Gli studi di Stephen Hawking sono alla base di ciò che oggi sappiamo dei buchi neri e dell’origine
dell’universo. Dal 1979 fino all’anno scorso è stato titolare della Cattedra Lucasiana di matematica
dell’Università di Cambridge, il posto a suo tempo ricoperto da Isaac Newton. Tra i suoi numerosi libri
ricordiamo l’ormai classico Dal big bang ai buchi neri. Breve storia del tempo, che ha venduto più di 9
milioni di copie.
Leonard Mlodinow è fisico teorico al California Institute of Technology. È autore di diversi libri, tra cui
La passeggiata dell’ubriaco. Le leggi scientifiche del caso, edito in Italia da Rizzoli; insieme a Hawking
ha scritto La grande storia del tempo (Rizzoli, 2006) e il recentissimo The Grand Design.
fisica
La
(sfuggente)
teoria
del tutto
di Stephen Hawking e Leonard Mlodinow
Illustrazioni di Barron Storey
in breve
Il lavoro di Stephen Hawking
rappresenta il progresso forse più
concreto dalla fisica teorica verso la
riconciliazione della teoria
einsteiniana della gravità e della
meccanica quantistica in una teoria
finale del tutto.
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Il favorito al ruolo di teoria del
tutto è la teoria delle stringhe,
di cui tuttavia esistono cinque
diverse formulazioni, ognuna
delle quali è adatta a un insieme
parziale di situazioni.
Una rete di collegamenti
matematici unisce però le diverse
teorie delle stringhe in un sistema
complessivo chiamato teoria M:
forse la rete è in sé la teoria finale.
In un nuovo libro, The Grand
Design, Hawking e Mlodinow
sostengono che la ricerca di una
teoria definitiva potrebbe non portare
mai a un unico insieme di equazioni.
Ogni teoria scientifica, scrivono, ha
un proprio modello della realtà, e
potrebbe non avere senso parlare di
che cosa sia la realtà in sé. Questo
articolo è basato sul loro libro.
Le Scienze 87
A
lcuni anni fa, il Comune di Monza proibì ai proprietari di pesci rossi di tenerli nelle
classiche bocce sferiche. I sostenitori dell’iniziativa spiegarono che è crudele tenere un
pesce in una boccia, perché il vetro curvo dà al pesce una visione distorta della realtà.
Prescindendo dagli effetti del divieto sui pesci rossi, questa vicenda solleva un’interessante questione filosofica: come sappiamo che la realtà che percepiamo è vera?
Il pesce rosso vede una versione della realtà diversa dalla nostra, ma possiamo essere sicuri che sia meno reale? Per quel che ne
sappiamo, anche noi potremmo trascorrere tutta la vita osservando il mondo attraverso una lente deformante.
Per la fisica, la questione non è accademica. Anzi, fisici e cosmologi si stanno trovando in una situazione simile a quella del
pesce rosso. Ci affanniamo da decenni a mettere a punto una teoria definitiva del tutto, un insieme completo e coerente di leggi fisiche fondamentali che spieghino ogni aspetto della realtà. E
adesso sembra che questa ricerca possa portare non a una singola
teoria, ma a una famiglia di teorie connesse tra loro, ognuna delle
quali descrive una sua versione della realtà, come se vedesse l’universo attraverso le pareti della sua boccia di vetro.
Il concetto può risultare difficile per molti, compresi alcuni
scienziati. La maggior parte di noi ritiene che esista una realtà oggettiva, e che i nostri sensi e la scienza diano direttamente informazioni sul mondo materiale. La scienza classica si basa sulla convinzione che esista un mondo esterno le cui proprietà sono ben
definite e indipendenti dall’osservatore che le percepisce. In filosofia, questa convinzione si chiama realismo.
Chi si ricorda di Timothy Leary e degli anni sessanta, però, conosce un’altra possibilità: il modo in cui si intende la realtà può dipendere dalla mente di chi la percepisce. Questa scuola di pensiero,
con varie sottili differenze, ha nomi come antirealismo, strumentalismo o idealismo. Secondo queste dottrine, il mondo che conosciamo è costruito dalla mente umana usando come materiale
grezzo i dati sensoriali, ed è plasmato dalla struttura interpretativa
del nostro cervello. Questo punto di vista può essere difficile da accettare, ma non da capire. Non c’è modo di rimuovere l’osservatore – noi – dalla nostra percezione del mondo.
Per come sta procedendo la fisica, il realismo sta diventando
difficile da difendere. Nella fisica classica – la fisica di Newton che
descrive con tanta accuratezza le nostre esperienze quotidiane –
l’interpretazione di termini come «oggetto» e «posizione» è per lo
più coerente con la nostra comprensione usuale e «realistica» di
questi concetti. Come strumenti di misura, però, noi siamo molto
grossolani. I fisici hanno scoperto che gli oggetti quotidiani e la luce con cui li vediamo sono fatti di oggetti che non percepiamo direttamente, come gli elettroni e i fotoni, e che sono governati non
dalla fisica classica ma dalle leggi della meccanica quantistica.
La realtà della meccanica quantistica è radicalmente diversa da
quella della fisica classica. Nel contesto della teoria dei quanti le
particelle non hanno né posizioni né velocità definite finché, e a
meno che, un osservatore non misuri quelle grandezze. In alcuni casi i singoli oggetti non hanno neppure un’esistenza indipendente, ma esistono solo come parte di un ensemble di molti oggetti. La fisica quantistica ha conseguenze importanti anche su come
intendiamo il passato. Nella fisica classica si assume che il passato sia composto da una serie definita di eventi, ma secondo la fisica quantistica il passato, come il futuro, è indefinito ed esiste solo
come insieme di possibilità. Persino l’universo nel suo complesso
non ha un passato o una storia univoci. Quindi la fisica quantistica
88 Le Scienze
Nel corso della ricerca delle leggi definitive della fisica, nessun
altro approccio ha suscitato speranze maggiori – né più polemiche
– della teoria delle stringhe. La teoria delle stringhe fu proposta per
la prima volta negli anni settanta come tentativo di unificare tutte
le forze fisiche in un contesto coerente e, in particolare, di portare
la forza di gravità all’interno della fisica quantistica. All’inizio degli anni novanta, però, i fisici scoprirono che la teoria delle stringhe ha un problema singolare: esistono cinque diverse teorie delle
stringhe. Per quelli che propugnavano la teoria delle stringhe come teoria unica del tutto, la cosa era un po’ imbarazzante. A metà degli anni novanta si iniziò a capire che queste diverse teorie
– e un’altra ancora detta supergravità – descrivono gli stessi fenomeni, il che dava la speranza che prima o poi avrebbero costituito
una teoria unificata. Queste teorie sono infatti collegate da quelle
che i fisici chiamano dualità, che sono come dizionari matematici per tradurre i concetti da una parte all’altra. Ma purtroppo ogni
teoria è una buona descrizione dei fenomeni solo all’interno di un
certo intervallo di condizioni, per esempio alle basse energie. Nessuna è in grado di descrivere ogni aspetto dell’universo.
implica una realtà diversa da quella della fisica classica, nonostante quest’ultima combaci con la nostra intuizione e faccia il suo dovere quando progettiamo edifici e ponti.
Questi esempi ci portano a una conclusione che offre un importante cornice in cui interpretare la scienza moderna. Secondo
noi, non esiste un concetto di realtà indipendente da una teoria o
dall’immagine che se ne ha. Adottiamo invece un punto di vista
che chiamiamo realismo dipendente dal modello: l’idea che una
teoria fisica o un’immagine del mondo sia un modello (in genere
di natura matematica) con un insieme di regole che collegano gli
elementi del modello alle osservazioni. Secondo il realismo dipendente dal modello non ha senso chiedersi se un modello sia reale,
ma solo se concorda con le osservazioni. Se due modelli concordano con le osservazioni, nessuno dei due può essere considerato più
reale dell’altro. Una persona può usare il modello più adeguato alla situazione che sta considerando.
Scorci della teoria profonda
Non cercate di regolare l’immagine
Le realtà alternative sono un classico della narrativa e del cinema di genere. Per esempio, nel film di fantascienza Matrix gli esseri umani vivono a loro insaputa in una realtà virtuale creata da
computer intelligenti che vogliono tenerli tranquilli e soddisfatti mentre ne succhiano l’energia bioelettrica (qualunque cosa essa sia…). Come sappiamo di non essere personaggi generati da un
computer che vivono in un mondo alla Matrix?
Se vivessimo in un’immaginario mondo artificiale, gli eventi
non dovrebbero essere per forza logici e coerenti o seguire certe
leggi. Gli alieni che ci controllano potrebbero trovare più interessante o divertente vedere le nostre reazioni se, per esempio, decidessimo tutti improvvisamente che il cioccolato è disgustoso o che
la guerra è inammissibile. Se gli alieni imponessero leggi coerenti, non avremmo modo di capire che al di là della realtà simulata
ce n’è un’altra. È facile chiamare «reale» il mondo in cui vivono gli
alieni e «falso» quello generato dal computer. Ma se – come noi –
gli esseri che vivono nel mondo simulato non potessero osservare il proprio universo da fuori, non avrebbero ragione di dubitare
della propria immagine della realtà.
I pesci rossi sono in una situazione simile. Ciò che vedono non
è uguale a ciò che vediamo noi stando fuori dalla sfera di vetro,
ma potrebbero formulare lo stesso leggi scientifiche che descrivono il moto degli oggetti che osservano all’esterno. Per esempio,
poiché la luce devia quando passa dall’aria all’acqua, un oggetto che si muove liberamente e che noi vedremmo seguire un percorso rettilineo, osservato dal pesce segue un cammino curvo. Dal
loro sistema di riferimento distorto i pesci potrebbero formulare
leggi scientifiche che sarebbero sempre verificate e che li metterebbero in grado di formulare previsioni sul moto futuro degli oggetti fuori dalla vasca. Le loro leggi sarebbero più complicate di quelle che valgono nel nostro sistema di riferimento, ma la semplicità
è una questione di gusti. Se il pesce rosso formulasse una teoria simile, dovremmo ammettere che la sua visione del mondo è un’immagine valida della realtà.
508 dicembre 2010
Un famoso esempio di immagini diverse della realtà è il contrasto tra il modello geocentrico tolemaico e il modello eliocentrico
copernicano. Anche se capita spesso di dire che Copernico dimostrò che Tolomeo aveva torto, non è vero. Come nel caso del nostro punto di vista rispetto a quello del pesce, è possibile usare come modello dell’universo uno qualsiasi dei due, perché possiamo
spiegare le nostre osservazioni dei cieli assumendo che la Terra sia
immobile o che lo sia il Sole. Nonostante il ruolo rivestito dal sistema copernicano nelle discussioni filosofiche sulla natura del nostro universo, il vero vantaggio di questo sistema è che le equazioni del moto sono molto più semplici nel sistema di riferimento in
cui il sole è immobile.
Il realismo dipendente dal modello non si applica solo ai modelli scientifici, ma anche ai modelli mentali consci e inconsci che
tutti noi creiamo per interpretare e comprendere il mondo quotidiano. Il cervello umano, per esempio, elabora i dati grezzi provenienti dal nervo ottico, combinando i segnali provenienti dai due
occhi, migliorando la risoluzione e colmando lacune come quella del punto cieco della retina. Inoltre crea l’impressione di uno
spazio tridimensionale a partire dai dati bidimensionali della retina. Quando vediamo una sedia, abbiamo solo usato la luce diffusa dalla sedia per costruire un’immagine mentale, un modello della
sedia. Il cervello è così bravo a costruire modelli che, se a una persona vengono fatti indossare occhiali che capovolgono le immagini che arrivano agli occhi, il cervello modifica il modello in modo
da vedere gli oggetti di nuovo nel verso giusto… In tempo, si spera,
per quando cercherà di sedersi.
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Attualmente gli esperti in materia sono convinti che le cinque
diverse teorie delle stringhe siano solo diverse approssimazioni di
una teoria più fondamentale, la teoria M. (Sembra che nessuno
sappia per che cosa sta la «M». Potrebbe essere master [fondamentale], miracle [miracolosa] o mystery [misteriosa], o tutte e tre.) Si
sta ancora cercando di decifrare la natura della teoria M, ma è possibile che le tradizionali aspettative di un’unica teoria della natura siano senza speranza, e che per descrivere l’universo si debbano usare teorie diverse in situazioni diverse. Così la teoria M non è
una teoria nel senso abituale, ma un sistema di teorie.
Per rappresentare fedelmente tutta la Terra su una superficie
piatta bisogna usare un insieme di mappe, ognuna delle quali rappresenta una regione limitata. Le mappe si sovrappongono, e dove ciò accade mostrano la stessa zona. Analogamente, le diverse teorie all’interno della famiglia della teoria M possono avere un
aspetto molto diverso, ma le si può considerare tutte come versioni della stessa teoria sottostante: dove si sovrappongono prevedono tutte gli stessi fenomeni, ma nessuna funziona bene in tutte le situazioni.
Ogni volta che sviluppiamo un modello del mondo e ci accorgiamo che funziona, tendiamo ad attribuire a quel modello la caratteristica di realtà o di verità assoluta. Ma la teoria M, come
l’esempio del pesce rosso, mostra che la stessa situazione fisica può
essere modellizzata in maniere diverse, ognuna delle quali usa elementi e concetti fondamentali diversi. Può darsi che per descrivere l’universo si debbano usare teorie diverse in situazioni diverse. Ogni teoria può avere la sua versione della realtà, ma secondo
il realismo dipendente dal modello questa diversità è accettabile, e
nessuna delle versioni può essere definita più reale di un’altra. Non
è quello che un fisico si aspetta tradizionalmente da una teoria
della natura, e non corrisponde alla nostra idea quotidiana di realtà. Ma potrebbe essere così che va l’universo.
n
letture
La teoria un tempo chiamata delle «corde». Duff M.J., in «Le Scienze» n. 358,
giugno 1998.
L’illusione della gravità. Maldacena J., in «Le Scienze» n. 449, gennaio 2006.
The Grand Design. Hawking S. e Mlodinow L., Bantam Books, 2010 (l’edizione
italiana sarà pubblicata da Mondadori).
Le Scienze 89