UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI ROMA “LA SAPIENZA” FACOLTA’ DI FARMACIA Corso di laurea in FARMACIA TESI DI LAUREA SPERIMENTALE ANALISI FITOCHIMICA DELLA GENTIANA LUTEA PRESENTE NEL PARCO NAZIONALE DELLA MAJELLA Relatori: Laureanda: Professor Mauro Serafini Alessia Ramunno Matr. n° 06029238 Professor Armandodoriano Bianco Anno accademico 2001/2002 Dipartimento di Biologia Vegetale e Dipartimento di Chimica INTRODUZIONE IL PARCO NAZIONALE DELLA MAJELLA: ASPETTI GEO-MORFOLOGICI E FLORISTICI Il parco della Majella appare composto da un grande complesso montuoso, quello della Majella vero e proprio, e da uno minore, quello del Monte Morrone, collegato alla Majella(1) dal Passo San Leonardo. Le estensioni meridionali dei Monti Pizzi costituiscono un complemento naturale dell’area e assicurano la contiguità dei principali ecosistemi. L’ecosistema del Parco della Majella è rappresentato da tre grandi formazioni: - la prima, la più caratteristica, è quella delle praterie d’altitudine, presenti al di sopra dei 1800 m fino alle più alte vette montane; - la seconda introduce i grandi boschi di faggio che iniziano dai 1800 m. fino a frammentarsi con i pascoli e le aree agricole al di sotto dei 1000 m.; - infine il terzo, rappresentato da prati e campi che costituiscono un ambiente di estrema importanza per la salute biologica dell’ intera area protetta. Il complesso del Parco è collegato con altre grandi aree montane della dorsale appenninica dell’ Italia centrale. Infatti confina -a nord con il Parco Regionale del Sirente-Velino e con il Parco del Gran Sasso e della Laga, attraverso il quale mantiene una certa continuità con tutto l’Appennino fino alle Foreste Casentinesi; - a sud con l’Alto Molise e con i Monti di Capracotta; - ad ovest, attraverso l’area del Piano delle Cinque Miglia e con la Valle del Sangro, è strettamente collegato con il Parco Nazionale d’ Abruzzo e con il Monte Genzano. - Da questo risulta evidente che il Parco Nazionale della Majella rappresenta uno snodo essenziale del sistema montuoso appenninico ed un anello di giunzione tra tutte le aree naturali dell’Appennino centro-meridionale. La caratteristica del Parco deriva sia da un gran numero di elementi naturali, specie ed habitat (endemici o presenti con imponenti popolazioni), sia da una fisionomia assolutamente diversa dalle altre aree vicine. La geo-morfologia del Parco Nazionale della Majella è legata in primo luogo all’assetto fisiografico che mette in evidenza i due grandi massicci carbonatici della Montagna della Majella e della Montagna del Morrone. Questo aspetto è fortemente marcato dal contrasto esistente tra le rocce carbonatiche che costituiscono i massicci stessi e i terreni argillo- arenacei che li circondano. Tuttavia i caratteri geo-morfologici dell’area del Parco si diversificano a seconda della zona. Il Parco presenta una interessantissima stratificazione altitudinale che permette la convivenza di elementi di origini molto diverse. Le quote alte della Majella, più di quelle del Gran Sasso e della Laga, costituiscono l’ambiente ideale in cui, per dimensione geografica e per la porzione di massiccio al di sopra dei 2000 m., è possibile trovare strette assonanze con le regioni alpine. Si possono osservare, per la sua natura prettamente calcarea, particolari scenari paesaggistici, gole, grotte, altipiani come in nessuna altra zona appenninica. Le conoscenze floristiche del Parco sono relative ai territori del massiccio della Majella propriamente detto e ad alcune aree più a sud, come gli Altipiani Maggiori; per quanto riguarda, invece, zone come i Monti Pizzi e Monte Pizzalto, le indagini in questo ambito sono piuttosto scarse. Dai dati ad oggi disponibili, è stato possibile censire oltre 2000 entità floristiche(2),(3), ma la straordinarietà del Parco della Majella può essere sottolineata tenendo presente che la flora di tutta la regione Abruzzo è di poco superiore alle 3000 entità ( a livello dell’intero territorio nazionale si raggiungono le 5600 entità). La diversità floristica del Parco risulta inoltre ulteriormente rafforzata se si considera la qualità delle presenze, legata ai vari avvenimenti storici e alla sua posizione geografica. Come precedentemente descritto, la Majella rappresenta un vero e proprio crocevia di flussi genetici che hanno attraversato, in passato, la penisola italiana e di conseguenza presenta una serie di categorie di grande prestigio ecologico e fitogeografico. FANEROFITE 5,70% CAMEFITE 4,30% EMICRIPTOFITE 64,20% GEOFITE 7,80% TEROFITE 17,90% IDROFITE 0,10% Tabella 1: Spettro biologico della flora(1). La flora del Parco si qualifica su due direttrici: - quella settentrionale in cui le varie specie raggiungono il 16% del totale; - quella orientale con oltre il 18%. E’ pur vero che anche l’elemento endemico è largamente rappresentato con oltre l’11 %. Nell’ambito dell’Appennino centrale, la Majella si caratterizza per la presenza di una vegetazione a carattere alpino e subalpino; a livello collinare, invece, presenta delle affinità con la vegetazione della penisola balcanica. Zone aride e pietrose Tundra alpina Piano subalpino Pascoli Zone rupestri Zona forestale Zona collinare Leontopodium elynetum Arabidion coeruleae Silene acaulis Spp cenisia Saxifaga speciosa Mugheta Ginepro nano Sesleria tenuifolia Festuca macrathera Luzula italica Trifolium thalii Brachypodium genuense Saxifraga ampullacea Saxifraga italica Fraxinus excelsior Fagus silvatica Ulmus glabra Tilia Platyfillus Acer pseudoplatanus Acer platanoides Acer obtusatum Quercus pubescens Brachypodium rupestre Crataegus monogyna Rosa canina Ostrya carpinifolia Tabella 2 Distribuzione di alcune specie presenti nel Parco Nazionale della Majella Da alcune indagini effettuate da Tammaro, è risultato che il comprensorio magellense è ricco di esemplari floristici del tutto nuovi oltre ad alcune entità già notoriamente conosciute(4). Specie riconfermate Juniperus sabina Quercus robur Ulmus glabra Clematis recta Peonia officinalis Cardamine chelidonia Lunaria annua Epilobium parviflorum Vaccinum myrtillus Fraxinus excelsior Scutellaria alpina Carex lepidocarpa Iris pseudocorus Typha minima Specie nuove Celtis australis Opuntia ficus-barbarica Cerastium glomeratum Anemone nemorosa Ranunculus tricophyllys Fumaria capreolata Tamarix africana Rhamnus alarernus Malva neglecta Calystegia silvatica Sympytum bulbosum Scilla autumnalis Gladiolus italicus Orchis italica Tabella 3: Esemplari floristici del Parco della Majella(5) (6) (7) Dalle considerazioni fin qui esposte, il Parco Nazionale della Majella risulta essere un ambiente particolarmente interessante, in quanto la sua collocazione geografica, parzialmente discostata rispetto agli altri massicci dell’Appennino centrale, ne ha fatto un ambiente unico che ha permesso l’insediamento di numerose specie autoctone. Particolarmente ricca risulta essere la flora del Parco dove sono presenti numerose piante officinali che sono state ampiamente utilizzate sia in ambito ristretto (famiglie, piccole comunità, etc.), sia in ambito più ampio (utilizzo comune come cosmetici, alimentare, etc.). Su questa base, si è deciso di approfondire lo studio di una specie vegetale che in passato caratterizzava la zona del Parco, ma che adesso, anche a causa dell’utilizzo indiscriminato, si è ridotta come numero di esemplari presenti: la Gentiana lutea. Questa pianta è usata nella zona, sia a livello artigianale che industriale, per la preparazione di bevande, in genere amare, usate sia a livello locale che per esportazione. Tuttavia fino ad oggi non era stato mai intrapreso alcuno studio volto a definire la composizione molecolare della Gentiana, come di nessuna altra specie vegetale presente nel Parco. Pertanto ci siamo dedicati allo studio dei componenti glicosidici di questa pianta che sono noti essere quelli più interessanti sia dal punto di vista organolettico che della attività biologica. DESCRIZIONE BOTANICA DEL GENERE GENTIANA La famiglia della Gentianaceae comprende circa 80 generi e 1000 specie, generalmente erbe annue o perenni e suffrutici delle zone temperate(8). GENERE NUMERO Spp NUMERO Spp 400 Gentiana Sebacea Erytreae Swertia 100 30 100 Tabella 4 Principali generi della famiglia delle Gentianaceae La maggior parte delle specie di questa famiglia sono caratterizzate da foglie semplici, opposte o decussate, ovate ed intere, senza stipole. I fiori, piuttosto regolari, possono essere isolati o in infiorescenza e sono caratterizzati da una corolla gamopetala campanulata a 5 lobi contenente 5 stami. Nel sud dell’America e in Nuova Zelanda il colore prevalente del fiore è rosso, mentre in Europa sono presenti soprattutto specie con infiorescenze blu, gialle e più raramente bianche(9). Il nome del genere Gentiana deriva da Gentius, un antico re dell’Illiria (180-167 A..C.), che, insieme a Plinio e Dioscoride, descrisse l’importanza in medicina di queste piante. Durante il Medio Evo, la Gentiana era comunemente utilizzata come antidoto nei casi di avvelenamento. Inoltre, nel 1552, Tragus la menziona per curare le ferite. In Inghilterra la coltivazione della Gentiana gialla (G. lutea), per scopo medicinale, è stata introdotta più tardi rispetto ad altri paesi, anche se, con il tempo, preparazioni a base di radici sono state introdotte soprattutto in ambito veterinario. Infatti era prevalentemente usata come ornamento dei giardini domestici. Qui di seguito descriviamo alcune specie: Gentiana japonica Presenta un rizoma grigio-scuro marrone che può arrivare fino a 10 cm di lunghezza e 5 mm di diametro; è irregolarmente anellato e sostiene alla base, sullo stelo, i piccioli più piccoli e lateralmente le numerose radici; mostra fasci fibro-vascolari che corrono in modo irregolare. Le radici, giallo-marrone e rugose longitudinalmente, raggiungono i 20 cm di lunghezza e 3 mm di diametro. Questa specie non contiene cellule sclerenchimate, mentre quelle del parenchima sono caratterizzate da cristalli di ossalato, ma non da granelli di amido. Anche la G. japonica contiene principi amari che possono essere usati come sostituti della radice di gentiana. Gentiana amarella E’ una specie presente in poche zone d’Europa e fiorisce generalmente tra luglio e settembre; è caratterizzata da una radice gialla a spirale, a volte filamentosa. Lo stelo è quadrato ed eretto e le foglie, verde scuro, hanno tre venature prominenti. Per l’intera lunghezza lo stelo è rivestito con fiori che poggiano su corti gambi all’ascella delle foglie. Il calice è chiaro con venature verdi diviso in cinque tagli. La corolla può essere blu o porpora e, in estate, i suoi lobi si distendono completamente in orizzontale, assumendo una forma stellata. Gentiana campestris Per numerose caratteristiche somiglia alla specie sopra descritta; i suoi stami sono eretti e molto ramosi; foglie e fiori sono distribuiti per l’intera lunghezza ma sono in numero minore rispetto a quelli della G. amarella, anche se più larghi. Tuttavia la differenza essenziale tra le due specie è che il calice e la corolla, di un colore purpureo molto scuro, nella G. campestris, sono divisi in quattro parti e i lobi ovali del calice sono molto più larghi. Le radici sono molto piccole ma riescono comunque a penetrare nel suolo. Questa specie cresce prevalentemente nei pascoli e nelle zone di mare e, al contrario della G. amarella, non predilige i terreni calcarei. E’ una pianta annuale e fiorisce tra agosto e settembre. In Svezia veniva impiegata, insieme al luppolo, per la preparazione e la aromatizzazione della birra. Gentiana Pneumonanthe I suoi stami raggiungono un’altezza compresa tra i 3 e i 18 cm, mentre le foglie sono lunghe 1-2 cm; i fiori non sono numerosi ed esternamente hanno un colorito blu pallido, con cinque strisce scure. La delicatezza di questa piccola e graziosa pianta la rende adatta alla coltivazione nei giardini. Tuttavia, in passato, è stata spesso citata da alcuni medici come rimedio contro la pestilenza anche se è caratterizzata dalle stesse proprietà amarotoniche delle altre specie. Gentiana verna I fiori di questa specie sono di un blu particolare, addirittura descritto da A.C. Benson come “un puro raggio nel limpido cielo”; crescono singolarmente sui corti steli e si aprono solo con il sole nel momento in cui i loro petali blu si stendono. Il calice verde si apre in cinque lobi, le foglie sono pari, senza gambo, allacciate allo stelo e, pur non essendo molto numerose, riescono a formare delle rosette basali chiuse sul suolo in cui crescono. I gambi del fiore sono rigidamente eretti e raggiungono un’altezza di 412 cm. La G. verna fiorisce tra aprile e maggio soprattutto in Irlanda, prediligendo territori pietrosi. Gentiana cruciata E’ così chiamata perché le sue foglie crescono a forma di croce. Nella medicina omeopatica, la tintura di radici è stata spesso utilizzata per la cura della raucedine e delle infiammazioni dell’apparato respiratorio. DESCRIZIONE BOTANICA DELLA GENTIANA LUTEA La Gentiana lutea è la specie più comune nell’area mediterranea. E’ una pianta erbacea perenne, appartenente alla famiglia delle Gentianaceae dell’ordine delle Contortae in quanto i fiori hanno una corolla contorta nel boccio(10). La Gentiana lutea è fornita di un robusto rizoma verticale brunogiallastro all’esterno e giallo vivo all’interno; nei primi anni di vita sviluppa soltanto una rosetta di foglie basali. Divenuta adulta produce il fusto che porta i fiori e può raggiungere fino a 150 cm. Questo appare semplice e fistoloso, cioè cavo all’interno(11). Le foglie basali, riunite in rosetta, sono ovali-ellittiche ed hanno l’apice acuto e il margine intero; gradatamente si restringono alla base in un piccolo picciolo. Le nervature principali delle foglie sono tre-cinque: quella centrale è dritta, le altre, invece, partendo sempre dal picciolo, sono arcuate e più o meno parallele al margine. Le foglie del fusto sono sessili, opposte a due a due ed amplessicauli. I fiori sono grandi e di colore giallo oro, da cui la più comune denominazione di Gentiana gialla; sono riuniti in pseudoverticilli all’ascella delle foglie superiori. Il calice è diviso in cinque piccoli denti, mentre la corolla, saldata in basso a tubo, è divisa, in alto, in cinque lobi gialli, lineari-lanceolati. I frutti sono rappresentati da una capsula ovale-oblunga che, a maturità, si apre in due parti, lasciando cadere sul terreno di crescita i piccoli semi ovali e di colore bruno chiaro. La droga è rappresentata dalle parti ipogee, in particolare le radici, che vengono raccolte in autunno, generalmente nei mesi di settembreottobre, oppure anche all’inizio della primavera. Dopo la raccolta, le radici vengono ripulite dalla terra e tagliate in pezzi di alcuni cm. di lunghezza che si dividono in due per il lungo; vengono quindi essiccate al sole. In altri casi, i pezzi di radice vengono abbandonati al suolo, talora coperti da terra, perché subiscano una caratteristica fermentazione atta a sviluppare le tipiche proprietà organolettiche della droga stessa. Per quanto riguarda la conservazione, questa viene effettuata in recipienti di vetro perfettamente chiusi; la polpa, dapprima bianca, diventa verde e successivamente rossastra. Le radici hanno un colore che va dal marroncino, marrone-rossiccio al marrone intenso; hanno uno spessore compreso tra i 0,3 e i 4 cm. e presentano solchi longitudinali. Il rizoma è percorso da solchi circolari e porta delle piccole gemme(12). Il rizoma e le radici ben secche si rigonfiano fortemente in acqua, per la presenza di sostanze di natura peptidica(13). Nella sezione trasversale della droga tagliata si osserva una corteccia relativamente sottile, con sughero grossolanamente rugoso, ed un anello di cambio, nettamente visibile, che delimita il corpo legnoso(14). All’esame microscopico l’anatomia della radice è quasi identica a quella del rizoma. Corteccia e legno sono separati da una assisa cambiale molto evidente; presentano una struttura porosa con pochi raggi. Le fibre mancano sia nella corteccia che nel legno. Nel legno si osservano vasi reticolati e scalariformi tra cui è possibile intravedere tubi cribrosi. L’amido manca quasi completamente, mentre nel parenchima sono presenti ossalato di calcio sotto forma di cristalli acicolari e goccioline oleose. Anche la polvere della droga, di colore giallastro o giallo-brunastro, è caratterizzata da vasi scalariformi e reticolati poco numerosi, da cristalli di ossalato di calcio e da goccioline oleose. La G. lutea cresce a 1800-2000 m. soprattutto nell’Europa centromeridionale, in quanto necessita di temperature climatiche favorevoli al suo sviluppo. Si distinguono essenzialmente due sottospecie, anche sulla base del contenuto dei principi attivi: - la sottospecie lutea, in cui la amarogentina è presente con lo 0,8- 0,12 % e il gentiopicroside con il 6,1-9,5 %; - la sottospecie symphyandra, con un contenuto di amarogentina pari allo 0,07 % e di gentiopicroside pari al 7,0 %, spontanea della Slovenia e del Friuli, con ibridi che presentano valori dello 0,2 % di amarogentina. La coltivazione va effettuata in altitudine a circa 1200 m., altrimenti la concentrazione dei principi attivi decade fino al 50 %(8) , e in terreni preparati in modo tale da mettere le piantine provenienti da semenzaio in file distanti circa 60 cm. l’una dall’altra. In questo modo, per ogni ettaro di terreno coltivato, si riescono a trapiantare circa 40.000 piantine. In Italia, la G. lutea cresce spontaneamente in molte regioni e il suo nome varia di zona in zona(15). NOME LOCALE Gensianna, Gensara Argensanna, Giansana Gensana, Radis gialda Genziaan, Ensiana Inzana, Genziana gialla Erva biunnina REGIONE Liguria Piemonte Lombardia Veneto Abruzzo Sicilia Tabella 5 Nomi comuni della Gentiana lutea G. purpurea, G. pannonica, G. punctata e G. acaulis sono genziane europee aventi proprietà medicinali simili a quelle della G. lutea. Anche le radici della gentiana americana, comprendente le specie G. puberola, G. saponaria e G. andrewsii, sembra abbiano proprietà simili a quelle delle varietà europee. METABOLITI SECONDARI DELLA GENTIANA LUTEA: I GLUCOSIDI IRIDOIDI(16), (17) I componenti più interessanti dal punto di vista farmacologico della Gentiana lutea, sono i glucosidi secoiridoidi, un particolare gruppo di monoterpeni, presenti solo in un numero limitato di specie vegetali, ed appartenenti alla famiglia degli iridoidi. Gli iridoidi sono dei monoterpeni caratterizzati da un residuo ciclopentanoide; tali composti e i loro derivati biogenetici sono suddivisi in due gruppi: composti iridoidici e alcaloidi. Il termine “iridoide” deriva dal nome di alcune specie di formiche (Iridomyrmex) che presentano la iridomirmecina e l’iridodiale come componenti delle loro secrezioni difensive. Composti iridoidici Sono rappresentati da sostanze neutre e suddivisi in quattro gruppi: iridoidi glicosidici, iridoidi non glicosidici, secoiridoidi e bisiridoidi. Iridoidi glicosidici Questi composti sono caratterizzati da una particolare struttura in cui l’unità ciclopentanoide è fusa, mediante una giunzione di tipo cis, con un anello diidropiranosico sul cui carbonio C-1 è legato un residuo glicosidico, rappresentato generalmente dal ß-D-glucosio. COOCH3 HO CHO OH HO O H3C CH2OH O-glc loganina HO HO O O-glc aucubina H3C O-glc tecomoside OH OH O HO CH OH 3 O Cl O HO CH 3 O-glc O CH2OH linarioside O-glc catalpolo O HO CH3 O-glc lamiolo Figura 1 iridoidi glicosidici Iridoidi non glicosidici Sono anche chiamati iridoidi semplici oppure agliconi iridoidi oppure genine iridoidi. Differiscono dai composti del gruppo precedente per l’assenza dell’unità glicosidica legata al carbonio C-1. Tuttavia tra gli iridoidi non glicosidici potrebbero essere inclusi molti composti come patrinoside, penstmide, gelsemide, caratterizzati dalla presenza, nella loro molecola, di una o più unità di zucchero, nessuna delle quali però legata al carbonio C-1. Fanno parte del gruppo degli iridoidi non glicosidici anche alcuni composti aventi strutture analoghe alla plumiericina, cioè caratterizzati da quattro carboni di origine acetica, alla valeriana e a vari altri composti tra cui il nepetalactone e la iridomirmecina. Questi derivano biogeneticamente da un iridoide aglicone, mediante la apertura riduttiva dell’anello diidropiranosico. CH3 OH iridodiale O O O H3C COOCH3 CH3 H3C CH2OH O genipina nepetalactone HO CH2OH CH2OH CH2OH O-isoval O OH CH2OAc COOCH3 O O O-isoval O H3C eucommiolo Figura 2 iridoidi non glicosidici valtrato fulvoplumierina Secoiridoidi Sebbene non presentino il caratteristico anello ciclopentanoico, i secoiridoidi sono comunque considerati iridoidi, in quanto derivano biogeneticamente dall’apertura ossidativa dell’anello ciclopentanoico degli iridoidi glicosidici o dei loro agliconi. In seguito alla apertura dell’anello, si verifica una riorganizzazione strutturale della molecola, strettamente correlata allo stato ossidativo del carbonio C-7. Infatti, in base alla funzione presente su questo carbonio, è possibile distinguere tre sottogruppi: analoghi della oleuropeina, con gruppo carbossilico; analoghi della secologanina, con gruppo aldeidico; analoghi del gentiopicroside, con funzione alcolica. O O COOCH3 H O O O O-glc O-glc OH COOCH3 O O H3C HO O O-glc oleuropeina Figura 3 gentiopicroside secologanina secoiridoidi Bisiridoidi Appartengono, a questo gruppo, composti caratterizzati dall’unione, mediante un legame di tipo estereo, di due sostanze incluse in uno dei tre sottogruppi appena descritti. COOCH3 O CO COO HO O O H3C O-glc CH2OH O O O-glc O-glc argilioside Figura 4 CH3 O-glc sylvestroside .bisiridoidi … Questa parte riguarda la biogenesi dei monoterpeni metil-ciclopentanoidici ed è stata omessa… RISULTATI E DISCUSSIONE COMPOSIZIONE MOLECOLARE DELLA GENTIANA LUTEA Nella medicina tradizionale e moderna, le radici della G.lutea sono da sempre impiegate per la loro azione stomachica e per la formulazione di preparati che abbiano effetti benefici per i disturbi dell’apparato epatobiliare(18). Recenti studi hanno mostrato una interessante composizione chimica delle parti aeree della pianta. Hostettmann et al. hanno rilevato la presenza di isogentisina e due eterosidi flavonici(19). La isogentisina ha mostrato una potente azione inibente nei confronti della monoammino-ossidasi(20)(MAO), mentre la mangiferina, un composto xantonico, ha mostrato attività farmacologiche antidepressive e antiossidanti(21, 22). Lo studio della composizione chimica delle parti aeree della G. lutea è stato approfondito esaminando gli esemplari in quattro diversi habitat naturali durante la fase della fioritura. La concentrazione di prodotti secondari(23-26) è risultata variata in base ai campioni vegetali valutati, ma non appare correlata all’altitudine. Infatti, le variazioni della concentrazione dei prodotti secondari è stata registrata, in alcuni campioni di G. lutea, in vari stadi dello sviluppo, ogni mese, tra marzo e ottobre. La mangiferina e l’isoorientina raggiungono il massimo della loro concentrazione nel periodo coincidente con la fioritura, tra giugno e luglio; a maggio e ad agosto è stata evidenziata una rapida diminuzione dei livelli di mangiferina, ma solo minimi cambiamenti per quanto riguarda l’isoorientina(27). Il più alto livello di concentrazione della isogentisina e del primeveroside è stato riscontrato in aprile; mentre un significativo decremento, durante il periodo della fioritura, per poi aumentare nuovamente in ottobre. Da tali studi potrebbe essere facilmente dedotto che, durante la fioritura, le foglie siano ricche di composti caratterizzati da strutture C-glicosidiche; al contrario, composti O-glicosidici si accumulano principalmente prima del periodo di fioritura. Per quanto riguarda i composti secoiridoidici, l’incremento è risultato più o meno costante durante l’intero periodo vegetativo, fino a raggiungere il massimo in ottobre. Tuttavia, significative variazioni delle concentrazioni dei metaboliti secondari sono state riscontrate anche nella radice e nel rizoma della stessa G. lutea. Infatti, il più alto contenuto di gentisina e primeveroside si ha in aprile, mentre solo la gentisina raggiunge il suo massimo in ottobre. La dinamica dell’accumulo dei secoiridoidi nelle radici non è paragonabile a quella delle foglie. Anche la concentrazione della gentiopicrina è massima in aprile e in ottobre, mentre quella della swertiamarina rimane relativamente costante durante l’intero ciclo vegetativo della pianta. CARATTERISTICHE DEI COMPOSTI AMARI Molte droghe vegetali sono caratterizzate dalla presenza di composti iridoidici che conferiscono alla droga stessa un sapore amaro(28),(29). E’ possibile determinare la misura del potere amaricante in rapporto ad una sostanza di riferimento; in pratica il potere amaricante corrisponde alla concentrazione minima in grado di far avvertire la sensazione di amaro ad un soggetto sottoposto al test. Esso viene espresso in unità corrispondenti alla 1/2000 parte del potere amaricante del cloridrato di chinina(30). Tali sostanze sono state suddivise in tre gruppi principali: Chinina Stricnina Colubrina Berberina China Noce vomica Columbina Columbina Alcaloidi Glucosidi Gentiopicroside Aloina Naringenina Esperidina Aloemodina Gentiana Aloe Agrumi Agrumi Rabarbaro Terpenoidi Santonina Absintina Tujone Limonene Umuleni Artemisia Artemisia Artemisia Rutaceae Luppolo Queste droghe, o meglio le sostanze in esse contenute, vengono frequentemente utilizzate nel campo della liquoristica, e le bevande stesse, a diverso titolo alcolico, sono spesso assunte come aperitivo o anche come digestivo. Vengono utilizzate, a tale scopo, piante aromatiche come cardamono, assenzio, vaniglia, cannella, garofano, quassio, aloe, coriandolo. Per la preparazione di queste bevande, le droghe sono sottoposte a diversi processi di lavorazione, come la macerazione, oppure ‘alterate’ con l’aggiunta di olii essenziali o anche semplicemente essenze, tra cui estratti o tinture. In questo modo si cerca di rendere il grado di amarità abbastanza intenso ed omogeneo nel gusto. I principi amari rappresentano una categoria di composti caratterizzati da una struttura chimica piuttosto eterogenea. Essi sono presenti soprattutto nelle piante appartenenti alle famiglie delle Asteraceae, Gentianaceae, Cannabaceae, Meniantaceae. Da un punto di vista chimico possono essere divisi in: principi amari eterosidi, formati da uno zucchero e da un aglicone, costituito da un lattone sesquiterpenico insaturo, come nel caso del gentiopicroside; principi amari esteri degli acidi fenolici, come nella cinarina; principi amari alcaloidi, il cui rappresentante è la chinina; principi amari lattoni diterpenici come nella marrubina; principi amari lattoni sequiterpenici cui appartiene la cnicina. DROGA PRINCIPI AMARI Centaurea Artiglio del diavolo Radice di Gentiana Trifoglio fibrino Chiretta Radice di Colombo Cascarilla Marrubio Lattucario Cicoria Camomilla Cardo mariano Radice di Tarassaco Assenzio Quassia Limone Radice di Condurango Luppolo Arancio amaro Corteccia di China Angostura Boldo Caffè Cacao Carciofo Monoterpeni Monoterpeni Monoterpeni Monoterpeni Monoterpeni Lattoni diterpenici (columbina) Lattoni diterpenici (cascarillina) Lattoni diterpenici Sesquiterpeni (lattucopicrina) Sesquiterpeni (lattucina) Sesquiterpeni (guaianolidi) Lattoni sesquiterpenici (cnicina) Lattoni sesquiterpenici Lattoni seaquiterpenici (absintina) Triterpenoidi (quassinoidi) Triterpenoidi (limonina) Steroidi Acidi amari (floroflicine prenilate) Flavonoidi/Limonoidi Alcaloidi (chinina) Alcaloidi (cusparina) Alcaloidi (boldina) Alcaloidi (caffeina) Alcaloidi (teobromina) Caffeoilchinici (cinarina) Sesquiterpeni (cinaropicicrina) Polichetidi (aloine) Polichetidi (antroni) Polichetidi (antroni) Polichetidi (antroni) Aloe spp. Rabarbaro Cascara Senna Tabella 9 Principali droghe vegetali contenenti principi amari Dal punto di vista farmacologico, i principi amari sono in grado di stimolare l’appetito e la secrezione gastrica oltre ad avere un’azione coleretica, colagoga, diuretica e febbrifuga. La presenza di alcune sostanze di natura secoiridoidea, come lo stesso gentiopicroside, favorisce la stimolazione in maniera riflessa della secrezione salivare e gastrica(31). Infatti questa sostanza è capace di eccitare i recettori gustativi e di agire soprattutto sulla fase encefalica della secrezione. I nuclei salivatori, che si trovano in prossimità della giunzione tra il bulbo e il ponte, vengono eccitati da efferenze sia gustative sia tattili provenienti dalla lingua e da altre aree buccali(32). Molti stimoli gustativi, specialmente quelli aciduli o amari, provocano abbondante secrezione salivare. Inoltre la salivazione può essere attivata o inibita da impulsi provenienti ai nuclei salivatori, dai centri superiori del nevrasse. L’area dell’appetito, implicata in questi processi, si trova a livello dell’ipotalamo anteriore e risponde ad impulsi che provengono dall’area gustativa ed olfattiva della corteccia cerebrale e dall’amigdala. Per quanto riguarda la funzione dell’apparato gastrointestinale, bisogna considerare il fatto che la mucosa gastrica è caratterizzata da due tipi di ghiandole tubulari: le ghiandole gastriche e le ghiandole piloriche. CO2 CO2 + H2O Anidrasi carbonica Sangue H2CO3 HCO3 + H+ HCO3 Trasporto attivo Lume intestinale HCl Trasporto attivo Cl‾ H2 O H2O Trasporto passivo Tabella10: Meccanismo ipotetico per la secrezione dell’HCl(33).La CO2, proveniente dal sangue o che si forma dal metabolismo della cellula stessa, si combina con H2O per formare H2CO3 che si dissocia in HCO3 e H+. L’idrogenione attraversa la parete del canalicolo e passa nel lume intestinale. HCO3 diffonde nel sangue, mentre lo ione cloruro viene trasportato attivamente dal sangue ai canalicoli. Le prime, presenti ovunque nella mucosa del fondo dello stomaco, sono deputate alla secrezione di succhi digestivi; al contrario, le seconde, residenti nella porzione antrale, producono esclusivamente muco destinato alla protezione della mucosa pilorica. Ogni ghiandola gastrica è costituita da tre differenti tipi di cellule, ognuna delle quali svolge un ruolo ben definito nel processo secretivo. Infatti le cellule mucose del colletto secernono muco; le cellule principali provvedono alla secrezione di enzimi digestivi, in particolare della pepsina; le cellule parietali sono deputate alla produzione di HCl, sfruttando un meccanismo non ancora ben definito. Il più importante enzima secreto dalle cellule principali è la pepsina, prodotto sotto forma di pepsinogeno privo di attività digestiva. Quando viene a contatto con l’acido cloridrico, il pepsinogeno viene immediatamente trasformato in pepsina, passando da un P.M. pari a 42500 ad un P.M. di 35000. La pepsina, enzima proteolitico, è attivo solo a valori di pH fortemente acidi (~ 2) infatti già a pH ~ 5 diventa rapidamente inattivo. La secrezione gastrica è coordinata sia da meccanismi nervosi sia umorali, regolati rispettivamente da fibre parasimpatiche dei nervi vaghi e dalla gastrina. La secrezione di gastrina, ormone costituito da un eptadecapeptide, può essere promossa in due modi: dal bolo alimentare che, causando la distensione dello stomaco, determina la liberazione dell’ormone oppure da alcune sostanze secretagoghe, come per esempio la caffeina, capaci di provocare la secrezione della gastrina dalla mucosa antrale. In questo modo, i meccanismi appena descritti, stimolano le fibre nervose sensitive dell’epitelio gastrico che contraggono sinapsi con il plesso mioenterico. La Gentiana lutea, ma anche altre specie appartenenti alla famiglia delle gentianaceae, è sicuramente tra le più note piante ad alto contenuto di principi amari. Il contenuto di gentiopicroside nella G. lutea non varia significativamente in seguito a processi di essiccamento o nei diversi stadi della crescita vegetativa. Tuttavia, da studi recenti, è stato riscontrato che il contenuto di amarogentina e di gentiopicroside aumenta nei periodi primaverili, mentre l’accumulo delle sostanze zuccherine si riduce in modo molto evidente(34). Inoltre si è osservato che le piante coltivate sono più ricche di amarogentina rispetto a quelle selvatiche(35). PRINCIPIO AMARO amarogentina amaropanina* gentiopicroside gentiobiosio VALORE AMARO 58.000.000 20.000.000 12.000 120 PERCENTUALE 0,01-0,5 % 0,02-0,2 % 3,5-10 % 0,08- 0,12 % Tabella 11: Principi amari del genere genziana. *la amaropanina è assente nella G. lutea. Lo studio dei principi amari ed in particolare delle sostanze amare della G. lutea, come anche di altre specie dello stesso genere, risale addirittura alla fine del 1800. Infatti queste sostanze, prese in piccole dosi prima dei pasti possono aumentare lo stimolo della fame e il flusso dei succhi gastrici, anche in condizioni di anemia. Già Ivancevic e Kadruka, nel 1938, riportarono delle osservazioni fatte su alcuni soggetti(36). COMPOSTI ISOLATI DALLA GENTIANA LUTEA DELLA MAJELLA In base a quanto riportato nella introduzione, si è deciso di approfondire lo studio della composizione molecolare della Gentiana lutea presente nel territorio del Parco Nazionale della Majella, caratterizzato attualmente da un numero ancora sufficiente di insediamenti. La raccolta è stata effettuata durante il periodo estivo del 2001, a 15001800 m. di altezza, sulle montagne che sovrastano Campo di Giove, una località abruzzese, nel centro del Parco. La pianta era in piena maturità e presentava tutti gli organi in completo sviluppo. Dopo la raccolta, le parti aeree della pianta sono state separate in capsule, contenenti i numerosi semi alati, e foglie. Le parti ipogee, rizoma e radici, non sono state raccolte per favorire la preservazione della specie. Infatti questa pianta ha un ciclo vitale di circa cinque anni e la raccolta della radice altera profondamente il ciclo riproduttivo con conseguenze gravi per la sopravvivenza. Tuttavia, occorre pensare che, per aromatizzare liquori alcolici, ne viene utilizzata quasi unicamente la voluminosa radice che può arrivare a pesare anche fino a 6 Kg. Naturalmente la avidità di alcuni raccoglitori sconsiderati ha portato alla scomparsa di questa splendida pianta da alcuni habitat importanti, come la fascia orientale del Gennargentu, in Sardegna. Per questo motivo, la G. lutea è una delle specie protette del territorio magellense e la raccolta è possibile solo dopo una specifica autorizzazione da parte del presidente della Comunità Montana del comune di Campo di Giove. La nostra attenzione è stata rivolta in particolare alla identificazione di composti glicosidici e dei più polari in genere presenti nelle parti aeree. Lo studio è iniziato con la lavorazione della parte floreale costituita, dalle capsule contenenti i semi, dall’aspetto scuro, dato il periodo di raccolta. Questo campione è stato diviso in due parti uguali che hanno subito due differenti protocolli di estrazione. Il primo prevede la infusione del campione in alcool etilico a temperatura ambiente, ripetendo l’estrazione in alcol per almeno tre volte. Questa è una delle metodologie più comunemente usata per i composti glicosidici, in quanto garantisce la minima alterazione dei prodotti presenti nel campione vegetale. La seconda aliquota di capsule e semi, invece, è stata sottoposta ad estrazione con alcol in continuo, a caldo, con apparecchiatura soxhelet. Confrontando, mediante test cromatografici, i campioni dei due estratti ottenuti, è risultato evidente che il campione ottenuto con il primo protocollo presenta una composizione più ricca in prodotti diversi, rispetto a quello lavorato con soxhelet. La frazione estratta a temperatura ambiente è stata sottoposta ad un primo processo cromatografico, volto a separare grossolanamente le frazioni in relazione alla loro polarità. Le frazioni ottenute sono state successivamente analizzate con differenti processi cromatografici che ci hanno permesso di isolare numerosi composti. La frazione meno polare sembra essere costituita essenzialmente da sostanze di natura lipidica e da fitosteroli. Di seguito è stata ottenuta una frazione costituita da alcuni esteri di acidi cinnamici variamente ossidrilati di cui non abbiamo ancora approfondito la struttura. La frazione successiva è rappresentata dai glucosidi iridoidi, secoiridoidi e da zuccheri, come il gentiobiosio, tipico di questa pianta. La frazione secoiridoide appare costituita essenzialmente da un composto meno polare che è il componente principale, e da una coppia di prodotti a comportamento cromatografico quasi eguale. O O O O O HO O O O O O H3C O CH2OH O CH2OH O CH2OH O OH OH OH OH OH 1 O CO2H O CH2OAc O OAc O OH OH OH OH 2 3 O OAc HO glc-O 4 Si è quindi passato al riconoscimento della struttura dei composti isolati, iniziando da quello presente in maggiore quantità. Lo spettro 1HNMR indicava la presenza di tre gruppi acetili, di una struttura di tipo aromatico, oltre naturalmente alla parte terpenica e glucosidica. Questi dati ci hanno portato ad ipotizzare, per questo composto, la struttura del trifloroside 4, un raro secoiridoide. Tuttavia, i dati spettroscopici riportati in letteratura(37), pur se abbastanza in accordo, non erano esattamente coincidenti con i nostri dati. Inoltre il trifloroside 4 non è stato mai identificato fino ad ora nella G. lutea ma solo nella G. triflora, nella quale, tra l’altro, costituisce uno dei componenti secoiridoidici minori. Pertanto, per avere ulteriori informazioni sulla struttura del composto isolato, è stata effettuata una reazione di acetilazione. L’acetato ottenuto è risultato essere identico all’acetato del trifloroside descritto in letteratura e pertanto è stato possibile stabilire in modo univoco la struttura della molecola isolata. L’isolamento del trifloroside 4 dalla G. lutea del Parco Nazionale della Majella è, secondo la nostra opinione, un dato interessante. Infatti la G. triflora è una specie tipica delle regioni asiatiche ed in particolare del Giappone. Ancora più singolare è stato notare che questo stesso secoiridoide risulti essere il componente glucosidico principale nel campione di G. lutea da noi esaminato. Gli altri due secoiridoidi presenti sono stati purificati per cromatografia e sono stati identificati strutturalmente dopo aver confrontato i rispettivi spettri 1H- e 13C-NMR con quelli presenti in letteratura. I dati spettroscopici sono in accordo con le strutture rispettivamente dello sweroside 1 e del gentiopicroside 2 che sono risultati essere, nel caso della Gentiana della Majella, i componenti secoiridoidici minori. Assieme ai tre secoiridoidi descritti, abbiamo rilevato la presenza di un glucoside iridoide, caratterizzato da un gruppo carbossilico a C-4 e da un metile a C-8. I dati di 1H- e 13C-NMR hanno indicato che si tratta dell’acido loganico 3. La presenza dell’acido loganico, recentemente identificato nel genere Gentiana, è chiaramente comprensibile in quanto il cammino biogenetico degli iridoidi prevede la formazione dei secoiridoidi per apertura ossidativa dell’anello ciclopentanico Con molta probabilità, come è stato da noi ipotizzato anche nel caso del genere Vinca(38), il precursore della frazione secoiridoide e alcaloidea della Gentiana è la loganina, mentre l’acido loganico, non partecipando in modo significativo a questo processo metabolico, può essere isolato in quantità significative. COOCH3 COOCH3 COOCH3 O H-O HO O H3C PO-H2C O-glc O H O-glc O O-glc loganina COOCH3 O O HO O O-glc Oglc sweroside Figura 20 Proposta di biogenesi dei secoiridoidi della gentiana Sono stati inoltre isolati il gentiobiosio, zucchero caratteristico di questa pianta, e il glucosio. La frazione estratta con soxhelet è stata esaminata per evidenziare la presenza degli alcaloidi. Infatti, è noto che questi composti siano in genere termostabili, e quindi dovevano rimanere inalterati in seguito all’estrazione con alcol bollente. La frazione alcaloidea è stata ottenuta con un protocollo standard di separazione. L’estratto grezzo è stato solubilizzato in acqua, la soluzione è stata acidificata a pH 3 ed estratta con etere etilico per ricavare i composti a carattere neutro e acido estraibili. Successivamente si è alcalinizzato a pH 9 e si è estratta la frazione basica. Con questo procedimento, attualmente, abbiamo isolato solo la gentianina, uno degli alcaloidi più caratteristici del genere genziana. Siamo quindi passati allo studio della composizione molecolare delle foglie. Anche in questo caso sono stati utilizzati due protocolli di estrazione. Il primo è identico a quello usato per i semi e le capsule e prevede l’estrazione con alcol a temperatura ambiente; il secondo è stato messo a punto in questo caso e prevede la triturazione delle foglie in acqua in presenza di un antifermentativo (2% di sodio azide). In ambedue i casi, l’estratto ottenuto è stato analizzato mediante cromatografia di adsorbimento con il cosiddetto “metodo del carbone”. I due estratti ottenuti sono risultati molto simili e, sottoposti a separazione cromatografica, hanno fornito una frazione iridoide che è apparsa però diversa da quella ottenuta dai semi e capsule. Infatti è presente l’acido loganico 3, il gentiopicroside 2, e lo sweroside mentre risulta assente il trifloroside. PROPRIETÀ FARMACOLOGICHE DEI PRINCIPALI COMPONENTI DEL GENERE GENTIANA Nella medicina tradizionale cinese viene frequentemente usato il “Qinjiao” per il trattamento di infezioni batteriche e fungine, epatiti, reumatismi, ipertensione ed inoltre come analgesico(39). Infatti dall’estratto metanolico di radici di Gentiana tibetica, dopo aver frazionato mediante CC su gel di silice e filtrato su Sephadex LH-20, è stato isolato un derivato dell’acido antranilico, risultato biologicamente attivo. In realtà, l’etil-N-docosanoilantranilato ha mostrato attività nei confronti di alcuni tipi di funghi patogeni per l’uomo, come la Candida albicans e l’Aspergillus flavus Il “Qinjiao” si ottiene principalmente dalla Gentiana macrophylla (Pall.) ma anche da altre specie come la G. tibetica (King), G. crassicaulis (Duthie ex Burkill) e G. dahurica (Fisch). Dai test effettuati su tutti i composti isolati dalla G. tibetica e, in particolare, sul derivato antranilico, è risultato che l’inibizione della crescita della C. albicans e dell’A. flavus si ottiene usando una MIC (minimal inhibition concentrations) rispettivamente pari a 80 μg/ml e a 60 μg/ml(40),(41). Inoltre è da sottolineare che il gentiopicroside, il capostipite della classe dei secoiridoidi glicosidici della famiglia delle Gentianaceae, sembra avere azione protettiva nei confronti di epatiti virali, inibendo la produzione del TNF (fattore di necrosi tumorale)(42). Infatti questo secoiridoide è stato testato per verificare gli effetti terapeutici su due modelli di danno epatico indotto da CCl4 e dal lipopolisaccaride/bacillus Calmette-Guerin(43). Da tali studi sperimentali è risultato che, l’aumento dei livelli sierici delle transaminasi, indotto dal trattamento con CCl4, viene bloccato trattando precedentemente con gentiopicroside a concentrazioni di 30-60 mg/kg/die per 5 giorni consecutivi. L’incremento di questi stessi enzimi si ottiene anche somministrando, per via endovenosa su topi, lipopolisaccaride/bacillus CalmetteGuerin(44). Anche in questo caso il danno epatico viene bloccato usando le stesse concentrazioni di gentiopicroside sopra descritte. Nel modello BCG/LPS i livelli sierici di TNF, uno dei principali mediatori del processo infiammatorio, aumentano raggiungendo un picco di 90-120 minuti insieme all’attività delle transaminasi(45-48). Azione protettiva del gentiopicroside sull’epatotossicità indotta dal CCl4 Il meccanismo della necrosi epatica da CCl4 è stato per anni oggetto di numerosi studi. Nell’ uomo, come anche nella scimmia, nel ratto, nel topo e in altri animali utilizzati durante le sperimentazioni, il CCl4 causa necrosi centrolobulare e steatosi; l’entità del danno può variare in base a fattori quali la diversità di specie, l’età e il sesso. E’ probabile che queste differenze di sensibilità siano da attribuire a vari modelli che attivano metabolicamente il CCl4 a specie molto tossiche(49). Il danno epatico segue un andamento ben preciso; infatti dopo una dose singola di CCl4, somministrata per via orale o anche in altro modo, incomincia a svilupparsi necrosi centrolobulare, destinata a peggiorare entro 24 ore. Durante le prime 48 ore, enzimi epatici come la transaminasi glutammico piruvica (GPT), la transaminasi glutammico ossalacetica (GOT) e la lattico deidrogenasi (LDH) iniziano ad aumentare a livello sierico e vengono utilizzati per quantificare il danno epatico. Al microscopio ottico vengono osservati danni ai mitocondri e all’apparato del Golgi; inoltre si verifica il distacco dei ribosomi dal reticolo endoplasmatico rugoso, seguito dalla loro dispersione nel citoplasma e quindi dalla disorganizzazione del reticolo endoplasmatico liscio. Dal punto di vista biochimico, il danno al reticolo endoplasmatico porta all’accumulo di lipidi e alla diminuzione della sintesi proteica e della attività delle ossidasi a funzione mista. Molte sono state le teorie sui probabili metaboliti attivi del CCl4: Recknagel e Glende CCl4 → CCl3• + Cl• Rottura omolitica di un legame C-Cl per opera del citocromo P-450 con conseguente formazione di radicali liberi quali il triclorometile e cloruro. Slater CCl3• + O2 → Cl3COO• Il radicale libero triclorometile è blandamente reattivo ma, reagendo con O2, porta alla formazione del radicale libero triclorometilperossi. Reiner e Uehleke CCl4 → Cl3C: Scissione dei legami carbonio-alogeno in condizioni anaerobiche e produzione di metaboliti altamente reattivi con struttura generale R3C: e denominati carbeni. CCl3 Si lega agli acidi grassi enoici delle membrane del reticolo endoplasmatico formando ulteriori radicali liberi all’interno degli acidi grassi. Questi vengono successivamente attaccati dall’O2, causando la perossidazione lipidica che danneggia le membrane e gli altri enzimi. Cl3COO• Reagisce prontamente con i lipidi di membrana e causa per ossidazione lipidica, degradazione cellulare. Media, in condizioni anaerobiche, il legame covalente tra il CCl4 con le macromolecole cellulari Tabella 12 reazioni metaboliche del tetracloruro di carbonio. A questo punto, appare chiaro che il CCl4 è in grado di indurre una serie di eventi tossici che porta alla disfunzione di numerosi processi cellulari ed infine alla morte delle cellule coinvolte. E’ risultato possibile far diminuire la concentrazione sierica delle transaminasi e della lattato deidrogenasi somministrando ai topi, per via intragastrica, concentrazioni specifiche di gentiopicroside per cinque giorni consecutivi. Dealogenazione riduttiva del tetracloruro di carbonio CCl4 e‾ dealogenazione Cl‾ riduttiva •CCl3 O2 e¯ Cl ¯ •O―O―CCl3 RH R• :CCl2 CHCl3 H2O P-450 2HCl CO HOOC―CCl3 HOCCl3 HCl COCl2 CO2 H2O 2HCl AZIONE PROTETTIVA DEL GENTIOPICROSIDE EPATOTOSSICITÀ INDOTTA DAL BCG/LPS SULLA Sono stati effettuati esperimenti su topi trattati con BCG e, dopo sette giorni, con una dose non letale di LPS. Già a distanza di qualche ora dalla somministrazione di LPS, si sono osservati significativi aumenti delle attività delle transaminasi(50) Somministrando il gentiopicroside cinque giorni prima della iniezione di LPS, si verifica una significativa riduzione dei livelli sierici di GPT e GOT. Alcuni pazienti, colpiti da forme fulminanti di epatite, hanno mostrato attivazione di monociti e infiltrazione dei macrofagi nel fegato, nonché produzione abnorme di importanti mediatori del processo infiammatorio come interleuchina-1, α –TNF e γ- interferone. Nel modello BCG/LPS, la produzione di TNF precede il rilascio di aminotrasferasi dal fegato. Il gentiopicroside è risultato capace di sopprimere la produzione di TNF, come anche il rilascio di enzimi epatici. Da questi risultati sperimentali, è stato ipotizzato che il gentiopicroside potrebbe rivestire un ruolo determinante nella inibizione della produzione di radicali liberi e quindi essere utilizzato come anti-ossidante nelle immunologicamente. patologie epatiche indotte chimicamente e USO DELLA GENTIANA LUTEA IN FITOTERAPIA La “medicina delle erbe”, più comunemente conosciuta come fitoterapia, è la scienza che studia vari rimedi per il trattamento di patologie usando piante officinali(51-52). Il termine è stato introdotto, alla fine del 1800, da Henri Leclerc, medico francese, autore di numerose pubblicazioni sull’uso delle piante medicinali. Tuttavia, l’importanza delle piante medicinali e i loro usi erano conosciuti sin dai tempi antichi, basti pensare ad Imotepe, sacerdote medico dell’antico Egitto, a Galeno, medico personale dell’imperatore romano Marco Aurelio, a Paracelso, autore di importanti erbari nel Medioevo. La straordinarietà di questa disciplina può essere messa in evidenza dalle opere di uno dei più illustri rappresentanti della medicina antica, Asclepio di Tessalia, secondo cui l’esatta sequenza da seguire nell’uso di un qualsiasi agente terapeutico era “prima la parola, poi la droga vegetale e solo in ultimo il bisturi”. Le più comuni formulazioni contenenti droghe vegetali includono : polveri con dose prevista tra 0,20 e 2 g.; infusi in cui i tessuti della pianta così come i fiori, le foglie e in alcuni casi anche i semi vengono lasciati in infusione in acqua fredda per un periodo di tempo variabile; decotti preparati con radice e corteccia che vengono estratti mediante bollitura; prodotti di macerazione ottenuti estraendo con acqua fredda. Tuttavia è possibile combinare due tecniche appena citate, come nel caso della infusione-macerazione, impiegata soprattutto per droghe contenenti olii volatili, oppure nella macerazione-decozione prevista per le parti ipogee della pianta. Nel caso della G. lutea, la Farmacopea Ufficiale X Edizione contempla, oltre alla Gentianae radix anche l’estratto fluido (Gentianae extractum fluidum), costituito da un liquido giallo- rossastro, con l’aroma caratteristico della Gentiana e di sapore amaro(12). Nella medicina tradizionale, viene utilizzata esclusivamente la radice essiccata di Gentiana (Gentiana lutea), in quanto fresca risulta essere velenosa. Il sapore della droga, dapprima dolciastro ed in seguito piacevolmente amarognolo le è conferito da alcune sostanze in precedenza citate, tra cui la gentiopicrina. La parte ipogea della pianta viene impiegata, notoriamente, come infuso contro la inappetenza e le atonie gastrointestinali oppure come liquore-digestivo, in quanto manifesta proprietà toniche e stimolanti dell’apparato digerente. In realtà, questa pianta, come anche altre appartenenti alla stessa famiglia (Gentianaceae), viene frequentemente utilizzata in fitoterapia per la formulazione di preparati indicati nella cura di disagi gastrici cronici, tra cui mancanza di appetito, bruciori di stomaco, nausea, vomito e altri sintomi generali di dispepsia. Tale condizione patologica si manifesta essenzialmente quando la mucosa gastrica subisce evidenti cambiamenti da un punto di vista biomolecolare e dunque fisiologico. Per esempio, l’uso ripetuto di salicilati può causare la condizione sopra descritta(54,55). fosfolipidi della membrana cellulare fosfolipasi A2 Acido arachidonico FANS leucotrieni PGG2 prostaciclina (PGI2) PGF α2 Trombossano A2 idroperossidasi PGH2 Tabella 13. sintesi delle prostaglandine e dei leucotrieni(56):la prostaciclina (PGI2) inibisce la secrezione acida dello stomaco, mentre la PGE2 e la PGF α 2 stimolano la sintesi di muco protettivo sia nello stomaco sia nell’ intestino tenue. In presenza di acido acetilsalicilico o qualsiasi altro salicilato, le prostaglandine e le prostacicline non vengono più sintetizzate. Questo porta ad un aumento della secrezione acida e ad una riduzione della protezione della mucosa. Il rischio, in questi casi, è l’insorgenza di sofferenza epigastrica , ulcerazioni ed emorragie( Sia nel caso di disagio indotto da farmaci che in quello causato da una alimentazione poco corretta, è necessario eliminare la causa e se necessario intraprendere una terapia fitoterapica, per esempio con infusi di camomilla e valeriana. Esiste, tuttavia, la possibilità che si manifesti una dispepsia cronica, oltre che dipendente da fattori nervosi o da una dieta non equilibrata, causata dall’assenza, nei succhi gastrici, di acidi e di pepsinogeno. In questi casi, la scelta del rimedio terapeutico dipenderà dal fattore scatenante il disagio. Infatti, se si tratta di dispepsia causata da una ridotta produzione di acidi gastrici, è possibile prediligere droghe la cui composizione è caratterizzata da sostanze amare con proprietà toniche; al contrario, se è coinvolta la scarsa funzionalità dei dotti biliari, possono essere impiegate piante con azione coleretica e colagoga, cioè capaci di stimolare o regolare la secrezione e il flusso della bile. Molto spesso, anche la combinazione di entrambi i gruppi può risolvere il disagio con successo. E’ pur vero che le normali funzioni dell’apparato gastrointestinale possono essere compromesse in seguito ad infezioni acute come nel caso dell’influenza o della dissenteria. Anche in queste situazioni le erbe medicinali, e quindi un piano fitoterapico, sono in grado di dare risultati soddisfacenti. Le condizioni appena descritte evidenziano l’importanza dell’uso delle piante in medicina; basti pensare che, solo per risolvere i problemi cronici che colpiscono l’apparato gastrointestinale, è possibile il trattamento con erbe capaci di stimolare la produzione e la secrezione di acidi gastrici, di proteggere la membrana infiammata della mucosa che riveste lo stomaco ed infine di contrastare crampi o spasmi e di eliminare la flatulenza. Per tale scopo, la fitoterapia prevede l’impiego di due grandi gruppi di piante:quelle contenenti principi amari e quelle caratterizzate da piccole sostanze mucillaginose in grado di formare una barriera protettiva sulla membrana della mucosa e di favorire la risoluzione della infiammazione. Come già detto in una precedente sezione, numerose piante contengono sostanze amare e vengono impiegate nella medicina tradizionale per la loro capacità di stimolare la secrezione gastrica e per la loro azione tonica. Junkmann dimostrò che questi composti aumentano la eccitabilità del sistema nervoso simpatico. Ancora più interessante fu l’esperimento messo in pratica da Weger in cui veniva dimostrato, sullo stomaco isolato di rana, che alcune sostanze amare, tra cui l’estratto di Gentiana e il decotto di Cardo mariano, miglioravano la funzionalità dello stomaco. Questi studi farmacologici risultarono piacevolmente interessanti in quanto ampliavano gli orizzonti di concetti conosciuti sin dai tempi più antichi, ma che mai nessun abile osservatore di scienza aveva fino ad allora confermato. E’ bene ,comunque, sottolineare che, esatti esperimenti clinici per determinare le azioni terapeutiche delle erbe amare , sono difficili perché l’effetto pieno si manifesta solo dopo un uso ripetuto. In questi ultimi anni l’aumento dell’interesse nei confronti della fitoterapia ha permesso di dimostrare, al di là dei pregiudizi, che queste erbe svolgono un ruolo importante in campo biomedico. Anche il mercato si è adattato, tanto che offre ormai da tempo ottime formulazioni e preparati ampiamente richiesti. Inoltre la grande varietà dei prodotti amari ha reso necessario una sottile classificazione da un punto di vista della pratica clinica. Sostanze amaro-toniche, in cui il composto amaro è capace di tonicizzare la muscolatura degli organi addominali. Sostanze amaro-aromatiche, ottenute da piante che, oltre ad essere costituite da sostanze amare, sono caratterizzate da olii volatili, che conferiscono alla pianta stessa una particolare fragranza aromatica. Sostanze pungenti (hot-bitters), sono tutte quelle droghe come il ginger usate come spezie e più raramente in medicina. AMARO-TONICI Erythraea centaurium Centaurium pulchellum Centaurium littoralis Gentiana lutea Gentiana pannonicus Gentiana purpurea Gentiana punctata Gonolobus condurango Swertia perennis Vincetoxicum officinalis Menyanthes trifoliata AMARO-AROMATICI Acorus calamus Angelica archangelica Artemisia absinthium Carduus benedictus Tabella 14 Sostanze amare AMARO-PUNGENTI Zingiber officinale PATOLOGIA RIMEDIO FORMULAZIONE Itterizia Radici di Rabarbaro, radice secca polverizzata di Gentiana lutea L., corteccia polverizzata di Cascara intera pianta di Gentiana amarella L. radice del secondo anno di Gentiana lutea L. radice essiccata e sminuzzata di Gentiana lutea L. Rradice di Gentiana lutea L. del secondo anno rizoma frantumato di Calamo, polvere di Gentiana lutea L., polvere di Liquirizia radice del secondo anno di Gentiana lutea L., radice grattugiata di Gentiana lutea L., bacche di Ginepro, scorza di Arancio amaro, Menta, semi di Finocchio, Salvia radice contusa di Valeriana, fiori di Camomilla, radice di Gentiana lutea L. Timo, Melissa, radice di Gentiana lutea L., rizoma di Rabarbaro, corteccia di Frangola radice di Gentiana lutea L., radice spezzettata di Valeriana, fiori di Camomilla semi di Anice, semi di Finocchio, foglie di Menta, radice di Rabarbaro, radice di Gentiana lutea L. decotto alcolico Vomito gravidico Idropsia atonica Inappetenza Depurativo del sangue Alitosi Scrofolosi Gastrite Sedativo del SNC Stitichezza Ansia Digestione difficile infuso al 4 % infuso al 2% decotto infuso al 3% decotto Tabella 15 Usi fitoterapici della Gentiana … Questa parte riguarda la biogenesi dei monoterpeni metil-ciclopentanoidici ed è stata omessa… CONCLUSIONI Anzitutto è importante mettere in evidenza che fino ad oggi non erano mai state svolte ricerche mirate alla identificazione dei componenti molecolari delle piante presenti nel Parco Nazionale della Majella. infuso infuso decotto infuso infuso Nell’ambito di un protocollo di intesa stipulato fra la Scuola di Specializzazione in Chimica e Tecnologia delle Sostanze Organiche Naturali dell’Università di Roma “La Sapienza”, il Comune di Pratola Peligna con la partecipazione dell’Ente Parco della Majella, è stato intrapreso un programma di ricerca volto alla determinazione dei principi attivi presenti nelle piante tipiche del Parco. Si è deciso di iniziare lo studio della Gentiana lutea che costituisce una delle piante caratteristiche della flora officinale del Parco. Lo studio della composizione molecolare della G. lutea della Majella ha portato a risultati che, ad un primo esame, indicano certamente una differenza significativa fra i dati riportati in letteratura, riguardanti i secoiridoidi della G. lutea, rispetto ai risultati sperimentali ottenuti. Infatti nella G. lutea che cresce nel Parco della Majhella risulta presente un componente secoiridoide, il trifloroside, che fino ad oggi sembrava presente solo in una specie orientale, la G. triflora. Il trifloroside appare presente come componente principale nei semi e nelle capsule, mentre risulta assente nelle foglie. Inoltre il gentiopicroside e lo sweroside, che sono i secoiridoidi indicati come caratterizzanti del genere gentiana, sono presenti entrambi nei semi e nelle capsule, mentre nelle foglie risulta presente il solo gentiopicroside. Questi dati, secondo la nostra opinione, potrebbero esser indicativi di diverse problematiche. La prima, e più semplice ipotesi che si può fare, è che la G. lutea della Majella costituisca una specie endemica e quindi, come tale, caratterizzata da una composizione molecolare che si discosta, anche in modo significativo, da quello descritto per la G. lutea. D’altra parte è noto che gli studi riportati finora in letteratura, sono stati condotti su piante caratteristiche della zona alpina. Questa ipotesi si basa anche su alcuni dati botanici che hanno individuato nella Majella la presenza di una specie caratteristica che è stata denominata “magellense”. Naturalmente questa possibilità va verificata con un approfondito studio botanico della pianta La seconda ipotesi è che la composizione molecolare che noi abbiamo individuato possa essere legata al periodo in cui è stata effettuata la raccolta della pianta. Questa è stata effettuata tra luglio e agosto, ovverosia nel periodo conclusivo della maturazione della pianta. Potrebbe essere che in questo periodo si verifichi una modificazione nei rapporti quantitativi fra i principi attivi, con accumulo di trifloroside nei semi e capsule e una diminuzione di sweroside nelle foglie. Questa seconda ipotesi naturalmente va controllata effettuando raccolte in diversi periodi dell’anno e determinando per ogni campione la composizione molecolare. Una terza ipotesi potrebbe essere quella che il metabolismo della G. lutea sia fortemente influenzato dalle condizioni pedoclimatiche (composizione del terreno, altitudine, condizioni di esposizione alla luce, etc.). Questa terza ipotesi sarebbe d’altra parte in accordo con le osservazioni fatte anche in altri casi che hanno mostrato significative variazioni nella presenza di composti naturali, in relazione a variazioni di parametri ambientali come la composizione del terreno e l’altitudine. Il naturale sviluppo di questo lavoro di tesi sarà quello di procedere alla verifica di queste ipotesi nel caso della G. lutea e procedere con lo studio di altre specie caratteristiche del territorio magellense. BIBLIOGRAFIA 1. Piano esecutivo del Parco Nazionale della Majella 2002. 2. F. Tammaro, Documenti per la conoscenza naturalistica della Majella. Repertorio sistematico della flora, Regione Abruzzo Chieti.1986. 3. F. Tammaro, Flora officinale d’Abruzzo, 1986, Regione Abruzzo L’Aquila. 4. G. Marcantonio, Contributo alla flora della Majella, 1998, Archivio Geobot., vol. 4, 291-298. 5. F. Tammaro, G. Pirone, Il Parco Nazionale della Majella, Natura e Montagna, 1995,vol. 3-4, 45-64. 6. Feoli, Chiapella, Contributo alla conoscenza della flora della Majella Delpinoa vol.21-22, 97-133. 7. F. Conti, Contributo alla flora della Majella, Archivio botanico e biogeografico italiano, 1987, n.63 fasc..1-2, 70-99. 8. M. Nicoletti, A. Bruni, Lezioni di botanica farmaceutica, 1997 194195. 9. M. 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