MATERIALI AVANZATI PARTE II – SMART MATERIALS E NANOCOMPOSTI Nuove classi di materiali promettono di rivoluzionare la scienza dei materiali come mai era successo nella storia dell’umanità “Con un po’ di esperienza, è facile distinguere fin dal principio le strutture che possono stare in piedi da quelle che cascano o che vanno subito a pezzi, o da quelle altre che sono possibili solo sulla carta. Ma siamo sempre dei ciechi, anche nel caso migliore, cioè che la struttura sia semplice e stabile: ciechi, e non abbiamo quelle pinzette che sovente ci capita di sognare di notte, come uno che ha sete sogna le sorgenti, e che ci permetterebbero di prendere un segmento, di tenerlo ben stretto e dritto, e di incollarlo nel verso giusto sul segmento che è già montato. Se quelle pinzette le avessimo (e non è detto che un giorno non le avremo) saremmo già riusciti a fare delle cose graziose che fin adesso le ha fatte solo il Padreterno, per esempio montare non dico un ranocchio o una libellula, ma almeno un microbo o il semino di una muffa.” Primo Levi – “La chiave a stella” La scoperta alla fine del XX secolo di nuove classi di materiali come i “materiali intelligenti” (smart materials) e i nanomateriali, ha portato ad una serie di applicazioni tecnologiche e di ricerche di base che dominano largamente l’attuale sviluppo della scienza dei materiali aprendo la strada ad un nuovo modo di progettare e realizzare materiali sintetici. SMART MATERIALS Gli smart materials (SM) sono stati definiti come materiali che rispondono a stimoli ambientali modificando le proprie caratteristiche fisiche, come dimensione, forma, conducibilità elettrica o magnetica, proprietà ottiche. Gi stimoli possono essere la pressione, la temperatura, il campo elettrico o magnetico, la pressione idrostatica o le radiazioni nucleari. In un senso generale, tutti i materiali subiscono modifiche quando esposti a variazioni nel loro ambiente. Ad esempio, il volume incrementa con la Figura 1 - Struttura schematica di un sistema intelligente temperatura e su questo principio si basano alcuni materiali utilizzati in applicazioni come il termostato che è formato da una lamina costituita da due metalli uniti insieme che presentano coefficienti di dilatazione differenti. Una variazione di temperatura determina un piegamento della lamina che chiude o apre un circuito elettrico. Ciò che rende diversi questi materiali da quelli detti smart è la velocità con cui avvengono le variazioni. In un termostato il tempo può essere di alcuni minuti, mentre gli smart materials rispondono molto velocemente alle variazioni dell’ambiente, spesso in millesimi o milionesimi di secondo. Un’applicazione interessante di questi materiali è il loro uso nei cosiddetti sistemi intelligenti (smart systems o smart structures) (fig.1). Una struttura è definita intelligente quando è in grado di monitorare l’ambiente operativo, di raccogliere 1 informazioni e interpretarle, dando risposte appropriate ai cambiamenti che intervengono nell’ambiente stesso. Essi sono costituiti essenzialmente da un primo SM che rileva una variazione nell’ambiente circostante (sensore), da una unità di controllo che acquisisce ed elabora i dati e che determina che tipo di variazione deve avvenire inviando un segnale allo stesso o ad un secondo SM (attuatore) che inizia a variare una o più proprietà fisiche. Storicamente è stata l’industria aerospaziale a dare un forte impulso a questo tipo di soluzioni progettuali, in quanto è proprio in ambito spaziale, dove l’intervento umano è estremamente difficile, che l’impiego di strutture con capacità di autodiagnosi, automanutenzione e autoriparazione può offrire enormi vantaggi. Oggi questi materiali forniscono numerose applicazioni nelle produzioni industriali, nei sistemi di infrastrutture civili, in biomeccanica e difesa dell’ambiente. Gli SM più comunemente impiegati sono le leghe con memoria di forma, le ceramiche piezoelettriche, i materiali magnetostrittivi e i fluidi elettroreologici e magnetoreologici. Le leghe con memoria di forma (shape memory alloys - SMA) sono metalli che a una certa temperatura, dopo essere stati deformati, riprendono la forma originaria. Durante il processo queste leghe sono in grado di esercitare un'intensa forza che permette loro di fungere da attuatori. Gli SMA furono scoperti dal fisico svedese Arne Olander (1902 – 1984) agli inizi degli anni ’30, che, lavorando con leghe di oro e cadmio, osservò un fenomeno inusuale. Oggetti metallici dopo essere stati deformati, riscaldati a temperature caratteristiche (temperatura di nella loro Figura 2 - Comportamento di un SMA in funzione trasformazione),ritornavano della temperatura forma originale. La lega si comportava come se “ricordasse” la sua forma originale. Comunque, fino agli anni 60 non ci furono ulteriori sviluppi e applicazioni pratiche di questi metalli. La prima lega SMA fu inventata da William J. Buehler (1889-1962), presso il Naval Ordnance Laboratory in White Oak, Marylan e chiamata Nitinol (Ni sta per nichel, ti per titanio e nol è l'acronimo del laboratorio), un materiale che manifesta una considerevole resistenza alla corrosione, allo sforzo e riprende la propria forma originale anche se sottoposto a grandi deformazioni. Il comportamento delle SMA può essere spiegato sulla base delle variazioni di fase dello stato solido che avvengono all’interno del materiale. Tutte le SMA esistono in due fasi conosciute come martensite e austenite (fig.2). Quando la temperatura della SMA è abbassata, inizia una trasformazione del materiale da una struttura cubica caratteristica della austenite ad una forma stressata di martensite chiamata twinned (geminazione), ovvero speculare rispetto ad un piano ideale tra due celle, che non crea difetti irreversibili nel reticolo cristallino. Il cambiamento da austenite a martensite twinned non appare visivamente, perché esse hanno essenzialmente la stessa forma e dimensione. La martensite 2 twinned è caratterizzata da grande flessibilità e dalla capacità di essere facilmente deformata senza che tuttavia tale deformazione sia permanente. Nella fase martensitica, perciò, il materiale sottoposto a uno sforzo meccanico è in grado di sopportare grandi deformazioni un alto grado di deformazione senza tuttavia rompere i legami chimici. In seguito a riscaldamento, poiché la trasformazione tra austenite e martensite è reversibile, la lega si riarrangia nella struttura cristallina iniziale e riassume quindi la configurazione e la forma rigida della austenite indipendentemente dalla deformazione subita nella fase martensite. La temperatura alla quale la lega ritorna alla sua forma primitiva può essere modificata mediante variazioni della composizione o con appropriati trattamenti termici. Oggi, le SMA più studiate sono quelle di RameAlluminio-Nickel (CuAlNi), Figura 3 - applicazioni biomediche dei SMA: a) Apparecchi dentali. Rame-Zinco-Alluminio L’uso di SMA e’molto utile in quanto non si necessita di sistemi regolabili mediante viti. b) Graffette realizzate con filo in SMA (CuZnAl) e Ferro-Manganesericurvo vengono fissate lungo la frattura. Il calore del corpo fa sì Silicio (FeMnSi), ma quelle che le graffette si chiudano, determinando il ricongiungimento delle ossa. c) Stent SMA intravascolari (strutture tubulari auto- che sono più utilizzate sono espandibili a sostegno del vaso) quelle di Nichel-Titanio che presentano maggiore resistenza meccanica, stabilità, resistenza all'ambiente, disponibilità in fili e lamine sottili e biocompatibilità. Queste proprietà hanno reso questo materiale ideale in applicazioni utilizzate in ambiti molto diversi tra loro, quali quello aerospaziale, robotico e biomedico (fig.3). Un secondo tipo di smart materials è quello basato sull’effetto piezoelettrico scoperto nel 1880 nel quarzo dai due fratelli Jacques (1856–1941) e Pierre (1859–1906) Curie. La piezoelettricità è una caratteristica di alcuni cristalli che quando sono sottoposti a forze meccaniche sviluppano cariche elettriche sulla loro superficie (effetto piezoelettrico diretto) e viceversa, si espandono o si contraggono in risposta a una differenza di potenziale applicata (effetto piezoelettrico inverso). Sulla base di questi due effetti si possono costruire sia sensori (effetto diretto) che attuatori (effetto inverso). La prima applicazione basata su materiali piezoelettrici si deve a P. Langevin (1872 – 1946), che costruì la prima sorgente ultrasonora subacquea (sonar) nel 1916 utilizzando elementi di quarzo interposti tra piastre di acciaio. Questi materiali esercitano una forza meno intensa delle leghe con memoria di forma, ma agiscono molto più rapidamente, in tempi dell’ordine dei millesimi di secondo. Essi possono essere utilizzati come dispositivi ottici di puntamento, testine magnetiche e sistemi adattativi ottici per robot, stampanti a getto d'inchiostro, altoparlanti stereo, accelerometri, sensori di pressione ecc. La piezoelettricità si manifesta nei cristalli non dotati di centro di simmetria come il quarzo, la tormalina e il tartrato di sodio e potassio (sale di Rochelle). 3 In un reticolo cristallino simmetrico, il baricentro delle cariche positive e negative coincidono e perciò non si manifesta alcuna polarizzazione. Se il medesimo reticolo è sottoposto a due forze opposte (fig. 4), la cella si deforma ma i baricentri delle cariche coincidono ancora determinando una polarizzazione nulla. Se nel reticolo non è presente un centro di simmetria ed esso non viene Figura 4 - Effetto della deformazione su un cristallo. (A) In un cristallo simmetrico non si osserva la formazione di dipoli. (B) deformato da una forza, i La presenza di asimmetria determina la formazione di un baricentri delle cariche dipolo perché i baricentri delle cariche non coincidono coincidono ed anche in questo caso non esiste polarizzazione. Quando è presente una deformazione del reticolo i due baricentri delle cariche non coincidono più e si crea un dipolo. Quindi, si perde la condizione di neutralità elettrica del materiale e sulle facce del cristallo si crea un accumulo di carica elettrica di segno opposto. L’effetto è lineare, cioè la polarizzazione indotta varia proporzionalmente con lo stress applicato, ed è dipendente dalla gli stress di Figura 5 - In un monocristallo i dipoli sono orientati nella direzione: stessa direzione e pertanto l’effetto piezoelettrico si compressione o di trazione manifesta macroscopicamente. In una struttura policristallina, i vari domini presentano orientazione casuale generano campi elettrici, quindi e la polarizzazione complessiva è nulla. Quindi, il materiale tensioni, di opposta polarità. non mostra l’effetto piezoelettrico L’effetto macroscopico delle proprietà piezoelettriche di un materiale è dovuto sia all’intensità dell’effetto piezoelettrico sia alla sua struttura interna. Infatti, dal punto di vista microscopico, la struttura di un materiale può essere policristallina, ovvero suddivisa in più parti (dette domini di Weiss) con orientazione casuale (fig.5). In questo caso, anche Figura 6 – (a) Struttura reticolare, con disposizione la polarizzazione dei vari domini è simmetrica delle cariche elettriche positive e negative orientata casualmente, per cui quando la temperatura è superiore a quella di Curie. (b) piezoelettrico non si Struttura tetragonale con formazione di un dipolo l’effetto elettrico per temperature inferiori a quella di Curie manifesta macroscopicamente. È, pertanto, necessario che il materiale sia costituito da un monocristallo perché le proprietà piezoelettriche si mostrino macroscopicamente. I primi monocristalli naturali utilizzati avevano basse proprietà piezoelettriche. La scoperta della possibilità di indurre la piezoelettricità tramite l’applicazione di un forte 4 campo elettrico a ossidi metallici sinterizzati ha permesso lo sviluppo di nuove applicazioni di questi materiali. Oggi si utilizzano quasi esclusivamente materiali ceramici basati su titanato-zirconato di piombo (da cui l’acronimo PZT), una soluzione solida di zirconato di piombo (PbZrO3) ortorombico (52, 54%) e di titanato di piombo (PbTiO3 ) tetragonale (48, 46%) con una struttura simile a quella del minerale perovskite (CaTiO 3). A B C Figura 7 – Polarizzazione del materiale ceramico per mezzo di un campo elettrico (B) per generare una polarizzazione stabile mediante allineamento dei dipoli dei vari domini (poling) (C) Questi materiali presentano una struttura cristallina che dipende dalla temperatura. Sopra a un certo valore, detto temperatura di Curie, il reticolo ha una struttura cubica, cioè consiste di ottaedri di ossigeno regolarmente organizzati, al centro dei quali è disposto uno ione titanio o zirconio. Al di sotto della temperatura di Curie la struttura assume una simmetria tetragonale o romboidale in cui lo ione titanio o zirconio non è più disposto nel centro e, a causa di questa transizione di fase, avviene una separazione di carica con la formazione di un dipolo elettrico (fig.6). Questi materiali ceramici policristallini sono costituiti da domini di Weiss orientati casualmente che non mostrano proprietà piezoelettriche (fig.7A). Pertanto, è necessario creare uno stato iniziale nel materiale in cui i dipoli siano orientati nella stessa direzione. Per ottenere un effetto piezoelettrico il materiale viene quindi riscaldato e Figura 8 - Se il materiale è compresso appare una differenza di durante il potenziale della stessa polarità del voltaggio di poling che è presente sottoposto, tra gli elettrodi (b), mentre se il materiale è stirato appare una polarità raffreddamento, ad un inversa (c). Se è applicata una differenza di potenziale il materiale intenso campo elettrico subisce una deformazione che dipende dalla polarità applicata (d, e). permette Se viene utilizzata una corrente alternata il materiale vibra con una che frequenza uguale a quella del segnale applicato (f) l’allineamento dei dipoli dei vari domini nella stessa direzione del campo applicato, dando origine ad un polarizzazione stabile (poling) (fig.7). Dopo il trattamento, il materiale ceramico è uguale ad un cristallo con un momento di dipolo netto in condizioni di non distorsione. Il momento di dipolo rimane invariato 5 dopo che il campo elettrico è stato rimosso e il materiale ceramico mostra proprietà piezoelettriche. La fig.8 mostra il comportamento di un materiale piezoelettrico sottoposto a stress o campi elettrici. I materiali piezoelettrici sono impiegati in numerose applicazioni industriali: ad esempio, sono utilizzati come trasmettitori e ricevitori di onde ultrasonore in apparecchiature diagnostiche mediche e di controllo non distruttivo dei materiali, essendo in grado di localizzare difetti all’interno di una struttura. Il trasduttore piezoceramico genera un segnale acustico a frequenze ultrasonore che è trasmesso attraverso il campione da analizzare. Quando l’onda acustica raggiunge la superficie opposta a quella d'entrata del campione, essa viene riflessa indietro al trasmettitore/sensore, che, quindi, funge da ricevitore. Se l’onda acustica incontra un difetto, una parte dell’onda viene riflessa in modo anomalo e raggiunge il sensore prima dell’onda originale. In questo modo,la localizzazione e il dimensionamento del difetto è possibile attraverso un processo di correlazione tra le caratteristiche del fascio ultrasonoro in entrata e in uscita e le caratteristiche fisiche e geometriche del materiale. L’applicazione dell’effetto piezoelettrico inverso (un campo elettrico applicato al materiale piezoelettrico produce un preciso movimento) trova applicazione in ottica nella stabilizzazione di immagine, microscopia a scansione, allineamento di fibre ottiche, posizionamento di specchi; in meccanica di precisione nell’annullamento di vibrazioni, micropompe, attuazione di valvole. Il termine magnetostrizione descrive la tendenza di alcuni materiali a subire una variazione delle Figura 9 - L’effetto magnetostrittivo, ΔL, proprie dimensioni in presenza di un campo è dovuto all’allineamento dei domini magnetici presenti nel material a causa magnetico. del campo magnetico esterno, H Questo effetto fu descritto per la prima volta nel 1842 dal fisico J. Joule, il quale osservò che un campione di materiale ferromagnetico modifica la sua lunghezza in presenza di un campo magnetico (effetto Joule). Esposti a campi magnetici esterni,materiali ferromagnetici come il cobalto, il ferro e le leghe di questi materiali modificano la loro lunghezza fino a 50 ppm (parti per milione). La causa di questo effetto è dovuta alla presenza in questi materiali di un gran numero di domini magnetici orientati casualmente. Applicando un campo magnetico esterno, questi domini si allineano, determinando una variazione nella forma (fig.9). Il processo inverso, descritto per la Figura 10 - L’effetto Wiedemann si riferisce alla torsione causata da un prima volta da Emilio Villari nel 1865, consiste in campo magnetico assiale applicato ad una variazione nella magnetizzazione del una spira di materiale ferromagnetico o un tubo che trasporta corrente elettrica materiale dovuta ad una forza applicata. Il processo diretto è applicato negli attuatori 6 magnetostrittivi, mentre quello inverso nei sensori magnetostrittivi. Un altro effetto collegato alla magnetostrizione è l’effetto Wiedemann (1862). Il passaggio di una corrente elettrica lungo il campione magnetostrittivo, genera un campo magnetico circolare attorno ad esso. In presenza di un campo magnetico perpendicolare nel punto di interazione di due campi magnetici si genera una deformazione torsionale (fig.10). Nelle leghe di ferro, nichel o cobalto l’effetto magnetostrittivo può generare allungamenti in un intervallo da 10 a 30 m/m. Negli anni ’60, sono state sviluppate delle leghe ferrose contenenti elementi delle terre rare come il terbio (Tb) e il disprosio (Dy) che presentano effetti magnetostrittivi fino a 2000 m/m (giant magnetostrictive materials – GMM), come ad esempio la lega sviluppata presso il Naval Ordnance Laboratory (USA), denominata commercialmente Terfenol-D (terbio (Ter), ferro (fe), Naval Ordnance Laboratory (nol) - disprosio (D)). I materiali magnetostrittivi hanno trovato applicazione in meccanica, con le micropompe, in elettronica, con i microinterruttori, e in biomedicina, con i microsensori di pressione e i microviscosimetri. Questi materiali danno risposte molto più rapide di quella dei materiali a memoria di forma e la loro densità di energia è superiore a quella dei materiali piezoelettrici. I fluidi magnetoreologici (MR)ed elettroreologici (ER) sono materiali che manifestano una variazione del comportamento reologico quando soggetti rispettivamente ad un campo magnetico o elettrico. La variazione reologica è reversibile e termina quando il campo esterno è rimosso e può avvenire con tempi di alcuni millisecondi. Gli effetti magnetoreologici ed Figura 11 Rappresentazione schematica del elettroreologici sono stati scoperti comportamento di un materiale MR sotto influenza di un campo magnetico. (a) in assenza di campo elettrico entrambi alla fine degli anni ’40, il le particelle sono distribuite casualmente. (b) quando è primo da Jacob Rabinow (1910–1999) applicato un forte campo elettrico le particelle si allineano causando una variazione della viscosità del e il secondo da Willis M. Winslow. Il fluido fenomeno elettroreologico è anche chiamato effetto Winslow in onore del suo scopritore. I fluidi ER e MR sono noti come Controllable Fluids (CF) per le possibilità di progettazione che permettono di sviluppare dovute alla loro caratteristica di essere appunto controllabili nella risposta reologica. Negli ultimi tempi, l’interesse crescente che sta avendo il mercato per questi materiali deriva principalmente dalla loro capacità di costituire una rapida e semplice interfaccia tra il sistema di controllo elettronico e quello meccanico. I fluidi MR sono una sospensione costituita da circa un 10-40% in volume da particelle di ferro di dimensioni di 0,1 – 10 m, sospese in un liquido che può essere a base di acqua, olii minerali, sintetici o siliconici. In assenza di un campo magnetico essi si comportano come liquidi newtoniani, nel senso che la loro viscosità non varia con la velocità, mentre quando sono sottoposti ad un campo magnetico aumentano la resistenza viscosa che dipende dall’intensità del campo stesso, manifestando così un 7 comportamento non newtoniano. In fig.11 viene illustrato il principio di funzionamento di un liquido MR. In assenza di un campo magnetico, le particelle sferoidali sono distribuite casualmente nella matrice liquida e in questo stato il materiale si comporta come un normale liquido viscoso. In presenza di campo magnetico, le particelle ferrose si allineano con la direzione del campo, disponendosi in modo da formare strutture colonnari che ostacolano il moto della miscela determinando, a livello macroscopico, un aumento della Figura 12 - Il pistone contiene di circuiti elettrici e due piccolo viscosità della sospensione. In passaggi per il fluido. I circuiti sono in grado di generare un questo stato, il materiale si campo magnetico variabile proporzionale al passaggio di comporta come un solido corrente. Quando una differenza di potenziale è applicata al anisotropo, con circuito nel pistone attraverso un impulso generato da una viscoelastico unità di controllo, il campo magnetico generato allinea le resistenza allo snervamento particelle, restringendo così il flusso attraverso i fori del (yield stress) proporzionale al pistone. campo applicato. I settori dove i liquidi magnetoreologici trovano applicazioni sono l’industria meccanica (smorzatori, deceleratori), l’industria automobilistica e aerospaziale (sospensioni, freni, frizioni), biomedicale (smorzatori per protesi) e l’industria delle costruzioni (supporti antisismici). In fig.12 è illustrato il funzionamento di un pistone di una sospensione funzionante con un fluido MR. Il vantaggio dell’uso di materiali MR rispetto a quelli tradizionali risiede nell’ottenimento dello smorzamento senza la necessità di variare la sezione, dato che è il fluido stesso che controlla gli smorzamenti attraverso il cambiamento della sua viscosità. Un altro esempio importante di applicazione dei MR è quello biomedico con l’impiego di dispositivi protesici adatti a migliorare il movimento delle ginocchia in arti Figura 13 - Catene di particelle amputati a cui è stata applicata una protesi. Grazie prodotte da una miscela di all’alta precisione e velocità di controllo (tempo di Laponite al 18% in olio di silicone. Gli elettrodi sono separati di 1 mm. risposta inferiore a 10 millisecondi) questi fluidi Immagine superiore: nessun permettono di ottenere risultati eccezionali per quel che campo elettrico applicato. Immagine inferiore: campo riguarda la fluidità e la spontaneità del movimento elettrico applicato di 2,0 kV/mm articolare. I fluidi elettroreologici, analogamente a quelli magnetoreologici sono materiali viscosi caratterizzati dalla capacità di cambiare le loro proprietà meccaniche in maniera 8 considerevole sotto l’azione di un campo elettrico. Questi fluidi sono costituiti da sospensioni di particelle non conduttrici formate da materiali inorganici, polimeri organici e materiali compositi organici/inorganici con dimensioni che vanno fino a 50 m e forme sia sferiche che non sferiche, in un fluido elettricamente isolante. L’effetto elettroreologico deriva dalla differenza Figura 14 - Apparato per riabilitazione del nella costante dielettrica del fluido e delle ginocchio che utilizza un fluido elettroreologico particelle. Sottoposte a un campo elettrico, le particelle, a causa di un momento di dipolo indotto, si dispongono in una forma più organizzata e formano catene lungo le linee del campo. La struttura indotta cambia la viscosità del materiale, la resistenza allo snervamento e altre proprietà, permettendo al materiale di variare la sua consistenza da liquida a quella viscoelastica di un gel con un tempo di risposta dell’ordine dei millisecondi. Nella fig.13 sono mostrate le catene di particelle prodotte in una miscela di particelle di laponite (un’argilla colloidale costituita da una miscela di silicati di sodio, magnesio e litio) al 18% in volume in olio di silicone. Questa transizione di fase reversibile e controllabile dei fluidi ER, li rende potenzialmente adatti in numerose aree applicative come sistemi ammortizzatori, display tattili ed elementi torcenti utilizzabili in apparecchi riabilitativi (fig. 14). I fluidi ER, a differenza degli analoghi magnetici, non hanno ancora una larga applicazione a causa dei problemi che presentano come la debolezza strutturale, le proprietà abrasive allo stato liquido e l'instabilità chimica, soprattutto alle alte temperature. NANOMATERIALI La nanotecnologia è una vasta area interdisciplinare di ricerca e sviluppo che ha avuto negli ultimi anni una crescita esplosiva in tutto il mondo. Essa ha mostrato la potenzialità di rivoluzionare il modo in cui sono creati i materiali sfruttando le singolari caratteristiche che la materia mostra a dimensioni nanometriche per realizzare prodotti caratterizzati da proprietà inattese e, spesso, eccezionali. Sono definiti come nanomateriali quei materiali che hanno componenti strutturali con almeno una dimensione nell’intervallo 1-100 nm. Il motivo del grande interesse verso questi materiali risiede nel fatto che i materiali portati alle dimensioni nanometriche assumono particolari proprietà chimico-fisiche, notevolmente differenti dai corrispondenti materiali convenzionali e, pertanto, la riduzione delle dimensioni a livello nanometrico non è solo un semplice passo verso la miniaturizzazione della materia, ma è una dimensione completamente nuova sia dal punto di vista qualitativo che quantitativo. I due principali fattori, che determinano le proprietà dei nanomateriali e li rendono differenti dai materiali tradizionali, sono: l’incremento relativo dell’area superficiale e gli effetti quantistici. Questi fattori possono cambiare e aumentare proprietà come, ad esempio, la reattività, le caratteristiche elettriche e di resistenza meccanica. Al di 9 sotto dei 100 nanometri infatti, la percentuale di atomi di superficie di un corpo diventa sempre più significativa fino a predominare su quella degli atomi interni quando la dimensione è prossima al nanometro. Le dimensioni delle particelle determinano la percentuale degli atomi presenti in superficie rispetto a quelli interni. Così particelle di 30 nm, 10 nm e 3 nm hanno rispettivamente una percentuale di atomi superficiali uguale a 5%, 20% e 50%. A livello nanometrico, il materiale assume quindi un comportamento nuovo mentre la forza di gravità non ha nessuna importanza. Divengono dominanti la forza di van der Walls, la tensione superficiale, le interazioni tra gli atomi e quelle tra gli elementi che li costituiscono. In generale, piccoli aggregati da due a poche migliaia di atomi o molecole (clusters), formano strutture che possono essere molto diverse da quelle dei rispettivi solidi e, di conseguenza, anche le loro proprietà saranno diverse. Per esempio, cristalli a scala nanometrica hanno un più basso punto di fusione (la differenza può essere oltre i 1000°C) e ridotte costanti di reticolo, dato che il numero di atomi superficiali diventa una frazione significativa del numero totale di atomi e l’energia superficiale gioca un ruolo importante nella stabilità termica. Strutture cristalline a livello nanometrico possono essere stabili anche a temperature molto più basse di quello degli aggregati macroscopici, così sostanze ferroelettriche e ferromagnetiche possono perdere queste caratteristiche quando i materiali sono ridotti a questa scala. Benché i cristalli di oro siano in genere inerti, piccoli clusters di oro esibiscono attività catalitica a bassa temperatura. Le proprietà mostrate dai nanomateriali li rendono ideali per la realizzazione di materiali per catalisi eterogenea, adsorbimento/desorbimento, rilascio controllato di farmaci, dispositivi per l’immagazzinamento di energia e numerose altre applicazioni. L’ idea che si potesse giungere a manipolare e posizionare singoli atomi è contenuta nel famoso e anticipatore discorso che è considerato il manifesto delle nanotecnologie “There is Plenty of Room at the Bottom” (“C’è tanto spazio in basso”) pronunciato nel 1959 durante il congresso annuale dell'American Physical Society dal fisico americano, e premio Nobel per la Fisica nel 1965, Richard Feynman (1918-1988). Affermando che “i principi della fisica non sono contro la possibilità di manipolare un atomo alla volta … è un qualcosa che può essere fatto”, Feynman prefigurava nuove applicazioni di nanomateriali e nanotecnologie in settori strategici come la medicina, l’elettronica, la robotica e i computer. Il primo uso del termine nanotecnologia si deve al giapponese Norio Taniguchi (1912– 1999) che nel 1974, la definisce come “un processo di riorganizzazione della materia atomo per atomo o molecola per molecola”1. Nel 1986 Kim Eric Drexler pubblica un’opera dal titolo Engines of creation: the coming era of nanotechnology in cui vengono maggiormente chiarite le possibilità insite in questo nuovo concetto scientifico, definendo la nanotecnologia come “la capacità di controllo della materia basato sul controllo dei prodotti e dei sottoprodotti alla scala molecolare attraverso sistemi ad alta precisione, nonché attraverso prodotti e processi 1 Norio Taniguchi, On the Basic Concept of “Nano-Technology”, Proceedings of International Conference on Product Engineering, Part II, Japan Society of Precision Engineering, 1974. http://nanodot.org/articles/01/06/04/1217257.shtml 10 di molecular manufacturing” 2, e vengono anche prefigurati molti obiettivi raggiunti successivamente dalle nanotecnologie sia in campo scientifico che produttivo. Sono due gli approcci che si possono utilizzare per realizzare nanomateriali (fig.). Il primo è il cosiddetto metodo “top-down”, che significa partire da aggregati macroscopici e procedere verso il basso con riduzione delle dimensioni e riordinamenti successivi. L’altro approccio è quello “bottom up” nel quale, partendo da molecole o aggregati di molecole (building blocks), si cerca di controllarne l’autoassemblaggio sfruttando il riconoscimento molecolare per realizzare nanostrutture ordinate con una tecnica basata principalmente sull’attivazione di processi chimici (ad esempio con tecniche sol-gel o di deposizione chimica da vapore). I metodi top-down sono spesso basati, soprattutto per la produzione di materiali per applicazioni ottiche ed Figura 15 Schema di elettroniche, su tecniche litografiche, mediante l’uso di funzionamento dell'approccio top-down e bottom-up fotoni, elettroni oppure ioni che urtano i substrati bersaglio rimuovendo parte della materia fino a ridurli a dimensioni nanometriche. Attualmente, tuttavia, questi metodi non sono in grado di produrre nanostrutture con una dimensione inferiore ai 100 nm per limitazioni legate principalmente alla capacità di focalizzazione dei fasci. L’approccio bottomup assicura maggiori possibilità di ottenere nanostrutture con minori difetti, composizione chimica più omogenea, e maggiore ordine a corta e lunga distanza. Ciò è dovuto al fatto che l’approccio è guidato principalmente dalla Figura 16 - Tipologie dei nanomateriali sulla base della loro dimensionalità diminuzione dell’energia libera di Gibbs, così le nanostrutture e i nanomateriali sono prodotti in uno stato più vicino allo stato di equilibrio termodinamico. Al contrario, l’approccio topdown introduce stress interni, oltre a difetti di superficie e contaminazioni. Pertanto, con le procedure bottom-up è possibile realizzare una varietà pressoché illimitata di materiali nanostrutturati, non esistenti in natura, con proprietà diverse da 2 Il molecular manufacturing è la capacità di costruire dispositivi, macchine o interi prodotti controllando la posizione di ciascun atomo 11 quelle dei materiali cristallini ordinari di uguale composizione chimica. Questo è il principale approccio utilizzato nello sviluppo di nuovi materiali. I nanomateriali possono essere suddivisi sulla base del numero di dimensioni libere (che non sono confinate) nel campo della nanoscala (<100 nm) (fig.16): Zero-dimensionali (0D), nanoparticelle → tre le dimensioni in scala nanometrica Mono-dimensionali (1D), nanotubi → due le dimensioni in scala nanometrica Bi-dimensionali (2D), matrici di nanoparticelle → una dimensione in scala nanometrica Tri-dimensionali (3D), strutture tridimensionali → nessuna dimensione in scala nanometrica A queste categorie possono appartenere materiali sia cristallini che amorfi, costituiti da uno o più elementi, presenti in forma isolata o integrati in una matrice ecc., permettendo quindi possibilità di combinazioni molto alte. Tra le nuove strutture che emergono su scala nanometrica ci sono, ad esempio, i “punti quantici” (quantum dots QD), aggregati nanocristallini, caratterizzati da un elevato rapporto superficie volume della dimensione di 2-10 nm Figura 17 - Emissione di fluorescenza di QD CdSe di diversa composte da metalli, come il dimensione selenio di cadmio, che contengono da 10 a 105 atomi con particolari proprietà elettriche, ottiche, magnetiche e catalitiche. Sono preparati in soluzione o per deposizione degli atomi su una superficie e, al variare del raggio del punto quantico, nelle sospensioni si osserva una diversa variazione di colore. I QD possono emettere luce se eccitati; più piccolo è il punto, più alta è l’energia che essi emettono (Fig.17). Figura 18 - I QD possono rilevare simultaneamente i dettagli fini di molte strutture cellulari. In questa immagine di cellule epiteliali umane , il nucleo è in blu, una proteina specifica viola, i mitocondri gialli, i microtubuli verdi e i filamenti di actina in rosso Oltre che nella microelettronica, celle solari, LED e diodi, in questi ultimi anni sono state condotte numerose ricerche per applicazioni 12 di QD alla biologia e alla medicina. In particolare sono stati utilizzati nell'imaging in vivo, imaging molecolare e diagnostica per immagini (fig.18). Altri materiali nanometrici che hanno suscitato notevole interesse per le loro singolari proprietà meccaniche ed elettroniche e per le possibili applicazioni tecnologiche sono i nanotubi. Questi possono essere costituiti di diversi materiali, come ad esempio da carbonio, carburo di boro, solfuro di tungsteno o da molibdeno. I più studiati sono quelli di carbonio scoperti nel 1991 da Sumio Iijima del NEC Fundamental Research Laboratory di Tsukaba (Giappone) nel particolato della scarica elettrica tra due elettrodi di carbonio. Questi nanotubi sono strutture di forma cilindrica del diametro di circa 1 nm e lunghezza anche di alcune centinaia di micron derivanti dall’avvolgimento su se stesso di un foglio di grafite di spessore atomico (fig.19). Dal punto di vista meccanico possiedono un modulo elastico fino a 5 volte quello dell’acciaio e una resistenza meccanica anche 10 volte superiore, con una densità 6 volte inferiore. Le eccezionali proprietà fisiche li rendono ideali per l’uso come fibre di rinforzo nei materiali compositi ad alte prestazioni, in sostituzione delle normali fibre di carbonio, del kevlar o delle fibre di vetro. Anche le straordinarie proprietà elettroniche legate alla possibilità di esibire un comportamento metallico o semiconduttivo in relazione alla loro geometria, potrebbero permettere di utilizzarli nella produzione dei più Figura 20 - (a) Immagine al microscopio a scansione piccoli conduttori conosciuti. elettronica (SEM) di una foresta di nanotubi di carbonio di diametro di 50nm e altezza di 3 m, (b) foresta addizionata A causa della loro forma tubolare, i con politetrafluoroetilene (PTFE), (c) goccia d’acqua sulla nanotubi mostrano delle forti superficie ricoperta da nanotubi e PTFE proprietà di capillarità; il loro grande rapporto superficie/massa li rende ideali per l'adsorbimento dei gas. Tutte Figura 19 - La struttura di un nanotubo di carbonio è come un foglio di grafite avvolto a tubo. A seconda della direzione degli esagoni, i nanotubi possono essere classificati come (a) zig-zag, (b) seggiola o (c) chirali 13 queste proprietà stanno trovando applicazione in diversi settori, come ad esempio la catalisi, l'accumulo di energia, l'immagazzinamento di gas, l'emissione di elettroni, i sensori chimici e fisici, l'elettronica molecolare, la realizzazione di dispositivi attuatori. I nanotubi non sempre si dispongono singolarmente ma possono disporsi come alberi in una foresta, ovvero in aggregati molto densi di nanotubi disposti verticalmente (fig.20a). A causa delle forti interazioni intermolecolari queste strutture mostrano proprietà meccaniche inferiori a quelle dei singoli nanotubi, ma presentano proprietà molto interessanti, come, ad esempio, la possibilità di produrre materiali autopulenti. È noto che la pianta del loto (Nelumbo nucifera) mantiene le sue foglie pulite grazie al fatto che presenta una superficie non liscia, costituita da protuberanze di dimensione caratteristica di pochi micrometri, distanziate tra loro di una decina di micrometri rivestite di cristalli di cera idrofobica di diametro circa 1 nanometro (fig.21). Queste aree tendono a essere idrofobiche (solo il 23% della superficie è ricoperta dalle gocce). Questa doppia struttura unita alla matrice idrorepellente dei suoi costituenti fa sì che le gocce d’acqua tendano a rotolare piuttosto che aderire o scivolare sulla superficie, asportando eventuali particelle di sporco presenti sulla foglia. In analogia a questo modello naturale è stato ricreato un materiale costituito da una foresta di nanotubi addizionata con politetrafluoroetilene (PTFE) per aumentarne l'idrofobicità (fig.20b), in grado di riprodurre l'effetto autopulente (effetto loto, fig.20c). La quantità di prodotti in commercio contenenti nanomateriali è in notevole crescita. L’OCSE ha stimato che nel 2015 il mercato delle nanotecnologie mondiale raggiungerà circa 1 trilione di dollari e creerà circa due milioni di nuovi posti di lavoro. Il loro utilizzo ha sollevato però questioni circa i loro potenziali effetti sulla salute e sull’ambiente. La maggiore reattività chimica di questi materiali implica, potenzialmente, una più accentuata attività biologica. Questa può avere non solo effetti positivi (attività antiossidante, penetrazione delle barriere cellulari per il rilascio di farmaci), ma anche negativi (tossicità, induzione di stress ossidativo o di disfunzione cellulare). Pertanto, oltre all’aspetto applicativo, c’è un notevole interesse da parte degli scienziati e delle autorità legislative per gli effetti delle interazioni che questi materiali possono avere con gli esseri viventi e più in generale con l’ambiente. Figura 21 - L'effetto loto di gocce d'acqua su una superficie idrofoba. Sulle gocce di acqua si raccolgono anche le particelle di sporco 14