Vol. 6 - n. 3 - Settembre-Dicembre 2008 ISSN 2035-0678 Indexed in EMBASE/Compendex/Geobase Periodico quadrimestrale - Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) - Art. 1, comma 1 DCB Milano Fattori di rischio, precursori, prodromi e caratteristiche cliniche delle psicosi giovanili ORGANO UFFICIALE Rocco Pollice, Stefania Di Mauro, Mariacarla Bernardini, Paola Di Fabio, Ilaria Santini, Donatella Ussorio, Emanuela Di Giovambattista, Michele De Simone, Rita Roncone, Massimo Casacchia Obesità infantile: l’epidemia del terzo millennio dimensione generale del problema Maria Elisabeth Street, Laura Garini, Marilena Garrubba, Matteo Zanzucchi, Carla Pepe, Sergio Bernasconi ESPERIENZA SUL CAMPO Un ulteriore approccio per migliorare l’assistenza agli adolescenti. L’uso di un questionario per i comportamenti a rischio: l’esperienza di Ferrara Annunziata Indino, Martina Mainetti, Fabrizio Pugliese, Maria Rita Govoni, Monica Sprocati, Vincenzo de Sanctis FRONT LINE Arteterapia: nel bambino e nell’adolescente Stefania Pisano Posters presentati al V Congresso Nazionale SO.S.T.E. Cagliari 16-18 Ottobre 2008 Editoriale Negli ultimi 20-30 anni il consumo di alcol e droghe, di vario tipo, è divenuto un problema sanitario sempre più preoccupante. Le conseguenze più dannose sono quelle descritte nei giovani e soprattutto nei soggetti in età adolescenziale. Le suddette sostanze vengono utilizzate dai ragazzi per vari motivi: favorire l’indipendenza dai genitori, ridurre lo stress, migliorare l’accettazione da parte dei coetanei, esplorare i limiti delle proprie capacità cognitive, indicare un simbolo di maturità fisica. Oltre ai problemi sanitari correlati all’assunzione di alcol e droghe, l’abuso di sostanze è molto spesso collegato ad altri comportamenti a rischio. Una ricerca condotta nella provincia di Ferrara nel 1993-94 aveva evidenziato che il 32% degli studenti delle scuole medie superiori beveva superalcolici almeno una volta alla settimana ed il 10% più di una volta alla settimana. Questa percentuale (32%) in 10 anni è passata al 50%, come risulta dalla indagine condotta da Indino e coll. su 273 adolescenti ospedalizzati nel reparto di Pediatria ed Adolescentologia della Divisione Pediatrica di Ferrara e pubblicata in questo numero della RIMA. I fattori che influenzano l’abuso di alcol nei giovani sono tanti e a volte molto diversi tra loro. La prima assunzione di alcolici ha luogo nel periodo della scuola media inferiore o nei primissimi anni di quella superiore. Il più delle volte gli adolescenti iniziano a bere a casa, con i loro genitori. Le sostanze preferite durante i pasti sono la birra e il vino. Fuori dai pasti il consumo prevalente rimane quello della birra seguita dagli aperitivi e dai superalcolici. Questi ultimi vengono assunti per lo più durante il weekend. I luoghi dove le bevande alcoliche vengono generalmente consumate sono le case private, le discoteche, i pubs, mentre le circostanze a rischio sono le feste di fine anno scolastico, i compleanni e le gite scolastiche. A parte gli effetti tossici secondari agli alti tassi di alcol, il consumo di questa sostanza è collegato ad un aumentato rischio di rapporti sessuali non protetti, malattie a trasmissione sessuale, gravidanze indesiderate, incidenti stradali ed attivazione di comportamenti normalmente repressi. L’alcol etilico viene rapidamente assorbito a livello gastrico e dell’ileo prossimale, il picco massimo viene raggiunto entro 90 minuti. I fattori che favoriscono l’assorbimento sono rappresentati dall’assenza di grassi nella dieta, dall’aggiunta di anidride carbonica e dalla diluizione (al 20%). La principale metabolizzazione avviene nel fegato (90%), seguito da reni, polmoni e sudore (2-10%). Il processo di degradazione a livello epatico riconosce 2 tappe: l’acetilazione in acetaldeide e acetilcoenzima A, per azione degli enzimi alcol-deidrogenasi e aldeide-deidrogenasi e la trasformazione in acqua e anidride carbonica, attraverso il ciclo di Krebs. L’abuso dell’alcol esercita principalmente un effetto sul sistema nervoso centrale e sull’apparato gastroenterico. In genere, la concentrazione ematica di alcol si riduce di 20-40 mg/dl per ora. Talvolta la sintomatologia è grave anche per valori di alcolemia non particolarmente elevati. La carenza di programmi di educazione alla salute ha portato la popolazione giovanile ad ignorare i rischi dell’alcol. Appare, quindi, importante una strategia di prevenzione con l’obiettivo di produrre cambiamenti stabili nel tempo, che vanno al di là dell’intervento individuale. L’OMS ha dettato un decalogo per cercare di sconfiggere il consumo di alcol tra i giovani. In particolare: 1. ridurre drasticamente il numero di giovani che si avvicinano all’alcol; 2. ritardare il più possibile l’età in cui i giovani iniziano a bere; 3. abbattere le occasioni di drink a rischio elevato, in particolare negli adolescenti; 4. studiare alternative valide all’alcol e avviare campagne di informazione nei confronti di chi è più a contatto con i giovani; 5. aumentare il coinvolgimento dei ragazzi nelle campagne di prevenzione sanitaria, in particolare quelle correlate all’abuso di alcol; 6. promuovere campagne educative rivolte ai giovani sulle conseguenze dell’abuso di alcol; 7. neutralizzare l’effetto di campagne promozionali sull’alcol; 8. sostenere qualsiasi azione contro la vendita illegale di alcolici; 9. facilitare l’accesso ai centri di sostegno in particolare dei giovani e/o dei loro familiari con problemi di alcol; 10. avviare azioni preventive per ridurre il rischio di incidenti, aggressioni e atti di violenza conseguenti all’abuso di alcol. Per svolgere questi compiti è necessaria, tuttavia, una articolata rete territoriale che dovrà necessariamente coinvolgere la scuola, le amministrazioni comunali, i genitori dei ragazzi, le associazioni giovanili e sportive, i pediatri di famiglia ed i medici di medicina generale. Con queste premesse è opportuno che il Pediatra entri nell’ottica che, nella sua pratica quotidiana, sempre più frequentemente, potrà trovarsi di fronte ad adolescenti che fanno uso di alcol. E’ necessario, pertanto, che acquisisca maggiori conoscenze sull’abuso di alcol, per poterne precocemente riconoscere gli effetti e comunque porsi come obiettivo la prevenzione. Vincenzo De Sanctis 1 Saluto del nuovo Consiglio Direttivo Cari Soci, come sapete durante il XV Congresso Nazionale sono stati rinnovati i vertici della nostra Società; quindi il nuovo Consiglio Direttivo ha il grande piacere di rivolgerVi il più sentito saluto. Il ruolo al quale siamo stati chiamati ci onora e ci impegna, perché la SIMA è strategica nell’ambito della Pediatria. Un ringraziamento sincero lo vogliamo esprimere a tutti coloro che prima di noi hanno guidato la nostra Società, perché il loro lavoro ha permesso una crescita costante della SIMA in qualità e contenuti. Un ringraziamento particolare lo vorremmo rivolgere a Giuseppe Raiola, perché con pragmatismo e determinazione ha reso la SIMA più adeguata alla realtà attuale, e a Vincenzo De Sanctis, per la dedizione che mette nel rendere la RIMA sempre più idonea ad un aggiornamento professionale di eccellenza. Vari dati epidemiologici dimostrano un peggioramento dei comportamenti a rischio dei ragazzi, spesso con inizio ad un’età sempre più giovane. Nonostante questo, la salute degli adolescenti rimane un aspetto - molto spesso - negletto, non solo in Italia. Dovremo quindi cercare di sviluppare progetti qualitativamente qualificanti, che permettano una maggiore sensibilizzazione di tutti i pediatri e delle istituzioni ai fini di realizzare un sistema integrato di “care” più adeguato alla complessità dei nuovi bisogni assistenziali. A questo proposito, alcuni punti ci sembrano prioritari per continuare la crescita della SIMA: • realizzare un’Agenzia organizzativa per migliorare il rapporto con Soci e la comunicazione con la Società civile; • implementare l’attività formativa, anche mediante una modifica del sistema congressuale, che preveda un maggior impulso ad attività regionali o interregionali; • favorire la creazione di commissioni che, accanto ai gruppi di studio, possano far aumentare il peso qualitativo della SIMA in ambito scientifico; ad esempio: editoria (tradizionale e on-line), sviluppo e ricerca, farmaci e vaccini, regionalizzazione, giovani; • ricercare collaborazioni intersettoriali con le varie componenti della Pediatria (ospedale/territorio), intersocietarie (con società e associazioni pediatriche e non pediatriche), internazionali (con particolare attenzione alla MAGAM e ai paesi di lingua latino-americana), con le istituzioni (specialmente quelle più vicini ai giovani come il mondo della scuola e dello sport), con le famiglie, con i media. Un progetto ci sta particolarmente a cuore: la realizzazione di una “Giornata per la promozione salute dell’adolescente”, che simbolicamente vorremmo realizzare a partire dal 2009 per celebrare i 20 anni della dichiarazione sui diritti del fanciullo. La strada che il nuovo Consiglio Direttivo ha davanti non è facile, dato anche il difficile momento socioeconomico e i rapidi mutamenti in atto nella sanità italiana. Cercheremo, con umiltà e al meglio delle possibilità che ciascuno di noi ha, di operare un processo continuo di miglioramento della qualità a favore della SIMA e dell’assistenza ai nostri adolescenti. Siamo certi che tutti i Soci ci saranno vicini con il loro aiuto e i loro consigli. Silvano Bertelloni Presidente Nicola Garofalo Vice Presidente Michele De Simone Tesoriere Domenico Lombardi Segretario Salvatore Chiavetta Consigliere Giampaolo De Luca Consigliere Leopoldo Ruggiero Consigliere 2 Vol. 6 - n. 3 - Settembre-Dicembre 2008 ORGANO UFFICIALE Sommario DIRETTORE SCIENTIFICO Vincenzo De Sanctis (Ferrara) COMITATO DI REDAZIONE Silvano Bertelloni Giampaolo De Luca Bernadette Fiscina Giuseppe Raiola Tito Livio Schwarzenberg COMITATO EDITORIALE Antonietta Cervo Salvatore Chiavetta Michele De Simone Teresa De Toni Piernicola Garofalo Maria Rita Govoni Domenico Lombardi Carlo Pintor Luigi Ranieri Leopoldo Ruggiero Giuseppe Saggese Calogero Vullo INTERNATIONAL EDITORIAL BOARD Magdy Omar Abdou Mujgan Alikasifoglu Hala Al Rimawi Thaana Amer Mike Angastiniotis German Castellano Barca Yardena Danziger Oya Ercan Helena Fonseca Daniel Hardoff Christos Kattamis Nogah Kerem Karaman Pagava Praveen C. Sobti Ashraf Soliman Joan-Carles Suris Editoriale pag. 1 (Pisa) (Amantea, Cosenza) (New York, USA) (Catanzaro) (Roma) V. De Sanctis (Pagani, Salerno) (Palermo) (L’Aquila) (Genova) (Palermo) (Ferrara) (Lucca) (Cagliari) (Catanzaro) (Lecce) (Pisa) (Ferrara) Rocco Pollice, Stefania Di Mauro, Mariacarla Bernardini, Paola Di Fabio, Ilaria Santini, Donatella Ussorio, Emanuela Di Giovambattista, Michele De Simone, Rita Roncone, Massimo Casacchia Fattori di rischio, precursori, prodromi e caratteristiche cliniche delle psicosi giovanili pag. 5 Obesità infantile: l’epidemia del terzo millennio dimensione generale del problema pag. 15 Maria Elisabeth Street, Laura Garini, Marilena Garrubba, Matteo Zanzucchi, Carla Pepe, Sergio Bernasconi Esperienza sul campo (Alexandria, Egypt) (Istanbul, Turkey) (Irbid, Jordan) (Jeddah, South Arabia) (Nicosia, Cyprus) (Torrelavega, Spain) (Petah-Tiqva, Israel) (Istanbul, Turkey) (Lisbon, Portugal) (Haifa, Israel) (Athens, Greece) (Haifa, Israel) (Tbilisi, Georgia) (Ludhiana - Punjab, India) (Doha, Qatar) (Lausanne, Switzerland) Un ulteriore approccio per migliorare l’assistenza agli adolescenti. L’uso di un questionario per i comportamenti a rischio: l’esperienza di Ferrara pag. 20 Annunziata Indino, Martina Mainetti, Fabrizio Pugliese, Maria Rita Govoni, Monica Sprocati, Vincenzo de Sanctis Front Line Arteterapia: nel bambino e nell’adolescente pag. 25 Stefania Pisano SEGRETARIA DI REDAZIONE Gianna Vaccari (Ferrara) STAFF EDITORIALE Direttore Responsabile Direzione Generale Direzione Marketing Consulenza Grafica Impaginazione In questo numero di Emothal viene riportata la prima parte dei posters presentati al V Congresso Nazionale SO.S.T.E., che si è tenuto a Cagliari dal 16 al 18 Ottobre 2008 pag. 31 Pietro Cazzola Armando Mazzù Antonio Di Maio Piero Merlini Clementina Pasina Scripta Manent s.n.c. Via Bassini, 41 - 20133 Milano Tel. 0270608091 - 0270608060 / Fax 0270606917 E-mail: [email protected] Registrazione Tribunale di Milano n. 404 del 23/06/2003 Stampa: Cromografica Europea s.r.l. Rho (MI) Abbonamento annuale (3 numeri) Euro 30,00. Pagamento: conto corrente postale n. 20350682 intestato a: Edizioni Scripta Manent s.n.c., via Bassini 41, 20133 Milano È vietata la riproduzione totale o parziale, con qualsiasi mezzo, di articoli, illustrazioni e fotografie senza l’autorizzazione scritta dell’Editore. L’Editore non risponde dell’opinione espressa dagli Autori degli articoli. Ai sensi della legge 675/96 è possibile in qualsiasi momento opporsi all’invio della rivista comunicando per iscritto la propria decisione a: Edizioni Scripta Manent s.n.c. Via Bassini, 41 - 20133 Milano 3 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Volume 6, n. 3, 2008 Fattori di rischio, precursori, prodromi e caratteristiche cliniche delle psicosi giovanili Rocco Pollice, Stefania Di Mauro, Mariacarla Bernardini, Paola Di Fabio, Ilaria Santini, Donatella Ussorio, Emanuela Di Giovambattista, Michele De Simone1, Rita Roncone, Massimo Casacchia 1 Cattedra di Clinica Psichiatrica - S.M.I.L.E. - Dipartimento di Medicina Sperimentale Cattedra di Pediatria - Ambulatorio di Auxologia - Dipartimento di Medicina Interna - Facoltà di Medicina e Chirurgia - Università degli Studi di L’Aquila Riassunto Nel corso dello sviluppo neuro-psicologico alcune anomalie neuromotorie, emotive, neuropsicologiche, psichiche e comportamentali sono spesso presenti in individui, apparentemente in stato di buona salute, che successivamente manifesteranno un disturbo psicotico. Questo dato diffusamente presente ed osservato in letteratura, suggerisce che alcuni aspetti attinenti l’eziopatogenesi e la sintomatologia del disturbo, si manifestano molto prima dell’esordio clinico dello stesso. Tali “vulnerabilità” o “fattori di rischio” possono influenzare i processi evolutivi di apprendimento ed il funzionamento globale anni prima dell’esordio del disturbo connclamato. Tra i fattori di rischio identificati come predittori dello sviluppo di un disturbo psicotico (sia esso affettivo o dello spettro schizofrenico) i più importanti sembrano essere la vulnerabilità genetica (o familiare), le complicanze ostetriche (pre, peri e post natali), le alterazioni del neurosviluppo, i deficit delle performance scolastiche e cognitive, disturbi comportamentali e presenza di tratti di personalità disfunzionali. Purtroppo ad oggi il potere predittivo di tali variabili (sia in termini qualitativi che quantitativi) è ancoro troppo basso ed aspecifico. Infatti, i precursori clinici identificabili nel corso dello sviluppo non sembrano essere specifici di un unico gruppo sindromico ma appaiono essere comuni a diversi disturbi sempre, però, dello spettro psicotico (schizofrenico ed affettivo). Appare utile, tuttavia, che, nei prossimi anni, la ricerca focalizzi l’attenzione sull’identificazione di markers endo-esofenotipici, sempre più specifici e sensibili, allo scopo di consentire un approccio precoce al trattamento delle psicosi allo scopo di migliorarne la prognosi. È necessario, inoltre, nella valutazione di un possibile disturbo psicotico ad esordio precoce, avvalersi di un’accurata anamnesi allo scopo di poter diagnosticare, e quindi trattare, la patologia durante la sua fase prodromica. Parole chiave: psicosi, schizofrenia, disturbo bipolare, anomalie dello sviluppo, precursori clinici, deficit neuropsicologici, infanzia ed adolescenza, anomalie comportamentali. Risk-factors, precursors, prodromes and clinical features in youth psychosis Summary Slight neuromotor, emotional neropsychological, psychic and behavioral anomalies are often present during the neuro-psycho-development, in individuals, who are apparently in good health, and only subsequently will manifest a psychotic disorder. This fact suggests that some aspects concerning the aetiopathogenesis and the symptomatology of the disorder will manifest much earlier than the clinical beginning of the disorder. Such “vulnerabilities” or “debilities” can influence the evolutionary learning processes and the global adjustment, some years before the beginning of the disorder. Among the risk factors identified as facilitators of the psychotic disorder development (affective or schizophrenic), the most important seem to be the genetic (or family) vulnerability, the obstretic complication (pre, peri and post-natal), the alterations in neurodevelopment and the low school and cognitive performances. Unfortunately, even today the predictive power of those factors (that is either in qualitative or quantitative terms) is still too small and non specific. In fact, the clinical precursors which have been identified during the development, seem not to be specific of one syndromic group but appear to be common to various disorders related to no other than the psychotic spectrum (schizophrenic and affective) regardless their presence is heavier in the schizophrenic disorder than in the affective one. In seems useful, however, that research in the next years, highligths the identification of endo-esophenotypic markers, more and more specific and sensitive in order to allow an early approach to the treatment of psychosis, improving for this the prognosis. On the evaluation of a possible early onset psychotic disorder, it is necessary to make an accurate personal history in order to recognize and to treat the pathology during its prodromal phase. Key words: schizophrenia, bipolar disorder, developmental abnormalities, developmental precursors, cognitive impairment, adolescence and childhood, behavioural abnormalities. 5 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Volume 6, n. 3, 2008 Introduzione anni, tra il primo episodio psicotico ed il primo intervento terapeutico, definito come DUP (durata della psicosi non trattata). Le ragioni di tale variabilità, sono dovute a molteplici fattori (clinici, disomogeneità diagnostiche, culturali, sociali). Tra questi, secondo Mc Gorry (5), tre sarebbero i più importanti: la mancanza di insight; l’età di esordio ed il sesso (il comportamento deviante degli adolescenti è generalmente tollerato dal contesto sociale, maggiormente per i giovani maschi); le difficoltà diagnostiche (la maggiore visibilità e vistosità della sintomatologia affettiva porta ad una ricerca di aiuto più precoce rispetto alla schizofrenia). Inoltre, una sintomatologia di tipo paranoide costituisce un fattore di rischio aggiuntivo al ritardo. Questo ritardo, che si realizza in fasi critiche dello sviluppo per l’adolescente ed il giovane adulto, potrebbe influenzare in modo profondamente negativo la progressione del disturbo, il funzionamento psicosociale, la risposta al trattamento farmacologico e l’incidenza delle ricadute e delle ospedalizzazioni (3). Per tale motivo, maggiore attenzione è stata rivolta all’esordio ed alla individuazione di “soggetti a rischio” che presentano anomalie neuro-psico-comportamentali ed alterazioni del funzionamento psicosociale già nella fase premorbosa (1). Tale modello centrato sui fattori di rischio permetterebbe di identificare e influenzare fattori modificabili, al fine di prevenire l’espressione piena del disturbo (5), contravvenendo al tradizionale pessimismo che vede l’inevitabilità come una caratteristica della schizofrenia. In questa prospettiva, è auspicabile che lo studio delle fasi che precedono l’esordio della sintomatologia psicotica possa permettere di riconoscere soggetti ad alto rischio per lo sviluppo futuro di un disturbo psicotico su cui intervenire con intenti di prevenzione secondaria (vista la difficoltà nell’individuare i fattori eziopatogenetici dei disturbi psicotici e la conseguente impossibilità di attuare una vera prevenzione primaria su tali disturbi) o specifica (6). I disturbi psicotici sono uno tra i maggiori problemi di salute pubblica. L’esordio di tali disturbi può avvenire in qualsiasi momento nel corso della vita di un individuo, ma la sintomatologia clinica di solito si manifesta caratteristicamente nel corso della prima età adulta. Numerosi studi di follow-up hanno evidenziato che la disabilità dovuta al disturbo psicotico si sviluppa fin dai primi anni interferendo su diverse aree del funzionamento psicosociale quali istruzione, lavoro e famiglia (1-3). Di conseguenza, per ridurre o impedire la rottura psicologica e sociale risultante dalla psicosi (3), da diversi anni numerosi Autori sostengono la necessità della diagnosi e del trattamento precoce della schizofrenia e dei disturbi psicotici. Diversi studi epidemiologici si sono occupati dello sviluppo evolutivo normale degli individui, ma anche della rilevazione degli antecedenti clinici precoci, dei fattori di rischio associati ai disturbi che di solito esordiscono in età adulta ed a quelli che hanno un’ evoluzione cronica, con la rilevazione di variabili significative, la concatenazione dei possibili meccanismi causali e le interazioni ambiente-individuo. I precursori neuro-psico-comportamentali che precedono i disturbi psicotici a caratteristico esordio in età adulta, suggeriscono che alcuni meccanismi eziopatogenetici intervengano nelle fasi precoci della vita degli individui affetti e che le diverse sfumature di vulnerabilità e di espressività clinica si possano modificare nel corso del tempo, durante il quale evolve lo sviluppo neuro-psicocomportamentale. Negli ultimi dieci anni, la ricerca ha focalizzato l'attenzione sulla possibilità che le radici della schizofrenia, possano avere un'origine neonatale o addirittura prenatale; è infatti possibile che già a questa età, si apprezzino alcuni segni neuromotori, che sono aspecifici ma indicativi di una qualche disfunzione a carico del Sistema Nervoso Centrale (SNC) (2). Molti ricercatori hanno formulato l'ipotesi che la gran parte dei disturbi psicotici, se non addirittura tutti, siano la conseguenza di un’alterazione morfofunzionale intervenuta nel periodo precoce di sviluppo del SNC e pertanto sembrerebbero essere la conseguenza di una sorta di encefalopatia neuroevolutiva (3). Una maggiore chiarezza sui meccanismi responsabili di tali disturbi, tuttavia, è ostacolata dall’assenza di studi di coorte che forniscano informazioni sull’endo-esofenotipo in età fetale e, nelle età successive, dalla scarsezza numerica di studi prospettici e longitudinali che diano informazioni sul follow-up. Non solo l’origine dei disturbi psicotici ma anche la loro evoluzione è ancora poco chiara, anche se da Kraepelin in poi la vera sfida alla lotta alle psicosi è stata proprio l’identificazione dei momenti iniziali (esordio) in cui convergono fattori favorenti e scatenanti, processi attinenti ed elaborazioni soggettive che si rivelano solo a crisi esplosa. Attualmente il mancato riconoscimento del primo episodio rappresenta un problema importante ed è associato con una prognosi peggiore (4): la recente letteratura suggerisce che esiste un periodo estremamente variabile, da 1 mese a 20 La psicosi all’esordio L’instabilità diagnostica Il termine "psicosi" fu introdotto nel 1845 da von Feuchtersleben con il significato di "malattia mentale o follia" e da allora è stato in uso nella letteratura psichiatrica per indicare le malattie mentali in generale. Successivamente queste ultime vennero suddivise in “nevrosi”, affezioni nelle quali, in mancanza di lesioni organiche, si imputava il disturbo a un cattivo funzionamento dell'apparato psichico (malattie funzionali), con alterazione di una sola funzione, reversibile e psicosi, malattie a carattere organico. Molte classificazioni, più recenti, hanno usato il termine psicosi anche per alcune affezioni senza reperto anatomico (psicosi funzionali), che presentavano però più specificamente una sintomatologia essenzialmente caratterizzata dalla gravità, da una molteplicità dei fenomeni morbosi e dall’irreversibilità dei disturbi. Attualmente, il termine psicosi viene usato in senso più pragmatico e per lo più in 6 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Fattori di rischio, precursori, prodromi e caratteristiche cliniche delle psicosi giovanili Volume 6, n. 3, 2008 forma aggettivata (psicotico) ad indicare la presenza di sintomi tipo deliri, allucinazioni, incoerenza ideativa, catatonia. La psicosi, nei manuali diagnostici attuali, è divenuta un criterio necessario, ma non sufficiente, a fare diagnosi di un particolare disturbo psicotico (5). Altre sono le caratteristiche che permettono di formulare una diagnosi definitiva: per i disturbi psicotici affettivi, per esempio, sono rappresentate dalla presenza di sintomi legati alla polarità del tono dell’umore, mentre per la schizofrenia il DSM richiede la presenza di criteri temporali (sei mesi), oltre alla presenza di altri sintomi, definiti “negativi”. Inoltre, l’ICD10 riconosce una categoria di “schizofrenia semplice”, che consiste in sintomi negativi e deterioramento progressivo, senza che vi sia in alcun momento presenza di sintomi psicotici positivi(7). Da queste problematiche nosologiche scaturiscono implicazioni importanti nel distinguere il momento in cui definire l’inizio, o meglio l’esordio, dei disturbi definiti psicotici. Poiché i nostri sistemi di classificazione attuali si concentrano sulla presenza di psicosi e solo successivamente distinguono le sindromi in differenti disturbi psicotici, l’esordio viene generalmente identificato con la prima comparsa dei sintomi psicotici stessi (5). A questa instabilità diagnostica, riconosciuta già Kraepelin (8), spesso segue un ritardo nella formulazione della diagnosi definitiva ed un ritardo nel trattamento del disturbo stesso. Per questo la recente ricerca internazionale si è concentrata non solo sullo studio degli esordi della sintomatologia psicotica ma anche degli eventi che li precedono. le ed in particolare al contesto scolastico, con la finalità di insegnare l’empatia, promuovere la capacità di gestire lo stress (strategie di coping), i conflitti, il controllo degli impulsi, la creatività, la competenza sociale, lottare contro i processi di discriminazione e di stigmatizzazione, educare alle emozioni e promuovere l’empowerment individuale e di gruppo. selettivi: per soggetti ad alto rischio, ma senza segni oggettivi di disagio o di disturbo e comprendono programmi prescolari per i bambini dei quartieri poveri, interventi sul dropout scolastico ed interventi sui figli in età evolutiva dei pazienti affetti da patologie psichiatriche, sia disturbi schizofrenici sia disturbi affettivi. indicati o specifici: per soggetti ad alto rischio con segni e sintomi soggettivi e oggettivi di disagio; sono sempre indicati, anche se costosi e non esenti da rischi. Rientrano in questa classe: le strategie di identificazione e trattamento precoce dei disturbi psicotici; i programmi preventivi nei figli di pazienti depressi; gli interventi sui disturbi della condotta in età evolutiva; la prevenzione del suicidio in età adolescenziale; gli interventi sui disturbi del comportamento alimentare; la prevenzione degli stati di abuso nei confronti dei minori nell’accezione ampia che comprende l’abuso sessuale, il maltrattamento. Negli ultimi anni la comunità psichiatrica internazionale sembra concorde sulla necessità di effettuare strategie di identificazione e trattamento precoce dei disturbi mentali. L’intervento pertanto dovrebbe essere rivolto sia ai soggetti nella fase prodromica della malattia che ai soggetti al primo episodio. L’obiettivo della terapia in fase prodromica è quello di ritardare l’esordio. Le linee guida suggeriscono di individuare con esattezza i soggetti che presentano una sintomatologia positiva sottosoglia e una familiarità per una patologia psicotica (stati mentali a rischio). Successivamente alla valutazione globale va effettuato un regolare monitoraggio dello stato mentale, un trattamento sintomatico della sintomatologia specifica (ansia, depressione, abuso di sostanze: terapia farmacologia più terapia cognitivo comportamentale) ed un sostegno nelle aree di funzionamento più problematiche come le relazioni interpersonali e familiari. Vanno effettuati, inoltre, interventi psicoeducazionali e di miglioramento delle strategie di coping verso i sintomi psicotici sottosoglia, unitamente ad interventi psicoeducazionali familiari. In questi casi l’intervento farmacologico con antipsicotici non è indicato, eccetto che nei casi caratterizzati da una rapida evoluzione del quadro clinico verso una sintomatologia francamente psicotica (antipsicotici atipici a basse dosi). L’obiettivo, nella fase di esordio, è quello di ridurre la DUP e, di conseguenza, la disabilità clinica e funzionale della patologia, la cronicità ed il carico familiare. Dopo un accurato esame obbiettivo e neurologico, volto all’ esclusione di altre patologie ed eventualmente supportato da esami di laboratorio completi, EEG e RMN, si può impostare una terapia farmacologia con APA. Vanno effettuati, inoltre, interventi psicoeducativi sia per il paziente che per i Tra terapia e prevenzione Esiste una correlazione tra DUP (Duration of Untreated Psychosis) ed il periodo necessario per la remissione della sintomatologia psicotica, così come tra DUP e una maggiore presenza di sintomatologia negativa. I pazienti individuati e trattati tempestivamente dopo l’esordio della psicosi hanno avuto una prognosi migliore mentre, al contrario, quelli con una più lunga DUP presentavano uno scarso funzionamento lavorativo, sociale e globale nell’anno precedente al ricovero(9). Comunque è ancora aperta la questione secondo cui la DUP non sia altro che un epifenomeno del funzionamento premorboso, con una differenza tra i generi (i maschi non solo avevano un funzionamento premorboso peggiore rispetto alle femmine, ma presentavano, anche, un deterioramento più veloce). Tuttavia, gli studi che si occupano di individuare i prodromi ed i precursori dei disturbi mentali dell’età adulta sono gravati da bias dovuti alle modalità di studio per lo più retrospettivi, e soprattutto non sono riusciti ad identificare segni e sintomi predittivi, falsi positivi e falsi negativi. Vi è, inoltre, un rischio di interventi ingiustificati, carenza di una domanda esplicita, potenziale esposizione dei falsi positivi ad un rischio iatrogeno. selettivi, indicati o specifici. Gli interventi rivolti alla promozione della salute mentale possono essere: universali: si sostanziano nelle strategie di promozione della salute mentale, possono essere applicati all’età adolescenzia- 7 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Volume 6, n. 3, 2008 familiari, con particolare attenzione alla psicoeducazione al disturbo e alla terapia farmacologia, abuso di sostanze, segni precoci di crisi, individuazione degli obiettivi personali, problem solving, valutazione della percezione di se stesso con individuazione delle risorse positive (secondo le tecniche CBT) per aumentare le risorse personali, CBT per i sintomi psicotici residui. Anche i disturbi psichiatrici minori che esordiscono in età adolescenziale non devono essere sottovalutati perché potrebbero essere il preludio di un disturbo più grave o perché potrebbero ridurre il funzionamento psicosociale in periodi determinanti per la crescita personale. intendiamo indicare, solitamente, la prima apparizione, nella storia del paziente, della sintomatologia positiva. Mentre, per prodromo, generalmente, si intende il periodo compreso tra la comparsa dei primi segni di patologia e l’esordio del primo sintomo francamente psicotico, ossia la prima deviazione, riconoscibile, dell’esperienza di un soggetto. Tutto il periodo che precede il prodromo è definito come premorboso. Il passaggio dalla fase premorbosa a quella prodromica, o dalla fase prodromica al primo episodio di malattia avviene nel corso di settimane o mesi. La fase premorbosa sfuma durante i primi sintomi psichiatrici – i prodromi – che a loro volta sfumano nell’esordio del primo episodio di psicosi. Solitamente è possibile stimare la data di esordio dei sintomi in maniera affidabile nell’arco di mesi (Figura 1). Durante il periodo premorboso, i soggetti che successivamente svilupperanno un disturbo psicotico, per definizione, non sono distinguibili in maniera evidente dai loro coetanei. Tuttavia studi retrospettivi hanno identificato numerose caratteristiche premorbose che potrebbero rappresentare le manifestazioni cliniche di una vulnerabilità biologica alla successiva manifestazione di una psicosi. Le fasi dello sviluppo della patologia psicotica La maggior parte della psicosi tendono ad insorgere per la prima volta durante l’adolescenza o la prima età adulta. L’età mediana di insorgenza risulta essere per entrambe, schizofrenia e disturbo bipolare dell’umore, di circa 19 anni; per i maschi sembra lievemente più precoce (10). Il momento dell’esordio, tuttavia, è solo l’ultimo evento di una sequela tanto lunga quanto a noi, per molti versi, ancora ignota di cambiamenti nella persona che presenta una sintomatologia psicotica. Secondo molti Autori la piena espressione della patologia è preceduta da lievi deficit del funzionamento, nonché da anomale caratteristiche personologiche (3). Questo sembra essere più specifico per la schizofrenia che per le altre psicosi ed il deficit funzionale che precede la piena espressione del disturbo potrebbe essere considerato come la prima parziale espressione del medesimo disturbo (3). I principali ostacoli allo studio delle fasi prepsicotiche della patologia psicotica sono determinati dal lungo periodo di latenza che va dalla nascita allo sviluppo dei sintomi psicotici evidenti e dalla loro relativa bassa incidenza nella popolazione generale (5). Il quadro clinico della malattia psicotica, nel suo decorso temporale, può avere configurazioni molto diverse ma può essere descritto, generalmente, sulla base di cinque periodi o fasi successive: il periodo premorboso il periodo prodromico l’esordio il periodo di stato il periodo degli esiti I criteri per diagnosticare un disturbo psicotico richiedono un’accurata datazione dell’inizio del disturbo e la distinzione dei sintomi prodromici da quelli dell’episodio psicotico acuto. Queste esigenze diagnostiche implicano che la datazione clinica delle fasi critiche dell’evoluzione del disturbo psicotico siano attuabili, affidabili e valide, ma tutt’ora non esistono criteri precisi, universalmente condivisi, per definire l’inizio di un periodo e la fine di un altro. Negli ultimi anni i diversi autori sono giunti a delle definizioni molto più omogenee di esordio e di prodromo. Per esordio La fase premorbosa Tale fase è caratterizzata dalla presenza di lievi anomalie che precedono di alcuni anni l’espressione clinica della patologia, ovvero “segni e sintomi di un determinato gruppo diagnostico che precedono il disturbo, ma non predicono l’esordio” (11). I precursori di un disturbo sono descritti sin dall’infanzia, sono relativamente stabili per gravità e sono cronici. Diversi studi, hanno rilevato che approssimativamente un terzo dei pazienti affetti da un disturbo schizofrenico mostravano evidenti anormalità comportamentali premorbose. Il funzionamento premorboso dei pazienti affetti da psicosi affettive, invece, è anche in questo caso, meno studiato. La fase premorbosa nei disturbi dello spettro schizofrenico Numerosi studi sono concordi nell’affermare che la maggior parte dei pazienti con schizofrenia presenta evidenti anomalie Gravità dei sintomi Primo episodio di psicosi Fase prodromica Fase premorbosa Tempo Figura 1. Evoluzione dei disturbi psicotici. 8 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Fattori di rischio, precursori, prodromi e caratteristiche cliniche delle psicosi giovanili Volume 6, n. 3, 2008 comportamentali premorbose molto prima dell’esordio clinico della patologia (12). Molti ricercatori hanno formulato l’ipotesi che la gran parte dei disturbi psicotici, se non addirittura tutti, siano la conseguenza di un’alterazione morfofunzionale intervenuta nel periodo precoce di sviluppo del SNC. Da questa prospettiva, i disturbi psicotici e specie la schizofrenia sembrerebbero essere la conseguenza di una sorta di encefalopatia neuroevolutiva. I disturbi più frequentemente riscontrati sono il ritiro sociale, l’ansia e l’aggressività. In circa il 25% dei casi, le osservazioni sui soggetti ad alto rischio di ammalare di schizofrenia hanno dimostrato che si trattava di soggetti tendenzialmente chiusi ed isolati, con tratti spesso pseudodepressivi. A scuola apparivano poco motivati, scarsamente coinvolti nei giochi e poco tolleranti alle frustrazioni (13). Carter et al. (14) hanno esaminato diverse variabili premorbose in 212 soggetti ad alto rischio per lo sviluppo di schizofrenia, evidenziando, dopo 25 anni di follow-up, che 33 di questi avevano ricevuto diagnosi di schizofrenia ed hanno individuato che l’interazione tra rischio genetico ed il comportamento sociale dirompente a scuola era la variabile che più di tutte prediceva il disturbo. Malmberg et al. (15) in uno studio prospettico hanno individuato 4 variabili premorbose associate allo sviluppo in età adulta di schizofrenia: avere meno di 2 amici intimi, preferire socializzare in piccoli gruppi, sentirsi più sensibile degli altri e non avere relazioni sentimentali. Anche altri studi precedenti avevano rilevato che problemi interpersonali e difficoltà a stabilire relazioni fuori dall’ambiente familiare durante l’infanzia, l’adolescenza e la prima età adulta possono essere riconosciuti come fattori di rischio sia per la schizofrenia sia per i disturbi affettivi e di personalità, anche se in modo meno evidente (16). Confrontando il funzionamento premorboso dei pazienti con disturbo schizofrenico con quello dei pazienti affetti da psicosi affettiva, altri Autori (17) hanno evidenziato che i primi presentavano deficit più evidenti rispetto ai secondi. In uno studio retrospettivo, Cannon et al. (18) hanno dimostrato una chiara associazione tra uno scarso funzionamento durante l’infanzia e lo sviluppo di un disturbo psicotico nell’età adulta, con una differenza significativa tra la capacità di socializzare ed il funzionamento scolastico dei pazienti schizofrenici rispetto al gruppo di controllo, così come per quanto concerne la capacità di socializzare di soggetti che svilupperanno un disturbo psicotico affettivo, che però non presentavano alterazioni del rendimento scolastico rispetto al gruppo di controllo. Una scarsa performance scolastica è stata considerata come segno premorboso di schizofrenia fin dai tempi di Bleuler, insieme a molti altri fattori correlati alla scolarità come le ripetizioni degli anni scolastici, le difficoltà a terminare il corso di studio, le difficoltà sociali e comportamentali (19). Qualunque sia l’eziopatogenesi della schizofrenia è ormai evidente sia dagli studi retrospettivi che da quelli prospettici che già da bambini, le persone che svilupperanno un disturbo dello spettro schizofrenico, si ritrovano relativamente isolati, insicure di se stesse e con limitate opportunità di interazione sociale e ciò può predisporre alla schizofrenia attraverso una limitazione delle opportunità per un esame corretto della realtà, favorendo uno stile paranoideo di pensiero (15). Alcuni Autori suggeriscono che gli individui “destinati” a sviluppare un disturbo schizofrenico non sono in grado di apprendere nuove abilità cognitive nel passaggio dall’infanzia all’adolescenza se comparati con il gruppo di pari (20). Anche per quanto concerne la sessualità è stato evidenziato, ormai da diversi decenni, che i pazienti con disturbo schizofrenico fin dalla giovane età avevano presentato difficoltà nello stabilire relazioni sentimentali a differenza dei coetanei (15). Del resto fare amicizia durante l’infanzia costituisce un processo complesso che dipende dall’abilità di entrare in reciproca interazione con altre persone e tollerare una certa quota di disaccordo e da diverse variabili, come per esempio la precoce esperienza di una buona relazione con i genitori o con altre figure chiave. Molti fattori potrebbero interferire con questo processo, incluso un alterato sviluppo cerebrale per cause genetiche o per complicanze ostetriche, patologie dell’infanzia o l’isolamento sociale, contribuendo ad una “cascata autoalimentante di funzionamento anormale” che potrebbero costituire un bias per lo studio dei fattori premorbosi della schizofrenia (3). Un possibile meccanismo psicologico alla base di questa dimensione potrebbe essere una cattiva “teoria della mente”, che consiste nella capacità di inferire con gli stati mentali altrui e che potrebbe aumentare il rischio di sviluppare alcune caratteristiche psicopatologiche della schizofrenia, come l’evitamento sociale o i disturbi del pensiero (21). La schizofrenia determina un globale deterioramento delle funzioni cognitive di entità variabile. Molti di questi deficit precedono l’esordio dei sintomi psicotici. In un’esaustiva revisione della letteratura, Aylward et al. (22) hanno mostrato come bambini, adolescenti e giovani adulti in fase premorbosa hanno prestazioni più basse della media nelle misure standardizzate di valutazione dell’intelligenza (QI). Il quoziente d’intelligenza inferiore alla media rappresenta, attualmente, ancora il più importante fattore di rischio per lo sviluppo di una schizofrenia in età adulta. La fase premorbosa nei disturbi dello spettro affettivo A differenza della numerosa letteratura presente sugli antecedenti psico-comportamentali della schizofrenia, il funzionamento premorboso dei soggetti che svilupperanno un disturbo affettivo è stato meno studiato. Goodwin e Jamison affermarono che molti soggetti che svilupperanno un disturbo bipolare hanno problemi comportamentali ed affettivi molto prima di un episodio di malattia chiaramente identificabile (23). Cannon et al. (24) in uno studio retrospettivo controllato, hanno evidenziato che i soggetti con disturbo bipolare presentavano un peggiore funzionamento psicosociale premorboso rispetto ad un gruppo di controllo costituito da soggetti sani e che tale deterioramento era relativo soprattutto al funzionamento sociale e relazionale, mentre il funzionamento scolastico appariva conservato. Roza et al. (25) in uno studio prospettico con 14 anni di follow-up effettuato su un 9 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Volume 6, n. 3, 2008 Tabella 1. Definizioni di Prodromo nel corso degli ultimi decenni. Keith, Matthews (1991) “un gruppo eterogeneo di comportamenti in relazione temporale con l’inizio di una psicosi” Loebel et al. (1992) “un intervallo di tempo compreso tra la comparsa di un comportamento insolito e l’inizio dei sintomi psicotici” Beiser et al. (1993) “un periodo di tempo compreso tra i primi sintomi evidenziabili ed i primi sintomi psicotici prominenti” che la presenza di anomalie del neurosviluppo e di uno scarso funzionamento psicosociale premorboso siano correlati con un’età di esordio precoce del disturbo bipolare (20), con lo sviluppo di una comorbidità con abuso di sostanze, con aumento del rischio di tentativi di suicidio e con lo sviluppo di un disturbo bipolare a cicli rapidi. Carlson et al. (27), in uno studio di followup a 2 anni di soggetti con disturbo bipolare tipo I, hanno evidenziato che le anomalie psico-comportamentali, soprattutto i disturbi del comportamento in età infantile, sono fortemente correlate ad uno scarso outcome funzionale a due anni e ad una maggiore frequenza di ospedalizzazioni. campione di 2.600 bambini, hanno affermato che il punteggio della dimensione “Comportamento ansioso-depressivo” della Child Behaviour Checklist (CBCL) era predittivo di un disturbo dell’umore in età adulta. Cambiamenti episodici del tono dell’umore (depressione ed irritabilità) e discontrollo dei livelli di attività e di rabbia, sono stati riportati da alcuni autori così come la presenza di deficit dell’attenzione e di un comportamento antisociale (26). Nell’ambito dei disturbi bipolari, i precursori clinici della fase premorbosa non sembrano predire l’esordio del disturbo in maniera indiscriminata. Carlson e Weintraub (27), in uno studio controllato tra bambini ad elevato rischio per un disturbo bipolare, bambini ad elevato rischio per altri disturbi psichiatrici e bambini senza rischio per disturbi psichiatrici, hanno messo in evidenza che le anomalie comportamentali (comportamento antisociale ed aggressivo-distruttivo) ed i deficit dell’attenzione sono più frequenti nel gruppo ad alto rischio per disturbo bipolare e nel gruppo ad alto rischio per disturbi psichiatrici rispetto al gruppo di controllo. Tuttavia, solamente nel gruppo ad alto rischio per il disturbo bipolare, i problemi comportamentali ed attentivi apparivano correlati allo sviluppo di un disturbo bipolare in età adulta, mentre negli altri due gruppi l’importanza dei problemi durante l’infanzia non era limitata esclusivamente allo sviluppo di un disturbo affettivo. In tutti e tre i gruppi la presenza di problemi comportamentali ed attentivi, inoltre, era correlata con la presenza di una sintomatologia non affettiva, di una morbilità con l’abuso di sostanze e di una notevole riduzione del funzionamento sociale e lavorativo. Gli studi effettuati su popolazioni ad alto rischio per lo sviluppo del disturbo hanno evidenziato che i soggetti con due genitori affetti da disturbi dell’umore avevano elevati livelli di irritabilità, depressione, maggiore sensibilità di reazione, e scarsa modulazione dell’umore rispetto ai soggetti con un solo familiare affetto(28). I figli di genitori affetti da disturbo bipolare, inoltre, mostrano iperattività, scarsa capacità di effettuare un compito, scarsa flessibilità e capacità di adattamento (28). Queste caratteristiche appaiono simili al costrutto temperamentale della disinibizione comportamentale, che appare correlato allo sviluppo di un disturbo del comportamento impulsivo/iperattivo o disattento (29). La presenza di anomalie psico-comportamentali durante l’infanzia e l’adolescenza sembra avere un impatto sul decorso clinico del disturbo bipolare. Numerose evidenze, infatti, suggeriscono Il funzionamento premorboso Nella lettura scientifica esistono forti evidenze sull’esistenza di precursori comportamentali che precedono l’esordio dei sintomi psicotici acuti nella schizofrenia (9) e delle psicosi affettive. Uno degli indici dei precursori di malattia più frequentemente utilizzati è il funzionamento premorboso. Kraepelin fu il primo a descrivere le caratteristiche di personalità durante l’infanzia dei pazienti affetti da “dementia praecox”, sottolineando che questi erano bambini silenziosi, timidi, con difficoltà a fare amicizia e vivevano “solo per se stessi” (8). Diversi studi hanno tentato di individuare un valore predittivo del funzionamento premorboso rispetto ad alcune variabili fenomenologiche e neurobiologiche, evidenziando che uno scarso funzionamento premorboso predice un esordio più precoce, la preponderanza di una sintomatologia negativa (30) o comunque più grave, con manifestazioni cognitive più severe all’esordio (12), un decorso clinico cronico e più grave della malattia e la presenza dei “neurological soft signs”, indici aspecifici di un danno cerebrale, a supporto dell’ipotesi neuroevolutiva della patologia psicotica (30). Altri autori, invece, ad una storia premorbosa hanno associato un’età di esordio più avanzata, un più tardivo utilizzo di antipsicotici e una più tardiva prima ospedalizzazione (31). Sembra inoltre che il funzionamento premorboso possa anche costituire un predittore non solo dell’outcome clinico, ma anche di quello funzionale e sociale dei pazienti con disturbo psicotico. In particolare, alcune caratteristiche del funzionamento premorboso, come il livello lavorativo, la scolarità, le abilità sociali e relazionali, il numero di amici, lo stato matrimoniale e gli interessi extralavorativi, sembrano essere più strettamente correlate con l’outcome funzionale. I pazienti con 10 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Fattori di rischio, precursori, prodromi e caratteristiche cliniche delle psicosi giovanili Volume 6, n. 3, 2008 una sindrome deficitaria sono caratterizzati da un funzionamento premorboso più povero, mentre i pazienti con schizofrenia paranoide da un funzionamento migliore rispetto ai pazienti con schizofrenia non paranodiea (32). Un peggioramento del livello di funzionamento premorboso nel passaggio dall’infanzia all’età adulta sembra essere associato alla comparsa di una sintomatologia negativa o di uno stato deficitario così come una lunga durata di psicosi non trattata. Questo cambiamento nel comportamento e nel funzionamento potrebbe essere dovuto anche alla fase prodromica della patologia, ossia la fase immediatamente precedente l’esordio del primo episodio psicotico. sordio della malattia come il primo (non specifico) segno del disturbo mentale e l’esordio dell’episodio come il primo sintomo di primo ordine (segno specifico) nel caso della schizofrenia, o il primo momento in cui vengono soddisfatti i criteri operazionali del sistema diagnostico. Il termine "prodromo" è stato anche usato, da alcuni Autori, per denotare il periodo che precede una ricaduta nei pazienti con disturbo psicotico stabilizzato (33). Questo "prodromo della ricaduta" dovrebbe però essere ben distinto dal periodo prepsicotico che precede l’inizio dell’esordio di una malattia psicotica "il prodromo iniziale", definito come il periodo di tempo che intercorre dal primo cambiamento in una persona fino allo sviluppo dei primi sintomi franchi del disturbo psicotico. In realtà, non è facile stabilire l’inizio della fase prodromica e bisogna spesso affidarsi ai ricordi dei pazienti e dei loro familiari per ricostruire quello che è il processo psicotico (Figura 2), dato che, come nella clinica medica, il prodromo è un concetto retrospettivo, diagnosticato solo dopo lo sviluppo dei sintomi e dei segni definitivi. Gli elementi da tenere presente nella descrizione dei sintomi prodromici sono il grado di deviazione dalla norma, la frequenza dell’esperienza ed il tempo durante il quale è stata presente (9). È da notare, infatti, che qualunque sintomo prodromico può essere esperito come una caratteristica premorbosa. In soggetti che riferiscono un determinato sintomo come una caratteristica presente da molto tempo, solo in caso di evidente peggioramento del sintomo esso dovrebbe essere considerato come prodromico. Inoltre, i soggetti possono riferire un aumento di intensità e durata dei sintomi prodromici, che possono in alcuni casi raggiungere il livello di intensità dei sintomi psicotici. La durata della fase prodromica varia da pochi giorni a diversi anni, ma in media è di 24-36 mesi (34). Il riconoscimento del prodromo psicotico è di fondamentale importanza per la diagnosi ed il trattamento precoce dei disturbi psicotici, per l’ identificazione della ricaduta, per futuri studi sugli individui ad alto rischio; inoltre il ritardo nel trattamento del primo episodio è un problema importante ed è associato con una prognosi peggiore. Le metodologie impiegate nel passato per studiare la fase prodromica dei disturbi psicotici includono: 1. la ricostruzione dettagliata e retrospettiva, attraverso i colloqui con i familiari e con il paziente, circa i cambiamenti avvenuti nella personalità del paziente, dalla comparsa dei primi sintomi prodromici fino alla psicosi franca. 2. Interviste dei pazienti nelle fasi iniziali della psicosi: solo in questa fase i pazienti possono descrivere i sintomi e le esperienze come li hanno realmente vissuti considerato il recente esordio del disturbo, tuttavia, essendo già evidenti le alterazioni cognitive, la loro attendibilità deve essere ben valutata. 3. Osservazioni approfondite di un piccolo numero di pazienti durante lo sviluppo della psicosi: questo metodo presenta il vantaggio di essere prospettico permettendo l'osservazione e la registrazione dei cambiamenti nell'individuo mentre accadono. La fase prodromica Il termine " prodromo " deriva dal termine greco prodromos che significa precursore di un evento. Nella clinica medica, un prodromo si riferisce ai sintomi ed ai segni precoci di una malattia che precedono le manifestazioni caratteristiche della forma acuta e completamente sviluppata. Considerando le diverse definizioni di prodromo psicotico che sono state date, nel corso degli ultimi decenni, dai diversi autori (Tabella 1) si può concludere che la fase prodromica dei disturbi psicotici possa essere considerata come un periodo di “disturbo prepsicotico”, ossia un periodo di deviazione dall’esperienza precedente e dal comportamento della persona, in cui ancora non compare una sintomatologia che permetta di soddisfare i criteri per la diagnosi di un disturbo conclamato. Hafner e coll. (10) hanno distinto l’esordio della “malattia” dall’esordio dell’ “episodio”, definendo l’e- 5 4 3 2 1 Time Figura 2. Sequenza ipotetica dei possibili cambiamenti che si possono riscontrare durante la fase prodromica: sull’asse delle Y è rappresentata la severità dei sintomi o dei cambiamenti nel funzionamento ipotetico di un paziente che ha sviluppato una psicosi. Le frecce indicano i punti di cambiamento riferiti dal paziente stesso e dai suoi familiari. 1 = per la prima volta il paziente nota qualche cambiamento, 2 = i familiari o gli amici per la prima volta notano un cambiamento nel paziente, 3 = il paziente nota la comparsa di sintomi psicotici, 4 = i familiari o amici notano sintomi psicotici nel paziente, 5 = primo intervento psichiatrico. (da: Yung and Mc Gorry, 1996). 11 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Volume 6, n. 3, 2008 Caratteristiche della fase prodromica nello spettro schizofrenico stato visto che questi hanno una durata media compresa tra 2 e 4 settimane. Circa l’80-90% dei pazienti con schizofrenia riferisce una varietà di sintomi che hanno preceduto l’esordio della patologia conclamata e che comprendono cambiamenti riguardanti percezione, credenze, sfera cognitiva, umore, affettività e comportamento, (Tabella 2) mentre circa il 10-20% dei pazienti sviluppa sintomi psicotici improvvisamente, senza una significativa fase prodromica (34). Vi è, inoltre, una grande variabilità tra i pazienti rispetto alle manifestazioni sintomatiche: i sintomi prodromici possono manifestarsi gradualmente, o in maniera relativamente improvvisa, i soggetti possono riferire che i sintomi prodromici inizialmente compaiono raramente, ma nel tempo diventano più frequenti. Uno dei più importanti e costanti sintomi prodromici è rappresentato dal ritiro e dall’isolamento sociale (34), che generalmente presenta un andamento progressivo ed ingravescente. Inizialmente, infatti, può coinvolgere aree specifiche (ad es. la scuola o il lavoro) per poi estendersi a tutta la rete relazionale del soggetto. Una seconda manifestazione caratteristica è la riduzione delle capacità di svolgere un comportamento finalizzato (13), che si manifesta attraverso una diminuzione del rendimento scolastico o lavorativo. Tali alterazioni comportamentali possono accompagnarsi alla comparsa di nuovi interessi, con caratteristiche di stranezza e di bizzarria rispetto al periodo precedente e a modificazioni del pensiero (13) che, pur non assumendo ancora la connotazione di alterazioni formali vere e proprie, si allontanano dagli schemi di funzionamento precedente. Tutti questi sintomi sono, per tutta la durata della fase prodromica, associati ad una notevole quota di ansia, che tende ad aumentare con la progressione verso lo scompenso psicotico. La durata media del prodromo nella schizofrenia è di 52,7 settimane. Per quello che riguarda invece i prodomi della ricaduta, è Caratteristiche della fase prodromica nello spettro affettivo Contrariamente alla quantità di letteratura sui prodromi nella schizofrenia, poco è stato scritto circa le caratteristiche prodromiche delle psicosi affettive e non ci sono studi specifici che esaminano i prodromi nei pazienti al primo episodio di disturbo affettivo. L’episodio maniacale solitamente ha un inizio acuto, in altre parole, con un prodromo di breve durata, come già descritto anche da Kraepelin (8) contrapponendo l’esordio di questo disturbo a quello più insidioso della demenza praecox (schizofrenia). Alcuni studi hanno riscontrato, invece, che il prodromo dell’episodio maniacale era addirittura significativamente più lungo del prodromo dell’episodio depressivo (35). Per questi stessi autori, i sintomi prodromici più frequenti erano per l’episodio depressivo umore depresso, mancanza di energia e difficoltà di concentrazione e per quello maniacale umore elevato, aumento dell’attività e ridotta necessità di dormire, associati, secondo Carlson e Goodwin, anche a cambiamenti dei contenuti del pensiero e preoccupazioni di carattere sessuale e religioso (35, 36). Altri Autori utilizzarono il prodromo della ricaduta come modello per il prodromo del primo episodio. Altman et al. (37) valutarono il prodromo della ricaduta prospetticamente in una popolazione di 19 soggetti con disturbo bipolare ed evidenziarono che alterazioni insolite nel contenuto del pensiero avvenivano circa un mese prima di un episodio maniacale, mentre alti livelli di disorganizzazione concettuale erano presenti prima di una ricaduta depressiva. Jackson, Cavanagh e Scott (38), più recentemente, hanno effettuato un’attenta ed ampia revisione della letteratura sulla durata e sui sintomi delle fasi prodromiche degli episodi depressivi e maniacali. I cambiamenti del tono dell’umore e dell’attività psicomotoria, un aumento dell’ansia, i disturbi del sonno, i cambiamenti dell’appetito e la comparsa di pensieri di morte costituivano i sintomi prodromici più frequenti degli episodi depressivi. I disturbi del sonno rappresentavano i maggiori indicatori prodromici di un episodio maniacale, seguiti dalla comparsa di sintomi francamente psicotici, labilità del tono dell’umore, cambiamenti dell’attività psicomotoria e dell’appetito e da un aumento dell’ansia. La durata del prodromo depressivo era, in media, di 11-19 giorni, mentre quella del prodromo maniacale era di 21-29 giorni (Tabella 3). In conclusione, la ricerca sui prodromi clinici del disturbo bipolare appare ancora vaga e ricca di difficoltà. La prima difficoltà è la distinzione dei sintomi precoci della malattia dalle patologie in comorbidità ed una definizione più precisa dell’età di esordio del disturbo bipolare. I pazienti, inoltre, possono presentare nella fase prodromica caratteristiche comuni con altre patologie come la schizofrenia. Per poter chiarire alcuni di questi aspetti sono necessarie ulteriori ricerche sui prodromi iniziali. Tabella 2. Aspetti prodromici di psicosi più comunemente descritti negli studi sul primo episodio. (da: Mc Gorry, 1999 – modificata). Aspetti prodromici Riduzione della concentrazione e dell’attenzione Riduzione dell’iniziativa e della motivazione, mancanza di energia Depressione dell’umore Disturbi del sonno Ansia Ritiro sociale Sospettosità Deterioramento del funzionamento di ruolo Irritabilità 12 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Fattori di rischio, precursori, prodromi e caratteristiche cliniche delle psicosi giovanili Volume 6, n. 3, 2008 Tabella 3. Sintomi prodromici identificati nel Disturbo Bipolare. (adattata da Jackson, Cavanagh e Scott, 2003). Sintomi precoci Depressione Bipolare Range del campione esaminato % di soggetti che hanno presentato questi sintomi Media (%) Cambiamento dell’umore 20-40 10-88 48 Sintomi psicomotori 20-40 10-86 41 Aumento dell’ansia 20-40 18-59 36 Modificazioni dell’appetito 20-40 10-53 36 20 29-64 29 20-40 17-57 24 20 14-29 22 Disturbi del sonno 20-206 53-90 77 Sintomi psicotici 20-206 7-80 47 Ideazione autolesiva Disturbi del sonno Altro Mania Cambiamento dell’umore 20-206 14-100 43 Sintomi psicomotori 20-206 10-100 34 Altro 20 20-35 30 Modificazioni dell’appetito 20-206 12-67 20 Aumento dell’ansia 20-40 11-20 16 Conclusioni Da diversi anni la letteratura sui disturbi dello spettro psicotico ha evidenziato che la maggior parte delle persone affette da schizofrenia e psicosi “schizophrenia-like” presentano uno scarso funzionamento psicosociale molto prima dell’esordio conclamato della patologia. Nonostante i numerosi studi su tale argomento, la prevalenza, il decorso e le caratteristiche della fase premorbosa e prodromica dei disturbi dello spettro psicotico sono ancora poco conosciuti. Tale ambito di ricerca, tuttavia, è di grande importanza dal momento che, attraverso lo studio degli eventi che precedono il primo episodio psicotico, potrebbe essere possibile individuare i fattori protettivi o di vulnerabilità allo sviluppo del disturbo e, quindi, programmare interventi mirati di prevenzione secondaria. 5. McGorry PD, Yung A, Phillips L. Ethics and early intervention in psychosis: keeping up the pace and staying in step. Schizophr Res 2001; 51:17-29. 6. Gordon R. An operational definition of disease prevention. Public Health Reports 1983; 98:107-109. 7. World Health Organization. Manual of the international classification of diseases, injuries and causes of death. 10th rev. Geneva, Switzerland: The Organization, 1994. 8. Kraepelin E. 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Rocco Pollice Dipartimento di Medicina Sperimentale, Università degli Studi di L’Aquila Via Vetoio - 67100 Coppito, L’Aquila Tel. 0862368314 Fax 0862312104 e-mail: [email protected] 14 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Obesità infantile: l’epidemia del terzo millennio dimensione generale del problema Volume 6, n. 3, 2008 Obesità infantile: l’epidemia del terzo millennio dimensione generale del problema Maria Elisabeth Street, Laura Garini, Marilena Garrubba, Matteo Zanzucchi, Carla Pepe, Sergio Bernasconi Dipartimento Materno-Infantile, Azienda Ospedaliero-Universitaria e Università di Parma Riassunto L’obesità è il risultato dell’accumulo eccessivo e generalizzato di grasso nel tessuto sottocutaneo, ma anche negli altri tessuti, che può essere associato ad alterazione di parametri metabolici e a conseguenze sullo stato di salute presente e futuro. La sua prevalenza è in continuo aumento in tutto il mondo e in tutti i gruppi di età a tal punto che l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha definito l’obesità come un’epidemia globale con conseguenze enormi per la salute pubblica. A livello individuale, l’obesità insorge quando l’apporto calorico eccede la spesa energetica. Tale squilibrio ha, in genere, una genesi multifattoriale (fattori genetici, fattori ambientali, stili di vita, condizioni socio-culturali) e può instaurarsi in tutte le età della vita, tra le quali sono a maggior rischio il periodo prenatale, il primo anno di vita, l’epoca dell’adiposity rebound e l’adolescenza. L’obesità è anche un fenomeno sociale e pare che tenda a diffondersi in clusters, soprattutto familiari. Quando l’eccesso ponderale è presente in età evolutiva, vi è un elevato rischio che tale condizione si mantenga in età adulta e conduca ad una serie di complicanze sia a breve che a lungo termine con un impatto economico significativo sul sistema sanitario. Il trattamento dell’obesità nel bambino si basa sulla correzione delle abitudini alimentari e degli stili di vita. Dato che la terapia dell’obesità è gravata da un elevato numero di insuccessi, poste le premesse esposte sopra, la prevenzione dell’obesità a vari livelli, con interventi mirati ai periodi critici per lo sviluppo di obesità, rappresenta attualmente l’approccio più realistico ed efficace, a cui destinare risorse. Parole chiave: obesità, spesa sanitaria, prevenzione. Obesity in childhood: third millennium epidemic. Global view of the problem Summary Obesity is due to excessive and generalised accumulation of fat in the subcutaneous and other tissues, and can be associated with altered metabolic parameters and subsequently with present and future health conditions. The prevalence of obesity is increasing continuously in all the world and in all age groups at a stage that the World Health Organisation has defined obesity a global epidemic with enormous consequences on public health. In the single individual, obesity occurs when calorie intake is greater than energy expenditure. This imbalance has usually a multifactorial origin (genetic factors, environment factors, life styles, social-cultural conditions), and can develop at any age. The periods more at risk are prenatal life, the first year of life, the period of adiposity rebound in childhood, and adolescence. Obesity is a social phenomenon and appears to spread in clusters, in particular family clusters are frequent. When adiposity is present in childhood there is a high chance of the condition persisting in adulthood leading to shortand long-term complications with a significant impact on the health system. The treatment of adiposity in childhood is based on the correction of feeding habits and life styles. The high number of unsuccessful approaches to the treatment of obesity represents a significant burden, considering the above mentioned circumstances, thus the prevention of obesity at different levels with specific interventions at the critical ages, represents to date the most realistic and effective approach. Key words: obesity, health expenses, prevention. 15 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Volume 6, n. 3, 2008 totale, metodo della densità corporea, metodo del potassio corporeo, bioimpedenzometria, densitometria a raggi X a doppia energia, risonanza magnetica nucleare) (3). La prevalenza dell’obesità è in continuo aumento in tutto il mondo interessando tutti i gruppi di età. L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha definito l’obesità come un’epidemia globale con conseguenze enormi per la salute pubblica. Si stima che a livello mondiale oltre un miliardo di soggetti sia in sovrappeso e circa 300 milioni di soggetti siano obesi. La prevalenza mondiale del sovrappeso tra i bambini e gli adolescenti di età compresa tra i 5 e i 17 anni è oggi stimata intorno al 10% (la prevalenza dell’obesità è pari al 2-3%). Questo dato sottende un ampio intervallo che varia da un valore al di sotto del 10% in Africa e in Asia ad un valore superiore al 20% nelle Americhe ed in Europa. La gravità del problema è destinata a peggiorare sia nei paesi industrializzati (Nord America ed Europa) sia in quelli in via di sviluppo (Cina, India, Sud America). Il trasferimento delle abitudini alimentari e degli stili di vita dai paesi ricchi a quelli poveri determina un aumento della prevalenza dell’obesità in questi ultimi ma, mentre nei paesi in via di sviluppo le classi a rischio di obesità sono quelle economicamente privilegiate, nei paesi ricchi le classi sociali più esposte sono quelle a ridotto tenore economico e culturale (4). Negli Stati Uniti d’America, a partire dal 1960, sono stati condotti una serie di studi osservazionali in cui veniva selezionato un campione rappresentativo della popolazione adulta: National Health Examination Survey (NHANES) I 1960-1962, NHANES I 1971- L’obesità è il risultato dell’accumulo eccessivo e generalizzato di grasso nel tessuto sottocutaneo, ma anche negli altri tessuti, che può essere associato ad alterazione di parametri metabolici, a conseguenze sullo stato di salute fisico e psicologico, presente e futuro. Per la definizione quantitativa di obesità in età evolutiva è necessario tenere conto di età e sesso, dal momento che la composizione corporea varia fisiologicamente con questi. Attualmente non vi è consenso sulle modalità di misurazione del tessuto adiposo in età pediatrica. Le definizioni generalmente sono basate sulle misurazioni antropometriche o su indici da esse derivati, tra i quali il Body Mass Index (BMI) ottenuto dal rapporto tra il peso in chilogrammi e la statura in metri al quadrato. Negli ultimi 20 anni sono state pubblicate numerose carte di crescita nazionali. Anche in Italia sono disponibili da alcuni anni carte Nazionali di riferimento per altezza, peso e BMI dai 2 ai 20 anni “generali”, per i nuclei familiari con genitori di provenienza mista, per l’Italia del Sud e l’Italia del Centro-Nord (1), con i cut-off per il sovrappeso e l’obesità, che per l’adulto corrispondono ad un BMI di 25 e 30 Kg/m2 rispettivamente (2). Il BMI aumenta durante il primo anno di vita, tende a diminuire progressivamente fino a raggiungere il nadir tra i 4 e i 6 anni ed infine risale (fase di rebound) con un incremento massimo in corrispondenza del picco puberale di crescita, mantenendosi più o meno costante in età adulta. Il maggiore difetto di tale indice risiede nell’incapacità di distinguere la massa grassa dalla massa magra. La valutazione del tessuto adiposo può avvalersi di misurazioni indirette (la plicometria e la misurazione delle circonferenze corporee) o dirette (metodo dell’acqua corporea Età della vita a rischio per l’instaurarsi dell’obesità Glicemia materna BMI prima della gravidanza Iperinsulinemia ? Sviluppo del pancreas ? Fattori placentari Preconcezionale Alimentazione del neonato Peso alla nascita Peso alla nascita Prenatale Crescita del bambino Prima infanzia Adiposity Rebound Dieta Rebound Sedentarietà Seconda infanzia Adolescenza Diabete mellito tipo 2 Insulino - resistenza Fattori di rischio cardiovascolare BMI Adiposità Adiposità centrale Figura 1. Fattori di rischio per lo sviluppo dell’obesità e delle sue complicanze. (da: St. Jeor, S.T. et al. Circulation 2004; 110:e471-e475, modificata) 16 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Obesità infantile: l’epidemia del terzo millennio dimensione generale del problema Volume 6, n. 3, 2008 1974, NHANES II 1976-1980, NHANES III 1988-1994, NHANES 1999-2000, NHANES 1999-2002, NHANES 1999-2004. Negli anni 2003-2004 la prevalenza di sovrappeso negli adulti era pari al 66,3%, più elevata nel sesso maschile (70,8 %) rispetto al sesso femminile (61,8%), e la prevalenza del sovrappeso nei soggetti dai 2 ai 19 anni di età era di circa il 33,6% La prevalenza dell’obesità si è dimostrata relativamente costante dal 1960 al 1980 (dal 13,4 al 15%), quindi è progressivamente aumentata in entrambi i sessi e per tutte le fasce di età. Dal 1978-1980 al 2003-2004 la prevalenza di obesità nella popolazione adulta (dai 20 ai 74 anni di età) è aumentata dal 15% al 32,9% e nei bambini e negli adolescenti (dai 2 ai 19 anni di età) è aumentata dal 5% al 17,1% (4). A partire dagli anni Ottanta, la prevalenza dell’obesità è triplicata in molti Paesi Europei e continua a crescere. In Europa la prevalenza del sovrappeso risulta del 32-79% negli uomini e del 28%-78% nelle donne, la prevalenza dell’obesità del 5-23% negli uomini e del 7-36% nelle donne ed è maggiore nell’Europa Mediterranea rispetto ai Paesi del Nord Europa. Per quanto riguarda i bambini, la maggiore prevalenza di sovrappeso è stata rilevata in Portogallo (7-9 anni 39%), Spagna (2-9 anni 31%) e Italia (6-11 anni 27%), quella minore in Germania (5-6 anni 13%), Cipro (2-6 anni 14%) e Serbia e Montenegro (6-10 anni 15%) (5). In Italia non esiste ancora un sistema di sorveglianza su obesità e sovrappeso, per cui i dati epidemiologici sono piuttosto lacunosi. Al momento i dati più aggiornati sono quelli forniti dall’indagine multiscopo dell’ISTAT “Condizioni di salute, fattori di rischio e ricorso ai servizi sanitari”, pubblicata nel marzo 2007 e riferita all’anno 2005 e il Progetto Cuore, che riporta dati misurati tra il 1998 e il 2002. Secondo l’ISTAT gli adulti obesi in Italia sono circa 4,7 milioni, il 9% in più rispetto all’indagine effettuata nel 1999-2000. Dei 120.000 individui intervistati il 34,2% ha dichiarato di essere in sovrappeso e il 9,8% di essere obeso. Mentre l'obesità interessa in ugual misura maschi e femmine, le differenze di sesso sono marcate per quel che riguarda le persone in sovrappeso, che sono il 42,5% tra gli uomini rispetto al 26,6% tra le donne (6). Il Progetto Cuore riporta stime più alte: sono risultati in sovrappeso il 50% degli uomini (obesi il 18%) ed il 34% delle donne (obese il 22%) (7). L’analisi della distribuzione territoriale del fenomeno rivela profonde differenze: secondo l’indagine ISTAT, al Meridione l’11,6% della popolazione è obesa, mentre nel Nord-ovest solo il 8,4% supera la soglia dell’obesità(6). Per quanto riguarda la popolazione infantile, secondo i dati annuali 2003 della ricerca sull’obesità dell’Istituto Auxologico Italiano, il 30-35% dei bambini italiani è sovrappeso e il 10-12% obeso. A livello individuale, l’obesità insorge quando l’apporto calorico eccede la quota energetica per la normale crescita e sviluppo del bambino, il metabolismo e l’attività fisica. Tale squilibrio ha, in genere, una genesi multifattoriale. Infatti, sebbene fattori genetici possano influenzare la suscettibilità ad un ambiente favorente l’obesità, fattori ambientali, stili di vita, condizioni socioculturali giocano un ruolo eziologico preponderante. In una minoranza di casi l’obesità è causata dalla mutazione di singoli geni, da alterazioni molecolari, da alterazioni endocrine o iatro- gene. Diversi fattori che interagiscono tra loro concorrono al determinarsi del sovrappeso: l’intake energetico: porzioni eccessive di cibo e bevande zuccherate, consumo di pasti fuori casa, frequente consumo di fuori pasto ipercalorici (cibi e bevande). l’attività fisica: riduzione delle ore di educazione fisica a scuola, scarsa pratica di attività fisica extra-scolastica. la sedentarietà: eccessivo tempo trascorso davanti a televisione, computer, videogiochi. In particolare, la visione della televisione riduce il tempo impiegato nell’attività fisica, contribuisce al consumo di cibo spazzatura, influenza negativamente le scelte alimentari, riduce il metabolismo basale. l’ambiente domestico, i genitori, chi si occupa dei bambini, la scuola e la comunità possono influenzare il comportamento alimentare e lo stile di vita e l’attività fisica dei bambini. Le fasi della vita in cui è maggiore il rischio del determinarsi dell’obesità sono: 1) il periodo prenatale, per le influenze esercitate dallo stato di salute, dalle abitudini alimentari e dal metabolismo materni sulla crescita e sullo sviluppo dei meccanismi della regolazione metabolica fetale (programming intrauterino); 2) il primo anno di vita, per gli eventuali effetti protettivi dell’allattamento al seno, per l’apprendimento di modalità e comportamenti alimentari da parte del bambino con il divezzamento intorno al sesto mese, per i possibili effetti negativi di una dieta iperproteica, che potrebbe contribuire ad anticipare l’epoca dell’adiposity rebound; 3) l’epoca dell’adiposity rebound (AR), che corrisponde al secondo incremento nella curva del BMI che di solito si rileva tra i 5 e i 7 anni. Un AR anticipato si associa ad un aumentato rischio di sovrappeso, diabete e coronaropatia nelle età successive. Esso è caratterizzato da un BMI ridotto prima dell’AR, elevato dopo l’AR. Un basso livello di adiposità prima dell’AR suggerisce una velocità di crescita accelerata ed un deficit energetico nelle prime fasi della crescita, attribuibili ad una dieta iperproteica a scarso contenuto lipidico. Il latte materno (alimento di riferimento almeno per il primo anno di vita), contenendo una quota proteica relativamente bassa (circa 7%) ed un’elevata quota lipidica (circa 50%), esercita un effetto benefico sui processi accrescitivi; 4) l’adolescenza, per i cambiamenti nella distribuzione del grasso corporeo tra maschi e femmine, per l’eventuale comparsa di fattori di rischio per l’obesità come la variazione delle abitudini alimentari, l’irregolarità dei pasti e la diminuzione dell’attività fisica (Figura 1) (8). L’obesità è un fenomeno sociale molto rilevante e da molto tempo i ricercatori hanno osservato che si riscontra con maggiore frequenza in ambiti famigliari. È particolarmente interessante uno studio recente che ha mostrato, studiando le variabili disponibili relative a 12.067 persone dal 1971 al 2003, la diffusione dell’obesità attraverso reti sociali: la probabilità di un soggetto di diventare obeso aumenta rispettivamente del 57%, 40% e 37% 17 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Volume 6, n. 3, 2008 sembra essere più rapida nel giovane che nell’adulto. Uno studio recente condotto su bambini e adolescenti con obesità grave ha evidenziato che il 25% dei bambini di età compresa tra i 4 ed i 10 anni ed il 21% degli adolescenti presentano un’alterazione della tolleranza glucidica (10). La flogosi è responsabile anche della disfunzione endoteliale ed infine delle lesioni aterosclerotiche. La proteina C reattiva (PCR), marker dell’infiammazione, è pertanto considerata anche un marker del rischio cardiovascolare (valori <1, tra 1 e <3, >3 mg/l rappresentano un rischio vascolare rispettivamente basso, medio, alto). L’associazione di obesità viscerale, ipertensione, ipercolesterolemia, insulino-resistenza, che definisce la “sindrome metabolica”, aumenta esponenzialmente il rischio cardiovascolare. Recenti studi hanno suggerito che il rischio di sviluppare malattie cardiovascolari potrebbe esistere anche indipendentemente dal persistere dell’obesità in età adulta (11). Sovrappeso ed obesità e loro complicanze hanno un impatto economico significativo sul sistema sanitario. La spesa sanitaria associata a sovrappeso ed obesità comprende costi diretti, connessi a prevenzione, diagnosi e trattamento, e costi indiretti, correlati alla morbilità ed alla mortalità. Negli USA ammonta al 5,5-7% della spesa sanitaria nazionale e supera l’1% del prodotto interno lordo (12). In Europa rappresenta il 2-3,5% della spesa sanitaria diretta e rappresenta lo 0,35% (0,20% in Germania, 0,70% in Svezia) del prodotto interno lordo. Si stima che in Svezia si spendono 45 dollari all’anno pro capite per le spese sanitarie, a cui si aggiungono costi indiretti per 157 dollari; il costo diretto pro capite arriva fino a 32 dollari nei Paesi Bassi, 35 in Germania, 69 in Belgio. Questi costi sono in continuo aumento: nel Regno Unito il costo pro capite è passato da 13 dollari nel 1998 a 25-31 dollari nel 2002 (5). Anche se sono più difficili da quantificare in termini finanziari, devono essere considerati anche altri costi intangibili, come per esempio il minor rendimento scolastico, la discriminazione lavorativa, i problemi psicosociali e la scarsa qualità della vita (3). Il trattamento dell’obesità nel bambino si se ha un amico, un fratello, un coniuge che diventa obeso, mentre non è influenzata dai vicini di casa (Figura 2). Pertanto il fenomeno non è dovuto solo all’esposizione ai medesimi fattori ambientali ma anche a variabili psicosociali (accettazione del sovrappeso come normalità, variazioni del comportamento alimentare e dello stile di vita) (9). Tali osservazioni possono avere un risvolto sull’attuazione di interventi di prevenzione, in quanto l’obesità si struttura in comunità, in veri e propri networks, come accade anche a livello di malattia (l’obesità e le sue complicanze) ed a livello metabolico (l’insulino-resistenza e le complicanze correlate, interazioni tra proteine, networks di regolazione). Il poter agire sui networks può essere altrettanto importante che agire sui “geni”. Un bambino o un adolescente con un BMI elevato presenta un alto rischio di diventare sovrappeso od obeso nell’età adulta (tracking). Inoltre, l’obesità del bambino e dell’adolescente conduce ad una serie di complicanze sia a breve che a lungo termine: complicanze endocrine (insulino-resistenza/iperinsulinismo, intolleranza glucidica, diabete mellito di tipo 2, ipogonadismo ipogonadotropo funzionale nei maschi, pubertà anticipata nelle femmine, sindrome dell’ovaio policistico), alterazioni dell’accrescimento (aumento staturale per l’età cronologica ed età ossea avanzata), complicanze respiratorie (sindrome dell’apnea ostruttiva notturna), ortopediche (ginocchio valgo, piede piatto, atteggiamenti scoliotici, malattia di Blount, epifisiolisi dell’anca, malattia di Osgood-Shatter), gastrointestinali (epatopatopatia steatosica, colelitiasi, reflusso gastro-esofageo), ipertensione arteriosa, dislipidemia, complicanze cardiovascolari, disagio psico-sociale e scarsa autostima. L’insulino-resistenza nei giovani obesi è un fenomeno precoce, fortemente associato con l’accumulo di lipidi nel compartimento viscerale e nei miociti e con lo stato proinfiammatorio caratterizzato da bassi livelli di adiponectina e livelli aumentati di citochine infiammatorie. Quando ad essa si associa il difetto di secrezione di insulina da parte delle beta cellule insorgono l’intolleranza glucidica e successivamente il diabete di tipo 2. Tale evoluzione Amico proprio Amico comune Amico altrui Amico dello stesso sesso Amico di sesso opposto Coniuge Sorella/fratello Sorella/fratello dello stesso sesso Sorella/fratello di sesso opposto Vicino di casa 0 100 200 Aumento del rischio di obesità nel soggetto (%) 18 300 Figura 2. Probabilità di un soggetto di diventare obeso in base alla relazione con un altro soggetto che diventa obeso nei sottogruppi della rete sociale del Framingham Heart Study. (da: Cristakis NA, Fowler JH. The spread of obesity in a large social network over 32 years. N Engl J Med 2007; 357:370-9, modificata) Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Obesità infantile: l’epidemia del terzo millennio dimensione generale del problema Volume 6, n. 3, 2008 Bibliografia basa sulla correzione delle abitudini alimentari e degli stili di vita. La dieta deve essere equilibrata ed adeguata alle esigenze nutrizionali legate all’età. Nei casi di obesità grave si potrà valutare l’opportunità di ricorrere a diete ipocaloriche o fortemente ipocaloriche. I farmaci disponibili non sono per il momento indicati in età pediatrica e il trattamento chirurgico è riservato a pazienti resistenti a tutti gli altri trattamenti, dopo il raggiungimento della statura definitiva e in presenza di gravi complicanze dell’obesità. Dato che la terapia dell’obesità è gravata da un elevato numero di insuccessi, la prevenzione dell’obesità rappresenta attualmente l’approccio più realistico ed efficace. Il recente aumento della prevalenza di sovrappeso ed obesità e la diffusione del fenomeno in clusters richiede la promozione di strategie di intervento a vari livelli, mirati in particolare ai periodi critici per lo sviluppo di obesità (13). Gli interventi educativi da soli non sono sufficienti per modificare i comportamenti responsabili dell’incremento ponderale: tale cambiamento deve essere supportato da interventi strutturali ambientali e dell’intera società (14). Non esiste un modello di riferimento valido in assoluto per realizzare una prevenzione primaria efficace dell’obesità a breve e soprattutto a lungo termine (3). A tutt’oggi i risultati migliori sono stati ottenuti con interventi diversificati e realizzati a vari livelli (scuola, famiglia, figure professionali - pediatri/nutrizionisti/psicologi/physical trainers/personale sanitario - industria alimentare, amministrazione pubblica, mass media, ecc.). Gran parte delle risorse disponibili sono attualmente impiegate per la ricerca delle basi genetiche, cellulari ed ormonali dell’obesità, ma è necessario rivolgere l’attenzione anche alle politiche comunitarie per la salute, alla sicurezza alimentare, alla regolazione del commercio e della pubblicizzazione degli alimenti, all’educazione alla corretta alimentazione, all’accessibilità alla pratica dell’attività fisica che sono altrettanto importanti. 1. Cacciari E, Dilani A, Balsamo A, et al. Italian cross-sectional growth charts for height, weigth and BMI (2 to 20 yr). J Endocrinol Invest, 2006; 29:581-593. 2. Obesity: preventing and managing the global epidemic. Report of a WHO Consultation. Geneva, World Health Organization, 2000 (WHO Technical Report Series, No. 894) (http://www.who.int/nutrition/publications/obesity/en/index.html). 3. Lobstein T, Baur L, Uauy R for the IASO International Obesity Task Force. Obesity in children and young people: a crisis in public health. 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Interrelationships among childhood BMI, childhood height, and adult obesity: the Bogalusa Heart Study. Int J Obes Relat Metab Disord 2004; 28:10-16. 12. Thompson D, Wolf AM. The medical care cost burden of obesity. Obes Rev 2001; 2(3):189-197. 13. American Academy of Pediatrics, Committee on Nutrition. Prevention of pediatric overweight and obesity. Pediatrics 2003; 112:424-430. 14. Da “L’obesità in età evolutiva” a cura di L.Iughetti e S.Bernasconi. McGraw-Hill 2005; pag.209-226. Corrispondenza: Dott.ssa Maria Elisabeth Street Dipartimento Materno-Infantile Via Gramsci, 14 - 43100 Parma Tel. 0521702723 - Fax: 0521702209 e-mail: [email protected] 19 Un ulteriore approccio per migliorare l’assistenza agli adolescenti. L’uso di un questionario per i comportamenti a rischio: l’esperienza di Ferrara Annunziata Indino1, Martina Mainetti1, Fabrizio Pugliese1, Maria Rita Govoni2, Monica Sprocati2, Vincenzo de Sanctis2 1 2 Riassunto Da Gennaio 2003 a Dicembre 2007 è stata eseguita un’indagine sui comportamenti a rischio, le relazioni familiari e il rendimento scolastico in 273 adolescenti (139 maschi, 138 femmine - 7 non riportavano il sesso) ricoverati presso il reparto di Pediatria ed adolescentologia di Ferrara per patologie acute. È stato registrato che l’abitudine al fumo di tabacco, l’abuso di alcolici e droghe, l’attività sessuale erano presenti rispettivamente nel 33%, 59%, 14% e 29% del nostro campione. Risultati scolastici in calo o pessimi e relazioni familiari deteriorate sono state riportate nel 31% e 5% rispettivamente dei nostri adolescenti. Gli Autori sottolineano l’importanza di un’approfondita valutazione dei pazienti in età adolescenziale per poter prevenire e trattare eventuali comportamenti a rischio. Scuola di Specializzazione in Pediatria - Università degli Studi di Ferrara U.O. di Pediatria ed Adolescentologia - Azienda Ospedaliero Universitaria di Ferrara I Il nostro studio è nato a seguito di una richiesta dell’Ufficio Qualità della Azienda Ospedaliero Universitaria di Ferrara. L’obiettivo era quello di identificare un “progetto di miglioramento della qualità dell’assistenza medica”. In considerazione di ciò, abbiamo pensato di approfondire alcune problematiche tipiche dell’età adolescenziale allo scopo di avere una visione più “allargata” dei problemi dei ragazzi accolti per patologie acute nel nostro reparto di degenza. Pazienti e metodi Da Gennaio 2003 a Dicembre 2007, con il consenso dei genitori, i medici (strutturati o in formazione specialistica) hanno somministrato un questionario anonimo (Figura 1) a tutti i pazienti di età uguale o superiore ai 14 anni, ricoverati presso il reparto della Divisione di Pediatria ed Adolescentologia dell’Arcispedale Sant’Anna di Ferrara. In particolare sono stati indagati: le relazioni familiari e sociali, il rendimento scolastico, il rapporto con se stessi e l’autostima, la sfera sessuale, l’utilizzo di droghe, l’abitudine voluttuaria al fumo, l’assunzione di alcolici e superalcolici, la sicurezza stradale in merito all’uso del casco e della cintura. Parole chiave: comportamenti a rischio, adolescenti, questionario. A possible way to improve adolescents health care. A test questionnaire on risk behaviours delivered to adolescents admitted to pediatric unit in Ferrara Summary From January 2003 to December 2007 we conducted a survey on risk behaviours, relations and school performance in 273 adolescents (139 males, 138 females - 7 didn’t relate sex) admitted to Pediatric and Adolescent Unit of Ferrara for acute medical disease. Smoking, alcohol assumption, drugs abuse and sexual activity were registered in 33%, 59%, 14%, 29%, respectively. School performance were bad or declining in 31% and deteriorated family relations were declaired in 5% of our adolescents. The Authors stress the importance of an “extensive” evaluation of adolescents in order to prevent and eventually treat risk behaviours of adolescents. Risultati Il campione in esame è costituito da 273 adolescenti (139 maschi e 138 femmine, in 7 casi il sesso non veniva specificato Key words: risk behaviours, adolescents, questionnaire. 20 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Un ulteriore approccio per migliorare l’assistenza agli adolescenti. Volume 6, n. 3, 2008 L’uso di un questionario per i comportamenti a rischio: l’esperienza di Ferrara Scheda per la valutazione dei comportamenti a rischio nell’adolescente Data Sesso: M❏ F❏ Età Relazioni familiari ❏ buone ❏ ottimali ❏ deteriorate Droghe ❏ no ❏ sì ❏ epoca di inizio ❏ uso in pregresso cannabis anfetamine cocaina ❏ uso attuale cannabis anfetamine cocaina Relazioni sociali ❏ buone, amici di entrambi i sessi, associazioni, gruppi ❏ pochi amici, solitario ❏ non amici Rendimento scolastico ❏ buoni risultati ❏ risultati in calo, saltuariamente buoni ❏ pessimi risultati, abbandono Guardi la TV: ❏ < 2 ore ❏ 2-4 ore Quando? ❏ mattino ❏ > 4 ore ❏ pomeriggio ❏ > 4 ore Navighi in Internet: ❏ sì ❏ < 2 ore ❏ 2-4 ore ❏ no ❏ > 4 ore Utilizzi Internet per: ❏ esplorare siti ❏ chattare ❏ con persone conosciute ❏ studio/lavoro ❏ web-cam Attività sessuale ❏ no ❏ sì ❏ n° partner negli ultimi 6 mesi ❏ inizio < 16 anni ❏ notte Usi la Play Station? ❏ sì ❏ < 2 ore ❏ 2-4 ore ❏ no Con chi? ❏ da solo ❏ con amici ❏ con familiari Sicurezza personale ❏ usa sempre casco/cintura di sicurezza ❏ usa non sempre casco/cintura di sicurezza ❏ non usa casco/cintura di sicurezza Se sessualmente attivo, Conosce contraccezione Usa contraccezione ❏ sì ❏ sì ❏ no ❏ no Immagine di sé ❏ esprime rapidamente 3 buone qualità ❏ esprime con fatica 3 buone qualità ❏ non riesce ad esprimere 3 buone qualità ❏ sconosciuti Atteggiamento mentale ❏ spesso contento ❏ scoraggiato, triste ❏ scontento, pensieri di suicidio Alcool ❏ no ❏ sì quali Fumo di tabacco ❏ no ❏ sì Se sì ❏ da quale età ❏ occasionale ❏ quotidiano ❏ quantità: sigarette/die Se sì Cosa assume? • birra • vino • superalcolici • da quale età 21 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Volume 6, n. 3, 2008 Fumo in famiglia • no • sì • chi Frequenza • occasionale • quotidiano • quantità: bicchieri/die Fumo tra gli amici • no • sì Alcool in famiglia • no • sì • cosa • chi Con chi fuma • amici • familiari • solo Alcool tra amici • no • sì • cosa È interessato a smettere? • no • sì • perché Con chi assume alcool? • familiari • amici • solo Conosce i danni del fumo? • no • sì • quali Conosce i danni da alcool? • no • sì • quali Il genitore acconsente all’intervista con il/la figlio/a Figura 1. Questionario utilizzato per la nostra indagine. nella scheda). L’età media del campione era pari a 15,1 anni. Nella Figura 2 viene riportata la distribuzione del campione per classi di età. I ragazzi/e intervistati sembrano godere di rapporti familiari nel complesso buoni, infatti il 60% le riteneva buone, il 35% ottimali e solo il 5% lamentava relazioni familiari “deteriorate”. Il rendimento scolastico nel 23% dei casi era “in calo”, nell’8% veniva riportato pessimo e nel 69% buono. Per valutare l’autostima è stato chiesto di esprimere tre proprie buone qualità; dai risultati è emerso che il 22% esprimeva con fatica 3 buone qualità, il 70% le esprimeva con facilità, mentre Attività sessuale 50 Inizio prima dei 16 anni 100 100 33,8 80 33,8 71% 29,2 81% 80 60 40 20 19% 0 60 sì no % 30 % 40 Partner negli ultimi 6 mesi % 20 40 100 29% 2,8 0 0,4 sì 0 anni 14 anni 15 anni 16 % 20 10 no 80 60 79% 40 20 0 17% 4% 1 tra 1 e 3 tra 4 e 8 anni 17 non indicato Figura 3. Risultati dell’attività sessuale, età d’inizio e numero dei partners del nostro campione. Figura 2. Distribuzione del campione per classi di età. 22 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Un ulteriore approccio per migliorare l’assistenza agli adolescenti. Volume 6, n. 3, 2008 L’uso di un questionario per i comportamenti a rischio: l’esperienza di Ferrara 40 32% % 30 20 10 18% 17% 9% 11% 9% 4% 0 Inizio 11 anni Inizio 12 anni Inizio 13 anni Inizio 14 anni Inizio 15 anni Inizio 16 anni Non indicato Figura 4. Età d’inizio del fumo di tabacco per classi di età. Consuma alcol? Età di inizio 7% 100 12 anni 22% 80 % 60 Non risponde 59% 13 anni 4% 16 anni 40% 40 11% 20 15 anni 14 anni 1% 0 sì no non indicato 24% 32% fossero a conoscenza dei danni provocati dal fumo, meno della metà era disposta a smettere di fumare. Il consumo di alcolici è risultato molto diffuso (59%), con un’età d’inizio abbastanza precoce (76% entro i 14 anni, Figura 5). La bevanda più consumata era la birra (68%), seguita dai superalcolici (50%) e dal vino (32%). Inoltre, come accadeva per il fumo, gli alcolici ed i superalcolici venivano prevalentemente consumati in compagnia di amici (84%), meno con i familiari (28%). L’abuso di droghe (pregresso od attuale) è stato dichiarato dal 14% degli adolescenti. Il rapporto maschi: femmine era pari a 1:1, l’età media di inizio era 14 anni. Il 10% aveva iniziato fra gli 11 ed i 12 anni di età. La sostanza di abuso maggiormente utilizzata era la cannabis (89%), seguita da cocaina (3%) ed anfetamine (3%). Nel 5% dei casi non veniva specificata. Il 5% dei ragazzi che riferivano abuso di sostanze lamentava relazioni familiari deteriorate, il 43% ammetteva risultati scolastici in calo ed il 13% pessimi risultati. Infine, l’82% dei ragazzi/e riportava di rispettare l’obbligo del casco e/o delle cinture di sicurezza, mentre i restanti non rispettavano tali norme con regolarità. Figura 5. Risultati del consumo di alcolici ed età d’inizio. Conclusioni l’8% non rispondeva alla domanda. Il 29% dei ragazzi/e risultava sessualmente attivo (Figura 3), con un rapporto maschi:femmine pari a 1:1,7. L’85% degli adolescenti aveva iniziato l’attività sessuale prima dei 16 anni (Figura 3), di questi il 38% era costituito da ragazzi, il 62% da ragazze. Per quanto riguarda la numerosità dei partners sessuali, il 79% ne riportava uno, il 17% da due a tre ed il 4% da quattro a otto partners negli ultimi 6 mesi (Figura 3). Il 97.7% degli adolescenti, sessualmente attivi, era a conoscenza delle misure contraccettive. Quest’ultime, tuttavia, venivano utilizzate nell’89% dei casi (90% dei ragazzi, 86% delle ragazze). Il fumo risultava un’abitudine voluttuaria abbastanza diffusa: il 33% affermava di fumare. In particolare 71 soggetti (25%) ne facevano uso abituale, 19 occasionale (7%) e 3 (1%) non specificavano. Per quanto riguarda l’epoca d’inizio, il 35% aveva iniziato a fumare prima dei 14 anni (Figura 4) e il 9% intorno all’età di 11 anni. Tale abitudine veniva per lo più svolta in compagnia di amici (89%), ed il 40% fumava anche in presenza dei familiari. L’80% degli intervistati riportava di avere amici fumatori. Nonostante i ragazzi ai quali è stato distribuito il questionario I dati da noi raccolti, sebbene confermino quanto già riportato ampiamente in letteratura (1-3), offrono lo spunto per alcune riflessioni e considerazioni. In particolare, l’analisi dei dati raccolti attraverso le schede distribuite ai ragazzi ricoverati per problemi acuti presso la nostra struttura ci ha consentito di avere una visione più “allargata” delle problematiche tipiche di questa fascia d’età. Le osservazioni sulla sessualità e la discrepanza esistente fra riferita conoscenza dei metodi contraccettivi ed utilizzo di questi ultimi concordano con quanto riportato nell’indagine “Abitudini e stili di vita degli adolescenti” della Società Italiana di Pediatria (1) e dalla Società Italiana di Ginecologia ed Ostetricia (2). Questi studi segnalano che gli adolescenti hanno in questo ambito una formazione del tutto carente, legata spesso al “passaparola” fra coetanei (1), e che il numero di interruzioni volontarie di gravidanza in età adolescenziale è in aumento (2). Alcuni comportamenti a rischio, quali fumo di tabacco ed abuso di alcolici, avvengono usualmente in compagnia di amici. Tutto ciò fa pensare che il gruppo dei coetanei rappresenta un punto di riferimento importante ed un modello da seguire (4). Sebbene la maggior parte dei ragazzi conoscesse i danni provocati dal 23 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Volume 6, n. 3, 2008 fumo, meno della metà era disposta a smettere di fumare. Questa osservazione è in accordo con l’indagine “Abitudini e stili di vita degli adolescenti” della Società Italiana di Pediatria, secondo la quale per la maggior parte degli adolescenti un comportamento potenzialmente rischioso (come fumare sigarette) non necessariamente deve essere evitato (1). E’ interessante notare come i ragazzi/e nell’elenco dei danni provocati dal fumo di tabacco includevano anche “l’ingiallimento della pelle e dei denti”, “l’invecchiamento della pelle”. Questa osservazione conferma quanto è importante l’estetica in questa fascia di età. La percentuale di abuso di sostanze stupefacenti registrata nel nostro campione sebbene inferiore a quanto riportato nell’indagine HBSC-OMS 2005-2006 (il 32,3% dei ragazzi ed il 31,3% delle ragazze a 15 anni aveva già sperimentato una sostanza stupefacente, almeno una volta) (3) rappresenta comunque un dato rilevante che necessita di eventuali approfondimenti. In conclusione il pediatra-adolescentologo dovrà utilizzare qualsiasi occasione per approfondire non solo gli aspetti medici, ma anche psico-sociali e comportamentali. Una stretta collaborazione con la famiglia dell’adolescente ed altri specialisti è necessaria tutte le volte in cui viene identificata una situazione potenzialmente a rischio. Bibliografia 1. Tucci M. Abitudini e stili di vita degli adolescenti italiani. Area Pediatrica 2007; 4:19-24. 2. http://www.sigo.it 3. Secondo rapporto sui dati toscani dello studio HBSC 2005-2006 4. Maduli L. Valutazione psico-sociale degli incidenti in adolescenza. SRM Psicologia Rivista. Roma,12 settembre 2005. Corrispondenza: Dott.ssa Annunziata Indino U.O. di Pediatria ed Adolescentologia Azienda Ospedaliero Universitaria di Ferrara Corso Giovecca, 203 - 44100 Ferrara Tel. 347/3017834 e-mail: [email protected] The Israel Center for Medical Simulation (MSR), in collaboration with the Israel Society of Adolescent Medicine, offers healthcare providers who teach adolescent medicine the opportunity to enhance their teaching capabilities of communication skills with adolescent patients. An international workshop "TRAIN THE TRAINER IN COMMUNICATION WITH ADOLESCENTS" will be held between June 7 and June 10, 2009 at MSR in Sheba Medical Center near Tel Aviv. The workshop's objectives include: Developing simulated-patient-based programs; preparing scenarios; selecting and training actors; facilitating debriefing discussions and feedback provision; and conducting group sessions in the fishbowl technique. During the workshop participants will learn how to enhance their teaching capabilities by using simulated patient-based training programs. They will participate in individual and group sessions simulating various encounters between healthcare providers, adolescent patients and family members. Upon completion of the workshop each participant will receive a package containing workshop materials including recorded scenarios as well as a formal certificate of participation in the Train-the-Trainer workshop. For additional information please contact with Dr. Daniel Hardoff [email protected]. 24 Arteterapia: nel bambino e nell’adolescente Stefania Pisano Arteterapeuta in formazione, Gruppo di studio di adolescentologia (Coordinatore Fabio Franchini) – Università degli Studi di Firenze “Lo spirito creativo dell’artista, pur condizionato dall’evolversi di una malattia, […] può essere metaforicamente rappresentato come la perla che nasce dalla malattia della conchiglia” (1). L’Arte Terapia è un trattamento psicologico che compare con lo sviluppo delle istituzioni psichiatriche nel XVIII e nel XIX secolo. Alcuni medici, infatti, notarono che il malato mostrava un’urgenza a creare. S’ipotizza che la matrice dell’atteggiamento codificato e diagnostico verso il mondo delle immagini, sia da ricercarsi nel Neoclassicismo, e nella credenza “razionale” che lo stato psichico di una persona possa essere compreso attraverso l’analisi di una produzione artistica. Nel 1950 l’arteterapia si conferma come terapia individuale per poi espandersi sempre di più al gruppo e sempre di più in contesti di espressione non verbale. Dal professor Henri Wallon si è potuto imparare l’arte dell’osservazione senza pregiudizi a priori. In seguito il professor Julian De Ajuriaguerra, nel suo laboratorio all’Ospedale Henri Rouselle, St. Anne, a Parigi, ha studiato per lunghi anni i problemi delle difficoltà scolastiche del bambino. Tratto saliente alla base dell’arteterapia, è l’evidenza di una comunicazione non verbale che passa nella relazione in modo più efficace e diretto. In un setting arteterapeutico il silenzio verbale non è il silenzio del corpo, esso è: “Un bagno di e nel linguaggio parlato, nell’ascolto del suono delle parole, anche se i pazienti non partecipano alla conversazione e sembrano indifferenti a quello che si dice, ascoltano e il loro silenzio fa parte del brusio”. Questo introduce il concetto di “bagno affettivo”, creato attraverso i rapporti corporei: di vicinanza o di allontanamento. I prodotti in arteterapia possono essere utilizzati per conoscere meglio chi li fa e chi li riceve, nel complesso intreccio della relazione trasferale che passa per l’agito, anziché per la parola. Il transfert che si attua in questo sistema, si presenta con la particolarità di essere “diluito” (3), nel senso che l’affettività viene rivolta in parte sull’oggetto creato e in parte sul terapeuta. L’arteterapia non produce arte, ma trae un valore terapeutico per In America, nel dopoguerra, l’intervento di Margareth Naumburg, s’iscrive pienamente nella storia dell’arteterapia. Nel corso della sua lunga attività psicoterapeuta e arteterapeuta, getterà le fondamenta teoriche di questa disciplina. Secondo la Naumburg il processo dell’arteterapia, orientata dinamicamente, è basata sul riconoscimento che i pensieri e i sentimenti dell’uomo sono derivati dall’inconscio e spesso raggiungono la loro espressione nelle immagini piuttosto che nelle parole. Attraverso questa proiezione pittorica l’arteterapia diventava comunicazione tra paziente e arteterapeuta. In America Edith Kramer ha, quindi, trovato un fertile terreno per lo sviluppo del proprio personale orientamento, impostando interventi di trattamento terapeutico con bambini. Il lavoro della Kramer pone l’accento sul “concetto di arte come terapia, piuttosto che su una psicoterapia che utilizzi l’arte come uno dei suoi strumenti”. La terapia d’arte è concepita come un mezzo di sostegno dell’Io, una forma di terapia che integra o sostiene la psicoterapia ma non la sostituisce. Il suo intervento terapeutico avviene combinando i due termini, arte e psicoterapia, attraverso i processi artistici. 25 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Volume 6, n. 3, 2008 luppo della creatività, per potenziarla e per il cambiamento terapeutico. Essi sono veicolo di emozioni, stati d’animo, che hanno lo scopo di esprimere un disagio. La materia è un linguaggio e la Milner descrive i materiali artistici come una realtà svuotata ma che assumono un senso quando l’artista ne fa uso. La Milner associa i materiali artistici alla pelle e ai prodotti corporei, alcuni di questi come la creta ad esempio porta ad uno stato di regressione, tenendo presente che il primo materiale creativo e comunicativo del bambino sono le feci. L’atto stesso del dipingere e soprattutto del modellare comporta in sé una riparazione di frustrazioni arcaiche e permette ai pazienti di esprimere “carenze” di cui hanno risentito profondamente nella prima infanzia. Il disegno, la pittura e il modellaggio sono da molto tempo utilizzati nelle cure di diversi tipi di patologia infantile, da psicoterapeuti o psicanalisti. I test proiettivi di disegno sono uno strumento complementare alla terapia verbale, per valutare e diagnosticare la personalità, lo sviluppo e le attività cognitive del bambino. Il disegno è uno stratagemma per “rompere il ghiaccio”; molti bambini restano muti di fronte allo psicologo, ma quasi mai si rifiutano di disegnare. L’arteterapia, come linguaggio non verbale, offre al bambino numerose possibilità per esprimere l’emotività, per esplorare e risolvere problemi, o per dare forma ai propri pensieri. Il processo arteterapeutico offre l’opportunità di lavorare ad un livello non verbale e di creare immagini; ad esempio, le persone che hanno difficoltà ver- favorire un processo creativo che consente di sperimentare una strutturazione delle funzioni dell’Io. È la creatività la vera risorsa. Jung (4) scrisse che essa è un istinto, sperimentando su se stesso il metodo di tradurre le emozioni in immagini. Creare è il sistema più autentico per rivendicare la nostra unicità nella società. Attraverso l’attività grafico-pittorica e il modellaggio della creta è possibile esprimere rabbia e risentimento, paure e colpe, rivendicazioni e frustrazioni, accettandoli e mettendoli da parte; e a loro posto, fare emergere fiducia, autostima, accettazione. La personalità stessa è una creazione continua, un processo vitale in continua trasformazione. Noi conosciamo la follia come il contrario della ragione, e questa è raccontata dagli psichiatri. Ma c’è una follia che non è conosciuta dalla psicologia, dalla psichiatria o dalla psicoanalisi, ma è conosciuta dalla creazione artistica. L’esperienza di Artaud, come quella di Van Gogh trovano nell’arte un momento d’espressione che allevia la sofferenza, il fatto di “impadronirsi di una forma” costituisce un argine al dilagare di ciò che non ha forma. Un Io scisso, che trova conforto soltanto nella possibilità di dare forma ai propri fantasmi. “L’arte allora sarà un modo, l’unico modo, […] conflittuale, di fuggire a questo mondo” (5). Essa è una forma d’estensione della realtà, una via intellettuale ad aprire nuove esperienze. Le emozioni accrescono il nostro senso d’identità, e la ricostruzione dell’identità perduta è lo scopo finale del lavoro svolto all’interno dell’atelier dall’équipe curante. L’arteterapeuta lavora condividendo il proprio lavoro con gli altri membri dello staff attraverso uno scambio di informazioni, non soltanto all’inizio del trattamento, ma anche nel corso dello stesso. L’arteterapia è utilizzata come supporto diagnostico dai medici. La necessità del dare forma all’informe della sofferenza sono momenti di un’esplorazione comune. La creazione artistica costituisce, dunque, un momento di sperimentazione di diverse possibilità all’esistente, e in questo senso in esso, il problema dell’identità può trovare una soluzione. L’arteterapeuta coniuga il linguaggio psicologico al linguaggio artistico, e, accogliendo e contenendo il paziente funge da ponte tra il dentro e il fuori. Lo scavo dentro di sé può mettere a nudo antiche ferite e dolori sopiti ma non del tutto dimenticati. Quello che contraddistingue l’arteterapia è che il contenuto emerso è condiviso con un’altra persona che accompagna il paziente nel suo viaggio artistico. È importante la scelta dei materiali e dei colori. Il materiale espressivo deve assecondare le esigenze del paziente, esso non è scelto a caso, ma rispetta le cognizioni storico-artistiche, le caratteristiche personali, i suoi bisogni e ciò che vuole esprimere in quel preciso momento. Il materiale è il mezzo espressivo della relazione terapeutica, e la scelta del paziente dà indicazioni anche su come il processo potrebbe svolgersi: ansia, esitazione, entusiasmo. I materiali artistici sono una parte fondamentale per i processi di svi- 26 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Arteterapia: nel bambino e nell’adolescente Volume 6, n. 3, 2008 bali, o bambini che hanno disagi emotivi e comportamentali, possono avere più facilità a relazionarsi attraverso la creazione di un’immagine. Secondo Franca Medioli Cavara (6) il bambino disegnando estrinseca la parte più dolorosa, e poi per mezzo delle parole fa emergere altri brandelli della sua psiche, infatti, certe esclamazioni si rivelano importanti chiavi interpretative. L’arteterapia per i bambini non ha solo un valore diagnostico, ma ha anche un valore espressivo, perché nel bambino il disegno emerge spontaneamente e dipingere è un linguaggio naturale. Dai disegni infantili, emerge il modo in cui un bambino conosce e sente la realtà; disegnano ciò che ricordano, dando colore ai loro sentimenti. Gli studi sul disegno infantile provano come il bambino, nelle fasi iniziali dell’attività grafica, non faccia altro se non esercitare la propria gestualità, trasferendo sulla carta parte dei movimenti che ha imparato a compiere. È questo il momento in cui egli ‘gioca’ con le linee, per le gratificazioni che l’esercizio di questa attività procura (7). Le configurazioni iniziali sono immagini non figurative e, nello stesso tempo, oggetti della realtà circostante, dal momento che quei segni indicano tutti gli oggetti che il bambino è in grado di nominare o ricordare. Gli scarabocchi comprendono tutti i segni che risultano da un movimento spontaneo. Con il progressivo affinamento del controllo oculo-manuale, il bambino giunge a combinare gli “scarabocchi-base” (Kellogg, 1969) in altre configurazioni per arrivare ad un assetto figurativo, quindi alla “figura umana”. Henry Aubin (8) sostiene che, nel suo aspetto motorio e gestuale, il bambino trova nel disegno un processo catartico capace di liberarlo dalle tensioni ansiogene in un modo più efficace che con un colloquio di tipo puramente verbale. Arthur Robbins sulla scia degli studi di Winnicott, ha sostenuto che il prodotto artistico è un oggetto transizionale, una specie di coperta di Linus protettiva rispetto all’angoscia. “Ciò a cui mi vado riferendo […] non è il pezzo di stoffa o l’orsacchiotto che il bambino adopera – non tanto l’oggetto usato, quanto l’uso dell’oggetto. Sto richiamando l’attenzione […] nell’uso da parte di un bambino di ciò che io ho chiamato oggetto transizionale” (9). L’oggetto ha assunto un significato dove i meccanismi proiettivi e le identificazioni hanno agito a tal punto che qualcosa del soggetto si trova nell’oggetto: per il bambino è l’inizio di un rapporto con il mondo. Con il passaggio alla scuola elementare, il bambino comincia l’apprendimento della scrittura, della lettura, del calcolo ed entra in un sistema completamente diverso. Ai bambini che vivono con disagio questa nuova necessità di imparare sistemi di pensiero codificati, si propone di aumentare l’espressività in tutti i suoi aspetti, attraverso atelier di recupero scolastico. L’arteterapeuta con la possibile collaborazione di un logopedista o uno psicologo, propongono l’insegnamento scolare insieme all’attività creativa. Secondo Gaston Bachelard l’immagine viene prima del pensiero, e nella sua semplicità non ha bisogno di un sapere perché è la ricchezza di una coscienza ingenua. “Come dev’essere difficile la vita per un adolescente che abbia semplicemente l’ambizione di essere se stesso […]” (10). Crescere non è facile, ancor meno diventare adulti. Essere grandi significa avere più libertà, ma anche molte più responsabilità. Spesso l’arteterapia funziona da collante e favorisce la socializzazione di adolescenti che stanno attraversando un periodo difficile, in crisi di crescita. L’adolescenza oscilla tra problematiche contraddittorie sia mentali sia di comportamento: il corpo che cambia, lo sviluppo dell’identità, la riorganizzazione di un mondo interno e la modificazione delle relazioni intersoggettive con lo spostamento dell’interesse dalla famiglia al gruppo dei coetanei. Qualche elemento di riflessione può essere fatto rispetto alla solitudine che alberga tra i giovani. Una solitudine che non si riferisce all’essere soli, ma al sentirsi soli. È sempre più evidente la capacità/incapacità di comunicare emotivamente tra generazioni. Spesso una generazione cresciuta nell’abbondanza e nel superfluo, risulta incapace di curiosità, di sogno, di trasgressione vera. Costruirsi uno spazio dove far vivere le proprie immagini interiori è uno stimolo a uscire dal disagio e dal malessere. Eppure negli ultimi anni la nostra cultura ha cercato di cancellare il disagio in quanto forma inclusa nell’imperfetto. L’approccio dell’arteterapia rivolta agli adolescenti si presenta con caratteristiche particolari dove il linguaggio verbale non sempre costituisce un canale elettivo. I ragazzi, infatti, presentano la necessità di non parlare e di stare per proprio conto isolandosi. L’adolescente nell’atelier può vivere i fantasmi e i suoi sogni; in uno spazio che è luogo d’intimità in cui l’immagine creata si carica d’emotività, e la comunicabilità di questa, sviluppa il contatto tra mondo interno e mondo esterno. I ragazzi possono “nidificare” (11) nel loro spazio-atelier come fosse una casa loro ma fuori dell’ambiente familiare, uno spazio semi-sociale in cui è possibile mostrarsi e parlare senza costrizione. L’essere che prova il sentimento del rifugio, si ritira, si nasconde, si cela. Il nido come il guscio, sono immagini che sollecitano in noi riposo, tranquillità, intimità. L’essere ama “ritirarsi nel proprio angolo” (12). In questo spazio di intimità si iscrive la maggior parte della attività di arteterapia condotte in atelier con gli adolescenti (13). Il bisogno di espressione creativa, spesso attende solo un contesto propizio per emergere. Ogni atelier è caratterizzato da un setting arte-terapeutico che ha una funzione di contenimento e di regolazione pulsionale: un contenitore in cui il soggetto inizia un percorso, proiettando il proprio vissuto. L’atelier costituisce per l’adolescente in crisi: la possibilità di dare forma a un vissuto interno, la gestione e l’organizzazione dei conflitti, attraverso una relazione viva, concreta. 27 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Volume 6, n. 3, 2008 Bibliografia Dipingere, scolpire, incollare, implicano un’attività motoria che restituisce all’adolescente un contatto con il suo corpo. L’atelier nella qualità di contenitore, favorisce un lavoro di strutturazione, nel quale le difese del paziente sono rispettate. Esso è un’area transizionale di incontro, un’area di collegamento fra il soggetto e l’oggetto, in cui si verifica un passaggio attraverso un elemento intermedio che può essere il materiale scelto, o il terapeuta stesso. Occorre però distinguere l’arteterapia dall’arte. L’arte, infatti, non è un processo necessariamente terapeutico, ma è semplicemente un modo di esistere che risponde alle regole di comunicazione, regole estetiche e temi universalmente condivisi. La preistoria ci suggerisce testimonianze suggestive, che decorano le caverne e le tombe dei nostri progenitori. Comunicazione, o anche, scoperta e sperimentazione di oggetti che scrivono. Sudres dice che l’essere umano è al tempo stesso arte e apportatore di arte. Quando parliamo di arteterapia ci collochiamo nell’ambito della cura, con soggetti in preda a sofferenze e difficoltà. Essa non consiste in un apprendimento artistico, ma in una produzione che consiste in una proiezione libera senza la preoccupazione del risultato estetico. “L’arteterapia espressiva si basa su un lavoro di espressione mediata (poesia, pittura, collage, creta, ecc.) e consiste nell’analizzare e interrogare, nell’integrazione del gioco verbale-transferale, ciò che viene prodotto” (14). Un’altra distinzione importante deve essere fatta fra arteterapia e movimento Espressionista, infatti, quand’anche l’artista esprime i sentimenti più profondi, buoni o cattivi, la composizione armonica figurativa ha un ordine che non appartiene alla patologia, ma solo all’arte. Medesime riflessioni si devono porre tra arte astratta o informale e le macchie di colore prodotte in modo esperenziale in arteterapia: nel primo caso la comunicazione appartiene ad un ordine logico, che esiste nelle scelte d’accostamenti di linee e colori, mentre in arteterapia quest’ordine logico non è richiesto, come non è richiesto il risultato estetico. Nella lettura delle opere d’arte si pone spesso l’attenzione alle regole formali della composizione: la prospettiva, l’armonia delle forme e l’uso dei colori; altrettanto importanti sono il soggetto, i contenuti informativi e le emozioni che l’artista intende trasmettere. Nell’arteterapia la funzione principale è quella di occuparsi dei bisogni delle persone, e l’attività artistica come quella psicoanalitica consente il sostanziarsi di un processo catartico capace di garantire all’uomo un migliore inserimento nell’universo sociale. Il tema che riguarda tutti noi, la società in cui viviamo e la storia da cui proveniamo, è il rapporto che l’individuo ha con se stesso. L’ansia e l’angoscia che convivono in noi, determinano un travaglio e una forte sensibilità di fronte all’interrogativo dell’esistenza, provocando un forte spaesamento che ci coglie indifesi. Stare con se stessi dando forma a qualcosa che non si riesce a comunicare è liberatorio. Creare implica un fare, un agire e reagire attivamente a qualcosa d’inespresso, un momento in cui si decide di appartenere solo a se stessi, ai propri istinti, alla propria storia. K. Jaspers, Genio e follia. Strindberg e Van Gogh, Raffaello Cortina, Milano 2001, p. IX. 1 A.Denner, L. Malavasi, Arteterapia: metodologia e ricerca. Atelier terapeutici di espressione plastica, Del Cerro, Tirrenia (Pisa) 2002, p.102. 2 3 Il concetto di transfert è un termine freudiano applicato al processo psicoanalitico per comprendere i rapporti tra paziente e analista. Il transfert diluito in arteterapia si riferisce alla mediazione dell’oggetto creato durante il processo creativo. C. G. Jung, Ricordi, sogni, riflessioni, Bur 2004. 4 S. Pasko, Il sogno la follia. La passione dell’impossibile in Mallarmè e Van Gogh, Besa, Nardò (LE) 2001, p. 12. 5 6 F. Medioli Cavara, Il disegno nell’età evolutiva. Esercitazioni psicodiagnostiche, Boringhieri, Torino 1986. A. Argenton, Arte e cognizione, Raffaello Cortina, Milano 1996, p. 112. 7 H. Aubin, Il disegno del bambino disadattato, Piccin, Padova 1985. 8 D. W. Winnicott, Gioco e Realtà, Armando, Roma 2005, p. 16. 9 P. Crepet, I figli non crescono più, Einaudi, Torino 2005, p. 53. 10 Il termine nidificare, per Baschelard, indica una necessità da parte dell’adolescente a crearsi uno spazio intimo. 11 G. Baschelard, La poetica dello spazio, Dedalo, Bari 2006, p. 120. 12 J. L. Sudres, L’arteterapia con gli adolescenti, ed. Scientifiche Magi, Roma 2000. 13 Ibidem, p. 53. 14 Si ringrazia la Prof.ssa Milva Giacomelli della Facoltà di Architettura Per approfondire Aubin H., Il disegno del bambino disadattato, Piccin, Padova 1985. Medioli Cavara F., Il disegno nell’età evolutiva. Esercitazioni psicodiagnostiche, Boringhieri, Torino 1986. Argenton A., Arte e cognizione, Raffaello Cortina, Milano 1996. Sudres J. L., L’arteterapia con gli adolescenti, Edizioni Scientifiche Magi, Roma 2000. Jaspers K., Genio e follia. Strindberg e Van Gogh, Raffaello Cortina, Milano 2001. Pasko S., Il sogno, la follia. La passione dell’impossibile in Mallarmè e Van Gogh, Besa editrice, Nardò (LE) 2001. Denner A., Malavasi L., Arteterapia: metodologia e ricerca. Atelier terapeutici di espressione plastica, Edizioni Del Cerro, Tirrenia (Pisa) 2002. Case C., Dalley T., Manuale di arteterapia, Edizioni Cosmopolis, Torino 2003. Sicurelli R., Elementi di psicoanalisi nell’arte. Freud e la creatività artistica, Edithing, Treviso 2003. Jung C.G., Ricordi, sogni, riflessioni, Bur 2004. Crepet P., I figli non crescono più, Einaudi, Torino 2005. Winnicott D.W., Gioco e realtà, Armando editore, Roma 2005. Baschelard G., La poetica dello spazio, Edizioni Dedalo, Bari 2006. 28 Dicembre 2008 In questo numero di Emothal viene riportata la prima parte dei posters presentati al V Congresso Nazionale SO.S.T.E., che si è tenuto a Cagliari dal 16 al 18 Ottobre 2008 Straordinaria quanto inattesa risposta a talidomide di una ß-thalassemia “intrattabile” Masera N.1, Tavecchia L. 2, Ronzoni S.1, Vimercati C.1, Parini R.1 Clinica Pediatrica- Università Milano-Bicocca 2Servizio Immunotrasfusionale Ospedale San Gerardo Monza Comitato Editoriale 1 GM, ragazza attualmente ventenne di origini albanesi affetta da thalassemia intermedia (β°‚ β+); viene trasfusa in Albania dall’età di un anno con frequenza semestrale; mai eseguita ferrochelazione. A 4 anni splenectomia. Giunge in Italia a 9 anni con grave anemizzazione (Hb: 4.5 g%), cardiopatia dilatativa, gravissime deformità ossee (in particolare arti inferiori e massiccio faciale), spiccata epatomegalia con importante dolorabilità in loggia epatica. Ripetuti tentativi trasfusionali risultano inefficaci per il verificarsi di emolisi massiva post-trasfusionale immediata pur in presenza di test Coombs diretto e indiretto e prove di compatibilità negativi. Inizia quindi terapia con Idrossiurea (HU) 10 mg/k/die con discreta ma insufficiente risposta in termini di Hb (6-6.5 g%) e miglioramento del quadro epatico. Valutato possibile TMO da banca (due fratelli HLA non compatibili): non praticabile per le condizioni cliniche di base. Non potendo escludere l’eziologia autoimmune dell’anemia emolitica e vista la gravità del caso, all’età di 12 anni si intraprende terapia immunosoppressiva con steroidi e ciclofosfamide senza risposta alcuna. A 14 anni, in seguito a indagini immunoematologiche sofisticate è stato isolato nella paziente Ab anti-Scianna; tramite banca internazionale del sangue vengono reperite due unità Scianna negative che però, trasfuse alla paziente, non producono alcun incremento del valore di Hb inducendo invece ulteriore emolisi (Hb pre-trasf: 5 g%, post-trasf: 3.5 g%). La paziente viene quindi considerata non più trasfondibile. A 15 anni viene sottoposta a 3 cicli di Rituximab senza alcuna risposta di rilievo in termini di Hb. Nel tempo la dose di HU viene incrementata fino a 30-35 mg/k/die mantenendo valori di Hb: 5-6 g%. La ragazza assume inoltre terapia cardiologica per scompenso cronico congestizio (diuretico, ACE-inibitore, digitale), antiaggregante (ASA) per la piastrinosi (PLT:900.000-1.000.000/mmc), bifosfonati e calcio per grave osteoporosi, folina. Il quadro clinico si mantiene sostanzialmente stazionario (consentendo alla ragazza una deambulazione autonoma per piccoli tratti e la frequenza a scuola seppur irregolare) fino al marzo 2008 quando si assiste ad un progressivo calo dei valori di Hb fino a nadir di 3.7 g% nel maggio, in assenza di segni di infezione e con importante peggioramento clinico generale e quadro di scompenso cardiocircolatorio grave con iniziale edema polmonare. In considerazione delle scarse opzioni terapeutiche a disposizione, la paziente viene assecondata nella sua richiesta di non essere ricoverata e viene trattata a domicilio con dosi eleva- Direttore Scientifico Vincenzo De Sanctis (Ferrara) Comitato di Redazione Vincenzo Caruso (Catania), Paolo Cianciulli (Roma), Maria Concetta Galati (Catanzaro), Maria Rita Gamberini (Ferrara), Aurelio Maggio (Palermo) Comitato Editoriale Maria Domenica Cappellini (Milano), Marcello Capra (Palermo), Gemino Fiorelli (Milano), Alfio La Ferla (Catania), Turi Lombardo (Catania), Carmelo Magnano (Catania), Roberto Malizia (Palermo), Giuseppe Masera (Monza), Lorella Pitrolo (Palermo), Luciano Prossomariti (Napoli), Michele Rizzo (Caltanisetta), Calogero Vullo (Ferrara) Segretaria di Redazione Gianna Vaccari (Ferrara) International Editorial Board A. Aisopos (Athens, Greece), M. Angastiniotis (Nicosia, Cyprus), Y. Aydinok (Izmir, Turkey), D. Canatan (Antalya, Turkey), S. Fattoum (Tunis, Tunisia), C. Kattamis (Athens, Greece), D. Malyali (Istanbul, Turkey), P. Sobti (Ludhiana, India), T. Spanos (Athens, Greece) Emothal Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza - Volume 6, n. 3, 2008 te di diuretici, digitalici e ACE-inibitori. Sulla base della segnalazione di un caso simile in letteratura che ha mostrato un’ottima risposta prolungata negli anni alla talidomide (1), la ragazza previo consenso informato viene posta in terapia con Talidomide (Thalomid®) 75 mg/die, scalando progressivamente HU. I valori di Hb evidenziano una progressiva rapida ripresa: dopo un mese dall’ inizio della talidomide Hb: 7.2 g%; dopo 4 mesi Hb: 9.4 g%. La terapia viene ben tollerata. Al controllo di settembre la ragazza presenta condizioni generali nettamente migliorate e la terapia cardiologia viene progressivamente scalata. Il meccanismo con cui talidomide potenzi l’eritropoiesi non è noto. In letteratura esiste qualche segnalazione relativa alla sua efficacia nelle mielodisplasie e un’unica segnalazione nella talassemia (1). Riteniamo che talidomide sia da considerare come possibile opzione terapeutica in casi drammatici di talassemie non trasfondibili e non responsive a HU. Potrebbero essere importanti studi sia biologici che clinici per meglio definire le possibili applicazioni della talidomide nella talassemia. Bibliografia 1. LB Aguillar-Lopez, JL Delgrado Lamas, B Rubio-Jurado, F J Perea, B Ibarra. Thalidomide therapy in a patient with thalassemia major. Blood Cells, Mol Dis 2008, 41:136-137 Alterazioni dell’asse gh/igf-i in pazienti adulti affetti da β-thalassemia e correlazione con parametri di efficacia della terapia trasfusionale e chelante M. Poggi, P. Pugliese1, C. Pascucci, S. Monti, G. Amodeo, A. Lo Sardo1, V. Toscano UOC di Endocrinologia, Azienda Ospedaliera Sant’Andrea, II Facoltà di Medicina, Università di Roma “La Sapienza”; 1 UOC di Immuno-Ematologia e Medicina Trasfusionale, I Facoltà di Medicina, Università di Roma “La Sapienza” Scopo. Le alterazioni dell’asse GH/IGF-I sono state descritte, in passato, nei pazienti affetti da βThalassaemia Major (TM), soprattutto bambini e adolescenti. Recenti lavori mostrerebbero una aumentata presenza di alterazioni a carico dell’asse GH/IGF-I anche in soggetti adulti. Queste potrebbero avere un impatto importante sullo sviluppo e sulla progressione del danno osseo e cardiaco nei soggetti affetti da TM. La patogenesi delle alterazioni endocrine, in passato sempre correlata all’accumulo di Ferro, non è stata mai completamente chiarita. Lo scopo del nostro lavoro è stato valutare le alterazioni dell’asse GH/IGF-I in un gruppo di pazienti adulti affetti da TM e verificare se queste correlassero con alcuni importanti parametri di efficacia della terapia trasfusionale e chelante. Materiali e Metodi. Abbiamo sottoposto un gruppo di 28 pazienti adulti (13 donne e 15 uomini, età media 30 ± 6.2 anni) affetti da TM a valutazione dell’asse GH/IGF-I mediante test con GHRH e Arginina. Tutti i soggetti erano sottoposti ad una regolare terapia trasfusionale e chelante dal primo anno di vita. L’indice medio di massa corporeo (BMI) era di 21.8 ± 1.9. Inoltre sono stati valutati i livelli ematici di Ferritina, IGF-I e degli enzimi epatici. Infine sono stati valutati i depositi di Ferro intraepatico mediante bio-susceptometria magnetica (SQUID). Risultati. Abbiamo rilevato la presenza di un alterata risposta di GH al test dinamico in 9 soggetti (32.1%). Questi presentavano inoltre minori livelli di IGF-I. La comparazione tra i due sottogruppi non mostrava differenze riguardo i valori di Ferritina, enzimi epatici e accumulo di Ferro intraepatico, rilevato mediante SQUID. Conclusioni. Questo studio conferma la necessità di valutare la funzionalità dell’asse GH/IGF-I in soggetti affetti da TM, anche dopo il raggiungimento dell’età adulta. La presenza di alterazioni del tono secretorio di GH non sembra correlare con i parametri di efficacia della terapia trasfusionale e chelante e pertanto altri meccanismi, oltre al deposito di Ferro, potrebbero essere coinvolti nella patogenesi di questa complicanza endocrina. Utilizzo combinato del filtro in linea e del lavaggio automatico nella terapia emotrasfusionale di pazienti talassemici Ricchi Paolo1, Criscuoli Maria2, Spasiano Anna1, Bovenzi Diomira2, Cinque Patrizia1, Costantini Silvia1, Lo Pardo Catia2, Samaritani Maria2, Macrì Michela2, Luciano Prossomariti1 U.O.C. Microcitemia1, S.I.T.2 A.O.R.N Cardarelli, Napoli Introduzione. Alcuni pazienti affetti da Talassemia Major tendono a manifestare reazioni a seguito della trasfusione dei prodotti ottenuti con le normali procedure. Il filtraggio del sangue al momento della donazione (filtro in linea) è in grado di ridurre significativamente l’incidenza di reazioni da globuli bianchi; inoltre, sono disponibili apparecchi che operando un lavaggio multiplo in automatico delle emazie garantiscono un allontanamento pressocchè totale delle proteine plasmatiche. L’obiettivo di questo studio è stato quello di osservare gli effetti sulle caratteristiche del sangue trasfuso, sull’esigenza trasfusionale e sulle reazioni avverse dell’utilizzo combinato di queste due metodiche in un gruppo di pazienti talassemici. Materiali e Metodi. I criteri di inclusione sono stati i 32 Emothal Atti Congresso So.STE seguenti: trattamento continuo precedente presso il centro per almeno 48 mesi senza interruzione; presenza di almeno tre reazioni avverse da proteine e/o globuli bianchi nell’arco di sei mesi, esigenza trasfusionale di almeno due unità al mese, precedente splenectomia almeno due anni prima dell’arruolamento, assenza di cause teoriche di potenziale incremento/ decremento del consumo di sangue. Sono stati considerati 6 pazienti affetti da talassemia major. Per un tempo di circa 16 mesi tutte le unità di sangue assegnate ai pazienti sono state filtrate al momento della donazione attraverso l’impiego di filtri (Baxter) e successivamente lavate con ACP 215 (Haemonetics). Al termine del lavaggio in automatico le emazie sono state ulteriormente concentrate per incrementarne l’ematocrito. Risultati. La valutazione effettuata dal Centro Trasfusionale sul contenuto di emoglobina, di emoglobina libera e proteine e sull’ematocrito delle unità di emazie lavate con ACP 215 ha evidenziato che tale procedura consente il mantenimento delle caratteristiche di emocomponente ideale per il paziente talassemico (Hb gr/u > 60, Hb libera % < 0,150, Proteine gr/u <0,25, Ht %>75. La Tabella 1 mostra i parametri trasfusionali per ogni paziente I dati riportati mostrano che l’utilizzo di questa metodica ha completamente annullato l’insorgenza di reazioni trasfusionali. Tuttavia, mantenendo uguale il valore pre-trasfusionale, è stato necessario un lieve incremento, delle unità di sangue e del quantitativo totale di emazia trasfuse. Conclusioni. L’utilizzo combinato del filtro in linea e del lavaggio in automatico sulla terapia emotrasfusionale è una procedura fattibile ed efficace nel paziente talassemico con frequenti reazioni trasfusionali, ma comporta un’attenta selezione del donatore (maggiore quantità di sangue da salassare), un incremento dei tempi di preparazione (circa 25-30 minuti per unità) ed un lieve aumento dell’esigenza trasfusionale. Tabella 1. 33 Studio della funzionalità renale in pazienti affetti da talassemia major (TM) Rizzello M.C.1, Tampieri B.2, Cesaretti C.2, Fasulo M.R.2, Cassinerio E.2, Sorrentino F.1, Cianciulli P.1, Cappellini M.D.2 1 UO Day Hospital Talassemia,Dipartimento Alte Specialità, Ospedale S.Eugenio, Roma; 2Centro Anemie Congenite, Dipartimento di Medicina Interna, Università degli Studi di Milano, Fondazione IRCCS Policlinico, Mangiagalli e Regina Elena Scopo del lavoro. Negli ultimi anni sono stati condotti numerosi studi sulle conseguenze del sovraccarico di ferro a livello cardiaco ed epatico nei pazienti affetti da TM, mentre ben poco ancora si conosce riguardo agli effetti sulla funzionalità renale. Questo studio ha lo scopo di valutare l’andamento degli indici di funzionalità renale nell’arco di un anno in rapporto all’entità del sovraccarico di ferro e alla terapia ferrochelante in un gruppo di pazienti affetti da TM. Metodi. lo studio è stato condotto su 198 pazienti affetti da TM: 107 (gruppo A: 44 M, 64 F, età media 33,7± 6,2 anni, BMI 28 ± 8,1) seguiti a Milano, e 89 (gruppo B: 35 M, 54 F, età media 35,3 ± 8,3 anni, peso 58,9 ± 11,7 kg) seguiti a Roma. Tutti i pazienti erano in regolare terapia trasfusionale e ferrochelante. I dosaggi di creatinina sierica (v.n. <1,2 mg/dl) e di clearance della creatinina (ClCr, v.n.>125 ml/min) sono stati utilizzati come indici di funzionalità renale. La ClCr è stata calcolata con la formula di CockcroftGault. In un sottogruppo di pazienti del gruppo A è stata inoltre valutata la proteinuria (v.n.<0,15 g/l). Sono stati confrontati i parametri renali al tempo 0 (T0) e a distanza di un anno (T1). Per l’analisi statistica è stato eseguito un paired t-test (significatività per p<0,05). Risultati. I valori di ferritina, creatinina e ClCr dei due gruppi al T0 e al T1 sono riportati in Tabella 2 e Tabella 3. Nel gruppo A, al T0 solo un pz (0,9%) presentava valori di creatininemia superiori alla norma, mentre 39 pz (36%) avevano valori di ClCr Emothal Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza - Volume 6, n. 3, 2008 Tabella 2. Parametri valutati nel gruppo A. <125ml/min; nel 54% dei 61 pz in cui è stata dosata la proteinuria sono stati riscontrati valori aumentati. Al T1 sono stati riscontrati valori alterati di creatininemia e ClCr rispettivamente in 4 (4%) e 42 (39%) pz. È stata rilevata inoltre la presenza di nefrolitiasi nel 14% dei pz. Nel gruppo B al T0 tutti i pz avevano valori di creatininemia nei limiti di norma, mentre 71 pz (80%) presentavano livelli ridotti di ClCr. Al T1 non sono state riscontrate alterazioni dei valori di creatininemia, ma 63 pz (71%) presentavano una ClCr ridotta. La presenza di nefrolitiasi interessava 14 pz (16%). Unificando i gruppi A e B sono state valutate le correlazioni tra ferritina e i parametri renali a T0 e a T1, risultate statisticamente non significative. L’intera casistica (A+B) è stata poi suddivisa in base ai trattamenti chelanti effettuati durante l’anno di osservazione (DFO 70 pz; L1 12 pz; DFO+L1 25 pz; Deferasirox 56 pz). Sono stati esclusi i pz che nel corso dell’anno hanno cambiato terapia; nessuna variazione statisticamente significativa è stata osservata dopo un anno per ogni tipo di trattamento. Conclusioni. Nella nostra casistica di pz affetti da TM, nonostante valori di creatininemia nella norma, si osserva una ridotta ClCr. Le cause non sono ancora chiare, ma è ipotizzabile un ruolo del sovraccarico di ferro anche a livello renale; pertanto sono auspicabili ulteriori studi. Accumulo di ferro cardiaco e deferasirox: riscontro di efficacia in un caso clinico Ruffo G.B.1, Pepe A.2, Borsellino Z.1, Cuccia L.1, Marocco M.R.1, Gagliardotto F.1, Saieva L.1, Favilli B.2, Capra M.1 1 U.O.C. Ematologia-Emoglobinopatie, P.O. G.Di Cristina, ARNAS Civico Palermo; 2MRI Lab, Istituto di Fisiologia Clinica, Fondazione G.Monasterio/ CNR, Pisa Riportiamo il caso di un ragazzo di anni 23 affetto da ß-Talassemia Major, genotipo IVS1:110/IVS1:110, in trattamento trasfusionale regolare (2 unità di GRC ogni 17 gg circa). Ferro intake (media ultimi 3 anni: 0.35 mg/kg/die). Il paziente, già splenectomizzato (1999), presenta inoltre: deficit staturale, osteopenia, nefrolitiasi. La terapia ferrochelante è stata iniziata Tabella 3. Parametri valutati nel gruppo B. con deferoxamina (DFO) all’età di due anni, e praticata con buona compliance (80%). Nel Settembre 2003, il paziente veniva arruolato nello studio preregistrativo del Deferasirox (DFX), e randomizzato nel primo anno nel braccio DFO. Il paziente, all’ingresso nello studio, eseguiva, secondo protocollo, biopsia epatica per la valutazione del sovraccarico di ferro che evidenziava una LIC di 3,0 mg/g/dw. Nel Settembre 2004, secondo il previsto follow-up a un anno, veniva ripetuta biopsia epatica che confermava il moderato accumulo di ferro con LIC 3,2 mg/g/dw. Da Ottobre 2004 iniziava terapia ferrochelante con DFX alla dose di 10 mg/kg/die,che nel Febbraio 2005, in base all’andamento delle ferritine, veniva aumentata a 20 mg/kg/die. Dal Settembre 2003 ad oggi le ferritine medie del paziente si sono mantenute sempre al di sotto di 1000 ng/ml, sia durante trattamento con DFO, che con DFX. In particolare, dopo l’aumento della dose di DFX, le ferritine medie erano ancora più basse (572 ng/ml). Durante tutto il periodo di trattamento con DFX, non si sono mai verificati eventi avversi, né sono stati rilevati fenomeni di tossicità. Il paziente ha eseguito nel Marzo 2005 una prima RMN T2* che ha messo in evidenza un eterogeneo accumulo di ferro nel cuore (valore medio globale 16 ms) e un accumulo di ferro borderline nel fegato (6,2 ms). La successiva RMN T2*, eseguita a Dicembre 2006, ha mostrato un miglioramento che si evidenzia con un valore di T2* cardiaco medio di 28 ms, assenza di accumulo di ferro in tutti i segmenti analizzati, e un accumulo di ferro borderline nel fegato (T2* 15 ms). Nel Giugno 2008, è stata eseguita una terza RMN T2*, che ha confermato valori di T2* compatibili con assente accumulo di ferro nel cuore in tutti i segmenti ( T2* medio globale 41 ms) e accumulo di ferro borderline nel fegato (16,5 ms). Conclusioni. La terapia con DFX, in questo paziente, ha determinato una sostanziale riduzione del sovraccarico di ferro a livello cardiaco mantenendo accettabili i valori di accumulo di ferro epatico e risultando efficace e sicura. Ancora una volta il solo valore della ferritina risulta inadeguato a fornire informazioni sull’accumulo di ferro cardiaco, venendo cosi enfatizzato il ruolo centrale della cardio-risonanza. 34 Emothal Atti Congresso So.STE Prima diagnosi di talassemia intermedia in adolescente Terapia con deferiprone in un caso di neurodegenerazione associata al difetto di pantetonato chinasi (PKAN) Vaccari M.G.1, Cavazzunti C.1, Putti M.C.2, Ammendola R.1, Chiavilli F.1, Gavioli F.1, Lobue G.1, Scipioni C.1, Tocchetto M.1, Potenza R.1 Zuccarelli A., Sanna P.M.G.,Bellu L., Solinas, Mulas G. Dipartimento di Medicina Trasfusionale Centro Microcitemia1 Azienda ULSS 18 Rovigo Clinica di Emato-Oncologia Pediatrica Dipartimento di Pediatria Università di Padova, Azienda Ospedaliera2 Centro trasfusionale e di microcitemia Ospedale di Olbia, Divisione di Pediatria Ospedale di Olbia, Servizio di Neuropsichiatria infantile ASL Olbia. Centro trasfusionale e di Microcitemia, ASL N° 2 Olbia Descriviamo il caso di una giovane di 17 anni con sindrome talassemica intermedia. Alla nascita glaucoma congenito; non ittero neonatale. All’età di 16 anni durante un’escursione in montagna presenta lipotimia. Durante il ricovero in Astanteria si rilevano anemia microcitica, splenomegalia, modesta iperbilirubunemia, ferritinemia normale. La ragazza presenta pallore, subittero, bassa statura (confrontata con i genitori e la sorella maggiore), modeste anomalie scheletriche (turricefalia). In Tabella 4 i risultati dello studio familiare. L’analisi del DNA mediante Riverse Doto Blot per la ricerca di mutazioni beta talassemiche ha evidenziato nella paziente la presenza della mutazione GA IVS I.1, ereditata dal padre, e della mutazione CT -101, ereditata dalla madre. La sorella NV presenta la medesima mutazione, silente. Il fratello presenta le due mutazioni, con un quadro clinico caratterizzato da anemia e modeste anomalie scheletriche (turricefalia). I difetti beta talassemici subsilenti, spesso associati a fenotipo ematologico normale, possono causare, in associazione con forme tipiche di beta talassemia, sindrome intermedia anche trasfusione dipendente. E’ utile ricercare questi difetti nei partner dei portatori di difetti talassemici tipici, quando presentano anomalie anche modeste dell’assetto emoglobinico. La Neurodegenerazione associata al difetto di pantetonato chinasi (PKAN) già nota anche come sindrome di Hallervoden-Spatz è inclusa nel gruppo delle sindromi neurodegenerative da accumulo di ferro (Neurodegeneration with Brain Iron Accumulation –NBIA) . La frequenza della malattia viene valutata in 1-3 casi per milione tenendo conto della possibilità che vi siano dei casi non riconosciuti o erroneamente diagnosticati. Ciò porta a stimare che ci sia un portatore sano ogni 275/500 individui. Nella forma classica la PKAN ha un esordio precoce con andamento progressivo e segni neurologici soprattutto extrapiramidali come distonia, disartria e rigidità. Viene qui descritto un caso giunto alla nostra osservazione. S.B., nata nel luglio 1997, ha manifestato sin dai primi mesi di vita disturbi neurologici . Un esame obiettivo effettuato a Roma il 13/10/2003 mostrava andatura lievemente atassica, tremore intenzionale, segni piramidali agli arti inferiori, riflessi da stiramento iperelicitabili, clono del piede bilaterale, Babinski positivo bilateralmente, disartria. L’esame del fundus oculi mostrava persistenza di fibre mieliniche nel settore superiore dei dischi ottici. La valutazione cognitiva mediante elaborazione dei dati alla scala di Griffith rivelava un’età mentale di due anni con un quoziente generale di 38 significativo di ritardo cognitivo di grado medio. Questi Tabella 4. 35 Emothal Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza - Volume 6, n. 3, 2008 segni associati al referto della RMN encefalica fece porre sospetto diagnostico di malattia di Hallervorden Spatz. La diagnosi fu confermata il 28/6/2005 con analisi genetico molecolare che documentò la presenza di due mutazioni (C 1351 T sull’esone 4 e G 1561 A sull’esone 6) del gene PANK2. Da allora la paziente ha assunto ininterrottamente acido pantotenico 500 mg/die, Ibedenone 45 mg/die e Baclofene. La situazione clinica è progressivamente peggiorata per cui nel Dicembre 2007 presso il nostro centro la paziente ( che allora pesava 20 kg e era alta 114 cm) ha cominciato terapia con Deferiprone 25 mg/die in monosomministrazione al mattino. La bambina ha tollerato perfettamente la terapia ( ha sospeso solamente una settimana dal 30/06 al 06/07/2008 in quanto è stata ricoverata per una caduta accidentale che peraltro non ha avuto alcuna conseguenza). Il tasso emoglobinico all’inizio della terapia era 133g/l e la ferritinemia 45 ng/L ; attualmente dopo 9 mesi di terapia il tasso emoglobinico è di 125 g/L e la ferritinemia è di 6 ng/L . Tutti i controlli ematochimici prticati sono nella norma (in particolare ALT, AST, Glicemia, Azotemia, Bilancio del ferro). Le condizioni cliniche sono significativamente migliorate. L’ultimo esame obiettivo neurologico ha mostrato un miglioramento del tono muscolare degli arti e una riduzione dell’escursione delle articolazioni tibio tarsi- che. Ultimamente la paziente ha cominciato a mangiare autonomamente, a pronunciare alcuni vocaboli e a fare alcuni passi senza appoggio. Fenotipo ematologico e clinico in pazienti con triplicazione dei geni alfa ed eterozigosi per beta talassemia Pagano L., Ammirabile M., Ricchi P., Cinque P., Spasiano A., 1Filosa A., Salamandra A., Costantini S. e Prossomariti L. U.O.C. Microcitemia, * U.O.S.S. Talassemia Pediatrica A.O.R.N.“A. Cardarelli” Napoli Il termine Talassemia Intermedia definisce quadri clinici e fenotipi microcitemici che hanno una posizione intermedia fra la semplice eterozigosi asintomatica e l’omozigosi molto grave. Presso il centro “Microcitemia” dell’Azienda Cardarelli sono seguiti all’incirca 108 pazienti affetti da Talassemia Intermedia i cui genotipi sono eterogenei e 19 (15%) presenta un genotipo di eterozigosi per beta-talassemia associato a triplicazione dei geni alfa globinici. In questo lavoro presentiamo il fenotipo ematologico e clinico di 19 pazienti (16 F/3 M) provenienti da 13 famiglie tutte di origine campana, che sono eterozigoti per beta talassemia e presentano tutti la triplicazione dei geni alfa globinici anti 3.7 (vedi Tabella 5). Il fenotipo clinico risulta eterogeneo: Tabella 5. 36 Emothal Atti Congresso So.STE solo due pazienti sono trasfusione dipendente (N. 4 e N.12), cinque sono stati sottoposti a trasfusioni occasionali in gravidanza, due presentano un fenotipo di portatore sano di beta talassemia (N. 6 e N.11). Quattro pazienti presentano splenomegalia e cinque sono stati splenectomizzati. La mutazione CD39 è stata riscontrata in 16 pazienti essendo la mutazione più frequente nella nostra regione, la paziente N.4 presenta una mutazione di origine asiatica IVS2-654 (C→T). L’estrema variabilità fenotipica dei pazienti eterozigoti beta talassemici con triplicazione dei geni alfa globinici , pone un problema per la consulenza genetica. Presenza di ricombinazioni tra i geni alpha globinici in sicilia Passarello C., Giambona A., Vinciguerra M., Leto F., Fiorentino G., Li Muli R., Cassarà F., Cannata M., Lo Gioco P., Renda D., Maggio A. U.O.C. Ematologia II con Talassemia, Ospedale Cervello, Palermo Introduzione. I geni globinici alpha 2 ed alpha 1 sono il risultato di una duplicazione avvenuta circa 60 milioni di anni fa e di ripetute successive ricombinazioni. Nonostante ciò, i due geni sono rimasti quasi identici e differiscono soltanto a livello del secondo introne (IVSII), per la sostituzione del nucleotide 55 (Guanina nel gene α1 e Timina nel gene α2) e per la sostituzione alla posizione 119 (5’-CTCGGCCC-3’ nel gene α1 e Guanina nel gene α2), ed a livello della regione 3’ non tradotta. Una recente ricerca condotta da Law et al. (Haematologica 2006) ha messo in evidenza la presenza di due ricombinazioni tra i geni alpha globinici: la variante alpha 121 nella quale l’octonucleotide dell’IVSII del gene α1 è sostituito dalla Guanina alpha 2 specifica, ed la variante alpha 212 in cui due siti nell’IVSII del gene α2 sono sostituiti da Tabella 6. *Ghana **Marocco °Affetto 37 sequenze alpha 1 specifiche. In questo lavoro vengono riportati i primi casi di queste ricombinazioni ritrovate in diversi soggetti Siciliani e stranieri, di origine Mediterranea, non imparentati tra loro. Materiali e Metodi. Tutti i soggetti sono stati selezionati durante il programma di screening per emoglobinopatie condotto presso il centro talassemia dell’Az.Osp. “V. Cervello”- Palermo. Il DNA è stato estratto con il metodo Fenolo-Cloroformio e successivamente analizzato per mutazioni beta ed alpha. Il gene beta è stato analizzato mediante sequenziamento dal nucleotide – 130 dal CAP al nucleotide 150 nt al 3’ del Poly A, e laddove sospettata la presenza di una delezione mediante GAP-PCR. Entrambi i geni alpha sono stati sequenziati dal nucleotide – 36 dal CAP al nucleotide + 76 al 3’ del Poly-A e le più comuni delezioni di origine Mediterranea (-α3.7, -α4.2, α-Med, α--20.5, α--CAL) sono state analizzate mediante GAP-PCR. Risultati. In 10 soggetti (4 dei quali facenti parte di 2 famiglie) è stata ritrovata la ricombinazione alpha 212 mentre in un soggetto la ricombinazione alpha 121 (vedi Tabella 6). In alcuni di questi soggetti, oltre alle ricombinazioni sono state trovate delle sostituzioni nucleotidiche nell’intone I (IVSI) del gene alpha 2 in posizione 38 e 39. Le ricombinazioni 121 ed 212 e le sostituzioni sono state riscontrate sia in eterozigosi che in omozigosi, sia in associazione con mutazioni alpha che mutazioni beta. I genotipi ed i fenotipi dei soggetti indagati sono riportati in Tabella 6. Discussione. Questi dati suggeriscono che questi alleli ricombinanti, sia che siano in eterozigosi che in omozigosi, non influenzano l’espressione dei geni alpha né di conseguenza il fenotipo dei soggetti portatori. Tuttavia ulteriori studi dovrebbero essere condotti su soggetti con fenotipo normale per valutare la reale presenza di questi alleli nella popolazione Siciliana. Emothal Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza - Volume 6, n. 3, 2008 HB southern Italy: una nuova variante alpha altamente instabile, riscontrata nella popolazione del Sud Italia Passarello C.1, Giambona A.1, Prossomariti L.2, Ammirabile M.2, Pucci P.3, Renda D.1, Pagano L.2, Maggio A.1 1 U.O.C. Ematologia II con Talassemia, Ospedale Vincenzo Cervello 180, CAP 90146, Palermo; 2Centro Microcitemie “A. Mastrobuoni”, Azienda Ospedale Cardarelli, Napoli, Italia; 3 GEINGE Biotecnologie Avanzate scrl and SEMM-European School of Molecular Medicine- Naples Site, Napoli Introduzione. L’alpha talassemia è il più comune disordine monogenetico nel mondo. Data la struttura del cluster alpha le alterazioni più comuni sono rappresentate dalle delezioni che possono coinvolgere zone più o meno estese. Il sequenziamento genico ha, tuttavia, fatto emergere negli ultimi anni la notevole presenza di alterazioni nucleotidiche che colpiscono i singoli geni alpha 2 ed alpha 1 determinando catene globiniche varianti i cui effetti clinici possono essere in alcuni casi anche gravi. Nel Sud Italia l’alpha talassemia risulta essere molto presente e molte sono le varianti alpha riscontrate. In questo lavoro vengono riportati gli effetti clinici di una nuova variante altamente instabile, chiamata Hb Southern Italy, creata dalla co-presenza di due mutazioni puntiformi, già note, in un singolo gene alpha2. Materiali e Metodi. I soggetti sono stati selezionati durante il programma di screening per emoglobinopatie condotto presso il centro talassemia dell’ Az.Osp. “V. Cervello” di Palermo ed il centro per le microcitemie “A.Mastrobuoni” di Napoli. I campioni di sangue di vari membri di 6 differenti famiglie sono stati analizzati secondo metodi standard. Il DNA è stato estratto con il metodo Salting-Out e successivamente analizzato per mutazioni alpha. Entrambi i geni alpha sono stati sequenziati dal nucleotide – 36 dal CAP al nucleotide + 76 al 3’ del Poly-A e le più comuni delezioni di origine Mediterranea (-α3.7, -α4.2, α--Med, α--20.5, α--CAL) sono state analizzate mediante GAP-PCR. Risultati. La sequenza del gene alpha 2 ha messo in evidenza la presenza di una mutazione al codone 26 (GCG→ACG), conosciuta come Hb Caserta, e al codone 130 ((GCT→CCT) conosciuta come Hb SunPrairie; gli studi familiari hanno mostrato che le due mutazioni co-esistono nello stesso gene creando così una nuova variante chiamata da noi Hb Southern Italy. Alle due mutazioni è risultato sempre associato in cis un cambio nucleotidico polimorfico G→A alla posizione +861. Come si vede in tabella tutti i soggetti portatori della nuova variante mostrano un fenotipo da alpha + talassemia con lieve riduzione del volume corpuscolare medio (MCV) e livelli di Hb A2 normali o lievemente più bassi. I soggetti omozigoti per la Hb Southern Italy ed il soggetto con associata la delezione α0 –20.5 presentano fenotipi da talassemia intermedia. Discussione. Questo è il primo caso di una variante con doppia mutazione riportato nel Sud Italia. I fenotipi sia dell’eterozigote che dell’omozigote sono simili a quelli, riportati da altri autori, dei portatori dell’Hb SunPrairie, tuttavia l’Hb Southern Italy risul- Tabella 7. Dati ematologici ed emoglobinici dei vari membri delle famiglie studiate. *Trasfuso ** Non trasfuso 38 Emothal Atti Congresso So.STE ta essere più instabile e non evidenziabile, al contrario della prima, con la spettrometria di massa a cromatografia liquida. Ciò suggerisce che la mutazione al codone 26 contribuisce all’ulteriore instabilità della variante. È importante notare che mentre i soggetti omozigoti per l’Hb Southern Italy, pur presentando una severa anemia, non necessitano di trasfusioni, i soggetti con l’associazione con una alpha0 talassemia presentano una severa malattia da HbH trasfusione dipendente (Tabella 7). Fenotipo di talassemia intermedia (TI) in soggetti eterozigoti per mutazioni del gene beta-globinico e riarrangiamenti sul cluster alfa-globinico Refaldi C.1, Cesaretti C.1, Fasulo M.R.1, Harteveld C.L.2, Giordano P.C.2, Cappellini M.D.1 cia in trans all’allele ααα, determinando la presenza di 7 geni alfa attivi. Il quadro clinico di questa paziente è più severo e richiede una terapia trasfusionale regolare. L’eccesso di catene alfa associato al difetto di catene β aumenta il grado di sbilanciamento del rapporto tra globine α e β con conseguente incrementata precipitazione di globine libere negli eritroblasti midollari e negli eritrociti, peggiorando così il quadro di eritropoiesi inefficace e di emolisi periferica ed aggravando il fenotipo clinico. Le caratteristiche cliniche e genotipiche dei tre casi sono descritte in Tabella 8. Poiché la sola duplicazione del cluster alfa rimane clinicamente silente, si può ipotizzare che la sua frequenza nella popolazione sia più elevata dell’atteso e potrebbe giustificare alcuni quadri inspiegati di talassemia intermedia. 1 Centro Anemie Congenite, Dipartimento di Medicina Interna, Università degli Studi di Milano, Fondazione IRCCS Policlinico, Mangiagalli e Regina Elena 2 Hemoglobinopathies Laboratory, Leiden University Medical Center, Leiden, The Netherlands I portatori eterozigoti di beta-talassemia generalmente manifestano solo una lieve anemia. La presenza di difetti genetici aggiuntivi coereditati insieme alla mutazione β-talassemica può però aggravare il quadro clinico del semplice portatore. In questo lavoro presentiamo tre casi di soggetti eterozigoti per una mutazione beta-talassemica che presentano però un fenotipo intermedio. I difetti beta riscontrati sono nel caso 1 e 2 la mutazione β0 cod39, mentre nel caso 3 la β+ IVSI-110. In tutti i casi sono stati esclusi difetti di membrana o carenze enzimatiche eritrocitarie. L’analisi MLPA (Multiplex Ligation-dipendent Probe Amplification) del locus alfa ha rivelato la presenza di tre nuovi riarrangiamenti, tutti risultanti nella completa duplicazione del cluster dei geni alfa. Nel caso 1 e 3 la duplicazione si associa ad un allele normale in trans, per un totale di 6 geni alfa attivi. Nel caso 2 l’allele con la duplicazione del cluster si assoTabella 8. 39 Genetica dell’emocromatosi ereditaria dell’adulto in sicilia Renda Disma, Renda Maria Concetta, Fecarotta Emanuela, Maggio Aurelio Divisione di Ematologia II con Talassemia, A.O. “V. Cervello” Palermo Introduzione e razionale. L’emocromatosi ereditaria dell’adulto (HH) è una malattia autosomica recessiva caratterizzata da un aumento dell’assorbimento del ferro e da accumulo di ferro nei tessuti. L’incidenza dell’HH nella popolazione Caucasica è di circa 1/300 ed è frequentemente associata a mutazioni del gene HFE, responsabili del 93% di casi di HH. Più raramente la HH è causata da mutazioni presenti nel gene per il recettore 2 della transferrina (TFR2). Una rara forma autosomica dominante di emocromatosi ereditaria è la malattia da ferroportina dovuta a mutazioni presenti nel gene FNP. I dati riportati in letteratura suggeriscono che la prevalenza in Europa dei pazienti affetti da HH si riduce seguendo un gradiente Nord-Sud. Emothal Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza - Volume 6, n. 3, 2008 Dal 1997, subito dopo l’individuazione del gene HFE, su tutti i pazienti che afferivano al nostro centro per sospetta HH, è stata eseguita l’analisi molecolare del gene HFE. Dal 2005 abbiamo esteso l’analisi genetica ai geni TFR2 e FPN. Pazienti e metodi. Sono stati studiati oltre 500 pazienti e 100 casi-controllo. I pazienti inclusi nell’analisi genetica presentavano valori di ferritinemia >300ng/dl e/o un indice di saturazione della transferrina >40%. L’analisi genetica è stata estesa ai familiari dei pazienti con omozigosi o eterozigosi composta e ai familiari dei portatori di eterozigosi HFE - C282Y. L’indagine molecolare dei geni HFE, TfR2 e FPN è stata eseguita tramite sequenziamento genico diretto (CEQ 8800 Beckman) e restrizione enzimatica su frammenti di PCR specifici. Risultati e Discussione. L’analisi dei dati clinici e genetici a nostra disposizione, ci ha permesso di suddividere i casi analizzati in tre principali sottopopolazioni: pazienti con iperferritinemia pazienti con iperferritinemia ed epatopatia cronica virus correlata (HCV positivi) pazienti con iperferritinemia e sindrome metabolica. Tra i pazienti con sospetto di emocromatosi ereditaria HCV negativi 17 (6.3%) sono risultati omozigoti per la mutazione C282Y, 19 (7.0%) omozigoti per la mutazione H63D 11 (4.0%) con eterozigosi composta e 1 con eterozigosi composta H63D/S65C. L’analisi delle frequenze alleliche (FA) mostra che per la variante H63D non vi è nessuna differenza significativa tra i vari gruppi esaminati (pazienti HCV-, familiari di primo grado e controlli). Per la variante C282Y la FA è del 10% nei pazienti HCV-, mentre è intorno all’1% nei controlli ed al 2.3% nei consanguinei. I dati ottenuti dall’analisi genetica evidenziano una prevalenza della mutazione C282Y maggiore di quella descritta in letteratura per la popolazione siciliana ed una frequenza allelica della mutazione H63D più elevata che nel resto della popolazione italiana. Quest’ultimo dato assume particolare rilevanza poiché il 6% della nostra popolazione è portatore sano di beta talassemia. La condizione di omozigosi H63D o di eterozigoti composta S65C/H63D comporta malattia se in presenza di co-fattori favorenti l’assorbimento del ferro come lo stato di portatore sano di talassemia. I dati analizzati suggeriscono che la prevalenza dell’HH potrebbe essere sottostimata per lo scarso utilizzo della determinazione del bilancio marziale nella popolazione maschile. Tipizzazione immunologica del fluido della cavità celomatica di embrioni umani Renda M.C.1, Makrydimas G.2, Fecarotta E.1, Damiani G.3, Jakil M.C.3, Piazza A.1, Maggio A.1 1 Div. Ematologia II con Talassemia, A.O. “V. Cervello”, Palermo; 2Dept of Obst and Gynaec, Ioannina Hosp. (Gr); 3 Unità di Diag. Prenat., A.O. “V. Cervello”, Palermo Introduzione e Razionale. Il trapianto in utero di cellule staminali ematopoietiche (IUHSCT) è ostacolato da due possibili barriere: lo spazio nel midollo osseo e la tolleranza immunologia. Nel feto umano vi è evidenza di una immunocompetenza sin dalla 11° settimana di gestazione. Tuttavia, prima della 10° settimana è impossibile realizzare una procedura di IUHSCT per via vascolare o intraperitoneale. Questo ostacolo potrebbe essere superato con una infusione attraverso la cavità celomatica. Durante il primo trimestre di gestazione è possibile osservare la presenza di due cavità separate: la cavità amniotica e la cavità celomatica. I fluidi contenuti in entrambe le cavità possono essere prelevati con una procedura ecoguidata e analizzati nella loro composizione. Conoscere la composizione cellulare del fluido potrebbe rivelarsi importante nel determinare se l’infusione attraverso la cavità celomatica può dare una opportunità di indurre tolleranza e chimerismo nel feto. Per questo motivo abbiamo studiato il pattern immunologico di fluidi celomatici umani prelevati tra la 6° e la 10° settimana di gestazione. Materiali e Metodi. Previa approvazione del progetto da parte del Comitato Etico Aziendale, alle donne pervenute presso la nostra Azienda Ospedaliera per una interruzione volontaria di gravidanza, è stato proposto di essere incluse in questo studio. Il fluido celomatico è stato ottenuto tramite un prelievo trans-vaginale eco-guidato. Da una aliquota di cellule ottenute dal fluido è stato estratto l’mRNA per l’analisi delle famiglie Vβ, pre-Tα and Cα del TCR. Le rimanenti cellule sono state incubate con anticorpi monoclinali specifici per le linee cellulari CD3+; CD34+; CD105+; CD56+; CD45+; CD45RO+; CD45RA+. L’analisi è stata eseguita impiegando forward scatter/ side scatter e CD45 gating. Risultati e Discussione. Abbiamo studiato il pattern immunologico di 17 fluidi celomatici prelevati da feti compresi tra la 6° e la 10° settimana di gestazione per rilevare la presenza di transcritti VDJβ-TCR riarrangiati e per la presenza di antigeni delle cellule T, B, NK e mesenchimali. 7/17 (40%) campioni mostravano una espressione di trascritti 40 Emothal Atti Congresso So.STE riarrangiati Vβ-TCR. L’analisi del pattern cellulare mostrava una frequenza molto bassa di linfociti T, pre-B, B e cellule NK. L’alta frequenza di cellule CD105 positive suggerisce che le cellule mesenchimali/epiteliali costituiscono la popolazione cellulare più rappresentata nel fluido celomatico. La presenza dell’espressione delle sole catene pre-Tα, specifiche del pre-TCR e la bassa frequenza di antigeni specifici per linfociti T, pre-B and B ed NK suggerisce che la cavità celomatica potrebbe essere considerata una nuova via di accesso per il superamento della barriera immunologia all’attecchimento del trapianto di cellule staminali nel feto o per l’induzione di una tolleranza donatore-specifica. Identificazione di una nuova delezione alfa°-talassemica in due pazienti affetti da HBH Sessa R.1, Puzone S.1, Ammirabile M.2, Pagano L.2, Esposito P.1, Piscopo C.1,3, Izzo P.1, Grosso M.1 1 Dip. Biochimica e Biotecnologie Mediche, Università di Napoli Federico II; 2U.O.C. Microcitemia A.O.R.N. Cardarelli; 3 CEINGE-Biotecnologie Avanzate, Napoli Recentemente, nel corso di uno studio per la caratterizzazione molecolare di pazienti con HbH, abbiamo identificato una nuova delezione α-talassemica in due pazienti provenienti da due famiglie originarie della Campania. In entrambi i casi, la ricerca delle mutazioni α-talassemiche più frequenti nel Mediterraneo aveva mostrato la presenza della mutazione α+-3.7 in apparente omozigosi. Infatti, l’analisi molecolare estesa ai componenti familiari aveva mostrato lo stato di eterozigosi per la delezione ·+-3.7 solo in uno dei genitori, mentre nell’altro non era presente alcuna delle mutazioni in esame. Inoltre, l’analisi di sequenza estesa ai due geni α-globinici aveva escluso la presenza di mutazioni puntiformi rare. Questo dato ha portato ad ipotizzare che il fenotipo HbH fosse dovuto in entrambi i casi alla presenza di un difetto delezionale raro di tipo α°. In entrambi i pazienti, l’analisi mediante Southern blot ha permesso di individuare la presenza di un pattern anomalo di restrizione solo con una sonda corrispondente al gene theta 1, che determinava la comparsa di un frammento anomalo di circa 6.3 kb. Questo dato indica la presenza di una delezione che rimuove un’estesa regione compresa tra i geni ζ- e α-globinici. Tale pattern di restrizione non risulta sovrapponibile a quello di altre delezioni α-talassemiche riportate in letteratura, anche se mostra delle analogie con quello della rara delezione α°--CAL, inizialmente descritta in 41 una paziente di origine calabrese. Al fine di caratterizzare i breakpoint di questa nuova delezione, abbiamo quindi effettuato un’amplificazione allelespecifica utilizzando gli stessi oligonucleotidi specifici per la delezione α°-CAL. Nei nostri due casi, al posto di un frammento atteso di circa 400 bp, abbiamo ottenuto un prodotto di amplificazione di circa 2 kb. L’analisi di sequenza effettuata sul frammento di DNA così ottenuto ha permesso di determinare i punti di breakpoint di questa nuova delezione che cadono in una regione interna alla delezione --CAL, corrispondenti a due diverse sequenze Alu. La nuova delezione è quindi differente dalla --CAL e, essendo stata individuata in due famiglie di origine campana, è stata chiamata di tipo α°-Campania. In entrambi i casi da noi descritti la nuova delezione dà origine ad un fenotipo HbH quando è associata al difetto α+ talassemico -3.7. Le basi molecolari dell’alfa talassemia nel polesine Vaccari M.G., Cavazzunti C., Ammendola R., Chiavilli F., Gavioli F., Lobue G., Scipioni C., Tocchetto M., Potenza R. Dipartimento di Medicina Trasfusionale Centro Microcitemia Azienda ULSS, Rovigo Premessa. Nella popolazione della Provincia di Rovigo (Polesine) sono frequenti i difetti beta talassemici, ma anche la presenza dei trait alfa talassemici è significativa. Il sospetto diagnostico si basa sul fenotipo ematologico (MCV< 80 fL, MCH <<25 pg, Hb A2 <3,5. Materiali e Metodi. La diagnosi era completata, fino al 2006 dallo studio del rapporto di sintesi fra le catene globiniche, attualmente il nostro laboratorio utilizza l’analisi del DNA mediante Reverse Dot Blot per la ricerca dei difetti alfa talassemici (Nuclear Laser Medicine). Risultati. Da dicembre 2006 ad agosto 2008 abbiamo studiato 50 soggetti, 41 di origine italiana, 1 di origine romena e 8 africani. Nei soggetti studiati sono stati individuate le mutazioni: IVS I-5 nt (10), delezione – 3,7 (25), delezione – 3,7 omozigote (3), delezione -20,5 (2), delezione - - MED (5), triplicazione del gene alfa (4). Discussione. La maggior parte dei trait rilevati si può definire lieve. In particolare, i difetti IVS I - 5 nt, - 3,7 e - 4,2 sono correlati a patologia solo in associazione con difetti severi. La delezione - MED allo stato omozigote determina idrope fetale; associata a difetti più lievi determina la cosiddetta Emothal Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza - Volume 6, n. 3, 2008 malattia da Hb H, anemia emolitica cronica, generalmente non trasfusione dipendente. E’ stata rilevata, in associazione con altri difetti alfa talassemici, in due pazienti con malattia da Hb H. La triplicazione del gene alfa determina uno squilibrio di sintesi delle catene globiniche tipo trait beta; in associazione con altri trait beta talassemici determina una sindrome talassemica intermedia. In un caso la triplicazione del gene alfa è stata rilevata associata a mutazione C-G dell’IVS II.745 in un paziente adulto (53 aa) affetto da sindrome talassemica trasfusione dipendente. Si può concludere che la diagnosi molecolare dei difetti alfa talassemici permette la definizione diagnostica di sindromi clinicamente significative; la diagnosi del difetto molecolare è fondamentale per l’adeguata consulenza genetica ai portatori di difetti alfa talassemici. Talassemia intermedia: caratterizzazione delle basi molecolari Vaccari M.G., Cavazzunti C., Ammendola R., Chiavilli F., Gavioli F., Lobue G., Scipioni C., Tocchetto M., Potenza R. Dipartimento di Medicina Trasfusionale Centro Microcitemia Azienda ULSS, Rovigo I trait beta talassemici subsilenti sono condizioni rare caratterizzate nell’eterozigote da fenotipo ematologico normale, Hb A2 normale o modicamente aumentata, modesto sbilanciamento della sintesi delle catene globiniche. Gli eterozigoti composti per queste anomalie e per tipici difetti talassemici sono spesso affetti da talassemia intermedia. Abbiamo studiato una famiglia nella quale erano presenti un difetto lieve del gene beta e due difetti del gene alfa globinico. Discussione. M.S. 53 anni Riferisce di essere portatore di trait beta talassemi- co. Sposato, ha due figli, lavora come magazziniere. A 50 anni IMA. Durante il ricovero riscontro di anemia. Diagnosi di crisi emolitica in microcitemico. Dopo due mesi dalla dimissione inizia regolare terapia emotrasfusionale (2 unità/15 gg), per ‘anemia in microcitemico’ .Si presenta per approfondimento diagnostico: presenta pallore, iperbilirubinemia indiretta, splenomegalia (diam 15 cm). E’portatore del difetto C-G IVS II.745 e di triplicazione del gene alfa.. Il figlio MD presenta il difetto C-G IVS II.745 e la mutazione alfa IVS I -5 nt, con fenotipo ematologico normale e Hb A2 aumentata. Il figlio MD è portatore della triplicazione alfa e della mutazione C-G IVS II.754, come il padre, e della mutazione alfa IVSI -5 nt. Il fenotipo ematologico è quello di un trait beta talassemico, verosimilmente la contemporanea presenza del trait alfa talassemico determina un fenotipo meno severo (Tabella 9). HB San Cataldo [‚144 (hc1) lys>THR HBB:c.434 a>c]: una nuova variante emoglobinica con incrementata affinità per l’ossigeno Vinciguerra M., Giambona A., Passarello C., Leto F., Li Muli R., Fiorentino G., Cassarà F., Cannata M., Lo Gioco P., Di Salvo V., Renda D., Maggio A. Azienda Ospedaliera “V. Cervello”, Unità Operativa di Ematologia II, Palermo. Introduzione. Sostituzioni amminoacidiche nei punti di contatto tra le catene α e β e nella zona carbossi-terminale della catena globinica, essenziale nell’effetto Bohr e nel legame con 2-3 difosfoglicerato, danno luogo a varianti con alterata affinità per l’ossigeno (O2). Le varianti emoglobiniche con affinità per l’ossigeno aumentata rilasciano meno O2 alla pressione parziale di O2 (PO2) tissutale; ciò determina anemia Tabella 9. 42 Emothal Atti Congresso So.STE Tabella 10. *probando e ipossia con conseguente secrezione a livello renale di eritropoietina, la quale agisce a livello midollare stimolando l’eritropoiesi: l’effetto che ne deriva è la policitemia, da non confondere con la policitemia vera dove aumentano anche leucociti e piastrine. Nella maggior parte dei casi si riscontra un’eritrocitosi familiare associata a livelli elevati di emoglobina; tali varianti sono per lo più asintomatiche e, quindi, vengono identificate solo nel corso di esami ematologici di routine per la presenza di eritrocitosi. Le varianti con affinità per l’ossigeno diminuita sono meno numerose; sono ben ossigenate nei polmoni e rilasciano più facilmente l’O2 ai tessuti. Sono caratterizzate da cianosi fin dai primi giorni di vita e da una leggera anemia. Materiali e Metodi. I soggetti sono stati selezionati durante l’attività di screening per le emoglobinopatie svolta presso il nostro centro. Il probando è una donna di 59 anni afferita al nostro servizio di talassemia; lo studio di primo livello (esame emocromocitometrico completo e determinazione delle frazioni emoglobiniche con cromatografia liquida ad alta pressione – HPLC) ha evidenziato un quadro di eritrocitosi che ha portato ad approfondire il caso con l’analisi molecolare. Il DNA è stato estratto da sangue periferico con il metodo fenolo-cloroformio; il gene β-globinico, amplificato con primers specifici, è stato sequenziato da -130 nt dal CAP a 120 nt dal polyA. Si è, quindi, proceduto con lo studio familiare. Risultati. I dati ematologici del probando (FMC) mostravano un quadro di eritrocitosi non accompagnata da un aumento di leucociti e piastrine; ciò ha escluso la possibilità che si trattasse di policitemia vera. I livelli di emoglobina erano elevati, così come il valore dell’ematocrito (vedi Tabella 10). 43 Il quadro emoglobinico mostrava un valore di HbA2 lievemente incrementato e la presenza di una banda patologica in zona P3 del 41%. L’analisi di sequenza del gene β-globinico ha rilevato una sostituzione nucleotidica nel terzo esone, non descritta in letteratura, e, precisamente, al COD 144 (AAG>ACG); ciò porta ad una sostituzione aminoacidica (lisina>treonina). In letteratura sono riportate tre varianti emoglobiniche che interessano il medesimo codone: Hb Barbizon [β144 (HC1) Lys>Met]; Hb Andrew –Minneapolis [β144 (HC1) Lys>Asn] e Hb Mito [β144 (HC1) Lys>Glu]. In tutti e tre i casi viene riferita un’affinità per l’O2 incrementata. Studi funzionali (curva di dissociazione O2) hanno evidenziato che anche questa nuova alterazione molecolare da noi riscontrata porta ad un incremento dell’affinità per l’ossigeno. Lo studio familiare ha evidenziato la presenza di tale emoglobina variante anche in un altro soggetto di 24 anni (DFL), figlia del probando, che presenta un quadro fenotipico analogo alla madre (vedi Tabella 10). Conclusioni. L’attenta valutazione del quadro ematologico ed emoglobinico è il punto di partenza fondamentale nell’attività di screening per le emoglobinopatie. Nel caso di varianti emoglobiniche, lo studio di primo livello fornisce una diagnosi “presuntiva” cui deve seguire la conferma molecolare; le problematiche principali sono legate alla valutazione delle eventuali alterazioni funzionali di emoglobine varianti non riportate in letteratura come quella da noi riscontrata e, soprattutto, alle interazioni con mutazioni β-trait o βS-trait. Il principale risvolto di tali problematiche è la difficoltà nella formulazione del referto e nel fare un’adeguata consulenza genetica in coppie a rischio. RIASSUNTO DELLE CARATTERISTICHE DEL PRODOTTO EXJADE: 125 mg Compresse dispersibili 1. DENOMINAZIONE DEL MEDICINALE EXJADE 125 mg compresse dispersibili. 2. COMPOSIZIONE QUALITATIVA E QUANTITATIVA Ogni compressa dispersibile contiene 125 mg di deferasirox. Questo medicinale contiene lattosio. Per l’elenco completo degli eccipienti, vedere paragrafo 6.1. 3. FORMA FARMACEUTICA Compressa dispersibile. Compresse di colore biancastro, rotonde, piatte, con bordi smussati ed impresso NVR su un lato e J 125 sull’altro. 4. INFORMAZIONI CLINICHE 4.1 Indicazioni terapeutiche EXJADE è indicato per il trattamento del sovraccarico cronico di ferro dovuto a frequenti emotrasfusioni (≥7 ml/kg/mese di globuli rossi concentrati) in pazienti con beta talassemia major di età pari e superiore a 6 anni. EXJADE è anche indicato per il trattamento del sovraccarico cronico di ferro dovuto a emotrasfusioni quando la terapia con deferoxamina è controindicata o inadeguata nei seguenti gruppi di pazienti: - in pazienti con altre anemie, - in pazienti di età compresa tra 2 e 5 anni, - in pazienti con beta talassemia major con sovraccarico di ferro dovuto a emotrasfusioni non frequenti (<7 ml/kg/mese di globuli rossi concentrati). 4.2 Posologia e modo di somministrazione Il trattamento con EXJADE deve essere iniziato e mantenuto da medici esperti nel trattamento del sovraccarico cronico di ferro dovuto a emotrasfusioni. Si raccomanda di iniziare il trattamento dopo la trasfusione di circa 20 unità (circa 100 ml/kg) di globuli rossi concentrati o quando si evidenzia con il monitoraggio clinico la presenza di un sovraccarico cronico di ferro (es. ferritina sierica >1.000 µg/l). Le dosi (in mg/kg) devono essere calcolate e arrotondate alla compressa intera più vicina. Gli obiettivi della terapia di chelazione del ferro sono di eliminare la quantità di ferro somministrata nelle trasfusioni e, secondo necessità, di ridurre il carico di ferro esistente. Dose iniziale La dose giornaliera iniziale raccomandata di EXJADE è di 20 mg/kg di peso corporeo. Può essere considerata una dose iniziale giornaliera di 30 mg/kg per i pazienti che necessitano di ridurre livelli corporei elevati di ferro e che stanno anche ricevendo più di 14 ml/kg/mese di globuli rossi concentrati (circa >4 unità/mese per un adulto). Può essere considerata una dose iniziale giornaliera di 10 mg/kg per i pazienti che non necessitano di ridurre i livelli corporei di ferro e che stanno anche ricevendo meno di 7 ml/kg/mese di globuli rossi concentrati (circa <2 unità/mese per un adulto). Si deve controllare la risposta del paziente e se non si ottiene una sufficiente efficacia deve essere preso in considerazione un aumento della dose (vedere paragrafo 5.1). Per i pazienti già adeguatamente trattati con deferoxamina, potrebbe essere considerata una dose iniziale di EXJADE che sia numericamente pari alla metà della dose di deferoxamina (es. un paziente che riceve 40 mg/kg/die di deferoxamina per 5 giorni la settimana (o equivalente) potrebbe passare ad una dose iniziale giornaliera di 20 mg/kg/die di EXJADE). Quando ciò comporta una dose giornaliera minore di 20 mg/kg di peso corporeo, si deve controllare la risposta del paziente e se non si ottiene una sufficiente efficacia deve essere preso in considerazione un aumento della dose (vedere paragrafo 5.1). Dose di mantenimento Si raccomanda di monitorare la ferritina sierica ogni mese e di aggiustare la dose di EXJADE, se necessario, ogni 3-6 mesi, sulla base dell’andamento dei valori della ferritina sierica. Gli aggiustamenti della dose possono essere effettuati in intervalli compresi tra 5 e 10 mg/kg e devono essere adattati alla risposta e agli obiettivi terapeutici del singolo paziente (mantenimento o riduzione del carico di ferro). Non sono raccomandate dosi superiori a 30 mg/kg perché vi è solo un’esperienza limitata con dosi superiori a questo livello. Se la ferritina sierica scende costantemente sotto 500 μg/l, deve essere considerata la possibilità di interrompere il trattamento (vedere paragrafo 4.4). Preparazione EXJADE deve essere assunto una volta al giorno a stomaco vuoto, almeno 30 minuti prima dell’assunzione di cibo, preferibilmente ogni giorno alla stessa ora (vedere paragrafi 4.5 e 5.2). Le compresse vengono disciolte mescolandole in un bicchiere d’acqua o di succo d’arancia o di mela (100-200 ml), fino a ottenere una sospensione fine. Dopo aver ingerito la sospensione, l’eventuale residuo deve essere risospeso in una piccola quantità d’acqua o di succo e ingerito. Le compresse non devono essere masticate né ingerite intere (vedere anche paragrafo 6.2). Pazienti anziani (>65 anni) Le raccomandazioni posologiche per i pazienti anziani sono uguali a quelle descritte in precedenza. Pazienti pediatrici (da 2 a 17 anni) Le raccomandazioni posologiche per i pazienti pediatrici sono le stesse previste per i pazienti adulti. Il calcolo della dose deve tenere in considerazione le variazioni ponderali dei pazienti pediatrici nel corso del tempo. Nei bambini di età compresa tra 2 e 5 anni, l’esposizione è minore rispetto a quella degli adulti (vedere paragrafo 5.2). Di conseguenza pazienti in questo gruppo di età potrebbero necessitare di dosi maggiori di quelle necessarie negli adulti. Tuttavia la dose iniziale deve essere uguale a quella prevista negli adulti, seguita da una titolazione individuale. Pazienti con compromissione della funzionalità renale EXJADE non è stato studiato in pazienti con compromissione della funzionalità renale ed è controindicato in pazienti con clearance della creatinina stimata <60 ml/min (vedere paragrafi 4.3 e 4.4). Pazienti con compromissione della funzionalità epatica EXJADE non è stato studiato nei pazienti con compromissione della funzionalità epatica e deve essere usato con cautela in tali pazienti. Le raccomandazioni di dosaggio iniziale per pazienti con compromissione della funzionalità epatica sono uguali a quelle sopra descritte. La funzionalità epatica deve essere controllata in tutti i pazienti prima del trattamento e quindi ogni mese (vedere paragrafo 4.4). 4.3 Controindicazioni Ipersensibilità al principio attivo o ad uno qualsiasi degli eccipienti. Associazione con altre terapie ferrochelanti in quanto non è stata stabilita la sicurezza di tali combinazioni (vedere paragrafo 4.5). Pazienti con clearance della creatinina stimata <60 ml/min. 4.4 Avvertenze speciali e precauzioni di impiego Funzione renale: EXJADE è stato studiato solo in pazienti con creatinina sierica al basale nell’intervallo di normalità appropriato per età. Durante gli studi clinici, un aumento >33% della creatinina sierica in ≥2 occasioni consecutive, talvolta al di sopra del limite superiore dell’intervallo di normalità, si è verificato in circa il 36% dei pazienti. Tale aumento era dose dipendente. In circa due terzi dei pazienti che mostravano un aumento della creatinina sierica, essa ritornava a livelli al di sotto del 33% senza aggiustamento della dose. Nella restante parte dei pazienti l’aumento della creatinina sierica non rispondeva sempre ad una riduzione della dose o all’interruzione del trattamento. Sono stati riportati casi di insufficienza renale acuta dopo l’uso post-marketing di EXJADE (vedere paragrafo 4.8). Le cause dell’aumento della creatinina sierica non sono state chiarite. Pertanto si deve porre particolare attenzione al monitoraggio della creatinina sierica in pazienti che stanno ricevendo alte dosi di EXJADE e/o bassa frequenza di emotrasfusioni (<7 mg/kg/mese di globuli rossi concentrati o <2 unità/mese per un adulto). Si raccomanda di valutare la creatinina sierica due volte prima di iniziare la terapia. La creatinina sierica, la clearance della creatinina (stimate con la formula di Cockcroft-Gault o MDRD negli adulti e con la formula di Schwartz nei bambini) e/o i livelli plasmatici di cistatina C devono essere monitorati settimanalmente nel primo mese dopo l’inizio o la modifica della terapia con EXJADE, e successivamente una volta al mese. Pazienti con disturbi renali pregressi e pazienti che assumono medicinali che deprimono la funzione renale possono presentare un maggior rischio di complicanze. Si deve prestare attenzione nel mantenere un’adeguata idratazione in pazienti che presentano diarrea o vomito. Per i pazienti adulti, la dose giornaliera può essere ridotta di 10 mg/kg se si osserva, in due visite consecutive, un aumento della creatinina sierica di >33% al di sopra della media dei valori misurati prima del trattamento ed una riduzione della clearance della creatinina stimata al di sotto del limite inferiore dell’intervallo di normalità (<90 ml/min) e se ciò non è attribuibile ad altre cause (vedere paragrafo 4.2). Per i pazienti pediatrici, la dose può essere ridotta di 10 mg/kg se la clearance della creatinina stimata scende al di sotto del limite inferiore dell’intervallo di normalità (<90 ml/min) e/o i livelli della creatinina sierica, in due visite consecutive, aumentano oltre il limite superiore di normalità appropriato per l’età. Se, dopo una riduzione della dose, nei pazienti adulti e pediatrici si osserva un aumento della creatinina sierica >33% al di sopra della media dei valori misurati prima del trattamento e/o la clearance della creatinina calcolata scende al di sotto del limite inferiore dell’intervallo di normalità, il trattamento deve essere interrotto. Il trattamento può essere ripreso a seconda delle circostanze cliniche individuali. Particolare attenzione deve essere prestata anche al monitoraggio della creatinina sierica nei pazienti che assumono in concomitanza medicinali che deprimono la funzione renale. Devono essere eseguiti ogni mese i test della proteinuria. Se necessario, possono essere anche monitorati altri marker della funzione tubulare renale (ad es. glicosuria in pazienti non diabetici e bassi livelli sierici di potassio, di fosfato, di magnesio o urati, fosfaturia, aminoaciduria). La riduzione della dose o l’interruzione del trattamento possono essere considerate se ci sono anomalie nei livelli dei marker della funzione tubulare e/o se clinicamente indicato. Se, nonostante la riduzione della dose o l’interruzione del trattamento, la creatinina sierica rimane significativamente elevata e se c’è anche una persistente anomalia in un altro marker della funzione renale (per es. proteinuria, Sindrome di Fanconi), il paziente deve essere indirizzato ad un nefrologo, e possono essere considerati ulteriori esami specialistici (come la biopsia renale). Funzione epatica: Nei pazienti trattati con EXJADE si è osservato un innalzamento dei test di funzionalità epatica. In pazienti trattati con EXJADE, dopo la commercializzazione, sono stati riportati casi di insufficienza epatica, alcuni ad esito fatale. La maggior parte dei casi di insufficienza epatica riguardava pazienti con morbilità significative, inclusa preesistente cirrosi epatica. Tuttavia, non è possibile escludere il ruolo di EXJADE come fattore contribuente o aggravante (vedere paragrafo 4.8). Si raccomanda di controllare transaminasi sieriche, bilirubina e fosfatasi alcalina prima dell’inizio del trattamento, ogni 2 settimane durante il primo mese e poi mensilmente. Qualora vi sia un aumento persistente e progressivo dei livelli delle transaminasi sieriche non attribuibile ad altre cause, EXJADE deve essere interrotto. Una volta chiarita la causa delle anomalie nei test di funzionalità epatica o dopo il ritorno ai livelli normali, può essere considerata una cauta ripresa del trattamento ad una dose inferiore, seguita da un graduale aumento della dose. EXJADE non è raccomandato in pazienti con grave compromissione epatica in quanto non è stato studiato in tali pazienti. Il trattamento è stato avviato solo in pazienti con livelli basali di transaminasi epatiche fino a 5 volte il limite superiore della norma (vedere paragrafo 5.2). Ulcera ed emorragia a carico del tratto gastrointestinale superiore sono state segnalate in pazienti in trattamento con EXJADE, inclusi bambini e adolescenti. In alcuni pazienti sono state osservate ulcere multiple (vedere paragrafo 4.8). Durante la terapia con EXJADE i medici e i pazienti devono prestare attenzione all’insorgenza di segni e sintomi di ulcerazioni ed emorragie gastrointestinali e iniziare prontamente una valutazione e un trattamento concomitante se si sospetta un evento avverso grave gastrointestinale. Si deve prestare attenzione nei pazienti che assumono EXJADE in combinazione con medicinali che hanno un riconosciuto potenziale ulcerogeno, come i farmaci antinfiammatori non-steroidei, i corticosteroidi, o i bifosfonati orali, e nei pazienti in trattamento con anticoagulanti (vedere paragrafo 4.5 Interazioni con altri medicinali ed altre forme di interazione). Durante il trattamento con EXJADE possono comparire eruzioni cutanee. Nella maggior parte dei casi le eruzioni cutanee si risolvono spontaneamente. Qualora fosse necessaria l’interruzione del trattamento, il trattamento può essere ripreso dopo la risoluzione dell’eruzione, ad un dosaggio inferiore che potrà poi essere gradualmente aumentato. In casi gravi, la ripresa del trattamento può essere effettuata in associazione alla somministrazione di steroidi per via orale per un breve periodo. Sono stati segnalati casi di gravi reazioni di ipersensibilità (come anafilassi e angioedema) in pazienti in trattamento con EXJADE, con insorgenza della reazione nella maggior parte dei casi entro il primo mese di trattamento (vedere paragrafo 4.8). Nel caso di insorgenza di tali reazioni, si deve interrompere EXJADE ed istituire un intervento medico appropriato. Sono stati segnalati disturbi uditivi (diminuzione dell’udito) ed oculari (opacità del cristallino) (vedere paragrafo 4.8). Si raccomanda di effettuare esami uditivi ed oftalmici (incluso la fondoscopia) prima dell’inizio del trattamento e successivamente ad intervalli regolari (ogni 12 mesi). Se si nota la comparsa di disturbi durante il trattamento, può essere considerata una riduzione della dose o l’interruzione del trattamento. Si raccomanda di monitorare mensilmente i livelli di ferritina sierica per valutare la risposta del paziente alla terapia (vedere paragrafo 4.2). Se la ferritina sierica scende costantemente al di sotto 500 μg/l, deve essere considerata la possibilità di un’interruzione del trattamento. I risultati dei test di creatinina sierica, di ferritina sierica e delle transaminasi sieriche devono essere registrati e valutati con regolarità per monitorarne l’andamento. I risultati devono essere anche riportati nel quaderno fornito al paziente. Negli studi clinici ad 1 anno il trattamento con EXJADE non ha influenzato la crescita e lo sviluppo sessuale di pazienti pediatrici trattati. Tuttavia, come misura precauzionale generale per la gestione di pazienti pediatrici con sovraccarico di ferro dovuto a emotrasfusioni, il peso corporeo, la crescita e lo sviluppo sessuale devono essere monitorati a intervalli regolari (ogni 12 mesi). La disfunzione cardiaca è una complicanza nota del sovraccarico di ferro di grado severo. Nei pazienti con grave sovraccarico di ferro, la funzione cardiaca deve essere monitorata durante il trattamento a lungo termine con EXJADE. Le compresse contengono lattosio (1,1 mg di lattosio per ogni mg di deferasirox). I pazienti affetti da rari problemi ereditari di intolleranza al galattosio, da deficit di Lapp lattasi, da malassorbimento di glucosio-galattosio o grave deficit di lattasi non devono assumere questo medicinale. Non è raccomandato l’uso concomitante di deferasirox con preparati antiacidi contenenti allumino (vedere paragrafo 4.5). 4.5 Interazioni con altri medicinali ed altre forme di interazione La somministrazione concomitante di EXJADE e preparati antiacidi contenenti alluminio non è stata formalmente studiata. Anche se deferasirox ha una minore affinità per l’alluminio rispetto al ferro, non è raccomandata l’assunzione di EXJADE compresse con preparati antiacidi contenenti alluminio (vedere paragrafo 4.4). La biodisponibilità di deferasirox è risultata aumentata in misura variabile quando l’assunzione è concomitante con il cibo. EXJADE deve essere pertanto preso a stomaco vuoto almeno 30 minuti prima dell’assunzione di cibo, preferibilmente ogni giorno alla stessa ora (vedere paragrafi 4.2 e 5.2). Deferasirox viene metabolizzato a carico degli enzimi UGT. Non si può escludere una diminuzione della sua concentrazione plasmatica quando è somministrato con potenti induttori degli enzimi UGT come rifampicina, fenobarbitale o fenitoina. Si deve monitorare la ferritina sierica del paziente durante e dopo il trattamento concomitante e, se necessario aggiustare la dose di EXJADE. In uno studio su volontari sani, la concomitante somministrazione di EXJADE e midazolam (substrato del citocromo CYP3A4) ha determinato una diminuzione dell’esposizione di midazolam del 17% (90% IC: 8% - 26%). Nella pratica clinica questo effetto può essere più marcato. Pertanto si deve prestare attenzione quando deferasirox è associato a farmaci metabolizzati attraverso il CYP3A4 (es. ciclosporina, simvastatina, contraccettivi ormonali, bepridil, ergotamina) data la possibile riduzione della loro efficacia. Non è stata stabilita la sicurezza di EXJADE in associazione con altri chelanti del ferro. Pertanto non deve essere associato ad altre terapie ferrochelanti (vedere paragrafo 4.3). Non è stata osservata nessuna interazione tra EXJADE e digossina in volontari adulti sani. Non può essere esclusa un’interazione tra deferasirox e substrati del CYP2C8 come paclitaxel e repaglinide. La somministrazione concomitante di EXJADE e vitamina C non è stata formalmente studiata. Dosi di vitamina C fino a 200 mg al giorno non sono state associate a conseguenze avverse. La somministrazione concomitante di EXJADE e sostanze che hanno un riconosciuto potenziale ulcerogeno, come i farmaci antinfiammatori non-steroidei (incluso l’acido acetilsalicilico ad alto dosaggio), i corticosteroidi, o i bifosfonati orali, così come gli anticoagulanti può aumentare il rischio di tossicità gastrointestinale (vedere paragrafo 4.4). EXJADE può anche aumentare il rischio di emorragia degli anticoagulanti. Uno stretto monitoraggio clinico deve essere attuato quando deferasirox è associato con questi medicinali. 4.6 Gravidanza e allattamento Gravidanza Per deferasirox non sono disponibili dati clinici relativi a gravidanze esposte. Gli studi su animali hanno evidenziato una tossicità riproduttiva alle dosi risultate tossiche per la madre (vedere paragrafo 5.3). Il rischio potenziale per gli esseri umani non è noto. A titolo precauzionale, si raccomanda di non usare EXJADE durante la gravidanza se non in caso di assoluta necessità. Allattamento Negli studi sugli animali, è stato riscontrato che deferasirox viene escreto rapidamente e ampiamente nel latte materno. Non sono stati osservati effetti sulla prole. Non è noto se deferasirox sia escreto nel latte umano. L’allattamento non è raccomandato durante l’assunzione di EXJADE. Fertilità Non sono disponibili dati sulla fertilità per l’uomo. Negli animali, non sono stati riscontrati effetti avversi sulla fertilità maschile o femminile (vedere paragrafo 5.3). 4.7 Effetti sulla capacità di guidare veicoli e sull’uso di macchinari Non sono stati effettuati studi sugli effetti di EXJADE sulla capacità di guidare veicoli e sull’uso di macchinari. I pazienti che notano la comparsa di capogiri, reazione avversa non comune, devono prestare cautela nella guida di veicoli o nell’uso di macchinari (vedere paragrafo 4.8). 4.8 Effetti indesiderati Le reazioni più frequenti segnalate durante il trattamento cronico con EXJADE in pazienti adulti e pediatrici comprendono disturbi gastrointestinali in circa il 26% dei pazienti (principalmente nausea, vomito, diarrea o dolore addominale) ed eruzione cutanea in circa il 7% dei pazienti. La diarrea è stata segnalata più comunemente nei pazienti pediatrici di età compresa tra i 2 e i 5 anni rispetto ai pazienti di età superiore. Queste reazioni sono dipendenti dalla dose, per lo più di intensità da lieve a moderata, generalmente transitorie e si risolvono nella maggior parte dei casi anche se si continua il trattamento. Durante gli studi clinici in circa il 36% dei pazienti si sono verificati aumenti >33% della creatinina sierica in ≥2 determinazioni consecutive, alcune volte al di sopra del limite superiore dell’intervallo di normalità. Essi erano dose dipendente. Circa due terzi dei pazienti che hanno mostrato un aumento della creatinina sierica sono ritornati al livello al di sotto del 33% senza aggiustamento della dose. Nei rimanenti pazienti l’aumento della creatinina sierica non rispondeva sempre ad una riduzione della dose o ad un’interruzione del trattamento. Infatti in alcuni casi dopo la riduzione della dose si è osservata solo una stabilizzazione dei valori di creatinina sierica (vedere paragrafo 4.4). In circa il 2% dei pazienti sono stati segnalati calcoli biliari e disordini biliari correlati. Aumento delle transaminasi è stato riportato come reazione avversa al farmaco nel 2% dei pazienti. Un aumento delle transaminasi più di 10 volte il limite superiore dell’intervallo di normalità, indicativo di epatite, è stato non comune (0,3%). Durante l’esperienza post-marketing, è stata riportata con EXJADE insufficienza epatica, talvolta fatale, specialmente nei pazienti con preesistente cirrosi epatica (vedere paragrafo 4.4). Come con altri trattamenti chelanti del ferro, ipoacusia alle alte frequenze e opacità del cristallino (cataratta precoce) sono stati osservati non comunemente nei pazienti trattati con EXJADE (vedere paragrafo 4.4). Le reazioni avverse sono classificate di seguito usando la seguente convenzione: molto comune (≥1/10); comune (≥1/100, <1/10); non comune (≥1/1.000, <1/100); raro (≥1/10.000, <1/1.000); molto raro (<1/10.000); non nota (la frequenza non può essere definita sulla base dei dati disponibili). All’interno di ciascuna classe di frequenza, le reazioni avverse sono riportate in ordine decrescente di gravità. Patologie Molto comune Patologie del sistema nervoso Comune Non comune Cefalea Capogiri Patologie dell’occhio Cataratta precoce, maculopatia Patologie dell’orecchio e del labirinto Perdita dell’udito Patologie respiratorie, toraciche e mediastiniche Dolore faringolaringeo Patologie gastrointestinali Patologie renali e urinarie Patologie della cute e del tessuto sottocutaneo Aumento della creatinina ematica Esofagite Emorragia gastrointestinale, ulcera gastrica (incluso ulcere multiple), ulcera duodenale, gastrite Proteinuria Tubulopatia renale (sindrome di Fanconi acquisita), glicosuria Insufficienza renale acuta1 Eruzione cutanea, prurito Disturbi della pigmentazione Orticaria1 Piressia, edema, affaticamento Disturbi del sistema immunitario Disturbi psichiatrici Non nota Diarrea, stipsi, vomito, nausea, dolore addominale, distensione addominale, dispepsia Patologie sistemiche e condizioni relative alla sede di somministrazione Patologie epatobiliari Raro Reazioni di ipersensibilità (inclusi anafilassi e angioedema)1 Aumento delle transaminasi Epatite, colelitiasi Insufficienza epatica1 Ansia, disturbi del sonno Reazioni avverse segnalate durante l’esperienza post-marketing. Esse derivano da segnalazioni spontanee per le quali non è sempre possibile stabilire in modo sicuro la frequenza o una relazione causale con l’esposizione al medicinale. 4.9 Sovradosaggio Sono stati riportati casi di sovradosaggio (2-3 volte la dose prescritta per diverse settimane). In un caso, ciò ha portato ad epatite subclinica che si è risolta dopo un’interruzione del trattamento. In pazienti talassemici con sovraccarico di ferro dosi singole di 80 mg/kg hanno causato lieve nausea e diarrea. Segni acuti di sovradosaggio possono comprendere nausea, vomito, cefalea e diarrea. Il sovradosaggio può essere trattato mediante l’induzione di emesi o con lavanda gastrica, e con trattamento sintomatico. 5. PROPRIETÀ FARMACOLOGICHE 5.1 Proprietà farmacodinamiche Categoria farmacoterapeutica: Agente chelante del ferro, codice ATC: V03AC03. Deferasirox è un chelante attivo per via orale, altamente selettivo per il ferro (III). È un legante tridentato che lega il ferro con elevata affinità in un rapporto 2:1. Deferasirox favorisce l’escrezione di ferro, principalmente nelle feci. Deferasirox ha una bassa affinità per lo zinco ed il rame e non causa una diminuzione costante dei livelli sierici di tali metalli. In uno studio metabolico sul bilancio del ferro in pazienti adulti talassemici con sovraccarico di ferro, EXJADE a dosi giornaliere di 10, 20 e 40 mg/kg ha indotto l’escrezione netta media rispettivamente di 0,119, 0,329 e 0,445 mg di Fe/kg di peso corporeo/die. EXJADE è stato studiato su 411 pazienti adulti (età ≥16 anni) e 292 pazienti pediatrici (età da 2 a <16 anni) con sovraccarico di ferro cronico dovuto a emotrasfusioni. Dei pazienti pediatrici, 52 avevano un’età compresa tra 2 e 5 anni. Le condizioni di base che richiedevano la trasfusione comprendevano beta-talassemia, anemia falciforme ed altre anemie congenite ed acquisite (sindromi mielodisplastiche, sindrome di Diamond-Blackfan, anemia aplastica ed altre anemie molto rare). Il trattamento giornaliero di pazienti adulti e pediatrici con beta-talassemia, sottoposti a frequenti trasfusioni, a dosi di 20 e 30 mg/kg per un anno ha portato alla riduzione degli indicatori del ferro corporeo totale; la concentrazione epatica di ferro risultava ridotta rispettivamente di circa 0,4 e 8,9 mg Fe/g di fegato (peso secco da biopsia) in media e la ferritina sierica risultava ridotta rispettivamente di circa 36 e 926 μg/l in media. A queste stesse dosi i rapporti tra escrezione di ferro e assunzione di ferro erano rispettivamente di 1,02 (indicando un bilancio di ferro netto) e 1,67 (indicando un’eliminazione di ferro netta). EXJADE ha indotto risposte simili in pazienti con sovraccarico di ferro affetti da altre anemie. Dosi giornaliere di 10 mg/kg per un anno possono mantenere i livelli di ferro epatico e di ferritina sierica e indurre un bilancio di ferro netto in pazienti sottoposti a trasfusioni non frequenti o eritrocitoaferesi. La ferritina sierica valutata con monitoraggio mensile ha rispecchiato le modifiche della concentrazione epatica di ferro, indicando che l’andamento della ferritina sierica può essere utilizzato per monitorare la risposta alla terapia. I limitati dati clinici (29 pazienti con funzione cardiaca normale al basale) con l’uso della MRI indicano che il trattamento con EXJADE 10-30 mg/kg/die per 1 anno può ridurre anche i livelli di ferro nel cuore (in media, l’aumento del MRI T2* è stato da 18,3 a 23,0 millisecondi). L’analisi principale dello studio pivotale di confronto condotto in 586 pazienti affetti da beta talassemia e sovraccarico di ferro dovuto a emotrasfusioni non ha dimostrato la non inferiorità di EXJADE nei confronti di deferoxamina nell’analisi della popolazione totale di pazienti. Da una analisi post-hoc di questo studio si evidenzia che nel sottogruppo di pazienti con concentrazione di ferro epatico ≥7 mg Fe/g di peso secco trattati con EXJADE (20 e 30 mg/kg) o deferoxamina (da 35 a ≥50 mg/kg), sono stati raggiunti i criteri di non inferiorità. Tuttavia nei pazienti con concentrazione di ferro epatico <7 mg Fe/g di peso secco trattati con EXJADE (5 e 10 mg/kg) o deferoxamina 1 (da 20 a 35 mg/kg), non è stata stabilita la non inferiorità a causa dello squilibrio della dose dei due chelanti. Questo squilibrio si è presentato in quanto ai pazienti in trattamento con deferoxamina era permesso di rimanere alla dose assunta nella fase di pre-studio anche se maggiore della dose specificata dal protocollo. 56 pazienti di età inferiore ai 6 anni hanno partecipato allo studio pivotale, di cui 28 hanno ricevuto EXJADE. Gli studi preclinici e clinici hanno mostrato che EXJADE può essere attivo come deferoxamina quando utilizzato in un rapporto di dose 2:1 (es. una dose di EXJADE è numericamente la metà della dose di deferoxamina). Tuttavia questa raccomandazione posologica non è stata valutata in modo prospettico negli studi clinici. Inoltre in pazienti con concentrazione di ferro epatico ≥7 mg Fe/g di peso secco affetti da diverse rare anemie o da anemia falciforme, EXJADE fino a 20 e 30 mg/kg provoca una diminuzione della concentrazione epatica di ferro e della ferritina sierica paragonabile a quanto ottenuto nei pazienti con beta talassemia. 5.2 Proprietà farmacocinetiche Assorbimento Deferasirox viene assorbito dopo somministrazione orale con un tempo mediano alla concentrazione plasmatica massima (tmax) di circa da 1,5 a 4 ore. La biodisponibilità assoluta (AUC) di deferasirox da EXJADE compresse è di circa il 70% rispetto a una dose per via endovenosa. L’esposizione totale (AUC) è risultata approssimativamente raddoppiata quando assunto con un pasto ad alto contenuto di grassi (contenuto di grassi >50% delle calorie) e aumentata di circa il 50% quando assunto con un pasto standard. La biodisponibilità (AUC) di deferasirox è risultata moderatamente (circa 13-25%) più elevata se l’assunzione avveniva 30 minuti prima di pasti con contenuto di grassi normale o elevato. Distribuzione Deferasirox è altamente (99%) legato alle proteine plasmatiche, quasi esclusivamente all’albumina sierica, e ha un esiguo volume di distribuzione di circa 14 litri negli adulti. Biotrasformazione La glucoronidazione è la via metabolica principale per deferasirox, con successiva escrezione biliare. È probabile che si verifichi la deconiugazione dei glucuronidati nell’intestino e il successivo riassorbimento (ricircolo enteroepatico). Deferasirox è principalmente glucuronidato tramite UGT1A1 e in misura minore UGT1A3. Il metabolismo (ossidativo) di deferasirox catalizzato dal CYP450 sembra essere minore nell’uomo (circa l’8%). In vitro non è stata osservata inibizione del metabolismo di deferasirox dall’idrossiurea. Eliminazione Deferasirox e i suoi metaboliti sono escreti principalmente nelle feci (84% della dose). L’escrezione renale di deferasirox e dei suoi metaboliti è minima (8% della dose). L’emivita di eliminazione media (t1/2) varia da 8 a 16 ore. I trasportatori MRP2 e MXR (BCRP) sono coinvolti nell’escrezione biliare di deferasirox. Linearità / non linearità In condizioni di steady-state, la Cmax e l’AUC0-24h di deferasirox aumentano in modo approssimativamente lineare con la dose. Con somministrazioni multiple, l’esposizione aumenta di un fattore di accumulo da 1,3 a 2,3. Caratteristiche dei pazienti Pazienti pediatrici L’esposizione complessiva degli adolescenti (da 12 a ≤17 anni) e dei bambini (da 2 a <12 anni) a deferasirox, dopo dosi singole e ripetute, è stata inferiore rispetto ai pazienti adulti. Nei bambini di età inferiore a 6 anni, l’esposizione è stata di circa il 50% inferiore a quella degli adulti. Dal momento che il dosaggio viene aggiustato su base individuale secondo la risposta, non si prevede che ciò abbia conseguenze cliniche. Sesso Le femmine hanno una clearance apparente moderatamente più bassa (del 17,5%) per il deferasirox rispetto ai maschi. Poiché il dosaggio viene aggiustato su base individuale secondo la risposta, non si prevede che ciò abbia conseguenze cliniche. Pazienti anziani La farmacocinetica di deferasirox non è stata studiata in pazienti anziani (di età pari o superiore a 65 anni). Insufficienza renale o epatica La farmacocinetica di deferasirox non è stata studiata in pazienti con insufficienza renale o epatica. La farmacocinetica di deferasirox non è influenzata da livelli di transaminasi epatiche fino a 5 volte il limite superiore dell’intervallo di normalità. 5.3 Dati preclinici di sicurezza I dati preclinici non rivelano rischi particolari per i pazienti con sovraccarico di ferro sulla base di studi convenzionali di safety pharmacology, tossicità a dosi ripetute, genotossicità o potenziale cancerogeno. Le evidenze principali sono state tossicità renale ed opacità del cristallino (cataratta). Evidenze simili sono state osservate in animali neonati e giovani. Si ritiene che la tossicità renale sia principalmente dovuta alla perdita del ferro in animali che non avevano un precedente sovraccarico di ferro. I test di genotossicità in vitro sono risultati negativi (test di Ames, test di aberrazione cromosomica) o positivi (screen V79). Deferasirox ha causato la formazione di micronuclei in vivo nel midollo osseo, ma non nel fegato, in ratti cui non era stato somministrato un carico di ferro a dosi letali. Non sono stati osservati tali effetti in ratti cui non era stato somministrato un carico di ferro. Deferasirox non è risultato cancerogeno quando somministrato nei ratti in uno studio della durata di 2 anni e nei topi eterozigoti p53+/- transgenici in uno studio della durata di 6 mesi. Il potenziale di tossicità riproduttiva è stato valutato nel ratto e nel coniglio. Deferasirox non è risultato teratogeno, ma ha causato a dosi elevate risultate gravemente tossiche per la madre non sovraccaricata di ferro, un aumento della frequenza di variazioni scheletriche e nati morti nel ratto. Deferasirox non ha causato altri effetti sulla fertilità o sulla riproduzione. 6. INFORMAZIONI FARMACEUTICHE 6.1 Elenco degli eccipienti Lattosio monoidrato - Crospovidone tipo A - Cellulosa microcristallina - Povidone - Sodio laurilsolfato - Silice colloidale anidra - Magnesio stearato. 6.2 Incompatibilità Non è raccomandata la dispersione in bevande gassate o nel latte a causa, rispettivamente, della formazione di schiuma e della lenta dispersione. Le compresse non devono essere masticate né ingerite intere. 6.3 Periodo di validità 3 anni. 6.4 Precauzioni particolari per la conservazione Conservare nella confezione originale per tenerlo al riparo dall’umidità. 6.5 Natura e contenuto del contenitore Blisters PVC/PE/PVDC/Alluminio. Confezioni contenenti 28 o 84 compresse dispersibili. è possibile che non tutte le confezioni siano commercializzate. 6.6 Precauzioni particolari per lo smaltimento Nessuna istruzione particolare. 7. TITOLARE DELL’AUTORIZZAZIONE ALL’IMMISSIONE IN COMMERCIO Novartis Europharm Limited - Wimblehurst Road - Horsham - West Sussex, RH12 5AB - Regno Unito. 8. NUMERO(I) DELL’AUTORIZZAZIONE ALL’IMMISSIONE IN COMMERCIO EU/1/06/356/001 EU/1/06/356/002 9. DATA DELLA PRIMA AUTORIZZAZIONE/RINNOVO DELL’AUTORIZZAZIONE 28.08.2006 10. DATA DI REVISIONE DEL TESTO 07/2008 EXJADE: 250 mg Compresse dispersibili 1. DENOMINAZIONE DEL MEDICINALE EXJADE 250 mg compresse dispersibili. 2. COMPOSIZIONE QUALITATIVA E QUANTITATIVA Ogni compressa dispersibile contiene 250 mg di deferasirox. Questo medicinale contiene lattosio. Per l’elenco completo degli eccipienti, vedere paragrafo 6.1. 3. FORMA FARMACEUTICA Compressa dispersibile. Compresse di colore biancastro, rotonde, piatte, con bordi smussati ed impresso NVR su un lato e J 250 sull’altro. 4. INFORMAZIONI CLINICHE 4.1 Indicazioni terapeutiche EXJADE è indicato per il trattamento del sovraccarico cronico di ferro dovuto a frequenti emotrasfusioni (≥7 ml/kg/mese di globuli rossi concentrati) in pazienti con beta talassemia major di età pari e superiore a 6 anni. EXJADE è anche indicato per il trattamento del sovraccarico cronico di ferro dovuto a emotrasfusioni quando la terapia con deferoxamina è controindicata o inadeguata nei seguenti gruppi di pazienti: - in pazienti con altre anemie, - in pazienti di età compresa tra 2 e 5 anni, - in pazienti con beta talassemia major con sovraccarico di ferro dovuto a emotrasfusioni non frequenti (<7 ml/kg/mese di globuli rossi concentrati). 4.2 Posologia e modo di somministrazione Il trattamento con EXJADE deve essere iniziato e mantenuto da medici esperti nel trattamento del sovraccarico cronico di ferro dovuto a emotrasfusioni. Si raccomanda di iniziare il trattamento dopo la trasfusione di circa 20 unità (circa 100 ml/kg) di globuli rossi concentrati o quando si evidenzia con il monitoraggio clinico la presenza di un sovraccarico cronico di ferro (es. ferritina sierica >1.000 µg/l). Le dosi (in mg/kg) devono essere calcolate e arrotondate alla compressa intera più vicina. Gli obiettivi della terapia di chelazione del ferro sono di eliminare la quantità di ferro somministrata nelle trasfusioni e, secondo necessità, di ridurre il carico di ferro esistente. Dose iniziale La dose giornaliera iniziale raccomandata di EXJADE è di 20 mg/kg di peso corporeo. Può essere considerata una dose iniziale giornaliera di 30 mg/kg per i pazienti che necessitano di ridurre livelli corporei elevati di ferro e che stanno anche ricevendo più di 14 ml/kg/mese di globuli rossi concentrati (circa >4 unità/mese per un adulto). Può essere considerata una dose iniziale giornaliera di 10 mg/kg per i pazienti che non necessitano di ridurre i livelli corporei di ferro e che stanno anche ricevendo meno di 7 ml/kg/mese di globuli rossi concentrati (circa <2 unità/mese per un adulto). Si deve controllare la risposta del paziente e se non si ottiene una sufficiente efficacia deve essere preso in considerazione un aumento della dose (vedere paragrafo 5.1). Per i pazienti già adeguatamente trattati con deferoxamina, potrebbe essere considerata una dose iniziale di EXJADE che sia numericamente pari alla metà della dose di deferoxamina (es. un paziente che riceve 40 mg/kg/die di deferoxamina per 5 giorni la settimana (o equivalente) potrebbe passare ad una dose iniziale giornaliera di 20 mg/kg/die di EXJADE). Quando ciò comporta una dose giornaliera minore di 20 mg/kg di peso corporeo, si deve controllare la risposta del paziente e se non si ottiene una sufficiente efficacia deve essere preso in considerazione un aumento della dose (vedere paragrafo 5.1). Dose di mantenimento Si raccomanda di monitorare la ferritina sierica ogni mese e di aggiustare la dose di EXJADE, se necessario, ogni 3-6 mesi, sulla base dell’andamento dei valori della ferritina sierica. Gli aggiustamenti della dose possono essere effettuati in intervalli compresi tra 5 e 10 mg/kg e devono essere adattati alla risposta e agli obiettivi terapeutici del singolo paziente (mantenimento o riduzione del carico di ferro). Non sono raccomandate dosi superiori a 30 mg/kg perché vi è solo un’esperienza limitata con dosi superiori a questo livello. Se la ferritina sierica scende costantemente sotto 500 μg/l, deve essere considerata la possibilità di interrompere il trattamento (vedere paragrafo 4.4). Preparazione EXJADE deve essere assunto una volta al giorno a stomaco vuoto, almeno 30 minuti prima dell’assunzione di cibo, preferibilmente ogni giorno alla stessa ora (vedere paragrafi 4.5 e 5.2). Le compresse vengono disciolte mescolandole in un bicchiere d’acqua o di succo d’arancia o di mela (100-200 ml), fino a ottenere una sospensione fine. Dopo aver ingerito la sospensione, l’eventuale residuo deve essere risospeso in una piccola quantità d’acqua o di succo e ingerito. Le compresse non devono essere masticate né ingerite intere (vedere anche paragrafo 6.2). Pazienti anziani (≥65 anni) Le raccomandazioni posologiche per i pazienti anziani sono uguali a quelle descritte in precedenza. Pazienti pediatrici (da 2 a 17 anni) Le raccomandazioni posologiche per i pazienti pediatrici sono le stesse previste per i pazienti adulti. Il calcolo della dose deve tenere in considerazione le variazioni ponderali dei pazienti pediatrici nel corso del tempo. Nei bambini di età compresa tra 2 e 5 anni, l’esposizione è minore rispetto a quella degli adulti (vedere paragrafo 5.2). Di conseguenza pazienti in questo gruppo di età potrebbero necessitare di dosi maggiori di quelle necessarie negli adulti. Tuttavia la dose iniziale deve essere uguale a quella prevista negli adulti, seguita da una titolazione individuale. Pazienti con compromissione della funzionalità renale EXJADE non è stato studiato in pazienti con compromissione della funzionalità renale ed è controindicato in pazienti con clearance della creatinina stimata <60 ml/min (vedere paragrafi 4.3 e 4.4). Pazienti con compromissione della funzionalità epatica EXJADE non è stato studiato nei pazienti con compromissione della funzionalità epatica e deve essere usato con cautela in tali pazienti. Le raccomandazioni di dosaggio iniziale per pazienti con compromissione della funzionalità epatica sono uguali a quelle sopra descritte. La funzionalità epatica deve essere controllata in tutti i pazienti prima del trattamento e quindi ogni mese (vedere paragrafo 4.4) 4.3 Controindicazioni Ipersensibilità al principio attivo o ad uno qualsiasi degli eccipienti. Associazione con altre terapie ferrochelanti in quanto non è stata stabilita la sicurezza di tali combinazioni (vedere paragrafo 4.5). Pazienti con clearance della creatinina stimata <60 ml/min. 4.4 Avvertenze speciali e precauzioni di impiego Funzione renale: EXJADE è stato studiato solo in pazienti con creatinina sierica al basale nell’intervallo di normalità appropriato per età. Durante gli studi clinici, un aumento >33% della creatinina sierica in ≥2 occasioni consecutive, talvolta al di sopra del limite superiore dell’intervallo di normalità, si è verificato in circa il 36% dei pazienti. Tale aumento era dose dipendente. In circa due terzi dei pazienti che mostravano un aumento della creatinina sierica, essa ritornava a livelli al di sotto del 33% senza aggiustamento della dose. Nella restante parte dei pazienti l’aumento della creatinina sierica non rispondeva sempre ad una riduzione della dose o all’interruzione del trattamento. Sono stati riportati casi di insufficienza renale acuta dopo l’uso post-marketing di EXJADE (vedere paragrafo 4.8). Le cause dell’aumento della creatinina sierica non sono state chiarite. Pertanto si deve porre particolare attenzione al monitoraggio della creatinina sierica in pazienti che stanno ricevendo alte dosi di EXJADE e/o bassa frequenza di emotrasfusioni (<7 mg/kg/mese di globuli rossi concentrati o <2 unità/mese per un adulto). Si raccomanda di valutare la creatinina sierica due volte prima di iniziare la terapia. La creatinina sierica, la clearance della creatinina (stimate con la formula di Cockcroft-Gault o MDRD negli adulti e con la formula di Schwartz nei bambini) e/o i livelli plasmatici di cistatina C devono essere monitorati settimanalmente nel primo mese dopo l’inizio o la modifica della terapia con EXJADE, e successivamente una volta al mese. Pazienti con disturbi renali pregressi e pazienti che assumono medicinali che deprimono la funzione renale possono presentare un maggior rischio di complicanze. Si deve prestare attenzione nel mantenere un’adeguata idratazione in pazienti che presentano diarrea o vomito. Per i pazienti adulti, la dose giornaliera può essere ridotta di 10 mg/kg se si osserva, in due visite consecutive, un aumento della creatinina sierica di >33% al di sopra della media dei valori misurati prima del trattamento ed una riduzione della clearance della creatinina stimata al di sotto del limite inferiore dell’intervallo di normalità (<90 ml/min) e se ciò non è attribuibile ad altre cause (vedere paragrafo 4.2). Per i pazienti pediatrici, la dose può essere ridotta di 10 mg/kg se la clearance della creatinina stimata scende al di sotto del limite inferiore dell’intervallo di normalità (<90 ml/min) e/o i livelli della creatinina sierica, in due visite consecutive, aumentano oltre il limite superiore di normalità appropriato per l’età. Se, dopo una riduzione della dose, nei pazienti adulti e pediatrici si osserva un aumento della creatinina sierica >33% al di sopra della media dei valori misurati prima del trattamento e/o la clearance della creatinina calcolata scende al di sotto del limite inferiore dell’intervallo di normalità, il trattamento deve essere interrotto. Il trattamento può essere ripreso a seconda delle circostanze cliniche individuali. Particolare attenzione deve essere prestata anche al monitoraggio della creatinina sierica nei pazienti che assumono in concomitanza medicinali che deprimono la funzione renale. Devono essere eseguiti ogni mese i test della proteinuria. Se necessario, possono essere anche monitorati altri marker della funzione tubulare renale (ad es. glicosuria in pazienti non diabetici e bassi livelli sierici di potassio, di fosfato, di magnesio o urati, fosfaturia, aminoaciduria). La riduzione della dose o l’interruzione del trattamento possono essere considerate se ci sono anomalie nei livelli dei marker della funzione tubulare e/o se clinicamente indicato. Se, nonostante la riduzione della dose o l’interruzione del trattamento, la creatinina sierica rimane significativamente elevata e se c’è anche una persistente anomalia in un altro marker della funzione renale (per es. proteinuria, Sindrome di Fanconi), il paziente deve essere indirizzato ad un nefrologo, e possono essere considerati ulteriori esami specialistici (come la biopsia renale). Funzione epatica: Nei pazienti trattati con EXJADE si è osservato un innalzamento dei test di funzionalità epatica. In pazienti trattati con EXJADE, dopo la commercializzazione, sono stati riportati casi di insufficienza epatica, alcuni ad esito fatale. La maggior parte dei casi di insufficienza epatica riguardava pazienti con morbilità significative, inclusa preesistente cirrosi epatica. Tuttavia, non è possibile escludere il ruolo di EXJADE come fattore contribuente o aggravante (vedere paragrafo 4.8). Si raccomanda di controllare transaminasi sieriche, bilirubina e fosfatasi alcalina prima dell’inizio del trattamento, ogni 2 settimane durante il primo mese e poi mensilmente. Qualora vi sia un aumento persistente e progressivo dei livelli delle transaminasi sieriche non attribuibile ad altre cause, EXJADE deve essere interrotto. Una volta chiarita la causa delle anomalie nei test di funzionalità epatica o dopo il ritorno ai livelli normali, può essere considerata una cauta ripresa del trattamento ad una dose inferiore, seguita da un graduale aumento della dose. EXJADE non è raccomandato in pazienti con grave compromissione epatica in quanto non è stato studiato in tali pazienti. Il trattamento è stato avviato solo in pazienti con livelli basali di transaminasi epatiche fino a 5 volte il limite superiore della norma (vedere paragrafo 5.2). Ulcera ed emorragia a carico del tratto gastrointestinale superiore sono state segnalate in pazienti in trattamento con EXJADE, inclusi bambini e adolescenti. In alcuni pazienti sono state osservate ulcere multiple (vedere paragrafo 4.8). Durante la terapia con EXJADE i medici e i pazienti devono prestare attenzione all’insorgenza di segni e sintomi di ulcerazioni ed emorragie gastrointestinali e iniziare prontamente una valutazione e un trattamento concomitante se si sospetta un evento avverso grave gastrointestinale. Si deve prestare attenzione nei pazienti che assumono EXJADE in combinazione con medicinali che hanno un riconosciuto potenziale ulcerogeno, come i farmaci antinfiammatori non-steroidei, i corticosteroidi, o i bifosfonati orali, e nei pazienti in trattamento con anticoagulanti (vedere paragrafo 4.5 Interazioni con altri medicinali ed altre forme di interazione). Durante il trattamento con EXJADE possono comparire eruzioni cutanee. Nella maggior parte dei casi le eruzioni cutanee si risolvono spontaneamente. Qualora fosse necessaria l’interruzione del trattamento, il trattamento può essere ripreso dopo la risoluzione dell’eruzione, ad un dosaggio inferiore che potrà poi essere gradualmente aumentato. In casi gravi, la ripresa del trattamento può essere effettuata in associazione alla somministrazione di steroidi per via orale per un breve periodo. Sono stati segnalati casi di gravi reazioni di ipersensibilità (come anafilassi e angioedema) in pazienti in trattamento con EXJADE, con insorgenza della reazione nella maggior parte dei casi entro il primo mese di trattamento (vedere paragrafo 4.8). Nel caso di insorgenza di tali reazioni, si deve interrompere EXJADE ed istituire un intervento medico appropriato. Sono stati segnalati disturbi uditivi (diminuzione dell’udito) ed oculari (opacità del cristallino) (vedere paragrafo 4.8). Si raccomanda di effettuare esami uditivi ed oftalmici (incluso la fondoscopia) prima dell’inizio del trattamento e successivamente ad intervalli regolari (ogni 12 mesi). Se si nota la comparsa di disturbi durante il trattamento, può essere considerata una riduzione della dose o l’interruzione del trattamento. Si raccomanda di monitorare mensilmente i livelli di ferritina sierica per valutare la risposta del paziente alla terapia (vedere paragrafo 4.2). Se la ferritina sierica scende costantemente al di sotto 500 μg/l, deve essere considerata la possibilità di un’interruzione del trattamento. I risultati dei test di creatinina sierica, di ferritina sierica e delle transaminasi sieriche devono essere registrati e valutati con regolarità per monitorarne l’andamento. I risultati devono essere anche riportati nel quaderno fornito al paziente. Negli studi clinici ad 1 anno il trattamento con EXJADE non ha influenzato la crescita e lo sviluppo sessuale di pazienti pediatrici trattati. Tuttavia, come misura precauzionale generale per la gestione di pazienti pediatrici con sovraccarico di ferro dovuto a emotrasfusioni, il peso corporeo, la crescita e lo sviluppo sessuale devono essere monitorati a intervalli regolari (ogni 12 mesi). La disfunzione cardiaca è una complicanza nota del sovraccarico di ferro di grado severo. Nei pazienti con grave sovraccarico di ferro, la funzione cardiaca deve essere monitorata durante il trattamento a lungo termine con EXJADE. Le compresse contengono lattosio (1,1 mg di lattosio per ogni mg di deferasirox). I pazienti affetti da rari problemi ereditari di intolleranza al galattosio, da deficit di Lapp lattasi, da malassorbimento di glucosio-galattosio o grave deficit di lattasi non devono assumere questo medicinale. Non è raccomandato l’uso concomitante di deferasirox con preparati antiacidi contenenti allumino (vedere paragrafo 4.5). 4.5 Interazioni con altri medicinali ed altre forme di interazione La somministrazione concomitante di EXJADE e preparati antiacidi contenenti alluminio non è stata formalmente studiata. Anche se deferasirox ha una minore affinità per l’alluminio rispetto al ferro, non è raccomandata l’assunzione di EXJADE compresse con preparati antiacidi contenenti alluminio (vedere paragrafo 4.4). La biodisponibilità di deferasirox è risultata aumentata in misura variabile quando l’assunzione è concomitante con il cibo. EXJADE deve essere pertanto preso a stomaco vuoto almeno 30 minuti prima dell’assunzione di cibo, preferibilmente ogni giorno alla stessa ora (vedere paragrafi 4.2 e 5.2). Deferasirox viene metabolizzato a carico degli enzimi UGT. Non si può escludere una diminuzione della sua concentrazione plasmatica quando è somministrato con potenti induttori degli enzimi UGT come rifampicina, fenobarbitale o fenitoina. Si deve monitorare la ferritina sierica del paziente durante e dopo il trattamento concomitante e, se necessario aggiustare la dose di EXJADE. In uno studio su volontari sani, la concomitante somministrazione di EXJADE e midazolam (substrato del citocromo CYP3A4) ha determinato una diminuzione dell’esposizione di midazolam del 17% (90% IC: 8% - 26%). Nella pratica clinica questo effetto può essere più marcato. Pertanto si deve prestare attenzione quando deferasirox è associato a farmaci metabolizzati attraverso il CYP3A4 (es. ciclosporina, simvastatina, contraccettivi ormonali, bepridil, ergotamina) data la possibile riduzione della loro efficacia. Non è stata stabilita la sicurezza di EXJADE in associazione con altri chelanti del ferro. Pertanto non deve essere associato ad altre terapie ferrochelanti (vedere paragrafo 4.3). Non è stata osservata nessuna interazione tra EXJADE e digossina in volontari adulti sani. Non può essere esclusa un’interazione tra deferasirox e substrati del CYP2C8 come paclitaxel e repaglinide. La somministrazione concomitante di EXJADE e vitamina C non è stata formalmente studiata. Dosi di vitamina C fino a 200 mg al giorno non sono state associate a conseguenze avverse. La somministrazione concomitante di EXJADE e sostanze che hanno un riconosciuto potenziale ulcerogeno, come i farmaci antinfiammatori non-steroidei (incluso l’acido acetilsalicilico ad alto dosaggio), i corticosteroidi, o i bifosfonati orali, così come gli anticoagulanti può aumentare il rischio di tossicità gastrointestinale (vedere paragrafo 4.4). EXJADE può anche aumentare il rischio di emorragia degli anticoagulanti. Uno stretto monitoraggio clinico deve essere attuato quando deferasirox è associato con questi medicinali. 4.6 Gravidanza e allattamento Gravidanza Per deferasirox non sono disponibili dati clinici relativi a gravidanze esposte. Gli studi su animali hanno evidenziato una tossicità riproduttiva alle dosi risultate tossiche per la madre (vedere paragrafo 5.3). Il rischio potenziale per gli esseri umani non è noto. A titolo precauzionale, si raccomanda di non usare EXJADE durante la gravidanza se non in caso di assoluta necessità. Allattamento Negli studi sugli animali, è stato riscontrato che deferasirox viene escreto rapidamente e ampiamente nel latte materno. Non sono stati osservati effetti sulla prole. Non è noto se deferasirox sia escreto nel latte umano. L’allattamento non è raccomandato durante l’assunzione di EXJADE. Fertilità Non sono disponibili dati sulla fertilità per l’uomo. Negli animali, non sono stati riscontrati effetti avversi sulla fertilità maschile o femminile (vedere paragrafo 5.3). 4.7 Effetti sulla capacità di guidare veicoli e sull’uso di macchinari Non sono stati effettuati studi sugli effetti di EXJADE sulla capacità di guidare veicoli e sull’uso di macchinari. I pazienti che notano la comparsa di capogiri, reazione avversa non comune, devono prestare cautela nella guida di veicoli o nell’uso di macchinari (vedere paragrafo 4.8). 4.8 Effetti indesiderati Le reazioni più frequenti segnalate durante il trattamento cronico con EXJADE in pazienti adulti e pediatrici comprendono disturbi gastrointestinali in circa il 26% dei pazienti (principalmente nausea, vomito, diarrea o dolore addominale) ed eruzione cutanea in circa il 7% dei pazienti. La diarrea è stata segnalata più comunemente nei pazienti pediatrici di età compresa tra i 2 e i 5 anni rispetto ai pazienti di età superiore. Queste reazioni sono dipendenti dalla dose, per lo più di intensità da lieve a moderata, generalmente transitorie e si risolvono nella maggior parte dei casi anche se si continua il trattamento. Durante gli studi clinici in circa il 36% dei pazienti si sono verificati aumenti >33% della creatinina sierica in ≥2 determinazioni consecutive, alcune volte al di sopra del limite superiore dell’intervallo di normalità. Essi erano dose dipendente. Circa due terzi dei pazienti che hanno mostrato un aumento della creatinina sierica sono ritornati al livello al di sotto del 33% senza aggiustamento della dose. Nei rimanenti pazienti l’aumento della creatinina sierica non rispondeva sempre ad una riduzione della dose o ad un’interruzione del trattamento. Infatti in alcuni casi dopo la riduzione della dose si è osservata solo una stabilizzazione dei valori di creatinina sierica (vedere paragrafo 4.4). In circa il 2% dei pazienti sono stati segnalati calcoli biliari e disordini biliari correlati. Aumento delle transaminasi è stato riportato come reazione avversa al farmaco nel 2% dei pazienti. Un aumento delle transaminasi più di 10 volte il limite superiore dell’intervallo di normalità, indicativo di epatite, è stato non comune (0,3%). Durante l’esperienza post-marketing, è stata riportata con EXJADE insufficienza epatica, talvolta fatale, specialmente nei pazienti con preesistente cirrosi epatica (vedere paragrafo 4.4). Come con altri trattamenti chelanti del ferro, ipoacusia alle alte frequenze e opacità del cristallino (cataratta precoce) sono stati osservati non comunemente nei pazienti trattati con EXJADE (vedere paragrafo 4.4). Le reazioni avverse sono classificate di seguito usando la seguente convenzione: molto comune (≥1/10); comune (≥1/100, <1/10); non comune (≥1/1.000, <1/100); raro (≥1/10.000, <1/1.000); molto raro (<1/10.000); non nota (la frequenza non può essere definita sulla base dei dati disponibili). All’interno di ciascuna classe di frequenza, le reazioni avverse sono riportate in ordine decrescente di gravità. Patologie Molto comune Patologie del sistema nervoso Comune Non comune Cefalea Capogiri Patologie dell’occhio Cataratta precoce, maculopatia Patologie dell’orecchio e del labirinto Perdita dell’udito Patologie respiratorie, toraciche e mediastiniche Dolore faringolaringeo Patologie gastrointestinali Patologie renali e urinarie Patologie della cute e del tessuto sottocutaneo Aumento della creatinina ematica Emorragia gastrointestinale, ulcera gastrica (incluso ulcere multiple), ulcera duodenale, gastrite Proteinuria Tubulopatia renale (sindrome di Fanconi acquisita), glicosuria Insufficienza renale acuta1 Eruzione cutanea, prurito Disturbi della pigmentazione Orticaria1 Esofagite Piressia, edema, affaticamento Disturbi del sistema immunitario Disturbi psichiatrici Non nota Diarrea, stipsi, vomito, nausea, dolore addominale, distensione addominale, dispepsia Patologie sistemiche e condizioni relative alla sede di somministrazione Patologie epatobiliari Raro Reazioni di ipersensibilità (inclusi anafilassi e angioedema)1 Aumento delle transaminasi Epatite, colelitiasi Insufficienza epatica1 Ansia, disturbi del sonno Reazioni avverse segnalate durante l’esperienza post-marketing. Esse derivano da segnalazioni spontanee per le quali non è sempre possibile stabilire in modo sicuro la frequenza o una relazione causale con l’esposizione al medicinale. 4.9 Sovradosaggio Sono stati riportati casi di sovradosaggio (2-3 volte la dose prescritta per diverse settimane). In un caso, ciò ha portato ad epatite subclinica che si è risolta dopo un’interruzione del trattamento. In pazienti talassemici con sovraccarico di ferro dosi singole di 80 mg/kg hanno causato lieve nausea e diarrea. Segni acuti di sovradosaggio possono comprendere nausea, vomito, cefalea e diarrea. Il sovradosaggio può essere trattato mediante l’induzione di emesi o con lavanda gastrica, e con trattamento sintomatico. 5. PROPRIETÀ FARMACOLOGICHE 5.1 Proprietà farmacodinamiche Categoria farmacoterapeutica: Agente chelante del ferro, codice ATC: V03AC03. Deferasirox è un chelante attivo per via orale, altamente selettivo per il ferro (III). È un legante tridentato che lega il ferro con elevata affinità in un rapporto 2:1. Deferasirox favorisce l’escrezione di ferro, principalmente nelle feci. Deferasirox ha una bassa affinità per lo zinco ed il rame e non causa una diminuzione costante dei livelli sierici di tali metalli. In uno studio metabolico sul bilancio del ferro in pazienti adulti talassemici con sovraccarico di ferro, EXJADE a dosi giornaliere di 10, 20 e 40 mg/kg ha indotto l’escrezione netta media rispettivamente di 0,119, 0,329 e 0,445 mg di Fe/kg di peso corporeo/die. EXJADE è stato studiato su 411 pazienti adulti (età ≥16 anni) e 292 pazienti pediatrici (età da 2 a <16 anni) con sovraccarico di ferro cronico dovuto a emotrasfusioni. Dei pazienti pediatrici, 52 avevano un’età compresa tra 2 e 5 anni. Le condizioni di base che richiedevano la trasfusione comprendevano beta-talassemia, anemia falciforme ed altre anemie congenite ed acquisite (sindromi mielodisplastiche, sindrome di Diamond-Blackfan, anemia aplastica ed altre anemie molto rare). Il trattamento giornaliero di pazienti adulti e pediatrici con beta-talassemia, sottoposti a frequenti trasfusioni, a dosi di 20 e 30 mg/kg per un anno ha portato alla riduzione degli indicatori del ferro corporeo totale; la concentrazione epatica di ferro risultava ridotta rispettivamente di circa 0,4 e 8,9 mg Fe/g di fegato (peso secco da biopsia) in media e la ferritina sierica risultava ridotta rispettivamente di circa 36 e 926 μg/l in media. A queste stesse dosi i rapporti tra escrezione di ferro e assunzione di ferro erano rispettivamente di 1,02 (indicando un bilancio di ferro netto) e 1,67 (indicando un’eliminazione di ferro netta). EXJADE ha indotto risposte simili in pazienti con sovraccarico di ferro affetti da altre anemie. Dosi giornaliere di 10 mg/kg per un anno possono mantenere i livelli di ferro epatico e di ferritina sierica e indurre un bilancio di ferro netto in pazienti sottoposti a trasfusioni non frequenti o eritrocitoaferesi. La ferritina sierica valutata con monitoraggio mensile ha rispecchiato le modifiche della concentrazione epatica di ferro, indicando che l’andamento della ferritina sierica può essere utilizzato per monitorare la risposta alla terapia. I limitati dati clinici (29 pazienti con funzione cardiaca normale al basale) con l’uso della MRI indicano che il trattamento con EXJADE 10-30 mg/kg/die per 1 anno può ridurre anche i livelli di ferro nel cuore (in media, l’aumento del MRI T2* è stato da 18,3 a 23,0 millisecondi). L’analisi principale dello studio pivotale di confronto condotto in 586 pazienti affetti da beta talassemia e sovraccarico di ferro dovuto a emotrasfusioni non ha dimostrato la non inferiorità di EXJADE nei confronti di deferoxamina nell’analisi della popolazione totale di pazienti. Da una analisi post-hoc di questo studio si evidenzia che nel sottogruppo di pazienti con concentrazione di ferro epatico ≥7 mg Fe/g di peso secco trattati con EXJADE (20 e 30 mg/kg) o deferoxamina (da 35 a≥50 mg/kg), sono stati raggiunti i criteri di non inferiorità. Tuttavia nei pazienti con concentrazione di ferro epatico <7 mg Fe/g di peso secco trattati con EXJADE (5 e 10 mg/kg) o deferoxamina (da 20 a 35 mg/kg), non è stata stabilita la non inferiorità a causa dello squilibrio della dose dei due chelanti. Questo squilibrio si è presentato in quanto ai pazienti in trattamento con deferoxamina era permesso di rimanere alla dose assunta nella fase di pre-studio anche se maggiore della dose specificata dal protocollo. 56 pazienti di età inferiore ai 6 anni hanno partecipato allo studio pivotale, di cui 28 hanno ricevuto EXJADE. Gli studi preclinici e clinici hanno mostrato che EXJADE può essere attivo come deferoxamina quando utilizzato in un rapporto di dose 2:1 (es. una dose di EXJADE è numericamente la metà della dose di deferoxamina). Tuttavia questa raccomandazione posologica non è stata valutata in modo prospettico negli studi clinici. Inoltre in pazienti con concentrazione di ferro epatico ≥7 mg Fe/g di peso secco affetti da diverse rare anemie o da anemia falciforme, EXJADE fino a 20 e 30 mg/kg provoca una diminuzione della concentrazione epatica di ferro e della ferritina sierica paragonabile a quanto ottenuto nei pazienti con beta talassemia. 5.2 Proprietà farmacocinetiche Assorbimento Deferasirox viene assorbito dopo somministrazione orale con un tempo mediano alla concentrazione plasmatica massima (tmax) di circa da 1,5 a 4 ore. La biodisponibilità assoluta (AUC) di deferasirox da EXJADE compresse è di circa il 70% rispetto a una dose per via endovenosa. L’esposizione totale (AUC) è risultata approssimativamente raddoppiata quando assunto con un pasto ad alto contenuto di grassi (contenuto di grassi >50% delle calorie) e aumentata di circa il 50% quando assunto con un pasto standard. La biodisponibilità (AUC) di deferasirox è risultata moderatamente (circa 13-25%) più elevata se l’assunzione avveniva 30 minuti prima di pasti con contenuto di grassi normale o elevato. Distribuzione Deferasirox è altamente (99%) legato alle proteine plasmatiche, quasi esclusivamente all’albumina sierica, e ha un esiguo volume di distribuzione di circa 14 litri negli adulti. Biotrasformazione La glucoronidazione è la via metabolica principale per deferasirox, con successiva escrezione biliare. È probabile che si verifichi la deconiugazione dei glucuronidati nell’intestino e il successivo riassorbimento (ricircolo enteroepatico). Deferasirox è principalmente glucuronidato tramite UGT1A1 e in misura minore UGT1A3. Il metabolismo (ossidativo) di deferasirox catalizzato dal CYP450 sembra essere minore nell’uomo (circa l’8%). In vitro non è stata osservata inibizione del metabolismo di deferasirox dall’idrossiurea. Eliminazione Deferasirox e i suoi metaboliti sono escreti principalmente nelle feci (84% della dose). L’escrezione renale di deferasirox e dei suoi metaboliti è minima (8% della dose). L’emivita di eliminazione media (t1/2) varia da 8 a 16 ore. I trasportatori MRP2 e MXR (BCRP) sono coinvolti nell’escrezione biliare di deferasirox. Linearità / non linearità In condizioni di steady-state, la Cmax e l’AUC0-24h di deferasirox aumentano in modo approssimativamente lineare con la dose. Con somministrazioni multiple, l’esposizione aumenta di un fattore di accumulo da 1,3 a 2,3. Caratteristiche dei pazienti Pazienti pediatrici L’esposizione complessiva degli adolescenti (da 12 a ≤17 anni) e dei bambini (da 2 a <12 anni) a deferasirox, dopo dosi singole e ripetute, è stata inferiore rispetto ai pazienti adulti. Nei bambini di età inferiore a 6 anni, l’esposizione è stata di circa il 50% inferiore a quella degli adulti. Dal momento che il dosaggio viene aggiustato su base individuale secondo la risposta, non si prevede che ciò abbia conseguenze cliniche. Sesso Le femmine hanno una clearance apparente moderatamente più bassa (del 17,5%) per il deferasirox rispetto ai maschi. Poiché il dosaggio viene aggiustato su base individuale secondo la risposta, non si prevede che ciò abbia conseguenze cliniche. Pazienti anziani La farmacocinetica di deferasirox non è stata studiata in pazienti anziani (di età pari o superiore a 65 anni). Insufficienza renale o epatica La farmacocinetica di deferasirox non è stata studiata in pazienti con insufficienza renale o epatica. La farmacocinetica di deferasirox non è influenzata da livelli di transaminasi epatiche fino a 5 volte il limite superiore dell’intervallo di normalità. 5.3 Dati preclinici di sicurezza I dati preclinici non rivelano rischi particolari per i pazienti con sovraccarico di ferro sulla base di studi convenzionali di safety pharmacology, tossicità a dosi ripetute, genotossicità o potenziale cancerogeno. Le evidenze principali sono state tossicità renale ed opacità del cristallino (cataratta). Evidenze simili sono state osservate in animali neonati e giovani. Si ritiene che la tossicità renale sia principalmente dovuta alla perdita del ferro in animali che non avevano un precedente sovraccarico di ferro. I test di genotossicità in vitro sono risultati negativi (test di Ames, test di aberrazione cromosomica) o positivi (screen V79). Deferasirox ha causato la formazione di micronuclei in vivo nel midollo osseo, ma non nel fegato, in ratti cui non era stato somministrato un carico di ferro a dosi letali. Non sono stati osservati tali effetti in ratti cui non era stato somministrato un carico di ferro. Deferasirox non è risultato cancerogeno quando somministrato nei ratti in uno studio della durata di 2 anni e nei topi eterozigoti p53+/- transgenici in uno studio della durata di 6 mesi. Il potenziale di tossicità riproduttiva è stato valutato nel ratto e nel coniglio. Deferasirox non è risultato teratogeno, ma ha causato a dosi elevate risultate gravemente tossiche per la madre non sovraccaricata di ferro, un aumento della frequenza di variazioni scheletriche e nati morti nel ratto. Deferasirox non ha causato altri effetti sulla fertilità o sulla riproduzione. 6. INFORMAZIONI FARMACEUTICHE 6.1 Elenco degli eccipienti Lattosio monoidrato - Crospovidone tipo A - Cellulosa microcristallina - Povidone - Sodio laurilsolfato - Silice colloidale anidra - Magnesio stearato. 6.2 Incompatibilità Non è raccomandata la dispersione in bevande gassate o nel latte a causa, rispettivamente, della formazione di schiuma e della lenta dispersione. Le compresse non devono essere masticate né ingerite intere. 1 6.3 Periodo di validità 3 anni. 6.4 Precauzioni particolari per la conservazione Conservare nella confezione originale per tenerlo al riparo dall’umidità. 6.5 Natura e contenuto del contenitore Blisters PVC/PE/PVDC/Alluminio. Confezioni contenenti 28 o 84 compresse dispersibili. è possibile che non tutte le confezioni siano commercializzate. 6.6 Precauzioni particolari per lo smaltimento Nessuna istruzione particolare. 7. TITOLARE DELL’AUTORIZZAZIONE ALL’IMMISSIONE IN COMMERCIO Novartis Europharm Limited - Wimblehurst Road - Horsham - West Sussex, RH12 5AB - Regno Unito. 8. NUMERO(I) DELL’AUTORIZZAZIONE ALL’IMMISSIONE IN COMMERCIO EU/1/06/356/003 EU/1/06/356/004 9. DATA DELLA PRIMA AUTORIZZAZIONE/RINNOVO DELL’AUTORIZZAZIONE 28.08.2006 10. DATA DI REVISIONE DEL TESTO 07/2008 EXJADE: 500 mg Compresse dispersibili 1. DENOMINAZIONE DEL MEDICINALE EXJADE 500 mg compresse dispersibili. 2. COMPOSIZIONE QUALITATIVA E QUANTITATIVA Ogni compressa dispersibile contiene 500 mg di deferasirox. Questo medicinale contiene lattosio. Per l’elenco completo degli eccipienti, vedere paragrafo 6.1. 3. FORMA FARMACEUTICA Compressa dispersibile. Compresse di colore biancastro, rotonde, piatte, con bordi smussati ed impresso NVR su un lato e J 500 sull’altro. 4. INFORMAZIONI CLINICHE 4.1 Indicazioni terapeutiche EXJADE è indicato per il trattamento del sovraccarico cronico di ferro dovuto a frequenti emotrasfusioni (≥7 ml/kg/mese di globuli rossi concentrati) in pazienti con beta talassemia major di età pari e superiore a 6 anni. EXJADE è anche indicato per il trattamento del sovraccarico cronico di ferro dovuto a emotrasfusioni quando la terapia con deferoxamina è controindicata o inadeguata nei seguenti gruppi di pazienti: - in pazienti con altre anemie, - in pazienti di età compresa tra 2 e 5 anni, - in pazienti con beta talassemia major con sovraccarico di ferro dovuto a emotrasfusioni non frequenti (<7 ml/kg/mese di globuli rossi concentrati). 4.2 Posologia e modo di somministrazione Il trattamento con EXJADE deve essere iniziato e mantenuto da medici esperti nel trattamento del sovraccarico cronico di ferro dovuto a emotrasfusioni. Si raccomanda di iniziare il trattamento dopo la trasfusione di circa 20 unità (circa 100 ml/kg) di globuli rossi concentrati o quando si evidenzia con il monitoraggio clinico la presenza di un sovraccarico cronico di ferro (es. ferritina sierica >1.000 µg/l). Le dosi (in mg/kg) devono essere calcolate e arrotondate alla compressa intera più vicina. Gli obiettivi della terapia di chelazione del ferro sono di eliminare la quantità di ferro somministrata nelle trasfusioni e, secondo necessità, di ridurre il carico di ferro esistente. Dose iniziale La dose giornaliera iniziale raccomandata di EXJADE è di 20 mg/kg di peso corporeo. Può essere considerata una dose iniziale giornaliera di 30 mg/kg per i pazienti che necessitano di ridurre livelli corporei elevati di ferro e che stanno anche ricevendo più di 14 ml/kg/mese di globuli rossi concentrati (circa >4 unità/mese per un adulto). Può essere considerata una dose iniziale giornaliera di 10 mg/kg per i pazienti che non necessitano di ridurre i livelli corporei di ferro e che stanno anche ricevendo meno di 7 ml/kg/mese di globuli rossi concentrati (circa <2 unità/mese per un adulto). Si deve controllare la risposta del paziente e se non si ottiene una sufficiente efficacia deve essere preso in considerazione un aumento della dose (vedere paragrafo 5.1). Per i pazienti già adeguatamente trattati con deferoxamina, potrebbe essere considerata una dose iniziale di EXJADE che sia numericamente pari alla metà della dose di deferoxamina (es. un paziente che riceve 40 mg/kg/die di deferoxamina per 5 giorni la settimana (o equivalente) potrebbe passare ad una dose iniziale giornaliera di 20 mg/kg/die di EXJADE). Quando ciò comporta una dose giornaliera minore di 20 mg/kg di peso corporeo, si deve controllare la risposta del paziente e se non si ottiene una sufficiente efficacia deve essere preso in considerazione un aumento della dose (vedere paragrafo 5.1). Dose di mantenimento Si raccomanda di monitorare la ferritina sierica ogni mese e di aggiustare la dose di EXJADE, se necessario, ogni 3-6 mesi, sulla base dell’andamento dei valori della ferritina sierica. Gli aggiustamenti della dose possono essere effettuati in intervalli compresi tra 5 e 10 mg/kg e devono essere adattati alla risposta e agli obiettivi terapeutici del singolo paziente (mantenimento o riduzione del carico di ferro). Non sono raccomandate dosi superiori a 30 mg/kg perché vi è solo un’esperienza limitata con dosi superiori a questo livello. Se la ferritina sierica scende costantemente sotto 500 μg/l, deve essere considerata la possibilità di interrompere il trattamento (vedere paragrafo 4.4). Preparazione EXJADE deve essere assunto una volta al giorno a stomaco vuoto, almeno 30 minuti prima dell’assunzione di cibo, preferibilmente ogni giorno alla stessa ora (vedere paragrafi 4.5 e 5.2). Le compresse vengono disciolte mescolandole in un bicchiere d’acqua o di succo d’arancia o di mela (100-200 ml), fino a ottenere una sospensione fine. Dopo aver ingerito la sospensione, l’eventuale residuo deve essere risospeso in una piccola quantità d’acqua o di succo e ingerito. Le compresse non devono essere masticate né ingerite intere (vedere anche paragrafo 6.2). Pazienti anziani (≥65 anni) Le raccomandazioni posologiche per i pazienti anziani sono uguali a quelle descritte in precedenza. Pazienti pediatrici (da 2 a 17 anni) Le raccomandazioni posologiche per i pazienti pediatrici sono le stesse previste per i pazienti adulti. Il calcolo della dose deve tenere in considerazione le variazioni ponderali dei pazienti pediatrici nel corso del tempo. Nei bambini di età compresa tra 2 e 5 anni, l’esposizione è minore rispetto a quella degli adulti (vedere paragrafo 5.2). Di conseguenza pazienti in questo gruppo di età potrebbero necessitare di dosi maggiori di quelle necessarie negli adulti. Tuttavia la dose iniziale deve essere uguale a quella prevista negli adulti, seguita da una titolazione individuale. Pazienti con compromissione della funzionalità renale EXJADE non è stato studiato in pazienti con compromissione della funzionalità renale ed è controindicato in pazienti con clearance della creatinina stimata <60 ml/min (vedere paragrafi 4.3 e 4.4). Pazienti con compromissione della funzionalità epatica EXJADE non è stato studiato nei pazienti con compromissione della funzionalità epatica e deve essere usato con cautela in tali pazienti. Le raccomandazioni di dosaggio iniziale per pazienti con compromissione della funzionalità epatica sono uguali a quelle sopra descritte. La funzionalità epatica deve essere controllata in tutti i pazienti prima del trattamento e quindi ogni mese (vedere paragrafo 4.4). 4.3 Controindicazioni Ipersensibilità al principio attivo o ad uno qualsiasi degli eccipienti. Associazione con altre terapie ferrochelanti in quanto non è stata stabilita la sicurezza di tali combinazioni (vedere paragrafo 4.5). Pazienti con clearance della creatinina stimata <60 ml/min. 4.4 Avvertenze speciali e precauzioni di impiego Funzione renale EXJADE è stato studiato solo in pazienti con creatinina sierica al basale nell’intervallo di normalità appropriato per età. Durante gli studi clinici, un aumento >33% della creatinina sierica in ≥2 occasioni consecutive, talvolta al di sopra del limite superiore dell’intervallo di normalità, si è verificato in circa il 36% dei pazienti. Tale aumento era dose dipendente. In circa due terzi dei pazienti che mostravano un aumento della creatinina sierica, essa ritornava a livelli al di sotto del 33% senza aggiustamento della dose. Nella restante parte dei pazienti l’aumento della creatinina sierica non rispondeva sempre ad una riduzione della dose o all’interruzione del trattamento. Sono stati riportati casi di insufficienza renale acuta dopo l’uso post-marketing di EXJADE (vedere paragrafo 4.8). Le cause dell’aumento della creatinina sierica non sono state chiarite. Pertanto si deve porre particolare attenzione al monitoraggio della creatinina sierica in pazienti che stanno ricevendo alte dosi di EXJADE e/o bassa frequenza di emotrasfusioni (<7 mg/kg/mese di globuli rossi concentrati o <2 unità/mese per un adulto). Si raccomanda di valutare la creatinina sierica due volte prima di iniziare la terapia. La creatinina sierica, la clearance della creatinina (stimate con la formula di Cockcroft-Gault o MDRD negli adulti e con la formula di Schwartz nei bambini) e/o i livelli plasmatici di cistatina C devono essere monitorati settimanalmente nel primo mese dopo l’inizio o la modifica della terapia con EXJADE, e successivamente una volta al mese. Pazienti con disturbi renali pregressi e pazienti che assumono medicinali che deprimono la funzione renale possono presentare un maggior rischio di complicanze. Si deve prestare attenzione nel mantenere un’adeguata idratazione in pazienti che presentano diarrea o vomito. Per i pazienti adulti, la dose giornaliera può essere ridotta di 10 mg/kg se si osserva, in due visite consecutive, un aumento della creatinina sierica di >33% al di sopra della media dei valori misurati prima del trattamento ed una riduzione della clearance della creatinina stimata al di sotto del limite inferiore dell’intervallo di normalità (<90 ml/min) e se ciò non è attribuibile ad altre cause (vedere paragrafo 4.2). Per i pazienti pediatrici, la dose può essere ridotta di 10 mg/kg se la clearance della creatinina stimata scende al di sotto del limite inferiore dell’intervallo di normalità (<90 ml/min) e/o i livelli della creatinina sierica, in due visite consecutive, aumentano oltre il limite superiore di normalità appropriato per l’età. Se, dopo una riduzione della dose, nei pazienti adulti e pediatrici si osserva un aumento della creatinina sierica >33% al di sopra della media dei valori misurati prima del trattamento e/o la clearance della creatinina calcolata scende al di sotto del limite inferiore dell’intervallo di normalità, il trattamento deve essere interrotto. Il trattamento può essere ripreso a seconda delle circostanze cliniche individuali. Particolare attenzione deve essere prestata anche al monitoraggio della creatinina sierica nei pazienti che assumono in concomitanza medicinali che deprimono la funzione renale. Devono essere eseguiti ogni mese i test della proteinuria. Se necessario, possono essere anche monitorati altri marker della funzione tubulare renale (ad es. glicosuria in pazienti non diabetici e bassi livelli sierici di potassio, di fosfato, di magnesio o urati, fosfaturia, aminoaciduria). La riduzione della dose o l’interruzione del trattamento possono essere considerate se ci sono anomalie nei livelli dei marker della funzione tubulare e/o se clinicamente indicato. Se, nonostante la riduzione della dose o l’interruzione del trattamento, la creatinina sierica rimane significativamente elevata e se c’è anche una persistente anomalia in un altro marker della funzione renale (per es. proteinuria, Sindrome di Fanconi), il paziente deve essere indirizzato ad un nefrologo, e possono essere considerati ulteriori esami specialistici (come la biopsia renale). Funzione epatica: Nei pazienti trattati con EXJADE si è osservato un innalzamento dei test di funzionalità epatica. In pazienti trattati con EXJADE, dopo la commercializzazione, sono stati riportati casi di insufficienza epatica, alcuni ad esito fatale. La maggior parte dei casi di insufficienza epatica riguardava pazienti con morbilità significative, inclusa preesistente cirrosi epatica. Tuttavia, non è possibile escludere il ruolo di EXJADE come fattore contribuente o aggravante (vedere paragrafo 4.8). Si raccomanda di controllare transaminasi sieriche, bilirubina e fosfatasi alcalina prima dell’inizio del trattamento, ogni 2 settimane durante il primo mese e poi mensilmente. Qualora vi sia un aumento persistente e progressivo dei livelli delle transaminasi sieriche non attribuibile ad altre cause, EXJADE deve essere interrotto. Una volta chiarita la causa delle anomalie nei test di funzionalità epatica o dopo il ritorno ai livelli normali, può essere considerata una cauta ripresa del trattamento ad una dose inferiore, seguita da un graduale aumento della dose. EXJADE non è raccomandato in pazienti con grave compromissione epatica in quanto non è stato studiato in tali pazienti. Il trattamento è stato avviato solo in pazienti con livelli basali di transaminasi epatiche fino a 5 volte il limite superiore della norma (vedere paragrafo 5.2). Ulcera ed emorragia a carico del tratto gastrointestinale superiore sono state segnalate in pazienti in trattamento con EXJADE, inclusi bambini e adolescenti. In alcuni pazienti sono state osservate ulcere multiple (vedere paragrafo 4.8). Durante la terapia con EXJADE i medici e i pazienti devono prestare attenzione all’insorgenza di segni e sintomi di ulcerazioni ed emorragie gastrointestinali e iniziare prontamente una valutazione e un trattamento concomitante se si sospetta un evento avverso grave gastrointestinale. Si deve prestare attenzione nei pazienti che assumono EXJADE in combinazione con medicinali che hanno un riconosciuto potenziale ulcerogeno, come i farmaci antinfiammatori non-steroidei, i corticosteroidi, o i bifosfonati orali, e nei pazienti in trattamento con anticoagulanti (vedere paragrafo 4.5 Interazioni con altri medicinali ed altre forme di interazione). Durante il trattamento con EXJADE possono comparire eruzioni cutanee. Nella maggior parte dei casi le eruzioni cutanee si risolvono spontaneamente. Qualora fosse necessaria l’interruzione del trattamento, il trattamento può essere ripreso dopo la risoluzione dell’eruzione, ad un dosaggio inferiore che potrà poi essere gradualmente aumentato. In casi gravi, la ripresa del trattamento può essere effettuata in associazione alla somministrazione di steroidi per via orale per un breve periodo. Sono stati segnalati casi di gravi reazioni di ipersensibilità (come anafilassi e angioedema) in pazienti in trattamento con EXJADE, con insorgenza della reazione nella maggior parte dei casi entro il primo mese di trattamento (vedere paragrafo 4.8). Nel caso di insorgenza di tali reazioni, si deve interrompere EXJADE ed istituire un intervento medico appropriato. Sono stati segnalati disturbi uditivi (diminuzione dell’udito) ed oculari (opacità del cristallino) (vedere paragrafo 4.8). Si raccomanda di effettuare esami uditivi ed oftalmici (incluso la fondoscopia) prima dell’inizio del trattamento e successivamente ad intervalli regolari (ogni 12 mesi). Se si nota la comparsa di disturbi durante il trattamento, può essere considerata una riduzione della dose o l’interruzione del trattamento. Si raccomanda di monitorare mensilmente i livelli di ferritina sierica per valutare la risposta del paziente alla terapia (vedere paragrafo 4.2). Se la ferritina sierica scende costantemente al di sotto 500 μg/l, deve essere considerata la possibilità di un’interruzione del trattamento. I risultati dei test di creatinina sierica, di ferritina sierica e delle transaminasi sieriche devono essere registrati e valutati con regolarità per monitorarne l’andamento. I risultati devono essere anche riportati nel quaderno fornito al paziente. Negli studi clinici ad 1 anno il trattamento con EXJADE non ha influenzato la crescita e lo sviluppo sessuale di pazienti pediatrici trattati. Tuttavia, come misura precauzionale generale per la gestione di pazienti pediatrici con sovraccarico di ferro dovuto a emotrasfusioni, il peso corporeo, la crescita e lo sviluppo sessuale devono essere monitorati a intervalli regolari (ogni 12 mesi). La disfunzione cardiaca è una complicanza nota del sovraccarico di ferro di grado severo. Nei pazienti con grave sovraccarico di ferro, la funzione cardiaca deve essere monitorata durante il trattamento a lungo termine con EXJADE. Le compresse contengono lattosio (1,1 mg di lattosio per ogni mg di deferasirox). I pazienti affetti da rari problemi ereditari di intolleranza al galattosio, da deficit di Lapp lattasi, da malassorbimento di glucosio-galattosio o grave deficit di lattasi non devono assumere questo medicinale. Non è raccomandato l’uso concomitante di deferasirox con preparati antiacidi contenenti allumino (vedere paragrafo 4.5). 4.5 Interazioni con altri medicinali ed altre forme di interazione La somministrazione concomitante di EXJADE e preparati antiacidi contenenti alluminio non è stata formalmente studiata. Anche se deferasirox ha una minore affinità per l’alluminio rispetto al ferro, non è raccomandata l’assunzione di EXJADE compresse con preparati antiacidi contenenti alluminio (vedere paragrafo 4.4). La biodisponibilità di deferasirox è risultata aumentata in misura variabile quando l’assunzione è concomitante con il cibo. EXJADE deve essere pertanto preso a stomaco vuoto almeno 30 minuti prima dell’assunzione di cibo, preferibilmente ogni giorno alla stessa ora (vedere paragrafi 4.2 e 5.2). Deferasirox viene metabolizzato a carico degli enzimi UGT. Non si può escludere una diminuzione della sua concentrazione plasmatica quando è somministrato con potenti induttori degli enzimi UGT come rifampicina, fenobarbitale o fenitoina. Si deve monitorare la ferritina sierica del paziente durante e dopo il trattamento concomitante e, se necessario aggiustare la dose di EXJADE. In uno studio su volontari sani, la concomitante somministrazione di EXJADE e midazolam (substrato del citocromo CYP3A4) ha determinato una diminuzione dell’esposizione di midazolam del 17% (90% IC: 8% - 26%). Nella pratica clinica questo effetto può essere più marcato. Pertanto si deve prestare attenzione quando deferasirox è associato a farmaci metabolizzati attraverso il CYP3A4 (es. ciclosporina, simvastatina, contraccettivi ormonali, bepridil, ergotamina) data la possibile riduzione della loro efficacia. Non è stata stabilita la sicurezza di EXJADE in associazione con altri chelanti del ferro. Pertanto non deve essere associato ad altre terapie ferrochelanti (vedere paragrafo 4.3). Non è stata osservata nessuna interazione tra EXJADE e digossina in volontari adulti sani. Non può essere esclusa un’interazione tra deferasirox e substrati del CYP2C8 come paclitaxel e repaglinide. La somministrazione concomitante di EXJADE e vitamina C non è stata formalmente studiata. Dosi di vitamina C fino a 200 mg al giorno non sono state associate a conseguenze avverse. La somministrazione concomitante di EXJADE e sostanze che hanno un riconosciuto potenziale ulcerogeno, come i farmaci antinfiammatori non-steroidei (incluso l’acido acetilsalicilico ad alto dosaggio), i corticosteroidi, o i bifosfonati orali, così come gli anticoagulanti può aumentare il rischio di tossicità gastrointestinale (vedere paragrafo 4.4). EXJADE può anche aumentare il rischio di emorragia degli anticoagulanti. Uno stretto monitoraggio clinico deve essere attuato quando deferasirox è associato con questi medicinali. 4.6 Gravidanza e allattamento Gravidanza Per deferasirox non sono disponibili dati clinici relativi a gravidanze esposte. Gli studi su animali hanno evidenziato una tossicità riproduttiva alle dosi risultate tossiche per la madre (vedere paragrafo 5.3). Il rischio potenziale per gli esseri umani non è noto. A titolo precauzionale, si raccomanda di non usare EXJADE durante la gravidanza se non in caso di assoluta necessità. Allattamento Negli studi sugli animali, è stato riscontrato che deferasirox viene escreto rapidamente e ampiamente nel latte materno. Non sono stati osservati effetti sulla prole. Non è noto se deferasirox sia escreto nel latte umano. L’allattamento non è raccomandato durante l’assunzione di EXJADE. Fertilità Non sono disponibili dati sulla fertilità per l’uomo. Negli animali, non sono stati riscontrati effetti avversi sulla fertilità maschile o femminile (vedere paragrafo 5.3). 4.7 Effetti sulla capacità di guidare veicoli e sull’uso di macchinari Non sono stati effettuati studi sugli effetti di EXJADE sulla capacità di guidare veicoli e sull’uso di macchinari. I pazienti che notano la comparsa di capogiri, reazione avversa non comune, devono prestare cautela nella guida di veicoli o nell’uso di macchinari (vedere paragrafo 4.8). 4.8 Effetti indesiderati Le reazioni più frequenti segnalate durante il trattamento cronico con EXJADE in pazienti adulti e pediatrici comprendono disturbi gastrointestinali in circa il 26% dei pazienti (principalmente nausea, vomito, diarrea o dolore addominale) ed eruzione cutanea in circa il 7% dei pazienti. La diarrea è stata segnalata più comunemente nei pazienti pediatrici di età compresa tra i 2 e i 5 anni rispetto ai pazienti di età superiore. Queste reazioni sono dipendenti dalla dose, per lo più di intensità da lieve a moderata, generalmente transitorie e si risolvono nella maggior parte dei casi anche se si continua il trattamento. Durante gli studi clinici in circa il 36% dei pazienti si sono verificati aumenti >33% della creatinina sierica in ≥2 determinazioni consecutive, alcune volte al di sopra del limite superiore dell’intervallo di normalità. Essi erano dose dipendente. Circa due terzi dei pazienti che hanno mostrato un aumento della creatinina sierica sono ritornati al livello al di sotto del 33% senza aggiustamento della dose. Nei rimanenti pazienti l’aumento della creatinina sierica non rispondeva sempre ad una riduzione della dose o ad un’interruzione del trattamento. Infatti in alcuni casi dopo la riduzione della dose si è osservata solo una stabilizzazione dei valori di creatinina sierica (vedere paragrafo 4.4). In circa il 2% dei pazienti sono stati segnalati calcoli biliari e disordini biliari correlati. Aumento delle transaminasi è stato riportato come reazione avversa al farmaco nel 2% dei pazienti. Un aumento delle transaminasi più di 10 volte il limite superiore dell’intervallo di normalità, indicativo di epatite, è stato non comune (0,3%). Durante l’esperienza post-marketing, è stata riportata con EXJADE insufficienza epatica, talvolta fatale, specialmente nei pazienti con preesistente cirrosi epatica (vedere paragrafo 4.4). Come con altri trattamenti chelanti del ferro, ipoacusia alle alte frequenze e opacità del cristallino (cataratta precoce) sono stati osservati non comunemente nei pazienti trattati con EXJADE (vedere paragrafo 4.4). Le reazioni avverse sono classificate di seguito usando la seguente convenzione: molto comune (≥1/10); comune (≥1/100, <1/10); non comune (≥1/1.000, <1/100); raro (≥1/10.000, <1/1.000); molto raro (<1/10.000); non nota (la frequenza non può essere definita sulla base dei dati disponibili). All’interno di ciascuna classe di frequenza, le reazioni avverse sono riportate in ordine decrescente di gravità. Patologie Molto comune Patologie del sistema nervoso Comune Non comune Cefalea Capogiri Patologie dell’occhio Cataratta precoce, maculopatia Patologie dell’orecchio e del labirinto Perdita dell’udito Patologie respiratorie, toraciche e mediastiniche Dolore faringolaringeo Patologie gastrointestinali Patologie renali e urinarie Patologie della cute e del tessuto sottocutaneo Aumento della creatinina ematica Esofagite Emorragia gastrointestinale, ulcera gastrica (incluso ulcere multiple), ulcera duodenale, gastrite Proteinuria Tubulopatia renale (sindrome di Fanconi acquisita), glicosuria Insufficienza renale acuta1 Eruzione cutanea, prurito Disturbi della pigmentazione Orticaria1 Piressia, edema, affaticamento Disturbi del sistema immunitario Disturbi psichiatrici Non nota Diarrea, stipsi, vomito, nausea, dolore addominale, distensione addominale, dispepsia Patologie sistemiche e condizioni relative alla sede di somministrazione Patologie epatobiliari Raro Reazioni di ipersensibilità (inclusi anafilassi e angioedema)1 Aumento delle transaminasi Epatite, colelitiasi Insufficienza epatica1 Ansia, disturbi del sonno Reazioni avverse segnalate durante l’esperienza post-marketing. Esse derivano da segnalazioni spontanee per le quali non è sempre possibile stabilire in modo sicuro la frequenza o una relazione causale con l’esposizione al medicinale. 4.9 Sovradosaggio Sono stati riportati casi di sovradosaggio (2-3 volte la dose prescritta per diverse settimane). In un caso, ciò ha portato ad epatite subclinica che si è risolta dopo un’interruzione del trattamento. In pazienti talassemici con sovraccarico di ferro dosi singole di 80 mg/kg hanno causato lieve nausea e diarrea. Segni acuti di sovradosaggio possono comprendere nausea, vomito, cefalea e diarrea. Il sovradosaggio può essere trattato mediante l’induzione di emesi o con lavanda gastrica, e con trattamento sintomatico. 1 Depositato presso AIFA in data 00/00/0000 5. PROPRIETÀ FARMACOLOGICHE 5.1 Proprietà farmacodinamiche Categoria farmacoterapeutica Agente chelante del ferro, codice ATC: V03AC03. Deferasirox è un chelante attivo per via orale, altamente selettivo per il ferro (III). È un legante tridentato che lega il ferro con elevata affinità in un rapporto 2:1. Deferasirox favorisce l’escrezione di ferro, principalmente nelle feci. Deferasirox ha una bassa affinità per lo zinco ed il rame e non causa una diminuzione costante dei livelli sierici di tali metalli. In uno studio metabolico sul bilancio del ferro in pazienti adulti talassemici con sovraccarico di ferro, EXJADE a dosi giornaliere di 10, 20 e 40 mg/kg ha indotto l’escrezione netta media rispettivamente di 0,119, 0,329 e 0,445 mg di Fe/kg di peso corporeo/die. EXJADE è stato studiato su 411 pazienti adulti (età ≥16 anni) e 292 pazienti pediatrici (età da 2 a <16 anni) con sovraccarico di ferro cronico dovuto a emotrasfusioni. Dei pazienti pediatrici, 52 avevano un’età compresa tra 2 e 5 anni. Le condizioni di base che richiedevano la trasfusione comprendevano beta-talassemia, anemia falciforme ed altre anemie congenite ed acquisite (sindromi mielodisplastiche, sindrome di Diamond-Blackfan, anemia aplastica ed altre anemie molto rare). Il trattamento giornaliero di pazienti adulti e pediatrici con beta-talassemia, sottoposti a frequenti trasfusioni, a dosi di 20 e 30 mg/kg per un anno ha portato alla riduzione degli indicatori del ferro corporeo totale; la concentrazione epatica di ferro risultava ridotta rispettivamente di circa 0,4 e 8,9 mg Fe/g di fegato (peso secco da biopsia) in media e la ferritina sierica risultava ridotta rispettivamente di circa 36 e 926 μg/l in media. A queste stesse dosi i rapporti tra escrezione di ferro e assunzione di ferro erano rispettivamente di 1,02 (indicando un bilancio di ferro netto) e 1,67 (indicando un’eliminazione di ferro netta). EXJADE ha indotto risposte simili in pazienti con sovraccarico di ferro affetti da altre anemie. Dosi giornaliere di 10 mg/kg per un anno possono mantenere i livelli di ferro epatico e di ferritina sierica e indurre un bilancio di ferro netto in pazienti sottoposti a trasfusioni non frequenti o eritrocitoaferesi. La ferritina sierica valutata con monitoraggio mensile ha rispecchiato le modifiche della concentrazione epatica di ferro, indicando che l’andamento della ferritina sierica può essere utilizzato per monitorare la risposta alla terapia. I limitati dati clinici (29 pazienti con funzione cardiaca normale al basale) con l’uso della MRI indicano che il trattamento con EXJADE 10 30 mg/kg/die per 1 anno può ridurre anche i livelli di ferro nel cuore (in media, l’aumento del MRI T2* è stato da 18,3 a 23,0 millisecondi). L’analisi principale dello studio pivotale di confronto condotto in 586 pazienti affetti da beta talassemia e sovraccarico di ferro dovuto a emotrasfusioni non ha dimostrato la non inferiorità di EXJADE nei confronti di deferoxamina nell’analisi della popolazione totale di pazienti. Da una analisi post-hoc di questo studio si evidenzia che nel sottogruppo di pazienti con concentrazione di ferro epatico ≥7 mg Fe/g di peso secco trattati con EXJADE (20 e 30 mg/kg) o deferoxamina (da 35 a ≥50 mg/kg), sono stati raggiunti i criteri di non inferiorità. Tuttavia nei pazienti con concentrazione di ferro epatico <7 mg Fe/g di peso secco trattati con EXJADE (5 e 10 mg/kg) o deferoxamina (da 20 a 35 mg/kg), non è stata stabilita la non inferiorità a causa dello squilibrio della dose dei due chelanti. Questo squilibrio si è presentato in quanto ai pazienti in trattamento con deferoxamina era permesso di rimanere alla dose assunta nella fase di pre-studio anche se maggiore della dose specificata dal protocollo. 56 pazienti di età inferiore ai 6 anni hanno partecipato allo studio pivotale, di cui 28 hanno ricevuto EXJADE. Gli studi preclinici e clinici hanno mostrato che EXJADE può essere attivo come deferoxamina quando utilizzato in un rapporto di dose 2:1 (es. una dose di EXJADE è numericamente la metà della dose di deferoxamina). Tuttavia questa raccomandazione posologica non è stata valutata in modo prospettico negli studi clinici. Inoltre in pazienti con concentrazione di ferro epatico ≥7 mg Fe/g di peso secco affetti da diverse rare anemie o da anemia falciforme, EXJADE fino a 20 e 30 mg/kg provoca una diminuzione della concentrazione epatica di ferro e della ferritina sierica paragonabile a quanto ottenuto nei pazienti con beta talassemia. 5.2 Proprietà farmacocinetiche Assorbimento Deferasirox viene assorbito dopo somministrazione orale con un tempo mediano alla concentrazione plasmatica massima (tmax) di circa da 1,5 a 4 ore. La biodisponibilità assoluta (AUC) di deferasirox da EXJADE compresse è di circa il 70% rispetto a una dose per via endovenosa. L’esposizione totale (AUC) è risultata approssimativamente raddoppiata quando assunto con un pasto ad alto contenuto di grassi (contenuto di grassi >50% delle calorie) e aumentata di circa il 50% quando assunto con un pasto standard. La biodisponibilità (AUC) di deferasirox è risultata moderatamente (circa 13 25%) più elevata se l’assunzione avveniva 30 minuti prima di pasti con contenuto di grassi normale o elevato. Distribuzione Deferasirox è altamente (99%) legato alle proteine plasmatiche, quasi esclusivamente all’albumina sierica, e ha un esiguo volume di distribuzione di circa 14 litri negli adulti. Biotrasformazione La glucoronidazione è la via metabolica principale per deferasirox, con successiva escrezione biliare. È probabile che si verifichi la deconiugazione dei glucuronidati nell’intestino e il successivo riassorbimento (ricircolo enteroepatico). Deferasirox è principalmente glucuronidato tramite UGT1A1 e in misura minore UGT1A3. Il metabolismo (ossidativo) di deferasirox catalizzato dal CYP450 sembra essere minore nell’uomo (circa l’8%). In vitro non è stata osservata inibizione del metabolismo di deferasirox dall’idrossiurea. Eliminazione Deferasirox e i suoi metaboliti sono escreti principalmente nelle feci (84% della dose). L’escrezione renale di deferasirox e dei suoi metaboliti è minima (8% della dose). L’emivita di eliminazione media (t1/2) varia da 8 a 16 ore. I trasportatori MRP2 e MXR (BCRP) sono coinvolti nell’escrezione biliare di deferasirox. Linearità / non linearità In condizioni di steady-state, la Cmax e l’AUC0-24h di deferasirox aumentano in modo approssimativamente lineare con la dose. Con somministrazioni multiple, l’esposizione aumenta di un fattore di accumulo da 1,3 a 2,3. Caratteristiche dei pazienti Pazienti pediatrici L’esposizione complessiva degli adolescenti (da 12 a ≤17 anni) e dei bambini (da 2 a <12 anni) a deferasirox, dopo dosi singole e ripetute, è stata inferiore rispetto ai pazienti adulti. Nei bambini di età inferiore a 6 anni, l’esposizione è stata di circa il 50% inferiore a quella degli adulti. Dal momento che il dosaggio viene aggiustato su base individuale secondo la risposta, non si prevede che ciò abbia conseguenze cliniche. Sesso Le femmine hanno una clearance apparente moderatamente più bassa (del 17,5%) per il deferasirox rispetto ai maschi. Poiché il dosaggio viene aggiustato su base individuale secondo la risposta, non si prevede che ciò abbia conseguenze cliniche. Pazienti anziani La farmacocinetica di deferasirox non è stata studiata in pazienti anziani (di età pari o superiore a 65 anni). Insufficienza renale o epatica La farmacocinetica di deferasirox non è stata studiata in pazienti con insufficienza renale o epatica. La farmacocinetica di deferasirox non è influenzata da livelli di transaminasi epatiche fino a 5 volte il limite superiore dell’intervallo di normalità. 5.3 Dati preclinici di sicurezza I dati preclinici non rivelano rischi particolari per i pazienti con sovraccarico di ferro sulla base di studi convenzionali di safety pharmacology, tossicità a dosi ripetute, genotossicità o potenziale cancerogeno. Le evidenze principali sono state tossicità renale ed opacità del cristallino (cataratta). Evidenze simili sono state osservate in animali neonati e giovani. Si ritiene che la tossicità renale sia principalmente dovuta alla perdita del ferro in animali che non avevano un precedente sovraccarico di ferro. I test di genotossicità in vitro sono risultati negativi (test di Ames, test di aberrazione cromosomica) o positivi (screen V79). Deferasirox ha causato la formazione di micronuclei in vivo nel midollo osseo, ma non nel fegato, in ratti cui non era stato somministrato un carico di ferro a dosi letali. Non sono stati osservati tali effetti in ratti cui non era stato somministrato un carico di ferro. Deferasirox non è risultato cancerogeno quando somministrato nei ratti in uno studio della durata di 2 anni e nei topi eterozigoti p53+/- transgenici in uno studio della durata di 6 mesi. Il potenziale di tossicità riproduttiva è stato valutato nel ratto e nel coniglio. Deferasirox non è risultato teratogeno, ma ha causato a dosi elevate risultate gravemente tossiche per la madre non sovraccaricata di ferro, un aumento della frequenza di variazioni scheletriche e nati morti nel ratto. Deferasirox non ha causato altri effetti sulla fertilità o sulla riproduzione. 6. INFORMAZIONI FARMACEUTICHE 6.1 Elenco degli eccipienti Lattosio monoidrato - Crospovidone tipo A - Cellulosa microcristallina - Povidone - Sodio laurilsolfato - Silice colloidale anidra - Magnesio stearato. 6.2 Incompatibilità Non è raccomandata la dispersione in bevande gassate o nel latte a causa, rispettivamente, della formazione di schiuma e della lenta dispersione. Le compresse non devono essere masticate né ingerite intere. 6.3 Periodo di validità 3 anni. 6.4 Precauzioni particolari per la conservazione Conservare nella confezione originale per tenerlo al riparo dall’umidità. 6.5 Natura e contenuto del contenitore Blisters PVC/PE/PVDC/Alluminio. Confezioni contenenti 28 o 84 compresse dispersibili. è possibile che non tutte le confezioni siano commercializzate. 6.6 Precauzioni particolari per lo smaltimento Nessuna istruzione particolare. 7. TITOLARE DELL’AUTORIZZAZIONE ALL’IMMISSIONE IN COMMERCIO Novartis Europharm Limited - Wimblehurst Road - Horsham - West Sussex, RH12 5AB - Regno Unito. 8. NUMERO(I) DELL’AUTORIZZAZIONE ALL’IMMISSIONE IN COMMERCIO EU/1/06/356/005 EU/1/06/356/006 9. DATA DELLA PRIMA AUTORIZZAZIONE/RINNOVO DELL’AUTORIZZAZIONE 28.08.2006 10. DATA DI REVISIONE DEL TESTO 07/2008