiazione solare. Convergenza Se in un determinato volume di atmosfera giunge più aria di quanta non se ne vada, allora si avrà, all'interno di tale volume, un accumulo. In altre parole è in atto una convergenza. Analizzando i campi di vento (o le isoipse) si possono identificare aree di convergenza laddove si ha confluenza del flusso oppure dove il vento tende a rallentare nella direzione del moto. Convergenza e divergenza sono assai importanti in quanto legati ai moti verticali. Consideriamo una zona vicino al suolo in cui vi sia convergenza. L'aria che giunge, non potendosi accumulare indefinitamente e non potendo muoversi verso il basso (a causa della presenza del suolo) inizierà a salire. I moti ascendenti arriveranno al più fino al limite della troposfera, dove la tropopausa stabile rappresenta un limite invalicabile. Qui si avrà divergenza orizzontale e l'aria si allontanerà dalla colonna di atmosfera considerata. Ma in questo modo, tramite i moti ascendenti, si avrà un calo di pressione al suolo che a sua volta genera convergenza, richiamando aria nei bassi strati. Lo stesso fenomeno si può vedere partendo da una divergenza in quota, la quale, sempre per conservazione della massa, richiama aria dai bassi strati. La risalita di aria produce un calo di pressione al suolo e conseguente convergenza. Daniele Longo - 769922304 La meteorologia e la sua terminologia In questo modo alla convergenza o divergenza a grande scala è associato un moto verticale ascendente responsabile del maltempo. Si può fare il discorso inverso per moti verticali discendenti associati al tempo buono. Corrente del golfo La corrente del golfo è una corrente superficiale di acqua calda che parte dal golfo del Messico e si dirige verso il nord Atlantico, durante il suo percorso ad alta velocità perde umidità per evaporazione diventando una vera e proprio autostrada di acqua tiepida e salatissima. L’eccesso di salinità dell’acqua la rende via via più densa e nel nord Atlantico le masse superficiali cominciano a sprofondare verso gli abissi innescando un moto perpetuo profondo che richiama altra acqua calda superficiale dalle basse latitudini equatoriali verso nord. Questo circolo continuo è responsabile del clima mite delle nazioni europee più settentrionali e più occidentali. A parità di latitudine, i gradi di scarto ad esempio, tra il mare che circonda l’Inghilterra ed il mare che invece tocca le sponde canadesi settentrionali, vanno dai 7 ai 10°C, notevoli in termini di clima, come dire in inverno la differenza tra una bufera di neve con -5°C e un rovescio di pioggia con +5°C. Col passare degli anni, gli studiosi hanno notato che questa corrente, si sta via via indebolendo e il suo cammino viene ad interrompersi molti km prima, con la conseguenza che l’aria mite non arriva più a toccare le terre più ad est. L’interruzione quindi non favorirebbe più l’arrivo di masse d’acqua calda verso nord e le temperature del nord Atlantico, del mare del Nord e persino della Manica, potrebbero diventare pericolosamente simili a quelle del mare del Labrador favorendo inverni lunghi e rigidi in Europa. Cut-off La goccia fredda è una figura sinottica che solitamente si trova in medio-alta troposfera ed è riconducibile al distacco, in seno ad una saccatura primaria, di un minimo di geopotenziale chiuso (cut-off) che tende ad isolarsi dalla saccatura madre. Il distaccamento solitamente avviene per l’inserimento di una figura alto pressoria mentre, il moto retrogrado avviene per merito dei venti o a causa di un blocco della “goccia fredda”. Quando una goccia fredda si forma nel periodo caldo generalmente, risulta essere molto più produttiva in fatto di precipitazioni. Invece durante il periodo freddo la previsione risulta essere più difficile ed è importante determinare l’esatto posizionamento dei minimi al suolo, in inverno inoltre le gocce sono sempre meno produttive che nel periodo caldo. Questa diversa produttività dei cut-off è determinata dall’ammontare dell’energia in gioco: nella stagione calda la potenza energetica è elevata e il contrasto dell’aria calda con quella fredda è molto accentuato anche ad alta quota, provocando più facilmente i temporali, ecco perché in inverno le “gocce fredde” sono meno produttive. Daniele Longo - 769922304 La meteorologia e la sua terminologia D Dew point Rappresenta il valore di temperatura al quale occorre raffreddare una massa di aria (a pressione costante) per far condensare il vapore acqueo in essa contenuta. La temperatura di rugiada diminuisce con l’umidità. Nelle giornate di favonio i valori di umidità sono molto bassi ed è abbastanza usuale che, nel periodo invernale, i valori della temperatura di rugiada assumano valori negativi. In una giornata con T +10°C e UR 20% la temperatura di rugiada è circa -12°C. Viceversa nelle calde e afose giornate estive i valori della TD possono anche essere superiori a 20°C. In una giornata con T +28°C e UR 65% la temperatura di rugiada è circa +21°C. Spesso nelle zone sottovento a catene montuose, una rapida diminuzione della temperatura di rugiada è indice della presenza di effetto favonico. Quando l’aria è satura di vapore acqueo (UR=100%) il valore della temperatura di rugiada coincide con quello della temperatura. L’aria può contenere solo quantità definite di vapore, che variano a seconda della temperatura: più l’aria è calda, maggiore è la quantità di vapore che può essere immagazzinata. Quando l’aria non è più in grado di ospitare altro vapore acqueo, si dice che ha raggiunto il punto di saturazione. La temperatura alla quale il vapore acqueo inizia a condensare è nota come punto di rugiada. Se la condensazione avviene vicino al suolo, le molecole d’acqua liquida tenderanno a raggrupparsi su varie superfici, formando piccole goccioline: la rugiada. Quando la temperatura delle superfici è inferiore al punto di congelamento, cioè il punto di rugiada è minore di 0°C, il vapore acqueo si trasforma immediatamente in cristalli di ghiaccio. Divergenza Al contrario si avrà divergenza se l'aria che abbandona il volumetto di atmosfera è in quantità superiore a quella che vi entra. Questo succede quando il flusso è diffluente, oppure quando il vento aumenta di intensità nel verso del moto. Convergenza e divergenza sono assai importanti in quanto legati ai moti verticali. Consideriamo una zona vicino al suolo in cui vi sia convergenza. L'aria che giunge, non potendosi accumulare indefinitamente e non potendo muoversi verso il basso (a causa della presenza del suolo) inizierà a salire. I moti ascendenti arriveranno al più fino al limite della troposfera, dove la tropopausa stabile rappresenta un limite invalicabile. Qui si avrà divergenza orizzontale e l'aria si allontanerà dalla colonna di atmosfera considerata. Ma in questo modo, tramite i moti ascendenti, si avrà un calo di pressione al suolo che a sua volta genera convergenza, richiamando aria nei bassi strati. Lo stesso fenomeno si può vedere partendo da una divergenza in quota, la quale, sempre per conservazione della massa, richiama aria dai bassi strati. La risalita di aria produce un calo di pressione al suolo e conseguente convergenza. In questo modo alla convergenza o divergenza a grande scala è associato un moto verticale ascendente responsabile del maltempo. Si può fare il discorso inverso per moti verticali discendenti associati al tempo buono. Daniele Longo - 769922304 La meteorologia e la sua terminologia E El Niño El Niño è un disturbo del sistema atmosferico oceanico del pacifico che, ha importanti ripercussioni su tutta la Terra, esso può causare forti venti e piogge molto abbondanti che possono durare anche per molte settimane con il conseguente rischio di alluvioni. L’effetto opposto al “El Niño” è “La Niña” che genera esattamente effetti opposti, cioè freddo intenso ed in inverno nelle zone interessate può nevicare anche per settimane. In condizioni normali, i venti Alisei soffiano verso ovest lungo la fascia tropicale del Pacifico. Questi venti accumulano uno strato di acque calde superficiali nel Pacifico orientale. In questo modo la superficie del mare della regione indonesiana si solleva di mezzo metro rispetto a quella che bagna le coste dell'Ecuador. Anche la temperatura superficiale è di circa 8 gradi centigradi più alta rispetto a quella del Sud America: questo è dovuto alla risalita, nel Pacifico orientale, dei livelli profondi di acque fredde. Nei periodi caratterizzati da "El Niño", gli Alisei si indeboliscono nelle regioni centrali e occidentali del Pacifico e, di conseguenza, il termoclino (lo strato di acque che sta al di sotto di quello superficiale, nel quale la temperatura si abbassa più velocemente rispetto agli altri strati) del Pacifico orientale si abbassano mentre si solleva quello occidentale. Le osservazioni al meridiano 110° Ovest mostrano, ad esempio, che durante il 1982-83 l'isoterma dei 17°C si ritirò a circa 150 metri di profondità. Questo fatto riduce l'efficienza della risalita delle correnti fredde e impedisce il rifornimento della zona eufotica da parte di acque ricche di nutrimento provenienti dal termoclino. Il risultato fu un aumento della temperatura superficiale e un drastico declino della produttività primaria che colpì i livelli più alti della catena trofica, compresa la pesca commerciale in queste regioni. El Niño" può essere individuato attraverso le misure di temperatura superficiale. Nel gennaio 1991, le temperature superficiali e i venti erano normali, con acque calde nel Pacifico occidentale (in rosso nel grafico centrale superiore) e acque fredde, chiamate "lingua fredda" (cold tongue) nel Pacifico orientale (in verde, nel grafico centrale superiore). I venti del Pacifico occidentale sono molto deboli mentre quelli orientali soffiano verso occidente (verso l'Indonesia). Il grafico inferiore riguardante il gennaio 1991 mostra le anomalie rispetto alle medie di gennaio. In questo diagramma le anomalie sono molto piccole (giallo/verde) e indicano un gennaio "tipico". Nel gennaio 1998 ci fu un picco delle condizioni El Niño. L'acqua calda (colore rosso nel pannello in alto a destra) si è diffusa dal Pacifico occidentale verso Est (in direzione del Sud America) mentre le "lingue fredde" (colore verde) si sono indebolite e i venti del Pacifico occidentale, normalmente calmi, soffiano con forza in direzione Est, spingendo l'acqua calda vero oriente. Le anomalie mostrano chiaramente che l'acqua del Pacifico equatoriale è molto più calda rispetto a un normale gennaio. Nel gennaio 1997 ci fu una condizione particolarmente fredda ("La Niña"). La lingua fredda (in blu) è più fredda del solito di circa un grado centigrado. Talvolta (ma non sempre ) gli eventi denominati La Niña seguono El Niño. La Niña Normalità Daniele Longo - 769922304 El Niño La meteorologia e la sua terminologia Evapotraspirazione L'evapotraspirazione è un parametro usato in agrometeorologia. Consiste nella quantità d'acqua (riferita all'unità di tempo) che dal terreno passa nell'aria allo stato di vapore per effetto congiunto della traspirazione, attraverso le piante, e dell'evaporazione, direttamente dal terreno. È spesso indicata nei manuali con la sigla ET. Il concetto ingloba due processi nettamente differenti, in quanto l'evaporazione esulerebbe a rigore dalla coltura, tuttavia non è possibile attualmente scorporare i due fenomeni e trattarli distintamente in modo attendibile. D'altra parte ai fini pratici interessa il consumo effettivo sia per evaporazione sia per traspirazione. L'unità di misura è il mm (millimetro), inteso come altezza della massa d'acqua evaporata e traspirata, oppure il m3/ha (metro cubo ad ettaro). Essendo un fenomeno climatico inverso a quello delle precipitazioni, per convenzione si usa il millimetro in modo da rendere il parametro direttamente comparabile con le precipitazioni. In ogni modo, tenuto conto che una massa liquida di 1 mm d'altezza che si estende su una superficie di 1 ha occupa il volume di 10 m3, 1 mm di evapotraspirazione equivale ad un consumo di 10 m3/ha. Evapotraspirazione potenziale L'evapotraspirazione potenziale, indicata con la sigla ETP o ETp, è un'astrazione, perfezionata nel 1955, che fa riferimento ad una condizione ambientale standard in cui non si considera l'incidenza dei fattori agronomici, biologici, pedologici e di una parte dei fattori climatici. La finalità di questo parametro è quella di rendere comparabili i valori di evapotraspirazione nello spazio e nel tempo. Per questo motivo l'evapotraspirazione potenziale si riferisce al quantitativo massimo che può essere perso nell'unità di tempo per evaporazione e traspirazione da un prato di graminacea. Questo parametro climatico si usa a fini pratici o di studio per caratterizzare un determinato ambiente fisico. Il valore dell'evapotraspirazione potenziale varia nel tempo e nello spazio, ma è del tutto indipendente dalle colture e dalle tecniche attuate. Evapotraspirazione effettiva L'evapotraspirazione effettiva (ETE o ETe), detta anche evapotraspirazione reale (ETR o ETr), fa riferimento ad un contesto reale, pertanto è definita come il quantitativo d'acqua persa nell'unità di tempo per evaporazione e traspirazione da una coltura nelle reali condizioni. Questo parametro climatico si usa ai fini pratici per calcolare il bilancio idrico di una coltura. Il valore dell'evapotraspirazione effettiva varia in funzione del contesto (epoca, ubicazione, coltura praticata, condizioni pedologiche e tecnica agronomica). Daniele Longo - 769922304 La meteorologia e la sua terminologia F Figure bariche Le principali figure bariche sono l'anticiclone russo, l'anticiclone delle azorre, il vortice polare,l'anticiclone africano,depressione islandese. Queste figure bariche non mantengono sempre la loro posizione iniziale ma, si spostano a seconda delle stagioni. Per quando riguarda l'anticiclone russo, in estate non rimane sulla russia ma si sposta verso est vicino l'asia facendo rimanere la russia scoperta mentre, in inverno si sposta verso ovest e staziona in russia. L'anticiclone delle azorre invece, in estate tende ad andare verso est quindi coprendo molte volte anche la nostra penisola. Per quanto riguarda l'inverno invece, si comporta al contrario spostandosi verso ovest coinvolgendo l'america. Il vortice polare invece, in estate tende a stazionare a nord (polo) mentre in inverno tende a scendere di latitudine quindi verso sud. La lp islandese invece è fissa e rimane sempre sulla solita zona al cambiare delle stagioni (islanda). L'anticiclone africano (o subtropicale) in estate si sposta verso nord coinvolgendo spesso anche l'Italia mentre in inverno staziona a sud (africa). Con la presenza del nino l'anticiclone sale ad altitudini molto maggiori con quindi precipitazioni quasi del tutto assenti, con la presenza della nina al contrario l'anticiclone non riesce a salire e quindi ci sarà spazio per molte depressioni. Foehn Quando una massa d’aria è costretta ad attraversare una catena montuosa, alcune grandezze possono subire una variazione anche piuttosto repentina ed importante a causa di un effetto definito effetto favonico o semplicemente favonio. Le variazioni sulla massa d’aria in movimento All’atto dell’attraversamento, la massa d’aria generalmente subisce delle modificazioni delle seguenti grandezze: Diminuzione dell’umidità relativa e della temperatura di rugiada; Diminuzione dell’umidità specifica se sul lato sopravvento ci sono precipitazioni; Incremento della temperatura; Incremento della velocità del vento con possibilità di raffiche che possono anche essere molto forti. Variazione della direzione del vento; Eventuali nuvole tendono a dissolversi. Le variazioni nelle zone raggiunte dal favonio Nelle zone raggiunte dal favonio si possono registrare delle variazioni repentine ed importanti di alcune delle grandezze suddette, in relazione alle caratteristiche della massa d’aria preesistente. E’ molto frequente il caso in cui in seguito all’ingresso del favonio si verifichi una veloce e importante diminuzione dell’umidità relativa e contestualmente un incremento della temperatura ed un aumento della velocità del vento. Capita infatti che le situazioni favorevoli al favonio accadano nel periodo invernale e che le masse d’aria preesistenti abbiano umidità relativa elevata e temperature molto basse. E’ opportuno distinguere la situazione presente sui due versanti della catena montuosa. Lato sopravvento La massa d’aria è costretta a salire lungo il versante (sollevamento orografico) e di conseguenza si raffredda per espansione adiabatica (raffreddamento di 1°C ogni 100 metri di dislivello). Il raffreddamento adiabatico della particella d’aria ne provoca un incremento dell’umidità relativa. Se la particella d’aria raggiunge la condizione di saturazione il vapore acqueo condensa formando le nubi. Se la salita della particella prosegue, il raffreddamento risulta ora mitigato dalla liberazione Daniele Longo - 769922304 La meteorologia e la sua terminologia del calore latente di condensazione. Generalmente il raffreddamento della particella è compreso tra 0,3 - 0,7°C ogni 100 metri di dislivello. Se le condizioni sono favorevoli alla formazione di precipitazioni buona parte del vapore acqueo viene perso lungo il versante. Il vapore perso dalla massa d’aria sottoforma di precipitazioni non sarà più disponibile per la successiva evaporazione lungo il lato sottovento, limitando quindi il raffreddamento lungo la discesa sul lato sottovento. E’ importante conoscere la quota alla quale ha inizio il sollevamento orografico della massa d’aria. Se la sommità della catena montuosa è posta a quota superiore a quella di condensazione allora potranno formarsi nubi ed eventualmente precipitazioni. Se invece tale quota è inferiore a quella di condensazione non si formano nubi. Lato sottovento Raggiunta la sommità della catena montuosa l’aria tende a scendere lungo il lato sopravvento riscaldandosi per compressione. L’entità del riscaldamento dipende dall’umidità relativa dell’aria giunta alla sommità e dalla quantità di vapore acqueo perso lungo il versante sopravvento sottoforma di precipitazioni. E’ importante sottolineare che il vapore acqueo perso sottoforma di precipitazioni non è più disponibile nella fase di discesa. Ciò comporta una riduzione del contributo del raffreddamento evaporativo e di conseguenza la temperatura dell’aria durante la discesa incrementerà la sua temperatura in maniera più consistente. Se l’aria si trova in condizioni di saturazione il riscaldamento sarà generalmente compreso tra 0,3 – 0,7°C ogni 100 metri di dislivello. Il riscaldamento produce una diminuzione dell’umidità relativa e quindi l’evaporazione delle nubi. L’aria tende quindi ad allontanarsi dalla condizione di saturazione ed il suo riscaldamento è ora pari a 1°C ogni 100 metri di dislivello. Il cielo tende a divenire limpido. Nel corso della discesa la velocità della massa d’aria tende ad aumentare ed in alcuni casi può risultare rafficoso. Aspetti fondamentali per la temperatura raggiunta sul lato sottovento La quota a cui inizia il sollevamento della massa d’aria dipende dalla stabilità della massa d’aria presente nei bassi strati (tipica è la presenza di forti inversioni termiche nel periodo invernale). L’umidità relativa della massa d’aria in arrivo. Maggiore è l’umidità relativa e prima verrà raggiunto il LCL. Di conseguenza verrà limitato il raffreddamento della massa d’aria. L’umidità specifica della massa d’aria in arrivo. Maggiore è il contenuto di vapore acqueo, minore sarà l’entità del raffreddamento della particella d’aria in salita. Temperatura della massa d’aria in arrivo. Possiamo distinguere tre casi particolari di effetto favonico. 1 - Situazione con sbarramento e favonio E’ la situazioni che generalmente produce le variazioni più vistose delle condizioni del tempo. In questi casi è frequente vento forte e rafficoso ed un notevole incremento delle temperature. L’umidità relativa e la temperatura di rugiada subiscono vistose e repentine diminuzioni. In molti casi l’umidità relativa scende sotto il 15%. Daniele Longo - 769922304 La meteorologia e la sua terminologia 2 – Situazione di favonio senza sbarramento Le correnti scorrono al di sopra di un’inversione termica e non raggiungono il livello di condensazione. In tal caso non si forma il classico muro di nubi sul lato sopravvento e non sono presenti precipitazioni. E’ abbastanza frequente in inverno. 3 - Sbarramento con favonio limitato alle zone sopra l’inversione termica Sul lato sottovento il favonio scorre sopra l’inversione termica interessando principalmente le valli e le zone pedemontane. Anche questa situazione è tipica del periodo invernale. Capita non di rado che in Pianura Padana le temperature siano inferiori a quelle delle zone pedemontane. Fronti In meteorologia si dice fronte la superficie di contatto tra due masse d’aria aventi caratteristiche, quali la temperatura, la pressione e l’umidità, differenti. I fronti sono associati ad ammassi nuvolosi tipici per ciascun fronte e il loro passaggio è in genere preannunciato da un abbassamento della pressione. Si distinguono quattro tipi differenti di fronti e sono distinti tra loro nelle carte meteorologiche. La classificazione dei fronti si basa sul loro movimento: si dice fronte caldo quello che delimita l'invasione di una massa d'aria calda su zone già occupate da aria fredda in arretramento; viceversa, il fronte freddo segna il confine dell'aria più fredda che avanza sostituendosi a quella più calda. In prossimità di un fronte si può sempre osservare lo sviluppo di nuvolosità. Nel caso di un fronte caldo l'aria che sopraggiunge, essendo più leggera, scorre sopra la massa d'aria fredda che essendo invece più pesante, fa maggiore attrito sul terreno, e con la salita dell'aria si ha la condensazione dell'umidità presente e la conseguente formazione di nubi, per lo più di tipo stratificato. L'area interessata da precipitazioni, in genere costituite da piogge non forti ma continue, Daniele Longo - 769922304 La meteorologia e la sua terminologia si può estendere per 300-400 chilometri, l'arrivo di un fronte caldo è anticipato dalla presenza dei cirri, le tipiche nubi a forma di filamento, che preannunciano il peggioramento, anche se il fronte è ancora distante magari 800 o 1000 chilometri, dopo il passaggio di un fronte caldo, generalmente si ha aria calda ma meno umida. Ad un fronte freddo sono invece spesso associate manifestazioni temporalesche, l'aria fredda che avanza solleva in modo più rapido e violento l'aria calda; in questo caso la zona coinvolta è più localizzata con la formazione di nubi cumuliformi, molto sviluppate in altezza, che danno origine ad elevata turbolenza e talvolta a violente precipitazioni, come rovesci o addirittura grandine ma, i fronti freddi passano velocemente, anche in poche ore, lasciando dopo il loro passaggio aria fredda e asciutta. Si ha invece un fronte stazionario quando di due masse d’aria a contatto, nessuna delle due riesce a sostituire l’altra e si ha pertanto una situazione di stallo con eventuali fenomeni precipitativi che possono durare molti giorni finché, o il fronte si dissolve oppure si tramuta in un fronte caldo o freddo definito. Si parla inoltre di fronte occluso quando un fronte caldo si oppone ad uno freddo, di solito generando nel mezzo precipitazioni diffuse e persistenti anche se non violente. In genere comunque il fronte freddo, in quando più veloce, riesce a prevalere scalzando quello caldo. Fulmini Il fulmine è in assoluto il fenomeno più pericoloso prodotto da un temporale in quanto non è preceduto da nessun segnale premonitore, salvo casi molto rari. Se ne deduce che per un osservatore di fenomeni temporaleschi il rischio maggiore sia quello dei fulmini, mentre grandine e tornado sono fenomeni assai più prevedibili da questo punto di vista. I fulmini sono scariche elettriche derivanti da un accumulo di cariche elettriche di segno opposto che si viene a creare al suolo e nel Cb, il quale sembra separi le cariche positive da quelle negative concentrandole progressivamente in regioni diverse. Sembra che i cristalli di ghiaccio alla sommità della nube siano caricati positivamente, mentre le gocce d'acqua alla base della nube sono caricate negativamente. Sotto la base del temporale il suolo assume carica positiva e questa regione si muove assieme al Cb, mentre il terreno esterno al perimetro del Cb mantiene carica negativa. Si creano quindi differenze di potenziale e ciò produce un'attrazione reciproca delle cariche di segno opposto: lo strato d'aria che le separa, sebbene sia un buon isolante, non riesce più a impedire il contatto tra le cariche e avviene così un vero e proprio "corto circuito" che si realizza nel fulmine (saetta). Le cariche negative si muovono verso quelle positive seguendo percorsi casuali a zig-zag (scarica portante). Quando si incontrano nasce il fulmine, che è sostenuto da un ritorno di cariche positive verso la nube (scarica di ritorno) che viaggia alla velocità di circa 96.000 km/s: noi osserveremo solo un'unica scarica, in quanto gli occhi non riescono a distinguere le due scariche. Tuttavia, il canale percorso dalla prima scarica può essere utilizzato da altri fulmini e se ciò avviene si ha il tipico effetto intermittente. Il processo continuerà fino a quando tutte le cariche elettriche della nube saranno state dissipate. I tipi di fulmine dipendono dalla ripartizione delle cariche elettriche di segno opposto dentro e attorno al cumulonembo. I fulmini nube-suolo sono più frequenti nell'area delle correnti Daniele Longo - 769922304 La meteorologia e la sua terminologia ascensionali e partono dalla base della nube, caricata negativamente, al suolo, caricato positivamente. La superficie terrestre e gli oggetti sopra la stessa conducono l'elettricità molto meglio dell'aria: perciò i fulmini sfruttano il "potere delle punte" seguendo il percorso più breve ed abbattendosi su montagne, campanili, antenne, grandi alberi isolati (pioppi, querce e olmi in primis). Sono visibili non oltre i 70 km. In casi piuttosto rari i fulmini nubesuolo non partono dalla base del cumulonembo, bensì dalla sua sommità caricata positivamente e la regione di suolo esterna al perimetro del temporale che è caricata negativamente: questi sono i fulmini positivi che possono raggiungere addirittura lunghezze di 40-50 km per quanto riguarda la sola scarica principale (senza le ramificazioni) se questa si abbatte molto distante dalla base del Cb. Evidentemente sono casi più unici che rari: vengono chiamati fulmini a ciel sereno, anche se così non è; comunque lunghezze di 20-30 km possono tranquillamente verificarsi. Fulmine positivo che parte dalla sommità del Cb per raggiungere il suolo: notate il cambio di colore dal bianco all'arancione per la polvere in prossimità del suolo sollevata dalle correnti di outflow; il lampo inoltre mostra anche la struttura interna del temporale. I normali fulmini negativi (base della nube-terra e nube-nube) sono più corti ed arrivano al massimo a 4-5 km: sono comunque la larga maggioranza. I fulmini nube-nube o lampi si producono all'interno del Cb quando la scarica elettrica passa tra la base della nube (caricata negativamente) e la sua sommità (caricata positivamente). La zona della nube ove in genere si sviluppa il maggior numero di lampi è quella a maggior concentrazione di gocce sopraffuse a contatto coi cristalli di ghiaccio per via del diverso potenziale elettrico tra cristalli e gocce che collidono fra di loro. Queste scariche illuminano dall'interno la struttura verticale del temporale, per cui la loro luminosità può essere utilizzata per valutare la consistenza del temporale: per esempio, i lampi possono illuminare l'overshooting top, e questo già ci deve mettere all'erta. Considerato che i lampi scoccano a quote più elevate rispetto ai fulmini nube-suolo, essi sono visibili anche a più di 300 km di distanza se l'aria è limpida e la zona è pianeggiante. Se invece c'è foschia sono visibili a 100-120 km: la foschia scherma il cielo e al più si vedono lontani bagliori diffusi. I fulmini nube-aria si verificano quando una scarica elettrica si propaga tra un accumulo di cariche negative o positive all'interno della nube e una zona di cariche opposte nell'atmosfera circostante. Solitamente sono fulmini molto più sottili, deboli e corti dei precedenti e prevalgono di gran lunga alla sommità della nube: perciò sono anch'essi visibili da grande distanza. Solo il 20% dei fulmini tocca terra, ma l'osservazione dal vivo delle nubi non aiuta granchè l'osservatore per prevedere le possibili zone colpite da fulmini. Assume comunque una certa importanza l'individuazione delle rain curtain, ovvero dei rovesci. Infatti i fulmini nube-suolo si attenuano temporaneamente finchè ci sono i rovesci, mentre risultano essere più pericolosi e frequenti subito prima degli stessi rovesci poichè il canale di aria ionizzata su cui si indirizzano le scariche portanti nella fase discendente trova maggior fluidità e penetrazione tanto più l'aria è calda relativamente all'ambiente circostante. Daniele Longo - 769922304 La meteorologia e la sua terminologia G Galaverna Una crosta di spuntoni di ghiaccio che ricoprono ogni cosa, questa è la Galaverna (o Galaverna) uno dei fenomeni meteorologici più spettacolari. Perché si verifichi sono necessarie alcuni condizioni, primo: la temperatura deve essere sotto lo zero, secondo: deve esserci almeno una bava di vento, terzo: deve esserci una nube o della nebbia formata da una miriade di goccioline d’acqua allo stato sopraffuso (cioè liquide nonostante T sotto 0° C). L’acqua pura tende a restare alla stato liquido fino a T di circa -40° C se però, la goccia d’acqua urta contro un ostacolo, quest’ultima congelerà a contatto con questo, è questo il motivo per cui sugli aerei che attraversano banchi di nubi, tendono a formarsi dei depositi di ghiaccio. E’ questo il meccanismo della Galaverna. In genere i cristalli di Galaverna, si allungano da 1 a 3 cm per giorno, se quindi ad esempio viene trovato un cristallo di 6 cm, sta a significare che le condizioni per la costituzione della Galaverna, permarranno da almeno due giorni. Geopotenziali Si definisce il geopotenziale come il lavoro necessario per spostare verso l'alto una massa di aria unitaria. Posto per convenzione che il geopotenziale sia nullo al livello del mare, esso ad una certa altezza z altro non è che il lavoro, l'energia spesa per innalzare dal livello del mare fino a z una massa unitaria di aria. L'aria in quota si muove in senso antiorario intorno ad un minimo di geopotenziale e nel senso delle lancette di un orologio intorno ad un suo massimo. Per avere una indicazione di come si muovono le masse d'aria in quota bisogna guardare le carte riguardanti l'andamento del geopotenziale sulla superficie a 500 Hpa. Nelle carte meteorologiche dei geopotenziali sono presenti numerosi parametri che descrivono la situazione meteorologica ma, quelli più importanti e quindi quelli presi in considerazione più spesso per la formulazione di previsioni, sono solo tre: - le isobare, sono le linee bianche - le altezze geopotenziali, sono i colori - le isoterme, sono i trattini in nero Le isobare sono le linee che congiungono i luoghi avente la stessa pressione atmosferica al livello del mare ed è espressa in mB (millibar) o Hpa (ectoPascal) ma sono entrambe misure equivalenti. Da queste linee si possono trarre molte informazioni, tra cui la posizione dei vari centri di alta e bassa pressione al suolo. Le altezze geopotenziali sono espresse in metri (m) o in decametri (dam). L'altezza geopotenziale esprime il lavoro fatto dalle forze gravitazionali per alzare una massa unitaria a tale altezza (che nelle carte a 500 Hpa sarà appunto 500 Hpa cioè 5500 metri). Daniele Longo - 769922304 La meteorologia e la sua terminologia Esso indica a quale altezza si trova una determinata pressione in Hpa, in questo caso 500hPa sarà presente una LP ad ovest dell’irlanda con pressione di 970 Hpa nel suo centro. La carta delle altezze di geopotenziale a 500 Hpa serve per trovare come sono posizionate in quota le aree di alta pressione e di bassa pressione. Un geopotenziale alto oltre ad indicare alta pressione, indica anche una massa calda, mentre un geopotenziale basso viceversa, indica aria più fredda. Quando un minimo in quota è particolarmente più freddo del circondario ed è "chiuso", è chiamato "goccia fredda" che in estate è portatrice di temporali intensi. Nelle isoterme, espresse in °C, a 500hPa, vengono indicati i punti in cui si registrano le stesse temperature all' altezza di geopotenziale indicata (in questo caso 500hPa). Questo parametro serve per vedere le avvezioni di aria più fredda a quote medio - alte che, sopratutto dalla primavera all' autunno possono causare in diverse situazioni lo sviluppo di rovesci o temporali ma, anche di grandinate e fenomeni più violenti come tornado o trombe d' aria. Gragnola E’ un tipo di precipitazione atmosferica solida costituita da pallini che hanno nucleo opaco di cristalli di neve circondato da uno strato trasparente di ghiaccio. I pallini cadono di solito in occasione di temporali e pioggia e rimbalzano al suolo quando cadono più lentamente. Con dimensioni e densità superiori si parla correntemente di grandine. In contrasto con la grandine poi pallini di gragnola cadono di solito in inverno o all’inizio della primavera con temperature poco superiori a zero gradi. Gradiente termico verticale La variazione di temperatura all’aumentare della quota e quindi al diminuire della pressione atmosferica, prende il nome di gradiente termico verticale ed è stimato mediamente in -0,65 gradi ogni 100 metri di elevazione. Grandine La grandine, si forma solo nel cumulonembo ad incudine (Cb capillatus incus); all'interno di questa nube temporalesca una gran quantità di acqua liquida si trova a temperature negative: si tratta di goccioline sopraffuse (liquide pur in ambiente sottozero) poiché soltanto a -40°C il ghiacciamento avviene in ogni caso. La grandine è un tipo di precipitazione atmosferica formata da tanti pezzi di ghiaccio, generalmente sferici, che cadono dalle nubi cumuliformi più imponenti, i cumulonembi. La grandine si forma in questo modo: se le correnti in un cumulonembo sono abbastanza forti, un pezzo di ghiaccio viene trasportato in su e in giù nella nube, dove si fonde con altri pezzi di ghiaccio e gocce d'acqua, per poi ricongelarsi nuovamente e diventare sempre più grande. Quando i venti non riescono più a sollevare e trattenere questi pezzi di ghiaccio, perché troppo pesanti, essi cadono a terra alla velocità di proiettili e, causa di questa elevata velocità, non riescono a sciogliersi prima di essere arrivati al suolo, causando spesso notevoli danni ai raccolti e alle automobili. La grandine si forma solo nel cumulonembo ad incudine (Cb capillatus incus); all'interno di questa nube temporalesca una gran quantità di acqua liquida si trova a temperature negative: si tratta di goccioline sopraffuse (liquide pur in ambiente sottozero) poichè soltanto a -40°C il ghiacciamento avviene in ogni caso. Inoltre in natura esistono particelle come il sale marino o il pulviscolo atmosferico in grado di nucleare cristalli di ghiaccio e che trasportati verso l'alto dai forti updrafts vanno a costituire la parte superiore della nube: questi sono gli embrioni sui quali si svilupperà il chicco di grandine. Nel Cb coesistono quindi cristalli di ghiaccio (parte alta) e goccioline sopraffuse, che sono più abbondanti nella zona intermedia: la concentrazione di vapor d'acqua in equilibrio con le goccioline sopraffuse è maggiore di quella in equilibrio con i cristalli di ghiaccio, per cui le molecole del vapor d'acqua si depositeranno sul cristallo di ghiaccio mediante sublimazione, mentre le goccioline presenti evaporeranno per cercare di ristabilire l'equilibrio: ciò avviene nella parte alta della nube. Daniele Longo - 769922304 La meteorologia e la sua terminologia Una volta ingrossatosi il cristallo cade all'interno della nube più velocemente delle goccioline sopraffuse e nel suo percorso discendente le catturerà provocandone l'istantaneo ghiacciamento al contatto (meccanismo simile a quello della galaverna): per cui l'adesione di goccioline sopraffuse sul chicco (o embrione) comincerà solamente quando questo scende nella parte intermedia della nube dove la concentrazione di goccioline è massima. A questo punto un nuovo meccanismo entra a far parte della fase di crescita: quando le goccioline sopraffuse si attaccano al cristallo cedono ad esso una parte del calore latente di solidificazione; infatti nel passaggio da acqua a ghiaccio si libera calore. L'embrione perciò si riscalda e può arrivare a temperature prossima a 0°C, mentre nell'ambiente circostante essa è fortemente negativa (-15°C/-20°C); questa è la crescita secca. Poichè ora l'embrione di ghiaccio ha temperatura prossima a 0°C, le goccioline sopraffuse ghiacciano parzialmente e una certa quantità d'acqua viene reimmessa nell'ambiente: è la crescita bagnata. Le fortissime correnti ascendenti (updraft) e discendenti (downdraft) proprie del Cb fanno sì che l'embrione compia molte salite e discese all'interno della nube: tale fenomeno assume particolare rilevanza nel caso in cui il temporale assuma una struttura ad asse obliquo per la presenza di forti venti in quota, magari associati ad una corrente a getto o a situazioni frontali. Cumulonembi ad asse obliquo che superino i 9-10.000 m di altezza sono una garanzia di forti grandinate, anche se grandine di piccole-medie dimensioni può cadere anche da Cb ad asse verticale purchè salgano a quote interessanti. I piccoli chicchi di grandine che si sono formati nella parte medio - alta della nube verranno trasportati molto avanti dai forti venti andando ad accumularsi nella parte anteriore del sistema; una volta che essi saranno divenuti sufficientemente pesanti cominceranno per gravità a scendere verso il basso, ma così facendo entreranno nella zona in cui le correnti ascendenti sono molto forti. Infatti nella normale cella temporalesca (non supercella) abbiamo la corrente ascensionale davanti ad essa rispetto alla propria traiettoria con aria calda (updraft) che risale verso l'interno della cella stessa, mentre la corrente discendente (downdraft) è nella parte centrale e posteriore della cella, associata alle intense precipitazioni. Ebbene i chicchi saranno riportati dalla corrente ascendente verso la parte medio - alta della nube e, spinti nuovamente avanti dalle forti correnti in quota, cominceranno a ricadere venendo ripresi dalla corrente ascensionale e così via. Se le condizioni favorevoli sussistono (cella ad asse obliquo con intensi moti verticali indotti dal notevole gradiente di flusso verticale, gradiente termico verticale accentuato nonchè windshear positivo) i chicchi possono compiere diversi cicli come quello prima descritto, ingrossandosi a più riprese per la cattura di goccioline sopraffuse. Questi processi evolutivi determinano una struttura sezionale a "cipolla" a strati con ghiaccio opaco (bianco, anche perchè vengono conglobate molecole d'aria nella rapida solidificazione) in crescita secca e ghiaccio trasparente in crescita bagnata (perchè il ghiacciamento è più lento a causa del calore latente, quindi la gocciolina permane liquida per qualche tempo): ogni strato rappresenta un nuovo viaggio verso la parte alta della nube. Generalmente (ma non è una regola) più bassa è la temperatura dell'aria alle varie quote più il chicco è bianco e non lucido, come invece avviene quando le temperature sono più elevate (soprattutto alle quote medie): questo dipende dal fatto che il chicco in fase di accrescimento viene rifornito maggiormente di cristalli di ghiaccio (che, come detto, lo rendono bianco ed opaco) quando l'aria è più fredda, mentre in condizioni di temperature maggiori prevale l'accrescimento causato da acqua sopraffusa che lo rende lucido e trasparente. La permanenza dei chicchi in seno al Cb varia da 30 a 45 minuti (e anche più) e gli updrafts possono superare abbondantemente i 100 km/h: in tal caso saranno possibili chicchi aventi un diametro superiore a 56 cm. Naturalmente più intense saranno le correnti ascendenti maggiori saranno le dimensioni che i chicchi potranno raggiungere: l'intensità degli updrafts può essere desunta dalla quota che raggiunge la sommità della nube temporalesca. Cumulonembi che raggiungono la tropopausa sono potenzialmente molto pericolosi: occhio alle overshooting top! Chicchi dotati di lobi o punte indicano forti updrafts contenenti molte goccioline sopraffuse: esse, a causa dell'elevata velocità di ascesa, non fanno in tempo ad unirsi per formare gocce più grosse e quindi si depositeranno sui lobi, ingrandendoli. Daniele Longo - 769922304 La meteorologia e la sua terminologia L'unico fattore che può interrompere il processo di "sali-scendi" è determinato dal fatto che i chicchi di grandine divengano talmente pesanti da non poter essere più riportati in alta quota dalla corrente ascensionale, con inevitabile caduta al suolo. I chicchi in caduta vengono radunati e si organizzano lungo fasce che seguono i massimi di intensità dei downdrafts che accompagnano la precipitazione. Siccome l'intensità dei downdrafts non è regolare ma pulsante (raffiche), la maggior quantità di chicchi seguirà le più intense raffiche di vento, colpendo fasce relativamente ristrette ed irregolarmente distribuite. Accade la stessa cosa per la pioggia: durante i temporali si hanno diversi apporti pluviometrici in aree anche vicinissime tra di loro. Poichè correnti ascendenti fortissime presuppongono correnti discendenti altrettanto forti nell'area delle precipitazioni (dinamica + gravità), l'insorgere di violente raffiche di vento all'arrivo del temporale (outflow) è di cattivo auspicio ed è probabile il verificarsi della grandine, specie nella prima fase delle precipitazioni perchè i chicchi sono più pesanti e cadono per primi. Invece la comparsa di grandine nella parte posteriore del temporale è dovuta al fatto che mentre esso transitava sopra di noi non era ancora nello stadio di massima intensità, che verrà raggiunto poco dopo: tuttavia i downdrafts che lo caratterizzano, divergendo nei bassi strati, possono portare raffiche di grandine anche dove il corpo principale della cella è già transitato, e cioè nella parte posteriore. Oppure può essersi formata una nuova e molto intensa giovane cella nelle immediate adiacenze della principale con caduta di grandine. La direzione del vento al suolo ci dirà quale delle due eventualità si è prospettata: se il vento proverrà da direzione opposta rispetto al moto del temporale (outflow della cella ormai matura) ci troveremo di fronte ad intensificazione della cella appena passata; se invece il vento proviene all'incirca dalla stessa direzione di moto della cella transitata (inflow della nuova cella) allora con ogni probabilità si sarà formata una nuova ed intensa cella. In ultima analisi, la comparsa di torri cumuliformi sulla parte posteriore del temporale indica chiaramente la tendenza a "figliazione" di nuove celle dietro allo stesso per sollevamento di aria più calda determinata dai downdrafts in discesa dalla nube che dilagano verso l'esterno (outflow-gust front). La figliazione di nuove celle può produrre sistemi praticamente "attaccati" alla cella principale, dando l'impressione di rinvigorimento del temporale stesso; del resto col termine "temporale" non si indica necessariamente un Cb solo ma anche la presenza di sistemi multicellari su una determinata area geografica. Grandine notturna La grandine è certamente più rara di notte, sebbene sia più esatto dire che lo è nella seconda parte della notte, verso l'alba e le prime ore del mattino. Una ricerca che ho compiuto nella bassa pianura ravennate dal 1970 ad oggi ha dimostrato che la fascia oraria meno a rischio è quella che va dalle 04,00 alle 8,00, mentre le più a rischio sono quella dalle 16,00 alle 19,00 con un secondo picco dalle 22,00 alle 00,00. Alla base di tutto ciò vi è certamente il fatto che nella fascia oraria 04,0008,00 si hanno normalmente i più bassi valori termici giornalieri che ovviamente si traducono in un minore gradiente termico verticale. Nella prima parte della notte però le temperature possono essere ancora alquanto alte con tassi igrometrici generalmente elevati: in tal caso la formazione di celle grandinigene può avvenire tranquillamente, specie se ad innesco frontale. Inoltre mentre nel pomeriggio i temporali grandinigeni provengono generalmente dai quadranti occidentali o nordoccidentali, di notte hanno di solito provenienza nordorientale (fronti freddi o dry-lines che interessando i Balcani "strisciano" sull'Adriatico). I temporali che di notte si formano in mare sono spesso grandinigeni: alte percentuali di sale marino che costituiscono la massa d'aria in ascesa sono ottimi nucleatori di embrioni di grandine e se le correnti guida sono nordorientali tali celle possono interessare l'entroterra con eventi talvolta molto vistosi. Quindi si è più al sicuro nella seconda parte della notte ed intorno all'alba; molto meno nella prima parte. Daniele Longo - 769922304 La meteorologia e la sua terminologia Gust front Il gust front consiste in aria fredda che scende dalle nuvole temporalesche, tocca terra si apre a ventaglio e si dirige in preferenza nella direzione di spostamento dei temporali e delle nuvole associate ad essi, creando un fronte di avanzamento che precede i temporali. Il gust front (in pratica un ammasso di aria fredda) è una delle cause della diminuzione delle temperature subito prima dell’arrivo di un temporale. Daniele Longo - 769922304 La meteorologia e la sua terminologia I Indice di calore L’Indice di Calore, “Heat Index” (HI) o “Apparent Temperature” (AT), è un indice, calcolato in gradi Fahrenheit (°F), che permette di stimare il disagio fisiologico dovuto alla esposizione a condizioni meteorologiche caratterizzate da alte temperature ed elevati livelli igroscopici dell’aria. Siccome per poter applicare la formula è richiesta la temperatura in °F, è necessario trasformare i valori della temperatura da °C in °F. L’Indice di Calore viene impiegato abitualmente negli Stati Uniti d’America, dal National Weather Service della NOAA (National Oceanic and Atmospheric Administration), per valutare il disagio termico durante l’estate, periodo in cui il calore e la radiazione solare rappresentano un serio problema nazionale. Quando l’Indice di Calore supera per almeno due giorni consecutivi i 105°F – 110°F (41°C – 43°C), il Servizio Meteorologico Nazionale avvia una procedura di allerta per la popolazione americana. Categoria Indice di calore (HI) Cautela 80°F (27°C) HI < 89°F (32°C) Estrema cautela Pericolo Elevato pericolo Possibili disturbi da calore per persone Possibile stanchezza in seguito a prolungata esposizione al sole e/o attività fisica Possibile colpo di sole, 90°F (32°C) HI < 104°F crampi da calore con (40°C) prolungata esposizione e/o attività fisica Probabile colpo di sole, 105°F (41°C) HI < 129°F crampi da calore o (54°C) spossatezza, possibile colpo di calore con prolungata esposizione al sole e/o attività fisica Elevata probabilità di colpo HI 130°F (54°C) di calore o colpo di sole in seguito a continua esposizione La sgradevole sensazione di afa è causata dalla presenza simultanea di valori elevati di temperatura ed umidità dell’aria. Infatti in tali condizioni il corpo ha difficoltà a refrigerasi, nonostante la sudorazione e la vasodilatazione. Se l’afa è intensa il corpo rischia di perdere, per sudorazione, quasi tutto il contenuto in acqua dei tessuti, ossia si disidrata, cosicché la temperatura corporea, non più controllata dalla sudorazione, inizia a salire fino a superare, talvolta, i 42 ° C, limite oltre il quale avviene il decesso per colpo di calore. la temperatura apparente (o indice di calore), la quale indica la temperatura effettiva da noi avvertita in presenza di afa . Si rischia il colpo di calore quando tale indice supera 42° C. Ad esempio, se il termometro segna 32° C e l’igrometro misura un’umidità del 60% , la temperatura apparente è 36°C. Invece con una temperatura di 38° C ma un’umidità relativa appena del 10% si avverte una temperatura di 33° C. Daniele Longo - 769922304 La meteorologia e la sua terminologia Interpretare le mappe Per quanto riguarda le carte di pressione al suolo, su di esse sono tracciate le linee di uguale pressione (isobare) che permettono di distinguere aree di basse pressione e aree di alta pressione. Ad ogni isobara è associato il corrispondente valore di pressione espresso in Hpa. Inoltre può essere stimata la direzione del vento al suolo, il quale non scorre esattamente lungo le isobare ma, a causa dell’attrito, le interseca con un angolo di 30°. Attorno ai sistemi di bassa pressione il vento tende a deviare verso il centro producendo convergenza favorendo così la condensazione e la formazione di nubi e pioggia. Al contrario, attorno ad un anticiclone il vento tende ad allontanarsi dal centro, quindi a divergere, generando moti che inibiscono la condensazione e quindi la formazione di nubi. In alcune carte vengono inoltre individuati i fronti; quello freddo segue sempre quello calda e viaggia più velocemente di quest’ultimo, con il trascorrere del tempo quindi, il fronte freddo raggiungerà quello caldo dando origine al fenomeno di occlusione. I due fronti si uniscono per originare il fronte occluso, con l’occlusione il sistema depressionario raggiunge la sua massima intensità. Talvolta nella carta di pressione al suolo sono tracciate anche le isoallobare ovvero le linee che indicano la tendenza barometrica per le prossime ore. Guardando inoltre temperatura. Umidità e venti vicino al suolo, si possono individuare sia le avvezioni termiche che di umidità, unitamente alle zone di convergenza e di divergenza. Parlando invece di carte a 850 Hpa (1500 metri circa), esse mostrano solitamente la temperatura e l’altezza di geopotenziale e le isoipse cioè le linee che uniscono i punti con uguale altezza di geopotenziale, il cui valore corrisponde alla quota, espressa in metri o decametri, alla quale la pressione vale 850 Hpa. Vengono spesso indicati numerosi centri di alta e bassa pressione ma, solo alcuni sono veramente importanti per determinare la situazione barica complessiva, i più significativi quindi sono quelli che hanno molte isoipse che li racchiudono, in quanto sono quelli più profondi ed intensi. Anche l’umidità relativa può essere ritrovata sulle carte, essa permette di stimare la presenza di nubi basse quando è prossima al valore di saturazione (100%). Altro importante valore è la vorticità potenziale (Pv) che permette di evidenziare le aree cicloniche. Anche la temperatura potenziale equivalente (Tetae), che è una combinazione di temperatura dell’aria e contenuto di umidità, permette di individuare le aree cicloniche favorevoli alla formazione di temporali intensi. Una terza serie di mappe, sono le mappe a 700 Hpa nelle quali vengono solitamente mostrati i campi di umidità e di velocità verticali, i quali si rilevano indispensabili per valutare la presenza di nubi medie e quindi di possibile tempo perturbato; sono le nubi che si formano a circa 3000 metri, quelle principalmente in grado di produrre precipitazioni. Le velocità verticali vengono convenzionalmente espresse in variazione di pressione nell’unità di tempo (Pa/h – mbar/h). Se espresse in termini di pressione, valori positivi indicano moti discendenti e quindi poco probabile formazione di nuvolosità, invece valori negativi indicano moti ascendenti ai quali è associato il raffreddamento dell’aria con conseguente condensazione e formazioni di nubi. Seguono poi le carte a 500 Hpa attorno ai 550 metri di altezza sul mare, all’incirca metà troposfera, questa parte di atmosfera può considerarsi non influenzata dagli effetti del suolo. In linea generale si può dire che le aree caratterizzate da nuclei di vorticità positiva corrispondono a zone di maltempo e viceversa. Realmente, ciò che conta è l’avvezione di vorticità (la variazione verticale di vorticità) che può essere ricavata sovrapponendo le isoipse al campo di vorticità, l’avvezione avviene lungo le isoipse stesse. Dove la vorticità aumenta si ha avvezione positiva e quindi cattivo tempo, viceversa per avvezioni negative di vorticità si tende a rafforzare la circolazione anticiclonica. Di frequente, ad una depressione al suolo corrisponde in quota una saccatura. Una depressione che risulta ben visibile sial al suolo che a 500 Hpa, può essere considerata ben strutturata a tutti i livelli e apporterà quindi un deciso peggioramento. Durante la fase più attiva, un sistema depressionario tende ad avere un l’asse verticale inclinato verso nord-ovest, ovvero il minimo al suolo è più Daniele Longo - 769922304 La meteorologia e la sua terminologia avanzato del minimo in quota. Man mano che il sistema matura e perde di intensità i minimi tendono ad allinearsi e il sistema si isola dalle correnti occidentali (cut-off) e pian piano si colma. Nel caso di una goccia fredda in quota, può succedere che a 500 Hpa le isoipse mostrino una chiara circolazione ciclonica chiusa, mentre alla superficie non ve ne sia traccia. Esistono infine carte a 200 e 300 Hpa ossia al limite della tropopausa ad una quota di 9000-10000 metri. La tropopausa è caratterizzata dal massimo contrasto termico esistente tra aria delle regioni polari e delle media latitudini. La linea che demarca il confine tra queste due masse d’aria è detta fronte polare. Il contrasto termico genera una forte corrente, detta jet stream che corre in corrispondenza del fronte polare. All’interno del jet stream il vento raggiunge velocità anche superiori ai 200 km/h. Questa corrente a getto oscilla in direzione meridiana, e tali oscillazioni non sono altro che le onde di Rossby. Il jet stream non è continuo ma è caratterizzato da ristrette zone di massima intensità che prendono il nome di jet streak e permettono di individuare aree in cui i processi di ciclogenesi sono favoriti. (un jet streak si considera particolarmente significativo quando supera i 100 nodi ovvero i 160 km/h o 45 m/s.) Nell’alta troposfera vengono anche mostrate le carte di vorticità potenziale; questa grandezza è in pratica il rapporto tra vorticità assoluta e stabilità dell’aria, può essere considerata come la vorticità assoluta. Inversione termica In condizioni normali, la temperatura dell’aria, diminuisce all’aumentare della quota, in pratica la temperatura dell’aria è strettamente legata a quella del suolo: a contatto con quest’ultimo l’aria si riscalda e alleggerendosi tende a salire di quota. Durante questa fase ascensionale la stessa massa d’aria si espande in quanto all’aumentare della quota diminuisce la pressione, ed espandendosi quindi la temperatura tende a diminuire. In realtà può capitare che la temperatura dell’aria aumenti con l’aumentare della quota: è il caso delle inversioni termiche. Si possono verificare delle inversioni termiche al suolo ma anche in quota. Le inversioni termiche al suolo si hanno durante l’inverno: se ad esempio il terreno è coperto di neve che impedisce al sole di scaldare il terreno, l’aria a contatto con il terreno si raffredda rapidamente raggiungendo temperatura inferiori rispetto agli strati sovrastanti e si ha così la formazione delle nebbie. Nelle inversioni termiche in quota si verifica invece lo scorrimento di aria calda al di sopra di uno strato freddo. L’aria fredda ha la possibilità di salire sino a quanto incontra lo strato di aria calda: non avendo più possibilità di espandersi verticalmente, si assiste ad una espansione orizzontale e questo fenomeno è riconoscibile con la formazione di nubi a forma di incudine che danno origine ai temporali. Consiste nel fatto che in quota la temperatura è più alta che a quote più basse, questo fenomeno non è impossibile ma è molto probabile soprattutto in inverno, mentre durante le altre stagione di solito è più freddo in quota che al suolo. Si verifica soprattutto d'inverno, se al suolo ci sono 0°c non serve vedere la temperatura in quota perchè sarebbe alta, l’inversione termica non si verifica sempre Se il fenomeno si verifica e per esempio al suolo si hanno 0°c, qui la neve potrebbe cadere, avverrebbe lo stesso processo che avviene quando fa freddo in quota però inversamente, questo è un fenomeno raro però può accadere, raro perchè di solito quando c'è un inversione termica il cielo è sereno. Daniele Longo - 769922304 La meteorologia e la sua terminologia J Jet stream Le correnti a getto furono notate per la prima volta dagli scienziati atmosferici nel diciannovesimo secolo usando aquiloni e più tardi palloni atmosferici, ma prima dell'aviazione di massa i così detti "venti alti" (o forti westerlies) erano di scarso interesse, e molti osservatori pensavano che le osservazioni individuali fossero semplici e inutili occorrenze. E’ una corrente (oltre i 5000 metri) che spinge tutte le perturbazioni in una certa direzione, questa corrente può coincidere con quella del golfo. Ci sono due principali correnti a getto alle latitudini polari, ciascuna in tutti e due gli emisferi, e due minori correnti subtropicali più vicine all'equatore. Nell'emisfero boreale le correnti caratterizzano principalmente le latitudini comprese fra i 30°N e i 70°N in quanto alle correnti polari e le latitudini fra i 20°N e i 50°N in quanto alle correnti subtropicali. C'è anche il jet stream equatoriale di oriente che è presente durante l'estate dell'emisfero nord tra i 10°N e i 20°N. La velocità del vento varia con la temperatura gradiente, in media 55 km/h o 35 mph in estate e 120 km/h o 75 mph in inverno, sebbene siano conosciute velocità superiori ai 400Km/h o 250 mph. Tecnicamente la velocità del vento deve essere più alta di 90km/h o 55 mph per essere chiamata jet stream. Al jet stream e' associato il fenomeno conosciuto come turbolenza di aria limpida (CAT), che e' il risultato di turbolenze di grandi masse d'aria, causate dal windshear verticale e orizzontale connesso al jet stream. Il CAT è più forte sul lato freddo del flusso, di solito vicino o appena sotto l'asse del flusso stesso. I jet streams sono forti correnti d'aria con un profilo ondulato che spirano in alta quota (generalmente intorno ai 30.000 piedi, cioè 9.000-10.000 metri, la quota di volo degli aerei di linea) a velocità sino ai 400 Km orari. Normalmente però hanno una media di 100-150 Km/h ed una direzione da Ovest verso Est. Il flusso d'aria viene creato dall'incontro delle masse calde dell'equatore e quelle fredde dei poli e direzionato più o meno regolarmente verso Est. Le correnti a getto possono essere spiegate in questo modo: in generale, i venti più forti si trovano appena sotto la tropopausa (a parte durante i tornado, gli uragani o altri avvenimenti eccezionali). Se due masse d'aria di differenti temperature si incontrano la risultante differenza di pressione è più alta a quelle altezze. Se una delle masse d'aria giace a nord dell'altra, il vento non fluirà direttamente dall'area calda a quella fredda come ci si aspetterebbe, ma verrà deflesso dalla Forza di Coriolis e fluirà lungo il confine delle due masse d'aria. Daniele Longo - 769922304 La meteorologia e la sua terminologia L Lifted Lifted (index) è un indice che misura la stabilità dell’aria nella troposfera, è espresso in gradi centigradi (C°) ed è molto utile a prevedere temporali di forte intensità. L’indice è definito come la differenze tra la temperatura a 500 Hpa, e la temperatura, sempre a 500 Hpa, raggiunta da una particella d’aria che si è sollevata dal suolo. E’ molto simile all’indice CAPE. Valori di LI LI >2 0 < LI < 2 -2 < LI < 0 -4 < LI < -2 LI <-6 Caratteristiche del temporale Assenza di temporali Possibili temporali isolati Temporali abbastanza probabili Possibilità di temporali forti Probabili forti temporali; possibili trombe d'aria Limite neve La neve può arrivare fino in pianura solo in condizioni particolari che non sempre sono in grado di realizzarsi contemporaneamente. E’ necessario innanzitutto un cuscino d’aria piuttosto fredda nei bassi strati, senza che però alle quote superiori siano presenti inversioni termiche, altrimenti, anche se al suolo la temperatura rimanesse prossima o sotto lo zero, cadrebbe pioggia. Dunque per nevicare è importante che faccia freddo anche in quota. Durante il passaggio di un fronte freddo la neve può raggiungere la pianura anche con temperature che al suolo sfiorano i 4°C. Se la precipitazione è intensa infatti la fusione dei fiocchi sottrae calore all’ambiente e la neve può guadagnare metri verso il fondovalle. In genere il fiocco diventa pioggia 400 – 500 metri al di sotto della quota dello zero termico. Ma la casistica è lunga complessa e molto variabile: si può avere neve fino in pianura se lo zero termico è collocato intorno ai 700 metri, e la temperatura al suolo non superi i 3°C, ma si può avere pioggia o nevischio in caso di omotermia tra i 1000 m e la pianura. In altre parole se a 1000 m c’è 1°C e per tutta la colonna d’aria verticale fino al piano c’è la stessa temperatura o leggermente più basse, il fiocco si conserverà un po’ bagnato fino alle zone pianeggianti. In città può accadere di tutto: neve nelle zone più fredde e pioggia nel centro, oppure nevischio in un quartiere centrale dove sono presenti residue sacche fredde alle varie quote e pioggia nelle zone periferiche a temperature inferiori perché in quota sta affluendo aria calda. Uno strato d’aria fredda immobile dello spessore di 1500 mt incassato nelle montagne può creare variazione spettacolari da un versante all’altro. Le nevicate da fronte freddo, magari di tipo temporalesco primaverile, sono in grado di portare la neve a quote molto basse, abbattendo la temperature di diversi gradi in pochi minuti. L’aria fredda dalle montagne scende rapidamente verso il fondovalle sottoforma di bolle o impulsi. Interessante poi notare cosa si verifica nella fasi postfavoniche fredde. Il foehn, a torto non viene ancora considerato come vento portatore di neve. Anche il favonio è invece in grado di preparare cuscini freddi. Daniele Longo - 769922304 La meteorologia e la sua terminologia M Masse d’aria fredda Le masse d’aria fredda si originano delle zone polari o sui continenti, ove si presentano come masse ad equilibrio fortemente stabile e a temperatura bassa. Muovendosi verso le nostre latitudini, esse entrano in contatto con regioni a temperatura più elevata, in tal modo le masse d’aria fredda si riscaldano dal basso ed il loro equilibrio va alternandosi, diventando perciò masse instabili. L’instabilizzazione comporta l’insorgere di moti convettivi i quali fanno si che il vento divenga a raffiche; esse provocano inoltre, ove l’aria abbia acquistato una quantità di vapore sufficiente, nuvolosità a notevole e forte sviluppo verticale, con precipitazioni di neve e di pioggia aventi carattere di rovescio e spesso accompagnati da frequenti scariche elettriche. Masse d’aria calda Le masse d’aria calda si originano nelle regioni subtropicali e sui continenti caldi, ove si presentano come masse stabili e a temperature elevate. Muovendosi verso le nostre latitudini, i loro strati inferiori vengono a contatto con regioni a temperatura meno elevata, le masse quindi si raffreddano dal basso ed il loro equilibrio diventa ancora più stabile. Mancano quindi i moti convettivi , di conseguenza i venti spirano senza raffiche; la nuvolosità è prevalentemente stratificata e le precipitazioni che possono derivarne sono leggere, continue e accompagnate da deboli piogge. Modelli Per la lettura e l’interpretazione delle carte meteorologiche (modelli matematici), l’elemento fondamentale da controllare è l’orario di riferimento in quanto, le osservazioni devono essere tempestive e sempre recenti. Il prossimo passo consiste nell’individuare i principali centri d’azione ovvero le zone di alta e di bassa pressione, specie quelli prossimi all’area geografica di maggiore interesse. Nella carte in considerazione il maggiore centro d’azione è il profondo minimo (963 Hpa) centrato tra Islanda e Isole Britanniche. Tra le figure bariche principali va incluso obbligatoriamente l’anticiclone posto ad ovest della Spagna in pieno atlantico e si tratta del famoso anticiclone delle Azzorre che estende i suoi effetti sull’Iberia e sull’Africa nordoccidentale. Una volta riconosciute le principali figure bariche presenti sulla cartina, può essere utile approfondire la ricerca su “minori” configurazioni bariche, nel nostro caso si tratta di una depressione sottovento che si sta creando sul ligure. A questo punto tocca passare all’individuazione dei fronti segnati sulla cartina coinvolgendo principalmente l’attenzione sui sistemi prossimi all’area di maggiore interesse. Nel nostro caso possiamo constatare un vasto sistema frontale centrato nella depressione al largo Daniele Longo - 769922304 La meteorologia e la sua terminologia dell’Inghilterra. Un fronte freddo intanto è alle porte dell’arco alpino mentre un fronte caldo tende ad allontanarsi verso est. Un aspetto interessante del sopraggiungere di aria fredda è segnalato dalla curvatura delle isobare in prossimità del fronte, infatti, subito dopo il passaggio del fronte la pressione tende ad aumentare formando un promontorio mobile. Successivamente si può fare una valutazione di massima sul verso di circolazione delle masse d’aria e sulla loro intensità. Ricordando che nell’emisfero nord l’aria circola in senso orario intorno alle Hp e in senso antiorario nelle Lp, si possono tracciare tramite frecce i movimenti delle masse d’aria intorno ai rispettivi centri di pressione. Monsoni Quando si parla di monsoni si indicano i venti che soffiano dai continenti verso l’oceano nel semestre freddo e viceversa in quello caldo: sono pertanto venti che cambiano stagionalmente la loro direzione. In un clima monsonico, l’inversione stagionale del regime dei venti è causa di cambiamenti profondi nelle temperature e nella quantità delle piogge. I monsoni non sono comunque sinonimo di abbondanti precipitazioni, perché il “monsone umido” che porta con se aria tiepida e umida di origine oceanica, è periodicamente sostituito dal “monsone secco” che trascina al suo seguito aria fresca e secca di origine continentale. La variazione del regime dei venti con la stagione è la caratteristica dominante del clima di tutta la fascia tropicale che si estende dall’Africa verso levante fino a gran parte del Pacifico occidentale. Daniele Longo - 769922304 La meteorologia e la sua terminologia Il loro ciclo annuale può essere considerato come il risultato, da una parte, della variazione stagionale dell’energia proveniente dal sole e, dall’altra, del diverso modo con cui le singole aree del continente si riscaldano rispetto ai vicini oceani. Regioni differenti del globo infatti si riscaldano o raffreddano in modi e tempi diversi, in base alla quantità di energia solare che ricevono e alla loro capacità di immagazzinarla. E distese marine possono distribuire su uno strato di parecchie centinaia di metri l’energia solare assorbita e pertanto immagazzinano il calore in maniera molto più efficiente della terraferma, la quale invece si riscalda o raffredda molto più velocemente, a causa del sottile strato interessato dagli scambi di calore con l’atmosfera. Per riequilibrare lo sbilancio energetico la natura agisce in modo tale da trasferire calore dalle zone che hanno ricevuto più energia solare a quelle che ne hanno ricevuta meno e, in quelle regioni in cui vengono a contatto grandi distese marine e vasti continenti terrestri, ciò avviene attraverso il fenomeno dei monsoni. I monsoni sono quindi delle fortissime brezze che scandiscono il ciclo estate-inverno nelle regioni di confine tra grandi placche continentali e vaste distese oceaniche. Il meccanismo dei monsoni è inoltre esaltato anche dall’opposto rincorrersi delle stagioni nei due emisferi. L’orbita della Terra attorno al Sole crea, infatti, anche uno sbilancio energetico tra i due emisferi. L’emisfero che riceve più direttamente la radiazione solare (in estate) acquista più energia di quanta non ne perda in uscita verso lo spazio, e quindi si riscalda; viceversa l’emisfero che attraversa la sua stagione invernale perde più energia di quanta ne riceva, e di conseguenza si raffredda. Questo scompenso viene in parte colmato dalla circolazione generale e dalle correnti oceaniche che trasportano il calore dalle regioni calde a quelle fredde. In particolare, i venti in quota trasportano il calore che sale nell’emisfero che attraversa la stagione calda verso l’emisfero che è immerso nella stagione invernale, mentre in prossimità della superficie il ciclo si chiude con il trasporto di aria relativamente più fresca dall’emisfero “invernale” a quello “estivo”: è la spinta aggiuntiva che rende i monsoni particolarmente intensi. Daniele Longo - 769922304 La meteorologia e la sua terminologia Durante la stagione monsonica però, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, non piove tutti i giorni, ma ad ondate successive, intervallate da periodi di relativo bel tempo. L’aria umida portata dai monsoni infatti, quando giunge sul continente, scaldata dal basso, sale nell’atmosfera dando vita alle imponenti nubi che portano piogge torrenziali. Dove cadono le abbondanti piogge però il suolo si raffredda e non è più in grado di riscaldare dal basso l’aria umida trascinata dai monsoni: accade così che la regione più calda, dove le correnti ascensionali sono più forti e verso cui sono risucchiati i monsoni, si sposti sempre più a nord. In compenso, man mano che i monsoni si spingono a nord, anche l’area delle piogge si sposta sempre più verso l’entroterra cosicché le zone costiere grazie al bel tempo tornano a scaldarsi, fino a dare inizio ad un nuovo ciclo. Il ciclo, che comprende il periodo delle piogge torrenziali e le successive giornate di bel tempo necessarie a riscaldare nuovamente il suolo, dura in media dalle due alle tre settimane. Nel complesso, invece, i venti monsonici raggiungono la massima intensità verso la fine, e non nel mezzo dell’estate: l’oceano, contrariamente ai continenti, raggiunge le maggiori temperature superficiali, e quindi anche la massima evaporazione, tra agosto e settembre e non tra luglio ed agosto. Movimenti verticali d’aria Le masse d’aria si spostano prevalentemente lungo direzioni orizzontali a seguito delle variazioni della pressione atmosferica. I movimenti più importanti sono però quelli che avvengono lungo direzioni verticali; essi sono infatti responsabili della condensazione del vapore acqueo presente nella massa d’aria (nel caso di moti ascendenti) oppure della sua evaporazione (nel caso di moti discendenti). L’entità delle velocità verticali è piuttosto modesta e generalmente dell’ordine di qualche cm/s. Tuttavia durante i fenomeni temporaleschi si possono raggiungere valori dell’ordina della decina di metri al secondo. I movimenti verticali dell’aria possono originarsi a seguito di cause di natura diversa: 1. movimenti indotti dalla presenza di una depressione (sollevamento ciclonico) 2. movimenti indotti dalla presenza di un fronte (sollevamento frontale) 3. movimenti indotti dalla presenza di un ostacolo orografico (sollevamento orografico) 4. movimenti di natura convettiva (moti convettivi) 1. Sollevamento ciclonico In presenza di una depressione, a causa della divergenza in quota, si genera un movimento verticale di aria la quale si sposta dagli strati inferiori dell’atmosfera verso quelli superiori. Nel caso di un ciclone dinamico si possono distinguere le seguenti fasi: Divergenza in quota. Cause di natura dinamica (divergenza della corrente a getto nel ramo ascendente di una saccatura) generano divergenza nell’alta troposfera (mediamente 300 hPa). 2 – Diminuzione della pressione atmosferica nei bassi strati. Diminuisce la massa di aria presente nella colonna d’aria e quindi la pressione atmosferica. 3 – Convergenza di aria nei bassi strati. A seguito della diminuzione della pressione, si instaura un moto orizzontale di aria che tende a provenire dalle zone adiacenti alla colonna d’aria per colmare il gradiente barico (convergenza nei bassi strati). 4 – Aumento della pressione atmosferica nei bassi strati. La convergenza di aria nei bassi strati produce un aumento di pressione nello strato inferiore della colonna. Nei bassi strati della colonna la pressione atmosferica si mantiene comunque inferiore a quella dell’aria adiacente alla colonna. 5 - Moto verticale ascendente. L’aumento di pressione nei bassi strati provoca un moto verticale dell’aria verso l’alto (l’aria infatti non può muoversi lateralmente in quanto le zone adiacenti hanno una pressione atmosferica superiore). Nel caso di un ciclone termico si possono distinguere le seguenti fasi: Daniele Longo - 769922304 La meteorologia e la sua terminologia 1 – Riscaldamento del suolo. Il suolo si riscalda a seguito del forte irraggiamento diurno e trasmette parte del calore allo strato d’aria sovrastante. 2 – Diminuzione della pressione degli strati inferiori dell’atmosfera. Gli strati prossimi al terreno si riscaldano, diventano più leggeri e tendono a salire verso l’alto. 3 – Convergenza di aria nei bassi strati. La diminuzione di pressione provoca un richiamo di aria dalle zone circostanti, generando convergenza nei bassi strati della colonna d’aria. 4 – L’aria che converge provoca un aumento della pressione nella base della colonna. L’aria presente negli strati inferiori viene quindi richiamata verso l’alto e si genera un movimento verticale. Il sollevamento della massa d’aria provoca un raffreddamento a seguito dell’espansione (salendo l’aria occuperà zone a minore pressione) adiabatica del fluido (raffreddamento di 1°C/100 m finchè UR<100%). Il raffreddamento comporta un aumento dell’umidità relativa (non di quella specifica) e di conseguenza raggiunto il livello al quale la massa d’aria diviene satura (UR pari a 100% e temperatura di rugiada coincidente con la temperatura di bulbo secco e la temperatura di bulbo umido), il vapore acqueo condensa dando luogo alla formazione delle nubi. Il raffreddamento oltre tale livello viene in parte compensato dalla liberazione del calore latente di condensazione. Pertanto la diminuzione della temperatura diviene inferiore a 1°C ogni 100 metri ed assume valori che dipendono dal contenuto di vapore acqueo dell’aria. Generalmente è lecito assumere un valore medio pari a 0,65°C ogni 100 metri; normalmente è compreso tra 0,7°C/100 m e 0,5°C/100 m. 2 Sollevamento frontale Fronte caldo - Un fronte caldo tende a scorrere sopra l’aria fredda preesistente dando luogo alla formazione di nubi estese a causa dei lenti moti ascendenti che si originano dal sollevamento. Le precipitazioni che ne derivano sono estese e prolungate ma di intensità debole o moderata. Le velocità verticali sono dell’ordine di qualche decina di centimetri al secondo Fronte freddo - L’aria fredda che caratterizza il fronte tende a incunearsi sotto lo strato di aria calda preesistente sollevandola bruscamente e provocando un consistente moto ascendente. Le precipitazioni che ne derivano sono a prevalente carattere di rovescio e spesso di originano temporali. Le velocità verticali sono dell’ordine di qualche metro al secondo. 3 Sollevamento orografico Le masse d’aria in presenza di ostacoli orografici sono costrette a superarli aggirandoli (laddove è possibile) oppure scavalcandoli (caso frequente in presenza di catene montuose). L’ascesa forzata provoca un’espansione della massa d’aria e quindi un raffreddamento di circa 1°C ogni 100 metri di dislivello. Esistono due possibilità: L’aria non diventa satura. Se, raggiunta la sommità della catena montuosa, l’aria non diventa satura non si formano nubi ed essa discende dal versante sottovento riscaldandosi per compressione adiabatica di 1°C ogni 100 metri. L’aria raggiunge una quota alla quale diventa satura. Se, durante l’ascesa, l’aria diventa satura si formano le nubi. La quota alla quale avviene la condensazione prende il nome di livello di condensazione forzata (LCL, Lifting Condensation Level). Proseguendo nell’ascesa l’aria si raffredderà ulteriormente seguendo, però, un processo adiabatico saturo (raffreddamento più contenuto). Si forma nuvolosità estesa lungo la catena montuosa con base delle nubi posta a quota corrispondente al LCL, ed eventualmente precipitazioni. Tale situazione prende nome di sbarramento (o stau). Daniele Longo - 769922304 La meteorologia e la sua terminologia Sul versante sottovento si formano forti correnti discendenti che talvolta raggiungono la pianura con forti raffiche. Tale situazione prende il nome di favonio (o föhn). Possiamo distinguere due casi in funzione della temperatura raggiunta dalla particella di aria: o La particella d’aria diventa più calda dell’ambiente circostante: Essa tenderà a seguire spontaneamente il moto verticale ascensionale, anche se viene meno la spinta orografica a causa del raggiungimento della sommità della catena montuosa. Il livello al quale la particella diviene più leggera dell’ambiente circostante prende il nome di livello di libera convezione (LFC, Level Free Convection). Spesso la spinta orografica è in grado di vincere l’iniziale stabilità dell’aria e provocare la formazione di temporali a ridosso delle catene montuose. In tali condizioni si parla di instabilità latente o condizionale. o 2.2) La particella rimane più fredda dell’ambiente circostante: Essa non raggiunge il LFC ed una volta terminata la spinta orografica tenderà a discendere sul versante sottovento riscaldandosi per compressione adiabatica. Finchè rimane satura subirà un riscaldamento adiabatico saturo, successivamente un riscaldamento adiabatico secco. La probabilità che una particella di aria raggiunga il LCL aumenta con l’aumentare dell’umidità e della quota media della catena montuosa. Valori tipici: circa 0,5 - 1 m/s. Il loro valore dipende dall’intensità del vento e dall’inclinazione dell’ostacolo orografico. 4 Moti convettivi Alcune aree della superficie terrestre tendono a riscaldarsi maggiormente rispetto ad altre. L’aria a contatto con queste zone più calde tende a diventare più calda dell’aria circostante. Invisibili bolle di aria calda tendono a staccarsi dal terreno e salire spontaneamente espandendosi e raffreddandosi durante l’ascesa. Il raffreddamento è adiabatico secco (1°C ogni 100 metri). Tali moti verticali prendono nome di termiche. L’aria continua a salire finché la sua temperatura rimane superiore a quella dell’ambiente circostante. Aria più fresca tende a scendere per colmare il vuoto lasciato dall’aria calda. Si forma così una cella convettiva. Se il raffreddamento della particella è tale che essa diventa satura, tendono a formarsi delle nubi cumuliformi. Il livello al quale avviene la saturazione dell’aria è detto livello di condensazione. Oltre questo livello il raffreddamento è adiabatico saturo (circa 0,6°C/100 m). In alcuni casi la formazione dei cumuli gioca a sfavore dello sviluppo della termica in quanto le nubi potrebbero impedire il soleggiamento delle aree e quindi bloccare il moto ascensionale. Il cumulo in questo caso tende a scomparire per poi riformarsi non appena si ripristina la termica. L’ascesa continua finché la temperatura della particella rimane superiore a quella dell’ambiente circostante e può proseguire fino alla tropopausa formando imponenti nubi cumuliformi. La tropopausa rappresenta un limite che difficilmente la particella di aria riesce a superare. Solo nel caso di moti convettivi particolarmente intensi può accadere che l’aria riesca a oltrepassare la tropopausa. Valori tipici: 1-4 m/s ma anche di qualche decina di m/s nei temporali molto intensi. Daniele Longo - 769922304 La meteorologia e la sua terminologia N Nao NAO: North Atlantic Oscillation, il “motore” della circolazione atmosferica fra il Nordatlantico e l’Europa. Immaginabile come un’altalena che oscilla fra una fase positiva durante la quale alta pressione subtropicale e bassa pressione polare sono molto intense e inducono correnti occidentali dall’Atlantico verso l’Europa, con inverni prevalentemente miti e umidi, a carattere oceanico, sull’Europa centro-settentrionale e miti, secchi e stabili su quella meridionale. L’altro estremo è la fase negativa, caratterizzata al contrario da alta pressione subtropicale e bassa pressione polare più deboli, con frequenti split del Vp e retrogressione di basse polari, in aggiunta a ponti di alte pressioni a latitudini settentrionali e incursioni di basse pressioni sul Mediterraneo, con inverni potenzialmente freddi, a carattere continentale sull’Europa centrale e instabili, umidi e anche nevosi su quella meridionale. Cosa causa questa oscillazione? Difficile dirlo, forse incide la fase del ciclo solare e la Qbo, qualche influenza la può avere anche la fase dell’ENSO, ma molti recenti studi si sono concentrati sulle anomalie della temperatura superficiale delle acque (SSTAs) del Nordatlantico come fattore innescante o che tende a far persistere (o forzare) il carattere della Nao con lags di qualche mese. Nebbia E' formata da gocce di vapore acqueo che sono sospese nell'aria e, sono tanto grosse e numerose riducendo la visibilità fino a meno di un chilometro (nebbia) nel caso in cui invece la visibilità superi il km si parla di foschia. Solitamente si forma a causa del riscaldamento che c'è durante il giorno e a causa della escursione termica tra le temperature diurne e notturne (nebbia per irraggiamento). Altra cause della formazione della nebbia sono la presenza di un'alta pressione insistente da giorni (con cielo sereno o poco nuvoloso),presenza di vento ed elevata umidità dell'aria al suolo e aria secca a 200-300 mt. di altezza, inversioni termiche con base al suolo, o infine uno strato di isotermia a 200-300 mt. La nebbia da irraggiamento può sparire anche nel giro di pochi istanti a causa del vento superiore ai 4 km/h; con vento inferiore ai 2 o 4 km orari. Per il mantenimento della nebbia, lo strato più alto deve avere una temperatura di 10°; se la temperatura invece non è 10° o il vento a 200-300 mt. supera i 10 / 12 km/h, allora la nebbia si forma assumendo l'aspetto di banchi di nubi frastagliate ad altezza d'uomo. Neve La presenza di temperature negative all'interno delle nubi determina la costruzione del cristallo di neve: esso prende origine dalla sublimazione delle goccioline di vapore acqueo attorno a minuscoli nuclei di congelamento. Nell'atmosfera la temperatura ed il grado di umidità influenzano lo sviluppo del cristallo secondo direttrici diverse: verso l'alto, sui lati oppure sugli angoli, determinando la formazione di diverse tipologie di cristalli. Questi, turbinando nell'aria, possono combinarsi tra loro formando i ben visibili fiocchi di neve. Difficilmente i cristalli arrivano indenni al suolo: già durante la caduta la loro forma può essere assai modificata soprattutto per effetto del vento. La loro vita al suolo è poi soggetta ad altre trasformazioni, dette metamorfismi, determinate dalle variazioni della temperatura dell'aria che influenza il manto nevoso: Con temperatura dell'aria prossima agli 0 °C mantiene temperature simili anche all'interno del manto favorendo l'arrotondamento dei cristalli e l'assestamento della neve (metamorfismo distruttivo); con temperature dell'aria fortemente negative si determina la formazione di strati più freddi all'interno del manto in prossimità della superficie e strati con temperature prossime allo zero in profondità. Questa differenza di temperatura della neve, in rapporto allo spessore del manto stesso, viene definita gradiente. Quanto più esso è elevato, tanto più è favorita la costruzione di cristalli Daniele Longo - 769922304 La meteorologia e la sua terminologia sfaccettati, o a calice, negli strati basali ed intermedi (metamorfismo costruttivo), in superficie, con questa temperatura abbiamo la cristallizzazione dell'umidità dell'aria e la formazione di brina. Il raggiungimento di temperature di 0° C del manto nevoso, dovuto a radiazione solare, irraggiamento geotermico, vento o altri fattori determina la fusione dei grani e dei cristalli di neve (metamorfismo da fusione). Le precipitazioni nevose si sovrappongono cronologicamente le une alle altre formando degli strati con caratteristiche fisiche e meccaniche. Nubi Le nubi sono un insieme di minutissime goccioline d'acqua (nubi basse) o di minutissime particelle di ghiaccio (nubi alte) che "galleggiano" nell'aria e si formano a causa della condensazione del vapore acqueo. La condensazione è il passaggio del vapore dallo stato gassoso allo stato liquido o solido, visibile quando la temperatura dell'aria che lo contiene scende al di sotto del punto di condensazione o punto di rugiada. Si ha il punto di rugiada quando l'umidità relativa raggiunge il 100%, cioè quando l'aria ad una data temperatura è satura. La quantità di vapore che può essere contenuta in un certo volume d'aria è in relazione alla temperatura; l'aria è satura quando possiede quella massima quantità di vapore che può contenere ad una data temperatura, cioè quando la sua umidità relativa è pari al 100%. Se in un volume di aria satura aumentiamo il vapore o diminuiamo la temperatura, il vapore si condensa. In realtà, affinché una nube si formi non è sufficiente che la temperatura si abbassi oltre il punto di saturazione. L'atmosfera può contenere una quantità di vapore maggiore di quella necessaria a saturarla alla temperatura del momento, senza che avvenga la condensazione. In questo caso l'aria è detta sovrassatura. Oltre ai gas e al vapore acqueo, nell'aria sono presenti particelle solide chiamate pulviscolo atmosferico: si tratta di sali minerali, sostanze chimiche, impurità varie trasportate dal vento; alcune di esse fanno da supporto per la condensazione del vapore acqueo e per tale motivo è stato dato loro il nome di nuclei di condensazione. Le nubi più spettacolari sono i Cumuli, originati dalla rapida ascesa dell'aria. Se piccoli, la loro vita sarà di 10-15 minuti, mentre se grandi avranno una vita di circa 30 minuti. Le nubi stratiformi basse o medie hanno vita più lunga, potendo rimanere nel cielo intere giornate. Infatti, nella porzione dell'atmosfera occupata da nubi stratiformi, l'aria è stabile, cioè non ha tendenza a salire o a scendere, per cui la nube si trova in posizione di relativa quiete o, come si dice in meteorologia, in equilibrio stabile. LE SETTE CAUSE DELLA FORMAZIONE DELLE NUBI 1) Nelle notti serene, il suolo perde una parte del calore fornitogli dal Sole, questa perdita di calore, non compensata adeguatamente dalla successiva radiazione solare, fa sì che il suolo si raffreddi sempre di più; a contatto con il suolo freddo, l'aria - se è molto umida - può raffreddarsi al di sotto del punto di rugiada e dare origine a nubi basse stratiformi o a nebbie. 2) A contatto con una superficie calda che può essere una zona brulla e assolata, l'aria si riscalda anch'essa, si dilata, diventa più leggera e s'innalza. La dilatazione abbassa la temperatura e più l'aria si alza, più si raffredda. Questa perdita di calore detta raffreddamento adiabatico, che è di circa 1°c ogni 100 metri di Daniele Longo - 769922304 La meteorologia e la sua terminologia altitudine, è la causa principale della formazione di nubi cumuliformi. 3) Le nubi si possono anche formare per il raffreddamento progressivo di venti caldi e umidi da s/e o s/o. Si avranno in questo caso nubi stratiformi. 4) L'aria che sovrasta una data regione può essere costretta, da aria più fredda che vi si incunea sotto, ad innalzarsi violentemente. Elevandosi, l'aria subisce il raffreddamento adiabatico e si avrà di conseguenza la formazione di nubi cumuliformi. 5) L'aria calda può anche spostarsi per scorrimento su un piano inclinato costituito da aria più fredda. Con la quota subisce il raffreddamento adiabatico e, se la temperatura dell'aria scende al di sotto del suo punto di condensazione (punto di rugiada), si avranno nubi stratificate. 6) Quando il vento investe una catena montuosa e l'aria è costretta a innalzarsi lungo un pendio, essa si raffredda; se si raffredda al di sotto del punto di condensazione, si avranno nubi orografiche e, se il fenomeno è rilevante, anche piogge forti e persistenti nel lato sopravvento della montagna. 7) Anche la pioggia e la neve provenienti da nubi alte, attraversando uno strato relativamente caldo lo raffreddano. Se il raffreddamento scende al di sotto del punto di rugiada dell'aria attraversata, si avranno nubi di solito stratificate. LA CLASSIFICAZIONE DELLE NUBI Nubi Alte CIRRI (Cirrus) Sono nubi isolate costituite di cristalli di ghiaccio, bianche, delicate, trasparenti e a struttura filamentosa. Il loro nome significa "ricciolo di piuma". Possono presentarsi con le estremità a uncino, a ciuffi isolati o in banchi che si stagliano nell'azzurro del cielo. Attraverso queste nubi è possibile intravedere il sole. CIRROCUMULI (Cirrocumulus) I cirrocumuli sono formati da cristalli di ghiaccio disposti in piccoli ammassi globulari di colore bianco. Attraverso di essi è possibile scorgere nettamente la posizione del sole o della luna. Possono essere disposti in distese più o meno vaste, o in banchi formati da piccoli "cuscinetti" di grandezza variabile. I cirrocumuli possono provenire dalla trasformazione di cirri e cirrostrati, dalla diminuzione delle dimensioni di un banco di altostrati oppure dal sollevamento orografico di uno strato di aria umida. CIRROSTRATI (Cirrostratus) Questa nube, costituita essenzialmente da cristalli di ghiaccio, ha una densità ed un'estensione nettamente superiore a quella dei cirri. I cirrostrati, lasciano intravedere il Sole e la Luna e formano, attorno ad essi, un alone colorato. I cirrostrati hanno un aspetto lattiginoso, fibroso, e possono coprire interamente il cielo. Se il Sole è in prossimità dell'orizzonte, tali nubi possono essere scambiate con cirri per effetto di prospettiva. Anche un velo lattiginoso di nebbia può condurre in inganno, ma la distinzione apparirà chiara sapendo che il velo di nebbia è piuttosto opalescente. CONTRAILS (le scie degli aerei) I gas di scarico degli aeroplani contengono una grande quantità di vapore acqueo; quando questo vapore viene a contatto con l'aria gelida delle alte quote si condensa immediatamente, formando la tipica scia di condensazione. Quando le scie tendono a permanere a lungo nel cielo o addirittura si estendono in larghezza è segno che in quota è presente aria molto umida. Le scie di condensazione, in inglese contrail (condensation trail) si formano quando l'aria calda e umida proveniente dal reattore, cioè dalla combusione dei gas di scarico, si mescola con l'aria dell'ambiente circostante caratterizzata da una bassa pressione di vapore e una bassa temperatura. Daniele Longo - 769922304 La meteorologia e la sua terminologia Nubi medie ALTOCUMULI (Altocumulus) Queste nubi si presentano in banchi di colore bianco o grigio. Di solito sono composte di lamelle o di masse tondeggianti collegate o no tra loro. Si possono confondere con i cirrocumuli se sono formati da piccoli elementi, ma possono essere riconosciuti perché hanno una larghezza apparente maggiore. Quando il bordo o una parte sottile di un banco di altocumuli si trova a passare davanti al sole, si manifesta il fenomeno della corona che consiste in uno stretto anello colorato. Queste nubi sono costituite da goccioline d'acqua che, se la temperatura è molto bassa, si trasformano in cristalli di ghiaccio. ALTOSTRATI (Altostratus) L'altostrato copre totalmente o parzialmente il cielo, ma sempre in maniera uniforme, con un velo più o meno denso, fibroso, striato di colore grigio tendente all'azzurrognolo, con ombre proprie più o meno marcate, secondo lo spessore. L'altostrato è costituito da gocce d'acqua e fiocchi di neve. Se la temperatura, a quella quota, è molto bassa, la nube può essere formata da cristalli di ghiaccio. Può assumere spessori di molte centinaia di metri ed estensioni di centinaia di chilometri ed essere formata di più strati sovrapposti in bande parallele e con nette ondulazioni. Se lo spessore della nube non è considerevole, trae facilmente in inganno l'osservatore che può confonderla con un cirrostrato più denso. Sotto l'altostrato si possono formare nubi sfrangiate. Nubi basse STRATOCUMULI (Stratocumulus) Gli stratocumuli si presentano in grossi ammassi scuri, tondeggianti, che ricoprono, specialmente d'inverno, quasi interamente il cielo e che mostrano sempre la presenza di elementi più o meno collegati fra loro. Gli elementi che li costituiscono sono analoghi a quelli degli altocumuli ma, dato che si trovano a livello più basso, appaiono di dimensioni maggiori. Non è possibile confondere gli stratocumuli con gli altocumuli poiché i primi hanno una larghezza apparente superiore a 5 gradi. Gli elementi di queste nubi sono talvolta raggruppati in bande parallele, con ondulazioni orientate nella stessa direzione. Possono essere più o meno trasparenti e lasciar vedere spazi di cielo o presentarsi in strati tanto sottili da lasciar apparire la posizione del sole o della luna. Talvolta le nubi sono così opache da nascondere il sole. STRATI (Stratus) E' simile a nebbia sospesa in quota e, a volte, è tanto basso da occultare la sommità di collinette. Da al cielo un aspetto offuscato e uniforme. Può dare luogo a precipitazioni costituite di pioggia minuta e fitta o di prismi di ghiaccio o di nevischio, quando la nube, molto opaca, si forma sotto altre nubi quali altostrati e nembostrati. Generalmente lo strato si forma per l'abbassamento della temperatura degli strati più bassi dell'atmosfera o, al contrario, per il sollevamento di nebbia a causa del riscaldamento del suolo. NEMBOSTRATI (Nimbostratus) Con la presenza di questa nube, il vero cattivo tempo si è già stabilito. E' di colore grigio scuro, molto spesso, senza forme definite e margini frastagliati. Di solito si presenta come uno strato basso di grande estensione la cui parte inferiore è spesso nascosta da nubi che corrono veloci con il vento. Sono sempre opachi, tanto da nascondere il Sole o la Luna, danno luogo a precipitazioni continue sotto forma di neve o di pioggia Daniele Longo - 769922304 La meteorologia e la sua terminologia Cumuli - Nubi a sviluppo verticale CUMULI ( Cumulus) Chiamati signori del cielo, sono le nubi più appariscenti. Gli aspetti dei cumuli sono mutevoli; si tratta sempre di nubi isolate, generalmente dense, con contorni ben definiti, a piccolo o a grande sviluppo verticale, ma sempre a forma di cupole o di torri, con la parte superiore simile a un cavolfiore. La loro base è quasi sempre orizzontale e le parti superiori un bianco splendente. Lo sviluppo in altezza dei cumuli dipende dalla maggiore o minore instabilità dell'aria. CUMULONEMBI Sono le nubi che producono scariche elettriche. Si presentano in masse imponenti, di aspetto minaccioso, simili a montagne o torrioni a grande sviluppo verticale, talvolta fino a raggiungere il livello dei cirri. Essendo le loro dimensioni orizzontali e verticali sempre notevoli, queste nubi sono visibili soltanto a grande distanza. Queste nubi si distinguono dai cumuli perché la parte inferiore è, di solito, sfrangiata, mentre la parte superiore non ha forma di cavolfiore. Daniele Longo - 769922304 La meteorologia e la sua terminologia O Omega L’omega è una configurazione barica in cui vengono considerate due basse pressioni ed una alta pressione. Prende questo nome appunto dalla lettera greca “omega” proprio perché assume una forma molto simile. Questa configurazione è quindi caratterizzata dalla presenza di due cicloni di cui uno sulla Russia ed uno sulle aborre, ed in mezzo ai due anticicloni, si instaura un promontorio anticiclonico formando così un’omega. La figura opposta prende il nome di omega rovesciato che si forma, con la presenza di una saccatura sul mediterraneo tra mar di Sardegna e mar di Sicilia e due alte pressioni una ad est (hp russa o hp balcanica) ed una a ovest (hp azorriana). Le precipitazioni sulle nostre zone sarebbero comunque molto scarse o quasi assenti così come nel classico omega ma, al contrario si avrebbe molto freddo. Ecco l’omega, caratterizzato appunto da una zona anticiclonica incuneata tra due zone cicloniche di bassa pressione ai suoi lati. Il contro-omega è invece caratterizzata da una zone ciclonica insediata tra due zone anticicloniche poste ai suoi lati, la figura che ne risulta è un omega capovolto. Daniele Longo - 769922304 La meteorologia e la sua terminologia P Pcai (Probabilità irruzione aria artica continentale) Il PCAI è un indice creato per calcolare la probabilità di un’irruzione fredda di tipo artico continentale verso l’Europa Centrale e di conseguenza l’Italia ed il Mediterraneo. Di seguito un grafico estrapolato dalle elaborazioni Gfs. Con valori compresi tra: -175 / -75 : Probabilità di irruzione pressoché nulla, moderate possibilità di modesta intensità, nei giorni successivi. -75 / -25 : Probabilità di irruzione prossime a zero. -25 / +25 : Probabilità di irruzione molto bassa o nulla, modesta nei giorni successivi. +25 / +50 : Probabilità di irruzione bassa. +50 / +85 : Probabilità di irruzione media ma di modesta intensità. +85 /+ 120 : Probabilità di irruzione elevata, in caso di persistenza su detti valori, molto elevata. > +120 : Probabilità di irruzione molto elevata, in caso di persistenza, probabilità di irruzione storicamente rilevante. L’indice viene calcolato tenendo presente le pressioni sul livello del mare e i geopotenziali all’altezza di 500 Hpa rilevati in 3 punti particolari dell’emisfero. Un punto è l’Inghilterra meridionale, il secondo nella parte settentrionale della penisola scandinava ed il terzo nell’isola di Nuova Zemlja. Sono state scelte queste località perché si trovano sulla traiettoria di una figura essenziale per le sorti di una eventuale irruzione artica continentale: questa figura è un anticiclone il cui bordo orientale grosso modo dovrà posizionarsi in prossimità dei territori di confine tra il continente europeo e gli oceani atlantico ed artico. Daniele Longo - 769922304 La meteorologia e la sua terminologia Perturbazioni in Italia Gli episodi di maltempo al nord si verificano solo con minimi situati sul nord del mediterraneo, di solito secondari ad un minimo più profondo situato al largo dell’atlantico. Già dalle mappe a 850 Hpa si può capire se il tempo sarà perturbato a meno, basti guardare le correnti che corrispondono alle linee bianche che sono tracciate. Meglio ancora se il minimo è situato nel golfo ligure (genoa - low), maltempo limitato al nordovest e Toscana, in casi del genere in inverno arrivano le nevicate decise fino in pianura, a condizione che in concomitanza ci sia una irruzione fredda da est o nord - est nei giorni precedenti, che abbia raffreddato il suolo creando il cosiddetto “cuscinetto padano” che si forma però solo in seguito ad almeno 2/3 giorni con minime molto fredde (almeno -4/-5 °C). Ecco il caso di un minimo situato nel golfo del Leone, portatore di mal tempo un po’ su tutta Italia, specie al nord. Una situazione che invece porta maltempo limitato al centro - sud, è il caso di un minimo situato all’altezza della Grecia, che genera correnti da nord - est su tutto il paese con freddo al nord e al centro Italia. Con la presenza di minimi in adriatico, quali quello all’altezza delle Marche o quello all’altezza della Puglia, si crea una situazione di bel tempo al nord con correnti da nord - ovest su tutto il nord Italia (foehn) e invece, brutto tempo dall’Emilia Romagna in giù soprattutto sulle regioni adriatiche. Daniele Longo - 769922304 La meteorologia e la sua terminologia Pressione La pressione diminuisce all’aumentare della quota. - 850 Hpa 1500 metri - 500 Hpa 5500 metri - 400 Hpa 7000 metri - 300 Hpa 9000 metri - 200 Hpa 12000 metri Alle aree di bassa pressione è legato il maltempo, alle area di alta invece, tempo stabile e buono. Una diminuzione più o meno netta di pressione, spesso precede di poco il sopraggiungere del cattivo tempo. La valenza prognostica del barometro è identificata in quella che viene chiamata tendenza barometrica, cioè la quantità di variazione di pressione in un determinato arco di tempo. In condizioni di normalità, la pressione aumenta la mattina e la sera diminuendo nel pomeriggio per effetto del riscaldamento dell’aria che diventa così meno densa e quindi meno pesante esercitando meno pressione. Le figure bariche principali prendono il nome di area di alta e bassa pressione; le basse pressioni sono denominate anche cicloni, area depressionaria o low-pressions, mentre le aree di alta pressione sono chiamate anche anticicloni o high-pressions. Isobare ravvicinate indicano condizioni di instabilità e di forti venti. E’ possibile inoltre, seguendo le variazioni barometriche durante la giornata, rendersi conto dell’eventuale arrivo di una perturbazione indicata da una costante diminuzione delle pressione Talvolta una zona di alta pressione si espande fino ad incunearsi tra due depressioni. e se l'espansione avviene da sud verso nord, le linee isobariche si dispongono a forma di U rovesciata, questa configurazione si definisce promontorio. Nell’ambito dell’alta pressione si usa chiamare promontorio quella zona di alta le cui isobare non si chiudono intorno al massimo ma si protendono come a formare un promontorio geografico. Nel caso in cui l'espansione è da est verso ovest, allora, si parla di cuneo. In entrambe le situazioni, il cielo è generalmente sereno o poco nuvoloso, l'atmosfera è limpida e la visibilità è ottima; purtroppo, è una situazione instabile perché questi fenomeni sono di breve durata. Se invece la depressione si insacca fra due zone anticicloniche si parla allora di saccatura e le isobare avranno forma di V o di U e i rovesci e i temporali saranno violenti. La saccatura rispetto al promontorio, ha una caratteristica grafica di solito ben marcata, mentre il promontorio ha una curvatura generalmente dolce. Se si congiungono i punti di massima curvatura, si ottiene una linea più o meno retta detta “asse della saccatura”. L’asse della saccatura rappresenta il luogo in cui i fenomeni connessi alla perturbazione si verificano con maggior insistenza, il passaggio dell’asse segna inoltre il cambiamento di direzione di provenienza del vento. Al passaggio dell’asse, nel nostro emisfero, il vento ruota da SW a NW in senso orario. Un’area posta tra due alte o due basse pressioni è chiamato sella. Nelle carte meteorologiche, in corrispondenza del centro della depressione le pressioni crescono dal centro verso l’esterno mentre nella alte pressioni la pressione diminuisce man mano che si passa dall’interno all’esterno. Daniele Longo - 769922304 La meteorologia e la sua terminologia La pressione atmosferica in una giornata in condizioni di tempo non perturbato, non è stabile ma subisce delle oscillazioni di valore tra l’alba e il tramonto con aumenti e diminuzioni alternati tra loro. Daniele Longo - 769922304 La meteorologia e la sua terminologia Q Qbo QBO: Quasi Biennal Oscillation dei venti stratosferici equatoriali (a 50 e a 30 hPa). Si è notato che circa ogni 28-29 mesi questi venti invertono la loro rotta di 180 gradi, soffiando da ovest (QBO positiva) e poi da est (QBO negativa) e così via. Cosa c’entra questo con le previsioni stagionali? Ebbene: per il fenomeno delle teleconnessioni, questa oscillazione influenza diversi parametri pure nella troposfera, per es.: la frequenza degli uragani dell’Atlantico (spesso superiore nella fase positiva, ma non sempre!), l’intensità del Jetstream polare (più forte in fase positiva), gli scambi lungo i meridiani di differenti masse d’aria (favoriti in fase negativa), l’insorgenza di uno Stratwarming nella stratosfera polare invernale (in combinazione con l’intensità del ciclo solare: in fase negativa al minimo del ciclo solare e in fase positiva al massimo) e dunque la possibilità di split del VP troposferico e relative colate di aria artica (gennaio 1985 come esempio paradigmatico) ecc. ecc. Dunque non è proprio il valore preciso in se che importa, l’importante è invece guardare in che fase dell’oscillazione si trova il periodo preso in esame per la previsione. Daniele Longo - 769922304 La meteorologia e la sua terminologia R Radiosondaggi In linea di principio l'esame dei radiosondaggi nella parte in cui sono riportati i vari indici termodinamici deve rappresentare un aiuto per il previsore che deve sempre avvalersi in primo luogo dell'analisi sinottica ai vari livelli isobarici, tenere nel dovuto conto l'orografia del luogo di destinazione della previsione e conoscere il clima della zona d'interesse. E' inoltre opportuno tener presente che la maggior parte di tali indici sono stati coniati negli States a loro uso e consumo e come sempre accade in questi casi avranno la massima attendibilità nel luogo d'origine. Gli indici termodinamici indicano la predisposizione in atmosfera all'innesco di fenomeni temporaleschi, che tuttavia non è detto debbano per forza svilupparsi se manca la spinta iniziale (frontale, orografica o per forte riscaldamento dal basso) od in particolari condizioni dinamiche: ad esempio in Romagna con fohn appenninico si possono avere indici favorevoli, ma ovviamente nulla succede a causa della catabasi indotta dalle correnti discendenti, venendo a mancare la spinta iniziale. Va da sè che i fenomeni temporaleschi, se non sono a vasta scala, possono insorgere o meno in base a molti fattori locali, difficilmente desumibili dai radiosondaggi, e massima attenzione deve essere posta alla curvatura (ciclonica o anticiclonica) delle correnti a 500 hPa prescindendo da qualunque indice termodinamico. Lo stesso discorso vale per l'eventualità inversa: si possono avere temporali con indici sfavorevoli se una massa d'aria deve risalire una catena montuosa (stau) oppure in caso di passaggi di fronti caldi con aria pseudoinstabile (in tal caso gli indici saranno al massimo poco favorevoli); anche uno status che vede aria secca e poco calda nei bassi strati ma con forte getto in quota (divergenza) può innescare lo sviluppo di Cb. Comunque i fattori principali sono legati al microclima di ogni regione; una buona norma è quella di archiviare i radiosondaggi quando si verificano temporali e costruirsi una serie storica molto utile per ricavare dati statistici. Lo sviluppo di supercelle prescinde spesso dall'effettivo valore degli indici termodinamici che non considerano il wind shear, cioè la variazione in direzione e velocità del vento tra bassa ed alta troposfera che riveste un ruolo fondamentale. CAPE, LI, TT, K, U e SI sono infatti desunti dai gradienti termoigrometrici verticali tra i vari piani isobarici ma risultano utili per sapere se l'atmosfera è predisposta o meno allo sviluppo di attività temporalesca. Invece SWEAT, BRN e SREH tengono conto anche del wind shear e quindi rivestono maggior importanza nella previsione di supercelle e tornado. La provenienza del vento nei radiosondaggi viene espressa in gradi sessagesimali, per cui a 0° (o 360°) corrisponde il N, a 90° l'E, a 180° il S, a 270° l'W; con 45° abbiamo NE, 135° SE, 225° SW, 315° NW. Il diagramma aerologico più diffuso è lo Skew T-ln p, così chiamato perchè ha come coordinata verticale la pressione p in scala logaritmica, tra il suolo e 100 hPa, mentre sulle ascisse ci sono i valori della temperatura; le isoterme però sono inclinate di 45° verso destra, rispetto alle linee orizzontali della pressione. Per meglio spiegare l'interpretazione dei radiosondaggi si fa riferimento al diagramma termodinamico di Udine relativo alle ore 18Z del 28 agosto 2003, giorno in cui il Veneto orientale è stato colpito da un'impressionante serie di violenti temporali grandinigeni. La curva di stato (della temperatura) è quella rossa, quella del dew point (della temperatura di rugiada) è azzurra. La vicinanza fra queste due curve presuppone aria molto umida e vicina alla saturazione: è il caso delle giornate estive con afa nei bassi strati e notevole energia termica a disposizione del temporale. La linea verde è la velocità del vento in nodi; la linea viola è quella dell'adiabatica satura. Quest'ultima indica la termovariazione adiabatica verticale in presenza di aria satura. Sappiamo che l'aria secca in salita perde 1°C per ogni 100 m di salita, me se comincia la condensazione allora interverrà il calore latente (590 cal/grammo nel passaggio vaporeacqua); tale calore farà che l'aria non perda più 1°C ogni 100 m di salita ma 0,6°C circa (dipende da molti fattori ma quello è più o meno il tasso di termovariazione in aria satura). La linea che costituisce l'adiabatica satura mostra, partendo dalla temperatura al momento dell'inizio della condensazione, i vari valori di temperatura (salendo di quota) che assumerebbe la particella d'aria ai successivi livelli troposferici. Daniele Longo - 769922304 La meteorologia e la sua terminologia La linea viola dell'adiabatica parte da due punti alla base del grafico in quanto il tratto di linea (sulla destra) che va dal suolo al livello di condensazione (LCL: linea retta viola tra 800 e 900 hPa) non è l'adiabatica satura, ma è quella secca, poichè fin lì l'aria non condensa in goccioline, per cui perde 1°C ogni 100 metri di salita. L'adiabatica satura è tracciata solo dall'LCL in su (infatti essa è meno inclinata dell'adiabatica secca perdendo non 1°C ma 0.6°C per ogni 100 m di salita). L'altro tratto viola che va dall'LCL più "a sinistra" è l'isoigrometrica che incontrerebbe la nostra particella d'aria in ascesa nei pressi dell'LCL e rappresenta in pratica il dew point della massa d'aria a livello del suolo (nell'esempio circa 18°C). L'area verde tra la curva rossa e quella viola rappresenta il CAPE, l'area rossa tra la curva di stato e la linea viola rappresenta il CINH. Nell'esempio sopra l'area del CAPE è molto più estesa di quella del CINH, per cui le condizioni sono favorevoli allo sviluppo di attività termoconvettiva stante la notevole energia in gioco. La linea gialla sulla parte bassa del grafico corrisponde all'area verde del CAPE (il valore sulla scala in basso corrisponde a quello numerico che si ritrova nell'elenco degli indici termodinamici). La scritta CINH*5 indica un artifizio per riportare il tracciato sia del CAPE che del CINH in contemporanea: il CINH viene moltiplicato per 5 onde evitare grafici interminabili. LCL è il livello di condensazione forzata; è il livello dove l'adiabatica secca, tracciata a partire dalla temperatura osservata al suolo, incontra la isoigrometrica che passa per il valore iniziale di dew point al suolo. L'isoigrometrica è una linea che unisce, per ogni valore di temperatura e pressione, tutti i punti nei quali la massa d'aria satura ha la stessa umidità specifica. In LCL la massa d'aria, ora satura, è però ancora stabile perchè più fredda dell'ambiente circostante. LCL in genere corrisponde alla quota alla quale si forma la base della nube cumuliforme poichè a tale livello inizia la condensazione del vapore acqueo. Un LCL piuttosto basso indica aria molto umida su tutta la colonna d'aria e maggiore possibilità di fenomeni intensi. Inoltre con LCL molto basso eventuali tornado vanno in "touch-down" più facilmente poichè hanno meno metri da percorrere per toccare terra. Un discorso simile può essere fatto anche per il LFC che è il livello di libera convezione. LFC è il livello dove la curva dell'adiabatica satura taglia la curva di stato: da questo livello in poi la condensazione si sviluppa in genere in altitudine fino a quando la particella non ha esaurito il suo contenuto in vapore (instabilità latente o condizionale). EL è il livello di equilibrio (Equilibrium Level). EL corrisponde alla base dell'inversione termica permanente presente tra troposfera e stratosfera e rappresenta il punto ove la curva di stato interseca l'adiabatica satura (oltre quella quota i processi convettivi tendono ad arrestarsi). Un buon sistema per individuare la presenza di overshooting top in un cluster temporalesco, se la visuale non è buona a causa di nubi basse, è quello di individuare l'Equilibrium Level con il radiosondaggio e vedere, tramite una buona scansione del cloud top (ad esempio quelle dell'AM), l'altezza massima delle nubi; se è maggiore della quota dell'Equilibrum Level, con molta probabilità si è in presenza di overshooting top. Daniele Longo - 769922304 La meteorologia e la sua terminologia Raggi ultravioletti I raggi ultravioletti rappresentano appena l’1% dell’energia in arrivo dal Sole, ma anche la componente solare più dannosa per gli esseri viventi. Hanno infatti la capacità di penetrare attraverso l’epidermide in profondità nei tessuti, anche se non tutti in uguale misura. Infatti i raggi UV vengono di solito suddivisi, a seconda della loro lunghezza d’onda, in tre bande; gli UVA UVB ed UVC. I più penetranti, e quindi più pericolosi, sono quelli con lunghezza d’onda più corta, ossia gli UVC e gli UVB, detti anche raggi ultravioletti “duri”. Gli strati alti dell’atmosfera assorbono integralmente i raggi UVC e parte dei raggi UVB. La radiazione ultravioletta che raggiunge la superficie terrestre è costituita essenzialmente da UVA e, in misura minore, da UVB. Ovviamente la frazione di raggi UV che raggiunge la superficie terrestre varia nel tempo e nello spazio. Ecco, un elenco dei fattori dai quali dipende la dose di raggi ultravioletti al suolo: ora del giorno: il 20%-30% circa degli UV arriva tra le 11.00 e le 13.00 locali mentre il 75% del totale è concentrato tra le 09.00 e le 15.00. Quando il Sole è alto sull’orizzonte i raggi compiono infatti un percorso più breve dentro l’atmosfera, minimizzando in tal mondo l’assorbimento da parte dell’aria; stagione: nelle regioni temperate gli UV raggiungono la massima intensità in estate e la minima in inverno; latitudine: il flusso annuale di raggi UV è massimo all’Equatore e minimo ai Poli; nuvole: il generale le nubi diminuiscono la quantità di energia solare in arrivo. Un cielo con nuvole sparse, attenua appena del 10% l’intensità dei raggi UV. La frazione in arrivo al suolo si riduce del 25% circa con cielo molto nuvoloso e con cielo coperto l’attenuazione raggiunge il 70% circa; altitudine: con la quota la radiazione ultravioletta aumenta notevolmente di intensità. Ad esempio, in estate a 3000 metri la radiazione è quasi quattro volte più intensa che a 700 metri. In inverno gli UV si riducono, rispetto all’estate, di 8 volte circa in montagna e 16 volte in pianura; riflessione: la parte riflessa dalla superficie terrestre e dai mari è generalmente bassa (< del 7%), tuttavia il tipo di superficie può fare davvero la differenze: manti erbosi e specchi d’acqua riflettono meno del 10% della radiazione in arrivo, la sabbia riflette circa il 25% dei raggi UVB incidenti, mentre la neve fresca arriva a riflettere circa l’80%. Ecco perché in montagna i raggi ultravioletti sono particolarmente insidiosi: all’effetto altitudine si aggiunge infatti anche l’effetto riflessione da parte della neve. Di seguito la media annuale della radiazione solare in superficie orizzontale al livello del mare su scala mondiale misurata in w/m2 Daniele Longo - 769922304 La meteorologia e la sua terminologia S Shelf cloud Una shelf cloud (nube a mensola) è una nube bassa, lunga, a volte arcuata, orizzontale o a forma di cuneo associata a un gust front temporalesco e raramente al transito di fronte freddo che non provoca però temporali. Questa nube viene anche chiamata disco supercellulare quando si forma sul bordo avanzante (lato orientale) alla base di una supercella. Una Shelf Cloud si forma quando l’aria calda ed umida, presente al suolo o nei bassi strati, viene sollevata dal transito del gust front (outflow) fino alla quota di condensazione dove prende corpo questa "mensola nuvolosa" a volte spettacolare ma anche paurosa a causa delle enormi dimensioni, della sua vicinanza al suolo e del colore molto scuro. Il bordo avanzante (guardando verso Ovest) della Shelf Cloud ha le pareti generalmente lisce, striature con la forma di solchi alla base del Cumulonembo e disposti parallelamente rispetto alla direzione del movimento della cella temporalesca. Le striature con la forma di solchi sono causate: dalla differenza di umidità presente nei vari strati dell’aria ascendente e dalla convergenza delle correnti che si trovano sul lato anteriore avanzante della cella temporalesca. Il lato inferiore della Shelf Cloud è in contatto con le precipitazioni ed appare molto turbolento, incavato verso l'alto, nero e di aspetto stracciato (fractocumuli). La Shelf Cloud può dare origini a precipitazioni piovose intense ed in alcuni casi originare deboli tornado anche se non è provvista di movimenti rotatori in quanto avanza sotto la spinta dell'outflow ma senza ruotare. Una rotazione è presente solo dalla base della supercella a tutto il cumulonembo esclusa l'incudine che invece ha solo un movimento di espansione. La rotazione della supercella temporalesca crea delle striature o dei solchi nella Shelf Cloud ma non la fa ruotare in quanto quest’ultima non è ancorata alla base del cumulonembo ma lo precede di pochissimo. Spaghetti Uno degli altri modelli metereologici in circolazione, è il modelli degli spaghetti che consiste in una serie di linee che appunto vengono denominate spaghetti per via delle loro forme. Nel modello vengono rappresentate le temperature a 850 Hpa e l’intensità in mm delle precipitazioni previste. Le principali linee sono quella rossa che consistente nella media trentennale delle temperature. Inoltre abbiamo la linea blu che rappresenta il run attuale secondo Gfs, ed infine la linea grigia che rappresenta il run Ensemble. Questi i colori principali, vi sono tuttavia affiancati molti altri colori che si riferiscono alle varie perturbazioni (P) inizializzate accanto al run ufficiale in modo da avere a disposizioni maggiori linee di tendenza, di solito queste perturbazioni parallele sono 9 o 10. Daniele Longo - 769922304 La meteorologia e la sua terminologia Squall line Per quanto riguarda la Squall line si tratta di una "massa" nuvolosa che assomiglia grossomodo ad una linea...è costituita da nubi temporalesche, dunque cumulonembi, con moderato-forte sviluppo(anche abbastanza rapido) e appunto "allineate" fra loro che formano una vera e propria barriera, che avanza in un fronte freddo seguendo il gust front(appunto l'avanzamento del fronte). La Squall line si sviluppa lungo la linea che separa l'aria calda nei bassi strati dall'aria piu fredda negli alti strati, che va quindi a richiamare in contrasto l'aria piu calda e scende con moto piu o meno verticale (outflow:l'aria fredda che scende in un fronte) In genere in una Squall line il downdraft si colloca subito dietro all'updraft per cui è frequente osservare, nella zona di contatto di queste due correnti, un'imponente shelf cloud, soprattutto nei mesi estivi, prodotta dall'aria fredda discendente che porta a condensare parte del vapore acqueo contenuto nella corrente ascendente. La formazione di una Squall line è prerogativa del passaggio di un fronte freddo nei mesi più caldi dell'anno anche se non è da escludere una sua nascita durante il passaggio di un fronte freddo particolarmente intenso nei mesi autunnali o invernali. Una Squall line può provocare precipitazioni grandigene con chicchi di medie o grandi dimensioni, deboli tornado (tromba d'aria), eventuali alluvioni lampo nel caso in cui le celle temporalesche che la compongono sono stazionarie o molto lente ed i downburst quando si formano in un ambiente con forti venti alle quote medie. Può capitare che un downburst estremamente intenso acceleri una porzione della Squall line portandola davanti al resto della linea producendo un bow echo (un eco lineare ma curvato verso l'esterno a forma di arco) individuabile da un tracciato radar ma impossibile da osservare visivamente. Ssta SSTA: Sea Surface Temperature Anomaly: questa caratteristica può influenzare la circolazione atmosferica fra il Nordatlantico e l’Europa molto più spesso di quello che potrebbe sembrare a prima vista. Ad ovest del nostro continente giace un’enorme massa d’acqua che ha la capacità di rilasciare nell’atmosfera un’immensa quantità di energia sottoforma di calore. La corrente calda che proviene dal Golfo del Messico e che lambisce le coste nordoccidentali europee mantenendo un clima mite in queste regioni è un buon esempio di come l’oceano possa influenzare direttamente l’atmosfera a grande distanza. Sprofondando verso quote più basse del mare, questo “fiume” oceanico rilascia nell’atmosfera massicce dosi di energia che influenzano a loro volta la temperatura dell’aria, dunque pure la pressione atmosferica e quindi, in ultima analisi, la circolazione di venti. Il sistema oceano-atmosfera è retroattivo, i due parametri si influenzano a vicenda, poichè a volte, come conseguenza di venti persistenti su ampie zone dell’oceano (per es. dopo lunghi periodi di alisei sostenuti), le temperature superficiali di queste ultime cambiano verso un’anomalia (per es. diventano molto più fredde) e questo a sua volta può causare anomalie nella distribuzione della pressione atmosferica, come già detto prima. Vari studi hanno già messo in evidenza come SSTA in determinate zone del Nordatlantico possano incentivare o mantenere determinate configurazioni nella distribuzione della pressione atmosferica sull’Europa a distanza di qualche mese: per es. persistenti anomalie positive nella porzione di oceano al largo dell’isola di Terranova tendono a indurre, in autunno, blocchi anticiclonici fra il Nordatlantico orientale e l’Europa occidentale, il contrario, invece porta forti ciclogenesi sul medio Nordatlantico. Un altro esempio recente mette in evidenza come SSTA negative in giugno nel Golfo della Guinea tendano poi a favorire altezze del geopotenziale a 500 hPa ampiamente positive sul comparto euromediterraneo occidentale in agosto. Daniele Longo - 769922304 La meteorologia e la sua terminologia Stau Può accadere che forti venti spingano l’aria ai piedi di una catena montuosa e trovando ostacolo, l’aria salde di quota, questo è un moto forzato e veloce che causa la rapida condensazione dell’umidità per effetto della repentina diminuzione della temperatura. Quindi, nel versante esposto al vento, si avranno precipitazioni di carattere intenso ma non violente (effetto stau). A questo punto l’aria che supera la sommità del monte, è praticamente priva della sua umidità iniziale, si tratta di aria fredda che tende a portarsi verso valle. Perdendo quota tende a riscaldarsi, in pratica si comprime a causa della pressione e aumenta la sua temperatura, questo fenomeno si chiama riscaldamento adiabatico. A valle arriva quindi una massa di aria calda che genere l’effetto foehn: questo è riconoscibile quando si notano della masse nuvolose addossate ai rilievi montuosi ma che non superano il versante. Stratwarming La stratosfera è lo strato atmosferico compreso tra 11 e 50 km circa di altitudine ed è una regione che si trova oltre la quota alla quale avvengono i fenomeni che sono all'origine del tempo atmosferico o in altre parole la troposfera (da 0 a circa 10-12 km), il cui limite superiore è individuabile nella tropopausa. Tuttavia è bene tenere presente che i due livelli non sono per niente scollegati o non comunicanti e che invece interagiscono tra loro in varie circostanze. Nell'emisfero nord la normale circolazione stratosferica invernale (ad esempio a 10 hPa, corrispondenti ad una quota di circa 28-30 km) è contrassegnata da un importante vortice ciclonico freddo posto in corrispondenza delle zone polari e con valori termici dell'ordine di –80 °C. Tale vortice è generalmente ellittico, poiché viene in genere contratto da un vicino anticiclone periferico individuabile nell'anticiclone delle Aleutine (il cui nome deriva dalla zona geografica sopra la quale si viene a dividere). Durante la stagione invernale la temperatura stratosferica alle latitudini polari può subire repentini ed intensi incrementi (anche fino a 70°C d’aumento in pochi giorni) per cause ed effetti di varia natura ed alcuni dei quali ancora in corso di studio. Conseguentemente al verificarsi di questo riscaldamento si origina una frattura dinamica del vortice ciclonico stratosferico a latitudini polari, il quale si scinde in due sistemi depressionari separati ed in mezzo ai quali si insinua un potente anticiclone originato dal riscaldamento. In molti casi (non tutti è bene rilevarlo) l'aumento termico si diffonde verso il basso (troposfera), con tempi di diffusione che variano da 10 a 20 giorni a seconda dell'intensità del riscaldamento ed dal momento della sua massima intensità stratosferica. A questo punto l'incremento termico diffusosi a quote troposferiche genera di per sé l'innesco di anticiclogenesi molto marcata, sempre in corrispondenza di latitudini polari; in pratica la cella anticiclonica stratosferica originata dal riscaldamento si può ritrovare con simili caratteristiche 10-20 giorni dopo a livelli troposferici polari. La presenza di potenti anticicloni polari troposferici induce a spostare verso sud il vortice polare freddo invernale che, inoltre, è alimentato da continue discese di aria artica pilotate dal massimo anticiclonico, approfondendolo a più riprese e dando origine ad intense colate artiche in quota che andranno ad interessare aree geografiche poste a latitudini piuttosto basse rispetto alla norma; in quelle zone si assisterà ad un periodo più o meno prolungato contraddistinto da forti ondate di freddo che normalmente si esplicano in 2-3 affondi molto intensi (Gennaio 1985). Lo stratwarming è quindi un improvviso riscaldamento della stratosfera dovuto ad improvvise irruzioni di aria artica, può coinvolgere la più bassa troposfera. Nella parte alta dell'emisfero ci saranno temperature normali con poche nevicate, mente nella parte bassa il contrario. A nord del vortice formato con lo stratwarming avremo temperature miti e poche Daniele Longo - 769922304 La meteorologia e la sua terminologia precipitazioni a sud invece, al contrario le temperature saranno più basse e le precipitazioni più abbondanti. Daniele Longo - 769922304 La meteorologia e la sua terminologia T Temperatura E’ la grandezza fisica che esprime lo stato termico di un sistema e che descrive la sua attitudine a scambiare calore con l’ambiente o con altri corpi. Quando due sistemi sono posti a contatto termico, il calore fluisce dal sistema a temperatura maggiore a quello con temperatura minore, fino al raggiungimento dell’equilibrio termico, in cui i due sistemi si troveranno alla stessa temperatura. La temperatura degli strati più bassi dell’atmosfera è determinata non dai raggi diretti del sole che li attraversano, ma dal calore rilasciato dal suolo in seguito all’irraggiamento solare. Questo fenomeno spiega perché la temperatura diminuisce all’aumentare della quota passando da un valore medio di riferimento di 15,5° al livello del mare fino ai -55° degli 11.000 m sul livello del mare. Lo zero assoluto è la temperatura più bassa in assoluto al di sotto della quale non è possibile andare, quando si arriva allo zero assoluto la materia si comporta in maniera diversa dal normale. La temperatura, sia per effetti naturali che per cause umani quali l’inquinamento, sta aumentando in media in tutta il globo terrestre, di seguito in grafico illustrativo di ciò. Temporali Il temporale è il più violento dei fenomeni atmosferici, per la formazione di un temporale occorre aria fredda in quota ed aria calda ed umida al suolo, quando ci sono questi due elementi anche in condizioni di alta pressione possono verificarsi temporali, mentre quando questi due elementi non sono presenti, i temporali non si possono verificare. Con la formazione dei temporali, sono molto frequenti i fulmini che sono generati dallo sfregamento delle gocce d'acqua che mosse dai venti si caricano di elettricità; la loro potenza viene misurata in volt. Temporale a cella singola E’ la forma più semplice di temporale e si sviluppa indipendentemente da altri Cb, per cui attraversa gli stadi di sviluppo, maturazione e dissolvimento Daniele Longo - 769922304 La meteorologia e la sua terminologia senza creare altre celle. Si nota ad occhio nudo come un singolo cumulonembo dotato di un'unica e grossa protuberanza. Tuttavia una vera cella singola è alquanto rara, perchè anche con un debole wind shear il gust front spesso innesca la crescita di un'altra cella poco distante mediante il sollevamento dell'aria caldo umida stagnante in loco (mini fronte freddo). E' difficile prevedere l'insorgenza di una cella singola, perchè queste si sviluppano in momenti e luoghi apparentemente casuali; inoltre sono disorganizzate e con scarso wind shear durano mezz'ora circa (a volte anche un'ora, ma sono casi insoliti) perchè downdraft ed updraft interferiscono fra di loro; inoltre l'outflow ben presto isolerà la sorgente caldo umida che manteneva in vita il cumulonembo il quale al termine del suo ciclo vitale mostrerà solo un'incudine sospesa nell'aria (cirri falsi). Sebbene la maggior parte delle celle singole non siano intense, alcune di queste possono originare brevi episodi di forte maltempo specialmente nella fase di collasso: questi temporali si chiamano pulse storm e ovviamente si formano in ambienti più instabili rispetto alle normali celle singole. Le pulse storm (tempeste pulsanti) sono dotate di updraft leggermente più intensi e veloci, quindi esiste il rischio di brevi grandinate, brevi downburst e occasionalmente deboli tornado. A volte, come nella foto sopra, si nota benissimo la pulsazione del temporale mediante la successiva comparsa di alcune incudini su un lato del cumulonembo. Temporale a cella multipla Il movimento di un qualsiasi temporale dipende dal modello di crescita del o dei cumulonembi e dai venti dominanti: le celle temporalesche infatti sono guidate dai venti nella medio - alta troposfera (level-guide intorno ai 6000 m di altezza). Se una cella si forma e poi interrompe la sua crescita, essa verrà trasportata dai venti in quota per poi evaporare: questo è ciò che accade normalmente nelle celle singole e nei temporali più deboli. Invece nei sistemi temporaleschi composti da più celle (multicelle, per l'appunto) il fenomeno della rigenerazione porta alla continua ricreazione di nuove cellule, in modo che il temporale possa mantenere le sue caratteristiche. Questo è il metodo adottato dai temporali intensi per mantenersi a lungo. Le pulsazioni dell'updraft possono essere molto vicine tra di loro e ciò conferisce per più tempo caratteristiche abbastanza uniformi al temporale. Se invece sono lontane tra di loro, il temporale sarà ciclico (cyclic storm) e attraverserà fasi più deboli e fasi più forti. Queste pulsazioni nel sistema possono essere individuate da distante osservando lo spazio tra le sommità dei cumuli o dei cumulonembi e il tasso individuale di crescita delle torri temporalesche. Nel primo caso la sommità del Cb temporalesco sarà abbastanza uniforme e a occhio nudo non si distinguono bene le singole torri temporalesche; nel secondo caso invece vedremo una successione di torri crescenti (per es. nella flanking line e in genere in tutte le multicelle) in quanto ogni torre matura, si espande in alto (incudine) e poi produce i downdrafts i quali costituiscono una sorta di controbarriera che fungerà da "trampolino" per l'ascesa di nuova aria caldo umida (vedi modello). Il cluster di multicelle (grappolo di multicelle) è un gruppo di celle singole che si muove come una singola unità e in cui ogni cella si trova in differenti stadi di sviluppo: esso è certamente più intenso della cella singola ma nel contempo è molto più debole della supercella. E' il più comune tipo di temporale, conosciuto come formazioni di Cb a "grappolo", tipiche delle gocce fredde in quota (in tal caso non sono presenti linee di discontinuità frontale lungo le quali si organizzano i temporali) o ad avvezioni fredde postfrontali: in entrambi i casi i venti in quota non sono mai molto forti, per cui la struttura delle incudini è poco inclinata (asse pressochè verticale) dando la forma rotondeggiante all'immagine satellitare. E' questo il motivo per cui al satellite molti cluster multicellulari vengono confusi con una supercella: un attento esame delle immagini radar chiarirà la tipologia del fenomeno. Nel caso di multicelle di origine frontale si osserverà un profilo satellitare caratterizzato ancora da struttura circolare, ma con bordi più allungati nel senso della direzione del vento in quota che permette alle incudini di distendersi ma esse possono essere confuse con altra nuvolosità generata dal fronte, per cui non saranno facilmente distinguibili, salvo che per un bianco più brillante rispetto agli altri ammassi annessi. Poichè il cluster si muove, ogni cellula prende il suo turno come la cella dominante nel cluster: lo sviluppo di nuove celle può avvenire indifferentemente davanti o dietro al cluster stesso. Ciò dipende da diversi fattori come l'orografia, flusso alle quote superiori molto teso, direzione Daniele Longo - 769922304 La meteorologia e la sua terminologia dell'inflow, presenza di fonti di vapore acqueo come il mare, corsi d'acqua piuttosto estesi (per es. il fiume Po) o le valli di Comacchio. In linea di massima le nuove celle si sviluppano davanti quando il cluster è di origine frontale o prefrontale; dietro o sul lato SW quando il cluster è originato da gocce fredde in quota o di matrice orografica (azione retroattiva). Ipotizziamo un cluster originato da una goccia fredda in quota (il caso più ricorrente) e che si muova verso E: nuove cellule si formeranno sul lato sudoccidentale, ovvero a S, SW o W rispetto al bordo del cluster. Le celle mature si collocano al centro del cluster, mentre quelle più senescenti si dissipano sul lato nordorientale, ovvero a N, NE o E rispetto al bordo del cluster. Il Cb principale (celle centrali del cluster) funge da catalizzatore "succhiando" a sè le nuove celle, per cui le celle periferiche (S, SW o W dello stesso) permangono adiacenti ad esso. Comunque il "risucchio" delle celle più giovani dipende anche dall'intensità del Cb principale rispetto alle altre celle in sviluppo: a volte la differenza a livello potenziale non è molto significativa, per cui più è scarsa la differenza tra individuo principale e le altre celle, meno queste ultime verranno "pilotate" dalla cella madre. Nel caso della flanking line si presuppone che essa sia costituita da cumuli congesti in fase di ulteriore sviluppo, ma non ancora allo stadio di Cb maturi, per cui essa viene facilmente sottoposta al richiamo del Cb principale. Ciò avviene con lo sviluppo delle nubi cumuliformi del tipo cumuli medi e cumuli congesti: col passar dei minuti uno di questi cumuli si ingrosserà più degli altri evolvendo in cumulonembo dal quale inizierà a cadere una colonna di pioggia. Può così partire anche la corrente discendente, ovvero il downdraft con relativo outflow e gust front: esso può isolare l'aria calda destinata alla cella principale (originaria). Ecco che allora l'updraft delle celle circostanti si intensifica perchè esse avranno più aria caldo umida a disposizione, la quale salirà nelle future celle proprio grazie al gust front della cella in fin di vita; questo finchè un'altra cella diverrà dominante, la quale a sua volta ripeterà il ciclo appena visto almeno finchè ci sarà aria caldo umida vicino al suolo. Questo meccanismo della rigenerazione proseguirà per alcune ore con un continuo cambio di struttura nel temporale. Multicella con 4 torri convettive: la cella più vecchia è la 1 (struttura fibrosa alla sommità indice di ghiacciamento ormai avvenuto), quella più giovane è la 4 (protuberanze sommitali ancora nette perchè costituite solo da acqua e non ghiaccio) Foto dell'autore (7 giugno 2005, veneziano). In un temporale multicellulare ogni cella si origina 510 km prima del corpo principale (ovvero davanti o dietro il nucleo centrale) e alla destra dello stesso rispetto alla direzione di spostamento del cluster. Il ritmo di rigenerazione delle nuove cellule è in media di una ogni 15 minuti e siccome la loro vita è di circa 45 minuti, mediamente in ogni temporale multicellulare convivono tre cellule, le quali ovviamente avranno diversi stadi di sviluppo (sviluppo, maturazione, dissolvimento). Questo tipo di evoluzione causa un fatto molto importante: mentre le singole cellule si muovono con la level-guide, il temporale nel suo insieme percorre una traiettoria posta alla destra della stessa level-guide con una velocità di 20-25 km/h ovvero più che doppia rispetto a quella con cui si muovono le singole cellule. La crescita delle celle sulla destra del cluster è la regola, in quanto si verifica con inflow proveniente grosso modo da SE: posto che il cluster muova verso E, le nuove celle si sviluppano verso S-SW (all'incirca). Ne risulta Daniele Longo - 769922304 La meteorologia e la sua terminologia che l'intera struttura (cluster + nuove celle) si muove verso SE e S piuttosto che verso E. Un caso insolito si verifica quando un temporale che si muove verso E ha il suo inflow principale grosso modo sul lato NW. La rigenerazione delle nubi allora avverrà sul lato N del nucleo principale (ovvero sul lato sinistro rispetto alla direzione di avanzamento); questo sviluppo multicellulare avrà l'effetto di cambiare la direzione del sistema verso NE e N piuttosto che verso E. Per cui un osservatore, posto ad E del cluster noterà la cella originaria morente e le cellule più nuove con le precipitazioni svilupparsi verso N; quindi l'osservatore non verrà colpito dalle precipitazioni principali. Si comprende quindi che il tasso di crescita e la direzione dell'inflow alla superficie influenzano angolo e direzione dello sviluppo multicellulare. Questo movimento peculiare delle multicelle ha confuso e ancora confonde molte persone, come i contadini, i quali pensano che il temporale "ha cambiato direzione" oppure "sta tornando indietro". Avrete capito che questa confusione deriva dalle celle più nuove che si sviluppano sul lato posteriore del temporale (nel caso della goccia fredda): se la rigenerazione delle celle sul lato posteriore è rapida, sembra che la multicella si muova nella direzione opposta. In ogni caso la deviazione dalla rotta "standard" avviene sempre sul lato dove c'è lo sviluppo multicellulare e dove c'è l'inflow: il lato dell'inflow è riconoscibile da nubi basse e scure. Sebbene il sistema multicellulare comprenda celle che vivono per un periodo non superiore alle celle singole (circa 45 minuti), il cluster persiste per parecchie ore grazie al fenomeno della rigenerazione: possono quindi verificarsi forti rovesci, specialmente se più celle mature stazionano sulla stessa area, downburst (oltre 130 km/h), grandine moderata con dimensioni pari e non superiori a quelle di palle da golf e a volte deboli tornado: questi ultimi sono più probabili nel settore in cui updraft e downdraft sono molto vicini tra loro. Tendenza barometrica E’ la quantità di variazione della pressione in un determinato arco di tempo. Se sulla cartina dove sono riportate le stazioni meteorologiche, riportiamo l’entità delle variazioni di pressione registrate durante un periodo di 3 ore, otteniamo una cartina delle tendenze barometriche. Le variazioni possono essere positive in caso di una aumento della pressione, negativa dovute ad una diminuzione della pressione e invece nulle se la pressione è rimasta costante. Si può inoltre affermare che il tempo su alcune località stia cambiando, poiché la pressione è in calo, questo vuol dire che un’area di bassa pressione si sta spostando verso le zone che hanno registrato una diminuzione della pressione. La caduta di pressione sarà maggiormente marcata nelle zone interessate direttamente dal passaggio del minimo, se la variazione è nulla, si può dedurre che il minimo passerà a distanza dal punto in cui la stiamo misurando. Tendenze barometriche di grande entità fanno presagire un repentino cambio del tempo con cattive condizioni meteorologiche particolarmente marcate. Se si congiungono, con delle linee, i punti che hanno registrato la stessa variazione di pressione, si ottengono le cosiddette isoallobare. Tornado I tornado sono vortici depressionari di breve durata dove i venti possono raggiungere velocità molto elevate, superiori ai 300400 Km/h e si sviluppano grazie ad una destabilizzazione molto forte dell’aria e si formano quando è presente al suolo aria molto calda e afosa mente in quota l’aria è fredda e secca, si sviluppano da supercelle con estensione molto ampia. Prima del sopraggiungere di un tornado il cielo si fa verdino e in alcuni casi può cadere grandine anche di grosse dimensioni. Questi fenomeni avvengono essenzialmente nelle zone pianeggianti degli Stati Uniti e dell'Australia e si sviluppano sotto le grandi nubi temporalesche (cumulonembi).Un tornado medio ha un diametro di 100200 m, si sposta sulla superficie terrestre ad una velocità di alcune decine di Km/h e dura pochi minuti. Pur avendo una breve durata, sono in grado di distruggere tutto quello che incontrano sul loro percorso a causa delle Daniele Longo - 769922304 La meteorologia e la sua terminologia violente correnti ascensionali e dei venti fortissimi al loro interno. Sono stati segnalati dei tornado "mostri", fortunatamente piuttosto rari, con diametri superiori al miglio (circa 1,6 Km) e con durate uguali o superiori all'ora. La velocità sul suolo oscilla tra i 30 e gli 80 km/h, con punte di 110 Km/h per cui la zona colpita può essere piuttosto ampia anche nel caso in cui il fenomeno duri pochi minuti. La caratteristica più impressionante dei tornado è l'elevata velocità del vento che raramente supera i 400 Km/h, tuttavia qualche esperto ha parlato di punte di 800 Km/h; ma fortunatamente nella maggior parte dei casi la velocità è inferiore ai 180 Km/h. Ovviamente tali velocità sono soltanto stimate, non essendoci strumenti in grado di misurarle direttamente e di resistere all'impatto con tali venti; le stime sono state effettuate dagli esperti in base ad un'attenta osservazione degli effetti prodotti e delle riprese cinematografiche effettuate. Per lo stesso precedente motivo, mancano misure esatte della pressione al centro dei vortici; tuttavia sono state stimate diminuzioni di 200 hPa, ossia il 20% del valore normale della pressione atmosferica (si ricorda che 1 hPa = 100 Pascal e che la pressione normale al livello del mare è 1013 hPa, equivalenti a 760 mm di mercurio. Daniele Longo - 769922304 La meteorologia e la sua terminologia U Umidità E’ la quantità di vapore acqueo presente nell’atmosfera. Umidità assoluta E’ una grandezza data dal rapporto tra la massa di vapore acqueo ed il volume di aria. Si esprime in grammi di vapore su metro cubo di aria [gv/m3]. L’umidità assoluta non viene comunemente utilizzata in meteorologia. Infatti una particella di aria che si sposta verticalmente varia il proprio volume a causa della variazione della pressione atmosferica (si espande se sale, si contrae se scende). Il valore dell’umidità assoluta può quindi variare anche se il contenuto di vapore acqueo rimane costante. Si introducono due grandezze che sono indipendenti dal valore del volume dell’aria ed i cui valori rimangono costanti finchè non si aggiunge o toglie vapore acqueo all’aria (ovvero non avvengono transizioni di fase) Umidità specifica q E’ una grandezza data dal rapporto tra la massa di vapore acqueo e la massa di aria. Si esprime in [gv/kg]. Rapporto di mescolanza (Mixing Ratio) r E’ una grandezza data dal rapporto tra la massa di vapore acqueo e la massa di aria secca. Si esprime in [gv/kg]. Umidità relativa E’ una grandezza che esprime il rapporto tra la massa di vapore contenuta nell’aria e la massa di vapore che l’aria conterrebbe se fosse in condizioni di saturazione. Viene espressa in valore percentuale ed indica quanto ci si discosta dalla condizione di saturazione. Può assumere valori compresi tra 0% (aria completamente priva di vapore acqueo) e 100% (condizioni di saturazione). Il valore dell’umidità relativa non fornisce alcuna indicazione sul contenuto effettivo di vapore acqueo nell’aria. Se la quantità di vapore acqueo rimane costante, un incremento della temperatura provoca una diminuzione dell’umidità relativa. Una diminuzione della temperatura provoca invece un aumento dell’umidità relativa. L’aria calda può contenere più vapore acqueo dell’aria fredda. Daniele Longo - 769922304 La meteorologia e la sua terminologia V Velocità verticali La mappa delle velocità verticali tiene conto dei rilievi per le precipitazioni ed indica le zone in cui esse saranno più intense (colori tendenti al viola ed associati anche al rosso). Dove il colore invece va dal blu associato al viola viene indicato foehn dove le precipitazioni saranno assenti o poco probabili. La mappa va associata alla mappa dell'umidità relativa per localizzare le zone delle precipitazioni Vento Il vento è lo spostamento di una massa d'aria da una zona dove la pressione atmosferica è maggiore ad una dove è minore. Trovandosi ai margini di una depressione il vento spirerà da sud / sud-ovest, se invece ci si trova nella stessa zona con un vento alle spalle che giunge da sud, secondo la legge di Buys Ballot, la depressione si troverà davanti a sinistra rispetto alla nostra posizione. Normalmente la velocità del vento aumenta con la quota. I venti si distinguono in base alla loro provenienza e viceversa conoscendo la loro provenienza si può arrivare a riconoscere il vento che sta spirando. Si definiscono così la Tramontana proveniente dal Nord, il Grecale da Nord-est, il Levante da Est, lo Scirocco da Sud-est, il Mezzogiorno che spira da Sud, il Libeccio da Sud-ovest, il Ponente da Ovest, infine il Maestrale da Nord-ovest. La forza di coriolis è una di quella forze presenti nel nostro pianeta, a causa della rotazione della Terra, essa è tanto maggiore, maggiore è la velocità dei corpi, la forza di coriolis inoltre è nulla all’equatore e massima ai poli. L’intensità del vento è data dalla grandezza della variazione di pressione rispetto ad una certa distanza. Le isobare molto fitte corrispondono ai fianchi molto ripidi di una montagna, per cui la forza che induce il vento a muoversi sarà molto intensa. La variazione di pressione in uno spazio definito prende il nome di gradiente barico: più le isobare sono vicine, più alto sarà il gradiente barico e più intensa sarà la velocità del vento. Generalmente le isobare si presentano più ravvicinate presso le basse pressioni, mentre nelle zone di alta sono più distanti l’una dall’altra, a dimostrazione che quando ci si trova in regime di alte pressioni, i venti sono deboli e talvolta assenti. La variazione di Hpa fino a 300 metri è stimata nella diminuzione di 1 Hpa ogni 10 metri. Il vento raggiunge in genere la minima intensità all'alba, quando il rafforzamento delle inversioni termiche da irraggiamento notturno ostacola sia le brezze che il rimescolamento con gli strati superiori. Un improvviso mutamento della direzione del vento indica un cambiamento delle condizioni meteorologiche. Se le nuvole alle varie quote si muovono in direzioni opposte questo indica venti diversi a differente altitudini ed è un indizio di peggioramento della situazione. Un’improvvisa variazione delle velocità o della direzione del vento viene definita “wind – shear”. Simbolo Velocità km/h Calma 1–5 6-13 14-22 23-31 32-40 Nome Calma Bava di vento Brezza leggera Vento moderato Vento teso Vento fresco Daniele Longo - 769922304 86-94 192-198 Tempesta Uragano La meteorologia e la sua terminologia Ecco una immagine indicante tutti i venti che soffiano nel mediterraneo Il Maestrale E’ un flusso d'aria fredda da NW, di origine atlantica che, incanalandosi tra i Pirenei, il Massiccio Centrale e le Alpi sfocia, aprendosi a ventaglio, sul Golfo del Leone. Le condizioni classiche che lo generano sono la presenza di una zona di alta pressione a SW della Francia; una depressione che interessa il Mediterraneo Centro Occidentale, la cui posizione condiziona la zona di mare interessata dal Maestrale. Il Maestrale soffia infatti a occidente della depressione, tanto più forte, quanto più importanti sono le differenze dei valori di pressione tra la zona anticiclonica, di cui sopra, e la depressione sulle regioni tirreniche. Ciò che rende temibile questo vento, oltre alla forza con la quale può soffiare, e' la rapidità con cui spesso irrompe al passaggio del fronte freddo. Le zone dove il Maestrale in genere è più violento sono la foce del Rodano, Capo Corso e le Bocche di Bonifacio; poiché il vento risulta incanalato ed accelerato dai rilievi. Ciò che lo distingue in particolare dagli altri venti occidentali è il suo carattere di aria fredda. Il Maestrale o Mistral può essere suddiviso in quattro tipi a seconda delle caratteristiche e delle condizioni scatenanti. Il Mistral generalizzato E’ un flusso da NW che interessa tutta l'Europa Occidentale e il Mediterraneo ed é più frequente in inverno e primavera. In questo caso si può osservare una vastissima zona depressionaria sull'Europa Centrale e un promontorio di alta pressione che dalle Azzorre si estende sino alla Spagna. Nelle zone solitamente più esposte al Mistral si possono verificare in queste condizioni burrasche forti e persistenti. Daniele Longo - 769922304 La meteorologia e la sua terminologia Il Mistral bianco E’ quello più caratteristico e conosciuto in quanto soffia in particolare durante la bella stagione. Il cielo e' terso, l'aria secca e trasparente, é il caso di un fronte freddo che penetra nel Mediterraneo, con un flusso di aria fredda sul Golfo del Leone e la classica formazione di una depressione sul Tirreno Settentrionale. Il Mistral nero Il cielo coperto da nubi basse, i frequenti rovesci e temporali sono tipici di un flusso d'aria fredda di origine polare marittima da NW. E’ caratterizzato dal passaggio di successivi fronti freddi che si spostano dalla Francia da NW verso SE. Al passaggio di ogni fronte il tempo sembrerebbe migliorare, ma fino a che non si osserva un importante e graduale rialzo del valore di pressione sulle zone tirreniche, il flusso del vento da Maestrale non si attenua. Il Mistral locale Soffia moderatamente sulla parte Nord del Golfo del Leone quando il tempo non e' perturbato e le differenze di pressione tra le zone tirreniche e le regioni dell'Europa più a occidente sono deboli. Le depressioni sottovento alle catene montuose sono tra le condizioni associate all'instaurarsi del forte vento da Maestrale per il quale vi è la formazione di una depressione sul Tirreno determinata dallo sbarramento opposto al vento dalle Alpi. In genere un regime di vento da Maestrale determina, sulla parte Nord Occidentale del Mediterraneo, due vere e proprie regioni meteorologiche (idealmente separate dalla zona di Tolone, all'incirca in corrispondenza del 6° di Longitudine Est). Ad W di Tolone la pressione aumenta, la temperatura scende di qualche grado e l'umidità diminuisce; ad Est di Tolone la pressione cala, il cielo si vela di cirrostrati e l'umidità sale. La circolazione ciclonica dei venti nella zona depressionaria fa si che spesso si osservino venti dal II quadrante sulla parte orientale del Mar Ligure e venti dal I quadrante sulla zona occidentale. La Tramontana La Tramontana è un vento freddo settentrionale. Sul Mar Ligure spira in prevalenza durante il periodo invernale e può soffiare con violenza soprattutto allo sbocco delle valli. Può presentarsi a cielo sereno, in regime anticiclonico (Tramontana chiara) o con cielo nuvoloso e precipitazioni quando e' associata ad un sistema perturbato (Tramontana scura). Può irrompere con rapidità, annunciata dal repentino calo della temperatura o da un improvviso interrompersi della brezza di mare. La Tramontana forte può seguire ad un forte maestrale sul Tirreno, od essere associata ad un flusso da Bora (NNE) sull'Adriatico specie in inverno. La Bora E’ tra i venti più violenti del Mediterraneo. Si usa differenziare la Bora scura, associata a rovesci, grandine, neve e ad una riduzione della visibilità, dalla Bora chiara caratterizzata dai locali cumuli sui rilievi e cielo sereno sul mare. Esempio di configurazione barica che determina venti dal I quadrante sull’ Adriatico Settentrionale e Tirreno Centro-Settentrionale. Un passo da Bora può essere dovuto ad un esteso anticiclone sull’ Europa Centro Orientale. Il Grecale Quando soffia sullo Ionio in genere e' causato da un'alta pressione sulla Penisola Balcanica e da una bassa pressione sul Mar Libico Sul Tirreno può avere un carattere più locale ed essere generato da una zona di alta sull'Europa Centrale ed un minimo. anche relativo, su Spagna o Baleari. Un buon Daniele Longo - 769922304 La meteorologia e la sua terminologia segno premonitore sulle coste occidentali della nostra Penisola, dell'imminente vento da NE e' l'importante diminuzione del valore di umidità relativa. Lo Scirocco Lo Scirocco c un vento caldo e umido, da SE. associato a nuvolosità e piogge. é comunque generato da un sistema depressionario sul Mediterranco rispetto al quale spira sulla parte orientale. é più frequente in primavera e autunno. E’ legato ad una diminuzione della visibilità, a un forte aumento dell'umidità (80-90' ) e a un aumento della temperatura mentre, la pressione diminuisce. Spesso la pioggia dello Scirocco e' carica di sabbia trasportata per centinaia di chilometri dalle zone aride dell'Africa. A seconda delle zone interessate dalla depressione, lo Scirocco infatti soffia sui mari a Est o ad Ovest della nostra Penisola, convogliando aria calda e umida proveniente dalle coste africane. Anche in questo caso, lo Scirocco e' annunciato dall'aumento del moto ondoso e dalla risacca che si crea in numerosi porti; si potrà inoltre osservare che le nubi basse, cariche di umidità, viaggiano veloci da SE verso NW. Il Libeccio E’ un vento da SW provocato, in genere, dall'entrata di una perturbazione atlantica nel bacino Mediterraneo. Può soffiare durante tutto il corso dell'anno, anche se statisticamente è più frequente in autunno ed inverno. Sul Tirreno Settentrionale e sul Mar Ligure, il Libeccio e' quasi sempre preceduto da venti sciroccali, il consueto crollo del valore della pressione e il conseguente peggioramento del tempo. Con il Libeccio in genere, le piogge si attenuano. Levante Il levante è un vento caldo da est / nord-est, che spira dal Canale di Alboran e viene incanalato verso lo stresso di Gibilterra. Le regioni interessate sono quindi la costa sudorientale spagnola, Gibilterra e il Golfo di Cadice. In genere tranquillo vento umido di brezza sulla costa sudorientale spagnola e le Baleari, il levante va ad interessare come vento talvolta fino a burrasca anche la prate orientale del Golfo di Cadice. Dal punto di vista sinottico, il levante può originarsi in tre modi diversi: 1. alta pressione sull’Europa occidentale e bassa pressione a SW di Gibilterra in Atlantico e a sud di Gibilterra sul Marocco 2. cellula di alta pressione sulle Baleari 3. fronte freddo in avvicinamento da ovest verso lo stretto di Gibilterra Può avere luogo in ogni momento dell’anno, ma è più frequente da luglio ad ottobre e in marzo. Ponente Il Ponente soffia specialmente d'inverno dall'Atlantico. E’ un vento che spira da Ovest. Vento estivo, fresco e pomeridiano, la sua influenza è sentita sul Tirreno e sull’Adriatico centromeridionale. Mezzogiorno E’ un vento umido e caldo che spira da Sud portare di piogge. I suoi effetti sul clima italiano sono piuttosto deboli e poco sensibili. Il Mezzogiorno (ostro) è a volte identificato col Libeccio e con lo Scirocco ai quali è simili in termini di effetti. Daniele Longo - 769922304 La meteorologia e la sua terminologia Visibilità La visibilità concessa dal tempo meteorologico, misurabile in metri o km viene espressa appunto in base a quanti metri di distanza in profondità, si riesce a guardare. Il grado di visibilità viene suddiviso in 5 sotto-categorie: visibilità ottima visibilità buona visibilità scarsa visibilità cattiva visibilità pessima : : : : : maggiore di 2000 mt. tra 1800 mt. e 1200 mt. tra 1800 mt. e 400 mt. tra 400 mt. e 100 mt. inferiore a 100 mt. Gradi d’intensità Definizione Da mt. A mt. I foschia 330 1200 II nebbia rada 150 330 III nebbia moderata 50 150 IV nebbia fitta 20 50 V nebbia fittissima 10 20 VI muro di nebbia 0 10 Vorticità La vorticità può essere intuitivamente vista come la rotazione, lo spin di un fluido. Per convenzione è positiva la vorticità di un fluido che ruota in senso antiorario (ciclonico), negativa se la rotazione avviene in senso orario (anticiclonico). La vorticità viene quindi individuata da isoipse curve e in tal caso è tanto maggiore quanto più è accentuata la curvatura. Inoltre si genera vorticità anche a causa di shear di vento, ovvero quando l'intensità del vento varia nella direzione perpendicolare al vento stesso (vedi figure). La somma di questi due contributi si chiama vorticità relativa. Un ultimo contributo alla vorticità è legato alla rotazione terrestre. Questo contributo, noto come vorticità planetaria, è massimo ai poli e nullo all'equatore. Una massa d'aria che si muove verso il polo nord aumenta la sua vorticità planetaria. Vorticità relativa e planetaria si sommano per dare la vorticità assoluta. Nel caso di un ciclone, la vorticità è generata sia dal flusso che ruota in senso antiorario, sia dal fatto che il vento aumenta di intensità allontanandosi dal centro, quindi generando uno shear che produce vorticità positiva. Il contrario avviene negli anticicloni. Vorticità, convergenza, divergenza e moti verticali fanno parte dello stesso meccanismo dinamico alla base dei moti in atmosfera. Infatti quando si ha convergenza al suolo (ad esempio dovuta alla divergenza in quota come visto prima o al riscaldamento dell'aria vicino al suolo che produce un calo di pressione) a causa della forza di Coriolis il flusso viene deviato verso destra. Ne consegue che laddove ci sia convergenza il moto venga ad avere una rotazione antioraria, ovvero vorticità ciclonica (positiva). A questa circolazione è associato poi un moto verticale ascendente. Ecco spiegato quindi, in modo semplice, la dinamica di un ciclone. Al contrario, nel caso di divergenza al suolo, la forza di Coriolis produrrà vorticità anticiclonica (negativa), si avranno moti verticali discendenti e convergenza nell'alta atmosfera. Daniele Longo - 769922304 La meteorologia e la sua terminologia W Wejkoff Il ponte di Wejkoff è un ponte Anticiclonico che si forma, non molto spesso purtroppo, tra Oceano Atlantico e tra le steppe Russe/Siberiane. Come detto, intorno ai centri di alta pressione, le correnti ruotano (nell'emisfero Nord) in senso orario, e quindi quando avviene la fusione tra Anticiclone Azzoriano ed Anticiclone Russo/Siberiano, si viene a formare un lunghissimo ponte Anticiclonico che permette l'arrivo di masse d'aria molto fredde sull'Europa e sul Mediterraneo, direttamente dalla Siberia. E’ la configurazione che ha causato le irruzioni storiche che tutti ricordiamo, come, ad esempio (le più recenti) nel 1991 e nel 1996. Westerlies La circolazione generale dell’atmosfera è caratterizzata dalla presenza di tre celle convettive (per ciascun emisfero) che si generano a causa della differenza di temperatura tra polo ed equatore e per effetto della deviazione delle correnti indotta dalla forza di Coriolis. Senza l’azione della forza di Coriolis (che insorge per effetto della rotazione terrestre intorno al proprio asse), lo scambio termico avverrebbe lungo la direzione dei meridiani, dalle zone equatoriali alle zone polari, ristabilendo in tal modo l’equilibrio termico planetario. La presenza della forza di Coriolis, provoca invece la deviazione verso destra (nell’emisfero boreale, a cui faremo riferimento) delle correnti; tale deviazione diventa sempre più importante all’aumentare della latitudine, assumendo valore nullo all’equatore e massimo ai poli. Le correnti vengono quindi deviate progressivamente dal loro percorso N-S (dall’equatore verso il polo) e già intorno ai 30°di latitudine assumono definitivamente direzione O-E. Le correnti in quota hanno quindi direzione occidentale (correnti occidentali o westerly); tale direzione però impedisce gli scambi termici tra i poli e l’equatore provocando un progressivo riscaldamento all’equatore ed un progressivo raffreddamento ai poli. In tale situazione, intorno ai 30° e 60° di latitudine, si vengono a creare forti variazioni di temperatura, responsabili dell’insorgere di forti gradienti orizzontali di pressione e formazione di venti molto intensi noti come correnti a getto (o jet streams). Intorno ai 30° di latitudine si forma la corrente a getto sub-tropicale, mentre intorno ai 60° di latitudine quella polare. Le correnti a getto scorrono all’interno delle correnti occidentali; la più importante e persistente è quella polare, caratterizzata da velocità mediamente comprese tra i 150-250 km/h, larghezza 150Daniele Longo - 769922304 La meteorologia e la sua terminologia 500 km, lunghezza 3-8 km, spessore 3,5 km. Le massime velocità si raggiungono nel cuore della corrente (detto asse o core), situato mediamente intorno ai 10 km di quota (in prossimità della tropopausa). La direzione e l’intensità delle correnti a getto viene generalmente indicata sulle carte a 300 hPa (circa 9.000 m di quota). Su queste carte la velocità delle correnti è evidenziata mediante le isotache (linee che uniscono i punti con uguale velocità del vento); isotache con valori maggiori di 60-70 nodi indicano la presenza della corrente a getto. Il progressivo incremento della differenza di temperatura lungo i paralleli, provoca l’aumento del gradiente di pressione e quindi della velocità delle correnti occidentali; in tal modo si assiste alla formazione delle correnti a getto. A causa di forzati ed improvvisi rallentamenti, la corrente a getto modifica bruscamente la sua traiettoria cominciando ad oscillare lungo i meridiani. I rallentamenti della corrente sono principalmente legati alla presenza di ostacoli orografici o all’alternanza tra oceano e continente, in grado di modificare il gradiente orizzontale di pressione. Le ondulazioni che si generano (onde di Rossby) tendono ad amplificarsi fino ad estendersi verso le zone equatoriali e polari ed hanno lunghezza d’onda dell’ordine di 4.000-10.000 km Le onde tendono ad allungarsi progressivamente lungo i meridiani, formando nelle parti terminali, dei vortici che possono essere di due tipi: 1. vortici pieni di aria calda a circolazione anticiclonica in corrispondenza delle alte latitudini: (anticicloni di blocco); 2. vortici pieni di aria fredda (gocce fredde) in corrispondenza delle basse latitudini: In questo modo la natura ristabilisce l’equilibrio termico a livello planetario. Il flusso delle correnti occidentali viene generalmente indicato come flusso zonale e la sua intensità è caratterizzata dalla differenza di pressione orizzontale esistente tra i 35° e 55° di latitudine. Tale differenza viene definita indice zonale. Più l’indice zonale è alto, maggiore sarà la velocità delle correnti occidentali e conseguentemente la possibilità della formazione di ondulazioni. Viceversa, bassi valori dell’indice zonale bassi indicano che le correnti occidentali sono molto deboli. In seguito alla formazione delle ondulazioni, le correnti rallentano bruscamente portando alla scomparsa delle correnti a getto. Se le correnti occidentali rimangono deboli, si possono creare situazioni di blocco con permanenza delle ondulazioni per diverso tempo. Le onde hanno una durata media di circa 2-3 settimane e la loro propagazione può essere espressa dalla seguente relazione: C = U – 0,4 L2 Daniele Longo - 769922304 La meteorologia e la sua terminologia U indica la componente media della velocità della corrente lungo la direzione occidentale, espressa in m/s L e la lunghezza d’onda, espressa in migliaia di km La stazionarietà dell’anticiclone di blocco genera una situazione di blocking; ad esempio il blocking dell’anticiclone delle Azzorre provoca la deviazione delle perturbazioni atlantiche verso le alte latitudini, favorendo condizioni di bel tempo sull’Italia per lunghi periodi di tempo. Viceversa la stazionarietà di una goccia fredda nei pressi della nostra penisola, può anche provocare forti condizioni di maltempo. Wind shear Lo wind shear è la variazione di velocità ed intensità del vento con la quota: è una particolare circolazione atmosferica, favorita da infiltrazioni fresche in quota, che dà l’impressione di vedere le nubi convergere da direzioni diverse. Se il vento salendo di quota proviene da direzioni che ruotano gradualmente in senso orario esempio SE al suolo, SW a 1500 metri e W a 5000 metri avremo una rotazione all’interno della cella temporalesca in senso antiorario in grado di “stimolare” la salita dell’aria; oppure si piò dire che il vento in quota deve provenire dalla sinistra rispetto alla direzione del vento che si trova nello strato inferiore: è lo wind shear positivo. Se invece il profilo verticale del vento è contrario a quello sopra (vento in quota che proviene dalla destra rispetto a quello negli strati inferiori) avremo wind shear negativo che scoraggia i moti verticali a meno che non ci sia un gradiente termico verticale notevole. Se lo wind shear positivo è un minimo, ovvero se ci sono piccoli cambiamenti nella direzione e velocità del vento su una breve distanza verticale, saranno favoriti i sistemi multi cellulari e in genere tutti i comuni temporali ad asse verticale: è il caso di un debole inflow alla base e quindi di un outflow eccessivamente intenso che spingerà il gust front per parecchi km avanti raffreddata su una zona molto estesa intorno al temporale: l’updraft non durerà a lungo anche perché le precipitazioni cadranno attraverso lo stesso updraft. In parole povere, updraft e downdraft sono molto vicini tra di loro e quindi si “disturbano” a vicenda. Se invece lo wind shear è maggiore il temporale avrà updraft decisamente più longevi e il Cb salrà sempre più di quota: è il caso di forti inflow alla base della nube i quali “manterranno” il gust front vicino al nucleo temporale, quindi il Cb disporrà della sorgente di aria caldo-umida per più tempo e l’updraft non sarà invaso dalle precipitazioni, in quanto esse cadranno dalla sommità dell’updraft stesso e non attraverso esso. In questa situazione sono di gran lunga favorite le supercelle e in generale tutti i temporali ad asse obliquo in cui l’asse dell’updraft è per l’appunto obliquo. Le celle temporalesche presentano asse obliquo quanto le correnti in quota ( tra 6 e 10 km circa) sono molto intense, per esempio in una corrente a getto: la parte superiore delle celle (incudini) Daniele Longo - 769922304 La meteorologia e la sua terminologia viene così portata a notevole distanza rispetto alla base, assumendo struttura molto inclinata; se in quota i venti sono molto forti è intuitivo che a quell’altezza sfugge molto più aria rispetto al flusso presente nei bassi strati e la corrente ascensionale spesso non è in grado di colmare il deficit di flusso che si viene a creare: a questo punto l’unico sistema possibile per ricreare l’equilibrio è un’intensificazione del richiamo di aria dal basso che si traduce in una corrente ascensionale più forte. Si originano così forti temporali; inoltre quando i downdraft arrivano al suolo essi conserveranno una certa quantità di moto che avevano quando l’aria che li costituisce era ad alta quota: si possono così originare raffiche violentissime ben oltre i 100 km/h a causa della forza di gravità sommata alla quantità di moto con danni notevoli e alle quali spesso viene erroneamente attribuita la definizione di tornado o tromba d’aria. I temporali ad asse obliquo si possono vedere anche a occhio nudo con un po’ di fortuna se non ci sono nubi basse in ostacolo e si presentano con le incudini visibili molto prima che sopracciunga il corpo centrale della cella ( da non confondere col temporale in dissolvimento). Al satellite assumono una forma più lineare che tondeggiante ( a differenza dei comuni temporali ad asse verticale) dovuta alla notevole distensione dell’incudine operata dai forti venti in quota. Daniele Longo - 769922304 La meteorologia e la sua terminologia Z Zero termico Il livello dello zero termico (FZL, freezing level) individua l'altitudine al di sotto della quale la temperatura dell'aria passa da valori negativi a valori positivi. In meteorologia aeronautica il FZL assume una notevole importanza per diverse ragioni: Individuazione della quota al di sopra della quale inizia il rischio di ghiacciamento Analisi della possibilità che le nevicate giungano al suolo Riconoscimento delle condizioni favorevoli alla pioggia congelata Zero assoluto Lo zero assoluto è la temperatura più basse che teoricamente si possa ottenere in qualsiasi sistema macroscopico, e corrisponde a 0 K (-273.15 °C; -459,67 °F). Si può mostrare con le leggi della termodinamica che la temperatura non può mai essere esattamente pari allo zero assoluto, anche se è possibile raggiungere temperature arbitrariamente vicino ad esso. Allo zero assoluto le molecole e gli atomi di un sistema ha il minor quantitativo possibile di energia cinetica permesso dalle leggi della fisica. Questa energia minima corrisponde all’energia di punto zero, prevista dalla meccanica quantistica per tutti i sistemi che abbiano un potenziale confinante. Daniele Longo - 769922304 La meteorologia e la sua terminologia APPENDICE 01 Le nubi temporalesche 21 02 L’interpretazione dei Modeli 11 03 Il Clima (mondiale - europeo - italiano - varesino) 11 04 - 05 - 06 - 07 - 08 - 09 - 10 - 11 - 12 - 13 - 14 - 15 - 16 - 17 - 18 - 19 - 20 - 21 - 22 - 23 - Totale pagine – 43 Totale argomenti - 03 Daniele Longo - 769922304 La meteorologia e la sua terminologia Le nubi temporalesche 1. Le correnti convettive Le nubi temporalesche hanno la peculiarità di svilupparsi in senso verticale grazie alle correnti convettive, ovvero mediante flussi d’aria ascendenti e discendenti a differente temperatura e umidità. Ciò è possibile grazie al sole che riscalda il terreno e gli strati d’aria subito sopra lo stesso. Il suolo infatti non è omogeneo in quanto esistono zone che assorbono in misura diversa la radiazione solare: parcheggi, strade, campi arati si riscaldano più facilmente rispetto a distese innevate, al mare o ai boschi. In tal modo si creeranno delle bolle di aria più calda negli strati prossimi alla superficie terrestre: sono le cosiddette “termiche” o “celle convettive” che, essendo più leggere dell’aria circostante, saliranno verso l’alto, si espanderanno grazie alla minor pressione rispetto a quella del suolo e subiranno un raffreddamento che ad una certa quota porterà alla condensazione del vapore acqueo contenuto nella massa in ascesa. Processi di condensazione in un fractocumulo Il processo della condensazione comporta la liberazione di “calore latente” che andrà in parte a riequilibrare la perdita di calore dovuta all’espansione, quindi da quel momento l’aria in ascesa si raffredderà in misura minore. E’ a questo punto che interviene il fattore “instabilità” poiché l’aria che sale nella nube sarà ulteriormente più calda di quella circostante e subirà un’ulteriore spinta ascensionale; maggiore umidità nell’aria significa maggior energia a disposizione per i temporali in quanto a parità di tempo condenserà una maggior quantità di vapore. Il livello di condensazione è chiaramente indicato dalla base piatta dei Cumulonembi (abbreviato in Cb) o dei Cumuli (abbreviato in Cu) che sono le nubi a sviluppo verticale per eccellenza: maggiore è il contenuto in umidità dell’aria, minore sarà la quota di condensazione poiché sarà necessario un minor raffreddamento della stessa per portarla alla saturazione ovvero al punto in cui essa non è più in grado di ospitare altro vapor acqueo il quale quindi comincerà a condensare rendendo visibile la nube. La base piatta di un cumulo imponente Daniele Longo - 769922304 La meteorologia e la sua terminologia La nube allo stadio iniziale di sviluppo avrà ancora un aspetto innocuo di un cumulo largo alcuni chilometri; tuttavia, l’accelerazione delle correnti verticali dovuta alla condensazione origina un risucchio d’aria dall’ambiente, sia dai lati della nube sia da sotto la stessa base nuvolosa: questa corrente caldo-umida che alimenta dal basso la nube si chiama inflow ed è quella che poi diverrà la corrente ascensionale all’interno della nube, denominata updraft. Splendido updraft Ad un certo punto l’updraft, una volta giunto a grandi quote (10-12 km), a causa del calore liberato nella fase di condensazione, si raffredda notevolmente diventando così più pesante dell’aria circostante e precipita. Dall’incudine nascono così le correnti discendenti interne alla nube, denominate downdraft, in cui parte delle goccioline sopraffuse (cioè allo stato liquido pur in ambiente sottozero) evaporano in quanto scendendo trovano strati d’aria sempre più caldi e a maggior pressione atmosferica. Evidente downdraft con la banda di pioggia e grandine Daniele Longo - 769922304 La meteorologia e la sua terminologia Il fenomeno dell’evaporazione porta al raffreddamento della massa d’aria in cui si trovano queste goccioline: ecco quindi che l’aria fredda della corrente discendente si raffredda ancor di più, dato che essa fornisce il “calore latente di evaporazione” necessario perché avvenga il passaggio di stato, e accelera così il suo moto di discesa raggiungendo le massime velocità proprio in prossimità del suolo, dove le correnti fredde si aprono a ventaglio propagandosi orizzontalmente in maniera turbinosa: questa è la corrente chiamata outflow che costituisce il “gust front” di un temporale, meglio conosciuto come “linea dei groppo” o “fronte delle raffiche”. Gust front Questo mini fronte freddo solleva bruscamente l’aria calda che sta davanti alla stessa cella temporalesca prolungandone generalmente la durata: può accadere che l’aria calda preesistente al suolo sollevata dal gust front incontri nella fase di ascesa dell’altra aria fredda in quota (es. goccia fredda). La contemporanea presenza di aria fredda al suolo, che svolge azione di spinta, e di aria fredda in quota, che svolge azione di risucchio, può dare il via a fenomeni temporaleschi di rilevante intensità. Daniele Longo - 769922304 La meteorologia e la sua terminologia 2. Strutture temporalesche a) Cella singola: è la forma più semplice di temporale e attraversa gli stadi di sviluppo, maturazione e dissolvimento senza creare altre celle; si nota ad occhio nudo come un singolo cumulonembo dotato di un'unica e grossa protuberanza prima che questo formi l’incudine. E' difficile prevederne l'insorgenza, perchè queste si sviluppano in momenti e luoghi apparentemente casuali e in maniera disorganizzata: essendo temporali ad asse verticale, updraft e downdraft interferiscono fra di loro quindi raramente superano la mezz’ora di vita. Cella singola in evoluzione a multicella 1. incudine vecchia 2. incudine più giovane b) Cluster di multicelle: il temporale attraverserà fasi più deboli e fasi più intense date dalla rigenerazione delle singole celle che, nel loro insieme, costituiscono il temporale a multicella (cluster). Dal vivo vedremo una successione di torri crescenti in quanto ogni torre matura si eleva verso l’alto formando l’incudine e produrrà il downdraft e conseguente outflow che innescherà lo sviluppo di una nuova cella poco distante e così via. Lo sviluppo di nuove celle può avvenire indifferentemente davanti o dietro al cluster stesso: in genere le nuove celle si sviluppano davanti quando il cluster è di origine frontale o prefrontale; dietro o sul lato SW quando il cluster è originato da aria fredda in quota o è di matrice orografica. E' il più comune tipo di temporale ed è individuabile dal satellite per la forma tondeggiante o a grappolo. Daniele Longo - 769922304 La meteorologia e la sua terminologia c) Linea di multicelle: è conosciuta anche come squall line o linea di groppo e rappresenta il "salto sinottico" di vento al passaggio di un fronte freddo in cui le correnti umide meridionali prefrontali vengono sostituite da aria fredda postfrontale dal quadrante nordoccidentale. L'allineamento dei Cb è favorito dal fronte freddo avanzante e questi ne seguono fedelmente l'orientamento specialmente se il cuneo freddo è ben definito e giovane. Nelle ore di luce la linea di groppo appare come un muro di Cb avanzanti che ricordano un lungo sistema di temporali multicellulari. Lo sviluppo delle celle avviene nell'estremità S della linea, il dissolvimento nell'estremità N e in mezzo a queste due estremità c'è un'enorme incudine che si estende davanti ai corpi verticali dei cumulonembi. d) Supercella: si tratta di un sistema di correnti ascendente e discendente su vasta scala in cui la prima è dotata di moto rotatorio (updraft rotante) e conosciuta col termine di mesociclone che è un ciclone in miniatura con diametro di alcune decine di km. La supercella, per certi versi, può essere considerata come un’enorme cella singola provvista al suo interno di una corrente ascensionale rotante in senso antiorario (nel nostro emisfero). E’ il tipico temporale foriero di tornado e la sua formazione presuppone un forte gradiente termo-igrometrico verticale (aria caldo-umida al suolo, aria fredda e secca in quota), forti venti in quota e uno spiccato wind shear verticale positivo. La supercella può essere provvista di una "flanking line", cioè una linea di cumuli medi e cumuli congesti (prodotti dall'outflow della supercella) che si estende verso l'esterno dal settore SW della supercella stessa. Supercella vista al satellite: si noti l’overshooting top e la flanking line Oltre al mesociclone, le supercelle differiscono dalle normali celle per via delle correnti discendenti che, invece di divergere all'esterno del temporale come outflow, vengono in parte richiamate all'interno del Cb ad opera del mesociclone portando così alla formazione della "wall cloud". Inoltre, la forte convergenza presente sia davanti sia dietro alla supercella ne rallenta di molto il movimento traslatorio: i temporali a supercella possono rimanere bloccati per ore in zone geografiche precise prima di spostarsi o attenuarsi. e) Sistemi convettivi a mesoscala (MCS-MCC): differiscono dalle supercelle per il fatto che nascono sempre dall'unione di diversi elementi temporaleschi, mentre la supercella è intesa come unico individuo; dopodiché le differenze riguardano la fenomenologia, che sarà sempre più importante nelle supercelle, benché MCS-MCC possano causare danni e rischi alluvionali. MCS (Mesoscale Convective System): è un sistema temporalesco di dimensioni spaziali alquanto limitate e costituito da diverse celle ravvicinate tra loro in diversi stadi evolutivi; generalmente persiste per diverse ore e può percorrere molti km alquanto attivo supportato dal continuo ricambio tra celle in dissoluzione e celle giovani in formazione grazie al noto fenomeno della rigenerazione. Un MCS può essere lineare oppure circolare: in quest’ultimo caso si tratterà di un cluster generato da semplici avvezioni di aria fredda in quota senza un transito frontale vero e proprio. In sostanza Daniele Longo - 769922304 La meteorologia e la sua terminologia si tratta di linee o cluster temporaleschi piuttosto intensi e duraturi; in Pianura Padana sono sistemi abbastanza frequenti ogni qualvolta vi sia un ingresso frontale ben definito. MCC (Mesoscale Convective Complex): si può definire come un sistema di diversi MCS ravvicinati tra loro e alquanto vigorosi oppure un grande MCS. Gli MCC, visti al satellite, sono generalmente di forma tondeggiante od ovale e ricoprono aree geografiche piuttosto vaste (indicativamente da 50 km fino ad alcune centinaia di km). Possono durare molte ore e scaricare enormi quantità di pioggia con rischio di eventi alluvionali, essendo sistemi ad elevato potenziale (più frequenti negli Stati Uniti). Volendo semplificare si pongono a metà strada tra gli MCS e le supercelle, ma come potenziale sono molto più vicini alle seconde che non ai primi. Daniele Longo - 769922304 La meteorologia e la sua terminologia 3. Le nubi cumuliformi Le nubi cumuliformi vengono usualmente distinte in 2 generi (Cumulus -Cu- e Cumulonimbus -Cb) e in 6 specie. Il genere Cumulonimbus identifica le nubi temporalesche. a) Cumulus fractus: conosciuti come fractocumuli o fractus; sono brandelli di nubi basse e sfilacciate in continua evoluzione sotto la base del temporale e sono originati dall’aria caldo umida dell’inflow che va a contrastare con le correnti discendenti più fredde e secche del downdraft. Denotano quindi l’attività convettiva in corso all’interno della cella temporalesca: si tratterà di temporali relativamente giovani che possono essere di una certa intensità. Fractus alla base di un temporale I fractus tendono ad allontanarsi dall’area delle precipitazioni perché trasportati verso l’esterno dalle correnti di outflow; se invece salgono verso l’alto indicano l’imminente formazione di un nuovo updraft, se ruotano potrebbero tradire la presenza di un mesociclone. b) Cumulus humilis: comunemente detti "cumuli di bel tempo" con dimensioni ridotte. I cumuli di bel tempo si presentano come piccoli banchi bianchi, sparsi e con contorni ben netti. Si osservano con tempo bello e tipicamente si formano nella mattinata, raggiungono il loro massimo sviluppo nelle ore pomeridiane e svaniscono in serata. Se invece permangono anche di sera e di notte possono indicare l'instaurarsi di condizioni ideali per lo sviluppo di temporali. Cumuli di bel tempo Daniele Longo - 769922304 La meteorologia e la sua terminologia c) Cumulus mediocris: ovvero cumuli medi, di estensione moderata e senza protuberanze sviluppate. Possono avere una base scura ma non originano precipitazioni di rilievo. Rappresentano una "via di mezzo" tra i cumuli di bel tempo e i cumuli congesti. Cumuli medi d) Cumulus congestus: ovvero cumuli congesti o imponenti con protuberanze marcate e sviluppate di aspetto soffice (non fibroso); se ci sono le condizioni adatte i congesti continuano lo sviluppo per diventare cumulonembi. Nel cumulo congesto non ci sono elettrometeore (fulmini, lampi): se queste si presentano, bisogna necessariamente classificare la nube sotto osservazione come un cumulonembo. Cumulo congesto Daniele Longo - 769922304 La meteorologia e la sua terminologia e) Cumulonimbus calvus o Cb calvus: contorni sono in genere lisci, brillanti, ben definiti. La sommità è arrotondata con struttura fibrosa (indice di ghiacciamento già avvenuto) e si eleva a forma di montagna o di torre senza incudine o frange di cirri falsi; possono dare origine a precipitazioni sotto forma di rovesci o a manifestazioni temporalesche. Cb calvus in evoluzione f) Cumulonimbus capillatus incus o Cb incus: questo Cb invece ha sommità appiattita (incudine), fibrosa e a volte distintamente cirriforme (cirri falsi) indice di pieno sviluppo; rappresenta l'evoluzione successiva al Cb calvus ed è così grande che la sua forma d'insieme può essere vista solo da notevole distanza. Al Cb incus sono associati i fenomeni temporaleschi. Lontano Cb incus al tramonto Tecnicamente il ghiacciamento segna la fase del passaggio da Cu congesto a Cb calvus, sebbene elementi di ghiaccio comincino a svilupparsi già nella fase finale del congesto in cui a volte compaiono le prime piogge. In ogni caso se al di sotto di un qualunque Cb ci sono bande di precipitazione il ghiacciamento sarà già avvenuto perlomeno da 10-15 minuti. Daniele Longo - 769922304 La meteorologia e la sua terminologia Se siamo molto fortunati, potremo osservare un fenomeno che "visualizza" l’istante preciso in cui sta iniziando il ghiacciamento della nube: in seno ad un Cu congesto che tenda ad evolvere in Cb calvus il ghiacciamento produce un'ulteriore spinta ascensionale dell'aria (calore latente che aumenta nel passaggio di stato acqua-ghiaccio o vapore-ghiaccio). Raro episodio di fibrillazione Tale spinta può proiettare dei piccoli ciuffi di nube, ancora liquida, al di fuori della sommità del congesto dando l'effetto di una piccola deflagrazione. Il fenomeno ha una durata di pochi secondi ed è chiamato "fibrillazione": al suo immediato seguito parte il ghiacciamento della nube e le precipitazioni. Daniele Longo - 769922304 La meteorologia e la sua terminologia 4. Le nubi accessorie Le nubi accessorie sono delle formazioni nuvolose il cui sviluppo dipende da un temporale e in genere sono "fisicamente" collegate alla sua base escluso il caso della roll cloud; distinguiamo i seguenti tipi di nubi accessorie. a) Lowering:: consiste in un piccolo abbassamento nuvoloso attaccato alla base di un cumulonembo con un diametro di 1-2 km, indica la regione in cui c'è un intenso updraft e può evolvere in wall cloud. L'aria entra nel lowering sia dal lato caldo (inflow) sia da quello freddo (outflow): l’aria più fresca risucchiata dall'updraft condenserà a un livello altimetrico minore rispetto alla base originaria del Cb. Se sotto il lowering c’è calma di vento con i fractus che salgono verso l’alto e che ruotano possiamo trovarci sotto l’updraft principale (ovvero sotto una probabile wall cloud) e siamo a rischio tornado. Un tipico lowering: la sua inclinazione può suggerire il lato da cui proviene buona parte dell'outflow b) Wall cloud: conosciuta come nube a muro o nube a parete, è un distinto, persistente ed isolato lowering ed è individuabile mediante il classico "scalino". Può raggiungere un diametro di 8 km e la genesi è simile a quella di un classico lowering: la nube a muro nasce per il fatto che la corrente discendente raffreddata all'interno del cumulonembo, invece di dilagare al suolo dietro al temporale come outflow, viene in parte richiamata all’interno del temporale stesso grazie al movimento rotatorio indotto dal mesociclone interno alla supercella. L'aria fredda infiltrata condenserà ad una quota altimetrica inferiore formando dunque una nube a parete che si evidenzierà al di sotto della base del Cb principale, in genere sul settore sudoccidentale della supercella stessa (mai sul bordo avanzante). La wall cloud compare solo nelle supercelle: il tornado di solito scende dalla nube a muro, in quanto questa altro non è che l'estremità inferiore di un pericoloso mesociclone. Non tutte le wall cloud ruotano e quelle che lo fanno sviluppano con maggior rapidità il tornado; a sua volta, non tutte le wall cloud rotanti producono tornado. Daniele Longo - 769922304 La meteorologia e la sua terminologia Wall cloud: i rovesci più intensi si ritrovano a destra della nube La Tail cloud è una nube a coda più o meno parallela al terreno, attaccata alla base di una wall cloud e appare quindi come un prolungamento della stessa: rappresenta la traccia dell'aria fredda che si appresta ad entrare nel mesociclone, per cui essa si estende sempre a partire dall'area delle precipitazioni verso la wall cloud. La nube a parete con la sua coda indica l'estensione verso terra del mesociclone e compare di preferenza nei mesocicloni maturi o in decadimento quando cioè sono più elevate le probabilità di tornado. c) Shelf cloud: conosciuta come nube a mensola, è bassa, lunga, a volte arcuata per via della spinta originata dal downdraft, orizzontale e individuabile mediante il classico "cuneo". La shelf cloud spesso è presente nella supercella: si presenta sul bordo avanzante del temporale e precede di pochissimo l'area dei rovesci di pioggia o grandine. Si forma quando il gust front solleva l'aria caldo umida davanti ad esso fino al suo livello di condensazione formando questa "mensola nuvolosa". Shelf cloud giovane Daniele Longo - 769922304 La meteorologia e la sua terminologia Shelf cloud matura Questa nube non è provvista di movimenti rotatori (a differenza della wall cloud) in quanto avanza sotto la semplice spinta dell'outflow; è la base vera e propria della supercella a ruotare e ovviamente tutto il cumulonembo esclusa l'incudine che invece si espande. Infatti, la shelf cloud, se osservata per più minuti, tenderà ad allontanarsi dall'area delle precipitazioni (a differenza della wall cloud) tanto da poter essere confusa con una roll cloud. d) Roll cloud: conosciuta come nube a rullo, è bassa, a volte arcuata, orizzontale, lunga, tubolare, relativamente rara e completamente staccata dalla base del temporale a differenza delle più comuni shelf cloud e delle assai più rare wall cloud. Può rappresentare un’evoluzione successiva alla shelf cloud e ruota secondo un asse orizzontale; può deviare anche dall’effettiva direttrice seguita dal cumulonembo e, in casi ancor più rari, può presentarsi col cielo sereno perché originata da una corrente di outflow proveniente da un temporale in decadimento distante parecchi km. Roll cloud vicina alla base del temporale Daniele Longo - 769922304 La meteorologia e la sua terminologia e) Inflow tail: trattasi di una nube a forma di coda più o meno inclinata sotto la base del temporale che tradisce una forte corrente di inflow vicina ad una di outflow. Non va confusa con la tail cloud della wall cloud: infatti l’inflow tail è collegata "direttamente" alla base del temporale senza la partecipazione della nube a muro. L’inflow tail denota il lato di aspirazione del possibile tornado: nel raggio di qualche centinaio di metri dalla nube potrebbe ben presto comparire il vortice. Inflow tail e relativa area a rischio tornado f) Funnel cloud: è una colonna d'aria in rotazione che non è in contatto con il terreno, che scende da un cumulonembo o congesto ed è quasi sempre osservabile come una nube a imbuto. Funnel cloud in discesa da Cb calvus E’ una nube alquanto rara e può presentarsi in ogni settore del temporale che non deve essere necessariamente una supercella: può quindi comparire nel punto d’unione tra una inflow tail e la base del Cb, sotto una shelf cloud, sotto una flanking line, sotto una wall cloud (il caso classico), sotto la semplice base del temporale non provvista di nubi accessorie e alla base di un cumulo congesto (caso quest’ultimo più frequente sopra il mare). Può evolvere in tornado e sebbene la nube a imbuto non si estenda fino al suolo il tornado può essere già attivo. Daniele Longo - 769922304 La meteorologia e la sua terminologia 5. Mammatus e knuckles I due tipi di formazioni nuvolose che andremo ad esaminare hanno entrambe come sede di sviluppo l’incudine di un cumulonembo: anche se appaiono simili, la loro genesi è diversa come diversi sono gli indizi che essi ci forniscono riguardo l’intensità del temporale considerato. a) Mammatus: quando gli updrafts portano parte delle precipitazioni verso l'alto, l'aria alla sommità del Cb perde gradualmente tutta la quantità di moto e si estende orizzontalmente in tutte le direzioni divenendo parte dell'incudine stessa. Infatti l'aria nell'incudine, specie se in avanzato stadio di sviluppo, si è già raffreddata abbastanza da non poter più salire: se poi l'incudine si avvicina alla stratosfera allora i moti discendenti saranno ulteriormente favoriti dal momento che da quella quota la temperatura ambiente comincia ad aumentare. Quest'aria trasportata dall'updraft contiene una maggior concentrazione di cristalli di ghiaccio e goccioline d'acqua, quindi diverrà satura, più fresca e più pesante di quella circostante: ogni mammatus rappresenta un potenziale piccolo rovescio che però non raggiunge il suolo evaporando prima di arrivarci sia per l'aria più secca sottostante sia per l'aumento termico indotto dai movimenti discendenti stessi che dissolve la massa nuvolosa; si presentano sia sottovento sia sopravvento all'incudine, preferendo di gran lunga quest'ultimo settore, motivo per cui a volte possono inscenare uno straordinario spettacolo grazie all'assenza di nubi basse nella parte posteriore del temporale. Mammatus di un'incudine in allontanamento Le mammatus a volte possono indicare temporali di notevole violenza poiché la loro presenza a volte è sintomo di precedenti forti sollevamenti e di probabile raggiungimento della tropopausa da parte del Cb che li genera. Tuttavia queste formazioni possono benissimo presentarsi anche in temporali in fase di dissolvimento e in tutti i Cb non intensi: quest’ultimi potrebbero formare una incudine "prematura" a quote più basse del normale, magari per la presenza di un�inversione termica sui 4000 metri, con la conseguente formazione di mammatus; in tal caso il temporale non sarà intenso per il ridotto spessore del cumulonembo. b) Knuckles: si tratta di piccole sporgenze ricche di protuberanze lungo i bordi di una grossa incudine che corrispondono a separati updraft pulsanti. Possono formarsi anche sulla parte inferiore e limitrofa dell’incudine, mentre le mammatus preferiscono la parte inferiore "centrale ed interna" dell'incudine. Per questo motivo i knuckles possono essere individuati anche a qualche decina di km, mentre le mammatus si vedono generalmente solo quando l’incudine è sopra di noi (fatto salvo il caso di incudini illuminate dalla luce radente del tramonto o dell’alba). Daniele Longo - 769922304 La meteorologia e la sua terminologia Evidentissimi knuckles sotto un'incudine I knuckles quindi non sono le mammatus e di solito appaiono sul lato sopravvento dell'incudine, ovvero in quel settore che si estende in direzione contraria al flusso in quota, e indicano una rapida espansione del Cb dovuta alla presenza di updrafts molto intensi. Ad esempio, se il temporale si muove verso E, la parte più allungata dell'incudine sarà ad E dello stesso temporale (sottovento) e si allungherà in tale direzione, mentre il settore sopravvento sarà ad W del temporale e tenterà di allungarsi verso W. In genere, l'incudine sottovento è sottile e allungata, invece l'incudine sopravvento è molto grossa, arrotondata e assai più corta. I knuckles, se numerosi e ben sviluppati, indicano che il temporale è con molte probabilità di tipo grandinigeno e la loro comparsa dipende direttamente dagli updrafts. Le mammatus sono più inaffidabili riguardo le possibilità di grandinate e tornado poiché la loro comparsa dipende solo indirettamente dagli updrafts. Daniele Longo - 769922304 La meteorologia e la sua terminologia 6. L’analisi visiva del cumulonembo L’osservazione critica delle caratteristiche di una nube temporalesca può dare ottimi risultati se supportata da una certa esperienza; estensione, colore, movimento e struttura sono i 4 parametri da prendere in considerazione per poter elaborare una previsione ad elevata affidabilità per le ore immediatamente successive. Seguono alcune utili indicazioni, distinte secondo la lontananza del Cb sotto osservazione: da lontano ne vedremo la sommità e in parte il corpo verticale, da vicino vedremo soprattutto la sua base. Ovvio che in caso di elevata visibilità si potrà apprezzare il cumulonembo nella sua interezza con incudine, parete, base e relative precipitazioni al di sotto di quest’ultima. a) Sommità del cumulonembo: la presenza di knuckles indica elevate probabilità di fenomeni grandinigeni anche violenti; tuttavia la loro assenza non esclude questa eventualità: nel caso di temporali ad asse obliquo, di supercelle e di cluster con celle senescenti l’enorme incudine può non mostrare ai suoi bordi i knuckles. Com’è intuibile, se l'incudine sul lato sopravvento continua a svilupparsi, ciò sta a significare che gli updrafts sono veramente molto intensi, tanto da riuscire a contrastare efficacemente i venti contrari della media troposfera; il temporale sarà di forte intensità. Sporgenza nell'incudine sopravvento indice di forti temporali Una incudine sottile e sfilacciata indica che il temporale ha superato anche la fase di maturità: i fenomeni sono in fase di esaurimento. Diversi stadi evolutivi di un temporale a multicella; precipitazioni più intense nel Cb a destra Daniele Longo - 769922304 La meteorologia e la sua terminologia La presenza sopra la superficie piatta dell’incudine di cupole dall’aspetto cumuliforme (le cosiddette overshooting top) tradisce la presenza di un potente updraft con possibilità di violente grandinate, forti downdrafts e tornado nell’area in questione: in pratica, la cupola deriva da updraft molto veloci che non fanno in tempo a ghiacciarsi o ad appiattirsi. Overshooting top Il pileus è una nube a forma di berretto o cappuccio e si forma quando l'aria ancora stabile che sta immediatamente sopra un Cu congesto od un Cb calvus viene spinta dalla nube stessa, in estensione verticale, attraverso il proprio livello di condensazione. Si forma così un velo nuvoloso molto tenue e della durata di pochi secondi che sovrasta quasi a contatto la sommità della nube: indica l’imminente formazione del Cb incus e quindi del temporale. Pileus Daniele Longo - 769922304 La meteorologia e la sua terminologia b) Corpo verticale del cumulonembo: la presenza di "sfilacciamenti" (fractocumuli) sulle pareti di un Cu congesto o Cb calvus che tenti di evolvere in temporale (Cb incus) denota in genere lo scarso gradiente termico verticale, ossia l'assenza di aria sufficientemente fredda alle quote più alte. Invece, di solito, la presenza di questi brandelli sulle pareti di un Cu medio in evoluzione verso un Cu congesto indica instabilità la cui intensità sarà tutta da quantificare mediante la presenza o meno di altri Cb calvus-incus già formati nelle vicinanze. La diversa composizione della nube ne influenza l'aspetto c) Base del cumulonembo: se le bande dei rovesci sono dense ma senza attività elettrica è probabile che il temporale arriverà scarico; oppure può essere che il sistema si stia formando proprio nelle vicinanze per poi intensificarsi mentre si allontanerà assumendo così tutti i "connotati" da temporale grazie all’acquisita attività elettrica. Se le bande invece non permettono di vedere nient’altro oltre le stesse e c'è attività elettrica in zona, allora è imminente un forte rovescio. In estate, bande di precipitazione biancastre indicano grandine in caduta al suolo, una base verdognola indica anch’essa grandine (anche se in parziale fusione), una base giallastra può indicare due cose: il riflesso verso il basso della luce solare operato dalle overshooting top e dalle incudini oppure le schiarite in avanzata dietro la cortina di precipitazioni; nel primo caso avremo un temporale potenzialmente intenso con grandine, nel secondo un temporale di intensità medio-bassa o bassa. La presenza di grosse nubi accessorie come shelf cloud e roll cloud sotto la base del Cb indica un temporale con correnti termoconvettive sostenute e ben organizzate e quindi concrete possibilità di fenomeni anche intensi o estesi su un’area insolitamente ampia. La forma della base e la sua apparenza non è un buon indicatore riguardo l’intensità dei fenomeni: dipende da caso a caso. In linea generale, comunque, una base molto turbolenta indica un temporale giovane o in fase di maturità con fenomeni anche intensi. Attenzione a non confondere la base del temporale con la base dell’eventuale nube accessoria (es. shelf cloud): non sono la stessa cosa. Daniele Longo - 769922304 La meteorologia e la sua terminologia 7. Il riconoscimento della supercella Il riconoscimento di una supercella si esegue in 3 modi a seconda della nostra esperienza e delle risorse a disposizione nel momento dell’analisi: dal vivo, dal satellite e dal radar. La rotazione conferisce a questo tipo di temporale caratteri molto particolari utili per giungere alla sua individuazione. Per esclusione, se mancano tali peculiarità si parlerà di comuni celle temporalesche intese come cella singola, cluster di multicelle, linea di multicelle, MCS-MCC. 1) osservazione dal vivo a) vista da vicino, enorme base avanzante del temporale (solitamente dotata di shelf cloud) provvista di moto rotatorio antiorario nell’emisfero nord b) vista da vicino, eventuale wall cloud alla base del cumulonembo (questa nube a muro non si presenta mai sul bordo avanzante del temporale ma per lo più sulla parte posteriore) c) vista da lontano, grossa e persistente overshooting top (cupola) sopra l'incudine del cumulonembo d) striature sui fianchi del cumulonembo, sulla parte inferiore degli stessi, indice di rotazione all'interno della supercella; tali striature possono apparire anche sul bordo anteriore di una shelf cloud ma queste sono decisamente meno affidabili e) le bande di precipitazione sono molto fitte e non sono disposte a linea, quindi oltre le stesse non si vedranno subito le schiarite f) possono osservarsi anche delle bande nuvolose ("inflow band") più o meno compatte e regolari, eventualmente saldate alla base del temporale e disposte più o meno parallelamente al terreno con angolazione variabile a seconda del flusso umido dell’inflow; sono relativamente rare e tipicamente si dirigono verso il centro del temporale Inflow band costituite in sostanza da grossi fractocumulo 2) osservazione dal satellite a) la supercella appare molto bianca al satellite infrarosso b) al satellite polare può essere individuata l’ombra dell’overshooting top sulla superficie dell’incudine c) molto raramente, sulla parte occidentale può comparire una corona di nubi indice di forti supercelle d) alla moviola satellitare, la supercella (poiché ruota) non segue la direzione dominante dei corpi nuvolosi deviando generalmente verso sinistra se le correnti nella media troposfera sono occidentali Daniele Longo - 769922304 La meteorologia e la sua terminologia e) è di forma tondeggiante od elittica con eventuale flanking line che sembra partire dalla parete meridionale della supercella stessa; la flanking line si estende verso l'esterno dal settore SW della supercella; se è formata da Cb o grossi congesti può essere visualizzata anche dalle mappe radar relative all’intensità di precipitazione Flanking line ("virgola bianca") vista dal satellite La supercella non è mai a forma di linea anche se può apparire tale nel caso di temporali ad asse molto obliquo in cui le incudini, molto allungate, conferiscono alla supercella un forma più lineare che tondeggiante. 3) osservazione al radar a) nelle radarate che mostrano l'intensità di precipitazione, è possibile scorgere un eco ad uncino più o meno definito a seconda dei casi, vicino al quale si trova il settore a "fondoscala" ove l’intensità delle precipitazioni è massima Esempi di eco ad uncino supercellulare b) poiché è plausibile che i temporali ad asse obliquo evolvano rapidamente in supercelle, le scansioni radar che mostrano una lunga area a bassa reflettività (incudine) con un nocciolo di forti precipitazioni (eventuale futuro mesociclone) all'inizio della stessa vanno monitorate di continuo c) anche al radar (se provvisto di moviola) è possibile individuare la deviazione spiegata al punto 2d) Daniele Longo - 769922304 La meteorologia e la sua terminologia L’interpretazione dei Modelli Parte I Al giorno d'oggi, la meteorologia ha raggiunto un'ampia diffusione su internet. Su molti siti è possibile reperire le carte previsionali di svariati modelli, italiani o stranieri, globali o ad area limitata, insomma è davvero disponibile una notevole mole di informazioni sottoforma di mappe colorate. Come destreggiarsi quindi? E soprattutto come interpretare queste colorate informazioni? Prima di addentrarsi nella descrizione delle mappe dei modelli meteorologici, è necessaria una premessa. Deve essere ben chiaro cosa si vuole vedere, ovvero quali sono le scale spazio-temporali alle quali siamo interessati. Ci interessa la circolazione a scala sinottica sull'Europa per la settimana entrante, oppure vogliamo capire se potranno esserci temporali nel corso della giornata sul Levante Ligure? Ovvio che le due cose non sono completamente slegate fra loro (grande e piccola scala interagiscono reciprocamente), ma sono sicuramente diversi gli strumenti ai quali affidare le nostre previsioni. Nel primo caso ci affideremo alle proiezioni di un modello globale e analizzeremo con particolare riguardo gli andamenti nella media troposfera (le carte a 500 hPa per intenderci). Nel secondo caso ci affideremo ad un modello ad area limitata, possibilmente ad alta risoluzione (http://www.meteogiornale.it/news/read.php?id=10155). In generale, se vogliamo guardare lontano nel tempo (oltre i 4 giorni) possiamo solo dedicarci alla circolazione a grande scala, preferibilmente in libera atmosfera, mentre se i range temporali sono brevi (0-48 ore) allora possiamo pretendere precisione anche per fenomeni più locali. Infine, bisogna sapere che non tutte le variabili sono uguali. Mentre pressione, vento e umidità sono output diretti dei modelli, attraverso la soluzione numerica delle complesse equazioni differenziali, la copertura nuvolosa e la precipitazione, ad esempio, sono prodotti secondari. In altre parole sono ottenuti dalle variabili dirette attraverso appositi procedimenti. Questo implica che, in aggiunta alla normale impredicibilità del sistemaatmosfera, si aggiunge un'ulteriore fonte di errore. In pratica, se ha senso guardare il geopotenziale previsto a 5 giorni a 500 hPa, non ha senso (o ne ha molto poco) guardare la corrispondente previsione di precipitazione, specie se ci interessa un'area molto limitata. Non chiediamo ad un modello globale la previsione a quattro giorni della precipitazione sulla nostra città ai piedi delle Alpi (http://www.meteogiornale.it/news/read.php?id=10167), o meglio chiediamogliela, ma non lamentiamoci se sarà completamente sballata. Daniele Longo - 769922304 La meteorologia e la sua terminologia Parte II Ci sono diverse carte di pressione al suolo, o per essere più precisi di pressione al livello medio del mare (MSLP), disponibili in rete, dalle quali si possono raccogliere molte informazioni. Per poter confrontare tutti i punti compresi nell'area in esame la pressione viene "normalizzata", cioè espressa come la pressione che si avrebbe al livello del mare. Sono tracciate le linee a uguale pressione (*isobare*) che permettono di distinguere aree di bassa pressione (segnate con L o B), caratterizzate da circolazione ciclonica (in senso antiorario) e aree di alta pressione (H o A), caratterizzate da circolazione anticiclonica (in senso orario). Ad ogni isobara è associato il corrispondente valore di pressione espresso in hPa. Inoltre si può stimare la direzione del vento al suolo, il quale non scorre esattamente lungo le isobare ma, a causa dell'attrito, le interseca, con un angolo di circa 30 gradi sulla terraferma, di soli 10 gradi sul mare. In particolare, attorno ai sistemi di bassa pressione il vento ruota in senso antiorario e tende a deviare verso il centro; questo produce convergenza al suolo e moti ascensionali, che favoriscono la condensazione e la formazione di nubi e pioggia (ecco perché alla bassa pressione si associa normalmente il brutto tempo). Al contrario, attorno ad un anticiclone il vento ruota in senso orario e tende ad allontanarsi dal centro, quindi a divergere, generando moti discendenti che inibiscono la condensazione e quindi la formazione di nubi (quindi alta pressione foriera di bel tempo). In molte carte vengono pure tracciati i fronti. Quelli blu o indicati con triangoli sono i fronti freddi, quelli rossi o segnati con semicerchi sono i fronti caldi. Sono anche tracciate delle linee continue o tratteggiate in corrispondenza dell'asse delle saccature. Caldo e freddo stanno ad indicare la temperatura della massa d'aria in arrivo, rispetto a quella esistente. Il fronte freddo segue sempre quello caldo e viaggia più velocemente, quindi con il trascorrere del tempo lo raggiunge dando origine al fenomeno di occlusione. I due fronti si uniscono per originare il fronte occluso indicato in viola o con triangoli e semicerchi alternati. Con l'occlusione il sistema depressionario raggiunge solitamente la fase più intensa, dopo di che inizia a decadere. I fronti tracciati su queste carte si riferiscono alla posizione al suolo. A livelli superiori la posizione del fronte normalmente non coincide. Il fronte può essere più indietro o più avanti a seconda dell'intensità dei venti in quota e dell'attrito con il suolo. Se in quota il fronte è più avanzato si genera facilmente una situazione di instabilità e il maltempo può essere più accentuato. Ai fronti sono associati sistemi nuvolosi. Il fronte caldo è preceduto già 24 ore prima da nubi alte (dapprima cirri poi altostrati) che si trovano anche a più di 500 km dalla linea frontale. A 200-300 km dall'arrivo del fronte caldo al suolo (quello segnato sulle carte) iniziano le precipitazioni, generalmente deboli o moderate e continue. La parte attiva del fronte caldo è quella vicina al centro di bassa pressione attorno al quale ruota. Il cambiamento del tempo legato al passaggio di un fronte freddo è invece molto più repentino, con formazione di nubi a sviluppo verticale e precipitazioni più intense ed intermittenti, spesso a carattere di rovescio. Per quanto i fronti siano in genere portatori di maltempo, la loro intensità e quindi i loro effetti sono assai variabili. Come regola generale si può ricordare il fatto che in estate, sul continente europeo, i fronti caldi sono poco sviluppati e assai deboli, mentre in inverno possono essere anche ben più attivi dei fronti freddi. La spiegazione risiede nel contrasto termico: in estate l'aria sulla terraferma è già calda e il fronte non porta nessun contrasto, in inverno il contrasto termico è assai rilevante. Talvolta, oltre alle isobare, sono tracciate anche le isoallobare, ovvero le linee che indicano la tendenza della pressione per le prossime ore. Queste sono assai utili per valutare sia lo spostamento dei centri di alta e bassa pressione, sia per stimare la posizione dei fronti, qualora non siano tracciati: quello freddo si posiziona dove le isoallobare indicano una ripresa della pressione, quello caldo dove il calo di pressione è massimo. Daniele Longo - 769922304 La meteorologia e la sua terminologia La carte al suolo possono anche contenere informazioni sul tempo in atto indicate per mezzo dei simboli standard WMO. Nell'analisi della situazione attuale, la carta alla superficie ha più valore rispetto a quelle in quota sia perché le osservazioni sono in numero assai maggiore al suolo, sia perché descrive il tempo che percepiamo direttamente. Infine, guardando temperatura, umidità e venti vicino al suolo si possono individuare sia le avvezioni termiche (che vedremo in dettaglio nelle carte a 850 hPa) che di umidità, sia le zone di convergenza o divergenza a cui sono associati moti verticali rispettivamente ascendenti o discendenti. Come vedremo in seguito le carte al suolo vanno utilizzate e "sovrapposte" a quelle in quota per avere ulteriori utili informazioni. Daniele Longo - 769922304 La meteorologia e la sua terminologia Parte III Tipicamente, le carte relative alla superficie isobarica 850 hPa (circa 1500 metri di quota) mostrano la temperatura e l'altezza geopotenziale e risultano utili per valutare le avvezioni calde e fredde ai bassi livelli. Si noti che in presenza di orografia, tale superficie rimane sotto al livello del suolo, quindi al di sopra delle Alpi i campi sono solo "fittizi", ottenuti tramite estrapolazione. Su terreni non elevati, al contrario, ci si trova abbastanza lontani dagli effetti del suolo, e tale superficie segna il confine superiore dello strato limite planetario (boundary layer). Sulle carte a 850 hPa sono tracciate le isoipse, linee che uniscono i punti di uguale altezza geopotenziale, il cui valore corrisponde alla quota, espressa in metri o in decametri, alla quale la pressione vale 850 hPa. Analogamente a quanto visto per le isobare tracciate nelle carte al suolo, evidenziano le aree di bassa e di alta pressione. In questo senso le carte a 850 hPa possono essere interpretate come quelle al suolo In prima approssimazione si può considerare che le masse d'aria si muovono seguendo la direzione indicata dalle isoipse, ruotando in senso antiorario (orario) attorno alle basse (alte) pressioni. Spesso vengono indicati numerosi centri di bassa o alta pressione, ma non tutti sono importanti. Sono significativi solo quelli che hanno molte isoipse che li racchiudono, in quanto sono quelli più profondi ed intensi. Quelli con poche isoipse sono al contrario deboli, sono solo minimi relativi che non rivestono un ruolo fondamentale nell'evoluzione a breve termine. Il campo di temperatura a 850 hPa permette facilmente di individuare masse d'aria fredda o calda e di evidenziarne i movimenti tramite l'evoluzione temporale prevista dal modello. In pratica si possono valutare le avvezioni calde o fredde, ovvero capire dove si sposterà una determinata massa d'aria, considerando che lo spostamento avviene lungo le isoipse. L'intensità dell'avvezione dipende da tre fattori: 1) Vicinanza delle isoipse. L'avvezione è sostanzialmente il trasporto di una grandezza (in questo caso la temperatura) a causa del vento medio. E' facile intuire che ad un vento forte corrisponda una maggiore avvezione. Più le isoipse sono vicine, più i venti risultano forti, e di conseguenza risulta più intensa l'avvezione. 2) Isoterme e isoipse perpendicolari. Si ha avvezione quando il vento trasporta una massa d'aria caratterizzata da una certa temperatura verso una zona dove la temperatura è diversa. Se le isoipse e le isoterme sono parallele, allora lungo la direzione del trasporto non c'è variazione di temperatura, quindi l'avvezione è nulla. Quando, al contrario, isoterme e isoipse sono perpendicolari l'avvezione è massima, poiché è massimo il gradiente (variazione) della temperatura nella direzione del trasporto. 3) Vicinanza delle isoterme. Il valore dell'avvezione è proporzionale sia al vento (punto 1) sia alla variazione orizzontale di temperatura (gradiente), poiché aumenta il contrasto termico tra le masse d'aria trasportate dal vento. Quindi più le isoterme sono vicine, più la variazione (gradiente) di temperatura è maggiore così come più intensa risulterà l'avvezione. Il carattere (caldo o freddo) dell'avvezione è determinato dalla temperatura dell'aria in arrivo, rispetto a quella pre-esistente nella zona di interesse. In linea generale, ad un'avvezione è associato un cambiamento meteorologico, dovuto al contrasto tra masse d'aria di differente temperatura. Avvezioni calde ai bassi livelli contribuiscono a sviluppare moti verticali a larga scala. Ad un'avvezione in quota quasi sempre corrisponde una analoga risposta vicino al suolo per cui un raffreddamento alla 850 hPa può far pensare ad un calo di temperatura anche al suolo. A volte però ci possono essere sorprese e ritardi dovuti ad esempio al rallentamento delle masse d'aria vicino al suolo nell'oltrepassare le Alpi. Osservando isoipse e isoterme a 850 hPa si può individuare la posizione dei fronti. In primo luogo si deve localizzare un'area in cui sia forte il gradiente termico, o in altre parole, in cui le isoterme siano molto vicine (ciò indica un brusco cambiamento di temperatura, caratteristica propria del Daniele Longo - 769922304 La meteorologia e la sua terminologia fronte). La zona così individuata risulta essere una zona frontale se le isoipse sono perpendicolari (più o meno) alle isoterme. Il fronte viene tracciato in corrispondenza del bordo caldo della zona frontale. Alcune carte di immediata interpretazione mostrano il vento a 850 hPa tramite vettori la cui lunghezza è proporzionale all'intensità. Qualora non fosse mostrato direttamente, si può accettare l'approssimazione che, sulle zone a bassa elevazione, il vento sia geostrofico, ovvero scorra parallelamente alle isoipse, lasciando sulla destra i valori alti di pressione. L'intensità è proporzionale alla distanza delle isoipse. Le zone con isoipse molto vicine saranno caratterizzate da vento intenso. Altre grandezze possono essere tracciate a 850 hPa. L'umidità relativa (RH) permette di stimare la presenza di nubi basse: se RH è prossima al valore di saturazione (100%) si avrà copertura nuvolosa. Quando possibile è utile anche valutare la differenza tra temperatura e dew point, nota come dew point depression. Se tale valore è piccolo a 850 hPa, allora si può supporre che l'intero boundary layer sia prossimo alla saturazione. La vorticità potenziale (PV) permette di evidenziare aree cicloniche. In particolare risulta utile nell'individuare i cicloni Mediterranei (tra cui anche gli "hurricane-like" o "Medicane"), strutture cicloniche a mesoscala molto intense, caratterizzate da un cuore caldo (massimo di temperatura nel centro del ciclone) e da un massimo di PV nella bassa troposfera. La temperatura potenziale equivalente (Tetae) è una combinazione di temperatura dell'aria e contenuto di umidità. Sebbene sia più utile nelle sezioni verticali per valutare la stabilità atmosferica, risulta utile anche per individuare le aree favorevoli alla formazione di temporali intensi o sistemi convettivi a mesoscala. Infatti, regioni con alti valori di Tetae (dette "Tetae-ridge") sono caratterizzate da aria calda e umida, quindi leggera e potenzialmente instabile. Infine, data la relativa vicinanza tra la superficie terrestre e la 850 hPa, si può stimare la temperatura al suolo. In estate, può essere interessante ricavare la temperatura massima al suolo sulle aree pianeggianti: dalle carte si ricavano la temperatura e la quota (altezza geopotenziale) a 850 hPa, dopo di che si calcola la T al suolo considerando una variazione (aumento) di 6°/1000m fino a 800-1000 metri dalla superficie e di 10°/1000m fino al suolo (supponendo che l'aria sia secca vicino alla superficie). In inverno si può valutare anche la quota dello zero termico utile per la previsione delle nevicate: si individuano nella zona di interesse la temperatura e la quota della 850 hPa. Considerando un calo medio di 6°/1000m è facile ricavare la quota dove la T=0. Daniele Longo - 769922304 La meteorologia e la sua terminologia Parte IV La carta a 700 hPa è considerata l'ultima carta relativa alla bassa atmosfera. Vengono tracciate, analogamente a quanto visto per l'850 hPa, le isoipse (valori espressi in metri o decametri), quindi valgono le stesse considerazioni già fatte (centri di alta/bassa pressione, avvezioni termiche e loro intensità, posizione dei fronti, vento). Si può solo aggiungere che questa superficie isobarica è situata mediamente ad una quota di 3000 m ed è quindi quasi ovunque al di sopra dell'orografia (almeno di quella vista dai modelli). A 700 hPa, si distingue con molta più chiarezza l'alternarsi di saccature e promontori, i centri di alta e bassa pressione (c'è in sostanza meno rumore). Inoltre è il livello al quale meglio si evidenziano le onde corte, di natura baroclina, che si spostano verso est scorrendo lungo le onde lunghe (planetarie) di natura barotropica. Sulle mappe a 700 hPa vengono solitamente mostrati i campi di umidità (relativa e/o specifica) e di velocità verticale, i quali si rivelano indispensabili per valutare la presenza di nubi medie e di possibile tempo perturbato. Infatti sono le nubi che si formano attorno ai 3000 metri quelle principalmente in grado di produrre precipitazioni. Per questo motivo si analizzano di norma le velocità verticali a 700 hPa. Le velocità verticali vengono convenzionalmente espresse in variazione di pressione (dovuta al moto verticale) nell'unità di tempo (es. Pa/h o mbar/h) oppure in cm/s. Se espresse in termini di pressione, valori positivi (negativi) indicano moti discendenti (ascendenti). Come è noto, a moti verticali ascendenti è associato il raffreddamento della massa d'aria con conseguente possibile condensazione e formazione di corpi nuvolosi, quindi in generale maltempo. Aree con moti verticali ascendenti a cui corrispondono valori di umidità relativa sufficientemente alti (almeno superiori all'80%) saranno caratterizzate da nubi. Si possono avere nubi anche con valori più bassi di umidità nel caso in cui i moti verticali siano abbastanza intensi. Inoltre, come per la 850 hPa, la valutazione del dew point depression permette di determinare lo spessore dello strato umido. Anche la posizione dei nuclei di precipitazione sono individuabili mettendo assieme le informazioni della velocità verticale e dell'umidità relativa a 700 hPa (ed eventualmente a 850 hPa). L'intensità sarà tanto maggiore quanto maggiore sono i valori delle due grandezze. Ovviamente esistono elaborazioni di output di alcuni modelli che forniscono direttamente la copertura nuvolosa (e la precipitazione), ma raramente distinguono tra nubi a vari livelli (basse, medie e alte) e sono da prendere sempre con cautela, specie se si tratta di modelli globali. Un'ultima applicazione riguarda la previsione del moto dei sistemi convettivi a singola cella, i quali si propagano seguendo il flusso delle correnti mostrate nelle carte a 700 hPa. Infatti tali sistemi tendono a propagarsi seguendo il flusso medio dello strato compreso tra la 1000 e la 500 hPa, che in buona approssimazione corrisponde al flusso alla 700 hPa. Daniele Longo - 769922304 La meteorologia e la sua terminologia Parte V Mentre ai livelli inferiori ci si concentrava principalmente sui campi di temperatura e umidità, qui ci si concentra sul flusso e in particolare sulla vorticità assoluta. Con buona approssimazione si può ritenere che a 500 hPa il campo di vento abbia divergenza nulla. Ad esempio, nel caso di una bassa pressione si ha convergenza nei bassi strati, moto ascensionale e divergenza in alta troposfera; si può supporre che il punto di inversione tra convergenza e divergenza lungo la verticale avvenga circa a metà atmosfera, attorno ai 500 hPa, appunto. Ma se il campo di vento non presenta divergenza, allora il moto delle onde è descritto con il campo di vorticità. Ecco quindi che la vorticità assoluta diventa la grandezza dinamica fondamentale. Nella pratica, con grossa approssimazione si può dire che le aree caratterizzate da nuclei di vorticità positiva corrispondono a zone di maltempo. In realtà ciò che conta è l'avvezione di vorticità (o meglio sarebbe la variazione verticale dell'avvezione), che si può facilmente ricavare sovrapponendo le isoipse al campo di vorticità. L'avvezione avviene lungo le isoipse stesse. Dove la vorticità aumenta, quindi dove si ha avvezione positiva di vorticità, vengono forzati moti verticali, quindi si tratta di un'area esposta a cattivo tempo. Viceversa per avvezioni negative di vorticità si tende a rafforzare la circolazione anticiclonica e quindi il tempo buono. Il vento medio non fa altro che trasportare la vorticità positiva (ciclonica) verso est, verso zone in cui la vorticità è inferiore, producendo così un progressivo spostamento verso est della depressione o della saccatura. La parte di una saccatura che si trova davanti all'asse della saccatura stessa è la regione soggetta al maggiore aumento di vorticità, ed è infatti la zona in cui il maltempo è più intenso. Come visto per le quote inferiori, anche a 500 hPa, dall'analisi dell'altezza geopotenziale (il cui valore è generalmente espresso in decametri) si possono identificare le aree di alta e bassa pressione, oltre che stimare, qualora non siano direttamente tracciate, la direzione ed intensità del vento. La carta a 500 hPa è in assoluto la più adatta per esaminare la circolazione a larga scala caratterizzata dal susseguirsi di saccature e promontori. E' importante che l'analisi del geopotenziale in quota sia fatta tenendo presente la carta di superficie e quelle dei livelli intermedi (infatti molto spesso sulla stessa carta vengono riportate sia la pressione al suolo che l'altezza geopotenziale a 500 hPa). Di frequente, ad una depressione al suolo corrisponde in quota una saccatura. Una depressione che risulta visibile sia al suolo che a 500 hPa significa che è ben strutturata a tutti i livelli e quindi apporterà un deciso peggioramento. Inoltre si deve osservare che nella fase più attiva, un sistema depressionario tende ad avere l'asse verticale (linea che unisce i centri di rotazione alle varie quote) inclinato verso nord-ovest, ovvero il minimo al suolo è più avanzato rispetto al corrispondente minimo in quota. Man mano che il sistema matura e perde di intensità i minimi tendono ad allinearsi verticalmente, il sistema si isola dalle correnti occidentali (cut-off a tutte le quote) e pian piano si colma. Può riprendere vigore se altra aria fredda arriva ad alimentarlo. Nel caso di una goccia fredda in quota, ovvero un nucleo di aria fredda nella media troposfera, può facilmente succedere che a 500 hPa le isoipse mostrino una chiara circolazione ciclonica chiusa, mentre alla superficie non ve ne sia traccia. La goccia fredda è comunque portatrice di maltempo specie in estate (contrasti termici accentuati), in quanto destabilizza l'atmosfera, favorendo moti convettivi. Se poi induce una circolazione ciclonica anche nei bassi strati, allora il maltempo sarà ancora più intenso. In inverno gli effetti di una goccia fredda non associata ad un minimo al suolo, possono essere anche molto limitati. A 500 hPa viene mostrato talvolta anche il campo di temperatura, dal quale si possono individuare avvezioni calde o fredde in quota lungo la direzione indicata dalle isoipse. Infine, sempre considerando che il moto di una massa d'aria a 500 hPa avviene lungo le isoipse, lasciando i valori di alta pressione sulla destra, si può stimare il moto dei sistemi nuvolosi a grande scala i quali mediamente si muovono con il flusso a questa quota. Daniele Longo - 769922304 La meteorologia e la sua terminologia Parte VI Quando guardiamo le carte a 200 o 300 hPa ci troviamo al limite della troposfera, detto tropopausa, ad una quota di 9000-10000 metri. Le carte mostrano il geopotenziale e il vento che scorre lungo le isoipse, lasciando a destra i valori di alta pressione. La tropopausa è caratterizzata dal massimo contrasto termico esistente tra aria delle regioni polari e delle medie latitudini. La linea che demarca il confine tra queste due masse d'aria è detta fronte polare. Non è affatto una linea retta che abbraccia il globo, ma al contrario è caratterizzata da ampie oscillazioni meridionali. Il contrasto termico genera una forte corrente, detta jet stream (o corrente a getto), che corre in corrispondenza del fronte polare. All'interno del jet stream che può essere visto come un vero e proprio fiume di aria che scorre attorno a tutto il globo, il vento raggiunge velocità notevoli, anche superiori ai 200 km/h. Questa corrente a getto, larga qualche centinaio di chilometri, oscilla in direzione meridiana, e tali oscillazioni altro non sono che le onde di Rossby. Lungo il fronte polare si fronteggiano masse d'aria fredda polare e calda sub-tropicale che spingono verso sud e verso nord rispettivamente. Lo sviluppo di onde di ampiezza inferiore rispetto alle onde di Rossby che avviene lungo il fronte polare a causa di questo scontro tra masse d'aria è alla base dei fenomeni di ciclogenesi (cicloni extratropicali). In inverno il jet stream si trova ad una quota inferiore rispetto ai mesi caldi, quindi è meglio individuabile dalle carte a 300 hPa, mentre in estate si preferiscono quelle a 200 hPa. Il jet stream non è continuo, ma è caratterizzato da ristrette zone di massima intensità, che prendono il nome di jet streak. I jet streak sono assai importanti poiché permettono di individuare aree in cui processi di ciclogenesi sono favoriti. Se infatti individuiamo una zona di jet streak che sia abbastanza rettilinea (non caratterizzata da accentuata curvatura, come vedremo dopo) e la suddividiamo in quattro quadranti (tracciando una retta lungo la direzione del vento e un'altra ad essa perpendicolare), allora in corrispondenza dei quadranti anteriore sinistro e posteriore destro si avrà una forte divergenza in quota. Questa divergenza richiama aria dagli strati sottostanti (non richiama aria dall'alto perché la tropopausa è molto stabile e agisce come un confine non oltrepassabile) e quindi, producendo moti ascendenti, favorisce convergenza e ciclogenesi nella bassa troposfera. Questo è uno dei meccanismi principali di formazione dei sistemi depressionari alle medie latitudini, da cui si comprende l'estrema importanza di una attenta analisi delle carte a 200-300 hPa. Se invece il jet streak si trova in corrispondenza dell'asse della saccatura, ovvero dove si ha la curvatura massima (il gomito) delle correnti, allora si avrà divergenza in quota e moti ascensionali a nord del jet, convergenza e moti discendenti a sud del jet. Quando il jet streak si trova in una zona in cui il jet stream forma una curvatura, tipo saccatura, allora bisogna valutarne esattamente la posizione. Se il jet streak si trova a sinistra (cioè prima, a ovest) dell'asse della saccatura, allora questa è destinata a intensificarsi e spostarsi verso sud-est. Se il jet streak si trova a destra (cioè dopo, a est) dell'asse di saccatura, allora la saccatura diverrà più debole e si muoverà verso nord-est. Il jet stream è quindi un potente mezzo di previsione, in quanto permette di prevedere dove attendersi il prossimo sistema perturbato e come si svilupperà. Nell'alta troposfera vengono anche mostrate le carte di vorticità potenziale (PV): questa grandezza è in pratica il rapporto tra vorticità assoluta e stabilità dell'aria. Intuitivamente la si può considerare, Daniele Longo - 769922304 La meteorologia e la sua terminologia analogamente alla vorticità assoluta, come legata alla rotazione, e sarà positiva per circolazione ciclonica. Sebbene anche in troposfera venga generata PV, questa è relativamente insignificante rispetto alla PV generata in stratosfera (la stratosfera è infatti caratterizzata da alti valori di PV). Quando in troposfera si ha intrusione di aria stratosferica allora viene generata vorticità ciclonica in quota, alla quale è a sua volta associata divergenza e ad un richiamo di aria dagli strati sottostanti. Quindi vengono forzati moti ascendenti con conseguente peggioramento meteorologico. Se l'intrusione stratosferica si accoppia con una circolazione ciclonica nei bassi strati allora si avrà la formazione di un sistema depressionario vigoroso. La discesa della stratosfera è quindi un fattore discriminante per avere sistemi depressionari intensi. Daniele Longo - 769922304 La meteorologia e la sua terminologia Parte VII Le mappe di spessori, ovvero di thickness, mostrano la differenza tra l'altezza geopotenziale della 500 hPa e quella della 1000 hPa. In pratica è la misura (espressa solitamente in metri) della distanza che separa queste due superfici isobariche. Chiaramente quanto più l'aria racchiusa in questo strato di atmosfera è calda e umida, quindi leggera, tanto maggiore è lo spessore. Viceversa, aria fredda e secca è caratterizzata da bassi valori di spessore. Sostanzialmente le mappe di spessore sono un ulteriore strumento per individuare masse d'aria a diverse temperature. Inoltre evidenziano anche i fronti, localizzati nelle zone in cui le linee di spessore sono molto ravvicinate (forte gradiente termico). Su una carta di thickness la posizione del fronte freddo corrisponderà al bordo più avanzato dell'area con bassi valori di spessore che avanza verso l'aria più calda (elevati valori di spessore). Le avvezioni di spessore corrispondono ad avvezioni termiche. Un'avvezione di spessori piccoli altro non è che un'avvezione fredda. Forti avvezioni termiche sono in grado di modificare lo spessore, ma se ciò non avviene allora significa che sono in atto processi concorrenziali. Ad esempio se un'avvezione calda non è in grado di fare aumentare lo spessore 1000-500 hPa in una certa area, allora si saranno attivati moti verticali in grado di produrre, in presenza di un adeguato tasso di umidità, nubi e precipitazioni. In generale lo spessore dello strato aumenta a causa di avvezione calda o di riscaldamento diabatico (es. dovuto alla radiazione solare), mentre diminuisce in seguito ad avvezione fredda o raffreddamento diabatico (es. dovuto a evaporazione o a irraggiamento). Infine le mappe di spessore possono essere utilizzate per prevedere il movimento dei sistemi convettivi organizzati, ovvero dei mesoscale convective systems (MCS). Infatti un MCS tende a restare nello stesso campo termico nel quale si è originato e di conseguenza si muove parallelamente alle line di uguale spessore (a differenza dei temporali a singola cella che si muovono invece seguendo il flusso medio tra 1000 e 500 hPa, ovvero con buona approssimazione seguendo le isoipse a 700 hPa). Fa eccezione il caso in cui le isolinee di spessore siano diffluenti dinnanzi al MCS. In tal caso il MCS si propaga all'indietro, allontanandosi dalla zona di diffluenza. Daniele Longo - 769922304 La meteorologia e la sua terminologia Parte VIII Tra gli output dei modelli esistono numerose altre carte che possono essere consultate per analizzare e prevedere il tempo. Tra le più gettonate ci sono sicuramente le carte di precipitazione e copertura nuvolosa. La mappe di precipitazione mostrano la quantità di pioggia, espressa in mm, che raggiunge il suolo in un certo arco di tempo (1, 3, 6, 12 o 24 ore) che precede l'istante segnato sulla mappa stessa. Sono carte assai intuitive e che necessitano ben poche spiegazioni, se non alcuni consigli. Innanzi tutto vanno usate con cautela, tenendo ben presente che il campo di precipitazione è sempre affetto da un notevole grado di imprecisione. Gli errori nascono sia dal fatto che la precipitazione non è una variabile primaria del modello, ma è ottenuta dalle variabili del modello attraverso procedimenti più o meno semplificati, sia dal fatto che per sua natura ha intrinsecamente un alto grado di impredicibilità. Inoltre, se la precipitazione è di tipo orografico allora risulta necessaria una buona risoluzione della topografia, cosa che non è certamente possibile nei modelli globali (www.meteogiornale.it/news/read.php?id=10167). Quindi ricordarsi sempre che in territori con orografia complessa, come l'Italia, affidarsi ai modelli globali per una previsione precisa di precipitazione e molto rischioso. In teoria i modelli ad area limitata dovrebbero fornire risultati migliori. Nel caso in cui la precipitazione sia di tipo convettivo, ovvero legata a fenomeni temporaleschi, bisogna aver presente che i modelli, anche quelli non idrostatici ad alta risoluzione, hanno non pochi problemi a fornire risultati corretti, in termini di quantità di pioggia e aree colpite (va molto meglio se la precipitazione è dovuta ad una forzante a larga scala). In tal caso bisogna interpretare la carte di precipitazione come probabilità che in una data zona si possano verificare fenomeni temporaleschi con accumuli anche sostanziosi. Alcuni modelli forniscono anche le mappe di precipitazione nevosa. Per queste si raccomanda ancora più cautela, nel senso che in situazioni al limite tra pioggia e neve, anche un solo grado di differenza può far cambiare tutto. Spesso i modelli discriminano tra neve e pioggia in modo piuttosto rozzo ed errori di temperatura di 1-2 gradi sono sempre in agguato. Quindi per evitare grosse delusioni invernali, non fidiamoci ciecamente. Queste mappe mostrano la quantità di neve prevista, accumulata su intervalli di tempo, espressa in mm di acqua equivalente, ovvero l'acqua che si otterrebbe sciogliendo la neve. In prima approssimazione 1 mm corrisponde ad 1 cm di neve al suolo. Anche le mappe di copertura nuvolosa sono assai intuitive. Mostrano la percentuale di copertura nuvolosa del cielo, ma in generale non distinguono tra nubi basse, medie o alte. Quindi il modello può fornire una previsione di cielo coperto, ma tale copertura potrebbe essere dovuta solo a nubi basse senza alcun fenomeno associato. In alcuni casi invece vengono mostrate le nubi alle tre diverse quote che contribuiscono poi, tramite sovrapposizione, alla copertura nuvolosa totale. Chiaramente si hanno informazioni in più. Per le nubi vale quanto detto per la precipitazione: la cautela non è mai troppa, specie se si ha a che fare con modelli globali e tempi di previsione lunghi. Daniele Longo - 769922304 La meteorologia e la sua terminologia Parte IX Sono in generale tutti parametri assai utili per valutare la possibilità di sviluppo di fenomeni temporaleschi e la loro intensità. La CAPE (Convective Available Potential Energy) misura la quantità di energia disponibile per la convezione. Tale energia è resa disponibile dal fatto che la particella d'aria che sale è più calda dell'ambiente circostante ed è quindi spinta a salire ulteriormente. Nei diagrammi termodinamici, la CAPE non è altro che l'area racchiusa tra il profilo della temperatura (curva di stato) e la linea dell'adiabatica (secca o satura, relativa alla particella in esame) quando quest'ultima sta a destra della curva di stato. Valori di CAPE positivi e superiori a 1000 J/kg indicano buona possibilità di temporali, se superano i 2000 J/kg c'è rischio di fenomeni intensi. Affinché si liberi tutta l'energia disponibile (CAPE), a volte è necessario superare una barriera energetica, la quale può essere rappresentata ad esempio da uno strato di inversione. Affinché si sviluppi il temporale bisogna che la massa d'aria raggiunga il livello di libera convezione e la spesa energetica necessaria è indicata dal CIN (Convective Inibition Index) . Valori di CIN alti, maggiori di 75, possono precludere la formazione di moti convettivi. Il LI (Lifted Index) è la differenza, valutata a 500 hPa, tra la temperatura dell'ambiente (indicata dalla curva di stato del diagramma termodinamico) e la temperatura che una particella d'aria viene ad avere sollevandosi dal suolo e seguendo l'adiabatica secca o satura. Se la particella risulta più calda dell'ambiente, allora è forzata a salire ulteriormente: un LI negativo è quindi indice di instabilità e condizioni favorevoli a temporali. LI < -6 indica possibilità di fenomeni intensi. Parente stretto del LI è lo SI (Showalter Index) calcolato allo stesso modo ma considerando le temperature a 850 hPa. Lo si può usare nella stagione fredda. Un altro indice di stabilità è il K-Index o Whiting Index calcolato a partire dalla temperatura e dal dew point a 850 hPa (T850 e TD850) e a 700 hPa (T700 e TD700), e dalla temperatura a 500 hPa (T500), tutti valori ottenibili dal diagramma termodinamico. K-INDEX = T850 - T500 + TD850 - (T700 - TD700). Quando è inferiore a 25 la probabilità di temporali è bassa, tra 25 e 40 ci sono buone probabilità di vedere temporali, quando è superiore a 40 ci si attendono fenomeni temporaleschi anche di forte intensità. Esiste anche una correzione di natura dinamica all'indice K: si aggiunge 5 se a 500 hPa le correnti hanno curvatura ciclonica, si sottrae 5 se la curvatura è anticiclonica. Anche l'indice TT (Total-Totals) valuta la stabilità. Si calcola come (T850 - T500) + (TD850 - T500). Se il suo valore è inferiore a 45 è bassa la probabilità di avere temporali, tra 45 e 50 i temporali sono probabili, mentre se è superiore a 50 c'è anche il rischio di fenomeni violenti. La PW (Precipitable Water) è la quantità di vapore acqueo nella colonna d'aria compresa tra la superficie e la 500 hPa (sopra a 500 hPa la quantità di vapore è generalmente trascurabile, tranne che in caso di convezione già sviluppata), quindi è legato direttamente alla quantità di acqua che può essere disponibile come precipitazione. La PW non rappresenta un limite alla quantità di vapore nella colonna d'aria, poiché altro vapore può essere trasportato dal vento. Come regola empirica, per sistemi temporaleschi che si muovono lentamente, si può stimare la precipitazione moltiplicando per 5 il valore di PW. Lo Sweat Index (Severe WEAther Threat index) o SW, combina diversi parametri termodinamici e di vento per fornire una stima della probabilità di avere fenomeni violenti. Fino a valori di 300 tale probabilità resta bassa, da 300 a 400 sono possibili fenomeni violenti, oltre 400 il rischio è elevato. Ci sono poi vari indici che valutano lo shear (variazione del vento con la quota) e la propensione a moti rotatori, direttamente connessi alla probabilità di avere supercelle, trombe d'aria e tornado. Esempi sono HEL (Helicity amount) , EHI (Energy elicity index) relativi a rotazioni sul piano orizzontale e SREH (Storm-relative environmental elicity) che si riferisce invece a moti verticali (updraft e downdraft). Daniele Longo - 769922304 La meteorologia e la sua terminologia Il clima Clima mondiale Il clima viene definito come l'insieme delle condizioni atmosferiche (temperatura, umidità, pressione, venti...) medie che caratterizzano una determinata regione geografica ottenute da rilevazioni omogenee dei dati per lunghi periodi di tempo (mediamente 30 anni), determinandone la flora e la fauna, influenzando anche le attività economiche, le abitudini e la cultura delle popolazioni che vi abitano. I principali climi presenti sul pianeta Terra sono: Clima alpino Clima continentale Clima desertico Clima nivale Clima temperato Clima equatoriale Clima mediterraneo Clima polare Clima subtropicale Clima tropicale Clima oceanico Clima subartico Clima semiarido Clima alpino Il clima alpino è l'insieme di manifestazioni fisiche e meteorologiche presenti al di sopra della linea degli alberi, e tipico delle catene montuose più importanti, come le Alpi. Il clima diventa più freddo a quote più elevate, con un gradiente termico adiabatico di 10°C per km di elevazione in altitudine: l'aria diventa più fredda quanto più ci s'innalza, in quanto meno densa. Di conseguenza, salire di 100 metri in montagna equivale grosso modo a muoversi di 80 km verso il più vicino polo (45 primi di grado, equivalenti a 0.75° in latitudine). Si tratta di un'approssimazione evidente, soprattutto in prossimità degli oceani. Il climatologo Wladimir Köppen ha dimostrato una relazione tra le linee degli alberi artica e antartica, nonché tra tali linee e l'isoterma dei 10°C: in buona sostanza dimostrò che le aree soggette a temperature non superiori a 10°C non sviluppano vegetazione ad alto fusto. Clima continentale Il clima continentale è il clima tipico della mezza latitudine interna ai grandi continenti dell’ emisfero nord, nelle zone di venti occidentali; un clima simile esiste lungo le coste est e sud-ovest dello stesso continente e anche in alte elevazioni e in certe altre parti del mondo. Questo clima è caratterizzato da temperature invernali abbastanza fredde di supporto ad un periodo fisso di neve stabile ogni anno, e relative a basse precipitazioni che capitano soprattutto in estate, sebbene le aree delle coste dell’est (soprattutto in America Settentrionale) in maggio, mostrano una costante distribuzione di precipitazioni. Clima desertico In geografia si definisce deserto un'area del tutto o quasi disabitata, in cui non piove quasi mai (meno di 250 mm all'anno), il terreno è arido e non coltivabile. Si tratta in genere di aree non adatte all'insediamento di raggruppamento sociali umani e la loro estensione raggiunge circa il 30% delle terre emerse, (16% deserti caldi e 14% deserti freddi). Daniele Longo - 769922304 La meteorologia e la sua terminologia Se ne suole distinguere due tipologie principali: aree a clima caldo (deserto roccioso, sabbioso, a dune), presenti nelle regioni tropicali, caratterizzate da accentuata aridità, vegetazione ridotta o assente, mancanza di corsi d'acqua perenni, tendenza alla siccità; aree a clima freddo (deserto freddo, deserto bianco), presenti nelle regioni settentrionali e meridionali a margine dei continenti boreali e australi (Groenlandia, Artide e Antartide), caratterizzate da freddo intenso e perenni distese di neve e ghiaccio. I paesaggi desertici possiedono alcune caratteristiche comuni. I deserti caldi sono spesso composti per la stragrande maggioranza da sabbia, che per l'azione del vento dà luogo alle caratteristiche dune. Anche affioramenti di strutture rocciose sono abbastanza comuni e la vegetazione è molto scarsa. I deserti freddi sono invece composti soprattutto da ghiaccio e l'assenza di vegetazione è quasi totale. Deserti caldi e freddi sono accomunati comunque da un fattore preponderante: il vento. Clima nivale Un clima nivale è un clima molto freddo, con precipitazioni prevalentemente nevose e temperature rigidissime durante tutto l'anno (fino a -40°). Questa fascia climatica si estende nella zona dei due poli e in parte dell'emisfero boreale. La vegetazione è prevalentemente composta da muschi e licheni, la fauna da diverse specie animale tra cui il lupo, l'orso, la volpe, l'ermellino che usano la bianca neve per mimetizzarsi e difendersi dai pochi abitanti di quelle zone che vivono di caccia per le pellicce. Da quelle zone provengono molti dei legni più pregiati. Daniele Longo - 769922304 La meteorologia e la sua terminologia Clima temperato Il clima temperato comprende i numerosi climi delle zone comprese tra i paralleli 30 e 50 in entrambi gli emisferi. Il clima temperato oceanico Il clima oceanico è il clima delle coste occidentali dei continenti: il nordovest degli Stati Uniti d'America (lo stato di Washington), le isole britanniche, le zone atlantiche della Francia, le coste del mar del Nord e della Manica. Caratteristica precipua di questo tipo di clima sono il totale annuale delle precipitazioni e la debole escursione termica. Le estati non sono quasi mai aride, a parte qualche eccezione, come ad esempio l'estate 2005 nell'Europa occidentale. Il clima oceanico dégradé Nelle zone interne dei continenti, quindi più lontane dai fattori mitiganti del mare, il clima temperato oceanico si modifica: l'escursione media annuale aumenta; è più freddo in inverno e più caldo in estate. le precipitazioni annuali in pianura sono meno importanti. i venti perdono la loro forza. Questo clima a questo punto si può definire un clima temperato continentale. Il clima mediterraneo Il clima mediterraneo può essere visto come una sottocategoria del clima temperato, ma a seconda della posizione geografica (proprio la presenza del mare stesso ad esempio) si possono avere delle modifiche climatiche e meteorologiche anche abbastanza importanti; diluvi o periodi di aridità estivi. Clima temperato freddo Il clima temperato freddo si può dividere in due diversi climi: il clima temperato freddo con estate calda e il clima temperato freddo con inverno lungo. Il primo è caratterizzato da un inverno freddo con temperature che si aggirano normalmente sui 5°C ma che possono raggiungere con poche difficoltà anche gli 0°C. Le estati sono invece di solito piuttosto calde con temperature che variano dai 20 ai 30 gradi e si aggirano normalmente sui 25°C; non è comunque difficile rilevare, in estate una temperatura anche oltre i 33°. E' il genere di clima che troviamo nella foresta temperata, nella steppa e nella prateria. Un paese caratterizzato da questo clima è il Kazakistan. Il secondo è caratterizzato da un inverno lungo e spesso freddo con punte di anche -10°. Le estati sono invece fresche con temperature pressappoco sui 20 gradi. Questo tipo di clima possiamo trovarlo nella taiga e nelle foreste di montagna. Un particolare stato che predispone di questo clima è il Canada, specialmente la parte meridionale e quella centrale. Clima temperato fresco Il clima temperato fresco presenta un inverno mite con temperature sui 5-10° e un'estate fresca sui 20°, difficilmente la temperatura va sotto lo zero. Questo particolare tipo di clima può essere definito anche clima atlantico se riguarda i paesi affacciati su esso. Spesso, troviamo un clima temperato fresco nella foresta temperata a latifoglie. Paesi che presentano questo particolare tipo di clima sono Irlanda, Gran Bretagna, Nuova Zelanda. Clima equatoriale La zona torrida o zona tropicale è la zona del globo terrestre compreso tra i due tropici: il Tropico del Cancro a Nord ed il Tropico del Capricorno a Sud. Questa zona è quindi delimitata dai paralleli di latitudine 23° 27' Nord e 23° 27' Sud, estendendosi per 46° 54'. Questa zona è caratterizzata dal fatto che i giorni e le notti sono prossimi entrambi alle 12 ore durante tutto l'anno. Questo è dovuto al fatto che i raggi solari (a mezzogiorno) sono sempre quasi perpendicolari al terreno determinando un clima abbastanza costante durante tutto l'arco dell'anno. È l'unica zona in cui è possibile osservare il fenomeno del sole allo zenith: quando i raggi del sole arrivano al suolo perpendicolari facendo scomparire tutte le ombre. Questo fenomeno capita durante il mezzogiorno del 21 giugno Daniele Longo - 769922304 La meteorologia e la sua terminologia (solstizio d'estate) al Tropico del Cancro ed il 21 dicembre (solstizio d'inverno) al Tropico del Capricorno; nelle altre zone comprese nella fascia capita invece due volte all'anno. Le temperature medie di questa zona sono tra le più elevate del pianeta causando una forte evaporazione delle acque (ci sono fiumi e laghi che annualmente o saltuariamente vengono completamente prosciugati dall'evaporazione) ed un clima costantemente caldo. In tale fascia si alternano zone caratterizzate da forti precipitazioni che generano le foreste tropicali o pluviali a zone dove le precipitazioni sono molto scarse dove si sono creati i più grandi ed aridi deserti della Terra. In questa fascia è molto raro che vi siano delle nevicate a basse quote. L'acqua superficiale degli oceani, riscaldata dal Sole, forma varie correnti marine, tra cui la famosa è la corrente del Golfo del Messico che mitiga gli inverni nel nord-ovest dell'Europa. Clima mediterraneo Il clima mediterraneo ha lunghe estati calde e asciutte ed inverni miti. È tipico delle regioni che si affacciano sul Mar Mediterraneo: il sud della Spagna, della Francia, della penisola balcanica e l' Italia peninsulare. L'agricoltura e l'allevamento vi sono praticati da secoli. È il clima più caldo d'Europa, ed ha la variante del Clima mediterraneo continentalizzato, noto anche come Clima della Sicilia centrale, proprio appunto della Sicilia centrale e della regione spagnola di Madrid. Clima polare Il clima polare è un insieme di manifestazioni di temperatura e pressione che creano durante l'anno la meteorologia dei poli terrestri e delle regioni all'interno dei circoli polari. La principale caratteristica dei climi polari sta nella temperatura di queste zone, che raramente supera i 10°C anche nei più caldi giorni d'estate. Le regioni a clima polare si dividono fondamentalmente in due classi: le aree polari vere e proprie (Antartide, Groenlandia) e le aree sub polari quali la tundra, dove il terreno semi permanentemente gelato impedisce la crescita di alberi ad alto fusto. Clima subtropicale Il Clima Subtropicale è il clima tipico delle coste poste tra il Tropico del Cancro e i 40° di Latitudine Nord nell'Emisfero boreale e tra il Tropico del Capricorno e i 40° di Latitudine sud dell'Emisfero australe. E' caratterizzato da una stagione calda (+24°/+29°) e secca e una piovosa e mite (16° - 18°/20° - 22°), con rare giornate di freddo e rarissime gelate. Daniele Longo - 769922304 La meteorologia e la sua terminologia Clima tropicale Il clima tropicale è il clima delle due fasce della Terra attorno al Tropico del Cancro e al Tropico del Capricorno. È caldo e caratterizzato da altissimi livelli di piovosità. In questo clima si sviluppano le foreste tropicali o pluviali. Clima oceanico Il clima oceanico (anche chiamato clima marino della costa ovest e clima marittimo) si trova tipicamente lungo le coste ovest alle medie latitudini in tutti i continenti del mondo e nell'Australia sud-orientale. Climi simili si trovano anche sulle alture delle coste tropicali. In genere, rientrano nella Classificazione dei climi di Koppen come Cfb o Cwb. I climi oceanici sono caratterizzati da una piccola variabilità della temperatura durante l'anno e differiscono dal clima mediterraneo in quanto durante l'estate si verificano molte più precipitazioni. Le precipitazioni sono pertanto possibili in ogni periodo dell'anno, eccetto che nelle aree tropicali, che avranno climi più simili a quello della Savana (con clima secco in inverno). Un'altra eccezione parziale è il nord-ovest del Pacifico, in cui le estati sono relativamente secche, ma la stagione delle piogge è molto umida e abbastanza lunga per evitare l'arsura estiva che si verifica invece nelle regioni a clima mediterraneo. Le caratteristiche della temperatura variano tra i climi oceanici: le regioni a più bassa latitudine sono subtropicali da un punto di vista di calore, ma più comunemente prevale un clima mesotermico, con inverni freschi ma non freddi ed estati tiepide ma non calde. Le estati sono generalmente più fresche che nelle aree con clima umido subtropicale. Spostandosi verso i poli, c'è una zona di clima oceanico subpolare, con inverni relativamente miti ed estati fresche che durano meno di quattro mesi: in questa fascia di clima cadono, ad esempio, la costa dell'Islanda (emisfero boreale) e il sud del Cile (emisfero australe). I climi oceanici sono classificati come umidi, in relazione alle precipitazioni, mentre esiste l'eccezione del clima oceanico della Patagonia che è invece un clima oceanico secco. Clima subartico Le regioni che hanno il clima subartico (chiamato anche clima boreale) sono caratterizzate da un inverno particolarmente freddo e da una estate breve e calda. Questo tipo di clima offre delle notevoli escursioni termiche: in inverno la temperatura arriva ai – 40°C ( oppure i – 40°F) ed in estate le temperature giungono fino ai 30° (86° F). Il clima subartico è considerato un sottotipo del clima continentale. La vegetazione del clima subartico è generalmente scarsa, solo alcune specie sono capaci di sopravvivere al lungo freddo ed alla corta estate. Sono perlopiù limitate alle belle conifere dai grossi tronchi, maggiormente abili alla sopravvivenza veramente difficile alle temperature invernali della Taiga. Clima semiarido I climi aridi sono tipici dei deserti caldi delle zone tropicali e subtropicali e dei deserti freddi in inverno delle medie latitudini. La loro vegetazione tipica è costituita da cespugli spinosi ed erbe sparse. Le steppe, tipiche dei climi semiaridi, si formano lungo i margini leggermente più umidi dei deserti tropicali e in larghe fasce della parte occidentale del Nord America e dell'Asia centrale. La loro principale caratteristica sono i cespugli e l'erba bassa. Daniele Longo - 769922304 La meteorologia e la sua terminologia Le aree della Terra risultano quindi mediamente suddivise per tipi di clima secondo questo criterio: Il clima terrestre viene inoltre suddiviso secondo un’altra precisa classificazione studiata da uno scienziato tedesco. Il sistema di classificazione dei climi normalmente adottato, basato sulle differenze di temperatura e precipitazioni, è quello formulato dal climatologo tedesco Wladimir Köppen all'inizio del XX secolo. Il suo fondamento consiste nell'osservazione che l'effetto più evidente e diretto del clima è il tipo di vegetazione associato. Ne risulta una suddivisione della Terra in cinque grandi aree climatiche, ciascuna corrispondente all'area di distribuzione di una particolare categoria di piante. Queste ultime si distinguono infatti in cinque classi, a seconda delle condizioni ambientali di cui abbisognano: le megaterme crescono in presenza di temperature medie superiori ai 20 °C; le mesoterme sono tipiche delle temperature comprese tra i 15 e i 20 °C; le microterme sono caratteristiche delle temperature comprese tra 0 e 15 °C; le echistoterme crescono in presenza di temperature molto basse, oltre il limite della vegetazione arborea; infine le xerofite sono le piante adattate ad ambienti aridi, caratterizzati da lunghi periodi di siccità. In base a questa classificazione della vegetazione si distinguono cinque grandi fasce climatiche: quella del climi tropicali umidi, corrispondente all'area di diffusione delle piante megaterme; quella dei climi aridi, in cui crescono le piante xerofite; quella dei climi temperato-caldi, in cui si trovano le piante mesoterme, quella dei climi boreali, corrispondente alla zona di distribuzione delle piante microterme e, infine, la zona polare, in cui crescono le piante echistoterme. Climi tropicali umidi Tipici della fascia equatoriale calda compresa tra i due tropici, i climi tropicali umidi sono del tutto privi di una stagione invernale. La temperatura media è costantemente superiore ai 18 °C e l'escursione termica è molto ridotta. Nell'ambito di questa zona climatica si distinguono ulteriormente il clima della foresta pluviale, o clima equatoriale, e il clima della savana. Il primo è caratterizzato da precipitazioni frequenti, il cui effetto più evidente è la vegetazione estremamente rigogliosa della foresta pluviale; lo si trova nella regione amazzonica, nell'Africa centrale e nelle regioni costiere dell'oceano Indiano. Il secondo, quello della savana, è il clima di transizione tra Daniele Longo - 769922304 La meteorologia e la sua terminologia quello equatoriale umido e quello arido della fascia desertica. Presenta una stagione asciutta e una vegetazione dominata dalla prateria erbacea, interrotta da qualche specie arborea di tipo xerofitico. Climi aridi I climi aridi, caratteristici delle latitudini basse e medie a cavallo dei tropici, sono quelli in cui la quantità di precipitazioni non riesce a compensare l'acqua persa per effetto dell'evaporazione. Nell'ambito di questa categoria si distinguono i climi semiaridi, a cui sono associate le steppe predesertiche, e i climi desertici veri e propri. A seconda della posizione geografica, poi, si distinguono ulteriormente regioni desertiche calde, con temperature medie superiori ai 18 °C (tra cui il Sahara, il deserto libico e i deserti iraniani a nord, e il Kalahari e il Gran deserto sabbioso australiano a sud), e regioni aride fredde, con temperature medie inferiori ai 18 °C, situate all'interno delle aree continentali (come il deserto di Gobi e le zone aride della Patagonia meridionale). La vegetazione, molto scarsa, si riduce a poche specie erbacee o arbustive di tipo xerofitico. Climi temperati caldi All'interno di questa ampia categoria si distinguono diversi tipi di climi: quello subtropicale umido, caratteristico delle regioni orientali dei continenti (come le coste orientali della Cina) comprese tra i 25° e i 40° di latitudine; presenta estati calde e afose con abbondanti precipitazioni e inverni anch'essi molto piovosi, ma relativamente freddi; la vegetazione che ne risulta è la foresta subtropicale umida, in cui convivono piante caducifoglie, come il faggio e la quercia, con conifere e piante tropicali come il bambù. I climi marittimi temperato-freschi, caratteristici delle coste occidentali dei continenti comprese tra i 40° e i 60° di latitudine, presentano estati fresche e inverni miti; la temperatura media non scende al di sotto dello 0 °C e non sale al di sopra dei 15 °C; è il clima tipico delle regioni atlantiche europee, che produce una vegetazione di foreste miste di sempreverdi e caducifoglie. I climi mediterranei invece, tipici delle zone occidentali comprese tra le latitudini 30° e 45°, e in particolare delle regioni affacciate sul bacino del Mediterraneo, presentano un massimo di precipitazioni durante l'inverno. L'escursione termica annua è mitigata dalla presenza del mare e la vegetazione tipica è la macchia. Climi boreali Sono i climi caratterizzati da inverni freddi, presenti nelle zone continentali più interne, alle medie latitudini. Sono quindi caratteristici dell'emisfero boreale (da cui il nome), dal momento che in quello australe le masse continentali sono di gran lunga meno estese. Anche all'interno di questa fascia climatica si può operare un'ulteriore distinzione, tra clima umido continentale e clima subartico. Il primo, presente nelle regioni centro-orientali del Nord America e dell'Eurasia comprese tra i 40 e i 50° di latitudine, presenta una stagione fredda di circa 8 mesi, in cui le temperature rimangono inferiori allo 0 °C, e una stagione calda con temperature di circa 20 °C. Le precipitazioni sono più abbondanti in estate; quelle invernali sono parzialmente nevose. La vegetazione associata è quella della foresta di piante decidue (querce, faggi, castagni, betulle, aceri, tigli) e delle steppe, queste ultime presenti soprattutto nelle pianure della Russia e di alcune zone del Nord America. Il clima definito subartico è quello presente tra i 50° e i 70° di latitudine, vale a dire dove si estendono le foreste della taiga, dominate dalle conifere sempreverdi. È caratterizzato da inverni lunghi e freddi e da estati che, seppur brevi, raggiungono comunque temperature relativamente miti. Climi polari Sono definiti polari i climi in cui la temperatura della stagione più calda si mantiene sempre al di sotto dei 10 °C. Nell'ambito di questa classe climatica si distinguono il clima subpolare e il clima di gelo perenne. Il primo, con inverni molto rigidi, estati fresche e precipitazioni scarse durante tutto l'anno, produce una vegetazione priva di specie arboree, costituita essenzialmente da muschi e licheni (tundra). Il clima di gelo perenne, invece, presenta temperature costantemente inferiori allo 0 °C e una vegetazione praticamente assente. Nella fascia interessata da questo clima, in Antartide, Daniele Longo - 769922304 La meteorologia e la sua terminologia nella stazione meteorologica di Vostok, è stata registrata la più bassa temperatura mai misurata sul pianeta, pari a - 91,5 °C. Af = clima tropicale senza stagione arida Aw = clima tropicale con inverno secco BS = clima arido della steppa BW = clima arido del deserto Cf = clima temperato caldo senza stagione secca Cs = clima temperato caldo con estate secca Cw = clima temperato caldo con inverno secco Df = clima temperato freddo senza stagione secca Dw = clima temperato freddo con inverno secco ET = clima freddo della tundra EF = clima freddo del gelo perenne Clima europeo Clima Atlantico: Il clima atlantico interessa le regioni occidentali bagnate dall'oceano atlantico che esercita una azione mitigatrice sulla temperatura Questo clima e caratterizzato da frequenti e abbondanti piogge, portate dai venti tiepidi e umidi che spirano dal mare. Le regioni della costa atlantica oltre a risentire dell'influsso del mare e dei venti occidentali godono i benefici di una corrente marina detta corrente del golfo. Clima Alpino: La temperatura del clima alpino tipico delle catene montuose più alte dell'Europa è rigida in inverno e miti nelle altre stagioni con tempi che oscillano tra 10° nel mese più caldo, -15° nel mese più freddo. Le precipitazioni sono più abbondanti sulle montagne mentre all'estremità settentrionale sono scarse Il Daniele Longo - 769922304 La meteorologia e la sua terminologia clima alpino è tipico delle alpi Scandinave nell'Europa settentrionale, del Caucaso nell'Europa orientale, dei Pirenei nell'Europa occidentale, delle Alpi e dei Carpazi nell'Europa centrale Clima Mediterraneo: La zona a clima mediterraneo comprende tutte le coste bagnate dal mare omonimo. L'interno delle tre penisole (Iberica, Italica, Balcanica) risente poco dell'influsso del mare, perché vi sono numerose catene montuose lungo le coste. Le estati sono calde (23°/25° nel mese più caldo), gli inverni miti (4°/10° nel mese più freddo) e le precipitazioni, molto variabili da regione a regione, sono concentrate di solito in inverno. Lungo tutte le coste del Mediterraneo, dov'è presente un clima mite (detto appunto mediterraneo) si è sviluppata la macchia mediterranea. Clima Continentale: Il clima continentale è caratterizzato da forti escursioni termiche annue con inverni freddi e nevosi ed estati calde. Si distingue in continentale freddo e di transizione. La varietà delle precipitazioni e delle temperature determina diversi ambienti. Clima italiano Il clima in Italia è generalmente temperato. Solo raramente si hanno temperature più alte di 40 gradi centigradi d'estate, o temperature inferiori ai 10 gradi sotto lo zero d'inverno. Le stagioni sono abbastanza ben definite: l'inverno è generalmente freddo, la primavera piovosa con giornate di sole, l'estate calda e secca e l'autunno sereno, più raramente piovoso, ma mai rigido. Essendo molto estesa da Nord a Sud, l'Italia può essere divisa in tre fasce climatiche distinte: Nord: Il Nord-Italia, ovvero la parte compresa tra le Alpi e l'Appennino Tosco-Emiliano, è la zona meno influenzata dall'azione temperante del mare ed ha un clima molto rigido d'inverno (nelle città del Nord-Italia, infatti, non sono rare le nevicate nei mesi di Dicembre, Gennaio e Febbraio), mentre l'estate è molto calda (a volte addirittura torrida) e con alti livelli di umidità. Centro: Il Centro dell'Italia, compreso approssimativamente tra la Liguria e Roma, ha un clima temperato, che non presenta grandi differenze tra le stagioni estreme, anche se si può passare da un inverno piuttosto rigido ad una stagione estiva molto calda. Sud: Il Sud (che comprende anche le isole maggiori, la Sicilia e la Sardegna) ha un clima secco e generalmente caldo, con scarse precipitazioni e periodi di vera e propria siccità. L'inverno non è mai troppo rigido e l'autunno e la primavera hanno temperature più vicine a quelle estive delle altre zone d'Italia che a quelle invernali. In quanto detto non rientrano, ovviamente, le zone di montagna, ossia le zone appenniniche del centro e del sud, che hanno un clima più freddo delle pianure, a causa dell'altezza sul livello del mare. Non bisogna trascurare, infatti, il ruolo che il Mediterraneo, che circonda la penisola su tre lati, ha sul clima italiano. Le zone costiere sono meno calde durante l'estate e meno fredde durante l'inverno rispetto alle zone interne. Daniele Longo - 769922304 La meteorologia e la sua terminologia Clima varesino Il frafico indica la temperatura media nei mesi di giugno-luglio-agosto (estate) e raffronto con la media dal 1967. Si nota un progressivo aumento medio della stessa temperatura. L’estate più calda risulta essere l’anno 2003 con 26.2°C di media mentre, l’estate più fredda coincide all’anno 1977 con 19.0°C. Il secondo grafico mostra la temperatura media nei mesi di dicembre-gennaio-febbraio (inverno), in questo caso non si nota una netta tendenza all’aumento o alla diminuzione delle T ma, un normale alternarsi di periodi più o meno freddi o caldi della media. Gli inverni più freddi sono stati il 1979 ed il 1985 mentre, quello più caldo risale al 1975. In questo caso non si constata la tendenza all’aumento delle T, in risalto negli altri grafici. Daniele Longo - 769922304 La meteorologia e la sua terminologia Il grafico mostra il totale della precipitazioni annuali in provincia di Varese dal 1966 con una media di circa 1500 millimetri, in questo caso si nota una tendenza alla diminuzione del totale delle precipitazioni annuali e il minimo storico con 971.3 mm proprio negli ultimi anni (2005). Il grafico mostra la temperatura media annuale dal 1967 ad oggi, anche in questo caso si ha una tendenza al progressivo aumento della T media e quindi una tendenza al riscaldamento. L’anno con T media minore risulta essere il 1972 ed il 1978 con 11.4°C; l’anno con T media più alta è invece il 2003 con una T media di 14.1°C. Daniele Longo - 769922304 La meteorologia e la sua terminologia Il seguente grafico mostra la temperatura media del mese di Marzo con un minimo storico nell’anno 1971 (4.6°C) ed un massimo nell’anno 1994 (12.3°C); la media climatica è di 8.2°C e anche in questo caso, la tendenza dal 1989 è verso un aumento della T media in Marzo, anche se negli ultimi anni, essa è mediamente calata. Questo grafico raffigura il totale delle precipitazioni, espresso in mm, del mese di febbraio considerando l’ultimo trentennio. Febbraio più piovoso nell’anno 1973 con circa 277 mm, febbraio più secco nell’anno 1999 con circa 0.6 mm. La media del mese si attesta intorno agli 78.0 mm, la tendenza media fa notare un progressivo calo delle precipitazioni, anche se negli ultimi anni vi è un costante alternarsi di mesi sopra media e mesi decisamente sotto media. Daniele Longo - 769922304