© Mondadori Education Mitologia greca Perseo e Medusa Il mare spumeggiava tempestoso e trascinava una cassa di legno, contro la quale soffiava l’impeto del vento marino. Nella cassa si trovava una donna, Dànae, col suo piccolo figlioletto, Pèrseo. Dànae si era unita a Giove, ed il bimbo era nato da loro; ma in precedenza un oracolo aveva predetto ad Acrisio, padre di lei, che sarebbe stato ucciso dal nipote. Per evitare questa sorte, egli aveva affidato alle onde la figlia e il suo bambino, che ora vagavano senza direzione, in balìa della fortuna, vicini forse all’ora estrema. La madre cercava di fare scudo con le sue braccia al corpicino di Pèrseo, e gli parlava con accento di profonda tristezza. – Figlio –, gli diceva, – figlio mio, come sto in pena per te! Tu dormi calmo ed ignaro in questo triste legno, e non ti preoccupi dell’onda che passa sopra le tue chiome, né il rumore del vento. Dormi bambino, ti prego, e dorma il mare e si acqueti1 il dolore immenso. E Giove ci assista. Giove assisté i due infelici. La cassa approdò sull’isola di Sèrifo e vi fu accolta da Ditti, fratello del re Polidette. Questi si innamorò della donna e la corteggiò a lungo. Nel frattempo Pèrseo era ormai cresciuto e poteva opporsi alle nozze, quindi, per toglierlo di mezzo, il re gli ordinò di portargli il capo della Gòrgone, temibile divinità femminile, che impietriva chiunque la guardasse. L’impresa non era facile, ma l’eroe volle accontentare Polidette, fiducioso nella propria forza e nell’aiuto degli dei. Questi infatti lo soccorsero come meglio poterono. Anzitutto Mercurio e Minerva lo accompagnarono presso le Fòrcidi, figlie del dio marino Forco, tre sorelle vecchie fin dalla nascita, che avevano fra tutte un solo occhio e un solo dente e se li scambiavano quando avevano bisogno. Pèrseo riuscì a impadronirsi del loro occhio e del loro dente, e disse alle tre dee che li avrebbe restituiti solo se gli avessero mostrato la via per raggiungere le Ninfe. Queste Ninfe possedevano infatti dei calzari alati, una bisaccia2 e un cappuccio che rendeva invisibile chi lo indossava. Pur di riavere l’occhio e il dente, le Fòrcidi accettarono la proposta di Pèrseo egli indicarono la strada. Ed ecco Pèrseo in viaggio. Dalle Ninfe ottenne ciò che voleva e, di più, ebbe da Mercurio una falce di diamante, infrangibile e taglientissima. Coi calzati alati l’eroe poteva volare; il cappuccio lo rendeva invisibile, pur potendo vedere tutto. Giunse rapidamente alle rive dell’Oceano, dove abitavano le Gòrgoni, Steno, Eurìale e Medusa, delle quali soltanto l’ultima era mortale: Pèrseo doveva conquistare la sua testa. Trovò le tre sorelle addormentate. Ma anche nel sonno erano orribili, con le teste circondate da infiniti grovigli di serpenti, con le grandi zanne prominenti3, le 1. si acqueti: diminuisca. 2. bisaccia: sacca di pelle o stoffa dove mettere il necessario per il viaggio. 3. prominenti: che sporgono in fuori. mani di bronzo, le ali d’oro. Il loro sguardo poi era fatale: chiunque le avesse guardate negli occhi si sarebbe trasformato in pietra. Per evitare questo pericolo, la dea Minerva aveva dato a Pèrseo un specchio, guardando nel quale egli poteva vedere dove indirizzare il colpo della falce di Mercurio, senza fissar lo sguardo nel volto di Medusa. E con un colpo ben sicuro le tagliò la testa mostruosa. Dalla ferita sgorgò copioso il sangue e, immediatamente, avvenne un prodigio: dal sangue nacque Pègaso, cavallo alato capace di attraversare il cielo, di sollevarsi al di sopra delle cime dei monti per ridiscendere d’un balzo fin nelle più profonde vallate. Pèrseo, introdotta la testa della Gòrgone nella bisaccia, si mosse velocemente. I calzari alati fecero tremare l’aria, ed egli si levò in volo per fuggire da quei luoghi più presto che potesse. E fece bene, perché le sorelle di Medusa, svegliatesi, già si preparavano a inseguirlo. Fatica inutile, del resto: Pèrseo era reso invisibile dal suo cappuccio, e quelle, pur cercando dappertutto, non potevano vederlo. L’eroe volò sul mare e sulla terra; attraversò paesi ignoti e lande deserte; scorse dall’alto monti e fiumi. Finalmente giunse in Etiopia. Dove sposò la figlia del re del luogo, Andromeda, dopo averla liberata dal mostro marino che la voleva divorare. Dopo le nozze i due sposi tornarono a Sèrifo. Qui Pèrseo trovò sua madre ancora insidiata da Polidette, che voleva sposarla: l’arrivo del figlio fu la sua salvezza. Infatti Pèrseo sperimentò la potenza della testa di Medusa: mostrando a Polidette e a i suoi soldati il capo della Gòrgone, li tramutò in statue di pietra, con le stesse sembianze umane che avevano in vita. Così finì la missione di Pèrseo: non gli rimaneva che restituire a Mercurio i calzari alati, la bisaccia e il cappuccio che l’aveva reso invisibile, evitandogli tanti pericoli. La testa di Medusa divenne invece l’ornamento dello scudo di Minerva. Nicola Terzaghi, Miti e leggende del mondo greco-romano, G. D’Anna (adattato)