convegno mfe-presidenza del consiglio comunale

29 NOVEMBRE 2002 (ORE 17)
PALAZZO MARINO-SALA TEMPERE
CONVEGNO MFE-PRESIDENZA DEL CONSIGLIO COMUNALE
“OBIETTIVO FEDERAZIONE EUROPEA: LA RESPONSABILITÀ
DEI PAESI FONDATORI E IL RUOLO DELL’ITALIA”
INTERVENTO DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO COMUNALE
GIOVANNI MARRA
“Avremo pace vera, quando avremo gli Stati Uniti
d’Europa”
Carlo Cattaneo
“L’Europa costituisce una vera e propria comunità
di destini. Senza fiducia nel futuro non riuscirà a
guidare le proprie sorti”
Carlo Azeglio Ciampi
C’è una valenza altamente simbolica nell’incontro organizzato dagli amici del
Movimento Federalista Europeo, cui rivolgo il mio benvenuto a nome del Consiglio
comunale che ho l’onore di rappresentare. Palazzo Marino - la casa di tutti i milanesi
- diventa oggi il luogo di riflessione e di rilancio sul futuro dell’Europa, consentendo
così alla nostra città di recuperare il ruolo che essa ha avuto nella storia.
Da Cattaneo a Spinelli: la vocazione europea di Milano. In un’Italia guidata da
una profonda ispirazione universale connaturata alle sue stesse radici repubblicane, in
una Nazione che è fedele depositaria dei Trattati di Roma e voce autorevole nel
segnare la rotta comunitaria fin dalle origini, Milano è la città con la più forte
vocazione europea.
È una vocazione che discende dalla sua nobile tradizione del libero pensiero
risorgimentale e si richiama a un protagonista straordinariamente moderno di
quella civiltà e di quella cultura: Carlo Cattaneo. Ancora oggi, a 150 anni di
distanza, è viva e manifesta l’attualità del suo messaggio: l’idea del patto federale
come “sola possibil forma d’unità tra liberi popoli”, nella convinzione che è “meglio
vivere amici in dieci case diverse, che discordi in una sola”. Una soluzione politica
auspicata non solo per il nostro Paese - la formula degli “Stati Uniti d’Italia” - ma
anche per l’Europa: un ordinamento capace di allontanare lo spettro di nuove
conquiste o di ulteriori avventure belliche.
“Quel giorno che l’Europa potesse, per consenso repentino, farsi tutta simile alla
Svizzera, tutta simile all’America - sosteneva Cattaneo - quel giorno ch’ella si
scrivesse in fronte Stati Uniti d’Europa (…) si trarrebbe da questa luttuosa necessità
delle battaglie (…)”. E ancora: “Avremo pace vera, quando avremo gli Stati Uniti
d’Europa”.
In tempi più recenti, dopo la pagina tragica della prima guerra mondiale, fu Luigi
Einaudi a diffondere nuovamente da Milano lo spirito del federalismo. Lo fece
sulle colonne del Corriere della Sera, firmando con lo pseudonimo di Junius alcune
lettere molto critiche verso il progetto di una Lega delle Nazioni dell’allora
presidente statunitense Woodrow Wilson. Traendo esempio dalla storia americana e
dal periodo di disordine e anarchia derivante dall’unione di 13 Stati sovrani e
indipendenti, Einaudi riteneva che, anche in ambito europeo e mondiale, si dovesse
“saltare il passaggio inutile della società confederale e puntare direttamente alla
creazione di una grande federazione”.
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Su questo terreno ambrosiano, così fertile per le idee, fiorirono anche importanti
realizzazioni concrete già nel corso della seconda guerra mondiale. A Milano nacque
infatti il Movimento Federalista Europeo, fondato nell’agosto del 1943 da uno dei
Padri della Comunità: Altiero Spinelli.
E, proprio da qui, a partire dagli anni Cinquanta, il Movimento lanciò numerose
campagne, anticipando sempre i grandi temi del dibattito collettivo. Dalla
rivendicazione del potere costituente del popolo europeo, alla richiesta
dell’elezione diretta del Parlamento di Strasburgo, dalla petizione in piazza
Duomo per la moneta unica nel 1978, all’imponente manifestazione popolare in
occasione del Vertice di Milano del 1985: mentre i Capi di Stato e di governo riuniti
al Castello Sforzesco gettavano le basi dell’Atto Unico, 100mila persone di ogni
nazionalità - vere e proprie “avanguardie viventi del popolo europeo”, come le definì
Mario Albertini - sfilarono per le strade a sostegno del progetto di Trattato
dell’Unione. Un impegno proseguito nel tempo, fino all’ultima iniziativa la scorsa
primavera in Cordusio: l’appello per uno Stato federale ai governi dei Sei Paesi
fondatori.
Milano, infine, ha ritenuto doveroso ricordare quest’anno, nell’anniversario di
Maastricht, l’importanza di quello storico trattato che ha cambiato i destini di oltre
300 milioni di persone, consentendo anche al nostro Paese l'ingresso nella moneta
unica: un evento ispirato alle intuizioni di Jean Monnet e di tutti i Padri fondatori, di
“non coalizzare gli Stati ma di unire gli uomini”.
Alla memoria di Guido Carli, che firmò per l’Italia quel documento come ministro
del Tesoro, quest’Amministrazione ha conferito la massima onorificenza civica il
6 maggio scorso, come riconoscimento di un contributo decisivo al progresso della
vita comunitaria: il cuore della sovranità trasferito dalle Nazioni all'Europa,
realizzando - come osservò allora il Cardinale Carlo Maria Martini - “un nuovo
modello di unificazione dei popoli, l'esempio di un vero governo sopranazionale e di
un’autentica democrazia internazionale”. Un cambiamento che ha rafforzato il senso
dello stare insieme: non una semplice integrazione di mercati, ma una più solida
“casa comune”.
Milano ha dunque avuto un ruolo storico determinante nel far germogliare
l’idea di sovranazionalità, segnando in modo indelebile il progetto di Europa
unita e la sua evoluzione: un progetto che, per sua natura, oltrepassa le frontiere degli
Stati e accomuna i cittadini di tutto il Continente, diversi per tradizione e storia, ma
legati dalle grandi scelte che influenzano il loro comune destino.
Il rilancio degli “Stati Uniti d’Europa”. In un momento decisivo come quello
attuale, in cui la Convenzione europea è chiamata a tracciare l’evoluzione delle
strutture comunitarie, Milano può e deve continuare a dare il proprio contributo
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alla costruzione degli “Stati Uniti d’Europa”. Esistono oggi almeno quattro
condizioni che ci sollecitano a guardare con ambizione e coraggio al futuro della Ue.
1. La moneta unica che, come ha detto il nostro presidente Ciampi, è “capace di
conciliare le diverse anime dell'Europa”. Una realtà che, oltre a generare una
maggiore domanda di “governo” dell’economia, rafforza in tutti i cittadini il
senso di un’identità collettiva, la consapevolezza di un’appartenenza comune.
2. Le prospettive dell’allargamento: l’importanza di ricondurre nella civiltà e
nella storia dell’Occidente l’altro volto, troppo a lungo oscurato, del
Continente, completandone così la riunificazione storica dopo la caduta del
Muro di Berlino. Un percorso che, non solo rappresenta una grande
opportunità di mercato, ma ha anche una valenza politica e morale altissime.
Nella situazione attuale, questi due eventi portano con sé il rischio di un doppio vuoto
politico: di responsabilità rispetto alla Banca centrale europea, e di governabilità
rispetto al raddoppio dei Paesi membri dell’Unione.
3. La gestione efficace dei problemi su scala europea, come il rischio
recessione, il lavoro, la sicurezza e la difesa, l’emarginazione e la povertà.
4. Il “bisogno d’Europa” nel mondo, l’aspettativa diffusa di un ruolo in campo
internazionale. Ma anche l’aspirazione nel resto del pianeta a un modello
ideale di sviluppo economico, sociale, culturale. Di pace, soprattutto, la
conquista più importante da oltre mezzo secolo, quella di cui i Padri fondatori
“ci hanno donato la chiave”, come ha detto Ciampi in visita a Milano nel
luglio del 2001.
Il mondo già identifica in molti campi l’Unione come interlocutore unico. La
comunità internazionale si aspetta che l’Europa parli con una voce sola in difesa dei
diritti umani, della solidarietà, di un equilibrio fondato sulla pace, la stabilità, la
cooperazione. La nostra presenza sulla scena globale si pone oggi in termini
nuovi, rendendo sempre più evidenti i limiti di una “casa” costruita interamente
intorno alla moneta.
Un esempio per tutti: la tragedia dell’11 settembre. Quella data ha dimostrato in
maniera indelebile che il terrorismo è in grado di ferire al cuore i valori costitutivi
dell’identità europea: la libertà, la tolleranza, la democrazia.
La gravità di questa minaccia, insieme alla straordinaria accelerazione
dell’interdipendenza economica, incalzano l’Europa ad assumersi in pieno la
responsabilità di una sua presenza più incisiva, affrontando anche il nodo di una
guida politica unitaria. La incalzano ad agire come rappresentante unico di interessi
collettivi, conquistando quella statura internazionale che le compete per dimensioni,
risorse e storia e che, sola, contribuirà a risolvere le grandi sfide del nostro tempo.
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Il più recente riconoscimento in questo senso è dell’economista Tommaso Padoa
Schioppa - unico italiano a sedere nel board della Bce -intervistato ieri da un
importante quotidiano.
Una politica estera comune significherebbe dare un enorme contributo a un mondo
che ha bisogno di ordine, sicurezza, giustizia sociale, crescita economica.
Significherebbe portare e sostenere ovunque quelle conquiste di civiltà proprie
dell’Europa.
È un messaggio che rivolgo al console tedesco Folkmar Stoecker, che segue
l’incontro di oggi. So che c’è un analogo interesse da parte del consolato degli Stati
Uniti a Milano. È un’attenzione che ci onora, in sintonia con i sentimenti di fraternità
e i legami di amicizia che ci uniscono così profondamente. È stato grazie all’Alleanza
Atlantica che il nostro Paese non ha conosciuto nuove dittature e totalitarismi. Ed è
stato anche grazie al sostegno economico degli Stati Uniti a partire dal Piano
Marshall che, non solo l’Italia ma l’Europa, hanno attraversato oltre mezzo secolo di
benessere e di stabilità.
Dalla metà del Novecento la pace poggia su due pilastri: l’integrazione
comunitaria e la stretta cooperazione con gli Stati Uniti. Come ha riconosciuto il
nostro Presidente della Repubblica, “insieme, Europa e America sono la miglior
garanzia di stabilità internazionale, la miglior difesa dal terrorismo e dalla
diffusione delle armi di distruzione di massa, la miglior locomotiva di sviluppo
economico e diffusione del benessere”. Su questi stessi pilastri e sulla piena
condivisione da parte della Russia delle scelte dell’Occidente, può fondarsi la
pace mondiale nel terzo millennio.
“Sei popoli, una sola famiglia, per il bene di tutti”, era stata la speranza di Alcide De
Gasperi in occasione della firma dei Trattati di Roma in Campidoglio: una frase
riprodotta su migliaia di manifesti che tappezzavano i muri della Capitale.
Oggi, 45 anni dopo quell’evento straordinario nella storia del vecchio Continente,
possiamo giustamente considerare la Comunità come la più forte eredità del secolo
che ci siamo lasciati alle spalle. Una vittoria della civiltà, della libertà, del progresso,
che ci ha consentito di non restare relegati ai margini della storia maggiore, come
avvenne invece in epoca rinascimentale agli staterelli della nostra Penisola rispetto ai
nascenti Stati nazionali.
L’Unione esprime, da sempre, una vocazione al superamento delle barriere nazionali.
Questa vocazione va rafforzata con il secolo che si è aperto. C’è una nuova polis
europea da costruire, che tenga conto di un comune destino e sia la sintesi più
avanzata dei fondamenti ideali che appartengono a una memoria storica condivisa.
C’è da dare una nuova dimensione alla convivenza dei popoli e un rinnovato assetto
politico-istituzionale all'intero Continente: un ordine fondato su una più forte identità
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collettiva arricchita dalle singolarità locali, con leggi e istituzioni autenticamente
sopranazionali, dove l’Europa sia capace di svolgere efficacemente anche un ruolo di
pace e di intervento umanitario nel mondo.
È certamente un obiettivo ambizioso che richiede coraggio e capacità progettuali. Ma
è anche vero che, dalla fine della seconda guerra mondiale, solo gli obiettivi più
ambiziosi sono stati realizzati in Europa. Solo chi, come i Padri fondatori, ha saputo
intravedere anche nei momenti più bui la luce sufficiente a illuminare il passo
successivo, è riuscito ad affermare con successo lo spirito comunitario di fronte alle
sfide poste dalla Storia.
Credo che sia importante lavorare per questo obiettivo, anche in vista del semestre di
presidenza italiana che si aprirà nella seconda metà del 2003. Recupereremmo, in
tal modo, la tradizione che ha visto legati al nostro periodo di guida alcuni dei
passaggi più significativi della vita della Comunità: dai Trattati di Roma nel ’57 alla
decisione di procedere all’elezione diretta del Parlamento europeo nel ’75, dalla
conferenza intergovernativa dell’85 che sfociò nell’Atto Unico, all'impulso dato
all'Unione monetaria nel ’90.
La voce del nostro Paese ha tenuto ferma, a volte forzando qualche resistenza dei
partner, la rotta verso l’Unione. Penso a quando nel 1951 - in piena discussione sulla
Ced, la Comunità europea di difesa - De Gasperi riuscì a strappare a Schuman e
agli altri ministri dei Sei la decisione di aggiungere alla costruzione dell’esercito
europeo anche quella della Comunità politica.
Sarebbe significativo rilanciare, a 50 anni di distanza, il contributo di De
Gasperi, confermando nuovamente la nostra responsabilità storica nel garantire
il progresso dell’Europa.
Sarebbe tanto più significativo in questo momento, in cui siamo orientati a
“sintonizzare” maggiormente il nostro federalismo con quello europeo come due
facce della stessa medaglia, due elementi di un unico disegno.
L’Europa è un’opera che appartiene a tutti: a chi l’ha fondata e a noi che dobbiamo
superarne l’incompiutezza. È - per concludere con un’annotazione del presidente
Ciampi - “un patto della coscienza e della solidarietà pienamente operante fra
generazioni di europei”. Un po’ come le imprese, a volte secolari, per costruire le
grandi cattedrali del Medioevo, animate al fervore intellettuale, civile e spirituale che
ogni generazione trasmetteva a quella successiva: anche noi dobbiamo aggiungere le
nostre pietre a una costruzione che si eleva nel tempo.
È questa la grande avventura del XXI secolo, nella speranza che possa essere
veramente il secolo dell’Europa.
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