CONCETTO MARTELLO PLATONE A C HARTRES IL TRATTATO SULL’ANIMA DEL MONDO DI GUGLIELMO DI CONCHES Introduzione, Traduzione e Note 2011 Estratto della pubblicazione Estratto della pubblicazione In copertina: La Musica, con Pitagora, e la Grammatica con Donato (Cattedrale di Chartres, Portale Reale) Estratto della pubblicazione Machina Philosophorum Testi e studi dalle culture euromediterranee 25 Estratto della pubblicazione Martello, Concetto Platone a Chartres : il trattato sull’anima del mondo di Guglielmo di Conches : introduzione, traduzione e note / Concetto Martello. – Palermo : Officina di Studi Medievali, 2011. (Machina Philosophorum : testi e studi dalle culture euro mediterranee ; 25) 1.Platonismo – Scuola di Chartres – Guglielmo : di Conches – Pensiero filosofico 189 CDD-21 ISBN 978-88-6485-034-4 ISBN 978-88-6485-037-5 (e-book .pdf) CIP: Biblioteca dell’Officina di Studi Medievali Collana coordinata da: Maria Bettetini, Diego Ciccarelli, Alessandro Musco (direttore). Copyright © 2011 by Officina di Studi Medievali Via del Parlamento, 32 – 90133 Palermo e-mail: [email protected] www.officinastudimedievali.it www.medioevo-shop.net ISBN 978-88-6485-034-4 ISBN 978-88-6485-037-5 (e-book .pdf) Ogni diritto di copyright di questa edizione e di adattamento, totale o parziale, con qualsiasi mezzo è riservato per tutti i Paesi del mondo. È vietata la riproduzione, anche parziale, compresa la fotocopia, anche ad uso interno o didattico, non autorizzata dall’editore. Prima edizione, Palermo, dicembre 2011 Stampa: Fotograf s.n.c. Editing: Alberto Musco Estratto della pubblicazione Concetto Martello Platone a Chartres Il Trattato sull’anima del mondo di Guglielmo di Conches Introduzione, Traduzione e Note 2011 Estratto della pubblicazione Estratto della pubblicazione INDICE IXPremessa 1Introduzione 1 1. Guglielmo di Conches e la filosofia 1 1.1. Filosofia e teologia nel XII secolo 81.2. Gli ideali culturali di Chartres e la filosofia di Guglielmo 16 1.3. Guglielmo e la tradizione del Timeo 25 2. Le Glosae super Platonem 25 2.1. Le fonti e il metodo 34 2.2. La struttura e i temi 40 3. Il Tractatus de anima mundi 403.1. Commento ed esegesi. Anima del mondo e Spirito santo 46 3.2. L’anima come mescolanza 54 3.3. La natura armonica dell’anima 62 3.4. Anima e corpo del mondo 69 3.5. Eternità e tempo 77 3.6. Dalla cosmogonia alla cosmologia 85 4. Anima del mondo e anima dell’uomo <Tractatus de anima mundi> (Glosae super Platonem, ed. Jeauneau 2006, §§ LXXI-CIII) / <Trattato sull’anima del mondo> 93 Nota del curatore 97Testo e traduzione 179 Note alla traduzione 203 Bibliografia 203 1. Abbreviazioni 204 2. Fonti 209 3. Atti di convegni, opere collettive e di consultazione 213 4. Letteratura critica Indice degli autori 227 227 1. Autori antichi e medievali 229 2. Autori moderni Estratto della pubblicazione VII Estratto della pubblicazione Premessa Negli ambienti culturali latini della prima metà del XII secolo, sia “scolastici” sia monastici, più “avanzati”, in quanto ricettivi dei più diversi apporti, riferibili a ciò che rimane dei saperi antichi e a ciò che “penetra” in essi dalle altre aree linguistiche, la grecobizantina e la arabo-islamica, culmina il processo di riscoperta della filosofia come sapere razionale e attuale, quindi non nel senso di “amore del Verbo”, mediante cui nell’alto medioevo è stata sostanzialmente identificata col pensiero cristiano, né come “filone” culturale definitivamente esaurito e “circoscritto” nell’antichità precristiana, ancorché ricco di stimoli intellettuali, secondo l’autorevole modello teorico risalente alle Confessiones di Agostino, ma come insieme di conoscenze autonome, almeno limitatamente al metodo, dalla teologia come esegesi. Tale riscoperta, che ha le proprie “radici” nell’età carolingia e in particolare nel pensiero di Giovanni Eriugena, che “catalizza” e orienta i molteplici interessi “coltivati” dalle generazioni a lui precedenti e negli anni in cui è attivo presso la corte di Carlo il Calvo, pone come fondamentale il problema di adeguare al pensiero religioso ciò che è “percepito” come “vivo” della tradizione filosofica, trovando in quest’ultima gli strumenti per l’approfondimento razionale del primo, cui peraltro si deve la statuizione dell’“orizzonte” veritativo. Da un punto di vista filosofico, si tratta evidentemente del fenomeno più rilevante della storia culturale dell’Occidente medievale prima dell’“ingresso” della Metafisica e dei libri naturales di Aristotele, di un processo di razionalizzazione senza precedenti, il cui esito più radicale consiste nella fondazione di una teologia cristiana razionale, sorretta dalla nascita di nuovi generi letterari, come il trattato e la summa, che si aggiungono a quelli più tradizionali come il commentario e il dialogo; in definitiva si tratta di un processo che, lungi dall’essere qualificato dal progressivo “distanziamento” della scienza dalla sapienza, cioè dall’autonomizzazione sul piano dei contenuti dei saperi profani dai dati della fede, è contraddistinto nei suoi aspetti più peculiari dalla penetrazione pervasiva del metodo della scienza e delle procedure razionali in ambito sacro, in IX altri termini dall’“uso teologico” delle arti. Va da sé che la componente più “aperta” alle novità del ceto culturale “tradizionalista” si approssima, su un “terreno” mediano, che in ogni caso consente di riconoscere la presenza nel “panorama” intellettuale e la proficuità, seppure limitatamente agli interessi profani, della filosofia, ai più cauti, se non ai più “moderati”, tra gli “innovatori”, per cui in una situazione caratterizzata da forti contrapposizioni, che rispecchiano le conflittualità civili determinate dalla “sovrapposizione” all’ordinamento tradizionale (in bellantes, orantes e laborantes, cioè nei tre “stati” della società feudale) delle esigenze economiche, politiche e amministrative di una nuova “borghesia”, cioè di un rinnovato ceto urbano, si formano non meno di quattro “schieramenti”: innanzitutto quello più radicalmente “tradizionalista”, cui ripugna la “commistione” della scientia divinarum rerum alle discipline profane, comprendente numerosi esponenti, tra maestri e allievi, delle scuole teologiche, come Alberico di Reims e Lotulfo Lombardo, cioè i discepoli di Anselmo di Laon ricordati da Pietro Abelardo nell’Historia calamitatum mearum in quanto suoi accusatori in occasione del concilio di Soissons del 1121, e rappresentato emblematicamente da Bernardo di Clairxaux, leader spirituale dei Cistercensi; in secondo luogo e in “posizione” opposta, quello altrettanto radicale ma in senso “riformatore” degli atteggiamenti intellettuali del ceto colto cristiano, quello cioè di coloro che, come Abelardo, i maestri della scuola di Chartres almeno fino agli anni Trenta e coloro che lo stesso Palatino definisce in modo spregiativo “pseudodialettici”, ritengono in vario modo che la filosofia sia l’“organo” non solo della scienza naturale, che le è propria, ma anche di una teologia razionale in grado di penetrare i misteri, quanto meno sul piano congetturale, pure nel più ampio quadro della “restaurazione” in atto di una spiritualità cristiana “esclusivista”, intesa cioè come unica “via”, tramite la fede e la rivelazione, alla verità, contesto a causa del quale essi subiscono il contrasto censorio di chi si assume il compito di preservare la “purezza” del pensiero religioso attraverso il controllo delle idee; tra queste “posizioni” estreme, quelle di chi, dalla parte dei “conservatori”, come Guglielmo di St. Thierry, confratello e collaboratore di Bernardo di Clairvaux, e dal “versante” filosofico, come i maestri di Chartres negli anni della maturità, con accenti diversi e “a partire” da diversi interessi, teorici e pratici, intendono mantenere distinta X Estratto della pubblicazione la filosofia dal pensiero cristiano non solo sul piano strumentale e metodologico ma anche in relazione all’oggetto, per cui a essa è riconosciuta una competenza specifica in ambito fisico-biologico e al secondo è assegnato il compito di enucleare i testi e le sententiae attraverso cui la Verità si rivela. Tra i maestri di Chartes Guglielmo di Conches dà un contributo rilevante alla riscoperta e alla riqualificazione dei saperi filosofici, che nella sua opera dichiara esplicitamente e mostra di intendere in senso onnicomprensivo, cioè come insieme organico di tutte le arti e le discipline teoriche e pratiche, secondo un’idea peraltro diffusa negli ambienti culturali più “avvertiti”, anche di diversa estrazione, e che trova l’esposizione più completa e influente nel Didascalicon di Ugo di S. Vittore. Infatti Guglielmo basa il suo pensiero e la sua pratica d’insegnamento sull’analisi dei testi profani che maggiormente influenzano gli interessi e gli orientamenti intellettuali degli uomini colti nei cinque lustri ca., dall’inizio degli anni Venti alla metà dei Quaranta, in cui è attivo, testi di autori sia di estrazione squisitamente letteraria, da Orazio a Virgilio, da Ovidio a Giovenale e a Prisciano di Cesarea, sia più nitidamente identificabili come filosofi, da Cicerone a Marziano Capella, da Macrobio a Boezio e soprattutto a Platone, il cui Timeo, letto nella parziale traduzione di Calcidio e alla luce del commento di quest’ultimo esemplato su modelli medioplatonici, costituisce il fil rouge che collega le tre fasi principali della sua produzione: la giovanile, rappresentata dalla sintetica “visione” d’insieme nella Philosophia degli ambiti e dei contenuti della scienza alla luce del dialogo platonico; quella del più maturo ripensamento di tali contenuti affidato alle Glosae super Platonem, elaborata “rilettura” critica della traduzione e del commento calcidiani; quella più tarda in cui lo Chartriano “ricapitola” e approfondisce nel Dragmaticon philosophiae i temi precedentemente affrontati in una prospettiva meramente scolastica. Egli recepisce e interpreta l’idea condivisa, nell’ambito del cristianesimo filosofico del suo tempo, secondo la quale il Timeo ha contenuti “paralleli” e integranti rispetto a quelli del libro biblico della Genesi e quindi è la fonte privilegiata di una riflessione cosmogonica in grado di tradursi in una “visione” cosmologica organica; è tuttavia conseguenza di tale “parallelismo” anche l’“uso esegetico”, per così dire, del dialogo di Platone, cioè la possibilità di leggere il Genesi e chiarirne i significati più oscuri alla luce di esso, e addirittura la conXI sapevolezza di trovarvi le “figure” degli aspetti principali della profezia cristiana, l’unicità e la trinità di Dio e la sua onnipotenza come atemporale funzione creatrice. Si spiega perché nella prima fase della sua attività letteraria e, pur con minore radicalità, anche nella successiva e più matura “revisione” delle sue idee giovanili più controverse, Guglielmo si mostra partecipe della tendenza “laicizzante” e “sovrappone” la filosofia al pensiero cristiano, attribuendo alla prima funzioni e competenze sacre in continuità logica, oltre che cronologica, avendo un’origine pre-cristiana, con la rivelazione dei misteri della vera fede, per cui subisce la “censura” dei Cistercensi, che “si concretizza” soprattutto nella dura polemica condotta nei suoi confronti da Guglielmo di St. Thierry. Solo nell’ultima parte della sua vita il Maestro, ormai lontano da Chartres, fa un deciso e netto “passo indietro”, indirizzando i propri interessi filosofici alle arti liberali e alle discipline profane, in particolare alle scienze fisico-biologiche, “avvicinandosi” quindi all’atteggiamento intellettuale della parte più “moderata” dei suoi stessi critici e prendendo le distanze da chi “vede” nella tradizione filosofica una sorta di “rivelazione razionale” coincidente con la “scritturale” e in continuità con il pensiero cristiano, che la “invera” rendendola palese ma non costituisce una “rottura” rispetto a essa. Si tratta della parte conclusiva di una “parabola” esistenziale, prima ancora che intellettuale, che Guglielmo condivide con l’altro grande maestro chartriano della sua generazione, Teodorico, esito con il quale essi mostrano di riconoscere l’autorità spirituale di chi ha imposto loro di recedere dalle “posizioni” da essi occupate precedentemente ma anche di preservare la qualità della loro vita e della loro “immagine” e di salvare la valenza dei loro interessi primari, la filosofia della natura e la scienza antropologica, cioè la funzione culturale della filosofia come pensiero razionale profano, percepita evidentemente come prioritaria rispetto alla “crescita” del cristianesimo filosofico. In questo senso essi restano “distanti” dal “punto di vista” di coloro che, dal “versante” tradizionalista, nel riconoscimento dell’utilità della filosofia in ambito naturalistico trovano le condizioni per difendere il pensiero religioso dall’influenza percepita come indebita delle arti e delle scienze; in altri termini gli Chartriani trovano il modo di includere il sapere profano nella cultura della società cristiana “depotenziandone” le valenze e gli aspetti più avversati. All’interno di quest’ampia problematica è enucleabile il tema riXII Estratto della pubblicazione guardante la “definizione” di un’immagine di Platone “in linea” con l’idea di filosofia come sapere razionale e onnicomprensivo diffusa negli ambienti “scolastici” della prima metà del XII secolo; benché poco conosciuto direttamente, Platone è considerato unanimemente, anche sulla scia del cosiddetto “neoplatonismo latino” tardoantico e delle tradizioni del platonismo medievale, il “principale tra i filosofi”, “sublime per l’elevatezza della sua mente” e “confratello della Verità”. In ogni caso ciò che salta agli occhi è la convinzione dei maestri di dialettica e di scienza naturale, da Abelardo a Giovanni di Salisbury, da Adelardo di Bath a Roberto di Melun, da Teodorico di Chartres a Guglielmo di Conches, che il pensiero del Filosofo stabilisce le principali basi del sapere teoretico, cioè delle scienze fisico-matematiche, che fondano la concezione cosmologico-musicale, secondo cui la struttura dell’universo fisico è caratterizzata dai rapporti di proporzionalità tra gli spazi che separano i corpi e che costituiscono intervalli armonici, e della teologia, nell’accezione classica di scienza razionale del divino, comprendente le figure della Verità (il demiurgo, il mondo archetipo e l’anima del mondo, che rappresentano rispettivamente Dio creatore di tutte le cose, la sua sapienza e la sua volontà vivificante e gratificante), la consapevolezza dell’onnipotenza e l’aspettativa di una ricompensa per i giusti; in altri termini Platone statuisce, a giudizio del movimento filosofico degli anni in cui è attivo Guglielmo di Conches, i capisaldi di quella che è indicata come la “fede degli antichi”, da intendersi come la contezza dei misteri della vera religione, pur in assenza dei segni sacri, o sacramenti, che la rendono chiesa visibile, istituzione e auctoritas. Nel presente lavoro prendo in esame, sullo “sfondo” di questi temi, che costituiscono l’“orizzonte” concettuale dell’“età d’oro” del platonismo medievale, il Tractatus de anima mundi di Guglielmo di Conches, la più ampia delle sei parti in cui sono suddivise le Glosae super Platonem, cioè del commento dello Chartriano alla calcidiana traduzione commentata del Timeo. Si tratta di un testo che contiene gli elementi essenziali del “punto di vista” filosofico che caratterizza la cultura della Francia centro-settentrionale nella prima metà del XII secolo: l’interesse fisico-cosmologico, come ricerca dell’oggetto naturale e “proprio” della scienza, e la tensione spirituale, che si concretizza nell’intento di cogliere nel “mito” un Estratto della pubblicazione XIII significato vero e più profondo rispetto al piano semantico del racconto verosimile. Il mio scopo consiste quindi nell’evidenziare la rete di motivazioni e interessi che fa da “sostrato” al ruolo filosofico di Guglielmo, soprattutto, in quanto sono alla base dei risultati che raggiunge, da un lato la sua disponibilità a riconoscere per un periodo non breve, dagli “esordi” alla stesura delle Glosae super Platonem, la “pregnanza” veritativa dell’integumentum e di conseguenza la validità dell’idea, che caratterizza il pensiero di Abelardo e gli è attribuita da parte dei Cistercensi fino alla fine della sua vita, secondo la quale il pensiero cristiano, lungi dall’essere in radicale contrasto con la tradizione filosofico-teologica, ne è lo “sbocco” naturale e maturo, dall’altro lato la sua esigenza, ancora più generale e prioritaria, di “costruire” un sapere teoretico metodologicamente rigoroso e concettualmente coerente, istanza che lo porta a trovare negli studi fisico-biologici e nelle arti il “nucleo” più vitale ed evidentemente irrinunciabile della sua riflessione, dal quale ricava l’originale e innovativa concezione della scienza come conoscenza razionale dell’universale, oggetto primo del sapere, che tuttavia ha nell’esperienza, nell’intuizione sensibile, la prima condizione “epistemologica”. Da questo punto di vista, se lo studio dei complessi rapporti tra i protagonisti della “scena” culturale della prima metà del XII secolo è ancora in progress, da ciò che si conosce si ricava l’impressione che Guglielmo, nonostante le ritrattazioni e il “passo indietro” che si sente costretto a fare nel Dragmaticon philosophiae rispetto alle sue opere precedenti in ordine alle valenze filosoficoteologiche di esse, cioè alla ricerca di una “linea” di continuità tra teologia razionale e rivelazione, di un “ponte” tra filosofia e mistero, non confluisce sic et simpliciter nell’“alveo” culturale di chi lo ha accusato e screditato; piuttosto preserva i risultati della sua ricerca che probabilmente ritiene più importanti e peculiari, “restringendo” l’oggetto della scienza e “rafforzando” lo “statuto epistemologico” di quest’ultima. Così il suo pensiero certo perde in radicalità ma non nella capacità di interpretare in modo innovativo la domanda di razionalità della società urbana. Le Glosae super Platonem e al loro interno il Tractatus de anima mundi, se rappresentano un momento “interlocutorio”, per così dire, del “percorso” intellettuale di Guglielmo, cioè costituiscono solo una “tappa intermedia” nel processo di definizione della personalità filosofica e della funzione culXIV turale dello Chartriano, rimandano ad alcuni dei “materiali”, testuali e concettuali, di cui egli si avvale: il Timeo di Platone come referente privilegiato della tradizione filosofica antica e un “orizzonte” interpretativo riguardante lo stesso dialogo che fa capo alla “svolta” del platonismo tardoellenistico e tardoantico, e in particolare all’impianto onto-teologico del pensare filosoficamente, alla concezione dell’essere come struttura razionale e armonica e alla corrispondenza di quest’ultima alla natura logica del pensiero. Questo volume costituisce il primo e parziale risultato di una ricerca più ampia, riguardante i “platonismi” e il modo in cui si definisce e si modifica l’immagine di Platone nel medioevo “alto” e “centrale”, svolta in relazione alle iniziative di studio e di confronto promosse dai colleghi e amici tardoantichisti dell’Università di Catania. Intendo quindi innanzitutto ringraziare Maria Barbanti, per l’apprezzamento e il sostegno di cui è stata prodiga, Loredana Cardullo e Giovanna Giardina, per aver favorito numerosi e stimolanti dibattiti su temi che in vario modo hanno toccato i miei interessi, Eva Di Stefano, Daniele Iozzia e Chiara Militello, per il contributo competente a tali dibattiti. In questo contesto rinnovo la mia gratitudine nei confronti del mio maestro Francesco Romano per i preziosi suggerimenti che anche questa volta non ha voluto farmi mancare, oltre che per tutto ciò che sono stato capace di apprendere dai suoi insegnamenti e dalle fondamentali discussioni che ho avuto con lui sul metodo della mia ricerca e su ciascuno dei suoi aspetti. Un particolare ringraziamento va a Giulio d’Onofrio, per l’amichevole attenzione che ha prestato al mio lavoro e per il concreto sostegno che ha fornito allo sviluppo degli interessi da me coltivati per aver accolto miei contributi all’interno di numerose e qualificate iniziative editoriali e congressuali da lui curate e promosse e per le importanti discussioni che ho avuto la possibilità di intrattenere con lui nelle occasioni determinate da tali iniziative. Un grato pensiero va anche a quanti hanno partecipato all’intenso e qualificato dibattito scientifico che sta alla base delle motivazioni, metodologiche e teoriche, del mio impegno: Werner Beierwaltes, Stephen Gersh, Pasquale Porro, John Rist, Giuseppe Roccaro, Carlos Steel, Loris Sturlese. E ancora un caloroso grazie ad Alessandro Musco, che ha accolto questo lavoro nella collana da lui diretta, e ad Andrea Vella, sempre disponibile ad aiutarmi con la sua competente solerzia. Estratto della pubblicazione XV Introduzione 1. Guglielmo di Conches e la filosofia 1.1. Filosofia e teologia nel XII secolo A fronte delle poche e non essenziali notizie e delle altrettanto scarne testimonianze “autentiche” di cui abbiamo disponibilità sulla vita di Guglielmo di Conches,1 la sua opera si inserisce organicamente nell’esperienza “scolastica” e intellettuale di Chartres,2 nel 1 Sulla vita di Guglielmo di Conches resta fondamentale T. Gregory, Anima mundi. La filosofia di Guglielmo di Conches e la Scuola di Chartres, Sansoni, Firenze 1955, pp. 1-4; cf. anche i più recenti studi di É. Jeauneau, L’age d’or des écoles de Chartres, Houvet, Chartres 1995, pp. 41-50 e M. Lemoine, Intorno a Chartres. Naturalismo platonico nella tradizione cristiana del XII secolo, Jaca Book (Eredità medievale 11), Milano 1998, pp. 69-70 (éd. fr. Théologie et platonisme au XII.e siècle, Les Éditions du Cerf, Paris 1998, pp. 79-80), oltre all’Introduction dello stesso É. Jeauneau in Guillelmus de Conchis, Glosae super Platonem, ed. É. Jeauneau, CCh Cont. Med. 203, Brepols, Turnhout 2006 [= Glosae], p. xix, dove è anche fornita una più ampia bibliografia. 2 L’idea della scuola di Chartres nella prima metà del XII secolo come esperienza unitaria improntata a un naturalismo razionalizzante e a un umanesimo “progressivo” è dovuta ai classici lavori di A. Clerval, Les écoles de Chartres au Moyen Age du V.e au XVI.e siécle, Minerva, Paris 1895, R. L. Poole, Illustrations of the History of Medieval Thought in the Departiments of Theology and Ecclesiastical Politics, II ed., Society for Promoting Christian Knowledge, London 1920, pp. 95-115, e The Masters of the Schools at Paris and Chartres in John Salisbury’s Time, in «English Historical Rewiew» 35 (1920), pp. 321-42, G. Paré-A. Brunet-P. Tremblay, La Renaissance du XII siècle. Les écoles et l’enseignement, Vrin/Inst. d’Études Médiévales, Paris/Ottawa 1933, pp. 138-210, e M. Parent, La doctrine de la création dans l’école de Chartres, Vrin, Paris 1938; tale idea è stata messa in questione da R.W. Southern, Mediaeval Humanism and Other Studies, Blackwell, Oxford 1970, pp. 61-85, che di contro ha parlato di una “leggenda di Chartres”, negando una qualsivoglia peculiarità comune ai maestri della scuola cattedrale; successivamente prevale, anche a seguito dell’immediata reazione di autori come P. Dronke, New Approaches to the School of Chartres, in «Annuario de Estudios Medievales» 6 (1969), pp. 117-40, e J. Châtillon, Les écoles de Chartres et de Sant-Victor, in La scuola nell’Oc­cidente latino dell’alto medioevo, Atti della XIX Estratto della pubblicazione 1 più ampio contesto della Francia centro-settentrionale della prima metà del XII secolo, caratterizzato dalla crescita demografica, economica e politica delle città.3 Tale crescita a sua volta implica un Settimana di Studio (Spoleto, 15-21 aprile 1971), Centro Italiano di Studi sull’Alto Medioevo, Spoleto 1972, pp. 795-839, un atteggiamento, peraltro risalente quanto meno alla metà del secolo scorso, del tutto scevro da pregiudiziali ideologiche o confessionali attraverso cui “leggere” i testi medievali in funzione dell’attualità culturale; tra gli studi caratterizzati da questa impostazione, oltre a quelli già citati di Gregory, Jeauneau, che tratta della questione posta da Southern alle pp. 19-24, e Lemoine, pp. 15-22 (corrispondenti alle pp. 13-21 nell’ed. in lingua francese), cf. E. Garin, Studi sul platonismo medievale, Le Monnier, Firenze 1958; T. Gregory, Platonismo medievale. Studi e ricerche, Istituto Storico Italiano per il Medioevo, Roma 1958; Id., Mundana sapientia. Forme di conoscenza nella cultura medievale, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 1992, pp. 1-59, 75-173; M.-D. Chenu, La theologie au douzieme siecle, Vrin, Paris 1957 (trad. it. La teologia nel XII secolo, Jaca Book, Milano 1992, pp. 123-59); R.W. Southern, The Schools of Paris and the School of Chartres, in R. L. Benson-G. Constable (eds.), Renaissance and Renewal in the Twelfth Century, Harvard University Press, Cambridge (Mass.), 1982, pp. 113-37; N. M. Häring, Commentary and Hermeneutics, ibid., pp. 173-200; S. Gersh, Platonism - Neoplatonism - Aristotelianism. A Twelfth-Century Metaphysical System and Its Sources, ibid., pp. 512-34; P. Dronke (ed.), A History of Twelfth Century Western Philosophy, University Press, Cambridge 1988, pp. 308-83; ancora, sull’ambiente culturale chartriano, cf. M.-D. Chenu, Nature ou histoire? Une controverse exégétique sur la création au XII.e siècle, in «AHDLMA» 20 (1953), pp. 25-30; J. Moreau, “Opifex, id est Creator”. Remarques sur le platonisme de Chartres, in «Archiv für Geschichte der Philosophie»56 (1974), pp. 33-49; E. Maccagnolo, Rerum universitas. Saggio sulla filosofia di Teodorico di Chartres, Le Monnier, Firenze 1976. 3 Sulla città e la vita urbana nel medioevo e in particolare sulla crescita delle realtà urbane nei secoli XI e XII, oltre ai classici contributi di H. Pirenne, Medieval Cities. Their Origins and the Revival of Trade, University Press, Princeton 1925 (éd. fr. Les villes du Moyen Age. Essai d’histoire économique et sociale, M. Lamertin, Bruxelles 1927, trad. it. Le città del medioevo, Laterza, Roma/Bari 1971), e Les villes et les institutions urbaines, F. Alcan, Paris 1939, nonché all’altrettanto fondamentale recensione di O. Capitani, Henry Pirenne: le città del medioevo, in Id., Medioevo passato prossimo, Il Mulino, Bologna 1979, pp. 103-44, cf. E. DupréTheseider, Problemi della città nell’alto medioevo, in La città nell’alto medioevo, Atti della VI Settimana di Studio (Spoleto, 10-16 Aprile 1958), Centro Italiano di Studi sull’Alto Medioevo, Spoleto 1959, pp. 13-46; R. Lopez, Le città dell’Europa post-carolingia, ibid., pp. 547 ss.; B. Bischoff, Biblioteche, scuole e letteratura nella città dell’alto medioevo, ibid., pp. 619 ss.; J. Rossiaud, Il cittadino e la vita di città, in J. Le Goff (a cura di), L’uomo medievale, Laterza, Roma/Bari 1987, pp. 2 Estratto della pubblicazione sensibile incremento della domanda di razionalità e di razionalizzazione dei saperi, che mette in questione quanto meno la tradizionale estrazione dei soggetti culturali, cioè la loro esclusiva provenienza dal ceto ecclesiastico, e soprattutto impone un’accelerazione al movimento delle idee, rivalutando il metodo della filosofia e allargandone l’oggetto, fino a farla percepire, secondo quanto si ricava dal Didascalicon di Ugo di S. Vittore, la riflessione forse più matura ed esaustiva sulla natura e la funzione dei saperi negli anni in cui è attivo Guglielmo, come sapere “vivo” e onnicomprensivo, alla luce di un’originale utilizzazione del precedente cristianesimo filosofico, da Agostino a Boezio a Isidoro di Siviglia. In tale opera la filosofia è definita sapere razionale che ha come proprio oggetto tutte le cose divine e umane4 ed è costituita dalle discipline logico-linguistiche, sulla base delle quali sono determinate le procedure inferenziali e deduttive della concettualizzazione e del ragionamento, dalla teoresi, che comprende le arti “matematiche”, la scienza fisica e la teologia “mondana”, svolgimento razionale e sistematico dei dati oggetto di 155-200; A. J. Gurevic, Il mercante, ibid., pp. 271-318; J. Heers, La ville au Moyen Age en Occident. Paysages, pouvoirs et conflits, Fayard, Paris 1990 (trad. it. La citta nel Medioevo in Occidente. Paesaggi, poteri e conflitti, Jaca Book, Milano 1995, pp. 103-217); G. Cherubini, Le città europee del Medioevo, Bruno Mondadori, Milano 2009. 4 Hugo de Sancto Victore, Didascalicon. De studio legendi, ed. C. H. Buttimer, The Catholic University Press, Washington 1939 [= Didascalicon], 1, 2, pp. 6, l. 14 - 7, l. 18; 4, p. 11, ll. 13-28; cf. anche l’Epitome Dindimi in philosophiam (dove Ugo ripropone e riadatta i brani del Didascalicon riguardanti la filosofia in modo da ottenere da essi una trattazione coerente), in R. Baron (ed.), Opera propedeutica, University Press, Notre Dame (In.) 1966 [= Epitome], p. 189, ll. 60-71; per quanto riguarda le fonti di tale punto di vista, cf. Augustinus Hipponensis, De civ. Dei 8, 2; A. M. S. Boethius, De institutione arithmetica libri duo, ed. G. Friedlein, Teubner, Leipzig 1867, 1, l, p. 7, 1. 21 - p. 12, l. 12; Id., De institutione musica libri quinque, ed. G. Friedlein, Teubner, Leipzig 1867, 2, 2, p. 227, l. 20 - p. 228, l. 2; Id., In Isagogen Porphyrii Commenta, ed. S. Brandt, CSEL 48, F. Tempsky, Wien 1906, Editio prima 1, 3, p. 7, ll. 12-6; Isidorus Hispalensis, Etymologiarum sive originum libri xx, ed. W. M. Lindsay, Clarendon, Oxford 1911[= Etymologiae], 8, 6, 2; 14, 6, 31; sull’idea di filosofia nel pensiero di Ugo e dei Vittorini, cf. M. Lemoine, Les notions de “philosophe” et de “philosophie” dans l’école de Saint-Victor, in J. Biard (éd.), Langage, sciences, philosophie au XII.e siècle, Actes de la Table Ronde Internationale, Vrin, Paris, 1999, pp. 11-22. Estratto della pubblicazione 3