Novalesa, 25 luglio 2004 La comprensione del mistero cristiano da parte dell’Oriente Relatore : Padre Paolo Maria Gionta «Trinità santissima, abbi pietà di noi; Signore, purificaci dai nostri peccati; Sovrano, perdona le nostre iniquità; o Santo, visitaci nelle nostre infermità e guariscici per amore del tuo nome». Introduzione 1. Oggetto dell’indagine a) Cristianesimo orientale Per Oriente cristiano indichiamo certamente le comunità e le tradizioni cristiane che vivono nell’Est europa e nel medio Oriente, ma anche un certo modo di intendere la fede e la vita cristiana. Vi è cioè un particolare modo di concepire e sperimentare il Vangelo e l’esistenza che ne fluisce il quale è, almeno in parte, differente rispetto a quello occidentale. Tuttavia occorre avere presente anche una due serie di distinzioni: 1) l’Oriente cristiano non è uniforme; una stessa fede si esprime in svariate culture ed è abbracciata da diverse popolazioni;1 2) la Chiesa in Oriente non è unita, ma esistono divisioni. Precisamente tra: o Chiesa ortodossa calcedonese (che riconoscono normativi i primi 7 concili ecumenici); o Chiese ortodosse orientali (non calcedonesi, che accettano solo i primi 3 concili ecumenici); o Chiese orientali unite a Roma (vedi, per esempio, i maroniti o i greco-cattolici). Emerge già subito che non bisogna identificare Oriente cristiano con Ortodossia e Occidente con cattolicesimo, dal momento che in Oriente ci sono Chiese in comunione con Roma. E tuttavia il cristianesimo orientale è, in misura maggioritaria, di espressione ortodossa. b) Teologia Il titolo della conferenza suona: “la comprensione del mistero cristiano da parte dell’Oriente”. Vogliamo cogliere quale è il peculiare modo orientale di capire la fede cristiana. In altre parole, ci chiediamo: qual è la teologia dell’Oriente cristiano? Già emerge una distinzione tra la fede, che è unica, e il modo di comunicarla e di viverla, il quale può variare a seconda dei più diversi fattori, quali la cultura, l’epoca storica, l’età, la condizione sociale e politica, ecc. 2. Prospettiva a) Imparzialità: Non critico; non frettoloso, ma sommo rispetto verso tradizioni magari a noi estranee. Ascoltare e recepire (porsi nella prospettiva altrui), prima di giudicare. b) Eppure la mia prospettiva è immancabilmente “latina”. E ciò in due sensi: - anzitutto che metterò in risalto le posizioni dottrinali più dissimili rispetto al modo in cui le verità della fede ci sono normalmente presentate qui in Occidente; - e poi la prospettiva a partire dalla quale io comprendo una realtà, almeno in parte diversa dalla mia, è per gioco di forza quella nella quale mi sono formato. 1 Cf V. LOSSKY, La teologia mistica della Chiesa d’Oriente, EDB, Bologna 1985, p. 12. 1 3. Evitare facili contrapposizioni Un primo rischio da evitare, è quello di considerare come primo aspetto, nel confronto tra cristianesimo orientale e latino, l’antinomia, la divergenza, affibbiando all’uno e all’altro termini esattamente antitetici. a) Da quelle più puerili Oriente: vero / Occidente: falso o viceversa O almeno: Oriente: genuino / Occidente: contraffatto Oriente: fedele all’eredità apostolica / Occidente: ha perso tutto (cf La Stampa, 4/7/2004) b) A quelle più sottili Oriente: apofatico / Occidente: catafatico Oriente: fissismo / Occidente: progresso Oriente: attesa della Parusia / Occidente: attenzione alla storia Cf Lossky che nota una grande differenza nelle dottrine di carattere pneumatologico ed ecclesiale professate dall’Oriente e dall’Occidente cristiano. Certamente si manifestano in maniera talora contrario (energie increate; concezione della grazia). Tuttavia occorre considerare, prima di ogni giudizio in materia, la ratio per cui una determinata dottrina è professata. Ora spesso la ratio di una tradizione coincide con l’altra o almeno spiega le particolarità che una mette in evidenza. A. La “teologia” Schema della conferenza: - cos’è, per l’Oriente, la teologia e qual è il suo scopo, il suo metodo? - alcune differenze nell’esposizione del dato di fede. 1. Cos’è la teologia? a) Indizio. I personaggi che sono detti “teologi” Giovanni Evangelista; Gregorio Nazianzeno; Simeone il nuovo teologo. Il primo è stato un testimone ed un evangelista; il secondo un profondo espositore della dottrina cristiana, soprattutto in forma poetica; il terzo un mistico, che ha comunicato in catechesi la propria esperienza interiore. La teologia non è dunque, per gli Orientali, un sapere astratto su Dio, ma una conoscenza del mistero tendente all’esperienza, alla contemplazione e all’unione. «Non vi è teologia al di fuori dell’esperienza: bisogna cambiare, divenire un uomo nuovo. Per conoscere Dio bisogna avvicinarsi a Dio; non si è teologi se non si segue la via dell’unione con Dio»2. Evagrio Pontico, De oratione, 60: «Se sei teologo pregherai veramente e se preghi veramente tu sei teologo». Gregorio Nazianzeno, Oratio XXXII,12: «Nessuno può conoscere Dio se non è Dio stesso che insegna […] Non vi è altro mezzo per conoscere Dio che vivere in lui». «Parlare di Dio è cosa grande, ma è ancora meglio purificarsi per Dio». Archimandrita Sofronio, I fondamenti dell’ascesi ortodossa, p. 12: «Nella realtà effettiva della vita ecclesiale, la teologia viene intesa anzitutto come un “dimorare in Dio”. L’esistenza di una teologia astratta, quale scienza accademica, sebbene appaia in qualche modo inevitabile per la Chiesa di Cristo nella cornice delle condizioni storiche di questo mondo, cova sempre il pericolo di una scissione dalla vita autentica dello Spirito e può 2 V. LOSSKY, La teologia mistica della Chiesa d’Oriente, p. 34. 2 facilmente condurre a teorie filosofiche contrassegnate da una fede spuria o addirittura prive di fede, teorie alle quali manca la forza capace di salvarci e di rinnovarci». 2. Legame tra teologia, liturgia e ascesi Sono presupposti, fonti e ambiti della vera teologia. 3. Prossimità ai Padri Lo sforzo di comprendere e di spiegare la fede – cioè la teologia – è inteso in Oriente come un impegno a non discostarsi in nulla dalla sostanza della Tradizione primitiva. L’Ortodossia «nulla ha mutato nel deposito apostolico della fede. Se oggi il suo pensiero teologico fa sorprendenti progressi, l’Ortodossia nella sua spiritualità, nella sua preghiera e nella sua coscienza dogmatica rimane ancora identica almeno alla Chiesa del VII concilio ecumenico (787), all’Una Sancta prima di ogni separazione, quando essa non rifletteva che il passato ancora così recente degli apostoli»3. Questo spiega: il carattere normativo assoluto accordato ai primi sette concili ecumenici, al di fuori dell’insegnamento dei quali non si deve andare; il costante riferimento ai Padri. Il modo che i Padri della Chiesa avevano di fare teologia costituisce il modello per la Chiesa; e ciò nei temi, nello spirito, nel metodo. In ciò la tradizione occidentale si è mostrata meno ligia a tale modello: essa ha usato metodi e prospettive diverse, a seconda delle condizioni culturali e temporali, ma sempre in fedeltà piena alla Scrittura ed alla Tradizione. 4. Metodo non scolastico Ne deriva anche che in Oriente non si è cercato come in Occidente di definire, di distinguere, di analizzare nel dettaglio i vari aspetti del dogma e della morale cristiani. Non si è adottato un metodo scolastico, che prendesse in esame, con l’aiuto della filosofia, le possibili obiezioni al dato rivelato e le confutasse, in modo da giungere ad una comprensione più esaustiva di esso. Risulta quindi un metodo che presenta le verità in maniera spesso più sfumata, meno dettagliata. Facciamo due esempi: Le distinzioni riguardanti il peccato - - Se la teologia occidentale designa con “peccato” un atto, distinguendolo dal vizio che è una disposizione che spinge al peccato, in Oriente il peccato è uno stato, un essere, una condizione cioè che rende estranei a Dio. Per farmi capire, non si dirà tanto: «Ho peccato!», quanto: «Sono peccatore!». Circa la responsabilità, non ci sono troppe differenze tra peccati volontari ed involontari, ma si è colpevoli di entrambi. Circa la gravità, non si distingue tra atto mortale e veniale. La grazia e il libero arbitrio In Oriente si presta attenzione alla sinergia dei due, senza giungere ad espungere l’uno o l’altro degli elementi, ma lasciandoli interagire senza pretendere di delimitare i confini delle rispettive competenze. 5. Tendenziale apofatismo4 Senso del mistero Conseguenze: il dogma Dogma: caratterizzato da una certa antinomia 3 P. EVDOKIMOV, L’Ortodossia, Il Mulino, Bologna 1965, pp. 8-9. Cf V. LOSSKY, La teologia mistica della Chiesa d’Oriente, pp. 19-38; K. Ch. FELMY, La teologia ortodossa contemporanea, Queriniana, Brescia 1999, pp. 49-69; SOFRONIO, Ascesi e contemplazione, Servitium Interlogos, Sotto il Monte 1998, pp. 87-91. 4 3 Non adattare il dogma alla nostra portata, al nostro modo di intendere, per renderlo comprensibile e chiaro. Al contrario esso ci invita a trasformare il nostro spirito e ad ancorarci alla realtà da esso veicolata. 6. Acquisizioni da parte cattolica di dati particolarmente evidenziati nell’Ortodossia Lessius e la teologia positiva, che si rifà ai Padri (oltre – naturalmente – che alla Scrittura) Dimensione sapienziale della teologia B. La Trinità Passiamo ora, dopo aver affrontato brevemente questioni di metodo, più da vicino ad enucleare le più vistose differenze rispetto all’Occidente nel comprendere la verità rivelata. Considereremo in particolare due soli aspetti: il mistero di Dio e quello della Chiesa. [Lossky distingue due generi di verità dogmatiche: - cristologiche, comuni nella sostanza, tra Occ. Ed Or.; - pneumatologiche, ecclesiali, sulla grazia: sostanzialmente diverse. Ciò dipende dal Filioque]5 1. Insegnamento della Chiesa Ortodossa a) Verità fondamentale, vitale, non accessoria (cf Felmy, p. 77). Per noi latini la Trinità è sovente una verità da catechismo, da imparare a memoria, oppure una verità speculativa6. K. Rahner diceva che il più delle volte la vita di un cristiano – nell’ipotesi che il dogma trinitario cadesse – non cambierebbe in niente! Per la Chiesa ortodossa, no: è una realtà vitale, il dogma fondamentale, su cui si basa tutta la vita della comunità e dei fedeli. b) Differenza tra la concezione latina e quella orientale In Occidente, la teologia si è tradizionalmente rifatta ad Agostino e Boezio: si considera prima l’unità di essenza; in Dio tutto è comune, a meno che non intervenga un’opposizione di relazioni. “Dio” indica pertanto l’unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. In Oriente, in fedeltà al vocabolario del NT, si considerano prima le Persone; “Dio” è il Padre7. c) Prima le Ipostasi Il dato primo della fede cristiana, irrinunciabile, offerto all’obbedienza credente e non scoperto dalla ragione, sono le tre divine Persone. Per Basilio Magno che, riguardo al mistero trinitario, le tre Ipostasi rappresentano il kerygma, la loro unità invece il dogma8. Ciò corrisponde all’importanza dell’esperienza nell’Ortodossia. 5 Cf V. LOSSKY, La teologia mistica della Chiesa d’Oriente, p. 232. É pur vero tuttavia che, anche circa la cristologia, l’A. nota delle differenze (vedi più oltre). Inoltre altri teologi non ritengono così determinante la differenza comportata dal Filioque. 6 Cf D. STANILOAE, Der Ausgang des Heiligen Geist vom Vater und seine Beziehung zum Sohn als Grundlage unserer Vergöttlichung und Kindschaft, in L. VISCHER, Geist Gottes-Geist Christ. Ökumenische Überlegungen zur FilioqueKontroverse. Bericht und Vorträge zweier Tagungen auf Schloß Klingenthal (Frankreich), Frankfurt 1981 = ÖR.B 39, p. 156: «In Occidente le relazioni tra le divine Persone sono viste quasi esclusivamente come un problema intratrinitario, come una questione della teologia speculativa, senza influsso sulla vita pratica o sulla salvezza dell’uomo nel senso della sua trasformazione. In Oriente, invece, le relazioni trinitarie sono comprese come fondamento del rapporto della Trinità con la creatura e la sua salvezza». 7 Cf ŠPIDLIK Thomas, La spiritualité de l’Orient chrétien. Manuel systematique, Pontificio Istituto Orientale, Roma 1978, pp. 47-48. 8 Cf K. Ch. FELMY, La teologia ortodossa contemporanea, p. 79. 4 In Occidente, invece si tende a porre in primo piano il fatto dell’unità: esiste un unico Dio, distinto in tre Persone. Noi consideriamo prima l’essenza divina, la divinità, per passare poi alle Persone. Gli Orientali in questo ci accusano di: - impersonalismo; - intellettualismo (cf Felmy, pp. 63ss.); - mistica dell’essenza (cf Lossky, p. 59). d) La “monarchia” del Padre9 Dio, il Padre, è il Creatore del cielo e della terra, il principio del mondo. In ambito trinitario egli è anche il principio del Figlio e dello Spirito Santo. Le altre Persone divine derivano da Lui, ed è in rapporto di dipendenza da Lui che sono “Dio”. Egli è così anche il principio dell’unità divina. In altre parole, il Figlio e lo Spirito Santo non sono “Dio” in quanto partecipano dell’unica essenza divina, ma in quanto procedono entrambi dal Padre. Si parte da Lui, non dall’essenza divina. Il Padre è il fondamento dell’unità nella Trinità e dell’identità di sostanza. Dubbio: è subordinazionismo? Gregorio Nazianzeno, Sul santo battesimo, discorso XL, 43: «Mi sarebbe piaciuto esaltare il Padre come il più grande, Egli dal quale gli uguali ricevono la loro uguaglianza e al tempo stesso il loro essere… ho timore tuttavia di fare del Principio un principio di inferiori e di offenderlo così pur volendolo esaltare, perché la gloria del Principio non consiste nell’abbassamento di coloro che procedono da Lui». 2. Conseguenze 1. Da noi in Occidente si è sottolineato piuttosto l’aspetto dell’unità dell’essenza divina, perdendo di vista spesso le Persone e il rapporto con esse. La Trinità è una realtà da riscoprire: il nostro Dio è Padre, è Figlio, è Spirito Santo. E questo non solo teoricamente o nella professione di fede, ma esistenzialmente. Partecipare alla vita delle Tre divine Persone. 2. è comunque vero che la distinzione in tre Persone e l’Unità sono aspetti entrambi essenziali La Scrittura insiste su entrambi, e con altrettanto vigore; e rimane comunque il dato della incomprensibilità divina. Gregorio Nazianzeno, Sul santo battesimo, discorso XL, 41: «Non ho ancora cominciato a pensare all’unità, che la Trinità mi inonda del suo splendore; non ho ancora cominciato a distinguere i Tre, che l’unità mi afferra. Quando mi rappresento uno dei Tre, penso che sia il Tutto; il mio sguardo ne è riempito e la maggior parte mi è sfuggita. Non sono in grado di comprenderne la grandezza e ne lascio così la maggior parte a quanto rimane fuori della comprensione. Quando unisco i Tre nella contemplazione, vedo una sola fiamma, e non posso distinguere o misurare la luce unificata». 3. Il “Filioque” Differenze tra Chiesa latina e ortodossa Obiezioni mosse al Filioque da parte orientale: non è stato definito da nessun concilio ecumenico, e anzi il Papa Leone III, pur accentandolo nel contenuto, ne ha rifiutato l’inserimento nel simbolo di fede; affermando che lo Spirito procede anche dal Figlio, si introdurrebbe nella Trinità un doppio principio, una diarchia; il Padre ed il Figlio non verrebbero più, in relazione allo Spirito Santo, considerati nella loro identità personale; lo Spirito Santo sarebbe relegato in second’ordine, rispetto al Padre, nella Trinità; 9 Cf K. Ch. FELMY, La teologia ortodossa contemporanea, pp. 80-81. 5 in tal modo si mette in assoluto risalto la funzione di Cristo, giungendo anche, in ambito ecclesiologico, quasi a identificare la Chiesa con Cristo e ad assolutizzarne le istituzioni (cristomonismo). 4. Il ruolo dello Spirito Santo L’Oriente afferma spesso che noi abbiamo, con l’introduzione del Filioque, trascurato di evidenziare il ruolo proprio dello Spirito Santo nella vita della Chiesa e del cristiano, relegandone la funzione a quella di proseguire l’opera di Cristo glorificato. Al contrario la Chiesa ortodossa lo vede protagonista di azioni fondamentali: - nella liturgia, in particolar modo in quella eucaristica, in cui la consacrazione dei doni è collegata all’epiclesi (invocazione della discesa dello Spirito Santo); anzi, spesso l’intera preghiera eucaristica prende il nome di “epiclesi”; - nella concezione della Chiesa, come corpo vivente in cui l’unità non annulla la diversità; - nella vita di grazia del fedele, tanto che san Serafino di Sarov vede nella ricezione dello Spirito Santo lo scopo della vita cristiana. 5. Le energie incerate La dottrina delle energie incerate è assunta da molti teologi ortodossi contemporanei come veramente fondamentale nel pensiero orientale, quasi una verità che segna – con le conseguenze che comporta per la teologia e la vita spirituale – la differenza fondamentale con il pensiero latino. Infatti essa garantisce, da una parte, l’inaccessibilità e l’incomunicabilità assoluta dell’Essenza divina, e dall’altra la possibilità per l’uomo di partecipare veramente ad essa. In questo senso si esprimono sia Lossky10 che Evdokimov,11 mentre l’archimandrita Sofronio ne fa un aspetto determinante del dogma trinitario12. Altri teologi poi sottolineano, come Christos Yannaras13 e Giorgio di Grigoríou14, il fatto che la perdita della distinzione tra essenza divina ed energie increate avrebbe comportato in Occidente una serie di conseguenze nefaste, quali una mistica intellettualistica e persino i presupposti della secolarizzazione attuale. C. Ecclesiologia 1. Coscienza di essere la vera Chiesa La Chiesa Ortodossa è la Chiesa una, santa, cattolica e apostolica del Simbolo di fede. Le altre comunioni ecclesiali rappresentano delle eresie o degli scismi dall’antica Chiesa cattolica, che prosegue nell’insieme delle Chiese Ortodosse. E la Chiesa romano-cattolica? Non c’è uniformità tra gli Ortodossi circa la comprensione della Chiesa cattolica e del fatto se essa sia veramente una “chiesa”. Una concezione afferma che «quando la Chiesa occidentale romana sotto il papa si staccò dalla vera Chiesa cattolica ed ortodossa dei primi otto secoli, a causa delle sue arroganti pretese, innovazioni nel dogma, nella liturgia, nella disciplina […], la genuina Chiesa ortodossa e cattolica comprende soltanto le Chiese locali dell’Oriente, che convengono nella fede ortodossa, e queste costituiscono la Chiesa apostolica ortodossa, la vera e canonica continuazione dell’antica Chiesa cattolica anteriore allo scisma»15. 10 Cf V. LOSSKY, La teologia mistica della Chiesa d’Oriente, pp. 61-82. Cf P. EVDOKIMOV, L’Ortodossia, pp. 34-37. 12 Cf SOFRONIO, Ascesi e contemplazione, Servitium, Sotto il Monte 1998, pp. 93-98. 13 Cf Person und Eros. Eine Gegenüberstellung der Ontologie der griechischen Kirchenväter und der Existenzphilosophie des Westens, Göttingen 1982. 14 Cf Voci dal Monte Athos, Servitium, Sotto il Monte 1994, pp. 50-55. 15 RHOSSE, pp. 23-24. 11 6 Ma c’è anche chi ha un’idea differente e considera la Chiesa cattolica come una chiesa in senso stretto, una comunità cioè in grado di offrire la grazia divina ai suoi membri. E tra questo gruppo vi sono nomi prestigiosi della teologia greca e russa: Pavel Svetlov, Vladimir Solov’ev, Vassilij Molotov, Nikolàj Berdjàev, Sergij Bulgàkov, Nikolàj Afanàs’ev, Pavel Evdokìmov. Un altro esponente di questa corrente, Filerete Drozdov (1772-1867), così si esprime: «Entrambe le metà della Chiesa visibile, come identiche nell’essenziale, sono ugualmente membri o parti dell’unico Corpo della Chiesa Universale, ma si differenziano per il grado di purezza da esse espresso del vero Spirito di Cristo […] Sotto questo aspetto la priorità spetta alla Chiesa orientale, in quanto insegna la dottrina pura, che porta all’unione con lo Spirito di Cristo e che non si discosta nella sua professione di fede dall’antica Chiesa universale, per cui per il suo spirito è più fedele o più corrispondente allo Spirito Divino. La Chiesa orientale è la Chiesa puramente vera, membro fortissimo e più sano nel grande Corpo della Chiesa universale. La Chiesa occidentale, invece, avendo mescolato alla verità divina false opinioni umane, è una Chiesa non puramente vera e, secondo il nostro giudizio umano, membro debolissimo e meno sano della Chiesa, Corpo di Cristo, ma curato in vari modi dal Signore e Capo, dove sullo stesso fondamento di Cristo si costruisce utilizzando legno, fieno e stoppia». Conseguenza: questione della validità dei sacramenti al di fuori della Chiesa La forte coscienza di essere vera Chiesa, unita senz’altro a dissidi radicati nella storia e da una marcata diffidenza verso l’Occidente latino, provoca anche una certa reticenza circa la validità dei sacramenti conferiti fuori dall’Ortodossia e circa l’intercomunione. Fondamento di questa consapevolezza Ma perché la Chiesa Ortodossa si ritiene la vera (e l’unica, almeno per alcuni) Chiesa di Cristo? E perché quella romana non lo è? La ragione sta fondamentalmente nel ritenere che la Chiesa Ortodossa ha conservato l’autentica fede cristiana, senza aggiunte (come i cattolici) e senza mutilazioni (come i protestanti). La fede costituisce un deposito affidato alla Chiesa dagli Apostoli, precisato nel corso dei secoli dai Concili ecumenici, convocato per ribattere pericolose opinioni eretiche, e valido per ogni generazione umana che ha il diritto di vederselo porgere intatto. La funzione fondamentale della società ecclesiale è infatti quella di garantire l’accesso alla verità ed alla grazia divina concessaci per mezzo dell’opera salvifica compiuta dal Signore Gesù e dell’azione dello Spirito Santo. In questo senso essa è «colonna e fondamento della verità» (1 Tm 3,15), come recita un titolo di un famosissimo libro di Pavel Florenskij (Rusconi, Milano 19982; ed. orig. 1914). La fedeltà alla Tradizione apostolica è un valore fondamentale della Chiesa Ortodossa; ed è proprio la coscienza di possederla, a differenza delle altre confessioni cristiane, a spingere gli ortodossi a ritenersi l’unica vera Chiesa di Cristo. 2. Concezione della Chiesa a) Alta idea di Chiesa Icona della Trinità L’insieme dei credenti in Cristo partecipa alla vita divina di Dio Padre per mezzo dell’opera dello Spirito Santo. È la stessa vita divina che i fedeli assaporano e condividono, specialmente nella liturgia ecclesiale. Ma la Chiesa, oltre che a partecipare per grazia alla vita trinitaria, ha anche un’analogia con la vita trinitaria stessa: essa infatti unisce una moltitudine di esseri umani, senza che il loro legame di unità ne distrugga la personalità individuale. 7 Corpo vivente di Cristo Tempio dello Spirito Santo La possibilità di accedere alla grazia nella Chiesa deriva dal suo essere assistita – e anzi, attraversata da cima a fondo – dallo Spirito Santo. Alcuni autori, in particolare Vladimir Lossky, affermano che nella Chiesa sono distinguibili due principi in un certo senso indipendenti l’uno dall’altro, uno riconducibile a Cristo e tendente all’unità, l’altro appropriato allo Spirito e consistente nel comunicare la vita divina alle singole persone16. Compimento della creazione Seguendo il pensiero dei Padri l’Ortodossia, ma specialmente la teologia russa, afferma che la Chiesa era già il progetto che Dio aveva per l’umanità allorché creò il mondo. Una volta restaurato il piano divino per mezzo dell’incarnazione del Figlio, non solo l’umanità ma il cosmo intero diverrà partecipe del destino di comunione con Dio che è il retaggio della Chiesa. b) Comunione di Chiese locali Per l’Oriente la Chiesa è una comunione di Chiese locali autocefale, ossia relativamente indipendenti in modo che esse hanno il diritto di eleggere il loro primate senza che sia necessaria l’approvazione di un’altra Chiesa17. Normalmente i cattolici partono, come per la concezione della Trinità, dal tutto e discendono poi alle parti; invece gli ortodossi partono dalle Chiese particolari per giungere al concetto e alla realtà di Chiesa universale18. Vediamo un po’ più da vicino, anche se sinteticamente, come stanno le cose. (1) La pienezza della Chiesa locale Ogni comunità cristiana facente capo ad un vescovo rappresenta un’entità che gode della pienezza apostolica. Non vi manca nessun elemento fondamentale. Fondamento addotto a questa pienezza è, soprattutto a partire dal teologo Nikolàj Afanàs’ev, la considerazione della celebrazione eucaristica celebrata dal vescovo e dalla sua comunità, come realizzazione piena, anche se anticipata in rapporto alla situazione escatologica, della Chiesa cattolica congiunta a Cristo suo Capo (ecclesiologia eucaristica)19. (2) La comunione tra le Chiese locali Ma la tradizione testimonia che Chiesa locale non può considerarsi assolutamente indipendente; al contrario essa è in comunione, tramite i vincoli dell’unica fede e della carità, con le altre Chiese locali. In tal modo la Chiesa universale è concepita come la comunione delle varie Chiese locali. E segno di tale comunione è la comunione tra i vescovi rispettivi. c) Conciliarità. Idea e organizzazione Concezione fondamentale della Ortodossia è la conciliarità o sinodalità (in slavo sobornost’. Sobornaja è il corrispettivo slavo di καθολικη). Essa si esprime a livello tanto locale quanto a più largo raggio. 16 V. LOSSKY, La teologia mistica della Chiesa d’Oriente, pp. 156-165; 167ss. Cf G. CIOFFARI, L’ecclesiologia ortodossa. Problemi e prospettive, «Quaderni di o odigos», Centro ecumenico “S. Nicola”, Bari 1991, pp. 33-34. 18 Cf P. EVDOKIMOV, L’Ortodossia, p. 38. 19 Cf K. Ch. FELMY, La teologia ortodossa contemporanea, pp. 230-251; M. STAVROU, Linéaments d’une théologie orthodoxe de la conciliarité, «Irénikon» 76 (2003/4), pp. 480-484. 17 8 (1) A livello locale La Chiesa è descritta compiutamente dall’assemblea eucaristica presieduta dal vescovo, circondato dal suo presbiterio e dai diaconi, ma cui partecipano come elemento irrinunciabile anche i laici. Conseguenze: concezione “relazionale” del ministro ordinato: egli è inconcepibile senza una porzione di popolo; egli è posto a suo servizio; l’Eucaristia non può essere celebrata solo dal ministro; la recezione del popolo di una decisione gerarchica è necessaria affinché essa sia riconosciuta valida (cf Concilio di Firenze e risposta dei Patriarchi ortodossi a Pio IX, 1948). (2) A livello interecclesiale Le decisioni che riguardano problemi comuni sono prese dal sinodo dei vescovi di una stessa zona. Si sono costituite così nella storia alcune forme organizzative che possiamo distinguere in: metropolie e patriarcati (cui si aggiungono le Chiese nazionali autocefale, formatesi a partire dal XIX secolo). Nella pratica: difficoltà di vivere la comunione e l’autocefalia. d) Primato e conciliarità Nonostante questa dimensione sinodale della Chiesa ortodossa, l’istanza dell’autorità pastorale è comunque forte. In seno ad ogni Chiesa locale, il vescovo, successore degli apostoli, esercita il servizio dell’autorità. Ma anche a livello più vasto, nelle province ecclesiastiche e nei patriarcati, vi è posto per l’esercizio di una forma particolare di governo personale. I metropoliti, da una parte, e i patriarchi dall’altra sono il punto di riferimento delle rispettive circoscrizioni ecclesiastiche. Importante comprendere che per la mentalità ortodossa, in seguito anche al confronto polemico con l’organizzazione della Chiesa cattolica, il ruolo del primate dev’essere inteso in equilibrio ed in simbiosi con l’istanza conciliare: non si dà esercizio puramente individuale dell’autorità. A questo riguardo gli Ortodossi amano rifarsi al 34° canone apostolico (di origine siriana nel IV secolo. Vedi anche il 9° canone del Concilio di Antiochia, 340): «Conviene che i vescovi di ciascun popolo sappiamo chi tra di esse è il primate e lo riconoscano come loro capo e non facciano nulla che vada al di là dell’ordinario senza il suo consenso, e che ognuno regoli solamente tutti gli affari della propria diocesi. Ma anche che il primate non faccia niente senza il consenso di tutti gli altri». Rimane discusso tra gli ortodossi se il primato sia solo onorifico – come spesso è nella pratica – e cioè si manifesti quasi solo nella presidenza di celebrazioni comuni o anche comporti una qualche giurisdizione20. e) Il Primato petrino Attualmente, tra le varie Chiese autocefale, non esistono strutture conciliari ordinarie. Ed è un fatto le cui conseguenze negative si sentono. Molti teologi ortodossi si dimostrano pronti a riconoscere un esercizio del ministero del Papa di Roma, che rispecchi quello esercitato nel primo millennio, nel corso del quale egli rappresentava un’istanza di arbitraggio dei dibattiti dottrinali e dei giudizi disciplinari. Il concilio di Sardica (343) 20 Quest’ultimo è il parere di M. Stavrou: «Le métropolite jouit d’une véritable primauté dans l’exercice de ses responsabilités, pour ce qui touche à la vie commune des différentes Églises locales (questions doctrinales, excommunications, etc.) mais il ne peut rien décider sans l’adhésion unanime de ses pairs» (Linéaments d’une théologie, cit., p. 488). 9 prevedeva il ricorso a lui nel caso di disaccordo tra un vescovo ed il suo metropolita, come pure gli era riservata la presidenza dei concili ecumenici. La forma che l’esercizio del primato del vescovo di Roma assunse a partire dall’XI secolo, con la lotta delle investiture, e consistente in una progressiva centralizzazione e riserva di decisioni ecclesiastiche non è accettabile per gli ortodossi. Naturalmente ciò vale a maggior ragione del la definizione del concilio Vaticano I del primato di giurisdizione su tutta la Chiesa e l’infallibilità in materia di fede e di costumi. Evdokimov chiama la questione del primato la “pietra d’inciampo” (cf Mt 16,17-19) nel dialogo tra Cattolici ed Ortodossi. 3. Riflessioni da parte cattolica a) Acquisizioni da parte cattolica di dati particolarmente evidenziati nell’Ortodossia La Chiesa, icona della Trinità La comunione Il concetto di Chiesa locale, che si edifica e si esprime attorno all’Eucaristia celebrata dal Vescovo Il compito episcopale e presbiterale in chiave di servizio La collegialità episcopale b) La questione del primato (1) Appartiene al deposito rivelato Un ministero che garantisca l’unità e la comunione tra i fedeli di tutte le comunità particolari è necessario. Ma il dato della fede va al di là delle rilevazioni sociologiche. Ebbene la Rivelazione cristiana contiene la verità del primato del vescovo di Roma, in quanto successore di Pietro. La coscienza del primato, pur essendo presente fin dall’epoca apostolica, si è resa via via più chiara con l’andare avanti del cammino della Chiesa. (2) Distinzione tra verità dogmatica e forma di esercizio (3) Il primato all’interno della vita della Chiesa Sappiamo che il primato del vescovo di Roma sull’intera Chiesa è la “pietra d’inciampo” nel rapporto con i fratelli ortodossi; è quindi doveroso affrontarlo in tutta la sua serietà. E tuttavia esso non è che un aspetto della vita della Chiesa, la cui ricchezza e le cui risorse vanno ben al di là di lui. Anzi il primato è al servizio del bene e dell’unità della Chiesa. È dunque all’interno della vita della Chiesa, considerata nella sua pienezza, che va colto e affrontato il problema del primato. PONTIFICIA COMMISSIONE BIBLICA, L’église cit aujourd’hui. Unité et diversità dans l’église, 11-15 aprile 1988, B.2.2. : «Grazie a questo amore diffuso dallo Spirito nei cuori, grazie alla frazione del pane, grazie alla testimonianza dei Dodici, fra cui Pietro, il “primo” (Mt 10,2), è incaricato da Gesù di pascere le sue pecorelle, grazie alla predicazione di Paolo, continuata dai suoi collaboratori, Tito e Timoteo, grazie al messaggio dei quattro Vangeli, l’unità della Chiesa di Cristo si realizza in mezzo a ogni diversità. Essa è la riconciliazione dei popoli divisi dall’odio. Per la misericordia di Dio, per l’opera di Cristo risorto e per la potenza dello Spirito, l’unità della 10 Chiesa può superare divisioni apparentemente insuperabili. In essa, le legittime diversità trovano una meravigliosa fecondità». Conclusione Ritorniamo ad una distinzione che facemmo in apertura, quella tra fede (che è sostanzialmente identica) e dottrine teologiche (che possono divergere). Tuttavia: • in qualcosa c’è realmente differenza tra Chiesa cattolica e Chiese ortodosse in ambito di fede (cf primato petrino) • la dottrina teologica, anche se si pone ad un livello differente rispetto alla fede, ha comunque il suo peso, è importante; determina particolari accentuazioni spirituali e istituzionali (vedi quanto detto a proposito delle acquisizioni che i cattolici hanno potuto maturare, grazie al confronto con la teologia orientale). 11