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KONSTANTIN SIGOV
PERSONA E COMUNIONE: PER UN'ANTROPOLOGIA DELLA FIDUCIA.
GERUSALEMME E ATENE ANCORA INSIEME?
1. Introduzione
La persona nasce dal ringraziamento e tende all'eucaristia. Le scienze contemporanee si affollano
presso una porta chiusa, dietro la quale si cela il mistero dell'uomo, il mistero della persona umana; per
quella porta chiusa vorremmo offrire la chiave del ringraziamento, dell'antropologia eucaristica. La tesi
che vede nella gratitudine il nucleo dell'antropologia del futuro è un argomento per un grosso libro, che
non potrebbe essere trattato in una breve comunicazione. Per far luce su questo tema non bastano le forze
di un uomo solo, ma si richiede un impegno conciliare par definition,; per questo un'introduzione
pertinente, qui e ora, a questa tematica, non sarà una teoria astratta, ma la praxis, l'atto concreto del
ringraziamento, il binomio performativo di parola-azione.
Faccio appello alla vostra comprensione, affinché non resti come vuoto luogo comune ciò che
intendo dire. Non so come poter esprimere una parola di gratitudine alla comunità di Bose cancellando da
essa la più piccola sfumatura di convenzionalità. Con il dovuto rispetto per il rituale dei convegni, ben
noti ai veterani del genere, non parlerò ora di convenzioni né per cortesia convenzionale. Ancora una
volta vi chiederei di accogliere questo pensiero con serietà, senza ironia.
Come ricorderanno i lettori di Aristotele, la filosofia inizia dallo stupore (to thaumàzestai). Vi
invito tutti insieme a condividere ad alta voce lo stupore per quel che accade qui a Bose da quasi
vent’anni. Coloro che giungono a Bose non per la prima volta conoscono il mistero della naturalezza con
cui qui si compie ogni cosa. Nel secondo giorno di permanenza a Bose sorge la sensazione di essere nati
qui, dove tutto e tutti sono familiari... Che cosa c'è di così sorprendente? Sapete da quali lontani luoghi
del pianeta giungono qui gli ospiti, da quali diverse comunità, da quali disparati contesti culturali,
confessionali, sociali e politici... E noi siamo con voi testimoni di questo fatto straordinario, ossia della
rapidità con cui si crea tra di noi la naturalezza nello stare insieme, nel vivere insieme, nel meditare
insieme, nel pregare insieme, nel ristorarci insieme alla stessa tavola... Com'è possibile questo in un
mondo dove solo i pigri non parlano dello scontro di civiltà, dei cosiddetti clashes of civilitazions?
Sono pronto all'incomprensione dello stupore da due prospettive opposte:
Per alcuni qui a Bose è davvero tutto così naturale, da chiedersi perché mai ce ne si dovrebbe
meravigliare.
All’opposto di questa reazione troppo fiduciosa, “ingenua”, c'è l'antica abitudine alla diffidenza: che
cosa mai ci sarà dietro le quinte di questo splendido teatro, quali saranno le nuove mosse
dell'ecumenismo?
Una terza possibilità è legata a una domanda diversa: che cosa c'è tra questi estremi, quale spazio si
apre tra questi due poli opposti? Vogliamo supporre che questo spazio di mezzo non sia troppo stretto,
anzi la cosa essenziale è proprio che esso si spalanchi allo stupore creativo nei confronti di ciò che sta
avvenendo qui.
L'originalità e la portata di tale questione ci risulterà più chiara se ricordiamo la classica domanda di
Tertulliano: c'è dunque qualcosa in comune tra Atene e Gerusalemme, tra l'Accademia e la Chiesa? (De
praescriptione haereticorum, cap.7).
Alla questione è stata data una risposta negativa sia – ahimè – da parte cristiana, sia dagli oppositori
della dottrina di Cristo. Quanti non sono sospetti di aver studiato a fondo l’opera di Tertulliano (e per
ragioni di carattere tutt’altro che esclusivamente teologico e dogmatico), sono inclini a contrapporre il
vettore accademico, da un lato, con quello ecclesiale dall’altro. Le recidive della radicalizzazione di
1
quest’opposizione nel medioevo sono ben note agli storici. Ma non furono esse le dominanti della grande
tradizione cristiana fino alla rivoluzione dell’Evo moderno. La rivoluzione scientifica, l’epoca
dell’Illuminismo, ma anche la rivoluzione francese, e poi quella bolscevica, mutarono radicalmente la
situazione. Oggi non c’è bisogno di soffermarsi sui luoghi comuni della cultura di massa, secondo i quali
le tecnologie scientifiche contemporanee non desiderano avere nulla in comune con i circoli dei teologi.
Voci solitarie si levano a protestare contro l’opinione dominante. Ma il problema non è soltanto che le
menti solitarie non hanno la forza di far cambiare opinione alla maggioranza. Il problema è che queste
menti solitarie sono divise tra loro. Ahimè, a parte rare eccezioni, esse non formano gruppi coesi, e tanto
meno comunità stabili.
D’altra parte, in quelle compagini umane, che portano la croce della comunità, gli interessi della
teologia accademica non sono certo al primo posto. Le ricerche fondamentali raramente figurano nei
bilanci degli economi di grandi e piccole comunità. Spesso non si parla nemmeno d’incoraggiare gli studi
specialistici di questo o quello; sarebbe già molto non impedirli (espressamente o implicitamente). Altre
sono le priorità che stanno dinanzi alla comunità nel suo insieme; mentre l’aspirazione personale agli
studi dipende dalla disposizione dei superiori, e tale dipendenza implica particolari limitazioni. Non ci
soffermeremo tuttavia su questa triste circostanza del resto ben nota.
Sullo sfondo di questa situazione brevemente tratteggiata, come non stupirsi dei convegni di alto
livello teologico, che anno dopo anno, e per così tanti anni di seguito, ha organizzato la comunità
monastica di Bose? Atene e Gerusalemme: l’Accademia nella Chiesa qui si sente a casa! Non voglio
porre l’accento solo sull’audacia spirituale di questa intuizione (la comunità di Bose è stata fondata nel
1968, l’anno delle rivoluzioni universitarie). La cosa che più sorprende è la naturalezza della sua
realizzazione quotidiana: davvero non è forse questa un’eccezione alla regola mondana? Non si delinea
forse qui una possibile regola di vita? Di più, non solo possibile, ma reale ed effettiva: già qui e ora come
ospite del futuro, pegno di quel che speriamo…
L’esempio della forza vitale della comunità e della comunione che essa pratica integra in sé il
meglio di ciò che offrono le università europee e del mondo. Qui avviene un ponderato vaglio critico del
frumento e del loglio dell’Areopago accademico contemporaneo. Singolare anche la formazione del
comitato scientifico del convegno. Accanto ai fratelli di Bose, incontriamo un benedettino di Chevetogne,
un domenicano di Parigi, e accanto ai monaci, dei laici: professori delle università di Torino e Venezia.
Quest’anno in particolare rievochiamo la memoria di due colonne e attivi partecipanti di questi
simposi: padre André Louf e la professoressa Nina Kauchtschischwili. In questi due nomi ci sono dati al
tempo stesso due singoli partecipanti dei convegni e due rappresentanti della Chiesa e dell’Accademia, di
“Gerusalemme” e “Atene”. L’indissolubilità di questa associazione è rafforzata dai nomi degli amici di
Bose: frère Roger Schutz e il metropolita Antonij Blum, l’accademico Sergej Averincev e il cardinale
Tomas Špidlík, padre Emmanuel Lanne e molti altri, che oggi abbiamo evocato. Essi formano, se un tale
accostamento ci è concesso, un “comitato scientifico” nel mondo migliore, che non ci ha lasciato grazie
alle loro preghiere e al lavoro che hanno svolto sulla terra, alla loro partecipazione alla vita della
tradizione. A questa “nube di testimoni” ciascuno di noi è legato da fili particolari. Permettetemi di
ricordate che oggi, 9 settembre, ricorrono esattamente venti anni dal giorno del martirio di padre
Aleksandr Men’, assassinato il 9 settembre 1990. Il cammino solitario di padre Aleksandr intersecò un
paese e un’epoca nei quali il solo pensiero di un incontro nella comunione come viviamo qui a Bose
sarebbe parso un’irrealizzabile utopia: scandalo per la nomenklatura e follia per i dissidenti. Ma l’accento
sulla solitudine non esclude, piuttosto sottolinea nell’esperienza concreta di padre Aleksdandr il suo
ministero a servizio della partecipazione, dell’unità e della comunione. Consentitemi di dedicare alla sua
luminosa memoria le riflessioni che seguono.
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2. Tradizione (in)interrotta?
Sergej Averincev tenne un’importante relazione per il nostro tema qui a Bose nel 1999, pubblicata
in italiano negli Atti del convegno sulla storia della Chiesa ortodossa in Russia dopo la guerra: La notte
della chiesa russa1. L’articolo di Averincev è dedicato alla personale confessione al cristianesimo negli
anni ’60-’70 negli ambienti dell’intelligencija di Mosca e Leningrado. Una distanza storica immensa
separava quest’inaspettata ondata di conversioni dalla precedente epoca dell’inizio del XX secolo, quando
entravano nella chiesa gli intellettuali della generazione di Sergej Bulgakov e Nikolaj Berdjaev.
Averincev non nega la “fatale cesura” che separa l’esperienza della sua generazione da quella degli
anni ’20, descritta dallo storico Georgij Fedotov. Ma è di estrema importanza la precisazione che
Averincev introduce in questo schema: “… e tuttavia la cesura, grazie a Dio, non fu assoluta”2. Non è un
caso che dopo la sua morte è stato scritto di lui come dell’“ultimo rappresentante del secolo d’argento”.
Probabilmente lui stesso non sarebbe stato d’accordo con l’aggettivo “ultimo”. Il suo rifiuto di porre
l’accento sul tema dell’uscita di scena degli “ultimi” rappresentanti dell’Atlantide spirituale scomparsa
non era per nulla l’effetto di una personale discrezione emotiva, ma il risultato di una ponderata
riflessione sulla tradizione. Ritornerò tra breve sul problema più generale della critica al discorso
moderno circa la “rottura della tradizione”. Permettetemi invece ora di riportare un passo dalla citata
relazione di Averincev a Bose (così attuale per il tema che ci ha riunito qui dieci anni dopo):
Legame vivente tra l'epoca descritta da Georgij Fedotov e i nostri giorni furono alcune figure
solitarie … come per esempio la celebre pianista Marija Veniaminovna Judina … A cavallo tra gli
anni cinquanta e sessanta iniziava la sua attività padre Aleksandr Men' … già solo la decisione di
impegnarsi in un'attività missionaria in quel tempo e in quella società, nella quale le persone
migliori si erano ormai rassegnate all'idea che non era possibile una cosa simile per il semplice
motivo che una cosa simile era impossibile, era di per sé degna di stupore e meraviglia.
Senz'alcuna posa eroica, senza rinunciare ad esser prudente, ma vietandosi persino l'ombra della
capitolazione, senza abbassare nemmeno un istante le mani levate, padre Aleksandr rese
l'impossibile possibile3.
L’impero sovietico andò oltre gli altri nella maniaca aspirazione a “recidere il legame con il vecchio
mondo”. Ma in una prospettiva storica più ampia possiamo costatare quanto l’occidente si sia distinto in
questo campo.
Il discorso sulla “rottura della tradizione” ha dominato in Europa in ideologie così diverse come il
comunismo, il liberalismo o il postmodernismo nel secolo scorso; ma rimane anche oggi una sfida
cruciale per la riflessione sulla persona e la comunione. Dopo la caduta del comunismo nei paesi
dell’Europa orientale è diventato evidente per tutto il mondo la devastante desolazione cui hanno
condotto le ideologie della rottura della tradizione. La loro crisi solleva il problema della distinzione tra le
reali distruzioni, cui sono sottoposte le forme della trasmissione socioculturale da un lato, e dall’altro i
confini della retorica della “ rottura”, le cui pretese alla totalità si sono rivelate chiaramente esagerate.
Dall’epoca dell’Illuminismo la reazione a forme riduttive di cristianesimo si trasmuta gradualmente
in “tradizione a rovescio” ovvero “antitradizione”. Come ha dimostrato MacIntyre, essa nasconde,
anzitutto a sé medesima, il proprio carattere di tradizione4. Il suo decadimento spontaneo in nichilismo è
Bose 2000.
Averincev, in La notte; Сергей Аверинцев «Опыт борьбы из внушениями времени: христианские настроения русских интеллигентов в 60е – 70-е годы» // Пути просвещения и свидетели правды: Личность. Семья. Общество./ Сост. К. Сигов. – К.: Дух і літера, 2011. – с. 332.
3 Там же. – с.334.
4 MacIntyre Alasdair, After Virtue. A Study in Moral Theory, Notre Dame, Indiana, University of Notre Dame Press, 1984; MacIntyre Alasdair, Whose
Justice? What Rationality?, Notre Dame, Indiana, University of Notre Dame Press, 1988; MacIntyre Alasdair, Three rival Versions of Moral Enquiry.
Encyclopedia, Genealogy and Tradition, Notre Dame, Indiana, University of Notre Dame Press 1990.
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condizionato dalla tendenza alla frammentazione delle forme d’interrelazione e all’atomizzazione degli
individui. L’esperimento sovietico ha reso manifesta l’invivibilità della versione comunista
dell’antitradizione. Questa esperienza è in gran parte dimenticata o esclusa dalla discussione
contemporanea di altre versioni di paratradizioni secolari, come il liberalismo o il postmodernismo. Così,
in particolare, il silenzio sulla storia delle repressioni del regime ateo in URSS è un inconfessabile a priori
delle attuali mode ateistiche negli Stati Uniti e in Europa.
Rowan Williams rileva l’attualità dell’individuazione operata da Sergej Bulgakov di due tendenze
eterogenee in seno all’Illuminismo: 1) la proclamazione dei diritti dell’uomo e l’emancipazione
dall’autoritarismo; 2) il determinismo storico e l’ostilità verso la religione5. La seconda tendenza ha
privato di prospettiva storica l’interpretazione della prima: la comprensione della genealogia cristiana
dell’idea di diritti dell’uomo e del personalismo. Sergej Bulgakov, Nikolaj Berdjaev, Semen Frank, Boris
Kistjakovskij, Petr Struve e gli altri autori della raccolta Vechi (1909) svilupparono in Russia la critica
alle forme semplificate di prestito della “dialettica dell’Illuminismo” 6. Dopo la rivoluzione del 1917, il
sistema sovietico diresse ogni sforzo ad annullare la tradizione dei suoi oppositori. Ma la generazione di
padre Aleksandr Men’ e di Sergej Averincev in epoca poststaliniana testimoniò che questa tradizione non
era stata annientata. L’esperienza di questa generazione ha la più stretta attinenza con le sfide chiave
dinanzi alle quali sta oggi a nostra società e la chiesa.
Un banco di prova cruciale è quello della riforma del sistema di formazione superiore laico ed
ecclesiastico. Per rispondere a questa sfida è necessario rivolgersi all’esperienza internazionale e
interconfessionale. Reinterpretando L’idea di università del cardinale John Newman, lo storico americano
contemporaneo Jaroslav Pelikan afferma:
…la più preziosa di tutte le risorse naturali (in particolare quando le risorse naturali sono in
pericolo) è la ragione critica; il più importante di tutti i prodotti della produzione nazionale
(soprattutto oggi che qualsiasi produzione è in forse) è la mente con una formazione completa. In
ultima istanza, si tratta della risorsa dalla cui presenza dipende lo sviluppo e la custodia delle altre
risorse. È anche la possibilità che predispone il contesto intellettuale e sociale per altre
opportunità. In tal modo qui, nel pieno senso della parola, sta il “fondamento della speranza nel
futuro”7.
3. Come fare senza Università?
La persona e la solitudine: è questo un tema attuale per la comprensione della specificità dei
problemi legati alla formazione nella nostra tradizione8. Nella Rus’ questo tema ha una sua preistoria.
Dalla fondazione delle università di Bologna, della Sorbona e di Oxford nel medioevo, noi vediamo
chiaramente i dotti intellettuali sullo sfondo dell’ambiente istituzionale dei “colleghi”, delle dispute e
degli studi delle lingue classiche. Per la Rus’ questo quadro, a motivo dell’assenza di università, è
completamente diverso. Nel saggio su Ascetismo russo e cultura russa, Averincev parla dei lavori di
traduzione di santo Stefano di Perm’ e di san Nil Sorskij e rileva che “il ruolo dello slancio personale,
Williams Rowan, “Heroism and Spiritual Struggle” (1909), Introduction in: Sergii Bulgakov, Towards a Russian Political Theology, T&T Clark Edinburgh, 1999, p. 55-68; Уильямс Роуэн «Богословие В. Н. Лосского: изложение и критика»/ Пер. с англ. – К.: Дух і літера, 2009. Ср.
Майнарди адальберто «Европейский гуманизм, права человека и христианская концепция личности» //Человеческая целостность и
встреча культур. – К.: Дух і літера, 2007, - с. 135-153.
6 Cf. La svolta. Vechi. L’“intelligencija” russa tra il 1905 e il ’17, con una prefazione di Sergio Romano, Jaka Book, Milano 1990 2; sulla rilevanza attuale
di questa raccolta si vedano i saggi di Antoine Arjakovsky, Enzo Bianchi, Walter Kasper, Iossif Loss, John Milbank, Georges Nivat, Olga
Sedakova e Paul Vallière in Les Jalons. Cent ans après. Editions de l’Institut d’études œcuméniques de Lviv – François-Xavier de Guibert, s.l.n.d. (ma
Paris 2009).
7 «Основание надежды» очень глубоко продумано в монографии: Pelikan Jaroslav. The Idea of the University. A Reexamination. – Yale University
Press: New Haven and London, 1992. – P. 152.
8 Обзор и библиографию см. в сборнике «Університетська автономія», – К.: Дух і літера, 2008.
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cioè in buona parte solitario, ‘ritirato nel deserto’, che non si colloca in nessun contesto dato di tipo
istituzionale o corporativo, è evidentemente molto grande”9.
Più oltre Averincev evidenzia il vivo contrasto tra un circolo sviluppatosi fuori dalle mura
dell’università come quello degli slavofili, da un lato, e dall’altro movimenti universitari contemporanei
quali l’Oxford movement o la scuola di Tubinga di Möhler, Zeiler, Antonio Rosmini Serbati. Il contesto
istituzionale e corporativo degli ordini monastici e delle università occidentali si rivela la tela essenziale
per le iniziative individuali. Averincev nota che i padri del movimento vecchio cattolico “conducevano il
dialogo con il Vaticano in nome… dei professori tedeschi (e oggi, non regola forse allo stesso modo le
proprie relazioni con il medesimo Vaticano Hans Küng?)” 10.
Del tutto diverso il caso russo:
Nobili colti, ufficiali in congedo, uomini liberi, uniti da relazioni nient’affatto collegiali, ma
prettamente private all’interno di una sorta di circolo famigliare allargato … Dotati di profonda
fede e personale rettitudine, e pur tuttavia laici, e per di più non appartenenti al milieu dei seminari
e delle accademie ecclesiastiche; portatori di un cultura filosofica perfettamente al livello della
propria epoca, e tuttavia non appartenenti all’ambiente universitario… ecco chi – senza diplomi,
senza gradi accademici né titoli – intervenne audacemente con un’iniziatica che avrebbe
determinato uno sviluppo originale del pensiero religioso russo per molti decenni a venire11.
Averincev sottolinea le particolari difficoltà per lo sviluppo del pensiero dei suoi compatrioti, il suo
“contenuto”, al di fuori delle “forme” delle università europee: “Chomjakov e i fratelli Kireevskie: in
occidente ne sarebbe venuto fuori qualcosa del tipo della scuola di Tubinga; bisogna sentire questo
contrasto. Là una tradizione corporativa; da noi persone singole, che lanciano la loro sfida alle abitudini
della burocrazia e allo spirito del tempo”12. I trasparenti riflessi all’attualità nel discorso di Averincev
illuminano le solitarie iniziative degli uomini della sua generazione in lotta con l’estraniamento delle
università sovietiche e l’“autoisolamento” del “sistema”.
4. La persona e la fiducia
Tra le intuizioni più feconde dell’attuale volgere di secolo vanno annoverate due tesi
complementari: la verità non si trova nella solitudine, al di fuori delle relazioni con gli altri; il vero
contrario della comunione e della condivisione non è la solitudine, la vita solitaria, ma la disunione e
l’isolamento.
Le due tendenze dell’isolazionismo, individualistica e politica, sono state le malattie più gravi del
XX secolo. L’impero sovietico ha introdotto nella storia del nostro pianeta la forma più imponente per
dimensioni dell’isolazionismo, il suo regime si estendeva da Berlino a Vladivostok. Un ruolo non
secondario questo regime lo ebbe anche nelle vicende dell’isolazionismo di Cina e Cuba, come anche di
altri paesi dell’Eurasia, dell’America latina e dell’Africa. Una tale estensione geopolitica è stata la
manifestazione macroscopica dell’isolazionismo più radicale e propriamente metafisico: il progetto
titanico di strappare quei fili che legano il cielo e la terra secondo la tradizione biblica.
Con la dissoluzione dell’URSS un immenso “specchio” tidelogico si è infranto in una moltitudine di
piccoli frammenti. Invece del muro di Berlino e della “cortina di ferro” sono comparsi altri attributi
Аверинцев С. С. «Русское подвижничество и русская культура» // Аверинцев С. С. «Связь времен», – К.: Дух і літера, – с. 190.
Там же, с 193.
11 Там же, с 192.
12 Там же.
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dell’isolazionismo. Ma qui non ci occuperemo di politica. Dall’epoca della caduta dell’impero romano la
chiesa ha attraversato un gran numero fasi di scomparsa di alcuni stati e di formazione di altri. Specifico
del nostro tempo è la complessa interazione dell’individualismo contemporaneo e di nuove forme di
isolazionismo etnoculturale. I loro virus minacciano la società dell’informazione contemporanea.
D’altra parte devo fare una precisazione: non ho per nulla intenzione di unire la mia alla voce di chi
tira l’acqua al mulino della demonizzazione della tecnica, senza affrettarsi a rinunciare alle comodità
quotidiane che essa ci procura… L’onestà intellettuale esige una demarcazione più sfumata e la
ponderazione dei fattori pro et contra.
Perorando oggi la causa di un’antropologia della comunione, non si possono non ricordare i
cambiamenti tumultuosi delle forme di comunicazione. Per esempio grazie ai cellulari. Convenzione del
genere letterario della conferenza pubblica è il disinnesto dei telefonini: anzitutto del conferenziere, poi
del moderatore, infine degli ascoltatori. Ma se improvvisamente a qualcuno in sala suona il cellulare,
rischiano subito di essere recisi i fragili fili dell’attenzione che legano il relatore ai suoi ascoltatori.
D’altra parte non tutti i mali vengono per nuocere: qualcuno del pubblico che aveva fatto in tempo ad
assopirsi fino a quel momento, viene risvegliato dalla suoneria…
Ma qualsiasi atto d’interazione con la varietà delle culture della comunicazione è in grado di
ridestare l’attenzione. Agli stranieri sono subito evidenti le differenze di cui parla l’esperienza personale
di ciascuno di noi. Per esempio, permettetemi di condividere qualcosa dell’esperienza di un fuoriuscito
dalla chiusa società sovietica, capitato a Parigi nel 1991. Dopo aver vissuto sei mesi nella conclamata
capitale europea della cultura, io non vidi nessun telefono cellulare (è difficile immaginarselo oggi, che i
telefonini ― nelle mani dei cittadini, sulla bocca, nelle orecchie, sul petto, dappertutto ― hanno così
pervasivamente cambiato l’aspetto sociale della città). Ma non appena sbarcato dall’aereo in Italia per un
congresso, m’imbattei per la prima volta in questa scoperta, che ha rivoluzionato il mondo della
comunicazione. All’aeroporto di Milano, davanti a un’enorme parete di vetro, mentre guardava gli
aeroplani decollare, stava un felice possessore di uno dei primi modelli di cellulare europei. Ci rivolgeva
la schiena e gridava per tutto l’aeroporto la sua felicità a qualche innamorata lontana: “Io sono con te!”.
Allora io non sapevo dove dovesse volare, ma ora lo so: volava nel pieno senso della parola in quel nuovo
mondo della comunicazione dove voliamo oggi noi tutti… (Persino un rigoroso asceta, quando prende
l’aereo per recarsi a un convegno sulla persona e la solitudine, facilita il compito di chi lo attende in
aeroporto chiamando dal suo cellulare). Dopo questa breve illustrazione, ritorniamo alla nuova svolta del
nostro tema.
La comprensione del mistero della persona umana apre la possibilità di superare una serie di
contrapposizioni, che a metà del XX secolo divisero i teologi ortodossi: in particolare, da un lato gli
inflessibili fautori della “neopatristica”, e dall’altro i seguaci della sofiologia e i teologi sensibili ai
problemi etici della cultura contemporanea. La polarizzazione delle posizioni dei partigiani della
neopatristica e dei loro avversari, ahimè, rafforzò la frammentazione del campo della teologia ortodossa
nel XX secolo (accanto a una moltitudine di fattori non concettuali ma pratici dell’epoca prima e dopo la
seconda guerra mondiale). La fissazione di una delimitazione di diversi “partiti” negli istituti superiori e
nei corsi nei seminari non favorì in epoca postsovietica la rinascita di un sistema di formazione teologica.
La via per oltrepassare le contrapposizioni menzionate si associa oggi a un paradigma interpretativo della
persona.
Per sviluppare questo paradigma teologico, un passo importante fu la relazione del metropolita
Kallistos Ware “A immagine e somiglianza: il mistero della persona umana” 13. Ampia risonanza ebbe la
tesi secondo cui, dopo la problematica ecclesiologica del XX secolo, l’incipiente XXI secolo avrebbe visto
Questa conferenza d’ampio respiro fu tenuta per la prima volta nel 2003 a Kiev, durante le “Letture per la Dormizione”, e in seguito pubblicata
in inglese e in russo a Kiev (Епископ Каллист Диоклийский «По образу и подобию: тайна человеческой личности» // Пути просвещения
и свидетели правды. – К.: Дух і літера, 2004, - с. 128-145.), e in francese sulla rivista «Irenikon»: Kallistos Ware, “La theologie orthodoxe au
vingt et unième siècle” // Irenikon, 2004, №2-3, p. 219-238.
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al centro dell’interesse la teologia della persona umana. “Lo spostamento del fuoco delle ricerche
teologiche dall’ecclesiologia all’antropologia” secondo l’opinione dell’autore è provocato da quattro
cause fondamentali.
1) Lo smarrimento della personalità nelle megalopoli e nella società globalizzata pone in primo
piano l’imperativo di “confermare l’unicità e il valore perenne di ciascun uomo preso singolarmente”.
2) La dominanza della tecnologia informatica costringe sempre più le stesse relazioni in uno spazio
virtuale. Questa sfida ricorda l’importanza prioritaria dell’incontro non mediato da persona a persona, a
faccia a faccia.
3) I progressi nell’ambito dell’ingegneria genetica e la revisione delle questioni di bioetica, delle
convinzioni tradizionali riguardo il matrimonio e la relazione tra i generi, acuiscono l’attualità di una
riflessione creativa sulla persona umana.
4) La catastrofe della crisi ecologica non può essere ridotta a problemi d’ordine tecnico ed
economico: si tratta anzitutto di una crisi antropologica. L’immagine del mondo si deteriora sempre più,
poiché l’immagine e l’autocoscienza umane sono snaturate.
L’autore invita tutti noi a completare questo elenco di argomenti e a precisare quelli già nominati.
Così io ho intenzionalmente riformulato la seconda causa, che l’autore definisce la “dominanza delle
macchine”. Negli ultimi dieci anni, infatti, si è verificato un impetuoso sviluppo dei programmi
d’insegnamento a distanza per il tramite d’internet, che riducono al minimo gli incontri diretti “faccia a
faccia”. La massima mediazione dell’ambiente informatico virtuale diviene il nuovo tramite della vecchia
relazione maestro-allievo. Se prima metteva sul chi vive “il tasso d’occupazione dei colleghi in discorsi
sui propri computer”, adesso ormai quegli stessi discorsi dall’effettiva aula professori si sono trasferiti
nella rete virtuale, indifferente alla localizzazione degli interlocutori in un punto o l’altro del pianeta.
Nuove forme di relazione e formazione integrano gli incontri “a faccia a faccia” con l’aiuto della chat “da
foto a foto” (per esempio nei social networks come Facebook).
Il fattore nuovo che ha posto in risalto il tema di persona e comunione è stata la crisi economica,
che negli ultimi anni ha toccato tutto il mondo economico e finanziario. Al suo nocciolo sta la crisi della
fiducia, che esige che s’interpretino di nuovo i fondamenti antropologici del fenomeno della fiducia
dell’uomo verso l’uomo. Nella cultura contemporanea del sospetto raramente l’inclinazione a non fidarsi
è sottoposta ad analisi razionale. La diffidenza acquisisce effettivamente un’ampiezza irrazionale. Il
problema dei limiti della fiducia verso l’altro viene posto molto più spesso e stringentemente del
problema dei limiti della diffidenza. L’uomo si sente dire fin dall’infanzia: “Fidarsi è bene, ma verificare
è meglio”. Ma nessuno gli suggerisce un proverbio simmetrico sulla necessità di mettere alla prova anche
ogni atto di diffidenza. È curioso: in quali lingue l’esigenza di verificare la diffidenza si è trasformato (o
si trasformerà?) in proverbio?
5. Homo credens
Coltivare la fiducia non fa parte della norma di educazione alle buone maniere. Si tratta di far
emergere una sostanziale qualità dell’uomo, decisiva perché l’uomo sia uomo. Nel suo saggio Per una
definizione dell’uomo, Averincev formula due fattori decisivi per il nostro tema:
L’uomo è un essere che, in primo luogo, possiede per definizione l’idea dell’intero e persino
parole per esprimere questa idea: tó pân, Universum, das All, “l’edificio del mondo” (mirozdanie)
e altre ancora, e inoltre in modo tale che la sua sostanza umana è radicalmente condizionata dalla
serietà che queste parole e questa idea hanno per lui; e in secondo luogo, pure per definizione, non
può conoscere questo intero, cioè renderlo oggetto d’informazione precisamente in quanto intero.
L’uomo è destinato simultaneamente a conoscere solo una parte dell’intero ― a “conoscere in
7
parte”, come si esprime l’apostolo Paolo (1Cor 13,12) ―, e ad essere indubitabilmente sicuro che
l’intero esiste e che solo all’interno dell’intero le parti acquisiscono un senso vero, degno
dell’uomo, cioè che trascende i limiti dell’uso immediato14.
Ne consegue che “l’intero è del tutto obbiettivamente ‘assegnato’ all’intelletto. E tuttavia esso non
gli è ‘dato’. Ciò significa che l’uomo è in modo necessario un homo credens, un essere che crede”.
Da questa definizione dell’uomo derivano le conseguenze più sostanziali per il nostro tema della
comunione: le relazioni più importanti per l’essere della persona come l’amicizia e il matrimonio
presuppongono un atto di fiducia pienamente consapevole.
Io mi fido di lui e decido di prenderlo come mio amico. Io mi fido di lei e decido di prenderla
come mia sposa. In entrambi i casi io certo so qualcosa di quella persona, forse non così poco; ma
sempre la mia conoscenza è “in parte”, secondo l’espressione di Paolo. Ma in realtà io prendo la
persona non “in parte”, ma come un tutto, “interamente”; “integralmente”. E ciò che qui è
sostanziale non è la quantità di informazioni l’uno sull’altro (come potrebbe intenderle, diciamo,
qualsiasi Intelligence Service, il cui nome stesso suona così “intellettualistico”), quanto qualcosa
di completamente diverso: guardarsi gli uni gli altri negli occhi. Altrimenti la fiducia non si
chiamerebbe fiducia, ma in qualche altro modo15.
Argomenti e contrario sono stati forniti dalla recente esperienza storica dei regimi totalitari. La
diffidenza sistematica disseminata in tali sistemi politici era diretta alla distruzione del principio personale
nell’uomo e alla manipolazione di ogni forma di relazione umana (incluse le più intime). Averincev
conferma con una testimonianza personale l’analisi di questo problema:
Noi, nati nell’atmosfera della delazione totale, ancora sotto Stalin, conosciamo questa “pelle” più
di qualsiasi altro. Dalla prima infanzia ci è noto che se si parla apertamente, si rischia di far perire
se stessi e il prossimo; ma se non si ha mai e in nessun caso fiducia di nessuno, si finisce per
rinchiudere la propria anima in un ergastolo solitario dietro mura invisibili più tremendo di
eventuali repressioni statali. L’errore, l’errore fatale, è possibile; ma rinunciare alla fiducia è
rinunciare alla vita. Ecco una scommessa non inferiore a quella di Pascal16!
La scommessa a vantaggio della fiducia potremmo oggi a buon diritto chiamarla “scommessa di
Averincev”. Nella realtà dei fatti essa fu sofferta con tutta la vita e la croce portata dalla sua generazione.
E l’elaborazione filosofica della definizione dell’uomo come homo credens fu al tempo stesso un atto di
fiducia verso l’irriducibilità della persona umana e una profonda penetrazione nel mistero della forma
umana dell’essere. La combinazione di forza esistenziale e intellettuale nella “scommessa di Averincev”,
formulata per la nostra epoca, non a caso è associata alla “scommessa di Pascal”, lanciata all’alba dell’era
moderna.
Аверинцев С. С. «К дефиниции человека» // Человек. История. Весть. – К.: Дух і літера, 2006, с. 398
Там же, с. 401.
16 Там же, с. 400-401.
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15
8
6. Per un’antropologia della fiducia
Per la società dell’informazione, che oggi si sviluppa tumultuosamente, un’attualità particolare
assume l’argomento dell’antropologia della fiducia:
Solo decisioni puramente tecniche possono essere accettate sulla base scientifica di una
fondazione formalizzata. Una vita umana degna di essere vissuta, come dicevano gli antichi,
necessariamente implica atti di scelta vitale, fondati sulla fiducia da uomo a uomo; e la fiducia può
avere motivi talvolta, in certa misura, razionali (quali alcuni teologumeni), e talvolta puramente
“intuitivi”, ma non può essere dall’inizio alla fine motivata da un calcolo formale che deduce le
conclusioni dai principi17.
Il calcolo domina nella società dell’informazione, ma non è in grado di salvaguardare
dall’instabilità e dalla crisi globale nemmeno la sfera economica. Ancor meno le sfere della vita sociale e
della cultura possono essere regolate dalla logica del calcolo. La logica della fiducia ha un diritto sovrano
in questi ambiti.
L’orizzonte della fiducia amplia i limiti temporali delle relazioni tra gli uomini, liberandoli dalla
pressione della mancanza di tempo, dalla tirannia dei contatti urgenti ed effimeri, destinati a estinguersi
come si gettano i piatti monouso. Aprendo l’orizzonte di relazioni durevoli, la fiducia fa emergere in esse
quelle possibilità di cui abbiamo parlato a proposito dell’amicizia e del matrimonio. Gli atti di fiducia
connettono tutto il cammino dell’uomo nel tempo, negli anni contati della sua sorte terrena.
Ma dagli atti di fiducia dipende anche il destino dell’uomo oltre la cornice del tempo, nell’eternità.
L’atto di fiducia nell’uomo e in Dio è la condizione necessaria del sacramento della confessione. Qui
l’uomo è chiamato a fidarsi totalmente e passare attraverso l’acuta esperienza dell’incompletezza del
proprio sapere, attraverso la pratica di elaborare un “ritratto informativo” del proprio interlocutore.
Ancora una volta il “conoscere in parte” di Paolo apre alla persona le tappe successive di una fiduciosa
comprensione dell’altro. E grazie a lui, di se stesso.
Ho menzionato la confessione, perché proprio nelle questioni a suo riguardo s’imbattono i lettori
della “letteratura del sospetto” da Freud e Nietzsche fino a Foucault e gli attuali “ateologi”. Ma
consapevoli forme di atti di fiducia sono la necessaria preparazione a ciascuno dei sacramenti ecclesiali, a
cominciare dal battesimo. Portando il nostro bambino in chiesa per il sacramento del battesimo, noi lo
affidiamo completamente, affidiamo chi ci è massimamente prossimo, chi ci è più caro di noi stessi.
L’antropologia della fiducia entra nella teologia sacramentale come sua dimensione sostanziale e
ineliminabile.
All’uomo non è dato un sapere esauriente per risolvere il proprio destino nell’eternità. Con altre
fondamenta egli è chiamato ad accogliere il Creatore, “quale Re e Dio” e anche, aggiunge Averincev ―
cosa ch’è forse ancora più difficile ― “quale amico”. La massima della comunione divinoumana è
risuonata nell’ultima cena: “Io vi ho chiamato amici” (Gv 15,15).
La libertà ci è stata donata e la fiducia è la manifestazione paradossale di questa libertà. Infatti,
se noi sapessimo tutto, se avessimo tutta la pienezza delle informazioni su tutto, sull’intero, non ci
resterebbe altro che accogliere forzatamente la regalità del Re e la divinità di Dio, accoglierli
come un fatto. Secondo l’apostolo Giacomo, in tale condizione si trovano i demonî, che “credono
e tremano” (Gc 2,19). Non lo vorrebbero, ma credono. Ai fatti non si resiste.
17
Там же, с. 400.
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E così il privilegio della nostra condizione ― sappiamo dell’intero, ma non sappiamo, non
conosciamo ancora l’intero ― ci offre la possibilità di accogliere l’Amico, allo stesso modo in cui
noi accogliamo tra gli amici un uomo come noi: con un atto di libera fiducia, non “estratto” a
forza da dati formalizzati, non determinato da procedimenti deduttivi. Semplicemente “guardando
negli occhi”. Nel linguaggio tradizionale lo si definiva “atto di fede”. Ma non è un peccato talvolta
chiamarlo tra di sé più semplicemente con qualche altra parola18.
Questo getta una nuova luce sulla ricerca dell’unità dei cristiani. Da quando sono apparsi documenti
come l’Unitatis Redintegratio o il Tomos Agapis, nella letteratura è utilizzata molto spesso l’espressione
di “clima di fiducia”. Questa combinazione di termini si è persa, e ci si chiede se non sia giunto il tempo
di intraprendere passi concreti per restituirle la parola, e soprattutto il suo senso preciso.
Quanto si è ora detto sulla teologia e l’antropologia della fiducia ci aiuta a riconoscere che non si
tratta di un’agevolazione opzionale lungo il duro cammino di superamento degli scismi e delle divisioni.
Non stiamo parlando di menu raffinati, o dei brani musicali che dovrebbero accompagnare i colloqui di
lavoro. È in gioco la possibilità stessa di essere dell’uomo, la capacità della persona alla comunione con
gli altri uomini e con Dio.
Recentemente in uno studio sulla teologia di padre Sergij Bulgakov è stato giustamente fatto
osservare il legame diretto tra i suoi fondamentali lavori teologici sull’ontologia trinitaria e le audaci
iniziative per l’avvicinamento dei cristiani. Tali iniziative anche oggi hanno un acuto bisogno di
approfondire (e allargare) il contesto teologico. In caso contrario, come scrive Ljubomir Žak, avviene
come nel caso di Bulgakov, il cui tentativo di “trasferire il nocciolo del problema ecumenico in
prospettiva ontologica rimane purtroppo incompreso e inefficace”19. Ma anche adesso i passi concreti per
l’avvicinamento dei cristiani dipendono in gran parte dall’ampliamento del contesto teologico. Nel secolo
scorso erano gli studi di ecclesiologia e ontologia che aspiravano a giocare questo ruolo. La prospettiva di
trasporre gli accenti nell’ambito dell’antropologia eucaristica può diventarne ora il vettore creativo.
La fecondità dell’antropologia della fiducia consiste anche nel ripensamento del nostro vocabolario.
In particolare le vecchie, ma per nulla obsolete, metafore del tipo “clima di fiducia”. La precarietà del
clima naturale sul nostro pianeta è oggi come non mai evidente. Il caldo senza precedenti di questa estate
e gli incendi che hanno devastato gran parte della Russia hanno introdotto la preoccupazione per il clima
nella nostra vita quotidiana. Questa esperienza non c’era negli anni sessanta, quando la metafora del
“clima di fiducia” accompagnava l’apertura delle finestre per fare entrare l’aria fresca delle sedute
conciliari. Per coloro che sono destinati a partecipare al concilio futuro sarà di nuovo attuale l’apertura di
un “secondo respiro” del tema della fiducia. In diretto rapporto a questo compito è la pratica conciliare in
miniatura che permette il clima fiducioso che ci ha radunato qui.
Questa esperienza collega la conclusione con il principio, ritornando all’iniziale stupore e… alla
gratitudine.
Там же, с. 401-402.
Любомир Жак «Актуальность богословия С. Булгакова в диалоге с Западом» // Православное богословие и Запад в XX веке. История
встречи. – Москва, 2006, с. 142.Ср.: Адриано Дель Аста «Русская религиозная философия и Запад» // Там же, с.209-224.
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