4 Il tumore di Wilms_Patogenesi molecol+classificaz

Introduzione
1 - Introduzione
1.1 - Il tumore di Wilms: epidemiologia e inquadramento clinico
Il tumore di Wilms, noto anche come nefroblastoma, è comunemente riconosciuto come una
deformazione neoplastica maligna a carico del rene. Tra le patologie ad impronta oncologica che
insorgono in età pediatrica, il tumore di Wilms è sicuramente il più frequente, colpendo 1 bambino
ogni 10.000 prima che abbia generalmente compiuto il quinto anno di età 1. La casistica afferente
al tumore di Wilms presenta un’incidenza del tutto equiparabile fra i due sessi; l’espansione della
massa tumorale tende a conseguirsi in forma sporadica e unilaterale perlopiù, sebbene la
familiarità giochi un ruolo sicuramente incisivo come fattore di rischio 2. Il riscontro di più casi
all’interno di uno stesso albero genealogico, di fatto lascia supporre una trasmissione genetica
verticale. In tal caso, la predisposizione dei connotati genetici determinerebbe un requisito
necessario e sufficiente a tipizzare, con un coinvolgimento più diretto, il quadro patologico. Forme
ereditarie (bilaterali o multifocali) si riscontrano con una frequenza pari al 20% e spesso accertate
in concomitanza ad anomalie congenite (aniridia, emi-ipertrofia corporea, anomalie del tratto
urogenitale,
ritardo
mentale),
specie
se
maschili
(criptorchidismo,
ipospadia,
pseudoermafroditismo, disgenesia delle gonadi) 3. Per questo motivo si ritiene che la variante
familiare sia da interpretarsi più verosimilmente come risultato degli effetti combinatori tra una
mutazione germinale, acquisita per contributo genitoriale al corredo genetico del nascituro, e
l’incursione tardiva e stocastica di una mutazione somatica, in modo del tutto indipendente
rispetto alla precedente.
Tipicamente il tumore esordisce come una formazione lombare accessoria e asintomatica che si
estende dall’ipocondrio sino allo scavo pelvico, senza oltrepassare la linea mediana. Lo sviluppo
della neoplasia è sostenuto da un’aberrante attività proliferativa cui è propenso il parenchima del
1
Introduzione
blastema metanefrico primitivo durante la formazione degli abbozzi nefrogeni. Ne consegue, a
livello fenotipico, l’espansione di un mosaico tissutale risultante dalla commistione tra citotipi
muscolo-scheletrici, cartilaginei ed epiteliali (tessuto eterotopico). Spesso inoltre, sono visibili
all’indagine microscopica aree di necrosi emorragica alternate a zone con degenerazione cistica.
Circa il 5-10% dei tumori di Wilms esordisce bilateralmente in una finestra temporale distinta per
ciascun rene (modalità metacrona); in alternativa, si registrano casi in cui l’iniziazione
tumorigenica si attua contemporaneamente nei corrispettivi parenchimi controlaterali
4
.
L’acquisizione di un profilo metastatico, permette alla massa tumorale di attuare un’infiltrazione
della capsula renale con possibile interessamento dei vasi sanguigni attigui e dei tessuti limitrofi:
frequentemente repertabile è un esteso tessuto di granulazione del connettivo perirenale, che
conferisce al rene un aspetto a “pseudocapsula infiammatoria”. Le sedi extrarenali a distanza più
facilmente raggiungibili per via ematogena sono i polmoni (85% dei casi diagnosticati), i
linfonodi regionali e il fegato (15%). Il tumore di Wilms spesso è posto in diagnosi differenziale
con altre patologie neoplastiche a risoluzione benigna, quali il rene policistico e gli ematomi
renali; l’utilizzo della diagnostica per immagini unita ad accertamenti sulla funzionalità escretoria
offre strumenti di supporto indispensabili all’impostazione di una terapia mirata ed efficace.
L’exeresi chirurgica occupa un posto di rilievo nella stesura del piano terapico, grazie ad
un’accurata stadiazione basata sulle analisi morfologiche e cito-molecolari
3
. Un regime
chemioterapico personalizzato, talvolta coadiuvato da un percorso radiologico, è da sempre
preventivato nell’ambito della cura dl tumore di Wilms.
1.1.1 - Varianti del tumore: classificazione
Il tumore di Wilms si distingue in due possibili varianti istologiche
2a
, identificabili in base alla
presenza di atipia cellulare:
 variante a prognosi favorevole: l’istotipo che si presenta è definito”trifasico”,
comparendo tutte e tre le popolazioni tipiche del mesenchima metanefrico in fase di
2
Introduzione
maturazione (blastema, stroma, epitelio); la responsività ai trattamenti
chemioterapici è accertata 5.
 variante anaplastica: predomina una sottopopolazione tra le altre che acquisisce un
aspetto fortemente disomogeneo nell’organizzazione, con atipie multiple a livello
morfologico, nucleare e nel contenuto cromatinico. In genere, predominante è il
blastema o lo stroma.
La stadiazione del tumore è post-chirurgica (criteri del National Wilms Tumor Study-3) ed
individua 5 stadi diversificati considerando il grado di estensione, l’avvenuta asportazione e il
conseguente esito istologico e infine la presenza di più foci neoplastiche in contesto mono o
bilaterale. La suddivisione può essere così sintetizzata:
 Stadio 1: il tumore è limitato al rene, con capsula renale intatta. L’asportazione è
completa.
 Stadio 2: il tumore è esteso oltre il parenchima renale e la relativa capsula.
L’asportazione può essere praticata oppure resa alternativa al prelievo bioptico.
 Stadio 3: il tumore è esteso agli organi limitrofi o in sedi extrarenali a distanza
senza metastasi ematogene.
 Stadio 4: sono presenti oltre alle constatazioni riepilogate nello stadio 3, anche
metastasi ematogene, in genere polmonari ed epatiche.
 Stadio 5: il tumore interessa entrambi i reni 5.
1.1.2 - Genetica del tumore di Wilms
3
Introduzione
Studi citogenetici e di LOH (Loss of Heterozygosity) hanno portato alla luce una serie di regioni
cromosomiche che sono invariabilmente coinvolte nella trasformazione neoplastica di Wilms. La
più comune peculiarità riguarda l’acquisizione di cromosomi copia ridondanti o frammenti
cromosomici aggiuntivi quali quello 1q, 6, 7, 8, 12, 13, 18, 20
6-10
. E’ possibile però
evidenziare anche perdite cromosomiche, soprattutto lungo il cromosoma X, 1p, 11p, 16q e 22q 11,
13
. Tra queste anomalie, pare che la perdita dell’ 1p e del 16q, così come il guadagno dell’ 1q,
siano associate ad una prognosi più infausta nei tumori di Wilms con istologia favorevole 12.
Fig.1 : analisi
della sopravvivenza
senza recidive nel periodo
successivo alla diagnosi
di tumore di Wilms
ad istologia favorevole
(stadio I/II); confronto
tra casi senza LOH,
con LOH 1p, LOH 16q,
o entrambe.
1.1.3 - Il gene WT1: struttura e funzione.
Il locus 11p13 è stata una delle prime impronte genetiche ad essere associata al tumore di Wilms,
a causa dell’elevata incidenza della neoplasia in bambini con aniridia. Quest’ultima malattia è il
risultato di un anomalo sviluppo oculare dipendente dall’espressione del gene homeobox PAX6,
anch’esso collocato nel medesimo locus di WT1. I pazienti con sindrome WAGR (Wilms tumor,
Aniridia, Genital abnormalities and mental Retardation syndrome) , mappano mutazioni che
ricadono in entrambi i geni, e le analisi citogenetiche di sovrapposizione cromosomica di
campioni isolati da tessuti con mutazioni germinali e tessuti con mutazioni sporadiche, hanno
messo in evidenza la minima regione comunemente mutata 2. WT1 codifica per un fattore di
4
Introduzione
trascrizione di 55 kDa con struttura a “zinc finger”. Il C-terminale ospita questa peculiare
architettura, che media il legame col duplex genomico. L’N-terminale è ricco in residui prolinici e
glutamminici che rievocano la struttura di un dominio di transattivazione tipico di altri fattori
trascrizionali. Molteplici sono le isoforme risultanti dallo splicing alternativo
14
. Alcune varianti
risultano da aberrazioni a livello traduzionale che portano a spostare il riconoscimento del codone
d’inizio AUG a monte o a valle del consueto punto d’avviamento della proteinosintesi, oppure
derivano da modifiche post-trascrizionali (RNA-editing). Le più interessanti riguardano la
possibile inserzione dell’esone 5 (il primo prodotto di splicing alternativo) e il sito donatore di
splicing che in modo variabile inserisce in successione una lisina, una treonina e una serina tra il
terzo e il quarto dito di zinco (secondo prodotto di splicing definito KTS). Il primo prodotto di
splicing alternativo è comune anche ad altri mammiferi e, sebbene la sua presenza influenzi la
funzione del WT1 in alcuni sistemi cellulari, il suo ruolo in vivo rimane incerto dal momento che
topi knock-out per l’esone 5 si sviluppano normalmente. Il secondo prodotto di splicing
alternativo o KTS altera invece in maniera decisiva la capacità del WT1 di contattare il DNA,
portando sia nei modelli murini sperimentali quanto nei pazienti affetti dalla sindrome di Frasier a
compromettere la formazione renale e gonadica. La distinzione tra le due isoforme non è solo
strutturale; ciascuna agisce in un contesto differente. Mentre WT1(KTS-) ha ben note proprietà
transattivanti, la forma WT1(KTS+) sembra esser specificatamente coinvolta nella processazione
dell’RNA, essendo repertabile in complessi con le “small nuclear ribonucleoproteins” (snRNPs) in
saggi di precipitazione 15. Studi di KO mettono in evidenza in modo più efficace la discrepanza di
funzioni tra KTS+ e KTS-. Topi difettivi per KTS- permangono con reni dimensionalmente ridotti
e con una drastica contrazione della zona nefrogenica e glomerulare. Modelli KO per KTS+
sviluppano reni normali, ma con carenze funzionali a carico della barriera podocitaria 2. Le
mutazioni in WT1 contemplano effetti nonsenso, missenso o splicing correlati, e sono distribuite
in tutta la regione codificante. Quando presenti nelle forme sporadiche di Wilms (10-15% dei
casi), si ritiene possano fare incursione precocemente, dal momento che sono state riscontrate in
5
Introduzione
residui nefrogenici. Tuttavia, la maggioranza dei casi sporadici può esprimere il WT1 wild-type,
spesso ad elevati livelli, suggerendo la possibilità che altri eventi genetici a valle del fattore WT1
siano necessari alla tumorigenesi
16
. Nei casi sindromici di Wilms, mutazioni in eterozigosi sono
associate con anomalie del tratto genitourinario, ipotizzando un ruolo più consistente ed ampio per
WT1 nello sviluppo renale e gonadico. La presenza o l’assenza di mutazioni nel contesto del
Wilms non sembrano comunque influire sulla prognosi, quanto prevalentemente sui connotati
istologici che lo caratterizzano maggiormente. Di fatto, più evidente è l’orientamento dei blasti
renali al differenziamento miogenico e maggiormente estesa è la componente stromale in presenza
di mutazioni a carico di WT1. Oltremodo i tumori WT1 defettivi sono più frequentemente associati
alla repertabilità di residui nefrogenici intralobari piuttosto che perilobari 1.
Fig.2 : splicing alternativo di
WT1. Lo splicing alternativo
dell’esone 5 col sito donatore
dell’esone 9 (che inserisce
lisina(K), treonina(T), e
serina(S)), si traduce nella
formazione di differenti
isoforme di WT1. L’inserzione
del KTS tra il terzo e il quarto
zinc finger altera il legame al
DNA. Altre isoforme derivano
da diversi start points o da
RNA editing. Le isoforme
–KTS sono distribuite in modo
diffuso nel nucleo; le forme
+KTS sono presenti in modo
non omogeneo.
1.1.4 - WT2 o IGF2/H19
Il locus 11p15 è frequentemente colpito da LOH nel tumore di Wilms e nelle sindromi ad esso
correlate. Il frame ospita una serie di geni sottoposti ad imprinting e che nel contesto tumorale di
6
Introduzione
Wilms tendono a subire anomalie d’espressione. IGF2 è espresso di norma solo per contributo
paterno. Nel Wilms l’allele paterno va incontro a duplicazione oppure si verifica una riattivazione
dell’allele materno (loss of imprinting), tale da giustificare i sintomi di sovraccrescimento nelle
sindromi BWS
17
. H19, espresso solo per via materna, subisce ipermetilazione; la sua attività
oncosopressiva viene ostacolata, a favore dell’azione avversa di IGF2. p57Kip2 codifica per un
membro del gruppo di inibitori delle chinasi ciclina-dipendenti, e come H19 viene down-regolato
nel tumore di Wilms 17b.
β-catenina
La β-catenina è una proteina di adesione cellulare coinvolta nell’attivazione dei membri della
famiglia dei fattori trascrizionali TCF/LIF (T-cell factor/Leukemia Inibitory Factor), per mediare
l’espressione dei geni che controllano la crescita, come c-MYC e ciclina D1. Rappresenta anche
un effettore cruciale nella trasduzione del segnale mediata da Wnt. La mancanza di Wnt si traduce
nella fosforilazione della β-catenina e nella sua degradazione proteasoma-dipendente. Mutazioni o
delezioni nel suo gene (CTNNB1) causano destabilizzazione della proteina, che si accumula e
trasloca nel nucleo ad attivare specifici bersagli genici17b. Mutazioni in CTNNB1 ricorrono nel
15% dei casi di Wilms’18; raramente compaiono come reperti isolati, mentre più comune è il
riscontro in associazione a mutazioni in WT119.
7
Introduzione
Fig. 3 : variazioni nella
via che porta alla
tumorigenesi.
Nella cellula normale la
b-catenina viene trattenuta
e degradata nel citosol (a);
nella via comune al tumore
di Wilms e al cancro del
colon la b-catenina mutata
trasloca nel nucleo (b)
e analogamente accade se
mutazioni incorrono in uno
dei componenti del
complesso di distruzione
della b-catenina nel
citoplasma .
Inoltre, osservazioni del National Wilms Tumour Study (NWTS) basate sulla sorveglianza a lungo
termine di pazienti affetti da tumore di Wilms 20, confermano quanto sia incisiva la relazione tra i
due geni: tutti i tumori WT1 defettivi recano mutazioni anche in CTNNB1, esibendo un’istologia a
forte impronta stromale con tendenza al differenziamento rabdomiogenico 21.
1.1.6 - p53
Come oncosopressore, p53 codifica per un regolatore negativo del ciclo cellulare e positivo a
favore dell’apoptosi in risposta ai danni al DNA. Mutazioni in p53 sono sporadiche tra i tumori a
prognosi favorevole, ma sono ricorrenti nel 75% dei casi con anaplasia diffusa. Studi di
microdissection tra le diverse varianti istologiche di Wilms rivelano la compromissione di p53
limitatamente alle aree tissutali colpite da foci anaplastiche, suggerendo che questo evento insorga
tardivamente e possa contribuire a irrobustire l’aggressività del tumore 17b.
1.1.7 - Patogenesi e aspetti molecolari del tumore di Wilms
8
Introduzione
La biologia del tumore di Wilms mostra importanti aspetti tipici delle neoplasie pediatriche, quali:
 la concomitante insorgenza del tumore e di malformazioni familiari;
 le similitudini istologiche tra organogenesi ed oncogenesi;
 la teoria dei “due colpi” per mutazioni recessive che coinvolgono geni
oncosoppressori;
 il ruolo potenziale patognomonico di lesioni precancerose.
Il rischio di ammalarsi di tumore di Wilms risulta aumentato in presenza di almeno tre gruppi di
malformazioni congenite associate a loci cromosomici distinti. Sebbene il tumore di Wilms
insorga in non più del 10% dei casi, queste forme sindromiche hanno fornito importanti contributi
per comprendere la biologia di queste neoplasie. Un primo gruppo di pazienti presenta la sindrome
di WAGR, caratterizzata da tumore di Wilms, Aniridia, anomalie Genitali e Ritardo mentale. In
questo contesto la probabilità di sviluppare il tumore di Wilms è pari al 33%. Questi soggetti
presentano una delezione costituzionale, ovvero germinalmente acquisita, dell’11p13. Studi su
questi pazienti hanno portato ad identificare il primo gene associato alla neoplasia e collocato
nella sede anomalmente deleta, il WT1, oltrechè del gene PAX6, colpito a sua volta da un evento
deletivo i cui effetti
si espletano in forma autosomico-dominante. I pazienti con esclusiva
delezione sul gene PAX6 (la funzione codificata dal gene WT1 rimane in questo casa inalterata)
sviluppano sporadicamente aniridia ma non corrono un maggior rischio di sviluppare il tumore di
Wilms rispetto ad un campione rappresentativo della popolazione generale. La presenza di
delezioni germinali in WT1 invece, come accade tra gli individui affetti da WAGR, definisce un
“primo colpo”, rendendo il contesto genetico del soggetto più permissivo all’eventuale incursione
di un “secondo colpo”; in quest’ultimo caso, qualora soprattutto compaia una mutazione
frameshift o nonsenso nell’unico allele rimasto in versione wild-type, aumenta significativamente
il riscontro diagnostico di una formazione di Wilms. Un secondo gruppo di pazienti a rischio
9
Introduzione
decisamente superiore di sviluppare il tumore di Wilms (circa una probabilità stimata attorno al
90%), si annoverano gli affetti di sindrome di Denys-Drash, patologia che concentra le sue
ripercussioni
sul
tratto
(pseudoermafroditismo
genitourinario
maschile)
e
mediante
nefropatia
forme
ad
di
esordio
disgenesia
precoce
gonadica
ad
esito
degenerativo(insufficienza renale). A differenza dei pazienti WAGR, in questo quadro sindromico
esiste un’anomalia genetica a carico del WT1 con effetto dominante (mutazione nonsenso), che
porta la proteina corrispondente a non essere più in grado di contattare il DNA con efficienza. Una
singola dose mutata della proteina, quindi, riesce a far penetrare completamente il fenotipo
urogenitale difettoso, senza tuttavia indurre il tumore di Wilms. Quest’ultimo compare invece,
qualora si realizzi una inattivazione biallelica del gene WT1, essendo doppia e pertanto più
incisiva l’azione di una dose di proteina mutata. Il terzo gruppo di individui con buona probabilità
di sviluppare la neoplasia sono i bambini affetti da sindrome di Beckwith- Wiedemann, con
manifesta organomegalia, macro-glossia, emi-ipertrofia, omfalocele e citomegalia surrenale. Il
locus genetico coinvolto in questa circostanza è l’11p15, posto distalmente rispetto al WT1.
Sebbene si sia azzardata la possibilità di nominare questa nuova sequenza come “WT2”, in realtà
non ne risulta ancora accertata l’identità. La posizione del suddetto ipotetico “WT2” tuttavia, pare
piuttosto interessante; almeno una decina di geni si ritiene siano ubicati nella medesima regione e
normalmente sottoposti ad imprinting genomico, in maniera tale che solamente una delle due
varianti alleliche parentali acquisite sia attivamente espressa, mentre l’altra subisca un fenomeno
di silenziamento trascrizionale mediante una preventiva metilazione dei promotori genici
interessati. In particolare, uno dei geni a noto imprinting paterno è rappresentato da IGF2, fattore
di crescita insulino-simile 2. In alcuni tumori di Wilms, per questo locus genico si attua uno
stravolgimento del profilo espressivo contemplato dall’imprinting: di fatto si concretizza il
recupero trascrizionale dell’allele materno per tale gene, per il quale è previsto il ripristino di
un’espressione biallelica, tuttavia aberrante rispetto alla dose monoallelica di IGF2 necessaria
fisiologicamente. In altri casi, si verifica una delezione selettiva dell’allele materno, seguita dalla
10
Introduzione
duplicazione compensatoria della variante allelica paterna (disomia uniparentale paterna), che si
traduce ad ogni modo in una sovrapproduzione di proteina. Un ammontare complessivamente
ridondante della proteina IGF2, che agisce nelle veci di fattore di crescita durante l’embriogenesi,
potrebbe spiegare ragionevolmente i quadri megalici che emergono nella sindrome di BeckwithWiedemann e la possibile comparsa del tumore di Wilms familiare, sebbene le forme congenite
del tumore conosciute siano estremamente rare e i casi di Wilms diagnosticati in un contesto
sindromico siano prevalentemente ritenuti dipendenti da mutazioni de novo4.
11
Introduzione
Fig. 4: quadri sindromici associati spesso al tumore di Wilms.
12
Introduzione
1.1.8 - Cenni di organogenesi: eventi comuni alla carcinogenesi
Nei mammiferi, lo sviluppo del tratto urinario transita comunemente attraverso la formazione
preventiva di tre sistemi escretori in momenti distinti: il pronefro, con funzione tutt’ora da
definirsi, il mesonefro, ovvero l’organo escretore dell’embrione, ed infine il metanefro, da cui
deriva il parenchima renale maturo. Il rimodellamento del metanefro , nelle sue fasi precoci,
prevede
una complessa rete di comunicazioni interattive tra due formazioni derivative del
mesoderma
intermedio:
il
dotto
di
Wolff
e
il
mesenchima
metanefrico
(173).
Approssimativamente attorno al 35-37esimo giorno di vita embrionale per gli umani (10,5-11 per i
topi), emerge caudalmente al dotto Wolffiano una protuberanza nota come abbozzo ureterico e
destinato ad invadere gi spazi limitrofi popolati da mesenchima metanefrico. Questo avanzamento
pare dipendere dalla responsività degli elementi ureterici ad un gradiente di segnali mitogenici e
chemoattrattivi rilasciati proprio dal mesenchima metanefrico circostante. In particolare,
importante è il rilascio di GDNF(Glial-derived neurotrophic factor), molecola che agisce da
ligando del recettore c-Ret, disposto sulla superficie delle cellule ureteriche durante l’invasione
della protuberanza 23. Stabilito un buon livello di comunicabilità, l’abbozzo ureterico va incontro
ad un processo di arborizzazione sempre più fitta, finalizzata a strutturare il sistema dei dotti
collettori; le cellule del mesenchima metanefrico, d’altro canto, tendono a compattarsi e a disporsi
in filiere di contenimento attorno alla superficie dei rami ureterici biforcati, incapsulandone
l’allungamento. E’ a questo punto che si attua la transizione mesenchimo-epiteliale. Ad essa
consegue la generazione di vescicole renali e la tubulogenesi.
13
Introduzione
Fig. 5 : Fasi dello
sviluppo renale
embrionale
nell’uomo e
nel topo.
Formazione
dell’abbozzo
ureterico
e del mesenchima
metanefrico.
Fig. 6: stadi della
formazione dell’unità
nefronica durante lo
sviluppo embrionale. a.
Posizionamento del
mesenchima metanefrico
e del dotto di Wolff; b.
Induzione: li dotto invade
il mesenchima dietro
stimolazione del
mesenchima stesso; c.
Condensazione: il
mesenchima si compatta
e il dotto va incontro a
ramificazioni
progressive; d.
Epitelizzazione:il
mesenchima compattato
sottosta alla transizione
mesenchimo-epiteliale e
forma vescicole renali; e.
Tubulogenesi; f. Unità
nefronica matura.
Le formazioni cilindriche più precoci assumono un aspetto “ a virgola” o ad “s”, ma
invariabilmente destinati a contribuire alla composizione del reticolato di podociti glomerulari, i
14
Introduzione
tubuli prossimali, l’ansa di Henle, e i tubuli distali del rene. Infine, una maglia fibrosa e
connettivale derivante dal mesenchima più maturo 24, viene ad estendersi terminalmente attorno al
complesso del mesenchima nefrogenico, oltre a districarsi tra le ramificazioni derivative
dell’abbozzo ureterico.
1.1.9 - Controllo molecolare della morfogenesi renale
L’abbozzo ureterico e il mesenchima metanefrico costituiscono sorgenti a reciproca influenza
trofica. E’ noto come il mesenchima fornisca insostituibili stimoli di sostentamento, oltrechè di
orientamento morfogenetico, alla gemma ureterica. Quest’ultima, a sua volta, garantisce la
sopravvivenza degli elementi mesenchimali e ne orchestra l’ordinamento spazio-temporale,
guidandoli dalla formazione delle vescicole renali, alla graduale strutturazione delle singole unità
nefroniche. Per entrambi, l’assenza della controparte si traduce in un’ apoptosi massiva che si
estende all’intero tessuto rapidamente, come lo dimostrano studi di coltura tissutale in vitro. Come
presentato nella figura, gli eventi molecolari che accompagnano l’induzione del’abbozzo ureterico
coinvolgono la matrice cellulare e i suoi componenti proteoglicanici; oltre a costituire un
importante serbatoio di fattori di crescita e di altri possibili mitogeni ad affinità eparinica elevata,
il reticolato proteoglicanico fornisce molecole come laminina, collagene e nydogene, grazie a cui
le cellule dell’epitelio ureterico definiscono un riferimento topografico che ne consenta di
aggiustare e stabilire l’assetto di posizione per un corretto sviluppo. Tutte le molecole visibili sono
prodotte dal mesenchima, eccetto il Wnt-11. Quest’ultimo pare esser rilasciato dalle cellule
collocate all’estremità dei rami ureterici, con possibili effetti autocrini/paracrini sul corretto
proseguimento del “branching” o arborizzazione
24
. La viabilità di informazioni è garantita dalla
presenza di recettori integrinici e del putativo complesso PKD sulla superficie delle cellule
dell’epitelio ureterico in via di maturazione. PKD codifica per la proteina policistina, sita tra le
adesioni focali che sanciscono i contatti di coesione intercellulare nell’epitelio tubulare. Il ruolo di
policistina è cruciale nelle dinamiche di rimodellamento citoscheletrico, di polarità cellulare e di
15
Introduzione
differenziamento terminale dell’epitelio. Mutazioni nel gene PKD-1 compromettono le interazioni
matrice-epitelio, portando ad una mispolarizzazione della pompa ionica Na/K ATPasi, del
recettore EGFR e CTFR, con conseguente dilatazione cistica dell’epitelio. La spinta induttiva
esercitata dalla gemma ureterica sul mesenchima invece, richiede l’attivazione di Pax-2, integrinaa8 e Wnt-4. Pax-2 e integrina-a8 vengono espressi momentaneamente dal mesenchima condensato
dietro influsso induttivo ureterico, poi vengono down-regolati quando si formano le strutture ad
“s”. Inoltre si è ipotizzato che Pax2 e Pax8 possano essere inizialmente necessari alla sintesi del
fattore trascrizionale WT1 nelle cellule mesenchimatose che circondano l’estremità dei rami
ureterici durante la divisione dicotomica
25, 26
. L’accumulo progressivo di WT1 innescherebbe a
sua volta la down-regolazione su Pax2/8 per contenere l’espansione del mesenchima e predisporlo
alla transizione epiteliale. A conferma di quanto detto, la perseverante espressione di Pax2 nei topi
transgenici porta alla formazione di cisti che impediscono la corretta terminazione della barriera
podocitaria
27, 28
. Il Wnt-4 segue un comportamento opposto ai due precedenti, con possibili
ripercussioni autocrine. Le principali vie di trasduzione del segnale che assistono all’attivazione
delle molecole sopra citate sono le seguenti:

la via di Sonic Hedgehog. Sonic Hedgehog (SHH) è un ligando autocatalitico del
complesso eterodimerico formato da Smoothened ( Smo) e Patched ( Ptc), entrambe
proteine integrali di membrana. SHH autoprocessa il proprio clivaggio e legame a
molecole di colesterolo, in modo da permettere che una frazione del ligando rimanga
sempre reperibile sulla membrana durante l’innesco del segnale. I suoi principali bersagli
sono l’asse PTC/Gli, membri delle BMPs e della famiglia Wnt e SALL1, ovvero geni
coinvolti in un sistema di coordinamento posizionale durante la morfogenesi
23
, grazie
all’allestimento di gradienti di segnali spazio-dipendenti (morfogeni) che permettono alla
cellula di conoscere la posizione che occupa nell’anatomia dei tessuti in via di sviluppo.
Studi di knock-out genico in vivo hanno evidenziato che SHH sia espresso dall’abbozzo
16
Introduzione
ureterico e che la sua assenza comporti difetti nel branching ureterico e reni ipoplastici. Il
knock-out del gene SALL1 inoltre, porta la sindrome di Townes-Brocks, malattia
autosomica dominante con difetti neurosensoriali, anorettali, polidattilia, possibile aplasia
renale o reni policistici. Cio’ ha fatto ipotizzare una stretta connessione tra i due geni: è
possibile infatti che SALL1 sia espresso dal mesenchima metanefrico ma solo
successivamente al rilascio di SHH dall’epitelio ureterico 23.

La segnalazione Wnt. Il ruolo organogenetico della stimolazione Wnt-dipendente è stato
approfondito parzialmente nei modelli di C.elegans, X.laevis e D.melanogaster e il suo
coinvolgimento nella tumorigenesi dei mammiferi è stato ampiamente indagato
23
.Wnt-4,
in particolare, svolge una funzione fondamentale nello sviluppo renale: topi knock-out per
Wnt-4 mancano di una vescicola renale e dei relativi aggregati pretubulari, nonostante
avvenga normalmente la condensazione del mesenchima dietro attivazione di Pax-2. Da
questo si evince che Wnt-4 sia indispensabile solo nella fase successiva all’induzione
dell’abbozzo ureterico, per il mantenimento del mesenchima condensato e della sua
maturazione attraverso contributi autocrini o paracrini. Wnt-11, Wnt-1 e Wnt-7B risultano
importanti induttori della tubologenesi con funzioni distinte e da confermarsi in
vivo.Ulteriori indizi a supportare l’importanza del segnale Wnt nella genesi renale
vengono da studi compiuti sullo spontaneo mutante murino Fused. Alleli multipli per
questo locus sono stati associati con un fenotipo deficitario nella crescita della gemma
ureterica e con mutazioni nel gene Axin, un componente decisivo nella cascata segnaletica
Wnt 23.
17
Introduzione
Fig. 7 : Molecole
coinvolte nella
comunicazione tra
mesenchima ed
epitelio tubulare
durante la
maturazione delle
strutture
nefrogeniche.

la trasduzione delle BMPs, di attivina
e di TGFβ.
Le Bone Morphogenetic Proteins, attivina e
TGFβ rappresentano fattori agenti sullo stesso
complesso recettoriale serin/treonin chinasico di
membrana TGFR-1/2. Quando il recettore TGFR-2 viene impegnato da uno dei compatibili
ligandi recluta TGFR-1 e lo fosforila
23
. Parte così la segnalazione citosolica che porta
all’aumento delle molecole Smad-1/-5/-8, quando la cascata di segnali è stata avviata sui
recettori di superficie dalle BMPs, e all’incremento delle molecole Smad-2/-3, quando il
ligando di partenza è TGFβ o attivina. Indipendentemente dal tipo di Smad attivate, entrambe
le vie convergono nel comune reclutamento di Smad-4 prima di traslocare nel nucleo per
regolare selettivamente l’espressione genica
23
. Analisi condotte su colture cellulari d’organo
hanno dimostrato l’essenzialità della BMP-7 e di attivina come induttori della tubulogenesi e
18
Introduzione
del differenziamento epiteliale sull’abbozzo ureterico. Dal momento che entrambi i fattori
interagiscono con lo stesso recettore (BMPR-II/ActR-II in associazione con ActR-I o BMPRIB), la loro assenza in vivo potrebbe giustificare gli effetti devastanti sulla crescita ureterica,
registrata in fenotipi omozigoti -/- per uno dei due ligandi 23.
1.1.10 - Il tumore di Wilms e i precursori renali embrionali
Il tumore di Wilms’ viene considerato una neoplasia dai componenti cellulari pluripotenti. Questa
teoria è sostenuta dal fatto che un’analisi dell’istotipo ne evidenzia una composizione mista tra
elementi blastemali, epiteliali e stromali (istologia trifasica).Tuttavia, all’indagine di
microdissezione, le tre diverse popolazioni presentano lo stesso profilo genetico, inducendo a
supporre la comune derivazione da un progenitore staminale renale trasformato. Il blastema si
compone di cellule dallo scarso citoplasma, di forma rotondeggiante od ovale indifferenziate e
fittamente stipate tra loro. La componente epiteliale puo’ presentare diversi gradi di
differenziamento, spaziando da formazioni ghiandolari scarsamente definite a strutture molto
simili a capsule glomerulari. Il contributo stromale, infine, è per lo più rappresentato da strutture
simil-fibroblastiche, che mantengono comunque la capacità di differenziare in cellule muscolari
lisce o scheletriche, od anche in elementi neuronali. La predominanza di una componente
sull’altra è variabile, ma si contempla ad ogni modo la co-presenza di tutti i tre principali citotipi.
Molte sono le similitudini che a livello istologico si possono riscontrare tra modello
organogenetico e la degenerazione neoplastica di Wilms’. Di fatto le componenti epiteliali del
tumore assomigliano ai corpi “s”, a ”virgola”e a glomeruli scarsamente definiti del mesenchima
metanefrico in via di maturazione. La componente blastemale si avvicina all’aspetto del
mesenchima in fase di condensazione. A livello molecolare, il tumore di Wilms’ esprime
marcatori degli stadi precoci dello sviluppo renale e, più recentemente, studi di gene-expression
profiling in microarray hanno permesso di rafforzare le similitudini istologiche anche a livello
molecolare 41. I geni overespressi nel Wilms’ tendono ad essere gli stessi richiamati a modulare il
19
Introduzione
primo contatto tra abbozzo ureterico e mesenchima metanefrico, mentre i geni down-regolati nella
neoplasia sono geni che intervengono tardivamente nella genesi normale del rene 42.
1.1.11 - La teoria dei “due colpi” nel tumore di Wilms
Il tumore di Wilms deriva dalla proliferazione incontrollata di precursori renali pluripotenti da cui
originano cellule del blastema indifferenziato, strutture epiteliali primitive e componenti stromali.
Nel 1972 Knudson e Strong ipotizzarono che il tumore, come già teorizzato per il neuroblastoma,
potesse svilupparsi conseguentemente alla successione del tutto indipendente di due eventi
genetici, ricollegabili all’inattivazione biallelica di un gene oncosoppressore, quale WT1 nel
contesto di Wilms. Sebbene il silenziamento del gene WT1 colpisca solo un gruppo esiguo di casi
si è dimostrato investire un ruolo di primaria importanza nel coordinare lo sviluppo renale,
essendo necessario alla sopravvivenza e quindi al conseguente differenziamento delle cellule
staminali renali. Nella maggioranza dei casi comunque, rappresentata da fenotipi sporadici, alcuna
peculiarità genetica è stata messa in evidenza dai numerosi studi collezionati in passato. Più
recentemente è stato individuato un ulteriore difetto genetico che pare accomunare i pazienti
affetti dalla variante sporadica della neoplasia: microdelezioni interne ad una sequenza genica
sinora sconosciuta e de novo nominata “Wilms’ Tumor gene on the X chromosome” (WTX) in
posizione Xq11.1. Pare che questa sequenza, inoltre, sia frequentemente oggetto di mutazioni
intrageniche missenso o nonsenso come conseguenza di qualche evento somatico, essendo i tessuti
limitrofi al tumore ed esclusi dalla disseminazione cancerogena, privi delle suddette aberrazioni
genomiche. Rispetto alla classica teoria biallelica del “two-hit” postulata da Knudson,
l’identificazione di mutazioni somatiche che riguardano da vicino il cromosoma sessuale X in un
ipotetico modello sporadico di Wilms’, induce a sostenere una possibile inattivazione unilaterale
di un gene dalla cui espressione è presumibile attribuirvi un ruolo oncosoppressore
44
. Questo
spiegherebbe le delezioni e mutazioni puntiformi riscontrate nella condizione emizigotica
maschile, oltre che mutazioni in eterozigosi fenotipicamente penetranti in soggetti femminili. Dal
20
Introduzione
momento difatti che il presunto oncosoppressore WTX risiede in una regione del cromosoma
sessuale soggetta a fisiologica lyonizzazione, l’unico cromosoma in grado di accogliere la
mutazione rimarrebbe quello “attivo”, ossia immune dal naturale silenziamento genico. Le analisi
condotte caldeggiano questa supposizione e permettono di affermare che a differenza delle
condizioni sindromiche X-linked associate ad un aumentato rischio di cancro e che colpiscono
preferenzialmente il sesso maschile, l’origine sporadica nel caso del Wilms’, tende a rendere
paritaria la frequenza con cui si manifesta la malattia tra i due sessi, senza distinzioni. Il
modello”one-hit” pertanto, potrebbe addirittura costituire la base pregressa del più noto “two-hit
model”20-21. Tuttavia, sebbene in quest’ottica sia sufficiente un singolo cambiamento per
incrementare la probabilità aleatoria di carcinogenesi, il fatto stesso che sia confinato ad un
ristretto pool di targets cellulari, quali i progenitori pluripotenti del rene durante una definita
finestra temporale nel corso dello sviluppo organogenetico dell’individuo, potrebbe sortire degli
effetti di contenimento alla degenerazione tumorigenica. Di particolare interesse infine risulta la
distinzione tra le mutazioni ricorrenti in WT1 e quindi in CTNNB1, e quelle in WTX; pare infatti
che i tumori che recano difetti in WTX non contemplino anche la concomitante incursione di
mutazioni in WT1 o CTNNB1. Recenti studi hanno portato alla luce la collocazione della proteina
WTX nel pathway Wnt
45
. Agendo nel complesso di distruzione della b-catenina, non ne
impedirebbe la traslocazione nucleare qualora subentrassero mutazioni a carico di WTX
46
.
Sembrerebbe che la tipologia di mutazioni si escludano mutuamente in termini di comparsa, come
se rappresentassero impronte genetiche di caratteristiche sottocategorie distinte di tumore di
Wilms’. Ad ogni modo, se l’inattivazione del gene WTX definisca un gruppo di nefroblastomi a
sé stante, rimane ancora da indagare 47.
21
Introduzione
Fig.8 : ruolo di WTX
nel complesso di
distruzione della βcatenina.
1.1.12 - Ruolo delle lesioni precancerose
I residui nefrogenici sono riconosciuti come frammenti tissutali displastici attraverso la cui
comparsa transita lo sviluppo renale. Essi compaiono in ben il 40% dei tumori unilaterali,
aumentando la frequenza con cui possono esser repertati sino al 100% nei casi bilaterali. Il loro
aspetto istologico è variabile: possono assomigliare a masse collaterali ed infiltranti del tumore
principale (residui iperplastici), oppure conglobare in una rete fibrosa, strutture tubulari e
glomeruli immaturi. Documentare la presenza di residui nefrogenici in un campione istologico
sospetto di tumore di Wilms, è di fondamentale importanza poichè incrementa in modo
significativo la probabilità d’estensione controlaterale della neoplasia. E’ possibile repertarne due
distinte tipologie, a seconda che siano individuati all’interno o all’esterno del lobo renale durante
l’ispezione chirurgica
48
. I residui nefrogenici intralobari (ILNRs) si riscontrano internamente al
lobo renale mentre i residui nefrogenici perilobari (PLNRs) si distribuiscono perifericamente. La
presenza dei residui intralobari si ritiene sia fortemente associata ad uno specifico profilo genetico
mutato, essendo più frequentemente ritrovati in concomitanza di mutazioni deletive al WT1 e
comunque in seno alla regione 11p13 del medesimo cromosoma 49. Spesso co-localizzano persino
con mutazioni nonsenso/missenso al gene CTNNB1 codificante per la β-catenina e con
l’accertamento di un quadro diagnostico riconducibile ad una WAGR o una Denys-Drash 49. Si è
22
Introduzione
ipotizzato che le ILNRs possano rappresentare un terreno fertile su cui il tumore di Wilms possa
radicarsi, una sorta di lesione precancerosa in cui domina un assetto istologico di tipo stromale,
propenso ad un’attività proliferativa ad orientamento prevalentemente rabdiomiogenico
50
.
Indipendentemente dall’origine sporadica o familiare del tumore, le ILNRs in più recenti
esperimenti di microdessection 51, pare si riscontrino proprio in zone di contenimento del tumore,
laddove quest’ultimo tende ad interfacciarsi con la controparte del tessuto renale rimasta
inalterata. Inoltre le analisi condotte a livello genomico di questi resti mediante sequenziamento
post-LOH, individuano un’identità genetica mutata in eterozigosi per il gene WT1, in esoni diversi
per la variante del tumore sporadica, ma nel medesimo frammento esonico per la variante
familiare, portando a definire un’avvenuta inattivazione biallelica, in accordo con le tesi del
modello “two-hit”, sebbene con modalità e tempi differenti. L’indagine estesa anche al gene
CTNNB1, non esita in alcuna positività significativa, a differenza di cio’ che puo’ esser rilevato
nel tessuto propriamente tumorale o in quello sano: se in un campione istologico normale non vi
sono mutazioni evidenziate, come auspicabile, e nel tumore spesso compaiono in associazione le
mutazioni in WT1 e in CTNNB1, nei residui viene esemplificata una condizione intermedia e di
transizione verso un profilo più vicino ai requisiti necessari alla conversione neoplastica, in cui
sono state acquisite le delezioni in WT1 ma non quelle in CTNNB1. Queste evidenze sono
particolarmente interessanti se si considera tra l’altro che la discrepanza dell’espressione
mutagenica tra le ILNRs e il tumore limitrofo sono avvalorate anche da un punto di vista
immunoistochimico: di fatto, se nelle rispettive sottopopolazioni dai connotati epiteliali, la βcatenina si raccoglie a livello citoplasmatico o superficialmente alla membrana, negli elementi
citotipici del blastema indifferenziato, al contrario, la β-catenina si addensa a livello nucleare nel
tumore, associandosi per di più ad un aumento del numero di rabdomioblasti a comporre
l’intelaiatura
neoplastica,
mentre
permane
in
clusters
citosolici
nelle
ILNRs,
non
accompagnandosi in questo caso ad una significativa crescita rabdomioblastica. E’ verosimile che
mutazioni in CTNNB1 pertanto, sebbene tardive (come quelle in p53 e la LOH in 16q) rispetto al
23
Introduzione
silenziamento di WT1, alla LOH in 11p13 e alla LOH in 11p15, siano necessarie a condizionare la
tumorigenesi in senso miogenico, e probabilmente grazie all’iniziazione del pathway Wntcorrelato, in cui si concretizzano le azioni della β-catenina. La localizzazione delle ILNRs e il loro
aspetto mesenchimatoso suggeriscono che la loro comparsa sia frutto di una compromissione
organogenetica durante le fasi precoci dello sviluppo renale 52.
Le PLNRs presentano invece caratteristiche ben distinte. Spesso risultano associate alla loss of
imprinting (LOI) di IGF2 e alle sindromi in cui compare evidente una crescita eccessiva della
corporatura, quali la Beckwith-Wiedemann (BWS) e l’Emipertrofia (HH)53. Pazienti in cui è stato
diagnosticato un tumore di Wilms con associate le PLNRs hanno un’età maggiore rispetto ai casi
con ILNRs e possiedono un maggior peso alla nascita 1. I tumori che si accompagnano alle PLNRs
hanno un’istologia prevalentemente epiteliale o blastemale. Il fatto che le PLNRs, inoltre, siano
dislocate perifericamente nel lobo renale induce a ipotizzare che derivino da una sottopopolazione
del mesenchima metanefrico che va incontro al differenziamento più tardivamente rispetto a quel
clone che dà origine alle ILNRs 51. E’ ragionevole supporre che i PLNRs siano il risultato di una
eccessiva o prolungata esposizione al fattore IGF2 del blastema metanefrico durante la formazione
dei nefroni 1. Nel determinare la formazione di ILNRs o PLNRs è verosimile intervengano fattori
epigenetici. In particolare, è possibile che in funzione del momento in cui si attiva la IGF2
LOI/ipermetilazione di H19, e in funzione della sottopopolazione mesenchimale interessata,
possano emergere quelle condizioni che meglio favoriscono la comparsa dell’una o dell’altra
forma di residuo nefrogenico. Sulla base di queste osservazioni è stata rivisitata la classificazione
dei tumori di Wilms. Le varianti associate a ILNRs sono suddivisibili in due gruppi: nel primo
compaiono tumori con mutazioni ai geni WT1 e CTNNB1, il secondo gruppo comprende i tumori
con IGF2 LOI. Quest’ultimo non possiede mutazioni in WT1 ma detiene lo stesso profilo
molecolare e istologico dei tumori con mutazioni al WT1. Quindi è verosimile che le mutazioni al
WT1 non siano indispensabili per mediare tumorigenesi nelle lesioni precancerose, ma lo siano
quelle a valle, e in particolare quelle in CTNNB1 e dei geni del pathway Wnt52.
24
Introduzione
1.2 - Le leucemie acute mieloidi (LAM)
Fig. 9 : modello d’iniziazione
del tumore di Wilms. Il timing
in cui incorrono errori nello
sviluppo renale determina il
tipo di lesioni precancerose
che ne conseguiranno. Le
ILNRs e le PLNRs fanno
comparsa precoce e tardiva
rispettivamente. Le ILNRs
includono precursori
staminali mesenchimali, in
quanto i tumori che derivano
da ILNRs presentano
caratteritiche epiteliali (Epi) e
mesenchimali (Mes). Le
PLNRs ospitano precursori
renali più maturi rispetto alle
ILNRs, poichè i tumori che
dipendono da PLNRs hanno
un aspetto differenziato
soltanto in senso epiteliale
(Epi WT). Il segnale WNT è
attivo solo nei tumori con
caratteristiche mesenchimali
(Mes WT).
Le leucemie acute mieloidi rappresentano disordini mieloproliferativi clonali che si sviluppano a
partire da una cellula staminale pluripotente o multipotente che ha già ricevuto il
commissionamento per acquisire un’identità dipendente dagli esiti della mielopoiesi. La
trasformazione neoplastica, alterando i meccanismi di proliferazione e differenziamento dei cloni
staminali, ne arresta la maturazione ad uno stadio molto precoce. Ne consegue un accumulo di
figure blastiche aberrante nel midollo, che all’ispezione istologica appare densamente
ipercellulato. All’infiltrazione midollare, segue il riversamento dei blasti nel sangue periferico e
infine in vari distretti anatomici, dove continuano incondizionatamente la loro crescita. Sebbene
incapaci di generare citotipi terminali, i blasti mantengono alcuni connotati morfologici,
citochimici e immunocitochimici dello stipite progenitoriale per il quale si era già verificato un
orientamento differenziativo sommario, prima che s’instaurasse il blocco maturativo. Grazie a
questi primitivi indizi biologici si riesce a risalire all’appartenenza di un clone leucemico alla
rispettiva linea differenziativa, distinguendo le leucemie acute in mieloblastiche, monoblastiche,
eritroblastiche e megacarioblastiche. Il sistema classificativo delle LAM è fondato sull’analisi
morfologica delle cellule blastiche e del loro potenziale differenziativo, ed è noto come sistema
25
Introduzione
FAB (French-American-British). Più recente è la rivisitazione dei criteri classificativi proposta
dalla WHO (World Health Organization) (fig.10). Le indagini citogenetiche hanno acquisito
crescente importanza nella caratterizzazione delle LAM. Forti sono le associazioni tra quadri
citomorfologici ed aspetti citogenetici. Alterazioni del cariotipo sia strutturali che numeriche
possono essere diagnosticate come reperti singoli o multipli. In genere protocolli chemioterapici
opportuni possono indurre remissione completa con scomparsa delle anomalie cromosomiche, ma
la ricaduta le porta a riaffiorare, talvolta con peculiarità distinte dal primo riscontro patologico. I
sottotipi che si accompagnano ad aberrazioni cariotipiche sono qui di seguito riportate:
 M2 - Il 30% dei pazienti affetti da questo sottotipo di LAM presenta la traslocazione
t(8;21)(q22;q22), mentre vale che il 90% dei pazienti con traslocazione t(8;21)
risultano affetti anche di LAM M2. Comune in questo contesto è una spiccata
eosinofilia, soprattutto nei soggetti più giovani. La t(8;21) è considerato fattore
prognostico favorevole, con un’elevata percentuale di remissioni complete.
 M3 – La forma promielocitica è speso accompagnata dalla traslocazione t(15;17), dalla
quale dipende l’espressione di un’oncoproteina fusogenica, nota come PML-RARα54. Il
punto di rottura sul cromosoma 17 colpisce il locus del recettore per l’acido retinoico
RARα e comtempla un assemblaggio head-to-tail con l’estremità frammentata del
cromosoma 15 (PML). Il riarrangiamento produce una chimera con proprietà
intermedie tra i due prodotti di partenza. Oltre alla traslocazione t(15;17) le cellule
promielocitiche acquisiscono anche mutazioni puntiformi in FLT3, codificante per una
tirosin-chinasi che, per attivazione costitutiva, promuove la proliferazione,
amplificando il blocco differenziativo indotto dal prodotto di fusione PML/RARα.
Questa collaborazione patogenetica è stata corroborata in modelli murini, nei quali la
coespressione di un oncoproteina PML/RARα e di forme attive di FLT3 provocano la
26
Introduzione
rapida insorgenza di LAM. Si ritiene che un set distinto di “hits” genici agiscano
cooperando nella stessa modalità sinergica per innescare altre forme di LAM4.
 M4 – L’inversione pericentrica inv(16)(p13q22) è presente nel 25% dei casi M4 e
nell’8% delle LAM. Elevata è la presenza nel midollo di precursori eosinofili. Il
breakpoint associato alla traslocazione è stato clonato, permettendo di identificare il
trascritto di fusione AML I/ETO 54. Il gene codificante per la subunità β del CBF (AML
I) non può esprimere la normale componente recettoriale necessaria alla formazione
dell’eterodimero CBFα/CBFβ, eliminando un fattore trascrizionale importante nella
mielopoiesi. Favorevole è la prognosi 4.
 M5 – Le anomalie maggiormente associate con le LAM M5 sono le t(9;11)(p21;q23),
t(6;11)(q27;q23), t(1;11)(q21;q23), t(10;11)(1;q23), t(11;19)(q23;p13), soprattutto in
età pediatrica e neonatale. Riarrangiamenti con coinvolgimento dell’11q23 possono
essere presenti anche in altre patologie ematologiche. Ad esempio leucemie
linfoblastiche con t(4:11)(q21;q23) coesprimono antigeni mieloidi e si combinano con
una prognosi infausta. Il gene sito nella banda 11q23, si è identificato nel gene MLL-1,
omologo del gene “trithorax” in Drosophila 54.
27
Introduzione
Fig. 10: Classificazione delle
leucemie acute mieloidi secondo i
criteri FAB e WHO.
Caratteristiche riassuntive dei
singoli sottotipi dal punto di vista
immunocitochimico,
citogenetico e molecolare.
1.3 - I geni MYC: struttura e funzione.
28
Introduzione
E’ ampiamente documentato che le oncoproteine codificate dai geni della famiglia MYC agiscano
nel ruolo di importanti regolatori trascrizionali a livello nucleare
55
. I membri della famiglia più
frequentemente studiati sono c-MYC, N-MYC e L-MYC, sebbene ne esistano altri tre con minore
risonanza quali S-MYC, B-MYC e P-MYC. Ricerche più approfondite sono state condotte su cMYC, scoperto nel 1973 come omologo del gene trasformante del virus MC29 della mielocitosi
aviaria (v-MYC)
60
. N-MYC e L-MYC sono stati individuati solo successivamente applicando lo
stesso criterio di omologia con le sequenze amplificate di v-MYC in linee di neuroblastoma 61 e di
tumore polmonare a piccole cellule 62, rispettivamente. Da una sequenza pseudogenica di L-MYC
pare si origini P-MYC 66. Si ritiene che tutti i geni del gruppo siano coinvolti nei meccanismi:
 che regolano il timing del ciclo cellulare e che promuovono la proliferazione;
 che preparano e orientano le cellule al differenziamento tessuto-specifico;
 che sospingono in modo selettivo le cellule ad abbracciare un destino
apoptotico;
 che possono favorire l’instabilità genomica e predisporre alla degenerazione
neoplastica.
Discostano in maniera del tutto peculiare da questa comune teoria i geni S-, B-, P-MYC, in quanto
alcune indagini ne sostengono una potente attività inibitoria sulla trasformazione tumorale 63-65.
I geni MYC possono essere attivati attraverso diversi meccanismi, quali: l’amplificazione genica
56
, la traslocazione cromosomiale
57
, l’inserzione provirale
58
, la trasduzione retrovirale
59
e altri
processi non ancora noti. Le analisi strutturali delle proteine hanno portato a confermarne la
funzione di mediazione tracrizionale: di fatto, condividono con i fattori di trascrizione più noti,
quali v-Fos e c-Jun, i motivi basic helix-loop-helix/leucine zipper al C-terminale, che grazie alla
presenza di amminoacidi basici in testa a questa impalcatura, sanciscono un contatto sequenzaspecifico col DNA. L’estremità amminica invece ospita una regione di transattivazione, forse
29
Introduzione
necessaria a stabilizzare il legame col DNA e a favorire quindi una maggiore processività della
trascrizione sul target genico.
1.3.1 - MYCN: il gene, il messaggero e la proteina
MYCN è stato originariamente clonato nel 1983, quando fu possibile constatare una parziale
omologia dell’amplificato con il proto-oncogene MYC in linee cellulari di neuroblastoma
61, 67
.
Indagini condotte mediante ibridazione in situ hanno fornito un’accurata mappatura del gene,
collocato distalmente sul braccio corto del cromosoma 2 nella regione2p23-24
68
. Il gene si
articola in tre sequenze esoniche, tra le quali la prima è esclusa dalla trascrizione e pertanto non
partecipa alla codificazione della proteina. I due esoni restanti invece sono sottoposti ad un
complesso meccanismo di trascrizione che si attua a partire da molteplici siti d’inizio coordinati
da due promotori.
Fig. 11: struttura del gene MYCN.
La possibilità di detenere numerosi siti d’inizio si accompagna al fenomeno dello splicing
alternativo, portando alla formazione di due messaggeri, che condividono la complementarietà per
i due esoni codificanti, ma che si diversificano in 5’ per la presenza di sequenze risultanti dai due
distinti primi esoni alternativi del gene. Le due isoforme di messaggero hanno un’emivita
piuttosto breve di circa 15 minuti data l’elevata instabilità. Le proteine risultanti hanno un peso
molecolare di 65 e 67 kDa 69. La fosfoproteina N-Myc si distribuisce lungo la matrice nucleare e
partecipa ad un turnover molto celere (30-50 minuti) 70. La fosforilazione da parte di una caseina
chinasi II (CKII) ne coordina il trasferimento nucleare a transattivare in modo selettivo
30
Introduzione
determinati bersagli genici. La struttura è in grande parte sovrapponibile a quella di Myc (38% di
compatibilità) 71 e come le altre proteine della famiglia Myc, si compone di:
 un dominio terminale di transattivazione contenente Myc Boxes I (MbI) e II
(MbII);
 una regione intermedia non strutturata;
 una regione C-terminale contenente un dominio basico (BR), coinvolto nel
legame sequenza-specifica con il DNA, e un motivo helix-loophelix/leucine zipper (bHLH-LZ), chemedia il legame al DNA e
l’interazione con altre proteine bHLH-LZ 72.
Fig. 12: A. Struttura della proteina N-Myc.
Abbreviazioni: MB I, MB II, “Myc-boxes”;
BR, basic region; H1–L–H2, helix1–loop–
helix2; Zip, leucine zipper; Trrap,
transformation/transcription domainassociated protein. B. strutura
dell’eterodimero Myc-Max
legato al DNA.
Da alcuni studi è emerso che le proteine Myc possono formare complessi con il DNA solo a
concentrazioni molto elevate, indicando che queste interazioni non possono essere
31
Introduzione
fisiologicamente significative. Per rendere effettivo il legame al DNA di fatto i membri della
famiglia Myc devono essere supportati dall’interazione con una molecola che agisce da co-fattore,
quale Max. La proteina Max è stata identificata come partner di dimerizzazione delle
fosfoproteine Myc, in quanto condivide con esse i motivi strutturali basici helix-loop-helix e
leucine-zipper, che ne giustificano la capacità di dar luogo alla formazione di eterodimeri MycMax 74, 75. L’assemblaggio è favorito quando la cellula si prepara a dividersi in fase S, in rapporto
all’aumentata disponibilità di proteine Myc. Il complesso si predispone successivamente a
contattare i promotori di target genici definiti lungo la sequenza di riconoscimento palindromica
CACGTG, conosciuta come E-box
78
. Un ulteriore sito di potenziale riconoscimento da parte di
N-Myc è rappresentata dalla sequenza asimmetrica CATGTG. Grazie a questo meccanismo il
complesso è in grado di regolare l’espressione genica
processi di proliferazione e differenziamento
77
76
in funzione del timing scandito dai
. Interessante è il coinvolgimento della regione
amminica di N-Myc, nella quale risiede il dominio di transattivazione: oltre ad adoperarsi nel
mantenimento di un equilibrio tra segnali apoptotici e proliferativi
79
, il dominio fornisce ad N-
Myc visibilità verso quei fattori che intervengono a modularne l’attività quando legato a Max.
Mad, ad esempio, previene la formazione del complesso trascrizionale sequestrando in un legame
esclusivo Max. Tra i geni che sono attivati dal dimero N-Myc-Max si rinnovano:
 MRP1 (multidrug resistance protein 1);
 PTMA, modulatore della proliferazione (prothymosin alpha);
 TERT (telomerase reverse transcriptase);
 ID2,regolatore del ciclo cellulare (inhibitor of DNA binding 2);
 MCM7 (minichromosome maintenance complex component 7);
 LIF (leukemia inhibitory factor);
 PAX3;
 ODC1 (ornithine decarboxylase 1) 80;
32
Introduzione
 MDM2 81;
 IGF1R ( insuline-like growth factor1 receptor) 73.
I geni invece repressi per intervento di N-Myc non sembrano essere direttamente contattati dalla
proteina ma modulati come risultato dell’interazione tra piu’ fattori di trascrizione come Miz-1,
Sp1 (Specificity Protein 1), TFII-I (Transcription Factor II-I), NF-Y (Nuclear Factor Y), e YY
(Yingyang-1), oppure molecole con funzioni normalmente corepressive 82, 83.
1.3.2 - MYCN nello sviluppo embrionale
Durante lo sviluppo della cresta neurale MYCN è inizialmente espresso dall’intera popolazione
cellulare. Ad un consistente aumento d’espressione della proteina consegue una massiva
migrazione delle cellule appartenenti alla cresta neurale in direzione ventrale, verso i centri
gangliari e il midollo spinale, dove possono trovare le condizioni per differenziarsi in senso
neuronale. Quando la colonizzazione gangliare è terminata il gene viene spento, mentre viene
mantenuto
attivo
nelle
cellule
che
continuano
a
ricevere
stimoli
differenziativi.
Caratteristicamente le cellule che rimangono annidate nella cresta neurale continuano a dividersi
anche dopo aver subito gli stimoli differenziativi, e pertanto l’espressione di MYCN è funzionale a
determinare il destino di queste cellule a favore della ventralizzazione o della acquisizione
terminale dei connotati neuronali 84. A MYCN si è soliti attribuire un profilo d’azione tipico di un
oncogene dominante. Di fatto, l’espressione forzata di MYCN può portare cellule normali a
trasformarsi, specie se in collaborazione con l’oncogene RAS. La sovraespressione di MYCN può
liberare fibroblasti embrionali dalla senescenza
85
e può scatenare in modo-dose dipendente la
comparsa di tumori simili al neuroblastoma, nel neuroectoderma del modello transgenico 86.
1.3.3 - Overespressione e amplificazione di MYCN
33
Introduzione
L’espressione aberrante di MYCN, marcatamente pronunciata rispetto ai valori fisiologici, può
essere il risultato di due possibili meccanismi contribuenti all’iniziazione tumorale. La prima
contempla un incremento dei livelli espressivi del gene in dipendenza della aumentata stabilità del
complesso trascrizionale sul corrispondente promotore. La trascrizione genica procede più
celermente sino a settare la propria processività su livelli costitutivamente proiettati verso l’alto.
La seconda viene definita amplificazione, e definisce la possibilità di riscontrare più copie della
sequenza genica in questione, tali da giustificare un incremento d’espressione consistente rispetto
alla norma con ripercussioni potenzialmente importanti per la trasformazione neoplastica
87
.
Tecniche di ibridazione in situ hanno posto in risalto l’amplificazione di MYCN, visibile in forma
di molteplici HSR (Homogenously Staining Regions) in cromosomi differenti, e DM (Double
Minutes) dove l’estensione minima di ripetizione del gene è stata stimata attorno alle 2 x 105 e 2x
106 bp. E’ ipotizzabile che l’amplificazione possa appoggiare anche schemi di ricombinazione
somatica tra segmenti distinti nel genoma
88
. Il modello più rappresentativo in questo senso è
individuabile nel neuroblastoma, dove il gene è stato trovato amplificato nel 25-30% dei casi e
nelle linee cellulari immortalizzate. Queste evidenze si associano generalmente ad una prognosi
infausta
89-91
. Esempi di casi clinici in cui è stata corroborata l’overespressione di MYCN (senza
amplificazione) si trovano tra le pazienti affette da carcinoma della mammella, in cui assume un
significato preciso a seconda del contesto istopatologico e stadiativo della malattia 98. Altri tumori
in cui è stata riscontrata l’amplificazione di MYCN sono: il retinoblastoma
medulloblastoma93, il glioblastoma
94
, l’astrocitoma e il tumore di Wilms
95
92
, il
, il microcitoma
polmonare 96 e il linfoma anaplastico a grandi cellule 97.
1.3.4 - MYCN nelle Leucemie Mieloidi Acute
Oltre alle ben note proprietà oncogeniche esibite, a conferma del suo ruolo incisivo nel modello
transgenico murino di neuroblastoma, MYCN risulta coinvolto anche nel contesto evolutivo delle
neoplasie ematologiche. Per esempio, il locus MYCN è frequentemente bersaglio dell’integrazione
34
Introduzione
retrovirale nel linfoma a cellule T del topo 99, e sia i modelli transgenici murini Eμ-c-Myc che EμN-Myc sviluppano linfomi a cellule B 100. E’ stato notato che l’espressione di MYCN sia elevata in
5 campioni di tessuti primari di leucemie acute mieloidi su 6 101, 102, oltre che similmente in 2/2 di
gene di fusione MN1-TEL e l gene HOXA9, una proteina homeobox frequentemente overespressa
nelle LAM
103
. Un modello murino riproponente la leucemia associata all’espressione della
proteina fusogenica MN1-TEL e di Hoxa9, sviluppa LAM con elevata espressione di MYCN.
Questi dati suggeriscono un ruolo di rilievo per MYCN nell’eziologia delle LAM. Di fatto,
l’osservazione secondo cui la trasduzione di cellule midollari nel topo con vettori retrovirali
esprimenti MYCN induca un forte stimolo proliferativo e di automantenimento dei progenitori
mieloidi, causando la comparsa di LAM, supporta quanto ipotizzato sopra
104
. MYCN aumenta la
frazione di progenitori mieloidi in fase S, in concomitanza all’incremento di Cdk4, chinasi ciclinadipendente coinvolta nella progressione del ciclo cellulare 105. MYCN stimola il ripopolamento del
midollo osseo controllando l’espressione dei geni che non appartengono allo stesso set di geni
verso cui si indirizza l’azione di c-MYC
106
. Nelle cellule overesprimenti MYCN, la via di
trasduzione di segnale di TGFβ, che sortisce un effetto inibitorio sulla proliferazione quando
attiva, risulta down-regolata, mentre la via di JNK è up-regolata, forse a favore della incrementata
capacità di automantenimento e proliferazione del midollo 107-111.
1.3.5 - MYCN nel tumore di Wilms
Il ruolo di MYCN nella genesi renale è ancora dibattuto. Nei reni embrionali MYCN viene espresso
dalla popolazione mesenchimale indotta a condensarsi attorno agli apici dei rami ureterici durante
la loro suddivisione dicotomica, ma l’espressione decade quando il mesenchima differenzia in
senso epiteliale
113
. Dati combinati derivanti dall’analisi di espianti di reni embrionali e
dall’analisi in vivo hanno constatato che l’assenza di MYCN causa una ridotta arborizzazione della
gemma ureterica e una ridotta formazione dei glomeruli, generando reni ipoplastici
114
. Tuttavia,
evidenze più recenti documentano come espianti difettivi per MYCN possano ancora esprimere
35
Introduzione
geni implicati nella conversione del mesenchima condensato ad epitelio quali PAX-2, laminina e
WT1, suggerendo che MYCN non sia indispensabile nel cooperare in questa fase
112, 115
. Gli studi
collezionati in vitro individuano in MYCN un importante partner di PAX-2 nell’orchestrare
dinamicamente i processi di proliferazione, differenziamento e apoptosi, e nella conversione
mesenchima-epitelio. Fenotipi umani e murini mutanti in eterozigosi o deficienti per PAX-2
esibiscono una forte ipoplasia associata ad una massiva apoptosi, in modo del tutto equiparabile
agli effetti indotti dal KO di MYCN 116. Poichè l’espressione di MYCN risulta altamente correlata a
quella di PAX-2 , e dal momento che si è postulato un ruolo protettivo per PAX-2 durante il
branching ureterico e la condensazione mesenchimale
117
, MYCN agendo a valle di PAX-2
potrebbe attivare su di esso un loop di feedback positivo per rafforzarne l’effetto antiapoptotico
durante la condensazione mesenchimale. Quando la popolazione indotta raggiunge una
dimensione sufficientemente ampia, allora è supponibile che l’azione di PAX-2 e MYCN non sia
più necessaria. Il loro calo espressivo sbilancerebbe la quota dei fattori antiapoptotici a favore di
quelli proapoptotici, fenomeno necessario a determinare il rimodellamento dell’unità nefronica 118.
Dal momento che molteplici sono le similitudini tra organogenesi e tumorigenesi, è verosimile che
nel tumore di Wilms si ripropongano da vicino le stesse dinamiche che portano ad overesprimere
MYCN nel mesenchima normale condensante
119
. Di fatto, alti livelli di MYCN sono stati
riscontrati in studi di gene expression profiling che prendevano in esame campioni tumorali di
Wilms rispetto a campioni renali sani, suggerendo che il tumore possa insorgere
conseguentemente all’innesco della finestra temporale in cui dovrebbe agire un determinato
fattore per contribuire a canalizzare il differenziamento del mesenchima in senso epiteliale,
fenomeno che, in presenza di mutazioni o eventi epigenetici che riguardano quel medesimo
fattore, non viene ad appurarsi
120
. Forse in maniera compensatoria MYCN continuerebbe a
mantenersi overespresso, per evitare che le cellule condensate vadano incontro ad apoptosi, non
avendo captato lo stimolo necessario a procedere alla transizione epiteliale. Se questa strategia è
costruttiva per mantenere la cellula in vita nell’immediato, diviene compromettente nell’ottica del
36
Introduzione
lungo termine, laddove lo spirito di autoconservazione viene esaperato e diviene inesorabile
assistere alla generazione di stimoli proliferativi protratti e protumorigenici
121
. Ulteriori geni
MYCN-correlati sono stati messi in evidenza in base alla loro overespressione nei tumori di
Wilms. In particolare nelle forme ricorrenti significativa è l’espressione di CDC6, CDC2, DHFR e
EZH2, geni targets del pathway RB/E2F implicati nel controllo della progressione del ciclo
cellulare. Mediatori a diversi livelli dell’acido retinoico inoltre risultano down-regolati e associati
ad un grado istologico maligno e a ricadute del tumore, come RARRES2 e RARRES3
rispettivamente, oppure NK4, RAMP, ENPP2
123
e CRABP2
122
. Queste osservazioni autorizzano
ad individuare nell’acido retinoico un potenziale agente terapeutico nel trattamento delle forme
tumorali avanzate 124.
1.3.6 - L’oncoproteina Mycn come bersaglio di nuovi approcci farmacologici
MYCN gioca un ruolo decisivo nella tumorigenesi sia promuovendo la crescita cellulare che
reprimendo il processo di differenziamento. L’inibizione della funzione di MYCN porta la cellula
a sottrarsi a continue divisioni e a optare per l’acquisizione di un fenotipo e una funzione
terminali. L’inibizione dell’espressione di MYCN è stata tentata attraverso approcci antisenso,
mirati a sequestrare il messaggero, e mediante trattamento con acido retinoico, entrambi inducenti
una riduzione della quota di proliferazione e il differenziamento neuronale in cellule di
neuroblastoma
125, 126
. In sistemi cellulari di neuroblastoma allestiti in vitro sono stati testati due
metodiche antisenso:
1. somministrazione di oligonucleotidi antisenso esogeni contro MYCN mRNA;
2. trasfezione di vettori d’espressione progettati per generare l’antisenso contro
MYCN una volta inserito il vettore nella cellula.
L’espressione di MYCN risulta diminuita di tre volte terminato il trattamento con l’antisenso
specifico rispetto ai controlli mutati. Oltremodo, l’inibizione di MYCN con questa procedura
produce effetti distinti in linee cellulari di neuroblastoma con caratteri fenotipici differenti. Il
37
Introduzione
sottogruppo neuronale di neuroblastoma risponde al trattamento antisenso differenziando, mentre
ad esempio, apoptosi e differenziamento si riscontrano nel sottotipo Schwanniano-gliale, ed un
effetto citostatico si registra in una popolazione fenotipicamente intermedia
125
. Il trattamento con
Acido Retinoico, metabolita della vitamina A, promuove un calo dei livelli di MYCN mRNA in
associazione all’arresto cellulare in fase G1 e al differenziamento in alcune linee. I meccanismi
molecolari che sottendono il fenomeno sono scarsamente noti. Tuttavia, è stato visto che p27Kip ,
fattore che modula l’arresto del ciclo cellulare, viene indotto dietro somministrazione di Acido
Retinoico nella linea SMS-KCNR di neuroblastoma
127
. E’ stato ipotizzato che l’arresto del ciclo
in fase G1 riscontrato dipenda dal fatto che l’inibizione selettiva di MYCN, portando a rimuovere
il sequestro su p27Kip, ne favorisca il legame con le Cdks, impedendo che il controllo chinasico
ciclina-dipendente possa concretizzarsi. Saggi funzionali cell-based per MYCN, che utilizzano il
promotore del gene Ornitina Decarbossilasi(ODC) e il gene della luciferasi per reporter, sono
stati sviluppati per screenare collezioni di composti chimici candidabili come inibitori di MYCN.
Analisi pilota sulla libreria di composti CR-UK hanno rivelato che il saggio può esser condotto
per identificare nello specifico repressori dell’attività trascrizionale di MYCN. In questo modo
possono essere valutate anche le dinamiche mediante cui la molecola inibitrice interagisce
meccanicisticamente con il complesso MYCN-MAX
128
. Piccole molecole interferenti con la
dimerizzazione MYC-MAX sono state individuate e testate su fibroblasti di embrioni di pollo,
dimostrando l’inibizione del potenziale oncogenico di MYC
129
. E’ possibile che suddetti
composti siano in grado di mantenere una parziale specificità d’azione anche in modelli
sperimentali dipendenti dall’espressione di MYCN 130. Un ulteriore intervento ipoteticamente utile
riguarda la compromissione selettiva dell’asse MYCN-ODC1. Odc1 è ritenuta un’oncoproteina
coinvolta nella sintesi delle poliammine
131
. Le poliammine sono cationi organici indispensabili a
massimizzare i processi di trascrizione, traduzione e replicazione
132
, oltre a supportare diversi
meccanismi in cui intervengono i geni MYC. La loro presenza e il relativo storaggio sono sempre
oggetto di rigoroso controllo nella cellula da parte degli enzimi quota-limitanti ODC1 a AMD1,
38
Introduzione
onde evitare una risposta citostatica od apoptotica
133
. L’attività di ODC1 è frequentemente
elevata in differenti tumori come il colon, la mammella e la prostata e sempre associato ad
un’elevata biodisponibilità di poliammine a ad un’elevata espressione di MYC, esitando in un
rapido turn-over cellulare
134
. Disabilitando farmacologicamente l’attività enzimatica di ODC1 si
ottiene il blocco proliferativo in vitro e una buona efficacia antitumorale in modelli murini
transgenici di neuroblastoma 80. L’inibizione si accompagna ad un aumento dei livelli di p27Kip e
Rb ipofosforilato, condizioni sufficienti ad arrestare la progressione nel ciclo cellulare 135. DFMO,
cisplatino o ciclofosfamide agiscono proprio bersagliando questo asse, ed è possibile che la loro
combinazione sortisca effetti sinergici ancor più convincenti.
s-adenosilmethionin
decarboxilated
s-adenosilmethionin
Fig. 13: metabolismo delle
poliammine nel neuroblastoma. Le
poliammine (putrescina, spermidina
e spermina) sono sintetizzate a
partire dall’ornitina mediante
processi di decarbossilazione e
condensazione. Gli enzimi evidenziati
in verde intervengono nella sintesi,
quelli in rosso nel catabolismo. Gli
enzimi sottolineati sono altamente
espressi ed hanno la più corta
emivita tra gli enzimi dei mammiferi.
ODC1, ornitina decarbossilasi;
AMD1, s-adenosilmetiona
decarbossilasi; SRM, spermidina
sintetasi; SMS, spermina sintetasi;
SAT, spermidina/spermina
N-acetiltransferasi; SMOX,
spermina ossidasi; OAZ1, ODC
antienzima1, OAZ2, ODC
antienzima2; OAZIN, inibitore
dell’antienzima di ODC.
MYCN può essere considerato un marcatore tumorale specifico per quelle neoplasie in cui la sua
espressione correla con una prognosi nettamente infausta. Perciò è stato possibile preventivare
39
Introduzione
l’utilizzo di vaccini cellulari in grado di bersagliare la proteina N-Myc. In particolare, stimolando
in vitro linfociti citotossici (CTL), provenienti dal sangue periferico di volontari sani e pazienti
con neuroblastoma, con epitopi derivati dalla proteina N-Myc, si è cercato di creare un pool
immunologico in grado di coordinare una risposta tumore-specifica, una volta infusi nel paziente.
Tuttavia l’immunoterapia applicata a tumori MYCN amplificati e/o overespressi non è stata
ancora validata nella pratica clinica, sebbene l’efficacia dei vaccini è oramai assodata per
molteplici tumori
136
. Gli approcci sinora menzionati sono tuttavia destinati ad espletare la loro
azione in modo limitato nel tempo. La stessa applicazione clinica di oligonucleotidi antisenso,
sebbene i risultati in vitro siano ottimistici, non è particolarmente sostenuta a causa della rapida
degradazione operata da nucleasi e proteasi all’interno della cellula. Per questo motivo si è
pensato di progettare molecole innovative in grado di coniugare la necessità di inibire in modo
mirato l’espressione genica di MYCN con la possibilità di estendere significativamente la finestra
temporale in cui si valorizza l’efficacia farmacologica. Gli Acido Peptido Nucleici (PNA)
rispondono a queste esigenze, interagendo con sequenze complementari di DNA in maniera
altamente specifica, senza che i sistemi di demolizione della cellula possano nel contempo
intaccarne la struttura. La stabilità di questi agenti ne ha premiato l’utilizzo in cellule di
neuroblastoma con amplificazione di MYCN. Rimane da verificare se l’applicazione di questi
analoghi nucleotidici possa essere proposta anche in modelli tumorali nella cui patogenesi
molecolare MYCN possa esercitare un ruolo di rilievo, indipendentemente dal suo stato di
overespressione o amplificazione.
1.4 - PNA (Peptide Nucleic Acid)
I PNA rappresentano analoghi sintetici degli acidi nucleici, in cui una catena pseudo-peptidica
formata da monomeri di N-(2-amminoetil)glicina si sostituisce al ben noto scheletro
fosfodiesterico del DNA. Le basi azotate si legano covalentemente a questo motivo attraverso un
ponte metil-carbonilico
137, 138
. Dal punto di vista chimico i PNA non rientrano in una categoria
40
Introduzione
convenzionale di molecole; dato l’assetto ibrido, si distinguono da altri analoghi del DNA per
specificità e durata d’azione. I PNA si appaiono in modo complementare e sequenza specifico al
DNA e all’RNA
138
. Essendo achirali e privi di carica elettrostatica, i legami PNA/DNA e
PNA/RNA sono sicuramente molto più competitivi rispetto agli appaiamenti omo- od eteroduplex,
in quanto non ci sono le stesse forze di repulsione elettronegativa che mimano la stabilità del
complesso
139
. Un ulteriore vantaggio a favore dell’impiego dei PNA, concerne la solidità
strutturale della molecola, che non si sensibilizza all’azione litica delle protesi e nucleasi e che si
mantiene inalterata nei fluidi biologici
140
. I PNA possono essere preparati seguendo i protocolli
standard di sintesi in fase solida per i peptidi
141
, che si avvalgono di resine di supporto.
Modificazioni post-sintetiche dei PNA possono essere introdotte abbinando ai residui di lisina o
cisteina posti internamente al PNA, l’agglomerato prescelto
142
. I PNA possono anche subire
rivisitazioni nello scheletro di base, o agganciare una struttura chimerica, come nel caso della
chimera PNA/DNA costituita da un oligomero PNA fuso ad un oligomero DNA
143
. Nella fase
successiva alla sintesi, la procedura di recupero prevede il distacco del PNA dal supporto solido e
la sua purificazione mediante tecnica HPLC.
1.4.1 - Proprietà chimico-fisiche del PNA
Le molecole di PNA sono tendenzialmente neutre e tendono ad avere scarsa solubilità in acqua
rispetto al DNA; tuttavia qualche instabilità può derivare dal gruppo funzionale NH libero
all’estremo amminico
144
. In soluzione tendono a formare aggregati in modo specifico alla
sequenza nucleotidica verso cui deve essere orientata la sua azione. La solubilità del PNA è legata
anche alla lunghezza dell’oligomero e al rapporto purine:pirimidine 145. Recenti modifiche, tra cui
l’inserzione di residui di lisina carichi positivamente, hanno mostrato un miglioramento della
solubilità, e si è notato che incorporando cariche negative si ottengono risultati ottimali, specie nel
caso di chimere PNA/DNA. Di fatto, proteine che riconoscono selettivamente il DNA non
41
Introduzione
interagiscono in maniera generalizzata anche sulla sequenza nucleotidica del PNA
complementare, probabilmente perchè l’intelaiatura e la disposizione spaziale
Fig. 14: Struttura chimica del PNA
e del DNA. Si nota, nel backbone
PNA, l’assenza del gruppo fosfato
che contribuisce nelle interazioni
DNA/DNA, mentre compare
all’altro estremo il gruppo
funzionale NH per coniugare un
frammento peptidico d’interesse.
dell’analogo è tale da non consentire interazioni elettrostatiche
146
. L’emivita dei PNA non è ben
caratterizzata, sebbene ci si aspetta che i coefficienti di estinzioni siano differenti rispetto a quelli
che caratterizzano il DNA e l’RNA. La presenza di un motivo proteico nella molecola di PNA
dovrebbe infatti perturbare la cornice nucleotidica collaterale, ridistribuendo omogeneamente
l’addensamento delle cariche elettron-negative di pertinenza proteica, all’intero assetto
nucleotidico. Con questa consapevolezza, la concentrazione degli oligomeri di PNA viene riferita
dalla misurazione dell’assorbanza a 260 nm a 80°C
147
. In queste condizioni di temperatura, le
basi azotate si considerano completamente distaccate in modo da ridimensionare e attutire gli
effetti della perturbazione della nube elettrondensa proteica. I PNA possono richiamare il DNA e
l’RNA nella formazione di duplex secondo due possibili dinamiche:

i PNA generati utilizzando le quattro basi azotate naturali ibridizzano con gli acidi nucleici
complementari seguendo le regole di appaiamento di Watson e Crick; ciò comporta la
formazione di complessi eteroduplex PNA/DNA e PNA/RNA somiglianti alla forma B del
DNA 148;
42
Introduzione

i PNA ad esclusivo contenuto di pirimidine (T o C) partecipano invece al legame col DNA
a doppio filamento. In questo caso, il PNA si appaia con la sequenza d’interesse
provocando un affrancamento del filamento antisenso originale, limitatamente alla regione
in cui si estende la sequenza target; si genera così un triplex PNA/DNA/PNA, in cui una
parte del PNA si lega alla sequenza nucleotidica desiderata, mentre la porzione rimanente
si comporterà come terzo filamento del complesso triplex, secondo legami di tipo
Hoogstein
138
. La dinamica che porta a coniugare il duplex PNA/DNA è generalmente
molto sensibile; la presenza di potenziali mismatch può indebolire e quindi minare la
stabilità dell’appaiamento, in funzione del numero di mismatch stesso149.
1.4.2 - Modulazione dell’espressione genica
Le promettenti proprietà chimico-fisiche dei PNA e la mancanza di effetti collaterali significativi
anche a concentrazioni elevate ne hanno incoraggiato l’applicazione terapeutica. Grazie all’abilità
nel legare sia DNA che RNA, si è pensato inizialmente di impiegarli seguendo due strategie:

sfruttando l’inibizione trascrizionale, conseguente al legame al DNA (strategia anti-gene);

prediligendo l’inibizione traduzionale attraverso il legame al messaggero (strategia
antisenso).
Secondo la prima modalità d’applicazione, i PNA possono bloccare la fase trascrizionale del gene
d’interesse attraverso la formazione di un triplex, impedendo l’avanzamento processivo dell’RNA
polimerasi, lungo lo start point del promotore genico. Taluni oligomeri possono essere progettati
persino allo scopo di prevenire il legame di uno o più fattori trascrizionali lungo la regione del
promotore, rendendone inaccessibili i siti di binding corrispondenti
150
. Sono stati disegnati anche
PNA volti ad impegnare la regione a valle del promotore: in questo caso l’interferenza viene a
ripercuotersi sull’attività dell’RNA polimerasi, incapace di proseguire nell’elongation del
trascritto, che pertanto risulterà troncato 151.
43
Introduzione
Fig. 15: strategia
anti-gene
e antisenso
con cui può
agire il PNA.
Una problematica riscontrata nell’utilizzo della strategia anti-gene riguarda principalmente i tempi
impiegati a verificare la formazione dei triplex in condizioni fisiologiche 152. Numerose sono però
le modifiche che sono state valutate sia a livello strutturale che a livello ambientale. Infatti, pare
che il PNA leghi più celermente molecole di DNA superavvolto rispetto al DNA lineare. Poichè il
DNA cromosomico tracrizionalmente attivo si trova in una conformazione superavvolta
negativamente, è verosimile che sia più vistosamente bersagliato dal PNA in vivo. Inoltre si è
osservato che il legame dei PNA al DNA a doppio filamento è aumentato quando il DNA è già
predisposto alla trascrizione e che l’interazione sia più solida e tre volte più efficace quando il
target è situato lungo il templato antisenso del DNA
152
. La strategia antisenso invece, vede
nell’impiego dei PNA la possibilità di bloccare la maturazione dei messaggeri, il trasferimento
citosolico e la relativa traduzione proteica. Comunemente possono impegnare siti di splicing
necessari alla processazione del trascritto e alterarne la produzione delle varianti, abbassandone la
quota destinata all’esporto nucleare. I risultati in vitro sulla traduzione hanno dimostrato che i
PNA sono capaci di inibire la traduzione del target, occupando lo start codon AUG
153
. Quando
costruiti per bersagliare la regione 5’UTR, i PNA possono prevenire il legame del ribosoma,
44
Introduzione
mentre quando si legano lungo una regione del trascritto possono perturbare l’avanzamento della
traduzione, portando a generare proteine tronche. I PNA che formano triplex sono in grado anche
di determinare un blocco traduzionale lungo ls regione codificante del messaggero. Auspicabile è
comunque la mescolanza di PNA diversi, che si è visto sortire inibizione traduzionale anche a
concentrazioni di gran lunga inferiori rispetto a quelle previste per l’impiego di ogni singolo
PNA154.
1.4.3 - Uptake dei PNA in vitro e in vivo
Le possibili modalità attraverso cui veicolaer i PNA all’interno della cellula riscuotono un forte
interesse, dal momento che in condizioni fisiologiche questa delicata fase applicativa limita la
riuscita del trattamento. L’utilizzo di vescicole fosfolipidiche (liposomi) come modello di
membrane cellulari, ha sottolineato questo problema: il rilascio del PNA dall’incapsulamento
liposomico risulta molto lento (t di 5.5 e 11 giorni per due PNA di 10 nucleotidi), così come la
diffusione passiva trasmembrana. Tuttavia, interessanti studi hanno messo in risalto la capacità del
PNA di trasferimento autonomo all’interno di taluni tipi cellulari, suggerendo l’esistenza di
specifici mezzi di trasporto adibiti a consentire l’ingresso del PNA. Neuroni di ratto in coltura
“assorbono” PNA e rivelano un calo espressivo dei target desiderati dipendente dai tempi di
esposizione e dai dosaggi programmati
155
. Anche in vivo si ottengono effetti significativi:
l’iniezione in situ o intraperitoneale, portano i PNA ad agire a livello neuronale secondo un’azione
antisenso
156
. Altri citotipi in grado di mediare l’uptake dei PNA sono stati scoperti
successivamente. Tra questi, vi sono mioblasti, fibroblasti, e linfociti ma secondo protocolli che
prevedono tempi di esposizione molto più lunghi e massive concentrazioni. Quindi l’uptake
sembra essere una prerogativa del tutto individuale tra le popolazioni cellulari.
Per facilitare i trattamenti con PNA in maniera generalizzata, sono stati proposti numerosi metodi:

permeabilizzazione della membrana cellulare con lisolectina 157 o detergenti Tween 158;

temporanea permeabilizzazione della membrana con streptolisina O 159;
45
Introduzione

modificazione di PNA con motivi idrofobici 160;

impiego di vescicole di trasporto (liposomi) 161;

coniugazione del PNA a ligandi recettoriali o ad anticorpi che inducono l’endocitosi
mediata da recettore dei rispettivi coniugati;

coniugazione con peptidi che promuovono la traslocazione attraverso la membrana
cellulare e il targeting in compartimenti specifici. In rapida evoluzione si prevede la
categoria dei CPP (Cell Penetrating Protein). Ad esempio, diversi studi hanno dimostrato
che i peptidi Penetratin e Trasportan sono in grado di trasportare i PNA attraverso la
membrana cellulare nelle cellule eucariotiche. Oppure coniugati PNA-NLS (Nuclear
Localization Signal) aumentano l’uptake del PNA, rendono più rapido il trasporto nel
nucleo e aumentano la stabilità del duplex PNA/DNA, grazie alla generazione di forze
elettrostatiche 162, 163;

legame del PNA ad una catena oligonucleotidica lineare e coniugazione della chimera
PNA/DNA con lipidi cationici 164;

microiniezioni 165;

elettroporazione.
1.4.4 - Utilizzo dei PNA: nuove frontiere
Alla strategia antisenso e anti-gene in cui si è testata principalmente l’efficacia farmacologica nel
tempo dei PNA, si stanno affiancando nuovi filoni di ricerca che preventivano l’impiego di PNA
per irrobustire l’applicazione delle metodiche di biologia molecolare già note. Si è pensato di
utlizzare i PNA ad esempio, come strumento di mutagenesi diretta sito-specifica
159
, come
inibitore di enzimi metabolici 166, per incentivare l’amplificazione in PCR e in RT-PCR 167 o come
strumento d’indagine per la diagnosi di mutazioni in PCR 168. Interessante è la coniugazione infine
di una molecola di PNA ad un anticorpo per la generazione di un marcatore tumore specifico
verso cui indirizzare un complesso radioisotopico veicolante una molecola di PNA complementare
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Introduzione
al precedente. Si ipotizza in questo modo di sfruttare i principi della tecnica ELISA per
concentrare radioisotopi esclusivamente nel distretto occupato dal tumore, senza lesionare le
cellule normali, beneficiando nel contempo, della farmacocinetica e della specificità d’azione dei
PNA 152.
.
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