I gioielli di Bentivoglio, pianura bolognese Bentivoglio è un piccolo paese della pianura bolognese, ma racchiude due gioielli di valore storico, artistico ed architettonico da valorizzare: il Castello quattrocentesco ed il Palazzo Rosso ottocentesco. All’interno sorprendenti sale decorate ed affrescate. In determinate occasioni come le annuali Wikigite, c’è la possibilità di accedere al castello con visita guidata gratuita. Il Palazzo Rosso ospita la Biblioteca comunale. Bentivoglio, il Castello IL CASTELLO DI BENTIVOGLIO Un po’ di storia Il Castello fu costruito tra il 1475 ed il 1481, intorno alla torre civica, per volere dell’allora signore feudale di Bologna, Giovanni II Bentivoglio, che desiderava una dimora di campagna, per svago e caccia. Agli inizi del Cinquecento, il potere dei Bentivoglio entrò in conflitto con il potere temporale papale, al punto che i Bentivoglio nel 1506 vennero cacciati da Bologna ed allontanati dalle loro residenze e dimore che furono lasciate – per lo più – a sé stesse, subendo così un rapido deterioramento. Questa sorte toccò anche alle dimore periferiche come il castello, la cui ala occidentale finì per diventare pericolante e fu fatta crollare nel XVIII secolo ad opera dei nuovi proprietari, i Pepoli, che ne fecero una villa a tre lati, aperta; il castello fu abitato anche da famiglie bracciantili ed alcune stanze furono utilizzate per gli usi più svariati come magazzini, concerie di pelli, ricoveri per animali. Bentivoglio, Castello, cortile interno Bentivoglio, interno cortile Solo alla fine dell’Ottocento, la nuova proprietà Pizzardi incaricò il restauratore Alfonso Rubbiani di ripristinare l’edificio voluto da Giovanni II Bentivoglio; dal 1889 al 1897 il Rubbiani ricostruì l’ala crollata, riedificò la cinta merlata e suddivise le stanze secondo le antiche piante; ci mise anche qualcosa di suo, come la pregevole scala che dal cortile interno conduce al piano nobile. Il restauro restituì alla fine un castello dove si nota l’impronta ottocentesca dell’epoca dei lavori di ripristino. Durante la seconda guerra mondiale, la torre civica venne fatta saltare e quello che ancora oggi vediamo è ciò che è rimasto di quella trecentesca torre. Bentivoglio, Castello, pozzo cortile interno Oggi il Castello di Bentivoglio, di proprietà comunale, in parte ospita i laboratori di ricerca dell’Istituto Ramazzini e in parte è utilizzato dall’amministrazione comunale per attività culturali. Bentivoglio, Castello, piano nobile, decorazioni stemma dei Bentivoglio Bentivoglio, Castello, decorazioni piano nobile Cosa c’è di bello da vedere Esternamente il castello lascia indifferenti, ma è l’interno che riserva delle belle sorprese artistiche. Il cortile interno si presenta nella sua vastità e sobrietà, ma guardandovi intorno noterete un piacevole stacco architettonico: la scalinata che porta al piano nobile, aggiunta da Alfonso Rubbiani durante il restauro di fine Ottocento. Bentivoglio, scalinata che dal cortile interno porta al piano nobile Bentivoglio, Castello, decorazioni della cappella Dal cortile interno si accede alla Cappella dove potrete ammirare alcuni affreschi interessanti, anche se non perfettamente conservati. Un’opera di restauro conservativo potrebbe restituire splendore a questa piccola ma deliziosa cappella. Bentivoglio, Castello, decorazione della cappella Bentivoglio, Castello, Sala del Pane Al piano nobile si trovano due sale davvero straordinarie: il grande salone con cinque camini decorati a stucco e la Sala del Pane con il ciclo degli affreschi Le storie del pane che, in dieci riquadri, narra la storia della panificazione. Bentivoglio, Castello, affreschi Sala del Pane Bentivoglio, Castello, sala dei cinque camini, decorazioni dei camini Per informazioni sulle visite guidate, contatta il Servizio Turismo Unione Reno Galliera tel. 051.8904823 o visita il sito del Comune di Bentivoglio. IL PALAZZO ROSSO Il Marchese Carlo Alberto Pizzardi divenne proprietario dei territori dei Bentivoglio nella seconda metà dell’Ottocento e fu un bene per la popolazione; la nuova proprietà sottrasse terreno alla palude rendendo più salubri le condizioni di vita delle persone, fece restaurare il castello e, nel 1887, fece costruire il Palazzo Rosso. Bentivoglio, Palazzo Rosso Bentivoglio, Palazzo Rosso, balcone Il Palazzo Rosso prende il nome dai mattoni rossi con cui fu edificato; il piano terra fu adibito ad uffici, mentre il piano primo, denominato piano nobile, era la residenza del marchese Pizzardi; il secondo piano era, infine, l’abitazione dei dipendenti. Dopo la morte nel 1922 di Carlo Alberto Pizzardi, il palazzo venne affittato a varie famiglie. Dal 1992 è di proprietà del comune che ne ha fatto la sede della Biblioteca comunale. Bentivoglio, Palazzo Rosso, piano nobile, Sala dello Zodiaco Bentivoglio, Palazzo Rosso, piano nobile, Sala dello Zodiaco La scala (interna) che porta al piano nobile raccoglie subito l’ammirazione del visitatore per il pregio della ringhiera in legno lavorato e per le decorazioni floreali delle pareti. Bentivoglio, Palazzo Rosso, scalinata e decorazioni Bentivoglio, Palazzo Rosso, scalinata che porta al piano nobile Il piano nobile ha una sala di strepitosa bellezza: la Sala dello Zodiaco. La Sala dello Zodiaco è completamente decorata; il soffitto azzurro rappresenta il cielo con le fasi lunari ed ha una curiosa stilizzazione del Sole, intorno è dipinta la fascia dello zodiaco con alcune costellazioni, mentre alle pareti si possono ammirare elementi vegetali ed animali tipici del territorio. La sala dello Zodiaco si affaccia, attraverso finestre particolarmente ampie, sul meraviglioso balcone. Davvero notevole ed unica questa sala! Bentivoglio, Palazzo Rosso, Sala dello Zodiaco Bnetivoglio, Palazzo Rosso, Sala dello Zodiaco, soffitto Al piano nobile è stata ricostruita la camera da letto del marchese Carlo Alberto Pizzardi. Bentivoglio, Palazzo Rosso, ricostruzione camera da letto del marchese Pizzardi Oggi Palazzo Rosso è sede della Biblioteca Comunale, della sala del Consiglio comunale e luogo di attività culturali. Per la visita contatta la Biblioteca al nr. 051.6643592 email [email protected] Cinzia Malaguti Isfahan perla architettura islamica della La lettura di un articolo su Isfahan, mi ha fatto venire in mente il viaggio che feci in Iran, un po’ di tempo fa, che mi ha lasciato uno splendido ricordo di questa meravigliosa città persiana. Isfahan è una città dell’Iran centrale, sorge sulle sponde del fiume Zayandè, su un altopiano a 1600 metri di altitudine. Fu il re persiano Abbas I (1571-1629) che trasformò Isfahan nella più stupefacente manifestazione di architettura islamica del mondo, ciò che è ancora oggi. Quando Abbas I trasferì la capitale della Persia a Isfahan, l’abbellì con grandiose moschee, sontuosi palazzi, enormi giardini, numerose terme (hammam). Due sono i luoghi che rappresentano gli splendori della città di Isfahan nel XVI e XVII secolo, ancora oggi testimoni: la piazza Naqsh-e jahan ed il ponte dei trentatré archi, il Si-ose Pol. La piazza Naqsh-e jahan, ribattezzata piazza Reale o dello Scià e, dopo la rivoluzione iraniana, diventata Piazza dell’Imam, è una grande, impressionante, strepitosa piazza rettangolare; non è spettacolare solo perché è grande, bensì per ciò che ci sta dentro ed intorno: gallerie porticate a due piani la circondano, giardini e vasche d’acqua la rendono armoniosa, meravigliosi edifici della più splendida architettura islamica la delimitano; a sud della piazza c’è la Moschea dello Scià (oggi dell’Imam), a est c’è la Moschea dello sceicco Lotfollah, a ovest c’è il Palazzo reale (Ali Qapu) e a nord c’è l’entrata del bazar di Qeisarieh. Tutto il suo complesso è stato dichiarato Patrimonio dell’Umanità Unesco. Isfahan, Piazza dell’Imam La moschea dello Scià (oggi dell’Imam) è la più bella moschea che io abbia visto (e ne ho viste tante) con i suoi quattro minareti, i suoi splendidi rivestimenti in ceramica e le sue eccellenti decorazioni geometriche e a forma di stalattiti; fu nel 1611 che Abbas I diede ordine di costruire la moschea reale chiamando all’opera i migliori artisti, ceramisti e calligrafi dell’epoca; la moschea fu ultimata nel 1630, un anno dopo la morte dello scià. La moschea dell’Imam è davvero grandiosa con i suoi quattro minareti, due ai lati del portone d’ingresso e due davanti alla sala di preghiera, con la sua grande cupola a bulbo rivestita all’esterno con piastrelle colorate nei toni di blu e oro (all’interno è ricoperta con maioliche e mosaici), con le sue due Madrase (scuole coraniche), ai lati della sala di preghiera, ciascuna dotata di cortile con giardino, piccole fontane e arcate decorate con le caratteristiche piastrelle colorate. Sui due lati della moschea dell’Imam sono allineati numerosi negozi, che pagavano un affitto usato per sostenere i costi di mantenimento della moschea. Isfahan, Moschea dello Scià o dell’Imam A est della piazza dell’Imam (piazza Naqsh-e jahan) c’è la moschea dello sceicco Lotfollah con la sua splendida cupola; fu realizzata tra il 1602 ed il 1619, era riservata alla famiglia reale ed è senza minareti perché aveva la funzione principale di oratorio privato o mausoleo. La cupola e le pareti della sala della preghiera presentano una meravigliosa decorazione a base di mosaici azzurri e color oro, messa in risalto dalla luce solare che entra attraverso le finestre. Isfahan, ingresso Moschea Lotfollah A ovest della piazza dell’Imam si trova il palazzo Reale (Ali Qapu) che venne eretto come residenza dello Scià di Persia, sempre lui, Abbas I. L’edificio è a pianta rettangolare, si sviluppa su sei piani (per circa 48 metri di altezza) e, nella sua parte frontale, ha una vasta terrazza coperta con soffitto intarsiato sostenuto da altissime colonne lignee. Dalla galleria superiore, il sovrano e la sua corte assistevano alle partite di polo e alle corse di cavalli che si tenevano nella piazza. All’interno, vi sono ricchi affreschi con numerosissimi motivi a soggetto naturalistico. Isfahan, Palazzo Reale Ali Qapu A nord della piazza dell’Imam c’è l’entrata al Gran Bazar; la sua struttura originaria risale all’XI secolo, poi oggetto di numerosi interventi, oggi si presenta come un labirintico intrigo di passaggi, sale e caravanserragli, coperti da una serie di piccole cupole, ciascuna provvista di apertura per il passaggio della luce; ci sono decorazioni di scene di caccia, guerra e di banchetti, ma la cosa più sorprendente è il passaggio dalla ricchezza monumentale dei luoghi dello scià ai cunicoli dell’altra parte del mondo. Isfahan, Gran Bazar Lasciata la bellissima piazza dell’Imam, ci dirigiamo verso il ponte dei trentatré archi (Si-o-se Pol), davvero unico nella sua architettura; fu commissionato nel 1602 da, indovinate un po’, sempre lui, lo scià Abbas I, è lungo 300 metri ed è formato da una doppia fila di arcate posta su due piani; i suoi pilastri ricordano quelli degli acquedotti romani, ma qui c’è qualcosa di unico e straordinario: la forma a bulbo delle arcate, la doppia fila, i due piani. Il ponte serviva contemporaneamente da canale di irrigazione e via d’accesso alla città. Isfahan, Ponte trentatré archi dei Isfahan, Ponte trentatré archi dei Un viaggio in Iran non è facile per chi desidera viaggiare in autonomia perché qui occorre essere accompagnati, quindi deve essere un viaggio organizzato da un tour operator e, arrivati sul posto, occorre rimanere con il gruppo e vestirsi adeguatamente (foulard in testa ed abiti larghi e coprenti). Rimane, comunque, un bel viaggio che resta nella memoria del viaggiatore. Leggi anche Iran meta insolita. Buon viaggio! Cinzia Malaguti Bibliografia: J. Wiesehofer, La Persia antica, Bologna, Il Mulino, 2003 Storica NG nr. 91 Video: Iran meta insolita I delitti della laguna di Letizia Triches Letizia Triches, docente e storico dell’arte, ha scritto I delitti della laguna, un intrigante giallo ambientato a Venezia. Quello che più mi è piaciuto di questo romanzo non è tanto la trama, ma l’atmosfera tipicamente veneziana che l’autrice ha saputo così bene ricreare raccontando gli intrecci del giallo. e descrivere I delitti della laguna di Letizia Triches, dettaglio copertina Trama. Giuliano Neri è un restauratore con il talento da detective che viene invitato a collaborare con la commissaria Chiusano per risolvere l’enigma dell’omicidio del bellissimo, sciupa femmine, musicista afro-americano Otis Moore, trovato morto incaprettato a casa sua. Otis, oltre a fare il musicista, lavora in una casa d’arte ed il mondo dell’arte, con i suoi collezionisti ed i suoi falsari, è quello su cui ruota l’intera vicenda, ma con un cornice che poi si rivelerà determinante per l’intera storia; tale cornice è legata al mondo psichiatrico e si rivelerà centrale, ma in maniera diversa da quella che l’autrice lascia emergere all’inizio. Gli omicidi saranno due ed il giallo lascia spazio anche ad orge e scambi di coppia, amori e tradimenti, paura e sfrontatezza, pazzia e gelosia, colpa e ingenuità, ricchezza e povertà. Letizia Triches, autrice di I delitti della laguna L’ambientazione. I delitti della laguna è ambientato a Venezia e l’autrice ha un grande merito, quello di riuscire ad immergere il lettore nell’atmosfera veneziana, nelle sue luci e nelle sue ombre, nelle sue calli avvolte nella nebbia, nei suoi picchi d’acqua alta, nei muri delle sue case che trasudano umidità, una città bella per i turisti, ma difficile per chi vi abita. Venezia I delitti della laguna è un romanzo che regala emozioni. Consigliato! Cinzia Malaguti Pop art italiana alla Fondazione Magnani Rocca La Fondazione Magnani Rocca è una sede espositiva che si trova a Mamiano di Traversetolo, Parma, in una villa neobarocca appartenuta a Luigi Magnani, critico e collezionista d’arte. La villa espone al pubblico la ricca collezione permanente di Luigi Magnani ed ospita mostre temporanee, come quella sulla Pop Art italiana ed un plus, le Ninfee di Monet, in prestito dagli Stati Uniti (fino all’11 dicembre 2016). Parco romantico di Villa Magnani a Mamiano di Traversetolo, Parma Fontana nel parco romantico di Villa Magnani Il nucleo originario di villa Magnani fu eretto nel Seicento, ma fu più volte ritoccata, ampliata e riadattata fino all’attuale uso di sede espositiva, di proprietà della Fondazione Magnani Rocca voluta da Luigi Magnani (1906-1984). La villa, molto bella in stile neobarocco, è immersa all’interno di un parco romantico di 12 ettari. La sede espositiva Fondazione Magnani Rocca si trova in via Fondazione Magnani Rocca nr. 4 in località Mamiano di Traversetolo, provincia di Parma, uscita autostradale A1 Terre di Canossa. Villa Magnani, interno Villa Magnani, arredo interno La collezione permanente di Luigi Magnani è davvero molto ricca e raccoglie opere d’arte dall’XI al XX secolo; ci sono meraviglie artistiche di Cézanne, De Chirico, Morandi, Severini, Guttuso, Tiziano, Van Dyck, Goya, per citarne alcuni. Di Goya potrete ammirare il superbo La famiglia dell’infante Don Luis. Opere della collezione Magnani sono spesso richieste in prestito da vari Musei nel mondo. Non per niente, Villa Magnani è chiamata la Villa dei Capolavori. Villa Magnani, la Villa dei Capolavori, opera di Goya Villa Magnani ed il suo parco romantico Fino all’11 dicembre 2016 la Fondazione Magnani Rocca ospita la mostra Italia Pop, una raccolta davvero esauriente dell’arte pop italiana del dopoguerra. Pop Art Italiana in mostra a Villa Magnani La mostra temporanea dedicata alla Pop Art italiana allestita a Villa Magnani espone opere della maggior parte degli artisti che hanno caratterizzato questo movimento artistico del dopoguerra. La Pop Art italiana nasce sull’onda della popolarità di Andy Warhol e di altri celebri artisti pop del Regno Unito e degli Stati Uniti, ma assume connotazioni originali, nell’ultima fase della sua storia, diventando spiccato strumento politico di critica alla società dei consumi. Sono caratteristiche delle opere dalla Pop Art internazionale le sgocciolature, l’utilizzo di ritagli di giornali e di bombolette di vernice spray. Pop Art italiana in mostra a Villa Magnani Mentre negli Stati Uniti gli artisti della Pop Art rappresentavano gli oggetti d’uso quotidiano cercando di dar loro un’anima, gli artisti della Pop Art italiana li contestualizzavano all’interno di un messaggio politico più ampio, a volte ironico, di critica aperta alla società dei consumi ed ai suoi simboli, come la televisione e l’automobile. Nella fase conclusiva del movimento della Pop Art italiana appare evidente, attraverso le sue opere, la critica all’assimilazione dell’uomo agli oggetti che consuma e, soprattutto, la sua responsabilità nel lasciarsi oggettivizzare. Emblematiche, a tal riguardo, sono le opere di Umberto Mariani dove la televisione diventa un tutt’uno con la persona o quelle di Paolo Baratella, in particolare Uccisi dall’uomo seduto. Pop Art italiana in mostra a Villa Magnani, Paolo Baratella, Uccisi dall’uomo seduto L’esposizione sulla Pop Art italiana a Villa Magnani inizia dalla prima fase segnata dai lavori di Franco Angeli, Gianni Bertini, Mario Schifano, Renato Mambor ed altri; curiosa è l’opera di Tano Festa con la sua persiana senza maniglie, mentre ho trovato raffinate le opere dell’unica donna della Pop Art, Giosetta Fioroni. Nel periodo medio dello sviluppo di questo movimento artistico è centrale la critica alla pubblicità che massifica; Umberto Bignardi usa la tela come una grande lavagna dove incolla oggetti di uso quotidiano, Roberto Malquori lavora con i volti, mentre Antonio Fomez rappresenta le grandi marche commerciali in maniera ironica e Valerio Adami si rifà al fumetto che dialoga con il mito dell’automobile. Gli artisti che ho citato sono quelli che più hanno catturato la mia attenzione, ma nell’esposizione ci sono opere di molti altri autori della Pop Art italiana. Pop Art italiana in mostra a Villa Magnani Se andrete alla mostra sulla Pop Art italiana a Villa Magnani di Mimiano di Traversetolo, Parma, vi consiglio di prenotare una visita guidata telefonando allo 0521.848327 o scrivendo una email a [email protected]. Fino al 11 dicembre 2016 potrete, inoltre,godere di un plus: un dipinto strepitoso di Claude Monet, della serie delle Ninfee, in prestito dagli Stati Uniti. Le Ninfee di Claude Monet, in mostra a Villa Magnani Villa Magnani ed il suo parco romantico L’ingresso con visita guidata costa € 15; la visita guidata comprende la mostra temporanea sulla Pop Art e qualche breve informazione sul Monet esposto, ma prima e dopo siete liberi di visitare la mostra permanente, girare per le stanze della villa e per il suo enorme parco. Buona visita! Cinzia Malaguti Il periodo caldo medievale e le cattedrali sfarzose Ho visitato diverse località del Centro e Nord Europa e mi sono incuriosita del fatto che le cattedrali più sfarzose furono costruite tra l’XI ed il XIV secolo (1000-1300). Qualche esempio? Parigi Notre Dame 1163, Chartres 1194, Rouen 1030, Amiens 1220, Colonia 1248, Bruxelles 1226. C’è una spiegazione storica, anzi climatica. Cattedrale di Notre Dame a Parigi Tra l’VIII secolo e l’inizio del XIV, l’Europa centrale e settentrionale attraversò un periodo climatico caratterizzato da temperature particolarmente miti, chiamato Periodo Caldo Medievale. Durante il Periodo Caldo Medievale, caratterizzato da inverni miti ed estati calde, la produzione di cereali migliorò e si estese e con essa migliorarono le condizioni di vita di buona parte della popolazione. Gli esperti indicano nell’anno 1100 l’apice del Periodo Caldo Medievale, quando le città crebbero in modo esponenziale alimentate da una popolazione in crescita demografica e dal fervore delle attività, grazie alla crescita economica basata su una maggiore produzione agricola. L’effervescenza della vita urbana proiettò la sua energia nella costruzione di sfarzose cattedrali gotiche. Cattedrale di Amiens Fu nel Periodo Caldo Medievale che i vichinghi (danesi e scandinavi) si misero a navigare in un mare non più ghiacciato e a colonizzare l’Islanda e parte della Groenlandia; si spinsero anche oltre, nel Nord Atlantico. Fu nel Periodo Caldo Medievale che la coltivazione della vite si diffuse nel sud della Penisola Scandinava, nella Selva Nera tedesca al di sopra dei 700 metri di quota, nella Prussia orientale o nel centro e nel sud dell’Inghilterra; fiorirono addirittura le esportazioni di vino dalle Isole Britanniche al continente. Il Periodo Caldo Medievale ebbe – però – effetti positivi solo nei paesi dell’Europa centrale e settentrionale, mentre in Italia si tradusse in siccità estiva ed infiltrazioni del mare nella pianura padana che crearono malsane paludi ed acquitrini. La transizione verso una fase più fredda ebbe inizio con il gelido inverno del 1309-1310 a cui seguirono piogge intense che durarono mesi e distrussero i raccolti; la persistenza del freddo e dei temporali procurò all’Europa centrale e settentrionale un terribile periodo di carestia durato per i successivi sette anni. Successivamente e per cinque secoli e mezzo (indicativamente fino al 1850), il clima fu caratterizzato da estati brevi e umide ed inverni molto rigidi con aumento della nevosità, tanto da denominare quel periodo Piccola Era Glaciale. Cattedrale di Colonia Quando andrete a visitare la Cattedrale di Notre Dame a Parigi o quella di Chartres o quella di Amiens o quella di Colonia, ritornate con la mente indietro nel tempo, all’epoca in cui furono costruite, vi piaceranno ancora di più. Cinzia Malaguti Collasso civiltà Maya cosa sappiamo Sono stata di recente in Messico dove ho visitato le rovine Maya di Tulum; Tulum non è un esempio di città maya in quanto non vi si trovano i tipici templi maya a forma di piramide a gradoni, ma basta per iniziare una breve esplorazione sui tanti perché che ancora oggi circondano il collasso di quell’antica civiltà. L’embrione delle prime città Maya è collocato in Guatemala, intorno al VI-V secolo a.C., nella cui regione di El Petén abitarono quei popoli che avrebbero fatto nascere la più raffinata civiltà precolombiana. I Maya furono geniali astronomi e matematici. Una curiosità: la giada era per loro più preziosa dell’oro e veniva usata per costruire maschere e ornamenti con i quali rendere onore o accompagnare nell’aldilà i sovrani defunti. Sito Maya a Chichen Itzà, Messico Sito Maya di Tikal, Guatemala La cultura Maya conobbe il suo massimo splendore tra il 300 e il 900, ma alla metà dell’800, in diverse aree, era ormai al collasso. Le cause non sono ancora del tutto chiare, ma è probabile che un insieme di fattori quali il sovrappopolamento, l’instabilità ed una prolungata siccità, gettarono nel caos le città maya, presto abbandonate. L’instabilità politica del mondo maya, suddiviso in tante realtà spesso conflittuali ma senza mai arrivare a particolari egemonie, supremazie o guida politica, sembra essere stata una delle cause principali del collasso di questa antica civiltà. Sito Maya di Uxmal, Messico I Maya costruirono città straordinarie come Palenque (Messico), Uxmal (Messico), Calakmul (Messico), Tikal (Guatemala) e Copan (Honduras), con imponenti templi costruiti come piramidi a gradoni e grandi palazzi, che formavano centri cerimoniali intorno ai quali sorgevano i quartieri dei contadini e degli artigiani. Successivamente, i centri maya si estesero allo Yucatan (Messico), dove fiorirono centri come Chichén Itzà e Tulum, quest’ultimo però era un porto commerciale e di avvistamento. In Messico, alcune città sopravvissero fino all’arrivo degli spagnoli nel XV secolo. I siti Maya che ho citato sono tutti Patrimonio dell’Umanità Unesco. Sito Maya Honduras Sito Maya di di Copan, Calakmul, Messico La principali città maya furono, dunque, gradualmente abbandonate già dalla metà dell’800 ed i suoi abitanti si sparpagliarono nelle diverse regioni del Centro America. Si stima che oggi vi siano circa sei milioni di Maya che vivono ancora in gran parte dei territori dei loro antenati; sono ancora in uso ben 28 lingue maya, la principale delle quali è parlata dal gruppo etnico dei Maya Quiché. E’ possibile anche riconoscerli dalla bassa statura e dalla quasi assenza di collo. Cinzia Malaguti Le foto: la foto del sito di Tulum è mia, le altre sono tratte da Wikipedia Bibliografia: E. Vance, Nella morsa del serpente, su National Geographic, vol 38 n. 3, settembre 2016 Patrimonio dell’Umanità, National Geographic, Milano, RBA, 2016