Lezione IV - WebDiocesi

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L’UOMO NEL NUOVO TESTAMENTO
L’UOMO AGAPICO
QUARTA LEZIONE
L’uomo agapico
Tra le Lettere giovannee
Il percorso sin qui intrapreso ci ha permesso di fare una panoramica
antropologica a partire dalle pagine del Nuovo Testamento. La lezione
precedente ha visto l’immagine dell’uomo, incarnata nell’Uomo vero e nuovo
che è Gesù, nei suoi aspetti e nelle sue dinamiche emergenti dalle lettere
paoline. L’uomo è apparso come un «corpo» dotato di una «anima», con la
quale forma un’unità dove l’una non può prescindere dall’altra. Parallelamente
a questo corpo animato, stanno le pulsioni negative delineate nell’ambito della
«carne» (secondo il modo paolino di intendere questa parola), e quelle positive
dello «spirito». L’uomo, che nasce come Adamo e che rappresenta il desiderio
di Dio, ma che deve anche trovare compimento attraverso la propria adesione
libera all’immagine divina, trova nello Spirito di Cristo Risorto l’energia
traente per diventare nuovo, per essere un corpo spirituale. L’orizzonte
antropologico nel quale ci muoviamo è quello della risurrezione, non solamente
dell’anima, ma anche del corpo, e questo è un cardine del nostro credo. A
questo riguardo, dopo aver letto le pagine bibliche del Nuovo Testamento, oggi
è utile prima di tutto sostare nella rilettura del Catechismo della Chiesa
Cattolica.
L’uomo destinato alla risurrezione nel Catechismo della Chiesa
988 Il Credo cristiano – professione della nostra fede in Dio Padre, Figlio e
Spirito Santo, e nella sua azione creatrice, salvifica e santificante – culmina nella
proclamazione della risurrezione dei morti alla fine dei tempi, e nella vita
eterna.
989 Noi fermamente crediamo e fermamente speriamo che, come Cristo è
veramente risorto dai morti e vive per sempre, così pure i giusti, dopo la loro
morte, vivranno per sempre con Cristo risorto, e che egli li risusciterà
nell’ultimo giorno. Come la sua, anche la nostra risurrezione sarà opera della
Santissima Trinità:
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L’UOMO NEL NUOVO TESTAMENTO
L’UOMO AGAPICO
«Se lo Spirito di colui che ha risuscitato Gesù dai morti abita in voi, colui
che ha risuscitato Cristo dai morti darà la vita anche ai vostri corpi mortali
per mezzo del suo Spirito che abita in voi».
(Rm 8,11)
990 Il termine «carne» designa l'uomo nella sua condizione di debolezza e di
mortalità. La «risurrezione della carne» significa che, dopo la morte, non ci
sarà soltanto la vita dell’anima immortale, ma che anche i nostri «corpi
mortali» (Rm 8,11) riprenderanno vita.
991 Credere nella risurrezione dei morti è stato un elemento essenziale della
fede cristiana fin dalle sue origini:
«Come possono dire alcuni tra voi che non esiste risurrezione dei morti? Se
non esiste risurrezione dai morti, neanche Cristo è risuscitato! Ma se Cristo
non è risuscitato, allora è vana la nostra predicazione ed è vana anche la
vostra fede [...]. Ora, invece, Cristo è risuscitato dai morti, primizia di
coloro che sono morti».
(1Cor 15,12-14.20)
992 La risurrezione dei morti è stata rivelata da Dio al suo popolo
progressivamente. La speranza nella risurrezione corporea dei morti si è
imposta come una conseguenza intrinseca della fede in un Dio Creatore di tutto
intero l’uomo, anima e corpo. Il Creatore del cielo e della terra è anche colui che
mantiene fedelmente la sua Alleanza con Abramo e con la sua discendenza. È in
questa duplice prospettiva che comincerà ad esprimersi la fede nella
risurrezione.
993 I farisei e molti contemporanei del Signore speravano nella risurrezione.
Gesù la insegna con fermezza. Ai sadducei che la negano risponde: «Non siete
voi forse in errore dal momento che non conoscete le Scritture, né la potenza di
Dio?» (Mc 12,24). La fede nella risurrezione è riposta sulla fede in Dio che «non
è un Dio dei morti, ma dei viventi!» (Mc 12,27).
997 Che cosa significa «risuscitare»? Con la morte, separazione dell’anima e del
corpo, il corpo dell'uomo cade nella corruzione, mentre la sua anima va
incontro a Dio, pur restando in attesa di essere riunita al suo corpo glorificato.
Dio nella sua onnipotenza restituirà definitivamente la vita incorruttibile ai
nostri corpi riunendoli alle nostre anime, in forza della risurrezione di Gesù.
998 Chi risusciterà? Tutti gli uomini che sono morti: «Usciranno [dai sepolcri],
quanti fecero il bene per una risurrezione di vita e quanti fecero il male per una
risurrezione di condanna» (Gv 5,29).
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999 Come? Cristo è risorto con il suo proprio corpo: «Guardate le mie mani e i
miei piedi: sono proprio io!» (Lc 24,39); ma egli non è ritornato ad una vita
terrena. Allo stesso modo, in lui, «tutti risorgeranno coi corpi di cui ora sono
rivestiti», ma questo corpo sarà trasfigurato in corpo glorioso, in «corpo
spirituale» (1 Cor 15,44):
«Ma qualcuno dirà: “Come risuscitano i morti? Con quale corpo
verranno?”. Stolto! Ciò che tu semini non prende vita, se prima non muore,
e quello che semini non è il corpo che nascerà, ma un semplice chicco [...]. Si
semina corruttibile e risorge incorruttibile. [...] È necessario infatti che
questo corpo corruttibile si vesta di incorruttibilità e questo corpo mortale si
vesta di immortalità».
(1 Cor 15,35-37.42.52-53)
1000 Il «modo con cui avviene la risurrezione » supera le possibilità della nostra
immaginazione e del nostro intelletto; è accessibile solo nella fede. Ma la nostra
partecipazione all’Eucaristia ci fa già pregustare la trasfigurazione del nostro
corpo per opera di Cristo.
1001 Quando? Definitivamente «nell’ultimo giorno» (Gv 6,39-40.44.54; 11,24);
«alla fine del mondo». Infatti, la risurrezione dei morti è intimamente
associata alla parusia di Cristo:
«Perché il Signore stesso, a un ordine, alla voce dell'arcangelo e al suono
della tromba di Dio, discenderà dal cielo. E prima risorgeranno i morti in
Cristo».
(1 Ts 4,16).
Il discorso sull’uomo
riletto nell’ambito dell’antropologia giovannea
Il linguaggio paolino sull’essere umano trova analogia di contenuto nella
teologia giovannea, ma in un’altra prospettiva. Nella teologia giovannea
l’accenno particolare alla questione antropologica possiamo legarlo al tema
dell’origine, l’origine della persona. Giovanni insiste su questa doppia realtà:
sulla necessità di una nascita: ànothen, che significa sia dall’alto, sia di nuovo.
Da dove viene Gesù? qual è la sua origine?
L’origine di Gesù ne qualifica la natura, ne determina il valore personale. Allo
stesso modo questo vale per l’uomo. La generazione umana, in quanto tale, è
legata a questo mondo: è quindi necessaria una nuova nascita dall’alto, da
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Dio, dallo spirito. Bisogna rinascere a partire dallo spirito. Abbiamo visto che
anche Paolo parla della necessità dinamica di passare dall’uomo vecchio
all’uomo nuovo, da un corpo animale ad uno spirituale, e questo grazie
all’energia trainante dello spirito che è Cristo Risorto, l’Uomo vero e perfetto.
Per Giovanni lo stesso discorso guarda all’origine, in un certo senso si volge
all’indietro, e parla di una ri-nascita.
Questo è un aspetto antropologico molto importante: la nascita. È uno degli
elementi caratteristici del nostro essere umano, e proprio per il compimento del
nostro essere è necessario ri-nascere. Si tratta certo di una questione battesimale,
se la guardiamo dal punto di vista sacramentale, ma in realtà è una questione di
tutta la vita. Per tradurre questo concetto, dobbiamo fare ovviamente
riferimento al linguaggio giovanneo, e mettere l’uomo in relazione con il
kosmos, «il mondo». Per Giovanni questo termine non indica il creato, ma
rappresenta l’elemento negativo della struttura corrotta dell’insieme terreno: è
da questa che l’uomo che vuole rinascere deve «demondanizzarsi». Bisogna
dunque staccarsi dalla mentalità corrotta legata al mondo: è la sarx del
linguaggio paolino. Si tratta di un altro modo per presentare questo istinto
negativo, ma in un ambito più sociale. La mondanità è la corruzione delle
relazioni interpersonali.
Come avviene la rinascita che porta alla demondanizzazione?
La ri-nascita mediante l’attrazione divina verso l’Uomo Gesù
Giovanni presenta alcuni aspetti preziosi per il nostro discorso attraverso la
relazione fra il Padre e Gesù. Nel capitolo 6 di Giovanni ci sono alcune frasi che
propongono un itinerario antropologico e spirituale per una vera
umanizzazione, a partire dalla mediazione di Gesù.
Tutto ciò che il Padre mi dà, verrà a me.
(Gv 6,37)
Anzitutto viene detto che il Padre dà a Gesù tutto! L’iniziativa parte dal Padre
che pone nelle mani di Gesù tutta la realtà; coloro che sono affidati a lui
vengono a lui, passano attraverso di lui. La salvezza passa dunque attraverso la
persona di Gesù, ma per iniziativa del Padre.
Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato.
(Gv 6,44)
Nessuno può venire a me, se non gli è concesso dal Padre.
(Gv 6,65)
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Le due frasi si corrispondono: il Padre vuole che tutti passino attraverso Gesù e
chi si avvicina a Gesù non lo fa per iniziativa propria, ma perché è attirato dal
Padre. C’è quindi una specie di attrazione, un fascino che il Padre prevede nei
confronti di Gesù e attira ogni persona a Gesù stesso. Non però come una
calamita attira il ferro, perché il ferro non pone nessuna resistenza alla calamita,
ma è il fascino personale, è l’attrazione spirituale che il Padre esercita per
portare ogni uomo a Gesù, perché passi attraverso di lui.
Non si tratta però di un movimento automatico:
Chiunque ha ascoltato il Padre e ha imparato da lui, viene a me.
(Gv 6,45)
Per andare a Gesù e per passare attraverso la sua umanità, è necessario
ascoltare il Padre e imparare da lui, cioè accogliere questa attrazione. Si giunge
così al vertice:
Colui che viene a me, io non lo caccerò fuori.
(Gv 6, 37b)
Anzi
Io lo risusciterò nell’ultimo giorno.
(Gv 6,44b)
Nell’umanità di Gesù c’è la possibilità della salvezza per ogni uomo, che porta
alla sua risurrezione alla fine dei tempi. Per demondanizzarsi l’uomo deve
rinascere rispondendo all’attrazione divina verso Gesù e deve passare
attraverso di lui per diventare figlio per essere, come dice Paolo, un corpo
spirituale, l’uomo perfetto.
La via dell’agàpe
La prima Lettera di Giovanni rappresenta un coronamento della riflessione neotestamentaria dell’antropologia, e allo stesso tempo ripropone alcuni temi
centrali dell’Antico Testamento. Fin dall’inizio si afferma che l’osservanza dei
comandamenti da parte dell’uomo è riassunta nell’osservanza di un
comandamento che è il comandamento antico udito sin dal principio, e che
quindi è allo stesso tempo il comandamento nuovo.
Di cosa si tratta?
Quest’unità e unicità del comandamento ricevuto da Gesù fa riecheggiare la
nota affermazione riportata dai Sinottici, secondo la quale la legge e i profeti
sono riassunti nel comandamento di amare Dio con tutto il cuore, con tutta
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l’anima e con tutte le forze, e allo stesso tempo di amare il prossimo come se
stessi (cf. Mc 12,28-34 e paralleli).
11Poiché
questo è il messaggio che avete udito fin da principio: che ci
amiamo gli uni gli altri. 12 Non come Caino, che era dal maligno, e uccise il
proprio fratello. Perché l’uccise? Perché le sue opere erano malvagie e quelle
di suo fratello erano giuste. 13 Non vi meravigliate, fratelli, se il mondo vi
odia. 14 Noi sappiamo che siamo passati dalla morte alla vita, perché amiamo
i fratelli. Chi non ama rimane nella morte. 15 Chiunque odia suo fratello è
omicida; e voi sapete che nessun omicida possiede in sé stesso la vita eterna.
(1Gv 3,11-15)
In questo contesto, la lettera usa come sinonime tre espressioni che tendono a
tradurre il significato centrale del comandamento cristologico: amare il fratello
(1Gv 2,10); amarsi gli uni gli altri (1Gv 3,11); praticare la giustizia (1Gv 3,7). Tali
espressioni vengono riassunte dal verbo agapào.
Carissimi, amiamoci gli uni gli altri, perché l’amore è da Dio e chiunque
ama è nato da Dio e conosce Dio. Chi non ama non ha conosciuto Dio,
perché Dio è amore. In questo si è manifestato per noi l’amore di Dio: che
Dio ha mandato il suo unico Figlio nel mondo, affinché, per mezzo di lui,
vivessimo. In questo è l’amore: non che noi abbiamo amato Dio, ma che egli
ha amato noi, e ha mandato suo Figlio per essere il sacrificio propiziatorio
per i nostri peccati. Carissimi, se Dio ci ha tanto amati, anche noi dobbiamo
amarci gli uni gli altri. Nessuno ha mai visto Dio; se ci amiamo gli uni
gli altri, Dio rimane in noi e il suo amore diventa perfetto in noi. Da
questo conosciamo che rimaniamo in lui ed egli in noi: dal fatto che ci ha
dato del suo Spirito. Dio è amore; e chi rimane nell’amore rimane in Dio e
Dio rimane in lui. In questo l’amore è reso perfetto in noi: che nel giorno del
giudizio abbiamo fiducia, perché qual egli è, tali siamo anche noi in questo
mondo. Se uno dice: «Io amo Dio», ma odia suo fratello, è bugiardo; perché
chi non ama suo fratello che ha visto, non può amare Dio che non ha visto.
Questo è il comandamento che abbiamo ricevuto da lui: che chi ama Dio ami
anche suo fratello.
(1Gv 4,7-21)
Dio è amore.
Mettendo insieme l’affermazione giovannea che Dio è Spirito (cf. Gv 4,8.16) e
Dio è Amore, notiamo l’essenza stessa di Dio come colui che si auto-comunica
nella verità (spirito), e che realizza nella donazione di sé la propria natura
(amore). Nel senso giovanneo quindi, chi dice Spirito dice Amore, così come
dire il vero Amore significa dire lo Spirito di Dio che si comunica!
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Nessuno ha mai visto Dio.
Questa frase compariva già nel prologo del vangelo giovanneo. Se là ha
l’intento di mostrare che solamente tramite Gesù possiamo vedere il volto del
Padre, ora viene ripresa per mostrare che l’amore fraterno diventa l’occasione
vivente per mostrare il progetto di Dio, perché ci assimila al volto di Cristo vero
uomo che rivela il Padre. Le due affermazioni dunque convergono: la fede nella
rivelazione di Dio in Gesù e l’amore fraterno formano un’unica realtà.
Se ci amiamo gli uni gli altri, il suo amore diventa perfetto.
Allo stesso tempo possiamo dire che l’amore agapico reciproco tra gli esseri
umani rappresenta la configurazione umana, qui e adesso, dell’evento trinitario
dell’amore e il luogo esistenziale attraverso il quale i credenti possono accedere
alla comprensione del mistero di Dio. E proprio l’amore reciproco porta alla
perfezione il dinamismo agapico della vita di Dio che attrae il cuore degli
uomini, per renderli veramente tali.
Chiunque ama è generato da Dio.
Ma è soprattutto la frase iniziale a cogliere la nostra attenzione. Il diventare
uomini nuovi, secondo il vocabolario paolino, quello che Giovanni indica
come rinascita, si realizza attraverso l’amore: per nascere occorre amare! Il
dimorare nell’amore, l’essere «uomo agapico», è il segno tangibile della
rigenerazione operata dalla fede in Cristo, al quale il Padre attira ogni uomo che
viene a questo mondo. In questo modo il proprio rapporto con gli altri è
segnato dalla demondanizzazione, proprio perché caratterizzato dalla carità
fraterna.
Se Dio è agape, allora l’uomo per essere a immagine di Dio deve essere
agapòn: colui che ama! L’uomo agapico è rinato e destinato alla risurrezione
nell’ultimo giorno per la vita eterna.
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