ARS INVENIENDI

Direttore
Fabrizio L
Università degli Studi di Napoli “Federico II”
Comitato scientifico
Louis B
Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”
Giuseppe C
Università degli Studi di Napoli “Federico II”
Domenico C
Università degli Studi di Napoli “Federico II”
Antonello G
Università degli Studi di Napoli “Federico II”
Matthias K
Martin Luther Universität Halle Wittenberg
Edoardo M
Università degli Studi di Napoli “Federico II”
Rocco P
Università degli Studi di Napoli “Federico II”
José Manuel S F
Universidad de Sevilla
ARS INVENIENDI
Questa collana dell’ex Dipartimento di Filosofia “Antonio Aliotta”,
confluito nel Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università degli
Studi di Napoli “Federico II”, nasce come “porta” aperta al dialogo
interculturale con studiosi vicini e lontani dalla grande tradizione
napoletana e italiana. Lo scopo è di offrire un nuovo luogo di confronto
senza pregiudizi ma con una sola prerogativa, quella della serietà
scientifica degli studi praticati e proposti sui più aggiornati itinerari
della filosofia e della storiografia, della filologia e della letteratura
nell’età della globalizzazione e in un’università che cambia.
Le pubblicazioni di questa collana sono preventivamente sottoposte alla procedura di valutazione nella forma di blind peer-review.
Centro Studi di Filosofia della Complessità Edgar Morin – Messina
Istituto Italiano per gli Studi Filosofici – Napoli
Volume pubblicato con il contributo dell’Università degli Studi di Messina
Maria Laura Giacobello
Per un’etica “complessa”
Copyright © MMXIII
ARACNE editrice S.r.l.
www.aracneeditrice.it
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via Raffaele Garofalo, /A–B
 Roma
() 
 ----
I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica,
di riproduzione e di adattamento anche parziale,
con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.
Non sono assolutamente consentite le fotocopie
senza il permesso scritto dell’Editore.
I edizione: luglio 
A mia figlia Eleonora
Indice

Premessa

Capitolo I
Relativismo epistemologico e responsabilità morale. L’etica di Max
Weber

Capitolo II
Georgescu–Roegen e l’incerto dono prometeico: l’urgenza di una
nuova etica

Capitolo III
La Complessità Etica. Edgar Morin

Bibliografia

Indice dei nomi

Premessa
La storia dell’umanità ci mostra continuamente che l’amore e la fraternità, espressioni supreme della morale, sono facili da ingannare.
Nessuna religione è stata più sanguinaria e
crudele della religione dell’Amore.
E. M
Questo lavoro propone un breve excursus fra etiche possibili oggi:
dall’etica della responsabilità di Max Weber, acuto interprete della
modernità, alla nuova etica di Nicholas Georgescu–Roegen, grande
intellettuale del Novecento famoso per aver applicato il principio di
entropia al processo economico, all’etica complessa di Edgar Morin,
massimo teorico e attuale divulgatore della teoria della Complessità.
Si tratta solo di alcuni esempi che rivelano una comune tonalità:
l’impossibilità di una interpretazione riduzionistica della dimensione
etica, a fronte dell’inestricabile complessità incessantemente esibita
da questa vocazione umana originaria.
Ogni tentativo di esaurire l’etica nell’angusta trappola di dogmatismi di qualsiasi genere si è risolto nel fallimento storico testimoniato
dalla spirale di odio e violenza innescata, per esempio, dagli innumerevoli fanatismi religiosi. La storia documenta, altresì, l’infecondità della
predicazione dell’amore e della bontà isolatamente o astrattamente
considerati.
Nell’epoca della globalizzazione l’uomo si trova afflitto da una
carenza etica radicale, quale nefasto, ma naturale, esito della parabola
del pensiero occidentale, che assiste alla progressiva emancipazione
delle singole discipline da quell’impulso teoretico primitivo in cui
affonda le radici l’identità spirituale dell’Europa. In effetti, secondo
la brillante ricostruzione offerta da Husserl ne La crisi dell’umanità
europea e la filosofia , essa si radica in quell’atteggiamento teoretico che,
. Su ciò si veda E. H, La crisi dell’umanità europea e la filosofia, in I., La crisi


Premessa
in principio, proietta l’uomo occidentale alla ricerca di verità ideali,
verso la creazione di un universo di senso significante. L’aspirazione
alla formulazione di verità universali, condivise, che si emancipino
da ogni interesse singolare, avvia poi la nascita della scienza, che si
specifica successivamente nei diversi settori in cui si è gradualmente
articolata la conoscenza. Tuttavia, durante il percorso di conquista
dell’anelata autosufficienza euristica, si verifica un evento dirimente.
La scienza dimentica il suo fondamento filosofico: in tale oblio si cela il
tradimento della vocazione etica del suo razionalismo originario, che
si traduce pertanto in un razionalismo astratto, foriero di numerosi
mali, la cui entità è innegabilmente esplosa nell’attuale, evidente, crisi
di civiltà.
L’ambita neutralità etica, sancita dalla moderna separazione tra
soggetto e oggetto, uomo e natura, si rivela, infatti, la più funesta delle
conquiste nella storia del pensiero occidentale. Come spiega Morin,
la scienza occidentale si è fondata sull’eliminazione positivista del soggetto
sulla base dell’idea che gli oggetti, esistendo indipendentemente dal soggetto, potessero essere osservati e spiegati in quanto tali. L’idea di un universo
di fatti oggettivi, depurati da ogni giudizio di valore, da ogni deformazione
soggettiva, grazie al metodo sperimentale e alle procedure di verifica, ha
consentito lo sviluppo prodigioso della scienza moderna;
in tal senso,
in questo quadro, il soggetto è vuoi il “rumore”, cioè la perturbazione, la
deformazione, l’errore che occorre eliminare per raggiungere la conoscenza
oggettiva, vuoi lo specchio, semplice riflesso dell’universo oggettivo .
In realtà, quando l’istanza etica — che promuove, nell’uomo, ogni
primitiva vocazione teoretica — di padroneggiare la conoscenza della
natura, per esorcizzare la paura dell’ignoto, si tramuta, con l’avvento della scienza moderna, nel trionfo celebrato da una onniscienza
che offre l’illusione della verità oggettiva e universale, l’uomo cede
alla tentazione di rinunciare alla sua ontologica esigenza di significadelle scienze europee e la fenomenologia trascendentale [], prefazione di E. Paci, trad. it. di E.
Filippini, Il Saggiatore, Milano .
. E. M, Introduzione al pensiero complesso. Gli strumenti per affrontare la sfida della
complessità [], trad. it. di M. Corbani, Sperling & Kupfer, Milano , p. .
Premessa

to, accettando l’effimero conforto della conquista di una conoscenza
assoluta e definitiva.
In un simile scenario, si impone l’urgenza di reintegrare il soggetto
nella conoscenza, e, di conseguenza, nella morale. L’illusione coltivata
dall’uomo moderno di poter conquistare un punto di vista universale
da una posizione di astratta separazione dal contesto, infatti, ha decretato la sua deresponsabilizzazione nei confronti di una natura reificata,
divenuta oggetto di una alienante mentalità predatoria. Inoltre, dal
punto di vista squisitamente etico, ha eliminato la possibilità di ogni
imputazione di responsabilità personale, sancita dalla scomparsa dell’uomo dal contesto. Dove manca il soggetto, non ha senso parlare di
responsabilità.
La compartimentazione del sapere, che esita nell’iperspecializzazione contemporanea, poi, ha aggravato la situazione, in quanto la
responsabilità personale si diluisce fino a scomparire inghiottita dalla
sempre più rigida e capillare definizione dei domini di competenza.
L’individuo si dissolve, fagocitato dalla tecno–burocrazia. È l’epoca degli ultimi uomini di Max Weber, “specialisti senza intelligenza, gaudenti
senza cuore” .
L’esperienza di astratta disarticolazione delle molteplici e inter–dipendenti istanze dell’uomo dovrebbe essere, oggi, vantaggiosamente
superata in direzione di una nuova consapevolezza etica, in quanto,
riattivare una pratica riflessiva in questa dimensione significa sancire il
trascurato legame tra sapere e dovere, nel rispetto, tuttavia, della reciproca distinzione. Accedere alla complessità dell’etica significa, infatti,
comprendere che essa non può abitare un’istanza solitaria, isolata, ma
esige piuttosto di essere interpretata come esperienza globale.
In questa ottica, evidentemente, indagine epistemologica e atteggiamento morale si possono riconoscere in un comune orizzonte di
senso, in quanto, soltanto identificando l’uomo nel ruolo attivo di attore della conoscenza e, insieme, soggetto di scelte e interessi, diventa
possibile fare emergere un significato in un mondo che, altrimenti,
descriverebbe un fluire anonimo di eventi nel tempo.
I percorsi etici offerti all’attenzione del lettore in questo lavoro
si iscrivono appunto in tale perimetro intellettuale, a testimonianza
. M. W, L’etica protestante e lo spirito del capitalismo [–], trad. it. di P.
Burresi, Sansoni, Firenze , p. .

Per un’etica “complessa”
dell’imprescindibilità della considerazione dell’intreccio fra epistemologia ed etica, in quanto ogni visione morale presuppone e fonda
un’antropologia e una filosofia della conoscenza, e non può risolversi
in una autoreferenzialità che neutralizza ogni sua istanza, dissolvendola
in una trama auto–implosiva.
Anche in questo episodio del mio percorso filosofico, desidero
formulare i miei più sentiti ringraziamenti al professore Girolamo
Cotroneo, con il quale molti anni fa ho intrapreso questo itinerario,
al professore Giuseppe Gembillo, anima indefessa del Centro Studi
di Filosofia della Complessità “Edgar Morin”, all’interno del quale, a
Messina, si svolge attualmente la mia attività di ricerca, e al professor
Giuseppe Giordano, insostituibile referente intellettuale di ogni mia
iniziativa.
Ringrazio inoltre la professoressa Annamaria Anselmo, la professoressa Giuliana Gregorio e tutti i componenti del Centro Studi di Filosofia della Complessità “Edgar Morin” per avermi offerto la possibilità
di un confronto proficuo e amichevolmente dialettico.
Desidero, in conclusione, ringraziare il Prof. Lomonaco per aver
voluto accogliere questo volume nella collana “Ars inveniendi”.
Capitolo I
Relativismo epistemologico
e responsabilità morale
L’etica di Max Weber
Alla luce dei più recenti orientamenti dell’epistemologia contemporanea, si dischiude oggi per l’uomo un diverso orizzonte di senso, in cui
indagine epistemologica e atteggiamento morale si possano riconoscere in una pratica riflessiva che riaccenda l’irrinunciabile dialettica
tra sapere e dovere, promuovendo una rinnovata consapevolezza etica.
Lo scenario intellettuale che si apre è quello del vigoroso superamento dell’esperienza di astratta disarticolazione delle molteplici istanze
dell’uomo, ingombrante eredità del paradigma scientifico classico. In
una simile prospettiva risulta particolarmente stimolante riaccostarsi al
pensiero di un studioso quale Max Weber, la reale fecondità delle cui
riflessioni è stata in parte oscurata dall’angustia delle letture scolastiche
in cui è rimasto intrappolato.
Se è vero, peraltro, che « Weber è stato studiato per alcuni decenni
nell’ambito tranquillizzante della sociologia prima che emergesse l’asprezza delle sue posizioni politiche o filosofiche », negli ultimi decenni
del secolo scorso si è assistito, tuttavia, a una svolta interpretativa del
. A. D L, “Politeia”: cittadinanza ed esilio nell’opera di Hannah Arendt, “Il Mulino”
, a. XXXIII, n. , maggio–giugno , pp. –, p. . Lo stesso Dal Lago, poco prima,
commenta: « All’opposto dei discorsi emancipativi, i pensatori che nei tempi bui riconoscono
l’ingiustizia o la miseria politica come aspetti contro cui è necessario battersi, senza perciò
rinunciare alla realtà in nome della trascendenza, non possono avere seguaci né fondare
scuole. È più facile e consolante teorizzare una giustizia futura che non immergersi in quello
che Weber chiama il servizio del primo dèmone, il compito quotidiano. Questi pensatori non
possono sperare di lasciare tracce permanenti nell’opinione, perché il loro rifiuto di evadere
la realtà viene scambiato per conservatorismo, e la loro denuncia della miseria è tacciata di
disfattismo ».


Per un’etica “complessa”
suo pensiero, grazie alla quale è possibile, adesso, emanciparlo, almeno in parte, dalla consueta etichetta di “classico della sociologia”, che
compromette la compiuta assunzione della profonda originalità e articolazione del complesso delle sue riflessioni. La curiosità che lo induce
a inoltrarsi nei più disparati meandri in cui la ragione occidentale ha
dispiegato, nel corso dei secoli, il suo piano e i suoi effetti, nel decretare
la frammentarietà degli scritti di Weber, ne tradisce, al contempo, l’evidente vocazione antropologica ed etico–pedagogica di grande respiro
filosofico.
Il suo pensiero è animato, tra l’altro, dalla manifesta intuizione
dell’inadeguatezza degli strumenti gnoseologici imposti dal paradigma scientifico classico ai fini della conoscenza e della comprensione dell’irriducibile complessità della vita reale, restando per esso
inevitabilmente inattingibile la sfera del senso.
La spregiudicata e singolare attenzione con cui Max Weber guarda
alla complessità della realtà, intesa in senso ontologico ed epistemologico e non nella sua accezione più banale , si rivela particolarmente
attuale proprio nel pensiero contemporaneo, grazie anche alla rinnovata consapevolezza della vertiginosa complessità della realtà e della
. Si veda, ad esempio, in merito, l’interessante lettura offerta da E. M in Le
“anticritiche” del relativismo etico e il lebensproblem della collisione dei valori, in M. Maldonato
a cura di, Fenomenologia della scoperta, Mondadori, Milano . A p. , Massimilla scrive:
« Se si vuole davvero comprendere la natura e la stratificazione delle antitesi con cui oggi è
chiamata a fare i conti la vita pratica e personale, è ancora opportuno rivolgersi alle celebri
analisi di Max Weber concernenti lo Alltag politeistico del mondo disincantato nel quale
viviamo ». Cfr. anche E. M, Intorno a Weber. Scienza, vita e valori nella polemica su
Wissenschaft als Beruf, Liguori Editore, Napoli  e E. M, Scienza, professione,
gioventù. Rifrazioni weberiane, Rubbettino, Soveria Mannelli .
. L’interpretazione più comune, in effetti, tradisce il fascino inesauribile che promana
da quel pathos intellettuale espresso dal pensiero di Weber proprio quando si inoltra nelle sue
analisi più puntuali, inchiodandolo, invece, in categorie astratte e immobili che ne occultano
l’originaria tensione. Infatti, « da una certa letteratura, affermatasi soprattutto in America, Max
Weber è considerato come il fondatore della sistematica delle scienze sociali e il teorico della
Wertfreiheit, in nome di una metodologia orientata in senso positivistico. È un’interpretazione
che pretende di essere ortodossa, ma che, in realtà, travisa lo spirito dell’opera di Weber,
perché non solo spezza il legame che [. . . ] lega la sua metodologia ai problemi sociali e politici
del tempo, ma trascura il pathos morale con cui la dottrina della Wertfreiheit è sostenuta e il
processo da cui viene fuori » (A. B, Politica e valori in M. Weber, saggio introduttivo in M.
W, Scritti politici, trad. it. di P. Manganaro, Giannotta, Catania, , p. ).
. Su ciò, si veda E. M, La sfida della complessità [], a cura di Annamaria
Anselmo e Giuseppe Gembillo, traduzione di Annamaria Anselmo, Le Lettere, Firenze
, p. .
. Relativismo epistemologico e responsabilità morale

società odierna, intervenuta dopo lo scardinamento dei fondamenti della scienza galileiano–newtoniana a opera delle rivoluzionarie
scoperte scientifiche di inizio Novecento .
Il paradigma della Complessità, prendendo atto dell’inequivocabile
irruzione dell’incertezza nella conoscenza, ha infatti proposto un ap. Nel contesto di grande fermento intellettuale innescato dalla rivoluzione scientifica
del Novecento, si assiste al convergere dei contributi provenienti dai più disparati rami
della conoscenza in direzione della nascita di quello che può qualificarsi come un nuovo
paradigma scientifico, il paradigma della complessità, il quale rivela una spiccata vocazione
multidisciplinare. Infatti, di contro allo splendido isolamento propugnato dalla scienza classica, esso si evolve all’insegna della contaminazione fra i saperi: « A partire dalle scoperte
delle scienze del XX secolo, lo sviluppo della teoria della complessità è stato tumultuoso,
disordinato, multidisciplinare. È così possibile trovare, nell’ambito della complessità, contributi di fisici, matematici, informatici, biologi, filosofi, economisti, studiosi di management
e quant’altro. I contributi presenti in letteratura sono numerosi, ampi, dispersi, eterogenei
e ricchissimi di stimoli. Obiettivo principale è comprendere il comportamento dei sistemi
complessi, caratterizzati da elementi numerosi e diversi tra di loro e da connessioni numerose non lineari » (A.F. D T, L. C, Viaggio nella complessità, Marsilio, Venezia,
, p. ). Questo nuovo paradigma può certamente offrire un valido percorso di rinnovamento delle ordinarie categorie. Esso, infatti, cerca di operare una riunificazione non
riduzionista di tutti i saperi, in una prospettiva gnoseologica che si impone come realmente
alternativa al paradigma scientifico dell’età Moderna: « Si tratta di un paradigma organicista,
storicista, concreto, fondato sulla critica della pretesa di ricondurre tutta la realtà a uno
schema ideale e astratto e, quindi, sulla accettazione, appunto, della complessità del reale »
(G. G, Economia, etica, complessità. Mutamenti della ragione economica, Le Lettere,
Firenze , pp. –). Su ciò si veda, per esempio, G. Bocchi, M. Ceruti a cura di, La
sfida della complessità, Mondadori, Milano ; F. C, La rete della vita [], trad. it. di
C. Capararo, BUR, Milano ; G. G, Le polilogiche della complessità. Metamorfosi
della ragione da Aristotele a Morin, Le Lettere, Firenze ; G. G, Da Einstein a
Morin. Filosofia e scienza tra due paradigmi, Rubbettino, Soveria Mannelli .
. Grazie anche al contributo della teoria della Complessità si è finalmente compreso,
infatti, che l’atteggiamento gnoseologico introdotto dalla razionalità occidentale nella deriva
espressa dalla assolutizzazione della ragione calcolante, nonostante i mirabolanti successi
conseguiti sotto il profilo tecnico–scientifico, si rivela tuttavia inadeguato a penetrare il
significato della vita, in quanto ignora l’irriducibile varietà qualitativa della realtà stessa. Come
scrive Giuseppe Gembillo, allora, in effetti, « che il Reale sia complesso; che tutto ciò che
esiste sia complesso, non è certo una scoperta dei nostri tempi. È ovvio che da sempre
tutti abbiano fatto questa facile ed evidente “constatazione”. Il problema, dunque, non è
di ammettere tutto ciò. Il problema è, ed è stato finora, invece, quello di riconoscerlo nella
sua valenza effettiva; cioè di trasformare, appunto, il noto in conosciuto. Anzi, in questo
caso, il “misconosciuto” in conosciuto. Il misconoscimento è avvenuto e si è consolidato
perché, fin dal sorgere del pensiero filosofico, uno degli obiettivi principali di gran parte dei
pensatori è stato il tentativo di ridurre il complesso al semplice, nella convinzione che con tale
procedimento l’oggetto del nostro interesse conoscitivo potesse diventare più agevolmente
intuibile in maniera “chiara e distinta” e quindi più facilmente comprensibile » (G. G,
Le polilogiche della complessità, cit., pp.–).

Per un’etica “complessa”
proccio gnoseologico alternativo a quello insito nella scienza classica,
fondato piuttosto su una logica complessa, inclusiva e non disgiuntiva.
Come ha spiegato bene il principale teorico della Complessità, in effetti,
l’incapacità di riconoscere, trattare e pensare la complessità è un risultato del
sistema educativo. Questo ci insegna a convalidare ogni percezione, ogni
descrizione, ogni spiegazione in base alla chiarezza e alla distinzione. Ci
inculca un modo di conoscenza emerso dall’organizzazione delle scienze e
delle tecniche nel XIX secolo, che si è esteso all’insieme delle attività sociali
politiche e umane .
Si tratta, pertanto, di un atteggiamento gnoseologico alimentato
dalle categorie epistemologiche compiutamente espresse dal pensiero occidentale, l’esito della cui parabola si risolve nella hybris di un
pensiero riduzionista e semplificante. E, tuttavia, occorre prendere
atto che la sfida della complessità « si ritrova in ogni conoscenza, quotidiana, politica, filosofica e, in maniera ormai acuta, nella conoscenza
scientifica »; ma, soprattutto, « essa si espande, come vedremo, anche,
sull’azione e sull’etica » .
In tale contesto si consolida l’urgenza della elaborazione di nuovi e
più adeguati canoni gnoseologici e morali, che permettano all’uomo
di orientarsi, appunto, in quel cosmo “disincantato” che la modernità
. E. M, La sfida della complessità, cit., pp. –.
. Ivi, p. .
. Il processo di “disincantamento” del mondo, secondo Max Weber, giunge al suo
compimento nel momento in cui l’impegno in ogni campo della vita smarrisce definitivamente l’originario senso religioso: « Quel gran processo storico–religioso dell’eliminazione
dell’elemento magico nel mondo che iniziò colle antiche profezie giudaiche, e il quale col
pensiero scientifico greco rigettò tutti i mezzi magici della ricerca della salute considerandoli
come superstizione delittuosa, trovò qui la sua conclusione » (M. W, L’etica protestante
e lo spirito del capitalismo [–], trad. it. di P. Burresi, Sansoni, Firenze , p. ). Di
disincantamento Weber parla anche ne La scienza come professione: « La crescente intellettualizzazione e razionalizzazione non significa [. . . ] una crescente conoscenza generale delle
condizioni di vita alle quali si sottostà. Essa significa qualcosa di diverso: la coscienza o la fede
che, se soltanto si volesse, si potrebbe in ogni momento venirne a conoscenza, cioè che non
sono in gioco, in linea di principio, forze misteriose e imprevedibili, bensì che si può — in
linea di principio — dominare tutte le cose mediante un calcolo razionale. Ma ciò significa
il disincantamento del mondo. Non occorre più ricorrere a mezzi magici per dominare
gli spiriti o per ingraziarseli, come il selvaggio per il quale esistono potenze del genere. A
ciò sopperiscono i mezzi tecnici e il calcolo razionale. Soprattutto questo è il significato
dell’intellettualizzazione in quanto tale. Ma questo disincantamento, proseguito per millenni
nella cultura occidentale, e in generale questo “progresso”, del quale la scienza costituisce
. Relativismo epistemologico e responsabilità morale

gli ha consegnato dopo l’avvento di una razionalizzazione a tal punto
invadente da scatenare un vero e proprio esodo dalla ricerca del senso.
E proprio un autore come Max Weber si rivela lucido interprete della
natura rigorosamente funzionale della razionalità occidentale — giunta al suo apice nelle vesti della “ragione calcolante strumentale” — lo
scambio dei cui risultati per verità assolute e definitive fonda uno dei più
perniciosi equivoci in cui si sia imbattuto il pensiero occidentale nel corso della sua storia. Esso si radica nell’atteggiamento gnoseologico della
scienza classica di matrice galileiano–newtoniana, che, rinunciando alla
ricerca del significato, esprime un’inequivocabile opzione a vantaggio
della verità, identificando, infine, quest’ultima con la certezza .
un elemento e una forza motrice, ha un senso che vada al di là del piano puramente pratico
e tecnico? » (M. W, La scienza come professione [], in I., La scienza come professione
— La politica come professione, introduzione di M. Cacciari, trad. it. di P. Rossi e F. Tuccari,
Mondadori, Milano , p. –). Il tema dello specifico affermarsi del razionalismo occidentale, emblematico dell’unicità del mondo moderno, attraversato dalla questione del
conflitto tra magia e razionalità, è brillantemente trattato da Weber nella Sociologia delle
religioni, che, con la sua visione complessiva della cultura umana, valorizza anche la tesi
esposta ne L’etica protestante e lo spirito del capitalismo. Cfr. M. W, Sociologia delle religioni
[–], a cura di C. Sebastiani, introduzione di F. Ferrarotti, UTET, Torino . In effetti
il “disincantamento” si rivela la migliore condizione per l’affermarsi di una razionalità di
tipo strumentale, quale quella espressa dalla mentalità capitalistica. Infatti, l’intellettualizzazione avvalora la convinzione che non sono in gioco forze misteriose incalcolabili e che,
quindi, ogni cosa può essere dominata attraverso il calcolo. Se nell’ambito del processo di
razionalizzazione, pertanto, emerge la convinzione che ogni cosa possa essere calcolata, e
quindi dominata, evidentemente il disincanto erode la convinzione che il mondo abbia un
fine che possa essere svelato: « Il processo di razionalizzazione, avviato dalla stessa religione
della redenzione con la sua ricerca di un senso del mondo, si è sottratto al suo controllo e si
è rivoltato contro di essa. La scomparsa della religione, in un mondo che si colloca sotto il
segno del disincantamento, rimane la parola conclusiva dell’analisi di Weber » (P. R, Max
Weber. Razionalità e razionalizzazione, Il Saggiatore, Milano , p. ).
. Per un’accurata analisi del concetto di razionalità cfr. M. W, Economia e società
[], trad. it. di T. Bagiotti, F. Casabianca, P. Rossi, Edizioni di Comunità, Milano .
. Per una puntuale disamina del percorso che ha portato all’affermazione della scienza
classica, con il suo mito di una ragione astorica in grado di conquistare la trasparenza gnoseologica, e della successiva metamorfosi avviatasi con le rivoluzionarie scoperte scientifiche del
XX secolo, cfr. I. P, I. S, La nuova alleanza. Metamorfosi della scienza [],
a cura di P.D. Napolitani, Einaudi, Torino ; F. C, Il punto di svolta. Scienza società e
cultura emergente [], trad. it. di Libero Sosio, Feltrinelli, Milano ; I., La scienza della
vita. Le connessioni nascoste fra la natura e gli esseri viventi [], trad. it. di D. Didero, Rizzoli,
Milano ; I., La rete della vita, cit.; G. G, A. A, G. G, Complessità e
formazione, ENEA, Roma ; G. G, Le polilogiche della complessità. Metamorfosi della
ragione da Aristotele a Morin, cit.; I., Neostoricismo complesso, Edizioni Scientifiche Italiane,
Napoli ; G. G, Da Einstein a Morin. Filosofia e scienza tra due paradigmi, cit.; I., La

Per un’etica “complessa”
Tutta l’opera di Weber testimonia una tensione irrisolta, che lo
rivela interprete fedele delle dissonanze immanenti alla complessità
della realtà. Nel momento in cui l’uomo ha rinunciato a iscrivere il
senso del suo mondo in un orizzonte metafisico, egli ha rinnovato la
fiducia nella ragione e nella sua capacità critica di conoscere la realtà
senza appellarsi alla trascendenza. In tal modo, con una lettura non
sacrale della realtà, si inaugura anche un nuovo paradigma culturale: il politeismo dei valori. L’impossibilità di condividere un piano
omogeneo di valori decreta, al contempo, la rinuncia a invocare un
medesimo linguaggio etico.
Weber elabora, dunque, una genealogia della moderna condotta razionale e si interroga vigorosamente su come possa evolversi uno stile
di vita etico adeguato; finisce, pertanto, con l’imbattersi inevitabilmente
nell’inquietante interrogativo sul senso attuale della scienza: « Essa è priva di senso perché non dà alcuna risposta alla sola domanda importante
per noi: che cosa dobbiamo fare, come dobbiamo vivere? ».
L’indagine di Weber è altresì mossa dalla consapevolezza che quando la ragione filosofica si smarrisce nella ricerca del senso delle verità
storiche, scopre ineluttabilmente la relatività di ogni significato acquisito e, espropriando l’uomo del conforto offerto da convinzioni
mendaci, lo scaraventa nella contingenza cui appartiene, e lo costringe
a misurarsi con i limiti di una verità da far valere nel suo spazio storico.
Occorre in definitiva rinunciare al mito della trasparenza gnoseologica
offerta dall’edificio dell’onniscienza, prendendo atto che
le costruzioni concettuali della scienza sono un mondo sotterraneo di astrazioni artificiali che cercano, con le loro mani esangui, di cogliere il sangue e
la linfa della vita reale, senza però mai riuscirci. Qui nella vita, in ciò che per
Platone costituiva il gioco d’ombre sulle pareti della caverna, pulsa la vera
realtà: tutto il resto sono fantasmi tratti da essa e privi di vita, e nient’altro .
La ragione tecnica non può, peraltro, in alcun modo emanciparsi
dall’esame della ragione filosofica, proprio in quanto nessuna scienza
offre di per sé la risposta alla domanda sul proprio senso e signififilosofia di Ilya Prigogine, Armando Siciliano, Messina ; G. B, M. C a cura di, La
sfida della complessità, cit.; in merito, si veda anche G. G, Sull’invenzione della verità, in
« Brainfactor » [rivista telematica], , vol., n. .
. M. W, La scienza come professione, cit., p. .
. Ivi, p. .