Le pitture rupestri di Altamira,La Fabbrica del Duomo di Milano

I gioielli di Bentivoglio,
pianura bolognese
Bentivoglio è un piccolo paese della pianura bolognese, ma
racchiude due gioielli di valore storico, artistico ed
architettonico da valorizzare: il Castello quattrocentesco ed
il Palazzo Rosso ottocentesco. All’interno sorprendenti sale
decorate ed affrescate. In determinate occasioni come le
annuali Wikigite, c’è la possibilità di accedere al castello
con visita guidata gratuita. Il Palazzo Rosso ospita la
Biblioteca comunale.
Bentivoglio, il Castello
IL CASTELLO DI BENTIVOGLIO
Un po’ di storia
Il Castello fu costruito tra il 1475 ed il 1481, intorno alla
torre civica, per volere dell’allora signore feudale di
Bologna, Giovanni II Bentivoglio, che desiderava una dimora di
campagna, per svago e caccia. Agli inizi del Cinquecento, il
potere dei Bentivoglio entrò in conflitto con il potere
temporale papale, al punto che i Bentivoglio nel 1506 vennero
cacciati da Bologna ed allontanati dalle loro residenze e
dimore che furono lasciate – per lo più – a sé stesse, subendo
così un rapido deterioramento. Questa sorte toccò anche alle
dimore periferiche come il castello, la cui ala occidentale
finì per diventare pericolante e fu fatta crollare nel XVIII
secolo ad opera dei nuovi proprietari, i Pepoli, che ne fecero
una villa a tre lati, aperta; il castello fu abitato anche da
famiglie bracciantili ed alcune stanze furono utilizzate per
gli usi più svariati come magazzini, concerie di pelli,
ricoveri per animali.
Bentivoglio,
Castello,
cortile interno
Bentivoglio,
interno
cortile
Solo alla fine dell’Ottocento, la nuova proprietà Pizzardi
incaricò il restauratore Alfonso Rubbiani di ripristinare
l’edificio voluto da Giovanni II Bentivoglio; dal 1889 al 1897
il Rubbiani ricostruì l’ala crollata, riedificò la cinta
merlata e suddivise le stanze secondo le antiche piante; ci
mise anche qualcosa di suo, come la pregevole scala che dal
cortile interno conduce al piano nobile. Il restauro restituì
alla fine un castello dove si nota l’impronta ottocentesca
dell’epoca dei lavori di ripristino. Durante la seconda guerra
mondiale, la torre civica venne fatta saltare e quello che
ancora oggi vediamo è ciò che è rimasto di quella trecentesca
torre.
Bentivoglio,
Castello,
pozzo cortile interno
Oggi il Castello di Bentivoglio, di proprietà comunale, in
parte ospita i laboratori di ricerca dell’Istituto Ramazzini e
in parte è utilizzato dall’amministrazione comunale per
attività culturali.
Bentivoglio,
Castello,
piano nobile, decorazioni
stemma dei Bentivoglio
Bentivoglio,
Castello,
decorazioni piano nobile
Cosa c’è di bello da vedere
Esternamente il castello lascia indifferenti, ma è l’interno
che riserva delle belle sorprese artistiche. Il cortile
interno si presenta nella sua vastità e sobrietà, ma
guardandovi intorno noterete un piacevole stacco
architettonico: la scalinata che porta al piano nobile,
aggiunta da Alfonso Rubbiani durante il restauro di fine
Ottocento.
Bentivoglio, scalinata che
dal cortile interno porta
al piano nobile
Bentivoglio,
Castello,
decorazioni della cappella
Dal cortile interno si accede alla Cappella dove potrete
ammirare alcuni affreschi interessanti, anche se non
perfettamente conservati. Un’opera di restauro conservativo
potrebbe restituire splendore a questa piccola ma deliziosa
cappella.
Bentivoglio,
Castello,
decorazione della cappella
Bentivoglio, Castello, Sala
del Pane
Al piano nobile si trovano due sale davvero straordinarie: il
grande salone con cinque camini decorati a stucco e la
Sala del Pane con il ciclo degli affreschi Le storie del pane
che, in dieci riquadri, narra la storia della panificazione.
Bentivoglio,
Castello,
affreschi Sala del Pane
Bentivoglio, Castello, sala
dei
cinque
camini,
decorazioni dei camini
Per informazioni sulle visite guidate, contatta il Servizio
Turismo Unione Reno Galliera tel. 051.8904823 o visita il sito
del Comune di Bentivoglio.
IL PALAZZO ROSSO
Il Marchese Carlo Alberto Pizzardi divenne proprietario dei
territori dei Bentivoglio nella seconda metà dell’Ottocento e
fu un bene per la popolazione; la nuova proprietà sottrasse
terreno alla palude rendendo più salubri le condizioni di vita
delle persone, fece restaurare il castello e, nel 1887, fece
costruire il Palazzo Rosso.
Bentivoglio, Palazzo Rosso
Bentivoglio, Palazzo Rosso,
balcone
Il Palazzo Rosso prende il nome dai mattoni rossi con cui fu
edificato; il piano terra fu adibito ad uffici, mentre il
piano primo, denominato piano nobile, era la residenza del
marchese Pizzardi; il secondo piano era, infine, l’abitazione
dei dipendenti. Dopo la morte nel 1922 di Carlo Alberto
Pizzardi, il palazzo venne affittato a varie famiglie. Dal
1992 è di proprietà del comune che ne ha fatto la sede della
Biblioteca comunale.
Bentivoglio, Palazzo Rosso,
piano nobile, Sala dello
Zodiaco
Bentivoglio, Palazzo Rosso,
piano nobile, Sala dello
Zodiaco
La scala (interna) che porta al piano nobile raccoglie subito
l’ammirazione del visitatore per il pregio della ringhiera in
legno lavorato e per le decorazioni floreali delle pareti.
Bentivoglio, Palazzo Rosso,
scalinata e decorazioni
Bentivoglio,
Palazzo
Rosso,
scalinata
che
porta al piano
nobile
Il piano nobile ha una sala di strepitosa bellezza: la Sala
dello Zodiaco. La Sala dello Zodiaco è completamente decorata;
il soffitto azzurro rappresenta il cielo con le fasi lunari ed
ha una curiosa stilizzazione del Sole, intorno è dipinta la
fascia dello zodiaco con alcune costellazioni, mentre alle
pareti si possono ammirare elementi vegetali ed animali tipici
del territorio. La sala dello Zodiaco si affaccia, attraverso
finestre particolarmente ampie, sul meraviglioso balcone.
Davvero notevole ed unica questa sala!
Bentivoglio, Palazzo Rosso,
Sala dello Zodiaco
Bnetivoglio, Palazzo Rosso,
Sala
dello
Zodiaco,
soffitto
Al piano nobile è stata ricostruita la camera da letto del
marchese Carlo Alberto Pizzardi.
Bentivoglio, Palazzo Rosso,
ricostruzione camera da
letto del marchese Pizzardi
Oggi Palazzo Rosso è sede della Biblioteca Comunale, della
sala del Consiglio comunale e luogo di attività culturali. Per
la visita contatta la Biblioteca al nr. 051.6643592 email
[email protected]
Cinzia Malaguti
Isfahan
perla
architettura islamica
della
La lettura di un articolo su Isfahan, mi ha fatto venire in
mente il viaggio che feci in Iran, un po’ di tempo fa, che mi
ha lasciato uno splendido ricordo di questa meravigliosa città
persiana.
Isfahan è una città dell’Iran centrale, sorge sulle sponde del
fiume Zayandè, su un altopiano a 1600 metri di altitudine. Fu
il re persiano Abbas I (1571-1629) che trasformò Isfahan nella
più stupefacente manifestazione di architettura islamica del
mondo, ciò che è ancora oggi. Quando Abbas I trasferì la
capitale della Persia a Isfahan, l’abbellì con grandiose
moschee, sontuosi palazzi, enormi giardini, numerose terme
(hammam).
Due sono i luoghi che rappresentano gli splendori della città
di Isfahan nel XVI e XVII secolo, ancora oggi testimoni: la
piazza Naqsh-e jahan ed il ponte dei trentatré archi, il Si-ose Pol.
La piazza Naqsh-e jahan, ribattezzata piazza Reale o dello
Scià e, dopo la rivoluzione iraniana, diventata Piazza
dell’Imam, è una grande, impressionante, strepitosa piazza
rettangolare; non è spettacolare solo perché è grande, bensì
per ciò che ci sta dentro ed intorno: gallerie porticate a due
piani la circondano, giardini e vasche d’acqua la rendono
armoniosa, meravigliosi edifici della più splendida
architettura islamica la delimitano; a sud della piazza c’è la
Moschea dello Scià (oggi dell’Imam), a est c’è la Moschea
dello sceicco Lotfollah, a ovest c’è il Palazzo reale (Ali
Qapu) e a nord c’è l’entrata del bazar di Qeisarieh. Tutto il
suo complesso è stato dichiarato Patrimonio dell’Umanità
Unesco.
Isfahan, Piazza dell’Imam
La moschea dello Scià (oggi dell’Imam) è la più bella moschea
che io abbia visto (e ne ho viste tante) con i suoi quattro
minareti, i suoi splendidi rivestimenti in ceramica e le sue
eccellenti decorazioni geometriche e a forma di stalattiti; fu
nel 1611 che Abbas I diede ordine di costruire la moschea
reale chiamando all’opera i migliori artisti, ceramisti e
calligrafi dell’epoca; la moschea fu ultimata nel 1630, un
anno dopo la morte dello scià. La moschea dell’Imam è davvero
grandiosa con i suoi quattro minareti, due ai lati del portone
d’ingresso e due davanti alla sala di preghiera, con la sua
grande cupola a bulbo rivestita all’esterno con piastrelle
colorate nei toni di blu e oro (all’interno è ricoperta con
maioliche e mosaici), con le sue due Madrase (scuole
coraniche), ai lati della sala di preghiera, ciascuna dotata
di cortile con giardino, piccole fontane e arcate decorate con
le caratteristiche piastrelle colorate. Sui due lati della
moschea dell’Imam sono allineati numerosi negozi, che pagavano
un affitto usato per sostenere i costi di mantenimento della
moschea.
Isfahan, Moschea dello Scià
o dell’Imam
A est della piazza dell’Imam (piazza Naqsh-e jahan) c’è la
moschea dello sceicco Lotfollah con la sua splendida cupola;
fu realizzata tra il 1602 ed il 1619, era riservata alla
famiglia reale ed è senza minareti perché aveva la funzione
principale di oratorio privato o mausoleo. La cupola e le
pareti della sala della preghiera presentano una meravigliosa
decorazione a base di mosaici azzurri e color oro, messa in
risalto dalla luce solare che entra attraverso le finestre.
Isfahan, ingresso Moschea
Lotfollah
A ovest della piazza dell’Imam si trova il palazzo Reale (Ali
Qapu) che venne eretto come residenza dello Scià di Persia,
sempre lui, Abbas I. L’edificio è a pianta rettangolare, si
sviluppa su sei piani (per circa 48 metri di altezza) e, nella
sua parte frontale, ha una vasta terrazza coperta con soffitto
intarsiato sostenuto da altissime colonne lignee. Dalla
galleria superiore, il sovrano e la sua corte assistevano alle
partite di polo e alle corse di cavalli che si tenevano nella
piazza. All’interno, vi sono ricchi affreschi con
numerosissimi motivi a soggetto naturalistico.
Isfahan, Palazzo Reale Ali
Qapu
A nord della piazza dell’Imam c’è l’entrata al Gran Bazar; la
sua struttura originaria risale all’XI secolo, poi oggetto di
numerosi interventi, oggi si presenta come un labirintico
intrigo di passaggi, sale e caravanserragli, coperti da una
serie di piccole cupole, ciascuna provvista di apertura per il
passaggio della luce; ci sono decorazioni di scene di caccia,
guerra e di banchetti, ma la cosa più sorprendente è il
passaggio dalla ricchezza monumentale dei luoghi dello scià ai
cunicoli dell’altra parte del mondo.
Isfahan, Gran Bazar
Lasciata la bellissima piazza dell’Imam, ci dirigiamo verso il
ponte dei trentatré archi (Si-o-se Pol), davvero unico nella
sua architettura; fu commissionato nel 1602 da, indovinate un
po’, sempre lui, lo scià Abbas I, è lungo 300 metri ed è
formato da una doppia fila di arcate posta su due piani; i
suoi pilastri ricordano quelli degli acquedotti romani, ma qui
c’è qualcosa di unico e straordinario: la forma a bulbo delle
arcate, la doppia fila, i due piani. Il ponte serviva
contemporaneamente da canale di irrigazione e via d’accesso
alla città.
Isfahan,
Ponte
trentatré archi
dei
Isfahan,
Ponte
trentatré archi
dei
Un viaggio in Iran non è facile per chi desidera viaggiare in
autonomia perché qui occorre essere accompagnati, quindi deve
essere un viaggio organizzato da un tour operator e, arrivati
sul posto, occorre rimanere con il gruppo e vestirsi
adeguatamente (foulard in testa ed abiti larghi e coprenti).
Rimane, comunque, un bel viaggio che resta nella memoria del
viaggiatore. Leggi anche Iran meta insolita.
Buon viaggio!
Cinzia Malaguti
Bibliografia:
J. Wiesehofer, La Persia antica, Bologna, Il Mulino, 2003
Storica NG nr. 91
Video: Iran meta insolita
I
delitti
della
laguna
di
Letizia Triches
Letizia Triches, docente e storico dell’arte, ha scritto I
delitti della laguna, un intrigante giallo ambientato a
Venezia. Quello che più mi è piaciuto di questo romanzo non è
tanto la trama, ma l’atmosfera tipicamente veneziana che
l’autrice ha saputo così bene ricreare
raccontando gli intrecci del giallo.
e
descrivere
I delitti della laguna di
Letizia Triches, dettaglio
copertina
Trama. Giuliano Neri è un restauratore con il talento da
detective che viene invitato a collaborare con la commissaria
Chiusano per risolvere l’enigma dell’omicidio del bellissimo,
sciupa femmine, musicista afro-americano Otis Moore, trovato
morto incaprettato a casa sua. Otis, oltre a fare il
musicista, lavora in una casa d’arte ed il mondo dell’arte,
con i suoi collezionisti ed i suoi falsari, è quello su cui
ruota l’intera vicenda, ma con un cornice che poi si rivelerà
determinante per l’intera storia; tale cornice è legata al
mondo psichiatrico e si rivelerà centrale, ma in maniera
diversa da quella che l’autrice lascia emergere all’inizio.
Gli omicidi saranno due ed il giallo lascia spazio anche ad
orge e scambi di coppia, amori e tradimenti, paura e
sfrontatezza, pazzia e gelosia, colpa e ingenuità, ricchezza e
povertà.
Letizia Triches, autrice
di I delitti della laguna
L’ambientazione. I delitti della laguna è ambientato a Venezia
e l’autrice ha un grande merito, quello di riuscire ad
immergere il lettore nell’atmosfera veneziana, nelle sue luci
e nelle sue ombre, nelle sue calli avvolte nella nebbia, nei
suoi picchi d’acqua alta, nei muri delle sue case che
trasudano umidità, una città bella per i turisti, ma difficile
per chi vi abita.
Venezia
I delitti della laguna è un romanzo che regala emozioni.
Consigliato!
Cinzia Malaguti
Pop
art
italiana
alla
Fondazione Magnani Rocca
La Fondazione Magnani Rocca è una sede espositiva che si trova
a Mamiano di Traversetolo, Parma, in una villa neobarocca
appartenuta a Luigi Magnani, critico e collezionista d’arte.
La villa espone al pubblico la ricca collezione permanente di
Luigi Magnani ed ospita mostre temporanee, come quella sulla
Pop Art italiana ed un plus, le Ninfee di Monet, in prestito
dagli Stati Uniti (fino all’11 dicembre 2016).
Parco romantico di Villa
Magnani
a
Mamiano
di
Traversetolo, Parma
Fontana nel parco romantico
di Villa Magnani
Il nucleo originario di villa Magnani fu eretto nel Seicento,
ma fu più volte ritoccata, ampliata e riadattata fino
all’attuale uso di sede espositiva, di proprietà della
Fondazione Magnani Rocca voluta da Luigi Magnani (1906-1984).
La villa, molto bella in stile neobarocco, è immersa
all’interno di un parco romantico di 12 ettari. La sede
espositiva Fondazione Magnani Rocca si trova in via Fondazione
Magnani Rocca nr. 4 in località Mamiano di Traversetolo,
provincia di Parma, uscita autostradale A1 Terre di Canossa.
Villa Magnani, interno
Villa Magnani,
arredo interno
La collezione permanente di Luigi Magnani è davvero molto
ricca e raccoglie opere d’arte dall’XI al XX secolo; ci sono
meraviglie artistiche di Cézanne, De Chirico, Morandi,
Severini, Guttuso, Tiziano, Van Dyck, Goya, per citarne
alcuni. Di Goya potrete ammirare il superbo La famiglia
dell’infante Don Luis. Opere della collezione Magnani sono
spesso richieste in prestito da vari Musei nel mondo. Non per
niente, Villa Magnani è chiamata la Villa dei Capolavori.
Villa Magnani, la Villa dei
Capolavori, opera di Goya
Villa Magnani ed il suo
parco romantico
Fino all’11 dicembre 2016 la Fondazione Magnani Rocca ospita
la mostra Italia Pop, una raccolta davvero esauriente
dell’arte pop italiana del dopoguerra.
Pop Art Italiana in mostra
a Villa Magnani
La mostra temporanea dedicata alla Pop Art italiana allestita
a Villa Magnani espone opere della maggior parte degli artisti
che hanno caratterizzato questo movimento artistico del
dopoguerra. La Pop Art italiana nasce sull’onda della
popolarità di Andy Warhol e di altri celebri artisti pop del
Regno Unito e degli Stati Uniti, ma assume connotazioni
originali, nell’ultima fase della sua storia, diventando
spiccato strumento politico di critica alla società dei
consumi. Sono caratteristiche delle opere dalla Pop Art
internazionale le sgocciolature, l’utilizzo di ritagli di
giornali e di bombolette di vernice spray.
Pop Art italiana in mostra
a Villa Magnani
Mentre negli Stati Uniti gli artisti della Pop Art
rappresentavano gli oggetti d’uso quotidiano cercando di dar
loro un’anima, gli artisti della Pop Art italiana li
contestualizzavano all’interno di un messaggio politico più
ampio, a volte ironico, di critica aperta alla società dei
consumi ed ai suoi simboli, come la televisione e
l’automobile. Nella fase conclusiva del movimento della Pop
Art italiana appare evidente, attraverso le sue opere, la
critica all’assimilazione dell’uomo agli oggetti che consuma
e, soprattutto, la sua responsabilità nel lasciarsi
oggettivizzare. Emblematiche, a tal riguardo, sono le opere di
Umberto Mariani dove la televisione diventa un tutt’uno con la
persona o quelle di Paolo Baratella, in particolare Uccisi
dall’uomo seduto.
Pop Art italiana in mostra
a Villa Magnani, Paolo
Baratella, Uccisi dall’uomo
seduto
L’esposizione sulla Pop Art italiana a Villa Magnani inizia
dalla prima fase segnata dai lavori di Franco Angeli, Gianni
Bertini, Mario Schifano, Renato Mambor ed altri; curiosa è
l’opera di Tano Festa con la sua persiana senza maniglie,
mentre ho trovato raffinate le opere dell’unica donna della
Pop Art, Giosetta Fioroni. Nel periodo medio dello sviluppo di
questo movimento artistico è centrale la critica alla
pubblicità che massifica; Umberto Bignardi usa la tela come
una grande lavagna dove incolla oggetti di uso quotidiano,
Roberto Malquori lavora con i volti, mentre Antonio Fomez
rappresenta le grandi marche commerciali in maniera ironica e
Valerio Adami si rifà al fumetto che dialoga con il mito
dell’automobile. Gli artisti che ho citato sono quelli che più
hanno catturato la mia attenzione, ma nell’esposizione ci sono
opere di molti altri autori della Pop Art italiana.
Pop Art italiana in mostra
a Villa Magnani
Se andrete alla mostra sulla Pop Art italiana a Villa Magnani
di Mimiano di Traversetolo, Parma, vi consiglio di prenotare
una visita guidata telefonando allo 0521.848327 o scrivendo
una email a [email protected]. Fino al 11 dicembre 2016
potrete, inoltre,godere di un plus: un dipinto strepitoso di
Claude Monet, della serie delle Ninfee, in prestito dagli
Stati Uniti.
Le Ninfee di Claude Monet,
in mostra a Villa Magnani
Villa Magnani ed il suo
parco romantico
L’ingresso con visita guidata costa € 15; la visita guidata
comprende la mostra temporanea sulla Pop Art e qualche breve
informazione sul Monet esposto, ma prima e dopo siete liberi
di visitare la mostra permanente, girare per le stanze della
villa e per il suo enorme parco.
Buona visita!
Cinzia Malaguti
Il periodo caldo medievale e
le cattedrali sfarzose
Ho visitato diverse località del Centro e Nord Europa e mi
sono incuriosita del fatto che le cattedrali più sfarzose
furono costruite tra l’XI ed il XIV secolo (1000-1300).
Qualche esempio? Parigi Notre Dame 1163, Chartres 1194, Rouen
1030, Amiens 1220, Colonia 1248, Bruxelles 1226. C’è una
spiegazione storica, anzi climatica.
Cattedrale di Notre Dame a
Parigi
Tra l’VIII secolo e l’inizio del XIV, l’Europa centrale e
settentrionale attraversò un periodo climatico caratterizzato
da temperature particolarmente miti, chiamato Periodo Caldo
Medievale.
Durante il Periodo Caldo Medievale, caratterizzato da inverni
miti ed estati calde, la produzione di cereali migliorò e si
estese e con essa migliorarono le condizioni di vita di buona
parte della popolazione. Gli esperti indicano nell’anno 1100
l’apice del Periodo Caldo Medievale, quando le città crebbero
in modo esponenziale alimentate da una popolazione in crescita
demografica e dal fervore delle attività, grazie alla crescita
economica basata su una maggiore produzione agricola.
L’effervescenza della vita urbana proiettò la sua energia
nella costruzione di sfarzose cattedrali gotiche.
Cattedrale di Amiens
Fu nel Periodo Caldo Medievale che i vichinghi (danesi e
scandinavi) si misero a navigare in un mare non più ghiacciato
e a colonizzare l’Islanda e parte della Groenlandia; si
spinsero anche oltre, nel Nord Atlantico.
Fu nel Periodo Caldo Medievale che la coltivazione della vite
si diffuse nel sud della Penisola Scandinava, nella Selva Nera
tedesca al di sopra dei 700 metri di quota, nella Prussia
orientale o nel centro e nel sud dell’Inghilterra; fiorirono
addirittura le esportazioni di vino dalle Isole Britanniche al
continente.
Il Periodo Caldo Medievale ebbe – però – effetti positivi solo
nei paesi dell’Europa centrale e settentrionale, mentre in
Italia si tradusse in siccità estiva ed infiltrazioni del mare
nella pianura padana che crearono malsane paludi ed
acquitrini.
La transizione verso una fase più fredda ebbe inizio con il
gelido inverno del 1309-1310 a cui seguirono piogge intense
che durarono mesi e distrussero i raccolti; la persistenza del
freddo e dei temporali procurò all’Europa centrale e
settentrionale un terribile periodo di carestia durato per i
successivi sette anni. Successivamente e per cinque secoli e
mezzo (indicativamente fino al 1850), il clima fu
caratterizzato da estati brevi e umide ed inverni molto rigidi
con aumento della nevosità, tanto da denominare quel periodo
Piccola Era Glaciale.
Cattedrale di Colonia
Quando andrete a visitare la Cattedrale di Notre Dame a Parigi
o quella di Chartres o quella di Amiens o quella di Colonia,
ritornate con la mente indietro nel tempo, all’epoca in cui
furono costruite, vi piaceranno ancora di più.
Cinzia Malaguti
Collasso civiltà Maya cosa
sappiamo
Sono stata di recente in Messico dove ho visitato le rovine
Maya di Tulum; Tulum non è un esempio di città maya in quanto
non vi si trovano i tipici templi maya a forma di piramide a
gradoni, ma basta per iniziare una breve esplorazione sui
tanti perché che ancora oggi circondano il collasso di
quell’antica civiltà.
L’embrione delle prime città Maya è collocato in Guatemala,
intorno al VI-V secolo a.C., nella cui regione di El Petén
abitarono quei popoli che avrebbero fatto nascere la più
raffinata civiltà precolombiana. I Maya furono geniali
astronomi e matematici. Una curiosità: la giada era per loro
più preziosa dell’oro e veniva usata per costruire maschere e
ornamenti con i quali rendere onore o accompagnare nell’aldilà
i sovrani defunti.
Sito Maya a Chichen Itzà,
Messico
Sito Maya di Tikal,
Guatemala
La cultura Maya conobbe il suo massimo splendore tra il 300 e
il 900, ma alla metà dell’800, in diverse aree, era ormai al
collasso. Le cause non sono ancora del tutto chiare, ma è
probabile
che
un
insieme
di
fattori
quali
il
sovrappopolamento, l’instabilità ed una prolungata siccità,
gettarono nel caos le città maya, presto abbandonate.
L’instabilità politica del mondo maya, suddiviso in tante
realtà spesso conflittuali ma senza mai arrivare a particolari
egemonie, supremazie o guida politica, sembra essere stata una
delle cause principali del collasso di questa antica civiltà.
Sito Maya di Uxmal, Messico
I Maya costruirono città straordinarie come Palenque
(Messico), Uxmal (Messico), Calakmul (Messico), Tikal
(Guatemala) e Copan (Honduras), con imponenti templi costruiti
come piramidi a gradoni e grandi palazzi, che formavano centri
cerimoniali intorno ai quali sorgevano i quartieri dei
contadini e degli artigiani. Successivamente, i centri maya si
estesero allo Yucatan (Messico), dove fiorirono centri come
Chichén Itzà e Tulum, quest’ultimo però era un porto
commerciale e di avvistamento. In Messico, alcune città
sopravvissero fino all’arrivo degli spagnoli nel XV secolo. I
siti Maya che ho citato sono tutti Patrimonio dell’Umanità
Unesco.
Sito
Maya
Honduras
Sito
Maya
di
di
Copan,
Calakmul,
Messico
La principali città maya furono, dunque, gradualmente
abbandonate già dalla metà dell’800 ed i suoi abitanti si
sparpagliarono nelle diverse regioni del Centro America. Si
stima che oggi vi siano circa sei milioni di Maya che vivono
ancora in gran parte dei territori dei loro antenati; sono
ancora in uso ben 28 lingue maya, la principale delle quali è
parlata dal gruppo etnico dei Maya Quiché. E’ possibile anche
riconoscerli dalla bassa statura e dalla quasi assenza di
collo.
Cinzia Malaguti
Le foto: la foto del sito di Tulum è mia, le altre sono tratte
da Wikipedia
Bibliografia:
E. Vance, Nella morsa del serpente, su National Geographic,
vol 38 n. 3, settembre 2016
Patrimonio dell’Umanità, National Geographic, Milano, RBA,
2016