Pontificia Università Lateranense
Facoltà di Diritto civile
3° anno
Cristologia
(2° anno di Teologia)
20040
Prof. Antonio Cecchini
Bibliografia
Riferimenti al Magistero:
- Catechismo della Chiesa Cattolica (Libreria Editrice Vaticana, 1992), n.n. 422-682
- Congregazione per la Dottrina della fede, Dichiarazione Dominus Jesus (6.08.2000)
Lo studente, oltre allo studio della Dispensa e degli appunti presi a lezione, farà riferimento nella Sua ricerca ai testi del
Magistero sopra indicati; per sostenere l’esame dovrà inoltre dimostrare di aver compiuto una lettura attenta di uno
dei testi sotto indicati:
Testi privilegiati:
Benedetto XVI (Joseph Ratzinger), Gesù di Nazareth (vol. 1), Rizzoli 2007.
Benedetto XVI (Joseph Ratzinger), Gesù di Nazareth (vol. 2), L. E. Vaticana 2011.
Altri testi:
Joseph Ratzinger, Introduzione al cristianesimo, Queriniana, (1968) 2012.
Romano Guardini, Il Signore, Vita e pensiero, 2005.
Giuseppe Ricciotti, Vita di Gesù Cristo, Mondadori (Oscar) 1994.
Henry Daniel-Rops, Breve storia di Gesù Cristo, San Paolo 2002.
Vittorio Messori, Ipotesi su Gesù, SEI 2001.
Vittorio Messori, Patì sotto Ponzio Pilato?, SEI 2003.
Vittorio Messori, Dicono che è risorto, SEI 2000.
Può essere utile consultare il sito del Professore (www.laviadellavita.it), ad esempio nella sezione Un aiuto per < per
capire la fede, oppure in quella dei Dossier, come pure in Fede e cultura o in Fede e morale.
La Dispensa qui riportata, che non sostituisce quanto il Docente ha presentato durante le lezioni (e i relativi
appunti presi dallo Studente), è costituita da 2 Premesse (una sulla ricerca e le caratteristiche della Verità ed una
sulla questione razionale dell’esistenza di Dio), cui fa seguito una Introduzione al “mistero” di Cristo (Cristologia);
al termine lo Studente trova pure indicazioni per orientarsi nel CCC (Catechismo della Chiesa Cattolica e relativo
Compendio) per ciò che riguarda appunto le tematiche cristologiche, come pure i titoli dei paragrafi dei due
autorevoli volumi di J. Ratzinger/Benedetto XVI su Gesù di Nazaret.
Nello studio della presente Dispensa si faccia molta attenzione anche alle note a piè di pagina, che in genere
sono esplicative dei contenuti, anche con l’apporto di esempi chiarificatori; si tenga inoltre presente che è
possibile che in certi programmi o strumenti telematici usati tali note non risultino visibili (in tal caso
provvedere evidentemente ad usare altri sistemi per scaricare e stampare la Dispensa stessa).
Diritto Civile, 3° anno: Teologia (Cristologia) – prof. A. Cecchini
CRISTOLOGIA
Traccia per una Introduzione alla Cristologia
Premessa 1
La questione della verità
1.1: Una questione decisiva
Una vita tutta assorbita dalle cose “da fare” e spesso attirata spasmodicamente dalle cose “da
avere”, rischia di diventare molto presto una vita disumana. Il materialismo vorrebbe convincerci
che questa è la concretezza della vita, ciò di cui abbiamo bisogno. In effetti abbiamo bisogno di
tante cose, senza le quali sarebbe difficile vivere. La logica commerciale sollecita però in noi
perfino dei bisogni artificiali, per poterci vendere sempre qualcosa di nuovo che sembra
indispensabile. Poi ci accorgiamo che le cose più importanti della vita in realtà non si possono
comprare: come l’amore, l’amicizia, la serenità interiore, il senso stesso di quello che facciamo.
Da quando esiste, noi vediamo che l’uomo ha sì bisogno, come gli altri animali, di mangiare, bere,
dormire, sente la voglia di accoppiarsi... ma, a differenza di tutti gli altri animali, l’uomo ha dentro
di sé un bisogno più grande, una fame di qualcosa che lo attira e nello stesso tempo lo supera
sempre. Già l’uomo delle caverne ha sì bisogno di cose immediatamente utili per vivere, come
costruire un arnese per cacciare o difendersi dalle belve, ma disegna anche un graffito sulla parete
della caverna o prova a fare della musica! Questo non risponde ad un bisogno materiale, cioè alla
domanda “a che cosa mi serve”, ma ad una bisogno più profondo: abbiamo infatti fame di bellezza1!
L’essere umano non si accontenta di provare piacere nell’accoppiarsi, ma si sente solo e sente di
essere fatto per l’altro: abbiamo infatti fame d’amore! Quando poi la morte prende una persona
cara, l’uomo prova angoscia, e non solo perché lei o lui non c’è più, ma perché sente che la morte
non dovrebbe esserci: abbiamo infatti fame di vita, di vita eterna2! Ogni nostra scelta è in fondo
mossa dal desiderio di felicità. Quando un uomo non ha più questa speranza di felicità diciamo
infatti che è “di-sperato”. E’ una fame talmente forte che il disperato può arrivare anche al suicidio3:
meglio non vivere che vivere senza una speranza, senza un fine di felicità, meglio non vivere che
vivere senza senso. La gioia vera non può essere costruita artificialmente, non si può comprare: per
fare allegria può bastare anche un po’ d’alcool o altro nel sangue (un po’ d’euforia che spesso si
paga con la successiva depressione; non si tratta dunque di vera libertà, ma di una schiavitù); per
avere la gioia c’è bisogno di ben altro. Può capitare inoltre di confondere la felicità con delle tappe
intermedie: “sarò felice quando avrò quella cosa lì”, “quando farò quella cosa là”. Poi ci
accorgiamo che non è così, che anche quando abbiamo raggiunto quella tappa, in realtà poi non
basta, ma siamo fatti per qualcosa di più. Qualcuno allora diventa cinico: arriva cioè a convincersi
che la felicità non esiste, che al massimo esistono solo felicità passeggere; ma anche se cerchiamo
di accontentarci, sentiamo in realtà che siamo fatti per un oltre. Se siamo sinceri con noi stessi,
riconosciamo infatti che abbiamo fame di una felicità infinita.
1
L’arte non è riconducibile al materialismo: la musica non è solo un insieme di onde sonore; quello che può suscitare
interiormente la visione di un bel quadro o di uno stupendo panorama non è riducibile ad un insieme di colori.
2
Anche i più antichi reperti della paleoantropologia, come anche tutte le civiltà antiche, ci mostrano l’esistenza di un
“culto dei morti”, cioè l’intuizione profonda e universale che non siamo fatti solo per questa vita. Anche G. Jung
osserva come la questione della morte sia quella che sta più al fondo di noi stessi. Per questo motivo M. Heidegger
definisce l’uomo anche Sein-zur-tode (Essere-per-la-morte).
3
E’ drammaticamente significativo infatti che ad esempio il numero di suicidi giovanili cresca in modo esponenziale
proprio in quelle regioni e nazioni con il maggior benessere, là cioè dove non ci sono seri problemi materiali.
2
Diritto Civile, 3° anno: Teologia (Cristologia) – prof. A. Cecchini
Non abbiamo dunque solo bisogno di cose da fare, ma abbiamo ancora più bisogno di un senso con
cui farle, abbiamo cioè bisogno di un significato e di un significato vero. Non abbiamo solo bisogno
di vita, ma del senso vero con cui vivere. Vivere senza un senso vero, in realtà non è vivere ma è un
sopravvivere. Abbiamo fame di significato, di un senso vero, abbiamo cioè fame di verità di vita4!
Quindi, se abbiamo il coraggio di guardarci dentro, dobbiamo prima o poi riconoscere che il nostro
bisogno di bellezza, di vita, di amore, di felicità, di verità, è in realtà bisogno della Bellezza, Vita,
Felicità, Verità infinite, di un Amore infinito, in altre parole potremmo dire che abbiamo bisogno
dell’Essere infinito5.
L’uomo è un essere davvero speciale: è un essere finito, ma con dentro una fame di infinito, per cui
nelle sue aspirazioni non si accontenta mai e trascende sempre se stesso e l’universo intero; è parte
del mondo ma con il suo pensiero è più del mondo6, è un animale evoluto ma ha dentro qualcosa di
spirituale, di divino, che lo rende signore del pianeta. Quando appare l’uomo, per la prima volta
vediamo infatti sulla terra un essere che non è solo un animale biologicamente e cerebralmente
evoluto, ma un essere che porta in sé una traccia divina, una caratteristica spirituale che lo rende
simile a Dio7: è ciò che si manifesta con la sua superiore (spirituale) capacità di pensare e di essere
libero. La nostra questione principale, il dramma dell’essere umano ma anche la sua superiore
grandezza e dignità, per cui possiamo o soffrire o gioire più di tutti gli altri esseri viventi, è data
appunto dal fatto che siamo “finiti”, ma con dentro un’ineliminabile fame di Infinito! L’uomo
sembra proprio essere non solo simile a Dio, ma fatto per Dio8.
L’intelligenza, che permette all’uomo non solo di fare esperienza della realtà, ma appunto di “intuslegere”, cioè di cogliere sia pur parzialmente l’essere delle cose e di possedere quindi concetti
astratti, di conoscere cioè delle verità, gli consente pure di formulare ragionamenti e scoprire così
nuove e più profonde verità. Per questo l’uomo evolve non solo biologicamente, cresce non solo
fisicamente, ma soprattutto culturalmente, tendendo cioè verso una verità sempre più grande. In
questo modo diventa anche sempre più uomo9.
L’uomo ha un naturale e insopprimibile bisogno di verità. Fin dagli inizi della sua storia egli si
4
Già all’inizio della sua missione Gesù risponde a Satana: “Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce
dalla bocca di Dio” (Mt 4,4*). Vince e ci mette in guardia da questa perenne tentazione di ridurre il bisogno dell’uomo
alle questioni materiali. L’uomo ha soprattutto fame di Verità ed ha fondamentalmente fame di Dio.
* = qualora non fossero note, le sigle dei libri biblici si trovano nell’indice stesso della Bibbia; il primo numero indica ovviamente il
capitolo, quello dopo la virgola il versetto (ad esempio la citazione sopraindicata, Mt 4,4, indica Vangelo di Matteo al capitolo 4, versetto
4). Tutte le citazioni bibliche qui segnalate vanno specificamente lette sul testo.
5
Essere, verità e bene sono in fondo la stessa cosa. Chiamiamo l’essere “vero” in riferimento all’intelligenza che lo
coglie e “bene” in riferimento alla volontà che lo vuole. Analogamente, all’opposto lo diciamo di nulla, falso e male
(ma non c’è correlatività perché abbiamo questi tre concetti in riferimento ai primi tre e non viceversa).
6
B. Pascal disse che l’uomo è una “canna pensante”: così fragile e nello stesso tempo più grande dell’universo stesso,
perché “anche se l’universo mi uccidesse esso non sa di farlo, mentre io lo so”. M. Heidegger dice che l’uomo è Dasein
(Esserci), cioè l’unico essere che sa di esserci, in cui l’essere prende coscienza di sé.
7
Nel primo capitolo del primo libro della Bibbia (Genesi), si dice in modo straordinario (e tanto più inaudito in quanto
c’è nell’Antico Testamento la proibizione assoluta di farsi immagini di Dio, in quanto Egli è trascendente e puro
Spirito) che l’essere umano è creato da Dio “a sua immagine e somiglianza” (Gen 1,26-27), proprio perché oltre
all’elemento materiale c’è in lui e solo in lui quello spirituale (Gen 2,7); per questo è chiamato a “dominare” il mondo
(Gen 1,26) ed a diventare l’amico di Dio.
8
“Eppure l’uomo, una particella del tuo creato, vuole lodarti. Sei Tu, Signore, che lo stimoli a dilettarsi delle tue lodi,
perché ci hai fatti per Te e il nostro cuore non ha posa finché non riposa in Te” (S. Agostino, Le Confessioni, 1,1,1).
Anche un filosofo ateo contemporaneo come J. P. Sartre, ad esempio, riconosce che “l’uomo è fondamentalmente
desiderio di essere Dio”; ma se Dio non c’è allora “l’uomo è una passione inutile” [L’être et le néant, Paris 1960, p.
708]. Se così fosse, se a questa fame infinita dell’uomo non corrispondesse niente, non ci fosse risposta, l’uomo sarebbe
tra l’altro la prima assurdità cosmica, perché mai nella natura si registra l’esistenza di un bisogno fondamentale “vano”,
cioè senza risposta (se c’è la sete è perché da qualche parte c’è l’acqua).
9
Giovanni Paolo II, Discorso all’UNESCO (Parigi, 2.06.1980), nn. 6-7: “L’uomo vive di una vita veramente umana
grazie alla cultura. La vita umana è cultura nel senso anche che l’uomo si distingue e si differenzia attraverso essa da
tutto ciò che esiste per altra parte nel mondo visibile: l’uomo non può essere fuori della cultura. La cultura è un modo
specifico dell’«esistere» e dell’«essere» dell’uomo [...] La cultura è ciò per cui l’uomo in quanto uomo diventa più
uomo, «è» di più, accede di più all’«essere». E’ qui anche che si fonda la distinzione capitale fra ciò che l’uomo è e ciò
che egli ha, fra l’essere e l’avere”.
3
Diritto Civile, 3° anno: Teologia (Cristologia) – prof. A. Cecchini
meraviglia, prova stupore per tutte le cose e per il suo stesso esserci (stupore ontologico). Dallo
stupore nasce la domanda del perché e di conseguenza ogni ricerca (scientifica, filosofica, artistica,
religiosa) della verità10. E questa ricerca non finisce mai, non siamo mai sazi: l’uomo tende verso
una Verità infinita. Anche quando un bambino comincia a guardarsi attorno, vediamo che chiede
continuamente i suoi “perché”. Ovviamente non tutti hanno questo desiderio con lo stesso grado di
intensità; ma almeno un poco sicuramente e necessariamente sì, perché non esiste un uomo che non
si sia mai domandato un perché, né potrebbe vivere a lungo la vita e le cose della vita senza un
significato, così come non potrebbe vivere neppure un istante con il sospetto che ogni conoscenza
sia falsa (scetticismo). Qualcuno con particolare passione e genialità, e magari senza alcun interesse
immediato, dedica perfino l’intera vita per la scoperta di una verità, di cui poi milioni o miliardi di
persone potranno godere.
Nella nostra ricerca della verità, ci sono semplici curiosità, ma anche questioni più urgenti e perfino
alcune da risolvere necessariamente. Evidentemente su alcune questioni, come quelle che
ineriscono alla nostra professione, dobbiamo essere particolarmente competenti. Non è chiesto a
tutti di sapere certe cose. Il campo del sapere è oggi talmente vasto che anche un mente geniale non
potrebbe tutto abbracciarlo. Noi siamo più competenti in certi rami del sapere e per altre verità ci
fidiamo di chi è in esse più competente. Esistono però delle questioni così decisive per l’esistenza
sulle quali, pur essendoci anche lì degli specialisti, non possiamo essere ignoranti o superficiali,
pena il fallimento della nostra stessa vita. Ci sono dunque delle verità più importanti e decisive di
altre, su cui sarebbe veramente sciocco e perfino tragico andare avanti “per sentito dire”, secondo le
mode (“così fan tutti”), le voglie o le sensazioni del momento (“mi va, non mi va”, “se mi va, fino a
quando mi va”).
Nel campo intellettuale, cioè della ricerca e degli studi, una verità è tanto più importante quanto più
profondo è il suo livello, cioè quante più cose riesce a spiegare ed unire. Per questo la questione del
perché di tutte le cose, cioè della causa prima di tutto l’essere, è quella più difficile ma anche la più
importante, perché in fondo tutte le altre verità ne dipendono11. Ma questo è in fondo il problema di
Dio (che per definizione stessa è Colui da cui tutto dipende). Anche esistenzialmente, cioè anche
dal punto di vista della nostra vita concreta, la questione del senso ultimo (causa prima e fine
ultimo) dell’esistenza risulta quella più decisiva, anche se non sembra. Se non so da dove vengo e
dove vado non so in fondo perché vivo, ma se non so perché vivo faccio fatica a capire il senso vero
anche delle singole cose della mia vita e della mia giornata. Ma anche questa domanda sul senso
ultimo della vita è in fondo ancora il problema di Dio12. Esiste infatti nella vita di ognuno, anche se
10
“Lo stato d’animo del filosofo è la meraviglia. L’origine della filosofia è la meraviglia” (Platone, Teeteto 155 d). “Il
motivo per cui il filosofo è vicino al poeta è questo: ambedue hanno a che fare con ciò che desta lo stupore” (S.
Tommaso d’Aquino, Commento alla Metafisica di Aristotele, I, 3). “Chi si impegna seriamente nella ricerca scientifica
finisce sempre per convincersi che nelle leggi dell’Universo si manifesta uno Spirito infinitamente superiore allo spirito
umano” (dalla lettera A. Einstein del 24.01.1936, in Albert Einstein. Il lato umano, TO 1980, p. 31). “Gli uomini furono
mossi a filosofare, allora come ora, dalla meraviglia, rimanendo dapprima stupiti dinanzi ai problemi più semplici, e poi
progredendo a poco a poco sino a porsi problemi molto più alti” (Aristotele, Metafisica I 2, 982 b 14). “Lo stupore è il
desiderio di sapere qualcosa: esso nasce nell’uomo per il fatto che questi vede l’effetto e ignora la causa; oppure per il
fatto che la causa di quell’effetto trascende la conoscenza o la capacità dell’uomo. Perciò lo stupore è causa di piacere,
in quanto gli è congiunta la speranza di poter giungere alla conoscenza di ciò che si desidera sapere” (S. Tommaso
d’Aquino, Summa Theologiae, I-II, q. 32, a. 8, resp.). “La cosa più bella che noi possiamo provare è il senso del
mistero. Essa è la sorgente di tutta la vera arte e di tutta la scienza. Sapere che ciò che è per noi impenetrabile esiste
realmente, manifestandosi come la più alta saggezza e la più radiosa bellezza che le nostre povere facoltà possono
comprendere solo nelle forme più primitive, questa conoscenza, questo sentimento, è il centro della vera religiosità”
(Albert Einstein, Come io vedo il mondo, 1929).
11
La filosofia nasce infatti nella Grecia classica come ricerca dell’arché, cioè come ricerca del principio unificante e
causa prima di tutte le cose. Platone sottolinea appunto che scienza è la conoscenza non solo dei fenomeni, ma delle
cause dei fenomeni, e una scienza è tanto più elevata quanto più scopre le cause più a monte. La conoscenza della Causa
prima, che già Platone e Aristotele scoprono essere trascendente (al di là dell’universo stesso), è per questo la suprema
scienza: se la metafisica, cioè lo studio dell’essere in quanto essere, è già la scienza suprema, in quanto abbraccia tutto,
il suo culmine, e quindi il vertice del sapere, è lo studio della Causa prima di tutto l’essere (Dio), la teologia (razionale).
12
Occorre prestare molta attenzione a questa questione, perché oggi c’è il tentativo di ridurre il problema di Dio (la
questione religiosa) ad un’esigenza solo intima, di culto, privata o che comunque non c’entra con la vita concreta,
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Diritto Civile, 3° anno: Teologia (Cristologia) – prof. A. Cecchini
non ce ne accorgessimo, un senso ultimo, un’idea di felicità suprema e di verità fondamentale, da
cui tutto dipende. Se non è Dio (trascendente) sarà un “idolo”, cioè qualcosa o qualcuno cui ci
aggrappiamo come il nostro tutto. Potremmo dire che non si vive senza un “numero uno” nella
classifica dei nostri valori, un assoluto, per il quale, pur di non perderlo, saremmo disposti a lasciare
anche tutto il resto13. Se però ci facciamo un idolo, un falso dio, se assolutizziamo ciò che in realtà
è relativo (finito), prima o poi rimaniamo vuoti e delusi14.
Poiché siamo esseri pensanti e liberi, la questione della verità è di fatto per l’uomo una questione
obbligatoria. Infatti non possiamo non pensare e non possiamo non volere, non decidere: anche se ci
sforzassimo di non pensare e di non scegliere, sarebbe anche questo un pensiero e una scelta. Fin
dall’adolescenza ci piace avere le “nostre” idee e fare le “nostre” scelte, poiché dobbiamo essere noi
stessi, e ciascuno di noi è unico e irripetibile. Crescendo però, pensando cioè più in profondità, ma
anche attraverso esperienze positive o negative, ci rendiamo conto che per le nostre idee e scelte c’è
un aggettivo ancora più importante di quello possessivo (“mie”): è l’aggettivo “giusto”, “vero”. Non
basta cioè avere le proprie idee e fare le proprie scelte, ma abbiamo bisogno di avere idee vere
(verità) e di fare scelte giuste (il vero bene). Perché un’idea sbagliata può essere rispettabilissima,
ma in realtà non corrisponde alla realtà (è fantasia, opinione, non verità). Una scelta sbagliata
esprime sì la mia libertà, ma ultimamente non mi edifica (bene), mi rovina (male). Quante volte
facciamo infatti l’esperienza che una scelta più facile e immediatamente più allettante in realtà poi
ci ha lasciato vuoti e delusi; e invece scelte magari più difficili e immediatamente richiedenti
sacrificio ci hanno poi colmato di gioia e realizzati davvero. Per questo la questione di che cosa sia
vero e giusto, quale sia la verità e l’autentico bene, è quella apparentemente più astratta, ma in realtà
è quella più decisiva dell’esistenza; e tutto ne dipende. Solo la verità ci edifica davvero, ci rende
cioè veri uomini15.
Su queste questioni di fondo ci giochiamo tutta le vita e perfino il nostro destino eterno. Solo alla
verità corrisponde infatti qualcosa di reale: le nostre opinioni (se sbagliate) o le nostre fantasie
(quando cioè facciamo dell’“a modo mio” il criterio assoluto della nostra vita) ci lasceranno vuoti e
disperati, perché non vi corrisponderà nulla16.
Dobbiamo però riconoscere anche che, se è vero che siamo fatti per la verità e il bene, è anche vero
che questo cammino non è facile e siamo continuamente tentati anche dalla falsità e dal male.
Perché? Perché è più facile lasciarsi andare, vivere senza pensarci, fare le cose come vengono,
seguendo quello che fanno altri o le nostre stesse voglie del momento. Scoprire e vivere la verità è
bello e ci edifica davvero, ma non è facile. Possiamo avvertire perfino un’interiore resistenza alla
verità17. Pur essendo fatti per la verità, possiamo paradossalmente averne perfino paura; questo non
solo o non tanto perché sia difficile trovarla, ma perché talora riconoscere la verità vuol dire
ammettere che dobbiamo cambiare qualcosa della nostra vita; e questo può essere difficile, può
mentre sia culturalmente (il fondamento del sapere) che esistenzialmente (il perché vivo) la questione di Dio è quella da
cui dipendono tutte le altre, e la risposta a questo problema condiziona, nel bene o nel male, non solo tutta la cultura, ma
tutta l’esistenza concreta dell’uomo. Ne è riprova l’immensa incidenza che una religione ha sempre esercitato non solo
sulla vita dei singoli ma su un’intera civiltà.
13
Cfr. Mt 13,44-46 e Mt 6,21.
14
Cfr. Sal 115 (113 B), 4-8.
15
Gesù l’ha così sintetizzato: “conoscerete la verità e la verità vi farà liberi”(Gv 8,32).
16
Alla fine della vita e della storia ci sarà infatti quello che chiamiamo il “giudizio universale”: in realtà sarà
l’evidenziarsi pieno della verità (giudizio) e la nostra conformità o difformità ad essa. La partecipazione piena alla
Verità-Bene (Dio) sarà la nostra felicità infinita ed eterna (paradiso); un significato inventato (questo è in fondo il
peccato) svanirà come inesistente e ci lascerà totalmente vuoti e disperati (inferno).
17
La “Rivelazione” (Bibbia) ci fa conoscere che questa resistenza, questa fatica, è dovuta anche alla ferita del “peccato
originale” (Gen 3), per cui, pur essendo fatti per la verità, per il bene, per il bello, per l’amore, cioè per l’Essere (Dio),
in noi agisce anche una “tentazione” contraria, potremmo dire quasi una “tentazione del nulla”; tentazione che si fa
ancora più forte se ci lasciamo andare su questa strada con le nostre scelte personali, cioè con i nostri “peccati”
personali. Sappiamo dalla stessa Rivelazione di Dio che esiste pure Satana (diavolo) che opera in noi questa tentazione
del Nulla, spingendoci a ribellarci a Dio. Anche gran parte della filosofia contemporanea, avendo abbandonato l’essere
(metafisica) e l’Essere stesso (Dio) ci mostra oggi con drammaticità questa tentazione del Nulla (nichilismo).
5
Diritto Civile, 3° anno: Teologia (Cristologia) – prof. A. Cecchini
inizialmente scoraggiarci e farci “preferire le tenebre alla luce”18. Se però vogliamo davvero bene
alla nostra vita, se ci sta davvero a cuore la felicità autentica della nostra esistenza, dobbiamo amare
la verità più delle nostre opinioni e volere il bene più del nostro comodo.
1.2: Le caratteristiche della verità.
Anzitutto chiariamo cosa significhi il termine “verità”. In sé indica l’essere stesso delle cose. Più
comunemente intendiamo per verità la conoscenza dell’essere, cioè la conoscenza delle cose per
quello che sono e per il significato che hanno19. Già da questo, cioè da questo suo riferimento
all’essere, si capisce che la verità è oggettiva, cioè è data dall’oggetto (dalla cosa) e non dal
soggetto20. Le cose infatti, così come le loro cause e il loro significato, sono quello che sono e non
quello che noi vogliamo che siano. Per questo la verità non è mai “di qualcuno”, ma è indipendente
da tutti. La verità non si inventa ma si scopre (le chiamiamo infatti “scoperte”). Se pretendessimo
inventarci la verità, farcela a piacimento, sarebbe solo una fantasia, un’immaginazione, un’opinione
personale, cui potrebbe non corrisponderebbe nulla di reale (non sarebbe conoscenza, ma illusione).
Per questo motivo, specialmente sulle grandi e più decisive questioni della vita, dobbiamo appunto
cercare ed amare la verità più dei nostri gusti e opinioni personali; è più importante chiedersi “cos’è
vero” (come stanno realmente le cose) che essere attaccati al “cosa penso” o al “cosa mi piace”.
Quando la verità si manifesta alla nostra mente con evidenza, la nostra intelligenza non può infatti
più negarla, perché la nostra intelligenza non è libera nei confronti della verità21. La libertà di avere
le proprie opinioni, al di là dell’aspetto sociale del doveroso rispetto delle opinioni altrui, nasce dal
fatto che non si conosce ancora la verità, perché appunto quando una verità si manifesta (o è
correttamente dimostrata) la mente non è più libera di negarla. Proprio per questa sua oggettività e
indipendenza, la verità per sé non dipende da chi la scopre, da quando è stata scoperta, da quanti la
conoscono, dalla maggioranza o minoranza; è cioè indipendente dal consenso e anche dal tempo.
Proprio per questo suo riferimento all’essere (dico il vero se dico quello che è) la verità è una,
perché l’essere è uno, cioè si oppone al non-essere (ovviamente se parliamo della stessa cosa, sotto
lo stesso aspetto e nello stesso momento)22. Questo non significa che non possa scoprire la verità
sempre di più, anzi essa è infinitamente profonda e non finisco mai di scoprirla; ma se è verità non
potrà mai essere verità anche la sua negazione. Questa legge assoluta dell’essere, che la nostra
intelligenza pur piccola può cogliere in quanto è appunto intelligenza (cioè apertura all’essere), vale
per ogni essere, quindi per ogni autentica verità. Negarla è l’assurdo23.
18
Cfr. Gv 3,19-20.
La definizione classica di verità, formulata dalla filosofia scolastica, è infatti “adæquatio intellectus et rei” (S.
Tommaso d’Aquino, Summa theologiæ, I q. 21 a. 2c), cioè la corrispondenza tra intelletto e realtà (cosa, essere). Potrò
approfondire poi sempre più questa verità, conoscendo cioè questa realtà sempre meglio; ma intanto ho colto (“intuslego”) l’essere, l’essenza della cosa che ho davanti. Abbiamo anche osservato che una conoscenza più profonda non si
limita a descrivere, ma raggiunge la causa e il fine, cioè il significato, lo scopo, per cui è stata fatta. Anche in questo
caso penso e dico il vero se scopro e dico la causa e il fine autentico della cosa (la cosa per quello che è e per il
significato che ha). Questo riguarda anche la verità della nostra stessa vita e di tutto ciò di cui è fatta.
20
Il pensiero moderno (da Cartesio in poi), nell’analizzare questo rapporto tra il soggetto (intelligenza) e il suo oggetto
(essere), ha posto troppo l’accento sul soggetto. La progressiva perdita dell’idea di essere e il sospetto crescente che il
soggetto ci metta troppo di sé, ha fatto sì che l’oggetto della conoscenza pian piano svanisse, da cui la progressiva
perdita della verità, della sua oggettività (e quindi universalità) e della sua conoscibilità, fino allo scetticismo e al
nichilismo contemporaneo.
21
La libertà non è infatti una caratteristica dell’intelligenza ma della volontà. Se io vedo che ho davanti una penna, non
posso più dire che non è una penna, non posso più negare questa verità quando essa si manifesta. Rimane libera la mia
volontà: posso cioè usarla per scrivere (fare il bene vuol dire proprio vivere una cosa per il significato che ha), ma posso
anche romperla, bruciarla, usarla per fare del male a qualcuno (fare il male vuol dire infatti vivere quella realtà con un
significato errato o ridotto, cioè di fatto non corrispondente alla realtà).
22
Questa legge dell’essere, che si oppone al non-essere, è davvero assoluta: riguarda ogni cosa e conseguentemente
ogni intelligenza (perfino quella divina!): si chiama “principio di non-contraddizione”. Tale legge assoluta (evidenziata
già da Parmenide), si impone necessariamente ad ogni intelligenza. La usa immediatamente anche un bambino piccolo,
la coglie il semplice buonsenso, l’utilizza ogni ragionamento, sia logico, scientifico che filosofico.
23
Assurdo non è semplicemente impossibile. Impossibile significa che non rientra nelle normali condizioni di esistenza
e di possibilità (ad esempio un cavallo alato: non esiste, quasi sicuramente non esisterà mai, ma posso pensarlo,
6
19
Diritto Civile, 3° anno: Teologia (Cristologia) – prof. A. Cecchini
1.3: La ricerca della verità.
Dopo aver visto cosa sia (non quale sia) la verità e quali caratteristiche assolute abbia, ci chiediamo
ora se possiamo conoscere la verità, come la possiamo conoscere e quali tipi di verità possiamo
conoscere. La negazione totale della verità (nichilismo) o della nostra possibilità di conoscerla
(scetticismo) non è possibile, perché l’affermeremmo proprio negandola24. Il relativismo, che è il
clima culturale oggi dominante e che spesso ci si presenta in modo ammaliante come condizione di
tolleranza e di dialogo, in realtà è impossibile in quanto di fatto contraddittorio: infatti proprio
mentre afferma che non c’è la verità e che tutto è relativo, presenta se stesso come verità assoluta
(infatti tollera tutto ma è intollerante con chi non è d’accordo col relativismo stesso). Senza verità
ogni nostra parola sarebbe vuota di senso; e nel relativismo ogni nostro dialogo, ogni possibilità di
reale confronto, viene di fatto vanificato in partenza, perché non si compie un vero dialogo tra
semplici parole vuote, ma tra ragionamenti che possono mostrare la loro verità o il loro errore. La
negazione della verità conduce solo al silenzio, senza poterlo neppure dire25.
Il dubbio, come il sospetto di un errore, possono essere utili come stimolo per verificare se una
nostra conoscenza è realmente giusta, se è verità o no, o per approfondire meglio quella verità. Se
diventano invece fine a se stessi e se si generalizzano, diventano dei veleni che portano al suicidio
intellettuale (ma anche esistenziale, poiché non si può vivere solo nel dubbio, senza verità). Anzi se
si generalizzano, se si estendono ad ogni conoscenza, diventano contraddittori, perché se mi
sbagliassi sempre non potrei neppure più accorgermi di sbagliarmi26.
Come possiamo conoscere delle verità? Dobbiamo ammettere che la maggior parte delle verità che
conosciamo, perfino la maggior parte di quelle che studiamo, le conosciamo “per fiducia”. Anche
nella vita quotidiana le nostre conoscenze e le nostre certezze sono quasi tutte il frutto di atti di
fiducia. Non possiamo costatare tutto di persona, ma diamo ragionevole fiducia agli esperti e ci
fidiamo delle verità da loro scoperte. In questo modo in poco tempo le nuove generazioni possono
trarre esperienza dagli studi di coloro che le hanno precedute, e qualche volta fare nuove scoperte.
Risentiamo in questo modo anche della cultura che ci viene trasmessa e delle tradizioni (“tradere” =
tramandare) ricevute. Anche le conoscenze dei fatti della storia rientrano in fondo in questo tipo di
conoscenze: possiamo avere reperti, monumenti, scritti, ma dobbiamo avere fiducia nel racconto dei
testimoni oculari dei fatti, verificandone certo l’attendibilità27. Oggi poi, mediante i mass-media
(mezzi di comunicazione sociale), siamo in grado di ricevere addirittura in tempo reale una quantità
enorme di informazioni, idee, verità reali o presunte. Certo, in questo modo, insieme a tante verità,
possono circolare rapidamente anche da tante menzogna. Cosa fare? Credere o non credere? Non
possiamo e non dobbiamo certo verificare tutto. Dobbiamo invece farlo per quelle idee che incidono
sul senso della nostra vita, su quelle questioni (verità) che abbiamo detto essere decisive per
l’esistenza. Ma come verificare se una un’idea è vera? Possiamo provare a farne esperienza; ma non
è sempre necessario. Possiamo imparare e capire dall’esperienza altrui. Se ho fede in Dio posso e
devo ascoltare cosa Lui mi ha detto al riguardo. Ma possiamo anche capire molto con la nostra
ragione, se ragiona correttamente. L’uso corretto della ragione ha le sue leggi rigorose: è da un lato
ovvio, posseduto anche dal buonsenso, ma è anche una scienza rigorosissima: è la logica (formulata
immaginarlo, dipingerlo, perché come idea esiste e rimane in sé un possibile, anche se non si attuerà mai). Assurdo è
invece affermare e negare contemporaneamente, cioè essere e nulla insieme (ad esempio un legno-di-ferro; non è solo
impossibile, ma non è neanche pensabile, è semplicemente una parola senza senso, vuota).
24
La legge dell’essere (e quindi della verità) è talmente assoluta che perfino per negarla dovremmo usarla: infatti anche
se dicessimo che la verità non c’è o che non possiamo conoscerla, in realtà affermeremmo ancora una verità, che si
oppone alla sua contraria e che di fatto possiamo allora sapere che è vera.
25
Lo diceva già Aristotele (Metafisica, IV, 4, 1006 a): il vero scettico, colui cioè che nega ogni verità ed il principio di
non-contraddizione, in realtà deve stare zitto, perché se parla o significa che vuol dire una verità o che dice parole senza
senso.
26
Paradossalmente proprio il fatto che qualche volta ci sbagliamo e ci accorgiamo poi dell’errore vuol dire appunto che
non ci sbagliamo sempre: se possiamo infatti individuare l’errore come tale è perché possiamo conoscere la verità.
27
Come vedremo in seguito, anche l’indagine su Gesù di Nazareth, essendo un fatto storico, rientra in questo tipo di
conoscenze.
7
Diritto Civile, 3° anno: Teologia (Cristologia) – prof. A. Cecchini
come tale già da Aristotele)28.
Quali tipi di verità possiamo allora conoscere in modo rigoroso? Abbiamo delle evidenze sensibili,
empiriche, dirette, immediate. Abbiamo visto però che nella nostra intelligenza c’è l’evidenza
assoluta dell’essere, nella sua opposizione al nulla. Questo ci permette anzitutto di cogliere con
assoluta sicurezza, come abbiamo visto, che non ci possono essere verità tra loro contraddittorie; ci
permette poi di fare ragionamenti rigorosamente corretti (mediante la logica) e quindi convincenti e
raggiungere così anche nuove verità (evidenze non im-mediate ma mediate dalla ragione). Così, pur
dovendo sempre partire dall’esperienza, possiamo scoprire anche altre realtà, che non vediamo
direttamente ma che possiamo ugualmente conoscere (mediante cioè la scienza e la filosofia).
L’assoluta opposizione di essere e nulla, per cui una stessa realtà non può contemporaneamente
esserci e non-esserci (da cui l’esistenza di una sola verità), ci fa anche cogliere con assoluta certezza
che non si passa dal nulla all’essere (il nulla non fa nulla!). Per cui se una cosa (essere) prima non
c’era e dopo invece c’è, esiste necessariamente un’altra cosa che l’ha causata, perché non può
venire dal nulla. Anzi, non solo per iniziare ad essere e per essere così com’è, ma anche per
trasformarsi, per divenire (poiché anche il trasformarsi è un acquistare o perdere una forma
d’essere) è necessario che esista un altro essere che abbia causato quel fenomeno, quell’effetto.
Emerge così dalla stessa opposizione assoluta di essere e nulla applicata alle cose che divengono, il
fondamentale concetto di causa, che sta alla base non solo del buonsenso, ma anche di ogni scienza
e di ogni vera e realista filosofia. Ogni effetto richiede infatti una causa esterna, proprio perché non
può essersi prodotto dal nulla o da se stesso (se non c’è ancora non può darsi ciò che non ha). La
causa di un fenomeno deve dunque necessariamente esserci e deve essere adeguata, proporzionata,
deve cioè spiegare tutto l’effetto, perché nulla può essere lasciato al nulla. Per questo, pur magari
non vedendo la causa, possiamo non solo sapere che ci deve essere, ma anche un po’ come deve
essere, almeno cioè tanto quanto è richiesto dai suoi effetti. Che ci sia una causa adeguata è dunque
una certezza assoluta (metafisica). Invece la ricerca scientifica, per scoprire quale causa ci sia dietro
un determinato fenomeno, può in effetti anche sbagliarsi; mediante la ripetizione degli esperimenti
comprovanti un’ipotesi non raggiunge infatti una certezza assoluta, anche se altissimamente
probabile29.
28
La logica è una scienza che serve per qualsiasi tipo di ragionamento (d’uso comune, scientifico, filosofico) ed è
rigorosissima perché si fonda sulla legge assoluta dell’essere (non-contraddizione). Essa permette un’analisi rigorosa
del ragionamento, per verificarne la correttezza: il ragionamento infatti deve partire da premesse vere e deve ben
collegarle (con un termine medio comune) e solo così può concludere (quando diciamo quindi) non quello che vuole, a
piacimento, ma solo ciò che deve concludere. Se le premesse sono entrambe vere e vengono ben collegate (in base al
principio di non-contraddizione, cioè mediante uno stesso termine medio), allora anche la conclusione è
necessariamente vera, anche senza doverne fare la verifica empirica. In questo modo la nostra conoscenza cresce non
solo per esperienza, ma pur partendo dall’esperienza, può raggiungere e scoprire nuove verità mediante ragionamenti
corretti.
29
La scienza sperimentale (scienza cioè in senso moderno) deve muoversi dall’osservazione di un fenomeno, formulare
delle ipotesi di spiegazione e mediante ragionamenti corretti giungere a delle conclusioni che devono però essere
verificate empiricamente. Questo proprio perché è sperimentale, cioè induce (è induzione e non deduzione) ad una
verità partendo dall’osservazione, cioè in fondo generalizzando osservazioni particolari, anche se molteplici. Ciò è
lecito, perché se l’esperimento si ripete con lo stesso risultato molteplici volte, posso razionalmente pensare che ci sia
una regola generale (cioè la legge scientifica). In realtà però, pensandoci bene, le sue conclusioni sono solo
altissimamente probabili e non un’assoluta certezza, perché anche dopo un esperimento ripetuto migliaia di volte nulla
ci impedisce di pensare che possa accadere anche qualcosa di diverso (come ad esempio l’intervento di una causa o
forza sconosciuta) [come nel caso del “miracolo” (dal latino “mirari”, cioè che desta meraviglia, perché fuori della
norma): possiamo dire che è impossibile solo nel senso che non può avvenire nelle normali condizioni finora
conosciute, ma non che è impossibile in sé, come se fosse assurdo; proprio il livello si certezza fisica impedisce di
negarlo a priori; se invece fosse un fenomeno senza alcuna causa, né naturale né soprannaturale, allora sì che sarebbe
assurdo, cioè provocato dal nulla]. Per questo le certezze fisiche (della scienza), contrariamente a quanto spesso si dice,
sono assai meno certe di quelle metafisiche, che sono invece assolute. La scoperta scientifica della causa (fisica) può
anche essere falsa o incompleta, quindi può essere corretta o completata da scoperte future; mentre l’esistenza
comunque di una causa proporzionata all’effetto costatato è invece assoluta, incontestabile, come è assoluto che il nulla
non produce nulla: è una certezza metafisica, assolutamente certa e senza possibilità di smentite future. Ogni scienza
applica questo principio metafisico (di causalità) e ne è così certa da utilizzarlo senza neppure porlo in discussione.
Anche in questo si può vedere come lo scientismo (positivismo), cioè la pretesa di dire che solo la scienza sperimentale
8
Diritto Civile, 3° anno: Teologia (Cristologia) – prof. A. Cecchini
Così, proprio lo stesso principio metafisico (di causalità) che ci permette di fare scienza, passando
cioè dall’esperienza alla scoperta delle leggi che regolano e causano certi fenomeni, ci permette
razionalmente di andare anche oltre la scienza, nella filosofia e metafisica, proprio perché anche le
leggi dell’universo, richiedono una causa ed un certo tipo di causa.
In altri termini, possiamo (e se vogliamo capire la realtà dobbiamo) passare dall’esperienza alla
scienza, cioè alla scoperta di come avvengono i fenomeni e quali sono le leggi (cause) che li
regolano; ma possiamo (e se vogliamo capire ancora più in profondità la realtà dobbiamo) anche
passare, in base allo stesso principio (causalità), dalla scienza alla metafisica, risalendo così alla
causa delle leggi scientifiche (Causa prima). Pur essendo invisibili, possiamo conoscere sia le cause
fisiche30 che la Causa prima, proprio per gli effetti che esse provocano e che vedo. Dobbiamo cioè
partire sempre dall’esperienza della realtà, ma possiamo e dobbiamo andare oltre la realtà visibile, e
questo proprio per spiegare quello che vediamo31.
Questa prima <premessa> è stata necessaria per sottolineare il valore della ragione e la sua possibilità di
scoprire la verità, anche in questioni che superano il livello empirico e scientifico. Nella seconda
<premessa> osserviamo come la ragione possa scoprire che la Causa prima di tutte le cose sia trascendente
e che corrisponda a ciò che chiamiamo Dio; quindi che è ragionevole affermare che Dio esiste.
Quindi vedremo che non solo Dio esiste, ma si è rivelato agli uomini; anzi, immensamente di più, Dio si è
fatto uomo (Gesù Cristo). In Lui non solo ci si svela pienamente chi sia Dio, ma anche chi siamo noi, chi sia
l’uomo e quale sia il senso vero e totale della nostra vita. Anche su questo è possibile avere delle “ragioni
per credere”, cioè per dare il nostro assenso di fede, per capire che questo avvenimento è vero. Inoltre la
ragione, illuminata dalla fede e dall’esperienza stessa di comunione con Cristo, può ancora indagare e
capire quello che Dio ci ha rivelato (Teologia), anche sul “mistero di Cristo” (Cristologia)32.
moderna può dire qualcosa di sicuro sulla realtà, sia falso, visto che la scienza applica un principio metafisico (quindi
non scientifico in senso stretto), così come le sue scoperte sono meno certe di quelle metafisiche.
30
Anche le leggi scientifiche sono invisibili: non vedo la forza di gravità ma gli effetti della forza di gravità.
31
Il materialismo, che riconosce la possibilità di conoscere (e perfino di esistere) solo a quelle realtà empiricamente
rilevabili, è dunque una dottrina filosofica falsa (tra l’altro già per il fatto che sia una filosofia si contraddice, perché è
appunto una filosofia e non semplicemente una evidenza empirica). Così è falso lo scientismo ed il positivismo (v. A.
Comte). In realtà sono filosofie e modi di pensare di fine ‘800, oggi superate nell’alta cultura, ma di fatto ancora
dominanti in molti campi di diffusione culturale, come nei mass-media, ma anche nella scuola e talora perfino nelle
università. Tali filosofie sono false in quanto non spiegano fino in fondo proprio quella realtà materiale che vorrebbero
spiegare, fermandosi ad una spiegazione parziale, cioè a livello di esperienza (materialismo) o di “cause seconde”
(scientismo), con l’illusione che progredendo orizzontalmente nella scoperta di esse (il positivismo crede che la scienza
spiegherà sempre di più i fenomeni e per questo ci sarà sempre meno bisogno di filosofia, di metafisica e di religione)
non sia più necessario risalire verticalmente alla Causa prima; ma proprio per questo la loro spiegazione rimane come
sospesa, cioè appunto non fondata, quindi magari sempre più specialistica, ma ultimamente non rende ragione del
perché ultimo della realtà.
32
Sul rapporto tra fede e ragione cfr. Lettera Enciclica di Giovanni Paolo II Fides et ratio (14.09.1998).
9
Diritto Civile, 3° anno: Teologia (Cristologia) – prof. A. Cecchini
Premessa 2
La questione di Dio
2.1: La questione di Dio, tra scienza, filosofia e religione
Normalmente, a livello popolare, si pensa che affermare “Dio esiste” sia solo una questione di fede,
cioè di un convincimento personale o una credenza senza alcuna prova. Poiché Dio non si vede,
allora molti pensano che si possa credere o no alla sua esistenza: chi dice di “sentirLo” e chi invece
pensa che sia una pura immaginazione o addirittura chi si ribella a Lui a causa del male che
incontriamo (ma se non c’è perché mi ribello, contro chi?).
E’ intanto sorprendente notare come in qualsiasi tempo e civiltà, da quando è apparso sulla terra
l’uomo creda in Dio: non è mai esistita una civiltà atea. Ci sono mille modi diversi con cui viene
inteso Dio, ma che ci sia, che esista cioè Qualcuno da cui tutto dipenda, è un dato universale. E’
sorprendente che ci sia questo consenso universale, dato che Dio nessuno lo ha mai visto. Così
come è sorprendente che ci sia un consenso universale sull’esistenza dell’anima e dell’aldilà, visto
che anche di questo non abbiamo esperienza diretta.
Più ancora, l’uomo non si è mai accontentato di credere all’esistenza di Dio, ma ha anche sempre
cercato un rapporto con Lui, è cioè sempre stato religioso; e la religione di un popolo non è mai
stata una fatto marginale della sua civiltà, ma un elemento decisivo e determinante, tanto della vita
personale come di quella sociale33. Possiamo osservare come il fatto di credere (o no) in Dio e
perfino in quale Dio si creda (cioè Chi si crede che Dio sia), anche se solo apparentemente sembri
una questione astratta o solo interiore, di fatto indirizza invece tutta la vita di una persona e di
un’intera civiltà in una direzione o in un’altra. Possiamo in altri termini riconoscere come la
questione di Dio e la questione dell’uomo (cioè la questione del senso della vita) siano allora
intimamente legate.
Questo dovrebbe già renderci molto attenti alla questione. Se ad esempio dicessi che “non credo in
Dio” (come l’uomo contemporaneo sembra tentato di fare) o ad esempio anche solo che non prego,
dovrei comunque osservare che sto andando contro un convincimento ed un’esperienza umana
universale, che sto facendo cioè qualcosa di diverso da quello che l’uomo ha sempre fatto; e questo
avrà un’incidenza su tutta la mia vita, perfino sulla mia stessa vita eterna. Più che mai quindi in
questa questione non posso essere superficiale, decidendo sbrigativamente, per sentito dire o
secondo le sensazioni o le voglie del momento. Essendo la questione più decisiva della vita, non
posso non affrontarla seriamente, chiedendomi soprattutto cos’è vero. Devo appunto cercare e
seguire la verità (solo questo esiste veramente) più che le mie opinioni, sensazioni, voglie o gusti
personali.
Non vogliamo fare qui uno studio della religione o delle religioni, ma chiederci se la nostra ragione
possa scoprire qualcosa di sicuro al riguardo, cioè se possiamo non solo “credere” che Dio esista,
ma “sapere” con verità che Dio esiste, anche se ovviamente i nostri sensi non lo possono cogliere.
Qualcuno potrebbe pensare che se si potesse scoprire Dio con la ragione, allora sarebbe inutile la
fede o non saremmo più liberi di non credere. In realtà, come vedremo, la nostra intelligenza può
scoprire che Dio esiste; ma sapere che Dio esiste non è però ancora aver fede, perché la fede non è
solo un sapere che Dio esiste, ma un adorarlo, amarlo, seguirlo, obbedirgli. La fede è sì un dono di
Dio, peraltro concesso a tutti coloro che lo vogliono, ma non è irragionevole, ha cioè le sue ragioni;
l’uomo che ha fede sa (se può, deve ragionare e sapere le ragioni della sua fede) e poi non si limita a
sapere, ma si impegna a vivere ciò che sa, impiegando così la propria volontà libera.
Dio, essendo (per definizione stessa) non parte dell’universo ma creatore dell’universo, trascende
quindi la materia ed è puro spirito, per cui non può essere oggetto di una scoperta scientifica, non
33
Si osservi l’incidenza della religione nel modo di vita, negli usi, costumi, tradizioni, cultura, arte (basterebbe pensare
alla bellezza straordinaria dei luoghi di preghiera, cioè di culto, dagli altari neolitici alle pagode, moschee, sinagoghe,
cattedrali, ecc.), in qualsiasi civiltà. Relegare la religione ad un fatto solo di coscienza e privato, senza alcuna incidenza
sociale, come cerca di fare il laicismo contemporaneo, è in realtà già una deformazione e riduzione del fatto religioso.
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Diritto Civile, 3° anno: Teologia (Cristologia) – prof. A. Cecchini
può cioè essere visto, neanche in laboratorio; ma sappiamo come la nostra intelligenza non si limiti
alla descrizione dei fenomeni, ma in base alla certezza che il nulla non fa nulla (base di ogni
ricerca, sia scientifica che filosofica) sa risalire dagli effetti alla causa ed anche un poco a come
deve essere la causa (almeno quanto basta per rendere ragione dell’effetto), anche se essa non è
visibile.
Allo stesso modo la filosofia (in particolare la metafisica) risale dalle cause scoperte dalla scienza
(le leggi scientifiche) alla loro Causa superiore, poiché anch’esse non possono scaturire dal nulla,
fino alla Causa prima di tutte le cose. Essa ci deve essere e deve essere in un certo modo, altrimenti
non ci sarebbe l’universo che vediamo.
2.2: Se l’universo ha un’età, ci deve essere Dio al di là dell’universo.
La scienza ci dice oggi che quasi sicuramente l’universo ha un’età34. Tutte le galassie che
compongono l’universo (circa 200 miliardi), composte a loro volta da 100/200 miliardi di stelle
ciascuna, sarebbero sorte circa 13,7 miliardi di anni fa da un unico punto (“Big Bang”). Il loro
essere in fuga le une dalle altre, come una sfera in espansione, permette questo calcolo.
Nell’universo c’è ancora oggi come l’eco di quello scoppio iniziale (la radiazione di fondo). Se
questa scoperta fosse confermata, dovremmo riconoscere allora che ci fu un vero e proprio inizio
totale: da lì sarebbe scaturita ogni energia, prima ancora della formazione del primo atomo di
idrogeno e ovviamente prima ancora della formazione della materia. Si calcola persino la densità
d’energia e l’incredibile temperatura di quell’istante iniziale. Inoltre, già da quel momento vediamo
all’opera quelle leggi (chimiche, fisiche) che provocheranno l’evoluzione cosmica e che ancora
oggi regolano tutto l’universo. Se così fosse davvero, se tutto l’universo ha avuto un inizio,
dovremmo necessariamente concludere che prima dell’universo (anche se il termine prima non è
più utilizzabile non essendoci neppure il tempo prima dell’universo, perché il tempo è una
caratteristica dell’universo) c’era il non-universo, cioè il nulla di universo35. Non-universo non
significare ovviamente il Nulla assoluto, perché il nulla assoluto non avrebbe prodotto nulla
(ricordiamo che questa è la base indiscutibile di ogni ragionamento e di ogni scienza). In altri
termini, se l’universo prima non c’era e poi c’è, non può essere scaturito ovviamente dal Nulla, ma
da un altro Essere, che sta alla sorgente del suo stesso essere 36. Questo Essere che trascende
l’universo e che è causa dell’universo corrisponde al concetto Dio (che è appunto l’Essere da cui
tutto dipende). In altri termini il “Big Bang” sarebbe il frutto dell’atto creativo di Dio37. Se cioè Dio
34
Filosoficamente potremmo anche ipotizzare un universo che esiste da sempre: non sarebbe cioè contraddittorio (lo
sarebbe però se fosse causa di se stesso, come vedremo). La scienza potrebbe ipotizzarlo, ma non lo potrebbe mai
provare (proprio perché si può dare esperienza di un inizio ma ovviamente non di un non-inizio). La Bibbia, oltre a dirci
che tutto è creato da Dio, ci dice che c’è stato anche un inizio (Gen 1,1: “In principio...”).
35
Non-universo significa assenza totale non solo di ogni materia ma di ogni energia che compone l’attuale universo. Se
prendessimo invece per buona l’ipotesi (ora poco praticata) di un eventuale collasso di un universo precedente, allora il
problema sarebbe semplicemente spostato alla questione della nascita di esso. Se invece ancora prendessimo per buona
l’ipotesi di una perenne esplosione-implosione di un universo esistente quindi da sempre (e ricordiamo che questa
rimarrebbe per sempre una pura ipotesi, essendo il “da sempre” per definizione stessa non verificabile), dovremmo
comunque osservare, come vedremo tra poco, che l’universo, proprio per le caratteristiche che presenta, rivela
comunque la propria dipendenza da un altro Essere, anche se cioè per pura ipotesi fosse da sempre.
36
L’idea di “inizio assoluto”, cioè senza alcuna forma di essere precedente, è infatti un’idea assurda, come è assurdo
che il nulla faccia qualcosa. Lavoisier ha ragione di dire che “nulla si crea”, ma si deve aggiungere “dal nulla”. Infatti
nulla si crea dal nulla, ma da Dio. Con più esattezza dovremmo dire però che Dio (Essere perfetto, fonte di ogni essere)
non è solo la causa dell’inizio dell’universo, ma del suo stesso essere. Notiamo in proposito che la causa di un inizio
può anche terminare ma non termina l’effetto (può morire l’operaio che ha fabbricato una lampadina ma la lampadina
rimane lo stesso), mentre la causa dell’essere, se termina, termina anche l’effetto (la lampadina fa luce fin quando la
centrale elettrica manda energia attraverso il filo, ma se si spegne la centrale si spegne anche la lampadina). La causa
dell’essere è quindi indipendente dal tempo e permane almeno fin quando vediamo l’effetto (anche se la lampadina
facesse luce da tutta l’eternità non farebbe luce da se stessa: vuol dire che anche da tutta l’eternità ci sarebbe una
centrale elettrica che manda corrente elettrica). Questo è importante perché l’Essere/Dio, essendo causa non solo
dell’inizio ma dell’essere dell’universo (che infatti non è un essere indipendente, non è l’essere, ma ha l’essere) ci deve
essere anche se l’universo fosse da sempre.
37
L’idea della dipendenza di tutte le cose da Dio è presente in tutte le religioni e nella maggior parte delle filosofie, ma
11
Diritto Civile, 3° anno: Teologia (Cristologia) – prof. A. Cecchini
non ci fosse non avrebbe mai potuto esserci dell’universo.
2.3: L’universo è regolato da leggi; dunque dipende da un’Intelligenza superiore.
Che l’universo fosse non un Caos ma un Cosmo, cioè un insieme ordinato, lo avevano scoperto già
sia la filosofia greca che la maggior parte delle civiltà antiche 38; ma proprio il continuo progresso
delle scienze, con le loro sempre più precise scoperte, permette oggi di avere una consapevolezza
sempre più grande dello stupefacente ordine che troviamo in ogni cosa, sia nel macro-cosmo
(astronomia, astrofisica), che nel micro-cosmo (fisica nucleare, ecc.), come nel grande avvenimento
della vita (biologia), per non dire dell’uomo (medicina: istologia, anatomia, patologia, ecc.). Tutto è
regolato da leggi rigorose: per questo possiamo fare scienza39. Sappiamo oggi che l’universo stesso
inizia e si trasforma in base a queste leggi: non è cioè l’universo a fare le leggi ma sono le leggi a
fare l’universo. Il progresso scientifico quindi non diminuisce ma aumenta sempre più lo stupore
per questo sempre più straordinario ordine e pone con ancora più evidenza la questione di come ciò
sia stato possibile, di quale ne sia la causa.
Di fronte allo spettacolo cosmico, potremmo fermarci a studiarlo sempre più, cioè a conoscere e
spiegare sempre più questo fenomeno e le sue cause (leggi), cercando di esprimerle in termini
obiettivi, addirittura matematici. Questo è il compito di tutte le scienze. Ma possiamo e dobbiamo
anche chiederci quale sia la Causa prima di questo ordine. Ora, là dove c’è ordine c’è intelligenza40;
c’è cioè una logica e quindi un pensiero (Logos)41. Sarebbe però un errore grossolano dire che è la
Natura ad essere intelligente, cioè a fare le cose con sapienza, perché è proprio la natura ad essere
fatta con sapienza42. Allo stesso modo sarebbe un errore ormai irrazionale continuare a pensare che
tutto questo straordinario ordine possa essere solo il frutto del Caso. Nella natura ci possono essere
fenomeni casuali (il che non vuol dire che non abbiano cause precise, ma che si incrociano
casualmente effetti per sé tendenti ad altro); ma cercare di spiegare tutto l’ordine del cosmo e di
l’idea precisa di “creazione” (Dio che fa esistere dal nulla tutte le cose) è un’originalità biblica, che tanto ha fecondato
non solo la riflessione teologica, ma anche quella filosofica. Tale idea, contrariamente a quanto qualcuno potrebbe
credere, non è affatto irrazionale o contraddittoria, perché dire che Dio fa esistere tutte le cose dal nulla non è affatto
dire che si passa dal nulla all’essere a causa del nulla (questo sì sarebbe assurdo), ma che si passa dal nulla (non
assoluto, perché Dio c’è da sempre) all’essere (dell’universo) proprio a causa dell’intervento di quell’Essere supremo
che è Dio. Dire che le cose passano dal non esserci all’esserci a causa dell’Essere supremo fonte di ogni essere non è
quindi affatto irrazionale, ma è la risposta più razionale e necessaria al problema dato dall’esserci di tutte le cose.
Questo universo si manifesta tra l’altro come non-necessario, addirittura come uno dei tanti universi possibili, cioè
come l’attuarsi di una delle tante possibilità; e ciò mostra nuovamente la contingenza (dipendenza) dell’universo stesso
e la libertà di Dio Creatore.
38
Già Platone riconobbe che il mondo fisico riflette quello delle Idee e che esse sono il frutto di un Logos superiore; è
in fondo quanto oggi noi diciamo con il termine legge scientifica. Sono proprio queste leggi, questa logica di fondo
presente in tutte le cose ad indicarci il Logos. Non a caso il Vangelo di Giovanni (1,1-18) comincia parlandoci di questo
Logos, che è al principio e per mezzo del Quale tutto esiste, che si è atto carne in Cristo.
39
Non a caso la scienza moderna sperimentale nasce in ambito culturale cristiano, come la storia delle civiltà dimostra:
proprio infatti la consapevolezza che la natura è opera della sapienza di Dio mette lo scienziato nella convinzione che
essa ha una logica (logos), una sapienza, una precisione, da potersi addirittura trascrivere in termini matematici (che è la
genialità che sta alla base appunto della scienza moderna).
40
Già il semplice buonsenso ci fa capire che l’ordine richiede un’intelligenza. Se quando torno a casa trovo la mia
camera tutta in disordine e sottosopra, con la finestra aperta, potrei anche fare l’ipotesi che sia passata una tromba
d’aria, un tornado, e che il vento abbia fatto questo. La forza ce l’ha. Ma se la lascio in disordine e quando torno la
ritrovo invece ordinata, non posso più pensare che sia ritornato il tornado a mettere in ordine: la forza ce l’ha, ma per
fare ordine non basta la forza, ci vuole un’intelligenza. Quell’ordine non può essere cioè il frutto di una forza casuale
come il vento, ma almeno di una forza pensante come quella ad esempio di una cameriera. Ora, se per mettere in ordine
una stanza devo pensare già ad un’intelligenza, per l’ordine di tutto l’universo ci vorrà bene un’Intelligenza infinita.
41
Cfr. A. Zichichi, Perché io credo in Colui che ha fatto il mondo, Il Saggiatore 1999. Ricordiamo che Zichichi, noto
anche al grande pubblico televisivo, è uno dei più grandi scienziati viventi: Ordinario di Fisica Superiore all’Università
di Bologna, membro e talora presidente di importanti istituti o consessi scientifici internazionali, è colui che tra l’altro
ha scoperto l’antimateria nucleare.
42
Se dicessimo che è la Natura stessa ad essere intelligente, non saremmo affatto moderni, ma torneremmo indietro di
millenni (sarebbe “animismo”, quando gli uomini credevano che fossero intelligenti le cose, che fossero cioè degli
“spiriti”).
12
Diritto Civile, 3° anno: Teologia (Cristologia) – prof. A. Cecchini
ogni sua parte e di ogni sua legge con la pura casualità è assolutamente irrazionale, anche con un
eventuale calcolo di probabilità43.
Qualcuno potrebbe domandarsi se l’idea, o meglio la necessità di pensare a Dio come il creatore
dell’universo non sia causata da un’ignoranza scientifica, cioè dal fatto che non sappiamo le cose
come stanno, come quando pensavano che fosse Dio a scagliare i fulmini dall’Olimpo (mentre poi
la scienza ci ha spiegato che anche il fulmine è una potentissima scarica elettrica dovuta ad una
differenza di potenziale). In realtà proprio la scoperta scientifica delle leggi naturali (come quella
dell’elettricità) ci obbliga sempre più a pensare non che Dio sia la causa diretta dei fenomeni
naturali, ma la Causa Intelligente dell’esistenza delle leggi naturali. Questa certezza cioè non
diminuisce quindi ma addirittura aumenta con la progressiva scoperta delle leggi.
L’universo allora, non solo perché c’è ma per come è (anche nell’ipotesi che esista da sempre), non
indica solo la necessità che esista come sua Causa prima un Essere trascendente, ma che tale Essere
debba essere un’Intelligenza suprema, non una Super-energia creatrice cieca e impersonale. Questo
attributo è estremamente importante, perché non potrei entrare in rapporto con una forza cieca, ma
con un Essere pensante sì, perché questo indica che non è Qualcosa, ma Qualcuno, un Tu con cui
posso appunto entrare in rapporto (come l’uomo di ogni tempo e ogni religione ha intuito e sempre
desiderato).
2.4: L’universo è in continua trasformazione (divenire); dunque dipende da un Essere eterno.
Non solo il passaggio dal non-esserci all’esserci richiede necessariamente una causa (cioè un altro
essere), ma anche ogni trasformazione, ogni divenire, cioè ogni passaggio dall’essere in un modo
all’essere in un altro modo (perché è comunque un passaggio dal non-essere così all’essere così)44.
Ogni cosa che si trasforma, che diviene, si trasforma a causa di qualche cos’altro, cioè non ha in sé
totalmente la causa del suo divenire. E questo anche se si trasformasse da sempre.
Ora, poiché l’universo si trasforma, diviene, si muove, dipende in questo suo trasformarsi da altro.
Nessuna trasformazione cioè è davvero spiegata, anche risalendo indietro in una catena infinita, se
non si trova una sorgente di tutto il divenire, una sorgente di essere che non derivi da altro il proprio
essere e la propria forza. Occorre dunque necessariamente ammettere l’esistenza di un Essere che
causa ogni divenire, senza a sua volta divenire, altrimenti sarebbe a sua volta causato ed il problema
sarebbe solo spostato, rimanendo lo stesso, senza soluzione; invece una soluzione ci “deve” essere
perché di fatto io vedo come “esistente” questo divenire45. Poiché facciamo esperienza di esseri
divenienti (e tutto l’universo diviene), l’intelligenza è costretta a riconoscere che esiste un Altro
Essere, che “trascende” l’universo, che è causa del divenire e che a sua volta non diviene, è
l’Essere, indiveniente, fuori dal tempo, eterno; e ciò corrisponde a Dio (comunque lo si chiami).
43
Il caso, quando lo generalizziamo e lo assumiamo come spiegazione di tutto, diventa un “mito” irrazionale, un
dogma materialista. Come infatti non posso ragionevolmente pensare che un maglione sia opera di un gatto che gioca
coi gomitoli di lana, anche se è vero che la lana c’è; come non posso ragionevolmente pensare che lasciando un neonato
davanti ad un pianoforte, schiacciando cioè a caso i tasti, venga fuori una Sonata di Beethoven, anche se le note ci sono
tutte; come non posso ragionevolmente pensare che lasciando una scimmia davanti ad una macchina da scrivere venga
fuori la prima pagina della Divina Commedia, così non posso pensare che tutto l’ordine cosmico (in ogni suo ambito,
macroscopico e microscopico) possa essere il frutto del caso. Posso al massimo pensare al caso per certe piccolissime
combinazioni, non per un ordine che trovo ovunque e sempre; tanto più che più studio i fenomeni, più faccio scienza, e
più scopro che questo ordine è straordinariamente complesso ed armonico, che basterebbe la variazione piccolissima di
un componente per far saltare tutto l’ordine.
44
Per questo il “divenire” è un fondamentale problema filosofico [Parmenide, avendo scoperto la legge dell’essere ma
volendo trovare l’essere pieno in tutte le cose, negò il divenire; Eraclito, volendo invece affermare che tutto è divenire,
negò l’essere; con Aristotele si capisce invece che il divenire è un problema irrisolvibile finché non si va oltre il
divenire, fino all’indiveniente (che trascende cioè tutto il divenire cosmico, cioè Dio)].
45
Non si risolve cioè il problema del divenire fino a quando si rimane nel divenire stesso. Aristotele ipotizza ancora un
universo eterno, ma poiché è in divenire ha la propria Causa prima oltre se stesso (trascendente). Egli definisce questa
Causa “Primo Motore Immobile”, cioè causa di ogni divenire senza divenire lui stesso; e ciò corrisponde all’idea di
Dio.
13
Diritto Civile, 3° anno: Teologia (Cristologia) – prof. A. Cecchini
2.5: Avere il concetto Dio significa sapere che c’è. Contraddittorietà dell’ateismo.
Esiste anche una questione che per sé non dimostra che Dio esiste, ma solo che non possiamo
nominarlo senza sapere che esiste. E’ il cosiddetto “argomento ontologico”. Infatti, mentre noi non
sappiamo se ad ogni nostra idea o concetto corrisponda una vera realtà, a meno che non lo sappiamo
dall’esperienza o dai ragionamenti sull’esperienza [e questo perché in ogni cosa c’è l’essenza (cioè
il cosa è, colto dal concetto) e l’esistenza (se c’è, colto dall’esperienza), ma non esiste alcuna
essenza che richieda necessariamente l’esistenza], il concetto Dio (Essere perfetto) richiede
necessariamente l’esistenza (altrimenti non sarebbe il concetto Dio, non sarebbe perfetto). Dunque,
se ho il concetto Dio, Dio esiste46. Se ogni cosa, privata dell’esistenza, rimarrebbe solo un’idea,
l’idea Dio, se non esistesse, non sarebbe nemmeno più l’idea Dio.
Dunque se penso Dio, se cioè ho il concetto Dio, necessariamente Dio esiste. Questo non dimostra
però che Dio c’è (per arrivare infatti correttamente all’idea di Dio con la sola ragione devo partire,
come abbiamo visto, dalla realtà e ragionare fino a scoprire il suo perché ultimo), ma solo che se ho
il concetto e lo nomino (se so quello che dico) allora c’è. Di fatto però anche l’ateo (a-theos = non
c’è Dio) deve avere il concetto Dio, altrimenti non saprebbe neppure cosa nega; così il
bestemmiatore, altrimenti non saprebbe neppure con chi se la prende; ma se ha il concetto Dio, Dio
necessariamente esiste, altrimenti sarebbe come affermare e negare la stessa cosa (assurdo).
2.6: L’ateismo
Come abbiamo osservato nel primo capitolo a proposito della verità, due affermazioni opposte non
possono essere vere entrambe; anzi, non essendoci una terza possibilità tra essere e non essere (e
quindi tra affermare e negare), se è vera una è falsa l’altra, e viceversa. Dunque le due affermazioni
“Dio esiste” e “Dio non esiste” non possono essere ovviamente entrambe “vere”47. Per cui, poiché
c’è come abbiamo visto la dimostrazione dell’esistenza di Dio (altrimenti l’universo non ci sarebbe
e non sarebbe così com’è), possiamo già a priori sapere che non può esserci alcuna dimostrazione
dell’ateismo. Non esiste infatti alcuna dimostrazione dell’ateismo, perché negare Dio (causa esterna
all’universo) significa affermare l’assoluta autosufficienza del cosmo: ma affermare che il cosmo si
è fatto da sé, anche con il suo ordine, non è assolutamente possibile e razionale48. Constatiamo
infatti anche storicamente come l’ateismo, emerso in campo filosofico specialmente nel XIX secolo
(anche se divulgato e perfino imposto a livello sociale nel XX secolo, come nel caso del marxismo),
sia sempre “postulatorio”, cioè senza dimostrazione ma voluto, dato cioè praticamente per scontato.
Abbiamo cioè il tentativo (v. ad esempio Feuerbach, Marx, Nietzsche, Freud) di spiegare l’esigenza
religiosa (bisogno di Dio) riducendola ad un’alienazione o ad una patologia, ma non si affronta mai
la questione di Dio in sé49. Se si affronta razionalmente la questione di Dio, si tratta invece in primo
luogo non di chiedersi come mai l’uomo ne abbia bisogno, ma se tutto l’universo abbia in sé la sua
causa o fuori di sé; e di fatto si può dimostrare che non l’ha in sé ma in un Essere trascendente che
necessariamente esiste (possiamo sapere che c’è ed anche un po’ Chi è), altrimenti tutta la realtà
non ci sarebbe e non sarebbe così com’è.
Possiamo ancora rimanere perplessi nel constatare come anche alcuni grandi genii siano atei. Se
infatti esiste una dimostrazione razionale dell’esistenza di Dio, come è possibile che una persona
intelligente non lo riconosca? Potremmo osservare come statisticamente, nella storia e nel presente,
i più grandi genii (ad esempio i più grandi filosofi dell’antichità, ma anche la maggior parte degli
scienziati del passato e del presente) creda in Dio; ma, come abbiamo osservato a proposito della
46
Si tratta del cosiddetto “argomento ontologico”, che trova tra i suoi promotori il filosofo S. Anselmo d’Aosta.
Non stiamo qui ovviamente parlando della moralità dell’ateo, se cioè possa esserci un ateo anche più buono di un
credente; ma che non possa esserci un corretto ragionamento, partendo dallo studio dell’universo, che possa concludere
all’inesistenza di Dio, cioè che conduca all’ateismo.
48
Perfino F. Nietzsche, forse l’ateo più estremo e rigoroso di tutti i tempi, per negare radicalmente Dio deve poi
rifugiarsi nell’antico mito dell’“eterno ritorno dello stesso”, che non ha nessuna dimostrazione.
49
Per Feuerbach l’idea di Dio è una proiezione dell’uomo, per Marx è quindi un’alienazione (come sovrastruttura della
società capitalista); per Freud praticamente una patologia dell’inconscio; per Nietzsche un bisogno nato dalla debolezza
dell’uomo che non sa accettare il totale nonsenso della realtà.
14
47
Diritto Civile, 3° anno: Teologia (Cristologia) – prof. A. Cecchini
verità, non è questo il problema, anche se è un dato significativo. Dobbiamo invece osservare come
una persona potrebbe essere un grande genio in un settore particolare della scienza, ma non aver
mai affrontato adeguatamente la questione della Causa prima dell’universo (che è questione
filosofica, metafisica) e quindi, nonostante la sua genialità, possa essere di fatto superficiale o
incompetente su questo problema; per cui la sua posizione atea non è conseguente alla propria
competenza scientifica, ma è una propria opinione. Se ci troviamo invece di fronte ad un vero
filosofo, cioè ad uno che compie un ragionamento corretto proprio sulla Causa prima dell’universo,
non può che concludere all’esistenza di Dio; e così è stato infatti nella storia del pensiero filosofico.
Rimangono solo alcuni autori atei marginali, con errori di ragionamento facilmente confutabili,
oppure anche qualche genio, ma che imposta in modo scorretto la questione, come abbiamo visto
aver fatto l’ateismo postulatorio del XIX secolo (riducendo la questione di Dio a quella del bisogno
religioso dell’uomo).
2.7: Dio e la questione del male
Una delle difficoltà più grandi per ammettere l’esistenza di Dio, al di là delle “posizioni di comodo”
di chi non vuole riconoscere questa verità perché di fatto lo obbligherebbe a cambiare vita, è data
dalla presenza nel mondo del male, il che sembra incompatibile con l’esistenza di un Creatore, tanto
più quando si scopre (come avviene nel cristianesimo) che Egli è Amore. Viene da domandarsi: Dio
ha creato anche il male? Perché non toglie il male? Non ci nascondiamo che proprio questo è il
motivo per cui molti sentono una specie di ribellione (per sé irrazionale) nei confronti di Dio.
Cerchiamo anzitutto di chiarire cosa si intenda con il termine male. Dobbiamo intanto osservare
come abbiamo l’idea di male solo in riferimento al bene, cioè proprio come mancanza di bene (e
non viceversa). Dovremmo quindi considerare l’esistenza dell’essere-bene e chiederci quale ne sia
la causa (che ultimamente è Dio). Infatti, se Dio non ci fosse non ci sarebbe neanche l’essere delle
cose e quindi il bene; e se tutto fosse un nonsenso, una pura casualità, il frutto di una forza cieca,
non avremmo nemmeno l’idea di bene e di male50. Se non esistesse l’essere-bene o se fosse il frutto
del caso, senza alcun Creatore e alcuna finalità di bene, come potrei ancora dire che manca qualcosa
che “dovrebbe” esserci? Di fronte a chi mi potrei ribellare? Quindi il problema di come mai c’è il
male si pone eventualmente solo se Dio c’è, cioè solo se so che tutto è creato da Dio, altrimenti
sarebbe una domanda vuota. Essendo tutto “gratuito”, cioè non essendoci in Dio alcun dovere di far
esistere le cose, in quanto esse sono scaturite dalla Sua libera volontà, per sé non potremmo neppure
più parlare di male, in quanto qualsiasi cosa che Dio fa liberamente esistere è bene (l’essere è bene);
non esiste nessun superiore “diritto” delle cose ad esistere e nessun superiore “dovere” di Dio a
farle esistere51. Dobbiamo così affrontare il problema con più attenzione e non tornare
sbrigativamente a dire che allora non credo in Dio, oppure ribellarmi a Dio o bestemmiarlo, perché
se Dio c’è, è irrazionale pensare di ribellarmi a Lui, appunto perché Dio è Dio e noi semplici
creature (che hanno il dovere di conoscerlo e amarlo).
Se intendiamo il male in senso fisico, come ad esempio quando diciamo che un terremoto che fa
migliaia di morti è male, in realtà dobbiamo renderci conto che in sé non è un male ma solo una
legge naturale (in questo caso geologica), che in sé è bene. Dio ci ha dato l’intelligenza per poterla
studiare ed anche per poterci difendere da dolorose conseguenze dei suoi fenomeni. Tutto
l’universo, pur nel suo straordinario ordine, non è però ovviamente la perfezione assoluta, perché la
perfezione assoluta è solo Dio52. L’universo è dunque necessariamente segnato dal “limite”. Inoltre
la materia, essendo oltre che limitata anche temporale, è inevitabilmente corrotta dal tempo. Anche
50
S. Tommaso d’Aquino arriva infatti a dire “c’è il male, dunque Dio esiste”, perché allora vuol dire che c’è un bene,
cioè che le cose hanno un senso perché Qualcuno le ha fatte con sapienza e amore. Dante Alighieri dice che perfino
l’inferno è il segno dell’amore di Dio. Quando Nietzsche vuole negare radicalmente Dio, deve infatti negare l’esistenza
stessa del male, ponendosi cioè “al di là del bene e del male”: deve accettare tutto come bene, come un unico nonsenso.
51
Cfr. l’esperienza e le espressioni di Giobbe, nella Bibbia (Gb).
52
Quindi o Dio non crea o se crea (liberamente), quello che crea non può essere evidentemente Dio (un “Dio creato” è
un’affermazione contraddittoria).
15
Diritto Civile, 3° anno: Teologia (Cristologia) – prof. A. Cecchini
il nostro stesso corpo, pur nella sua straordinaria complessità, è segnato da questo limite53. Certo, la
Rivelazione (Bibbia) ci spiega di più di quello che capisce la ragione: ci dice infatti che non solo la
nostra vita ma l’intera creazione è stata ulteriormente rovinata dal peccato dell’uomo, fin dalle
origini dell’umanità54.
Molte volte la sofferenza che provoca in noi un determinato evento, per sé relativamente “casuale”
o addirittura naturale, ci fa parlare immediatamente di “male” e ci spinge per così dire a cercarne un
“colpevole”, fino a darne la responsabilità addirittura a Dio stesso; in realtà questo atteggiamento,
anche se talora psicologicamente comprensibile, è errato e irrazionale55.
In senso proprio il male è però solo quello morale: si tratta di un abuso di libertà, di un uso
sbagliato della libertà da parte dell’uomo, quando l’uomo cioè non fa quello che “deve” fare, cioè
quando non obbedisce a quelle leggi (morali) che Dio gli ha dato e che altro non sono che le norme
per vivere ogni cosa secondo il suo autentico significato. Questa disobbedienza (peccato) è la causa
anche della violenza e delle guerre, di tanti dolori e morti innocenti, della fame nel mondo, di certe
malattie causate dall’egoismo, dalle passioni o dallo scarso impegno di singoli uomini o di popoli
interi. Se l’uomo obbedisse cioè alle leggi di Dio, inscritte nella nostra stessa natura e poi più
pienamente rivelate da Lui (basterebbe l’obbedienza ai 10 comandamenti, per non parlare della
nuova legge dell’amore indicata da Cristo), la maggior parte del male che c’è sulla terra, anzi il
male in senso proprio, sparirebbe. Causa del male non è allora Dio, ma il nostro allontanamento da
Dio, cioè il peccato. Certo, se Dio non ci avesse creato liberi (noi e gli angeli) il male non ci sarebbe
(e neanche il peccato e l’inferno); ma non ci sarebbe stato neppure la possibilità personale di fare il
bene, cioè il merito di seguirlo e di amarlo. Sarebbe tutto un automatismo; non ci sarebbe il male,
ma non ci sarebbe nemmeno l’amore.
53
Un corpo, in quanto materiale, è ad esempio destinato ad invecchiare ed a corrompersi, così come può essere più o
meno soggetto ad ammalarsi, pur non dimenticando che i diversi miliardi di cellule di cui è formato ad esempio il nostro
corpo sono normalmente ben funzionanti.
54
Si tratta del “peccato originale” (Gen 3), attraverso cui il dolore, la fatica e la morte sono entrati nella vita umana,
come conseguenza della pretesa autonomia dal Creatore. Anche nel presente vediamo poi che la vita e talora la stessa
natura sono ulteriormente rovinati dai peccati degli uomini. Solo in Cristo c’è la piena riconciliazione con Dio e l’inizio
della creazione nuova, dove anche il dolore può diventare “salvifico” (come partecipazione alla Croce di Cristo, causa
della nostra salvezza) e dove perfino la morte si trasforma da momento finale a passaggio all’eternità. La natura stessa
attende con impazienza la nostra conversione a Cristo, per poter essere trasformata nella nuova creazione (cfr. Rm
8,19).
55
Se mi chiedo come mai ho fatto un incidente stradale, molto probabilmente devo cercarne la causa nella guida
sbagliata (mia o altrui) o nel guasto di qualche parte dell’automobile, non certo nella volontà di Dio (sarebbe una
visione ancora magica, superstiziosa e primitiva di comprendere l’intervento di Dio nei fatti naturali); e se in via del
tutto straordinaria può anche intervenire un miracolo divino [si chiama “miracolo” proprio in quanto “meraviglia” per la
sua straordinarietà, che Dio può liberamente far accadere e che è perfino lecito chiedere], normalmente Dio non si
sostituisce alla mia guida o al meccanico a cui avrei dovuto rivolgermi per controllare l’efficienza della mia auto. Non
dobbiamo quindi vedere sempre un colpevole (Dio o l’uomo, come quando diciamo “Dio non doveva farmelo” oppure
“ma che ho fatto di male per meritare questo” - Gesù stesso insegna a non vedere ovunque questo nesso, cfr. Lc 13,1-5).
In Cristo, che ci libera dal male, dalla morte e soprattutto dalla dannazione eterna (inferno), anche il dolore può
diventare occasione di “grazia”. Se infatti Dio lo permette (anche se non lo vuole direttamente) è perché può trarre, con
la nostra adesione alla Sua volontà, un bene anche da un male (quante volte ad esempio è proprio la sofferenza ad essere
occasione di crescita spirituale ed umana).
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Diritto Civile, 3° anno: Teologia (Cristologia) – prof. A. Cecchini
Il mistero di Cristo
3.1: Ragione, religioni e Rivelazione
Abbiamo osservato come tutta la realtà, tutto l’universo, porti l’impronta del suo Creatore. Si tratta
già di una “rivelazione naturale” di Dio; e l’uomo, dotato di ragione e quindi con la possibilità di
risalire dai fenomeni alla loro causa, non scopre solo le cause prossime della realtà, le leggi naturali
scoperte progressivamente dalla scienza, ma può anche risalire razionalmente alla Causa prima di
tutte le cose (Dio). Sappiamo quindi che Dio esiste ed anche un po’ Chi deve essere vedendo la Sua
opera (il creato)56. Inoltre quell’essere speciale che è l’uomo, rivela un’impronta particolare di Dio,
tanto da essere creato “a sua immagine e somiglianza” (Gen 1), cioè è dotato di spirito, così che può
pensare ed essere libero; e abbiamo notato che proprio queste capacità lo rendono non solo un po’
simile a Dio, ma anche tendente verso Dio, come dimostra l’insopprimibile anelito verso l’infinito
(Verità, Bene, Vita, Amore) che lo caratterizza, anche quando non se ne rende conto.
Per questo notiamo che non solo i pochi (filosofi) che sanno ragionare in profondità sul cosmo fino
a scoprirne la Causa prima, ma ogni uomo di ogni tempo e civiltà porta in sé non solo l’intuizione
che Dio esiste, ma è mosso da un’insopprimibile ricerca di Lui, desiderando conoscerlo, adorarlo,
entrare in contatto con Lui, ringraziarlo, pregarlo e obbedirgli. Nascono così tutte le religioni.
Troviamo infatti fin dall’inizio dell’umanità innumerevoli espressioni religiose, che al di là delle
differenze, anche notevoli, sono l’espressione di questo comune bisogno più profondo dell’uomo
(senso religioso). A riprova del fatto che la questione di Dio (e il bisogno di Lui) sia la questione
più importante e decisiva dell’uomo, avevamo già notato come in ogni civiltà, oltre che nella
singola persona, la religione non sia mai stata un elemento secondario, ma quello più determinante.
Non è nostro compito analizzare e confrontare qui le diverse religioni, ma sottolineiamo solo questo
dato universale, osservando allora come l’ateismo di fatto risulti essere contrario all’uomo nella sua
dimensione più profonda.
C’è però nella storia dell’uomo un’altra e ancor più importante iniziativa di Dio: Egli non si è
limitato a parlarci attraverso la creazione ed a chiamarci attraverso la nostra coscienza, ma si è
rivelato nella storia dell’umanità (“rivelazione soprannaturale”). Questa rivelazione ci fa scoprire,
assai di più di quanto non possa fare la sola nostra ragione ed anche il nostro senso religioso, chi è
Dio ed anche chi siamo noi, qual è il senso della nostra vita, cos’è bene e cos’è male. Dio ci chiama
in questo modo alla comunione (Alleanza) con Lui. E’ quanto troviamo nella Bibbia, che prima
ancora che un libro è infatti una storia (diciamo infatti “storia della salvezza”)57.
Questa rivelazione soprannaturale di Dio all’uomo comprende due parti: una (Antico Testamento),
che va dal 1800 a.C. (Abramo) all’anno O (Cristo), è una lenta e progressiva rivelazione di Dio
56
Si veda in proposito la Lettera Enciclica di Giovanni Paolo II Fides et ratio (14.09.1998). Perfino la Bibbia ci dice
che possiamo scoprire Dio anche con la sola ragione, sia nell’A.T. (Sap 13,1-9) che nel N.T. (Rm 1,18-32). Lo
testimoniano moltissimi filosofi, del passato e del presente. Lo confermò autorevolmente anche la Chiesa, ad esempio
nel Concilio Ecum. Vaticano I (Costituzione “Dei Filius”).
57
La Bibbia (Biblia = i libri, il libro) è in realtà un insieme di 73 libri (46 dell’Antico Testamento + 27 del Nuovo
Testamento). E’ il testo che più ha inciso nella storia della civiltà mondiale (oltre ad essere il primo libro stampato e
tuttora sempre il primo best-seller a livello mondiale); l’Antico Testamento è tra l’altro riconosciuto come “Rivelazione
di Dio” dagli ebrei, dai cristiani e dai musulmani, il che vuol dire tutt’oggi dalla maggioranza assoluta della popolazione
mondiale. Essa sorprende, anche nel confronto con la letteratura antica, soprattutto per l’elevatezza dei suoi contenuti,
cioè per l’altezza e la grandezza della concezione di Dio, dell’uomo, del cosmo e della storia; una profondità che rimane
totalmente inspiegabile se venisse considerata solo “umana”, tanto più in quanto emerge da un popolo (ebraico) che
conosceva allora una livello di civiltà assai arretrato rispetto alle civiltà ad esso contemporanee. La Bibbia, ispirata da
Dio attraverso autori umani (spesso anonimi) in un arco di tempo di oltre 2000 anni, non è però soltanto un libro, ma
soprattutto una storia, nel senso che Dio si rivela non solo attraverso parole (dei profeti), ma soprattutto attraverso dei
fatti. Questo determina anche la nuova idea di storia, lineare, di fatto sconosciuta prima (si credeva circolare, e quindi
determinata dal destino).
17
Diritto Civile, 3° anno: Teologia (Cristologia) – prof. A. Cecchini
(mediante fatti e parole) attraverso il popolo ebraico; l’altra (Nuovo Testamento58) è data dalla
venuta di Dio stesso sulla terra (Cristo), che costituisce quindi il culmine insuperabile e definitivo
della Rivelazione di Dio agli uomini ed è perciò rivolta a tutti gli uomini di tutti i tempi. La prima
parte non è allora che una preparazione alla seconda, che la supera e la completa definitivamente.
Nota sulle prove della Rivelazione di Dio nell’Antico Testamento
Anche in questo caso, pur essendo entrati nello studio della “Rivelazione soprannaturale” di Dio,
abbiamo delle prove, cioè dei motivi razionali per poter dare il nostro assenso, cioè per poter dire
“è vero” che Dio si sia rivelato agli Ebrei dal 1800 a.C. all’anno <0> (Antico Testamento).
Tale Rivelazione, che appunto avviene ormai “nella storia”, quindi nello spazio-tempo, lascia infatti
delle tracce oggettive, anche se da correttamente interpretare per essere davvero colte nel loro
autentico e pieno significato.
Nell’Antico Testamento vediamo infatti che Dio si rivela attraverso “fatti” (storici) e “parole”
(specialmente attraverso i “profeti”, che non sono degli indovini o semplicemente dei veggenti del
futuro, ma sono i “portavoce” di Dio, come dice la parola stessa, cioè uomini attraverso cui Dio
manifesta il Suo pensiero e la Sua volontà).
È ragionevole credere che Dio si riveli, cioè si faccia conoscere e faccia conoscere il Suo amore,
attraverso la storia degli Ebrei (in quell’arco di tempo), perché i fatti che succedono - pensiamo
all’avvenimento paradigmatico dell’Esodo (liberazione dalla schiavitù dell’Egitto, viaggio verso la
Terra promessa, alleanza con Dio sul Sinai) - rivelano una non possibile continua “casualità”, una
semplice spiegazione “naturale” e neppure una semplice capacità umana, ma una conduzione
libera, discreta e amorevole di Dio. Anzi, proprio per questo, l’idea di storia lineare (oggi patrimonio
comune della cultura mondiale, in sostituzione dell’idea circolare) scaturisce proprio dal popolo
ebraico, in quanto è proprio la storia il luogo in cui Dio si rivela. La storia non è allora un “destino”
cieco, ma l’incontro di due libertà: quella di Dio che chiama e può condurci alla nostra liberazione e
quella dell’uomo, che può rispondere positivamente e salvarsi o negativamente e rovinarsi. In altri
termini, proprio gli Ebrei capiscono, a differenza degli altri popoli e civiltà dell’antichità, che non c’è
un destino o una fortuna/sfortuna nel susseguirsi degli avvenimenti (sia storici che personali), ma le
cose vanno bene o male in base alla nostra fedeltà (obbedienza) o infedeltà (disobbedienza) alla
Alleanza con Dio, alla Sua legge.
Che poi i “profeti”, che si presentano e parlano a nome di Dio stesso, non siano dei presuntuosi o
degli illusi invasati, ne è prova il fatto che non c’è in loro una particolare capacità umana (anzi
spesso Dio si serve proprio degli strumenti più semplici e umanamente inadatti), che la profezia
stessa è spesso momentanea, che dicono cose che la loro stessa intelligenza non potrebbe capire,
che preannunciano anche fatti futuri che poi si realizzano davvero; inoltre assai spesso ci rimettono
(anche la vita) pur di non tacere quello che Dio vuol dire attraverso di loro.
In questo modo si può osservare che il popolo ebraico (nell’Antico Testamento), pur essendo assai
più arretrato e debole rispetto agli altri popoli contemporanei (a confronto ad esempio della civiltà
egiziana, fenicia, persiana, greca e romana), raggiunge circa la conoscenza di Dio (monoteismo
assoluto, spiritualità di Dio), della realtà (creata dal nulla, mai divinizzata o spiritualizzata),
dell’uomo (libero, fatto a immagine di Dio), della legge morale (ad esempio al Decalogo, cioè i 10
comandamenti, cuore della Legge, della Torah), una sapienza, una profondità, un livello di verità
che supera di gran lunga tutte le altre civiltà e addirittura permane valida nel tempo e nei millenni.
Vediamo inoltre ancor oggi, a distanza di millenni, come il popolo ebraico, nonostante l’evoluzione
scientifica tecnologica economica, rimanga sostanzialmente sempre identico a se stesso, con una
precisa identità che non muta nei suoi fondamenti (Dio e legge morale) e perfino nelle sue
tradizioni religiose. Questo non è capitato per nessun altro popolo dell’antichità.
58
L’avvenimento centrale e insuperabile di tutta la rivelazione di Dio è dunque Cristo stesso, che nella Bibbia troviamo
all’inizio del Nuovo Testamento, cioè nei quattro Vangeli (Marco, Matteo, Luca e Giovanni). Qui c’è il centro di tutto e
la piena e definitiva rivelazione e comunicazione di Dio agli uomini. Nel Nuovo Testamento, oltre ai Vangeli, ci sono
altri 23 libri (Atti degli Apostoli, le lettere di Paolo, Pietro, Giacomo, Giovanni e Giuda, e l’Apocalisse), che pur
essendo ispirati da Dio, altro non servono che per farci sempre più comprendere il mistero di Cristo. Quindi dopo Cristo
non c’è da attendersi altra rivelazione (pubblica, all’umanità) di Dio, fino alla fine del mondo.
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Diritto Civile, 3° anno: Teologia (Cristologia) – prof. A. Cecchini
Inoltre, non riconoscendo in Gesù il Messia preannunciato dai profeti molti secoli prima, sono
ancora in attesa del Messia, ma onestamente riconoscono come misteriosamente Dio da 2000 anni
non si riveli più, né attraverso fatti né con nuovi profeti. Tale misterioso “silenzio di Dio” ci colpisce
e ancor di più ci fa cogliere la verità della Rivelazione; perché infatti non solo il Messia atteso e
preannunciato è venuto (Gesù), 2000 anni fa, ma in Lui si compie e trova appunto pienezza la
Rivelazione di Dio - essendo addirittura Gesù Dio stesso fatto uomo - per cui in Gesù Dio ha rivelato
pienamente se stesso e non c’è più bisogno di alcun’altra Sua rivelazione fino alla fine del mondo.
È dunque quanto mai ragionevole ammettere che Dio si sia effettivamente rivelato agli Ebrei per
quell’arco di tempo (cosa ancor oggi creduta non solo dai milioni di ebrei, ma anche dai 1,2 miliardi
di musulmani e dai 2,2 miliardi di cristiani, cioè dall’attuale maggioranza assoluta della popolazione
mondiale!), perché escludendo tale origine soprannaturale (divina) non si capirebbe come potrebbe
essere possibile sia quella storia (A.T.) che quella superiore saggezza.
Tale Rivelazione (A.T.) - avvenuta in un preciso spazio-tempo (per 1800 anni, in Palestina) - è stata
la lenta e progressiva “preparazione” alla venuta stessa di Dio, alla venuta cioè di Gesù, nato infatti
in quel popolo e in quella terra (che chiamiamo non a caso Terra Santa), come compimento della
Rivelazione divina, una Rivelazione definitiva e universale, destinata non più ad un popolo
particolare ma all’umanità intera di ogni tempo.
3.2: Il “caso unico” Gesù di Nazareth
In un certo senso si potrebbe dire che il “cristianesimo” non è una religione, perché in questo caso
non siamo di fronte ad un tentativo umano di raggiungere Dio, come in tutte le religioni, e neppure
semplicemente ad una dottrina considerata di origine divina, ma siamo raggiunti dall’annuncio,
dalla notizia (Vangelo = la straordinaria notizia) che è accaduto un avvenimento straordinario, anzi
unico: il fatto cioè che Dio stesso è talmente entrato nella storia dell’umanità da farsi addirittura
uomo come noi. Inizialmente potremmo anche non credere che sia vero, ma l’annuncio cristiano è
questo (“kerigma”), questa è la “pretesa” di Gesù di Nazareth, questo è il “caso unico”, senza uguali
anche nella storia delle religioni, costituito da Gesù Cristo. Egli infatti non si presenta nella storia
come il fondatore di una religione, ma come Dio stesso fatto uomo.
Le sue parole e i suoi miracoli, per chi sa vedere, sono già un segno della sua divinità; ma c’è un
fatto (su cui dobbiamo quindi indagare con particolare attenzione) che mostra più di ogni altro la
verità di questa sua pretesa, cioè la sua identità divina, e che per questo è il cuore della questione
cristiana, senza il quale tutta la fede cristiana sarebbe falsa e che se invece è davvero accaduto tutto
è vero. Si tratta di un avvenimento mai accaduto nella storia, né prima né dopo: la sua risurrezione,
cioè la sua definitiva vittoria sulla morte; è la notizia che Gesù è entrato con il suo stesso corpo
nella dimensione dell’eternità, al di là cioè delle normali leggi fisiche spazio-temporali, per cui vive
per sempre.
Non si tratta dunque di una nuova dottrina, su cui potremmo essere più o meno d’accordo, ma di un
avvenimento; e di fronte alla notizia di un avvenimento (tanto più un avvenimento come questo, da
cui dipende tutta la nostra vita e la nostra eternità) non si tratta di essere d’accordo o meno, di avere
una propria opinione o di esprimere un proprio gusto, ma l’unica cosa da fare è indagare per vedere
se abbiamo elementi razionalmente sufficienti per affermare che è realmente accaduto.
3.3: Il fondamento storico
Per questo, nel “caso unico” del cristianesimo è decisiva anche la storicità dei fatti, in quanto
appunto la fede cristiana non si basa su una teoria (dottrina, filosofia, religione), ma su una fatto
(incarnazione di Dio stesso).
Da parte di nessuno studioso, credente o non credente, emergono oggi seri e ragionevoli dubbi sulla
esistenza storica di Gesù di Nazareth59. Anche le sempre più estese e specialistiche ricerche
scientifiche e letterarie sul caso, assai sviluppate in questi ultimi 60 anni, ce lo testimoniano; perfino
le recenti e straordinarie scoperte archeologiche (in Palestina) confermano sempre più la storicità
59
Ricordiamo tra l’altro che contiamo gli anni dalla nascita di Cristo, considerando la storia come divisa in due blocchi,
con un conteggio (alla rovescia) prima di Lui (a.C.) e quindi dopo di Lui (d.C.).
19
Diritto Civile, 3° anno: Teologia (Cristologia) – prof. A. Cecchini
degli avvenimenti evangelici. Noi non possiamo qui addentrarci neppure minimamente in questi
studi specialistici, dotati di una documentazione davvero immensa. Possiamo solo menzionare
qualche dato particolarmente significativo.
E’ vero che la grande storiografia, quella che registra imperatori, guerre e grandi avvenimenti, non
si è accorta immediatamente di Gesù60, ma già solo qualche anno dopo prende atto, anche con
qualche sdegnata preoccupazione, della presenza di un numero straordinario e inesorabilmente
crescente, nonostante le immediate e violente persecuzioni, di “credenti” in Lui in tutto l’Impero ed
oltre61. Già nel I e II d.C. esistono così anche documenti non cristiani che, pur non comprendendo o
negando valore all’esperienza cristiana, non possono negare (e l’avrebbero fatto ben volentieri,
negando così il cristianesimo alla radice) l’esistenza storica di Gesù62.
Le notizie riguardo a Gesù, a ciò che ha effettivamente detto e fatto e soprattutto l’avvenimento
decisivo della Sua risurrezione, le abbiamo però ovviamente da coloro che sono stati i testimoni
privilegiati di quegli eventi, soprattutto dagli Apostoli. Tale annuncio (Vangelo = “la Notizia”) è
anzitutto orale63; anche se già nella seconda metà del I secolo nascono anche i quattro vangeli scritti
(Marco, Matteo, Luca e Giovanni), dagli Apostoli stessi e dalla Chiesa primitiva (e per sempre)
considerati come gli unici veritieri ed ispirati da Dio (Vangeli canonici)64.
Non entriamo qua nel merito dello studio sulla possibilità di conoscere il testo originale autografo
degli evangelisti, partendo dalle copie più antiche ancora oggi in nostro possesso; diciamo solo che
siamo di fronte al caso letterario più fortunato e chiaro tra le opere dell’antichità, possedendo ancor
oggi (oltre alla scoperta anche recente di papiri con piccoli brani dei Vangeli quasi contemporanei
ai fatti) circa 5000 manoscritti completi e tra loro identici, risalenti già al IV secolo d.C. ed in aree
geografiche più disparate (e questo indica evidentemente una fonte comune)65.
I quattro Vangeli scritti ci presentano poi numerosi e ragionevoli motivi di credibilità66. Intanto, pur
essendo scritti in tempi e luoghi diversi ed avendo anche prospettive diverse, essi ci presentano una
straordinaria sostanziale concordanza (la presenza di alcune differenze è invece sintomo di
autenticità, dell’assenza di volontà di falsificazione). Stupisce soprattutto il fatto (segno chiaro di
60
Infatti quel “predicatore”, mentre era in vita, non ha fatto notizia se non in una cerchia relativamente stretta di
persone (cfr. At 25, 19, che riporta il capo d’accusa con cui S. Paolo viene inviato a Roma per essere giudicato
dall’imperatore: “avevano solo con lui alcune questioni relative la loro particolare religione e riguardanti un certo Gesù,
morto, che Paolo sosteneva essere ancora in vita”).
61
I credenti in Cristo, cioè nella resurrezione di Gesù e quindi nella sua divinità, sono chiamati “cristiani” già a partire
da Antiochia (cfr. At 11, 26).
62
Cfr. ad es. il Talmud babilonese (I-II sec.), Plinio il Giovane (Epistola a Traiano, 112 d.C.), Flavio Giuseppe
(Antichità giudaiche, 93 d.C.), Tacito (Annales, 115 d.C.), Svetonio (Vita Claudii, 120 d.C.), Celso (178 d.C.).
63
Gesù affida infatti sorprendentemente la Sua Parola (che è Via, Verità e Vita per ogni uomo di ogni tempo) non ad
un libro, interpretabile a piacimento, ma ad una comunità viva (la Chiesa), in cui alcuni (è il Magistero, cioè
l’insegnamento ufficiale del Papa, Vescovo di Roma e successore di S. Pietro, e dei Vescovi, successori degli Apostoli,
uniti con lui) hanno il compito e l’assistenza divina per trasmetterla fedelmente ed interpretarla con verità.
64
Matteo e Giovanni erano essi stessi Apostoli. Marco raccoglie invece la predicazione di Pietro, come Luca quella di
Paolo. Mt, Mc e Lc sono detti “sinottici” per la struttura similare che evidenziano. Nei secoli successivi, ed in ambiti
esterni o deviati dall’autentica dottrina e tradizione apostolica, nascono anche altri vangeli, chiamati e ritenuti “apocrifi”
in quanto non autentici e non ispirati da Dio.
65
Per le altre opere dell’antichità, tra l’originale e la più antica copia completa pervenutaci, ci sono invece ad esempio
400 anni per le opere di Virgilio, 1300 per quelle di Platone, 2300 per quelle di Omero. Alcuni dei più antichi
manoscritti del IV-V secolo, redatti su pergamena e cuciti in quaderni (detti Codici), sono molto famosi, come il Codex
Vaticanus (del 300 circa; è conservato nei Musei Vaticani), il Codex Sinaiticus (del IV secolo, è stato scoperto nel XIX
sec. ai piedi del Sinai; conservato al British Museum di Londra) ed il Codex Alexandrinus (del V sec., scoperto in
Egitto; è conservato al British Museum).
66
Avevamo osservato come la maggior parte delle nostre conoscenze (e particolarmente quelle storiche) le abbiamo
“per fiducia” e sono fondate sulla testimonianza di altri; se infatti non dessimo ragionevole fiducia a conoscenze
riportateci da altri ci rinchiuderemmo ben presto nel più totale isolamento se non nella follia. Questo non è indice di
scarsa ragionevolezza o di credulona ingenuità. Il sospetto di menzogna è infatti doveroso fino a quando è ragionevole,
cioè se abbiamo dei motivi veri per dubitare di chi ci riporta una notizia. Premesso questo, dobbiamo allora chiederci se
possiamo avere ragionevoli sospetti per non credere alla notizia del “fatto” Gesù riportataci da qualificati testimoni
oculari dell’evento. In realtà lo studioso serio può riscontrare, nella testimonianza degli Apostoli riportata dagli scritti
evangelici, numerosissimi motivi di credibilità.
20
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sincerità), come in essi vengano riportati fatti apparentemente controproducenti allo scopo per cui
erano scritti (che è dimostrare che Gesù è Dio affinché credendo in Lui ogni uomo possa essere
salvato, cfr. Gv 20, 31), come ad esempio lo sproporzionato spazio dato alla passione-morte di
Gesù, al non sempre edificante comportamento degli stessi Apostoli (compreso Pietro, che quando
il vangelo è scritto è già Papa a Roma), a certi appellativi di Gesù poi non più usati in quanto facili
all’ambiguità (ad esempio “Figlio dell’uomo”). La figura e le parole di Gesù sono poi totalmente al
di fuori di ogni schema ed estremamente controcorrente anche rispetto alla mentalità ebraica del
tempo. Chi avrebbe potuto inventare un evento così, un personaggio così, con dei fatti e delle parole
così inimmaginabili come quelli riportati? Paradossalmente si potrebbe in fondo dire che dovrebbe
essere divino uno che fosse capace di inventare una storia così inimmaginabile, che regge all’urto
dei millenni e continua a cambiare la vita di milioni di persone.
3.4: Le prove della risurrezione
La questione centrale per capire Cristo e quindi la verità del cristianesimo è, come abbiamo detto,
quella della Sua risurrezione. Se questo fatto è accaduto allora è tutto vero; se invece non fosse
accaduto allora tutto crollerebbe67. Questo appunto perché la “pretesa” di Gesù di Nazareth non è
quella di fondare una nuova filosofia o religione, ma di essere Dio stesso fatto uomo e quindi la
Verità assoluta ed il senso vero della vita di ogni uomo di ogni tempo68. Ora, se fosse solo morto,
questa pretesa sarebbe davvero una pretesa folle, cioè sarebbe falsa. Se invece è risorto allora non è
stata una folle presunzione ma è vero che Gesù è Dio, l’unico vero Dio, l’unico salvatore
dell’uomo, siamo cioè davvero di fronte all’avvenimento più importante della storia dell’umanità e
quello più decisivo per la vita di ogni uomo di ogni tempo. Su questo infatti ci giochiamo il nostro
stesso destino eterno. Dunque questa indagine, sincera ed appassionata, deve avere una priorità
assoluta per la nostra vita69. La domanda “che ragionevoli prove abbiamo della risurrezione di
Gesù?” è dunque davvero decisiva ed ineliminabile. Essa percorre e percorrerà tutta la storia; e
busserà alla coscienza e all’intelligenza di ogni persona. Potremmo dire che se vogliamo davvero
bene alla nostra vita, se ci sta a cuore la nostra felicità, non possiamo non sentire questa urgenza.
Tutto il resto è in fondo relativo.
Ora, per verificare se un avvenimento recente o passato, di cui tanto si parla, sia realmente
accaduto, occorre raccogliere eventuali seri indizi (realtà che possano essere un segno di ciò che è
accaduto) e soprattutto verificare l’attendibilità di eventuali testimoni oculari del fatto. Anche la
risurrezione di Cristo, pur essendo un fatto che supera la storia70, ha un fondamento storico, e
l’indagine sulla sua storicità, se cioè sia realmente accaduto, deve prestare molta attenzione a questi
67
1Cor 15, 1-22: “Se non esiste resurrezione dei morti, neanche Cristo è risuscitato. Ma se Cristo non è risuscitato,
allora è vana la nostra predicazione ed è vana anche la vostra fede [...] e voi siete ancora nei vostri peccati [...] Se poi
noi abbiamo avuto speranza in Cristo soltanto in questa vita, siamo da compiangere più di tutti gli uomini”. Ricordiamo
che il termine “risurrezione” (di Cristo) non significa “rianimazione” (tornare in vita), reincarnazione (in nuove vite) o
semplicemente sopravvivenza dell’anima (spirito), ma la vittoria definitiva sulla morte e l’ingresso del Suo stesso corpo
nella dimensione dell’eternità (extra-spazio/temporale).
68
Credere, cristianamente parlando, non significa infatti credere genericamente che Dio esiste, ma credere che Gesù sia
l’unico vero Dio, Dio fatto uomo, l’assoluta Verità, il Sommo Bene, l’unica salvezza per l’uomo di ogni tempo, che gli
deve allora obbedienza (Gv 3,16: “Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque
crede in Lui non muoia, ma abbia la vita eterna”; Rm 1,5: “Per mezzo di Gesù Cristo abbiamo ricevuto la grazia
dell’apostolato per ottenere l’obbedienza alla fede da parte di tutte le genti”).
69
Come sempre, e qui con un’urgenza del tutto particolare, non dobbiamo farci muovere dalle nostre opinioni (“io
penso che”) o dai nostri gusti (“mi va”, “non mi va”), ma dalla ricerca sincera della verità (“è vero o no?”); tanto più
che, essendo una questione storica, un avvenimento, se è davvero accaduto è totalmente sciocco continuare a dire che io
la penso diversamente. Il senso della nostra vita e il nostro destino eterno (di gioia o di disperazione infinite) dipende
comunque dalla verità o meno di quel fatto, cioè se è accaduto o no; e se è accaduto ne devo vivere di conseguenza
(sarò giudicato in base a questo).
70
La risurrezione di Cristo è sia storica, cioè collocata nello spazio (il Santo Sepolcro a Gerusalemme) e nel tempo (il
giorno dopo il sabato solenne della Pasqua ebraica di quell’anno, 30 d.C.?), ma anche meta-storica, in quanto il suo
corpo risorto esce dallo spazio-tempo per divenire eterno, cioè contemporaneo a tutti (ogni tempo) e presente ovunque
(ogni luogo).
21
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dati.
Il primo indizio materiale è dato dal fatto che il suo sepolcro, nonostante l’enorme pietra che
chiudeva il suo ingresso e le guardie messe all’esterno proprio perché nessuno potesse trafugare
quel cadavere, dopo 48 ore è stato trovato misteriosamente vuoto, con il lenzuolo71 che avvolgeva il
corpo di Gesù posto al suo interno. Di questo fatto ne danno testimonianza non solo i discepoli, ma
anche gli ebrei (cfr. Mt 28,11-15) e in fondo perfino i romani.
Il dato storico su cui però dobbiamo seriamente indagare, senza pregiudizio alcuno, è quello offerto
dalla testimonianza di molti (apostoli e discepoli) che dicono di avere visto concretamente il Risorto
per almeno 40 giorni72. Sulle apparizioni del Risorto e quindi sulla attendibilità e veridicità della
testimonianza dei testimoni oculari di quelle apparizioni deve vertere l’indagine per raggiungere la
ragionevole certezza che Cristo sia veramente risorto.
Dobbiamo anzitutto ricordare che lo stato d’animo dei discepoli e degli stessi Apostoli al momento
della passione e morte in croce di Gesù, non era solo quello della paura, ma quello di una cocente
delusione, se non addirittura di essere stati vittima di un ignobile inganno73: era morto Colui che
diceva di essere il Messia (Cristo), Dio-con-noi, il Signore della vita e della morte, la Via, Verità e
Vita, il giudice universale, l’instauratore del regno di Dio sulla terra. Non c’era quindi più alcun
motivo di credere in Lui, nonostante che più volte Gesù avesse parlato della Sua morte e
risurrezione74. Già questa radicale delusione ci fa capire come la notizia della sua risurrezione non
possa essere stata inventata, tanto più che si tratta di una notizia totalmente inedita, non essendo
ovviamente risorto nessun altro nella storia, e quindi pure difficile da essere annunciata e creduta 75.
Non credono infatti alle prime apparizioni riferite dalle donne o dagli altri76.
Se non ci fosse stata una reale esperienza di incontro col Risorto, non si capirebbe come mai si passi
repentinamente, dopo 48 ore, da quella delusione e da quella paura ad un entusiasmo incontenibile,
così che, dopo l’effusione dello Spirito Santo (50 giorni dopo), troviamo lo stesso Pietro in piazza
ad annunciare apertamente e con forza, costi quel che costi, che quel Gesù che avevano fatto
71
Il testo parla di bende e sudario (Gv 20, 5-8). Secondo la tradizione quel lenzuolo (“sindone”) è quello conservato nel
duomo di Torino, così come il sudario sarebbe quello conservato nel duomo di Oviedo (Spagna) (il sangue di cui sono
intrisi entrambi è del gruppo Rh AB-, lo stesso di molti dei 132 “miracoli eucaristici” avvenuti nel mondo). Non
entriamo qui ovviamente nel merito degli interessantissimi studi scientifici sulla Sindone: ricordiamo solo che dal 1898
la scienza si occupa del mistero di questa reliquia a tal punto da costituire una nuova disciplina scientifica
(“sindonologia”) in cui convergono gli studi di 32 rami della scienza. Proprio il progresso scientifico permette infatti di
evidenziare con sempre maggior stupore l’eccezionalità di questo lenzuolo, in cui è rimasta non solo l’impronta
anatomicamente esattissima della flagellazione e crocifissione, coincidente coi racconti evangelici, ma perfino quella
della resurrezione, essendo quel lenzuolo segnato anche da una rapidissima folgorazione (simile a quella che potrebbero
produrre dei raggi “gamma”), così che quel cadavere, che non vi è rimasto più di 48 ore (lo si evince dalle sue
condizioni), sembra sparire dall’interno (senza alcuno strappo sul tessuto intriso di sangue come sarebbe se qualcuno lo
avesse estratto), lasciandone una sorta di impronta ortogonale quasi fotografica (è un perfetto negativo fotografico).
Per uno studio sintetico della questione della Sindone cfr. anche il cap. 15 del Dossier Miracoli del sito del Professore.
72
I racconti evangelici non sono concordi sui particolari, ma sull’essenziale (Cristo è risorto ed è apparso ai suoi per
confermarli della sua resurrezione, quindi divinità, e inviarli nel mondo ad annunciarlo e donare la Sua vita): questo non
depone appunto contro la loro veridicità, ma perfino a favore; se infatti fossero artefatti e menzogneri avrebbero
prestato più attenzione a crearne la concordanza.
73
Cfr. ad es. Lc 24,21: “Speravamo fosse lui...”. Tranne Giovanni e alcune donne (con la Madre), perfino nessuno degli
Apostoli era sotto la Croce; lo stesso Pietro aveva tradito Cristo, rapidamente e per tre volte, rinnegando di conoscerlo.
Ricordiamo ancora che, a differenza di tutte le filosofie e religioni, il cristianesimo non è infatti una dottrina che possa
stare in piedi anche dopo la morte del suo fondatore, perché la fede cristiana verte tutta sul riconoscimento della divinità
di Gesù. Se Gesù fosse solo morto, il cristianesimo non sarebbe mai nato, perché non avrebbe avuto alcuna ragione di
nascere.
74
Dobbiamo anche sapere che il popolo ebraico, pur essendo da secoli in attesa del Messia, si trovava in quel periodo
di fronte a numerosi presunti Messia, che riuscivano provvisoriamente ad attirare anche considerevoli folle, ma poi tutto
ricadeva presto nel nulla e nella dimenticanza (cfr. At 5,34-39).
75
La vittoria definitiva sulla morte da parte di Gesù e la trasformazione eterna del suo stesso corpo (uscito dalle
normali condizioni fisiche spazio-temporali) è infatti una notizia che per sé sembra incredibile, come dimostra
l’atteggiamento degli uditori di S. Paolo all’Areopago di Atene (cfr. At 17,32).
76
Cfr. Mt 16, 9-14; Lc 24, 9-11; Gv 20, 24-29.
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crocifiggere era risorto e che dunque è l’unico Dio e l’unico salvatore dell’uomo77. Chi gli ha dato
tale sapienza, visto che era un’umile pescatore? Cosa gli ha dato tale improvviso coraggio? Da dove
viene quell’entusiasmo che nessuno ha mai potuto più contenere?
Fin dal primo momento quell’annuncio è costato l’arresto e il carcere; ed anche di fronte ai suoi
accusatori Pietro afferma con forza che non possono tacere ciò che hanno visto e che non si può
disobbedire a Dio per obbedire agli uomini78. Saranno perseguitati, mandati in esilio e tutti
moriranno martiri (tranne Giovanni), cioè furono uccisi pur di non tacere quella straordinaria notizia
(Vangelo).
Potrebbe tutto questo non avere nulla o una falsità alla sua origine? Sarebbe ragionevole parlare di
menzogna costruita per ingannare il popolo? Perché avrebbero dovuto farlo? Con quale scopo?
Perché così improvvisamente? E soprattutto avrebbero potuto dare la vita e morire per qualcosa da
loro stessi costruito come menzogna e quindi nella piena consapevolezza della sua falsità 79, cioè che
Gesù non era affatto risorto, che era stato un grande ingannatore, che non avrebbe certo potuto dare
la vita eterna non essendo stato capace di salvare nemmeno la propria? In realtà possiamo vedere
come sia di fatto più ragionevole ammettere che abbiano davvero visto il Risorto, che siano per
questo diventati certi che Lui è davvero Dio, che solo in Lui c’è la vita vera ed eterna, e per questo
abbiano speso tutta la loro vita, predicandolo in tutto il mondo, fino a morire per questo.
Ammesso quindi che le apparizioni del Risorto non siano state un’invenzione, una menzogna
costruita dagli Apostoli, potrebbero essere state invece delle allucinazioni collettive80? In diverse
occasioni, in più luoghi e soprattutto in persone che non danno affatto segni di squilibrio, ma di
concretezza e di fortissima personalità, così da coinvolgere migliaia e migliaia di persone in pochi
anni e in tutto il mondo allora conosciuto? Anche questo non è ragionevole ammetterlo.
I racconti evangelici delle apparizioni, pur essendo in sé indescrivibile un avvenimento così unico e
irripetibile, sono in realtà assai sobri. Un corpo risorto sarebbe per sé invisibile, in quanto uscito
dalle normali condizioni spazio-temporali della materia81; ma nell’eccezionalità delle apparizioni,
attraverso le quale Gesù vuole dare un fondamento oggettivo di esperienza (quindi non solo
interiore) alla fede degli Apostoli, si vede che è proprio il corpo di Gesù, portando impresse le ferite
della passione e morte in croce82; c’è cioè continuità tra Gesù terreno e Gesù risorto, è lo stesso; ma
allo stesso tempo non è immediatamente riconoscibile83; non è un fantasma, facendosi toccare84 e
chiedendo e mangiando del pesce arrostito85, ma appare e sparisce, entra ed esce in un luogo chiuso
a porte chiuse86.
La fede cristiana, cioè il riconoscimento che Gesù è risorto (e quindi è Dio e l’unico salvatore
dell’uomo), non è quindi una vaga credenza o una semplice sensazione interiore senza fondamento
oggettivo, ma è un assenso ragionevole (ha cioè assai più motivi per ammettere quel fatto che per
negarlo) anche se ancora libero (in quanto implica anche la volontà e soprattutto l’amore, che non
77
Cfr. At 2,1-41; 3,11-26; 4,8-21.
Cfr. At 4,19.
79
Ci può essere qualche uomo (e nella storia ce ne sono stati molti) che dia la vita per un ideale, credendolo vero,
anche se poi effettivamente non lo fosse; ma è assolutamente irragionevole pensare che un uomo dia la vita per un fatto
falso sapendo che è falso (e chi lo inventa sa che è falso).
80
Le apparizioni del Risorto (quelle pubbliche dei primi tempi e che stanno a fondamento della fede), sono numerose e
avvenute in luoghi diversi e a diversi gruppi di persone; oltre a quelle presentate dai vangeli, S. Paolo ne elenca anche
altre (cfr. 1Cor 15,1-8). [Esistono poi nella storia di questi 2000 anni numerose altre apparizioni, sia di Gesù che della
Madonna, e numerose esperienze mistiche di Lui; ma queste non vengono considerate parte della Rivelazione e come
tali, anche quando vengono riconosciute dalla Chiesa (dopo rigorosissimi esami, sia scientifici che teologici), non
impegnano nella fede, cioè possono lecitamente essere credute come no].
81
Cfr. Gv 20,17. Oggi sappiamo anche dalla nuova fisica (v. la “teoria della relatività” di Einstein) che le normali
condizioni fisiche (spazio-temporali) non sono in assoluto le uniche condizioni possibili della materia, visto il rapporto
che esiste tra materia e luce e la stessa relatività del tempo (che addirittura sparirebbe se andassimo a 300.000 km/sec.).
82
Cfr. Lc 24, 36-40; Gv 20,20.
83
Cfr. Lc 24, 13-35; Gv 20,14-16; Gv 21,4.12.
84
Cfr. Mt 28,9; Gv 20, 27.
85
Cfr. Lc 24, 41-43.
86
Cfr. Gv 20, 19.26.
23
78
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può che essere libero); e proprio perché questa straordinaria notizia (Vangelo) ha un fondamento
oggettivo, cioè è vera e non è solo una sensazione soggettiva e temporanea o una comoda illusione,
può trasformare la vita e donarci addirittura la vita eterna di Dio87.
3.5: Il significato dell’incarnazione, morte e risurrezione di Cristo
Gesù di Nazareth non è dunque solo un profeta di Dio (come crede l’Islam) e neppure solo il Messia
(atteso ancora dagli Ebrei), ma è Dio stesso fatto uomo; cioè nella sua persona si uniscono sia la
natura divina, che lui il Figlio (“Logos”) ha in comune col Padre e lo Spirito Santo, che la natura
umana, che ha in comune con ognuno di noi. Questa unione delle due nature nella sua persona si
dice “unione ipostatica”. Comprendiamo così meglio perché fin dall’istante del suo concepimento
nel grembo della Vergine Maria, Gesù possiede sia la natura umana (offerta da Maria) che quella
divina (è concepito per opera dello Spirito Santo). Che ci sia questa unione ipostatica è decisivo per
la nostra salvezza88: infatti se fosse solo Dio o solo un uomo non potrebbe essere il vero, unico e
definitivo mediatore e riconciliatore dell’uomo con Dio e perciò non saremmo salvi. Solo attraverso
di Lui infatti la nostra umanità, che è fatta per l’infinito che è Dio ma che proprio in quanto finita
non può darsi l’infinito che desidera, può invece entrare nella comunione piena con Dio, ricevendo
in sé la partecipazione alla vita stessa di Dio. Questo era ed è peraltro il motivo per cui l’uomo è
stato creato e quindi il significato vero e totale della vita di ogni uomo.
Già quindi nell’Incarnazione (Cristo), mentre si svela il vero volto di Dio ed il vero senso della vita
umana, Dio chiama l’uomo alla comunione con Sé e rende possibile questa comunione; ma nella
sua croce e risurrezione (“mistero pasquale”) viene espiato tutto il peccato dell’uomo (è Lui il vero
Agnello89 che prende su di Sé il peccato dell’uomo) e l’uomo viene reso partecipe della vittoria di
Cristo sul peccato e sulla morte e della stessa vita divina (Redenzione).
Dio si è fatto uomo per fare l’uomo Dio, cioè per rendere l’uomo partecipe di Sé. Questo è l’eterno
progetto d’amore di Dio, che si attua in Cristo per opera dello Spirito Santo. L’uomo di ogni tempo
allora può e deve in Cristo essere liberato dal peccato (quello “originale”, che ha corrotto la natura
umana fin dall’inizio, e quelli personali) e dalla dannazione eterna ed essere reso partecipe della vita
stessa di Dio. E’ dunque Lui la Verità assoluta ed il senso vero ed esauriente della vita.
Nella Sua passione e morte in croce, attraverso cui si attua la nostra riconciliazione con Dio, cioè la
nostra “redenzione”, acquista pure una dimensione nuova ed un valore salvifico ogni dolore umano,
in quanto, se unito alla Croce di Cristo, ci rende partecipi della redenzione e ci fa misteriosamente
ma realmente cooperatori di Dio per la salvezza nostra e del mondo90.
In quanto risorto, Gesù è allora perennemente vivo, cioè una presenza continua, specie tra coloro
87
E’ molto importante che la fede, pur essendo un dono di Dio (per tutti coloro che l’accolgono) e debba nascere come
assenso d’amore nel più profondo dell’animo umano, abbia una sua base di esperienza oggettiva. Non è quindi fondata
su un sentimento o una sensazione, ma sull’esperienza reale di Gesù risorto fatta dagli Apostoli. Il rimprovero fatto da
Gesù risorto a Tommaso, e la conseguente benedizione per tutti coloro che come noi possiamo e dobbiamo credere pur
senza aver visto il Risorto (Gv 21,29: “Perché mi hai veduto, hai creduto: beati quelli che pur non avendo visto
crederanno!”) non indica affatto che dobbiamo essere dei “creduloni” che credono ad ogni cosa anche senza alcun
fondamento di autenticità (sappiamo in questo senso quanto sia prudente e severa la Chiesa nel riconoscere apparizioni,
miracoli ed eventi spirituali eccezionali), ma perché Tommaso doveva aver fiducia e credere agli altri Apostoli che
avevano visto (l’espressione di Gesù potrebbe quindi essere colta così: “beati quelli che pur non avendo visto
crederanno agli Apostoli che hanno visto”). La Chiesa, come comunità di coloro che credono in Cristo, è infatti
“apostolica”, cioè fondata sull’esperienza degli Apostoli.
88
Fin dai primi secoli la Chiesa ha dovuto difendere decisamente la verità della duplice natura (umana e divina) di
Cristo, contro le opposte eresie che lo intendevano semplicemente come un grande uomo o riducevano la sua umanità
ad una apparenza [cfr. i Concili di Nicea (325 d.C.), Costantinopoli (381 d.C.), Efeso (431 d.C.) e specialmente
Calcedonia (451 d.C.)].
89
L’espressione “Agnello di Dio”, con cui lo stesso Giovanni Battista presenta Gesù (Gv 1,36) e che ancora oggi viene
così indicato dal sacerdote quando lo presenta ai fedeli poco prima di riceverLo e donarlo nell’Eucaristia, richiama tra
l’altro sia l’offerta a Dio della primizia (primizia del gregge), come ringraziamento e riconoscimento che tutto è dono
suo e gli appartiene, che l’agnello sacrificato (o capro espiatorio), che paga per tutti, prendendo su di sé il peccato. Gesù
è dunque il vero Agnello che si offre in sacrificio, per liberarci dal peccato e far salire al Padre il vero ringraziamento
(in greco: eucaristia).
90
Cfr. Col 1,24.
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che credono in Lui91, nel Suo popolo che è la Chiesa e specialmente nei Sacramenti, attraverso i
quali Egli stesso opera in noi e ci rende sempre più partecipi di Sé.
Essendo Dio stesso fatto uomo, Gesù Cristo è la pienezza della Rivelazione, la verità completa su
Dio e sull’uomo, l’unico mediatore tra Dio e l’uomo, cioè l’unico salvatore92. Dio, cercato da tutti
gli uomini e da tutte le religioni, si è dunque pienamente rivelato; per questo immenso dono
dell’amore di Dio, che supera ogni aspettativa umana pur essendo il ciò per cui esistiamo, non è più
moralmente lecito fermarsi ad una vaga religiosità (credere semplicemente in Dio), alle religioni
(aderire ad una religione o setta qualsiasi o farsi una religione “a modo proprio”) e neppure alla
rivelazione dell’A.T. (religione ebraica), così come non è da attendersi altra rivelazione pubblica di
Dio fino alla fine del mondo93.
In quell’ultimo giorno, quando si compirà la storia e tutti risorgeranno, Cristo ritornerà “glorioso”:
tutti lo vedranno, vedranno che è davvero Dio e quindi la Verità piena della nostra vita, e per questo
Egli sarà il “giudice universale”, misericordioso e giusto, cioè verrà alla luce tutto il nostro essere e
tutta la nostra vita; si evidenzierà così la nostra conformità o difformità a Lui ed alla Sua parola; e
ciò avrà conseguenze eterne, nella beatitudine (partecipazione alla vita stessa di Dio) o dannazione
(privazione della vita di Dio) eterne.
3.6: Dio è Amore
Se è vero che nessuno ha mai visto Dio, è però vero che ormai Dio si è pienamente rivelato in
Cristo, Figlio di Dio (“Logos”) incarnato94. Non si tratta dunque di una nuova filosofia o di una
nuova religione, ma della “presenza” stessa di Dio-fatto-uomo. Non sono semplicemente nuove
idee, ma la Persona di Cristo e della Sua opera nella storia (la Sua venuta e la Sua morterisurrezione per ogni uomo), che ha un valore universale ed eterno95. “All’inizio dell’essere
cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con
una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva”96.
In Cristo si rivela pienamente Chi è Dio: Dio è Amore. E lo sappiamo non solo perché Cristo (Dio
stesso fatto uomo) ce lo ha rivelato (vedendo Lui si vede infatti il Padre, cioè Dio stesso97), ma per
la Sua stessa venuta per noi (“per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo” 98) e
soprattutto per la Sua morte in Croce per noi. “Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio
unigenito, perché chiunque crede in Lui abbia la vita eterna” (Gv 3,16).
Come abbiamo osservato nella seconda premessa, al culmine della ricerca filosofica su Dio della
classicità greca (pensiamo a Platone ed Aristotele) c’era sì già la scoperta (razionale) dell’esistenza
di Dio ed anche il riconoscimento di alcuni suoi attributi (Colui da cui tutto dipende, l’Eterno,
l’Intelligenza suprema); ma solo in Cristo si manifesta pienamente Chi è Dio e perché noi
91
Mt 28,20 (fine del Vangelo): “Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo”.
Cfr. At 4,12. Ogni uomo ha dunque il diritto e dovere di conoscere Cristo, di credere in Lui e di essere unito a Lui
attraverso il Battesimo, per essere salvo; ciò comporta quindi anche il dovere della missione da parte di ogni cristiano
(cfr. Mc 16,14-16 e ancora Mt 28,18-20). Pur essendoci “salvezza” solo in Cristo, chi non per colpa propria non ha
potuto conoscerLo e aderire a Lui, Dio potrebbe salvarlo in via straordinaria - ma sempre per i meriti di Cristo - anche
in altro modo, se obbedisce almeno a quella primaria voce di Dio che è la coscienza e la propria religione.
93
La religione ebraica, non riconoscendo in Cristo il Messia e l’incarnazione stessa di Dio (credendo la pretesa di Gesù
una bestemmia), attendono ancora la venuta del Messia promesso da Dio, anche se riconoscono senza poterselo
spiegare che misteriosamente Dio da 2000 anni non parla più. La religione musulmana, nata sei secoli dopo Cristo, non
riconoscendo la divinità di Cristo (creduto come semplice profeta) anzi ritenendola impossibile e blasfema, ritiene che
Maometto sia il nuovo e definitivo profeta di Dio (non certo Dio egli stesso) e quindi il Corano (la sua parola) la
rivelazione piena di Dio.
94
Cfr. Gv. 1,18. “Nessuno ha mai visto Dio come Egli è in se stesso. E tuttavia non è per noi totalmente invisibile, non
è rimasto per noi semplicemente inaccessibile... Dio si è fatto visibile: in Gesù noi possiamo vedere il Padre”
(Benedetto XVI, Lettera Enciclica Deus caritas est, 25.12.2005, n. 17).
95
“La vera novità del Vangelo non sta in nuove idee, ma nella persona stessa di Cristo, che dà carne e sangue ai
concetti - un realismo inaudito” (Benedetto XVI, Deus caritas est, n. 12).
96
Benedetto XVI, Deus caritas est, n. 1.
97
Cfr. Gv 14,9.
98
Cfr. Simbolo niceno-costantinopolitano (detto il “Credo”), del IV sec.
25
92
Diritto Civile, 3° anno: Teologia (Cristologia) – prof. A. Cecchini
esistiamo99: Dio è amore; e noi siamo creati e salvati dall’Amore e chiamati a partecipare
all’Amore, già da ora e per sempre.
Cristiano è allora colui che crede nell’umanità e divinità di Cristo, alla Sua morte e risurrezione, e
quindi all’amore che Dio ha per noi100.
Ecco perché la logica nuova della vita cristiana, che è poi il senso vero e pieno della vita, è l’amore.
Per questo Gesù dice che questo è il Suo comandamento101. “Dio è amore; chi sta nell’amore dimora
in Dio e Dio dimora in lui” (1Gv 4,16). Ma è “Dio che ci ha amati per primo e continua ad amarci
per primo; per questo anche noi possiamo rispondere con l’amore”102. “Siccome Dio ci ha amati per
primo, l’amore adesso non è più solo un <comandamento>, ma è la risposta al dono dell’amore, col
quale Dio ci viene incontro”103. “Il <comandamento> dell’amore diventa possibile solo perché non è
soltanto un’esigenza: l’amore può essere comandato perché prima è donato”104.
Così la vita eterna cui siamo chiamati non è un perdersi nel Nulla o nell’oceano anonimo
dell’Essere (come ad esempio pensa il Buddismo), né semplicemente uno star bene (come ancora
immagina il paradiso la religione islamica), ma è una partecipazione d’amore all’Amore infinito che
Dio è105. Nell’Amore eterno che Dio è, ciascuno di noi invece non si perderà, ma troverà pienamente
se stesso (siamo infatti fatti per l’Amore); e nell’Amore troverà pure il pieno e insuperabile rapporto
d’amore con tutti coloro che saranno salvati, cioè con coloro che partecipano dell’Amore eterno che
Dio è.
99
Cfr. Benedetto XVI, Deus caritas est, n. 9.
“Noi abbiamo creduto all’amore che Dio ha per noi e vi abbiamo creduto” (1Gv 4,16).
101
Cfr. Gv 15,17.
102
Benedetto XVI, Deus caritas est, n. 17.
103
Benedetto XVI, Deus caritas est, n. 1.
104
Benedetto XVI, Deus caritas est, n. 14.
105
Proprio per la logica stessa dell’amore, questo destino non può che essere un appello alla nostra libertà (non si può
essere obbligati all’amore), e quindi anche con la tremenda possibilità del nostro rifiuto (dannazione).
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100
Diritto Civile, 3° anno: Teologia (Cristologia) – prof. A. Cecchini
Domande sul “mistero di Cristo”
del Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica (n.n. 79-135)
in riferimento al Catechismo della Chiesa Cattolica (n.n. 422-682)
Secondo capitolo
Credo in Gesù Cristo, il Figlio unigenito di Dio
79. Qual è la Buona Novella per l’uomo? (cfr. CCC 422-424)
80. Come si diffonde questa Buona Novella? (cfr. CCC 425-429)
“e in Gesù Cristo, suo unico Figlio, nostro Signore”
81. Che cosa significa il nome «Gesù»? (cfr. CCC 430-435 e 452)
82. Perché Gesù è chiamato «Cristo »? (cfr. CCC 436-440 e 453)
83. In che senso Gesù è il «Figlio Unigenito di Dio»? (cfr. CCC 441-445 e 454)
84. Che cosa significa il titolo «Signore»? (cfr. CCC 446-451 e 455)
“Gesù Cristo fu concepito per opera dello Spirito Santo, nacque da Maria Vergine”
85. Perché il Figlio di Dio si è fatto uomo? (cfr. CCC 456-460)
86. Che cosa significa la parola «Incarnazione »? (cfr. CCC 461-463 e 483)
87. In che modo Gesù Cristo è vero Dio e vero uomo? (cfr. CCC 464-467 e 469)
88. Che cosa insegna a questo riguardo il Concilio di Calcedonia (anno 451)? (cfr. CCC 467)
89. Come la Chiesa esprime il Mistero dell’Incarnazione? (cfr. CCC 464-469 e 479-481)
90. Il Figlio di Dio fatto uomo aveva un’anima con una conoscenza umana? (cfr. CCC 470-474
e 482)
91. Come si accordano le due volontà del Verbo incarnato? (cfr. CCC 475 e 482)
92. Cristo aveva un vero corpo umano? (cfr. CCC 476-477)
93. Che cosa rappresenta il Cuore di Gesù? (cfr. CCC 478)
94. «Concepito per opera dello Spirito Santo... »: che cosa significa quest’espressione? (cfr. CCC
484-486)
95. «Nato dalla Vergine Maria»: perché Maria è veramente la Madre di Dio? (cfr. CCC 495 e 509)
96. Che cosa significa «Immacolata Concezione»? (cfr. CCC 487-492 e 508)
97. Come collabora Maria al disegno divino della salvezza? (cfr. CCC 493-494 e 508-511)
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Diritto Civile, 3° anno: Teologia (Cristologia) – prof. A. Cecchini
98. Che cosa significa la concezione verginale di Gesù? (cfr. CCC 496-498 e 503)
99. In che senso Maria è «sempre Vergine»? (cfr. CCC 499-507 e 510-511)
100. In che modo la maternità spirituale di Maria è universale? (cfr. CCC 501-507 e 511)
101. In che senso tutta la vita di Cristo è Mistero? (cfr. CCC 512-521 e 561-562)
102. Quali sono state le preparazioni ai Misteri di Gesù? (cfr. CCC 522-524)
103. Che cosa insegna il Vangelo sui Misteri della nascita e dell’infanzia di Gesù? (cfr. CCC 525530 e 563-564)
104. Quale insegnamento ci offre la vita nascosta di Gesù a Nazareth? (cfr. CCC 533-534 e 564)
105. Perché Gesù riceve da Giovanni il «battesimo di conversione per il perdono dei peccati» (Lc
3,3)? (cfr. CCC 535-537 e 565)
106. Che cosa rivelano le tentazioni di Gesù nel deserto? (cfr. CCC 538-540 e 566)
107. Chi è invitato a far parte del Regno di Dio, annunciato e realizzato da Gesù? (cfr. CCC 541546 e 567)
108. Perché Gesù manifesta il Regno attraverso segni e miracoli? (cfr. CCC 547-550 e 567)
109. Nel Regno, quale autorità Gesù conferisce ai suoi Apostoli? (cfr. CCC 551-553 e 567)
110. Quale significato ha la Trasfigurazione? (cfr. CCC 554-556 e 568)
111. Come avviene l’entrata messianica a Gerusalemme? (cfr. CCC 557-560 e 569-570)
“Gesù Cristo patì sotto Ponzio Pilato, fu crocifisso, morì e fu sepolto”
112. Qual è l’importanza del Mistero pasquale di Gesù? (cfr. CCC 571-573)
113. Con quali accuse Gesù è stato condannato? (cfr. CCC 574-576)
114. Come si è comportato Gesù verso la Legge di Israele? (cfr. CCC 577-582 e 592)
115. Quale fu l’atteggiamento di Gesù verso il tempio di Gerusalemme? (cfr. CCC 583-586 e 593)
116. Gesù ha contraddetto la fede d’Israele nel Dio unico e salvatore? (cfr. CCC 587-591 e 594)
117. Chi è responsabile della morte di Gesù? (cfr. CCC 595-598)
118. Perché la morte di Cristo fa parte del disegno di Dio? (cfr. CCC 599-605 e 619)
119. In quale modo Cristo ha offerto se stesso al Padre? (cfr. CCC 606-609 e 620)
120. Come si esprime nell’ultima Cena l’offerta di Gesù? (cfr. CCC 610-611 e 620)
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Diritto Civile, 3° anno: Teologia (Cristologia) – prof. A. Cecchini
121. Che cosa avviene nell’agonia dell’orto del Getsemani? (cfr. CCC 612)
122. Quali sono gli effetti del sacrificio di Cristo sulla Croce? (cfr. CCC 613-617 e 622-623)
123. Perché Gesù chiama i suoi discepoli a prendere la loro croce? (cfr. CCC 618)
124. In quali condizioni era il corpo di Cristo mentre si trovava nella tomba? (cfr. CCC 624-630)
“Gesù Cristo discese agli inferi, risuscitò dai morti il terzo giorno”
125. Che cosa sono «gli inferi », nei quali Gesù discese? (cfr. CCC 632-637)
126. Che posto occupa la Risurrezione di Cristo nella nostra fede? (cfr. CCC 631 e 638)
127. Quali «segni» attestano la Risurrezione di Gesù? (cfr. CCC 639-644 e 656-657)
128. Perché la Risurrezione è al tempo stesso un avvenimento trascendente? (cfr. CCC 647 e 656657)
129. Qual è lo stato del corpo risorto di Gesù? (cfr. CCC 645-646)
130. In che modo la Risurrezione è opera della Santissima Trinità? (cfr. CCC 648-650)
131. Quali sono il senso e la portata salvifica della Risurrezione? (cfr. CCC 651-655 e 658)
“Gesù salì al cielo, siede alla destra di Dio Padre onnipotente”
132. Che cosa rappresenta l’Ascensione? (cfr. CCC 659-667)
“Di là verrà a giudicare i vivi e i morti”
133. Come regna ora il Signore Gesù? (cfr. CCC 668-674 e 680)
134. Come si realizzerà la venuta del Signore nella gloria? (cfr. CCC 675-677 e 680)
135. Come Cristo giudicherà i vivi e i morti? (cfr. CCC 678-679 e 681-682)
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Riferimenti nel “Gesù di Nazaret” (2 voll.)
di Joseph Ratzinger / Benedetto XVI
Joseph Ratzinger (Benedetto XVI), Gesù di Nazareth (vol. 1), Rizzoli, 2007, pp. 446.
Introduzione. Un primo sguardo sul ministero di Gesù (p. 21)
1. Il Battesimo di Gesù (p. 29)
2. Le tentazioni di Gesù (p. 47)
3. Il Vangelo del regno di Dio (p. 69)
4. Il <discorso della montagna> (le Beatitudini – la Torah del Messia) (p. 87)
5. La Preghiera del Signore (p. 157)
6. I discepoli (p. 203)
7. Il messaggio delle parabole (in particolare tre) (p. 219)
8. Le grandi immagini giovannee (acqua, vite-vino, pane, pastore) (p. 257)
9. La confessione di Pietro (p. 333) e la Trasfigurazione (p. 352)
10. Le affermazioni di Gesù su se stesso (il Figlio dell’uomo, il Figlio, <Io sono>) (p. 395)
Joseph Ratzinger (Benedetto XVI), Gesù di Nazareth (vol. 2), L. E. Vaticana 2011, pp. 380.
1. Ingresso in Gerusalemme e purificazione del tempio (p. 11)
2. Il discorso escatologico di Gesù (p. 35)
3. La lavanda dei piedi (p. 65)
4. La <preghiera sacerdotale> di Gesù (p. 91)
5. L’Ultima Cena (p. 119)
6. Getsèmani (p. 165)
7. Il processo a Gesù (p. 189)
8. La Crocifissione e la deposizione di Gesù nel sepolcro (p. 227)
9. La risurrezione di Gesù dalla morte (p. 269)
10. È salito al Cielo – siede alla destra di Dio Padre e di nuovo verrà nella gloria (p. 309)
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