La storia della luce CORSO DI EPISTEMOLOGIA E STORIA DELLA FISICA Professor Lenisa Paolo Parte quarta: il colore e l’astronomia Nicola Carollo Moreno Arcieri , Nicola Carollo , Anna Claudia Chierici, Roberto Compagno - TFA A049 La storia della luce Leucippo aveva postulato che tutte le sensazioni fossero dovute al contatto diretto con l’organo di senso. Per la visione questo contatto si verifica sotto forma di flussi di eidola, che effluiscono dall’oggetto verso l’occhio (V secolo aC). Per Epicuro la formazione dell’immagine non avviene direttamente nella pupilla ma nell’aria tra l’oggetto e l’occhio: l’aria viene contratta e solidificata e colorata ed è questo che appare nell’occhio. L’immagine è materiale (341-271 aC). Le teorie che prevedono il contatto nella direzione dall’occhio verso l’oggetto sono dette “emissioniste o estromissive”, in quanto si pensava che fossero gli occhi a emanare una sorta di raggi che interagivano con l’oggetto; quelle per le quali l’origine risiede nell’occhio sono le teorie “immissioniste o intromissive”, e prevedono che sia l’oggetto ad emettere qualcosa che porta con sé la caratteristica “colore”. Moreno Arcieri , Nicola Carollo , Anna Claudia Chierici, Roberto Compagno - TFA A049 La storia della luce Secondo Empedocle (V secolo aC) e Platone (428-347 aC) gli effluvi vengono emessi indipendentemente dal fatto che vengano percepiti da qualcuno. Il colore non è una percezione, ma un effluvio fisico, reale ed oggettivo. Per Empedocle la luce era fiamma in movimento, anche tra il Sole e la Terra. Aristotele (384-322 aC) pensava che ciò che si vede degli oggetti visibili è il colore che si trova sulla superficie dell’oggetto osservato. Per Aristotele il “vedere”, cioè il contatto tra oggetto osservato e osservatore viene stabilito mediante un medium intermedio, che si sposta nello spazio. Il colore è ciò che ricopre la superficie degli oggetti quando c’è luce, e gli oggetti diventano visibili. I peripatetici ribaltarono l’idea del fondatore, ritenendo che fosse la luce a muoversi tra l’oggetto e l’osservatore, non il mezzo. Può essere riflessa da un corpo o attraversarlo, assumendone proprietà quali il colore. Svilupparono una teoria della tricromia con il bianco, il giallo e il nero. Moreno Arcieri , Nicola Carollo , Anna Claudia Chierici, Roberto Compagno - TFA A049 La storia della luce Galeno (129-216 dC) immagina che lo spirito visivo (il pneuma) scenda dal cervello lungo il nervo ottico (che per Galeno è cavo) fino all’occhio ed emerga dall’occhio per una breve distanza trasformando l’aria circostante, che quindi diventa un’estensione del nervo ottico. L’aria stessa percepisce l’oggetto con il quale è in contatto e ritorna la sua percezione all’occhio, al nervo ottico e alla fine, all’anima. L’aria è dunque uno strumento dell’occhio. Per Al Kindi (801-866 dC) i raggi visivi sono luminosi ed emessi dall’occhio, e la loro propagazione produce luci ed ombre, come dimostrano gli esperimenti. Confuta la teoria intromissiva notando che dovremmo vedere simultaneamente tutto ciò che sta nel campo visivo e con eguale acuità (precedendo in un certo senso il paradosso di Olbers, in realtà anticipato da Keplero)… Moreno Arcieri , Nicola Carollo , Anna Claudia Chierici, Roberto Compagno - TFA A049 La storia della luce Con il filosofo persiano Avicenna (980-1037 dC) (Abu Ali al Husain Ibn Sina, a lato) si avvia il dibattito sulla distinzione tra lux (qualità luminosa degli oggetti, ma anche sostanza materiale o immateriale origine della luminosità che si osserva nel fuoco o nel Sole) e lumen (l’effetto della lux sui corpi non luminosi). Alhazen (965-1039 dC) (Ibn al-Haytham) ammette l’esistenza di un agente fisico esterno all’individuo, la luce; la visione avviene per raggi emessi da ogni punto dell’oggetto verso l’occhio. Ogni punto dell’occhio riceve un raggio di luce (lux) da ogni punto della scena osservata, ma solo uno di questi incide perpendicolarmente sulla superficie dell’occhio e produce la visione, che avviene sul cristallino. Averroè (1126-1198 dC) (Abu-I-Walid Ibn Rashid) identifica nella retina l’organo fotosensibile, e non nel cristallino. Moreno Arcieri , Nicola Carollo , Anna Claudia Chierici, Roberto Compagno - TFA A049 La storia della luce Johannes Kepler (1571-1630 dC) descrive la funzionalità della retina e paragona l’occhio alla camera oscura. Per Keplero tutti i raggi di luce emessi da un punto di un oggetto contribuiscono alla visione, e devono convergere in un singolo punto, grazie al cristallino. Parla dell’immagine come di una pictura sulla retina. Quello che succede oltre la retina e i nervi ottici, Keplero lo considera un argomento che compete ai fisiologi (physicis), non più agli studiosi di ottica quale lui è. Pone però una importante domanda: vediamo con il cervello o vediamo con gli occhi? Galileo Galilei (1564-1642 dC) è il primo ad utilizzare il cannocchiale per indagare l’universo immutabile. L’astronomia ha il privilegio di osservare il laboratorio di fisica migliore che esista: il nostro universo. Deve però rinunciare a replicarne i fenomeni. Galileo osservò il mondo cercando di isolare i parametri necessari alla comprensione di un problema, da tutto ciò che risultava superfluo. Contrariamente ai contemporanei Cartesio e Keplero, considerava finita la velocità della luce, anche se non riuscì a misurarla nei suoi esperimenti. Moreno Arcieri , Nicola Carollo , Anna Claudia Chierici, Roberto Compagno - TFA A049 La storia della luce Christiaan Huygens (1629-1695 dC) nel suo Dioptrica parla diffusamente delle aberrazioni, da quelle sferiche a quelle cromatiche, creando le basi per la moderna teoria ottica. Riteneva che la luce si propagasse per effetto del moto nella sostanza eterea. Il suo Traitè de la lumière venne ritardato dalla pubblicazione della New theory about light and colors di Newton e dall’osservazione di Ole Rømer (1644-1710 dC) sulla finitezza della velocità della luce (nata dalla questione posta da Filippo II di Spagna, a cui rispose anche Galileo). Pensava che la luce avesse un’origine meccanica, e si propagasse come le onde sulla superficie di uno stagno, quando si getta un sasso nell’acqua. Boyle con una pompa a vuoto aveva però già dimostrato che la luce si propaga anche in assenza di aria, da cui l’idea dell’etere, sostanza molto più sottile. Rielaborando la teoria ondalutaria di Hooke introdusse l’emissione luminosa, per cui ogni punto del fronte d’onda ne produce a sua volta altri. Moreno Arcieri , Nicola Carollo , Anna Claudia Chierici, Roberto Compagno - TFA A049 La storia della luce Isaac Newton (1642-1727 dC) ebbe per primo l’intuizione che la relazione tra lo stimolo luminoso e la percezione del colore si potesse rappresentare con un modello matematico. Tra il 1665 e il 1666, Newton aveva osservato che la luce del sole, fatta passare attraverso un prisma, si scompone in una serie di colori (è il fenomeno della “dispersione della luce”), a causa della diversa rifrattività dei raggi che la compongono. Newton chiama questa serie di colori “spettro”. Quando questi diversi raggi sono mescolati, l’apparato visivo percepisce un colore diverso da quelli che percepirebbe se fossero separati. Il colore è quindi una percezione soggettiva, causata da uno stimolo oggettivo, la luce, ma sono anche una qualità della luce stessa. La possibilità di dividere la luce nei suoi componenti ne decreta la natura corpuscolare. Ignorò però completamente l’esperimento della doppia fenditura di Huygens, dandone anche un’interpretazione errata. Bisognerà aspettare Thomas Young per capire le ragioni fisiche del fenomeno, con l’interferenza costruttiva e distruttiva. Fresnel, applicando il principio di Huygens ad una sorgente di luce monocromatica coerente, spiegò come ottenere cerchi scuri e luminosi per effetto della diffrazione. Moreno Arcieri , Nicola Carollo , Anna Claudia Chierici, Roberto Compagno - TFA A049 La storia della luce L’ipotesi tricromatica afferma che ogni colore può essere ottenuto come mescolanza di tre colori detti “primari” in proporzioni diverse; quindi è in contrasto con gli infiniti colori primari di Newton. Per Thomas Young (1773-1829 dC) il tricromatismo è causato dalla fisiologia del sistema visivo, cioè è causato dall’occhio e non da proprietà della luce; non esistono colori “primari” ma tre tipi di elementi sensibili al colore nella retina. E’ questa la prima teoria di visione dei colori, cioè la prima spiegazione del perché vediamo i colori in questo modo. Il principio della sintesi additiva sulla media temporale dice che un colore succede all’altro così rapidamente che sulla retina le due immagini si sovrappongono e i colori si mescolano. La qualità di un colore, secondo la teoria di Young, dipende dai rapporti delle intensità delle tre sensazioni e la luminosità dalla loro somma. Un raggio blu per esempio è capace di eccitare sia la sensazione verde che quella violetta e un raggio giallo sia quella rossa che verde. Pare che Young non abbia mai effettuato verifiche sperimentali, ma suggerì tuttavia un metodo per farlo: si tratta del cerchio colorato rotante, già usato da Tolomeo. Moreno Arcieri , Nicola Carollo , Anna Claudia Chierici, Roberto Compagno - TFA A049 La storia della luce Nel 1801 Young descrisse il fenomeno dell’astigmatismo, ed insime a Maxwell ipotizzò che la percezione dei colori dipendesse dalla presenza sulla retina di 3 tipi di fibre nervose. La sua teoria mancava però di una base matematica, finendo per essere offuscata da quella newtoniana fino a Fresnel (1788-1827 dC). Questi ne La diffraction de la lumière afferma che luce e calore hanno la stessa natura, perché un corpo nero illuminato diventa caldo, ed a una certa temperatura diventa luminoso. Con la sua interpretazione matematica della diffrazione pone anche termine alla teoria corpuscolare di Newton. Johann Wolfgang von Goethe (1749-1832 dC) ha un diverso approccio: la sperimentazione esplorativa stabilisce una gerarchia sperimentale, che parte dal semplice per andare verso il complesso. Riconosce il ruolo fondamentale del magenta, oggi alla base del sistema CMYK (Cyan, Magenta, Yellow, Key black), che è quello più utilizzato nella stampa attuale (quadricromia); infatti si sovrappongono tante immagini diverse, quanti sono gli inchiostri utilizzati. Moreno Arcieri , Nicola Carollo , Anna Claudia Chierici, Roberto Compagno - TFA A049 La storia della luce James Clerk Maxwell (1831-1879 dC) calcolò che la velocità di propagazione del campo elettromagnetico, unificato tramite le sue famose quattro equazioni, era all’incirca quella della luce (egli stimò circa 310.000 km\s) . Diede tuttavia molti altri contributi: ►Pubblicò un articolo anonimo sulla lente ad occhio di pesce (fish-eye) da lui scoperta ed utilizzata ancora oggi nella fotografia professionale. ►Dimostrò che i colori per la visione di una persona normale possono essere ottenuti partendo da 3 colori primari. ► Descrive il funzionamento della scatola di colore, il primo tentativo di avere un colorimetro assoluto, mescolando i colori primari e confrontandoli con un bianco di riferimento. ►Realizzò la prima fotografia tricromatica, sovrapponendo le immagini fotografiche proiettate attraverso 3 filtri (rosso, verde, blu). Moreno Arcieri , Nicola Carollo , Anna Claudia Chierici, Roberto Compagno - TFA A049 La storia della luce La concezione moderna La luce visibile dall’occhio umano è un’onda elettromagnetica con una frequenza che va da circa 400 THz (rosso) a 780 THz (violetto), ovvero una lunghezza d’onda che va da 390 nm a 780 nm. Il colore è la percezione visiva generata dai segnali nervosi che i fotorecettori della retina mandano al cervello quando assorbono radiazioni elettromagnetiche di determinate lunghezze d'onda e intensità. Moreno Arcieri , Nicola Carollo , Anna Claudia Chierici, Roberto Compagno - TFA A049 La storia della luce L’occhio umano Il sistema diottrico oculare, cioè l’insieme della cornea e del cristallino, porta i raggi luminosi a convergere verso la fovea. Essa è la regione centrale della retina, con alta concentrazione di coni ma non di bastoncelli (cellule fotosensibili). I primi consentono di distinguere i colori nella visione diurna, e ce ne sono di 3 tipi, uno più sensibile al rosso, uno al verde e uno al blu. I secondi sono specializzati per la visione notturna (bastano pochi fotoni per attivare un bastoncello). Moreno Arcieri , Nicola Carollo , Anna Claudia Chierici, Roberto Compagno - TFA A049 La storia della luce Quando la luce che colpisce i recettori sulla retina non proviene direttamente da una sorgente, ma è riflessa da una superficie interposta, dobbiamo tenere presente in questo caso la curva di riflessione. Il colore visibile di una qualsiasi superficie dipende infatti dal potere di quella superficie di assorbire una parte della luce ricevuta dall'ambiente e di rimandarne verso l'osservatore la parte non assorbita sotto forma di luce riflessa. I vari colori possono essere generati a partire da pochi colori di base. Si è scelto storicamente l’uso di 3 colori, detti primari, per generare tutti gli altri: il rosso, il verde e il blu. Possiamo utilizzare la sintesi o mescolanza additiva, che è un fenomeno dovuto alla sovrapposizione di onde con diversa lunghezza. Ciano, giallo e magenta sono invece considerati i colori primari della sintesi o mescolanza sottrattiva, cioè che genera la visione di colori in dipendenza del modo in cui essi riflettono la luce bianca. Mescolando il ciano e il magenta vedremo il colore blu, che entrambi riflettono. Allo stesso tempo la luce rossa riflessa dal magenta sarà bloccata dal ciano, così come sarà bloccata dal magenta la luce verde riflessa dal ciano. Moreno Arcieri , Nicola Carollo , Anna Claudia Chierici, Roberto Compagno - TFA A049 La storia della luce Un modello di colore è un modello matematico astratto che permette di rappresentare i colori in forma numerica, tipicamente utilizzando tre o quattro valori o componenti cromatiche (per esempio RGB e CMYK). Un modello di colore si serve di un'applicazione che associa ad un vettore numerico un elemento in uno spazio dei colori. All'interno dello spazio di riferimento, il sottoinsieme dei colori rappresentabili costituisce a sua volta uno spazio di colori più limitato detto gamma o gamut, che dipende dalla funzione utilizzata per il modello di colore. Così, per esempio, gli spazi di colori Adobe RGB e sRGB sono differenti, pur essendo entrambi basati sul modello RGB. Il primo modello creato dalla Commissione Internazionale sull’Illuminazione è del 1931: Le funzione colore dello standard CIE Moreno Arcieri , Nicola Carollo , Anna Claudia Chierici, Roberto Compagno - TFA A049 La storia della luce Per descrivere l’impressione visiva generata da uno stimolo luminoso la CIE ha definito nel 1924 la funzione di visibilità relativa, oggi funzione di efficienza luminosa spettrale fotopica in funzione della lunghezza d’onda. RGB è la sigla di Red, Green, Blue; è un modello di colore detto anche tricromia, che sfrutta la sintesi additiva. CMYK è la sigla di Cyan, Magenta, Yellow, Key black; è un modello di colore detto anche quadricromia, che sfrutta la sintesi sottrattiva. Moreno Arcieri , Nicola Carollo , Anna Claudia Chierici, Roberto Compagno - TFA A049 La storia della luce L’occhio umano da secoli non è più il solo strumento che abbiamo a disposizione per catturare la luce. Pur essendo eccezionale, ha il difetto della soggettività. Seguendo lo sviluppo dell’ottica geometrica, siamo in grado di realizzare lenti e gruppi ottici di eccezionale complessità. Accanto al problema di progettare strumenti che possano investigare meglio determinati aspetti dello spettro elettromagnetico, nasce però il problema di come gestire e memorizzare i dati oggettivi raccolti. Moreno Arcieri , Nicola Carollo , Anna Claudia Chierici, Roberto Compagno - TFA A049 La storia della luce La gestione dell’immagine diventa digitale, i colori vengono manipolati e memorizzati utilizzando strumenti elettronici (anche se la raccolta del segnale può dipendere anche da strumenti non elettronici). I fotodiodi sono alla base dei circuiti integrati che raccolgono la luce. Il CCD (Charge-Coupled Device) consiste in una griglia di elementi semiconduttori, in grado di accumulare una carica elettrica proporzionale all'intensità della radiazione incidente che li colpisce. Il segnale uscente è analogico e molto uniforme. Nel CMOS (Complementary MetalOxide Semiconductor) ogni fotodiodo è accompagnato da un convertitore, il segnale è digitale ma meno uniforme. La qualità dell’immagine è minore, con più rumore, ma sono più economici e consumano meno. Moreno Arcieri , Nicola Carollo , Anna Claudia Chierici, Roberto Compagno - TFA A049 La storia della luce La memorizzazione, la visualizzazione, la stampa dei colori attraverso il digitale, presenta problemi: non tutti i colori visibili possono venire gestiti da tutti gli spazi colore, così come non tutti i colori di uno spazio possono venire visualizzati e stampati (colori immaginari). Moreno Arcieri , Nicola Carollo , Anna Claudia Chierici, Roberto Compagno - TFA A049 La storia della luce La luce interagisce con la materia attraverso vari fenomeni: la riflessione, la rifrazione, la diffrazione, la diffusione e l’assorbimento. La riflessione è il principale meccanismo attraverso il quale gli oggetti si rivelano ai nostri occhi, mentre la diffusione da parte dell'atmosfera è responsabile della luminosità del cielo. L’assorbimento o l’emissione di fotoni da parte degli atomi che compongono la materia sono correlati al salto degli elettroni da un livello quantizzato di energia ad un altro. Moreno Arcieri , Nicola Carollo , Anna Claudia Chierici, Roberto Compagno - TFA A049 La storia della luce Se un sottile fascio di luce bianca, come quella emessa dal sole, viene fatto passare attraverso un prisma di vetro, le sue radiazioni componenti subiscono una rifrazione (deviazione) differente, tanto maggiore quanto è minore la lunghezza d'onda. All'uscita dal prisma il fascio si allarga a ventaglio (fenomeno definito dispersione) e proietta su uno schermo l'immagine di una striscia luminosa formata da una successione di zone colorate sfumanti con gradualità l'una nell'altra: si forma cioè uno spettro di emissione continuo. Una sostanza gassosa a bassa pressione portata ad alta temperatura o sottoposta a scariche elettriche emette luce. Se con uno spettroscopio si analizzano queste radiazioni luminose, si osserva uno spettro formato da una serie di righe nette di colori diversi su sfondo nero . Ogni elemento produce un proprio spettro di emissione a righe che ne permette l'identificazione. Viceversa, se la luce di una sorgente ad una certa temperatura passa attraverso un gas più freddo, possiamo osservare uno spettro di assorbimento a righe. Moreno Arcieri , Nicola Carollo , Anna Claudia Chierici, Roberto Compagno - TFA A049 La storia della luce Questa scoperta di Kirchhoff (1824-1887 dC) e Bunsen (1811-1899 dC) permise di conoscere la composizione chimica di oggetti anche a distanza. Particolarmente importante è l’uso che se ne fa in astronomia, poiché l’analisi spettroscopica ci dice quali elementi chimici sono presenti nelle atmosfere di stelle e pianeti lontanissimi. Analizzando la luce dei corpi celesti, gli astronomi sono in grado di stimare molte loro grandezze fisiche, quali temperatura superficiale, distanza, dimensioni, massa, età, ecc. Inoltre la conoscenza della struttura dello spettro che identifica gli elementi chimici ha permesso di misurare anche il moto delle sorgenti luminose. Sfruttando infatti l’effetto Doppler si nota uno spostamento delle righe verso il rosso (redshift) se l’oggetto si allontana, verso il blu (blueshift) se si avvicina. Si sono trovati oggetti che si allontanerebbero da noi a velocità superiori a quelle della luce: un problema per Einstein e la sua relatività?Ovviamente no. Moreno Arcieri , Nicola Carollo , Anna Claudia Chierici, Roberto Compagno - TFA A049 La storia della luce L’effetto fotoelettrico era stato investigato da vari fisici verso la fine del XIX° secolo, ma solo Albert Einstein (1879-1955 dC) riuscì a darne un’interpretazione soddisfacente, dando un senso fisico ai quanti che Max Planck (1858-1947 dC) aveva inventato per evitare la catastrofe ultravioletta nell’emissione di un corpo nero. La quantizzazione della luce in particelle chiamate poi fotoni riportò alla teoria corpuscolare di Newton. Questa felice intuizione suggerì la quantizzazione di ogni forma di energia, che condurrà allo sviluppo della meccanica quantistica. Nell’interpretazione della scuola di Copenhagen guidata da Niels Bohr (1885-1962 dC) si accetta il principio di complementarietà, cioè nei fenomeni microscopici si accetta una natura dualistica della luce e di altri oggetti, che sono allo stesso tempo sia onda sia particella . Planck suggerì che solo lo scambio di energia tra atomi e campo elettromagnetico fosse quantizzato; così i campi continuavano ad essere continui e soggetti alla fisica classica, mentre gli atomi venivano quantizzati. Moreno Arcieri , Nicola Carollo , Anna Claudia Chierici, Roberto Compagno - TFA A049 La storia della luce La luce è protagonista anche nelle aurore boreali, dovute all’interazione del vento solare (un flusso di particelle cariche eettricamente) con il campo elettromagnetico terrestre. Tali particelle eccitano gli atomi dell'atmosfera che diseccitandosi in seguito emettono luce di varie lunghezze d'onda. A causa della geometria del campo magnetico terrestre, le aurore sono visibili in due ristrette fasce attorno ai poli magnetici della Terra. Moreno Arcieri , Nicola Carollo , Anna Claudia Chierici, Roberto Compagno - TFA A049 La storia della luce Nel corso dei milleni ci furono varie persone convinte che la velocità della luce non fosse infinita, ma da quanto si sa Galileo fu il primo a provare a misurarla, con il suo esperimento sulle colline fuori Firenze. Il fatto di non esserci riuscito non lo scoraggiò, ma lo portò a credere che fosse un’impresa fuori portata dei suoi mezzi. Sfruttando un suggerimento dello stesso Galileo, Rømer nel 1676 stimò una misura di circa 210.000 km\s. Meglio fece James Bradley (1728), che spiegando l’aberrazione stellare, giunse ad un valore di 305.000 km\s. La prima misura non astronomica è dovuta a Hippolyte Fizeau (1849), con il suo esperimento dlle ruote dentate, ma che arrivò a 310.000 km\s. Oggi accettiamo il valore di c= 299 792,458 km\s, che è la velocità della luce nel vuoto. Questo valore viene usato per tarare molte altre costanti, quale ad esempio il metro. Galileo Fizeau Rømer Bradley Moreno Arcieri , Nicola Carollo , Anna Claudia Chierici, Roberto Compagno - TFA A049 La storia della luce L'esperimento di Michelson-Morley (1887) mostrò che la velocità della luce non cambiava nonostante il moto della Terra nell’ipotetico etere luminifero. Einstein decise di partire da questo dato sperimentale per costruire la sua teoria della relatività, dando un significato fisico alle trasformazioni che Lorentz aveva creato per mantenere la validità delle equazioni di Maxwell in ogni sistema di riferimento. La finitudine della velocità della luce lega spazio e tempo in modo indissolubile, e le masse deformano questo tessuto quadridimensionale generando l’illusione che ci sia una forza di gravità che agisce anche sui fotoni. Possiamo sfruttare il fenomeno per osservare oggetti molto distanti, a miliardi di anni luce (lensing gravitazionale). Viaggi nel tempo. Il fatto che la velocità della luce sia finita ha anche un’altra conseguenza. Osservare un oggetto implica che stiamo guardando un’immagine che è riferita al passato, a quando i fotoni sono partiti da quell’oggetto. Se fissiamo il Sole (con le dovute precauzioni) la sua immagine è vecchia di 8,3 minuti circa. Chiamiamo anno luce la distanza che la luce percorre in un anno (molto usato in astronomia). Croce di Einstein Moreno Arcieri , Nicola Carollo , Anna Claudia Chierici, Roberto Compagno - TFA A049 La storia della luce Einstein e la luce Possiamo in un certo senso dire che Einstein, una delle maggiori menti di tutti i tempi, ha usato la luce per cambiare radicalmente l’idea che avevamo dell’universo in cui viviamo. Facendo della finitudine della velocità della luce una pietra angolare, ha costruito una struttura stupefacente come la relatività generale. Essa però litiga con l’altra grande creatura del genio, la sorella non riconosciuta: la meccanica quantistica. Anch’essa infatti ha origine da un’idea di Einstein sulla luce, che attribuisce un significato fisico ai quanti di energia di Planck, che nel caso della radiazione elettromagnetica prenderanno il nome di fotoni. Ancora oggi non siamo stati in grado di legare assieme questi capolavori della mente umana, ma i fotoni continuano a riservarci sorprese. Moreno Arcieri , Nicola Carollo , Anna Claudia Chierici, Roberto Compagno - TFA A049 La storia della luce Fotoni imprevedibili L’entanglement lega due particelle o due stati quantistici opportunamente preparati anche se posti a distanza arbitraria. Essi possono vicendevolmente e istantaneamente influenzarsi nelle misurazioni, contravvenendo a qualunque criterio di causalità di eventi a velocità finita. Il comportamento particellare oppure ondulatorio di un fotone già rivelato può essere determinato con una successiva misurazione su un secondo fotone, entangled con il primo, con un’apparente retroattività che mostra ancora una volta la natura paradossale della meccanica quantistica. Questo fenomeno si chiama procrastinazione quantistica. Altre sorprese in futuro? Moreno Arcieri , Nicola Carollo , Anna Claudia Chierici, Roberto Compagno - TFA A049 Bibliografia La fisica di Amaldi, Ugo Amaldi, Zanichelli La strana storia della luce e del colore, Rodolfo Guzzi, Springer Sitografia Mauro Boscarol Web Wikipedia Moreno Arcieri , Nicola Carollo , Anna Claudia Chierici, Roberto Compagno - TFA A049