L’immagine dell’uomo e le rivoluzioni scientifiche a cura di Andrea Potestio Dottorato di ricerca in Scienze Pedagogiche, XXIV ciclo, Università degli Studi di Bergamo Questo scritto vuole ripercorrere alcuni temi dell’intervento ‘L’immagine dell’uomo e le rivoluzioni scientifiche’1 che il professor Evandro Agazzi ha tenuto presso l’Università degli studi Bergamo. La tesi principale sostenuta da Agazzi è che la tradizione occidentale sia leggibile e analizzabile alla luce delle rivoluzioni scientifiche che la hanno attraversata. La scienza, intesa in senso ampio come sapere dell’uomo, è il prodotto di diverse rivoluzioni che hanno caratterizzato la cultura che ci appartiene ed è diventata la caratteristica positiva della civiltà occidentale. L’idea stessa di uomo si è sviluppata grazie ai cambiamenti che si sono verificati all’interno di quel sapere scientifico che definiamo occidentale. Il termine ‘rivoluzione’ nella sua etimologia latina significa ‘girare intorno’, ‘ruotare attorno a qualcosa’ e infatti, la parola ancora oggi indica il movimento di rivoluzione della terra attorno al sole distinguendolo da quello di rotazione intorno al proprio asse. Non a caso il testo di Copernico, che ha generato profondi effetti nel sapere astronomico e scientifico, si intitola De revolutionibus orbium coelestium. A partire dalla fine del Seicento la parola ‘rivoluzione’ viene ad assumere un significato più socio-politico, indicando un violento cambiamento della situazione istituzionale presente, come è avvenuto durante la rivoluzione francese: il vocabolo ‘rivoluzione’ ha finito con il restringere il suo significato diretto, all’ambito politico, designando mutamenti dell’ordine costituito realizzati in modo rapido, brusco, spesso violento, e comunque sfociati in un ordinamento radicalmente nuovo. […] Ciò indica che quella di rivoluzione è diventata una categoria storiografica dai contorni un po’ sfumati, ma sostanzialmente delineata2. Agazzi sottolinea di voler utilizzare il termine ‘rivoluzione’ non solo come categoria storiografica ma come processo di cambiamento profondo e relativamente rapido, dotato di aspetti e conseguenze complesse da identificare che portano a una nuova visione della realtà. Egli evidenzia la portata analogica del termine e la sua applicazione nello sviluppo del sapere umano per mostrare alcuni momenti significativi nella cultura occidentale che la hanno portata a costituire la propria identità. Il momento iniziale, che ha dato origine a quella tradizione che chiamiamo occidentale e studiamo nei vari manuali scolastici, è il pensiero greco che, attraverso il mondo romano e il contributo della cristianità, si è diffuso in Europa generando i temi fondamentali della cultura che è giunta fino a noi. Agazzi afferma che la scienza è la caratteristica più significativa che differenzia la cultura Occidentale dalle altre: ebbene, tra le caratteristiche più marcate dell’Occidente, che non hanno avuto l’equivalente presso altre civiltà, dobbiamo annoverare specialmente la scienza, concepita nel modo in cui noi oggi la consideriamo in tutto il mondo e che oramai ha acquisito una dimensione planetaria. Essa non solo è nata in Europa nella sua forma moderna, e di lì è passata ad altre parti dell’Occidente, ben prima di essere assorbita anche altrove, ma le sue radici si incontrano proprio alle origini della civiltà occidentale e si può dire che rappresentino quell’elemento 1 La conferenza del prof. Agazzi (docente di Filosofia Teoretica presso l’Università di Genova) si è svolta il giorno 20 Febbraio ed è stata organizzata dal prof. Bertagna all’interno della Scuola di dottorato di ricerca in Scienze pedagogiche dell’Università degli Studi di Bergamo. I temi della conferenza riprendono alcuni snodi teoretici contenuti nel testo di Agazzi Le rivoluzioni scientifiche e il mondo moderno. Cfr. E. Agazzi, Le rivoluzioni scientifiche e il mondo moderno, Milano, Fondazione Achille e Giulia Boroli, 2008. 2 E. Agazzi, Le rivoluzioni scientifiche e il mondo moderno, cit., pp. 13-14. 1 ‘rivoluzionario’ – rispetto al mondo mediterraneo in cui questa civiltà nasceva – che ne ha subito contrassegnato l’originalità e l’identità3. È proprio il mondo greco che rappresenta l’elemento di discontinuità all’origine della scienza moderna. La ‘rivoluzione’ operata dai greci non risiede in un contributo disciplinare particolare, ma nella costruzione teorica che si origina con la speculazione filosofica e rimane la struttura portante del sapere occidentale. La rivoluzione classica consiste nel concepire il sapere come un processo razionale che permette di conoscere in modo pieno e adeguato una data realtà. Per fare questo non è possibile limitarsi ad affermare l’esistenza della realtà e a descriverla, ma è necessario comprendere il perché di quella determinata realtà. La ragione ci permette, quindi, di conoscere in profondità l’oggetto del nostro studio, indagandone le cause e gli effetti e dimostrando attraverso principi universali le concezioni prodotte. Insomma il sapere razionale (logos) sostituisce il mito, ossia il racconto intorno alla realtà. Questo cambiamento, sostiene Agazzi, è rivoluzionario e avrà conseguenze dirette su tutta la tradizione occidentale e sul costituirsi delle scienze moderne. Si genera nel mondo greco, con Parmenide e poi con Platone e Aristotele, la distinzione fondamentale tra verità e opinione. Il sapere (episteme) deve portare a una verità in qualche modo garantita dal rigore del ragionamento e delle dimostrazioni razionali e si distingue dalle opinioni che mutano e si affidano eccessivamente alle sensazioni ingannevoli: secondo il modello di conoscenza esplicitamente teorizzato dalla filosofia greca, il sapere autentico si raggiunge solo quando, dopo aver appurato una verità, si è anche in grado di darne la ragione, ossia di indicarne il perché. Non è esagerato quindi sostenere che con i Greci si introduce nella civiltà ‘l’invenzione del perché’, la quale costituisce a un tempo la nascita della filosofia e della scienza, dal momento che, in particolare, viene direttamente applicata anche in quei settori che noi chiamiamo scientifici nel significato moderno del termine4. La ricerca delle cause della realtà è l’innovazione della filosofia greca. Un cambiamento che costituisce l’intelaiatura della nostra tradizione e del sapere scientifico. Il pensiero si costituisce come pratica dimostrativa che deve argomentare e fondare i propri ragionamenti. Per il mondo greco la validità dei ragionamenti doveva essere verificata da principi primi e intuizioni intellettuali che avevano la funzione di garanzia di ogni ragionamento. Un sapere autentico si fonda su principi universali e necessari che devono essere evidenti di per sé, non possono essere dimostrati, ma sono il prodotto di un’intuizione intellettuale. Da questi principi primi indimostrabili e universali si può ricavare, attraverso il ragionamento argomentativo, ogni forma di sapere razionale come mettono in atto Platone e Aristotele. Se la prima grande rivoluzione del sapere occidentale si colloca nel mondo greco, l’altro grande cambiamento – prosegue Agazzi – va collocato nel Rinascimento grazie alla nascita della scienza moderna. Il cambiamento imposto dalla nascita delle scienze moderne è stato un vero e proprio cambiamento di orizzonte conoscitivo che ha provocato diversi punti di frattura con la concezione precedente: la nascita della scienza naturale fu possibile grazie a un ripensamento radicale ed esplicito del concetto classico di scienza, che condusse a proporre, nel campo dello studio della natura, un nuovo modello di conoscenza. Questo continuò a essere chiamato ‘scienza’ ma differiva non poco dal modello classico e finì abbastanza rapidamente col diventare il paradigma di riferimento del concetto di scienza5. 3 Ivi, p. 15. Ivi, p. 20. 5 Ivi, p. 29. 4 2 Le differenze tra la scienza classica e quella naturale sono molteplici e, dare importanza maggiore a un aspetto o a un altro, significa già individuare una direzione prospettica che le scienze naturali svilupperanno nei secoli successivi. Agazzi, pur affermando l’importanza dello spirito naturalista, delle metodologie sperimentali, della matematica come linguaggio di analisi della natura e degli strumenti di indagine, sostiene che la grande rivoluzione paradigmatica nel sapere scientifico risiede nel voler indagare le sostanze naturali (corpi fisici) solo da un punto di vista descrittivo cercando di analizzare le affezioni (proprietà) di tali oggetti e rinunciando a comprenderne le essenze. Questa mentalità è ben sintetizzata da un passo di Galileo Galilei che può essere considerato l’autore simbolo della rivoluzione scientifica: o noi vogliamo specolando tentar di penetrare l’essenza vera ed intrinseca delle sustanze naturali; o noi vogliamo contentarci di venire in notizia di alcune loro affezioni. Il tentar l’essenza l’ho per impresa non meno impossibile e per fatica non men vana nelle prossime sustanze elementari che nelle remotissime e celesti […]. Ma se vorremmo fermarci all’apprensione di alcune affezioni, non mi par che sia da desperar di poter conseguirle anco nei corpi lontanissimi da noi, non meno che nei prossimi6. Galilei esprime, in modo significativo, l’epistemologia della scienza moderna che rinuncia a indagare le essenze e i principi primi per assicurarsi un campo autonomo di azione e di indagine sulle caratteristiche quantitative della realtà. Le proprietà degli oggetti che diventano il campo privilegiato di studio della scienza sono quelle quantificabili e, quindi, analizzabili attraverso la matematica che diventa il linguaggio imprescindibile per comprendere la natura. Galileo è consapevole del ruolo dell’esperienza sensibile nella costruzione del nuovo sapere e afferma l’importanza delle ‘sensate esperienze’ accanto alle ‘necessarie dimostrazioni’ che permettono di costruire un scienza che ha nel metodo sperimentale e nella verifica attraverso l’esperimento delle ipotesi la propria garanzia epistemologica. Le conseguenze di questa svolta sono numerose e si ritrovano, per esempio, nella riflessione cartesiana che divide la realtà in due sostanze affermando la necessità di studiarle con due metodi separati: la sostanza fisica (res extensa) che deve essere indagata con leggi meccaniche e sperimentali e la sostanza spirituale (res cogitans) che viene studiata dalla metafisica. Le scienze sperimentali hanno ottenuto, in questo modo, la piena legittimazione della propria autonomia e del proprio campo di indagine determinato. Verso la fine del Seicento Newton sviluppa i temi di Galilei nei Principi matematici della filosofia naturale (1687) studiando il rapporto tra materia e moto attraverso l’introduzione del concetto di forza come causa della variazione del moto. La forza che introduce Newton e che governa numerosi movimenti dei corpi fisici è quella di gravitazione attraverso la quale, seguendo una rigorosa trattazione matematica, riesce a spiegare diversi fenomeni come la caduta dei gravi, il moto del pendolo e le orbite dei pianeti. È nel Settecento però – prosegue Agazzi – che si consolida una vera e propria cultura scientifica che si propone come modello del sapere occidentale attraverso il trionfo del linguaggio matematico applicato alla fisica e che porta alla scoperta delle leggi meccaniche che governano l’universo naturale. La mentalità che si afferma nel Settecento ha profonde influenze anche sulla metafisica e su tutti i saperi che non si occupano di oggetti fisici. Kant rappresenta al meglio questo cambiamento di paradigma; infatti, l’obiettivo della Critica della ragion pura è cercare di rispondere alla domanda se è possibile fare scienza con la metafisica. Kant – osserva Agazzi senza avere la pretesa di esaurire la complessità dell’argomentazione kantiana – parte da una constatazione di fatto: le due discipline che hanno raggiunto lo statuto di scienze fondate 6 La citazione è riportata nel libro di Agazzi. (Cfr. ivi, p. 31). Galileo Galilei, Edizione Nazionale delle Opere di G.G., Firenze, Barbera, 1929-1939, 20 voll., vol V, pp. 187-188. 3 epistemologicamente e sono in grado di produrre conoscenze feconde e universali (giudizi sintetici a priori) sono la matematica e la fisica; mentre la metafisica è ancora lontana dall’aver conquistato questo statuto. Le conseguenze del paradigma conoscitivo descritto da Kant conducono a vedere nella scienza naturale l’unica risposta fondata ai problemi dell’uomo. Si genera così un eccesso di fiducia nella scienza che è ben sintetizzato dal positivismo ottocentesco7 e dalla sua idea di progresso positivo dell’umanità basato sullo sviluppo delle scienze naturali che permettono una conoscenza completa dei fenomeni naturali attraverso un metodo sperimentale, intersoggettivo e universale che non si affida alle interpretazioni e alle opinioni non verificate. Agazzi sottolinea l’illusorietà del paradigma positivista che porta a dimenticare le origini filosofiche-metafisiche dello stesso sapere scientifico e che tende a considerare l’uomo come un dato quantitativo che può essere misurato e ridotto a un meccanismo: la concezione positivista ignora un aspetto fondamentale della conoscenza (che vale anche per la conoscenza scientifica): ogni conoscenza di qualcosa di nuovo è resa possibile dalla presenza di un precedente quadro di riferimento conoscitivo che costituisce lo ‘sfondo implicito’ grazie al quale il fatto nuovo appare intelligibile, ossia comprensibile all’intelletto. Questo quadro di riferimento che ci permette di ‘interpretare’ i dati grezzi in modo che diventino fatti costituisce il momento ermeneutico (ossia interpretativo) preliminare a ogni discorso assertorio ed è corretto chiamarlo un orizzonte metafisico in uno dei due sensi fondamentali che questo concetto ha conosciuto lungo la storia del pensiero. […] La metafisica è lo studio delle caratteristiche della ‘realtà in quanto tale’, e dunque dei concetti e principi più universali del reale, quelli che si incontrano in qualunque realtà e che, pertanto, sono all’opera in qualunque tipo di conoscenza. Non solo, ma questo discorso si deve ripetere anche per lo studio di settori o tipi più particolari della realtà: per ciascuno di essi esistono concetti e principi caratteristici che costituiscono il quadro ermeneutico generale di riferimento per quel dato studio e questi concetti e principi, pur potendosi ritenere ottenuti a partire dall’esperienza, non hanno natura empirica o sensibile. Queste due condizioni valgono anche per la costituzione della scienza naturale moderna. Non solo essa utilizza, specializzandoli, principi metafisici generali come quello di permanenza della sostanza (la massa, il moto, lo spazio e il tempo) e dell’azione di cause (le forze), ma accanto a questi ne utilizza altri particolari, che si possono condurre alla visione dell’antico atomismo dei Democrito ed Epicureo, secondo cui tutti i corpi naturali sono costituiti da atomi materiali indivisibili sottoposti unicamente alle forze di reciproca collisione durante il loro cadere nel vuoto per effetto del proprio peso8. Agazzi afferma l’impossibilità di rinunciare all’esigenza metafisica intesa come ricerca dei principi universali che costituiscono le nostre pratiche e, quindi, anche quella scientifica. La scienza moderna impone un cambiamento di paradigma che può essere compreso solo all’interno di tutto lo sviluppo della conoscenza occidentale che ha avuto origine nella cultura filosofica greca. Per questo la concezione positiva delle scienze, che agisce ancora nel Novecento, deve essere considerata illusoria e poco feconda in quanto elimina dal proprio studio molti aspetti delle pratiche umane e non riconosce le influenze dell’evoluzione storica del pensiero. Il paradigma positivista, inoltre, si estende verso la fine dell’Ottocento e inizio Novecento verso gli studi che riguardano l’uomo come la politica, l’etica, la storia e la psicologia cercando di studiare l’essere umano come un oggetto naturale come ben sintetizza lo storico Hyppolyte Taine: 7 Il fondatore del positivismo ottocentesco può essere considerato Auguste Comte. Come osserva giustamente Agazzi, Comte non fu né un riduzionista né un materialista, ma diede avvio a un paradigma che aveva l’idea di utilizzare il metodo scientifico come criterio di analisi dell’intera realtà generando nelle visioni successive un’illusione nei successi delle scienze sperimentali. Cfr., ivi, p. 98. 8 E. Agazzi, Le rivoluzioni scientifiche e il mondo moderno, cit., pp. 35-36. 4 la scienza giunge infine e si avvicina all’uomo. È all’anima che essa si volge, munita degli strumenti esatti e penetranti di cui trecento anni di esperienza hanno dimostrato l’esattezza e misurato la portata. Il pensiero e il suo svolgimento, la sua struttura e la sue esplicazioni, le sue profonde radici corporee, la sua ramificazione infinita attraverso la storia, la sua alta fioritura al sommo delle cose, ecco il suo oggetto9. La citazione esprime in modo evidente come la visione positiva del sapere si è diffusa in Europa e pretende di occuparsi attraverso il proprio metodo sperimentale di tutti gli ambiti umani, anche quelli che tradizionalmente erano più legati alla riflessione filosofica come l’anima, la conoscenza e il comportamento. Il dibattito sullo statuto epistemologico delle scienze umane coinvolge tutta la seconda metà dell’Ottocento e il Novecento attraverso i contributi di scienziati, sociologi, psicologi e filosofi dando vita a due posizioni contrapposte: quella positivista che propone l’applicazione diretta del metodo sperimentale alle scienze umane e quella storicista che afferma lo statuto autonomo e diversificato delle scienze umane che, oltre l’aspetto empirico, devono prendere in considerazione anche l’evoluzione storica e interpretativa dell’uomo. Senza entrare nel dettaglio di questo dibattito che prosegue fino alla nascita delle scienze umane nella seconda metà del Novecento, Agazzi mostra l’influenza notevole che il metodo sperimentale ha avuto e sta avendo nella costituzione del sapere occidentale: nostro scopo è stato semplicemente quello di mostrare con quanta profondità l’ideale della conoscenza scientifica abbia penetrato la cultura occidentale moderna, producendo gradatamente, in molti strati di essa, la persuasione che in ogni campo la conoscenza si possa raggiungere soltanto istituendovi una opportuna scienza, magari attraverso una sapiente delineazione dei suoi criteri metodologici specifici. Quanto rimane fuori da tali possibilità di trattazione (ossia i grandi problemi esistenziali che da sempre preoccupano l’umanità e sono stati oggetto della riflessione filosofica e delle dottrine religiose) è lasciato alla sfera del sentimento e delle libere opzioni personali, quando non venga considerato un discorso ‘privo di senso’ (come affermano i neopositivisti)10. L’interpretazione, che Agazzi suggerisce, ci permette di comprendere meglio anche l’origine di due atteggiamenti contrapposti dell’uomo contemporaneo di fronte alla scienza e alla tecnica moderna: da un lato la piena accettazione del paradigma tecnico-scientifico come unico sapere in grado di produrre verità evidenti e valide per il progresso della società, da un altro lato il rifiuto e la demonizzazione della scienza accusata di essere la causa di tutti gli elementi negativi della nostra società come la crisi dei valori e delle istituzioni tradizionali. Entrambi gli atteggiamenti nei confronti delle scienze – prosegue Agazzi – sono illusori e producono effetti negativi sulla società nella quale stiamo vivendo. La visione positivista afferma che la scienza produce verità che sono al di fuori del tempo; per questo la storia della scienza è poco utile in quanto è continua correzione di errori che tendono a una verità che deve essere considerata valida e condivisa. In questo modo la scienza, dimenticando la tradizione che la ha costituita e che ancora influisce sulle sue interpretazione, diventa un sapere dogmatico e rigido. La visione che rifiuta lo sviluppo tecnico-scientifico, al contrario, non riconosce come esso sia il frutto più significativo della tradizione occidentale e ricade nell’illusione di poter fuggire dalla realtà nella quale si è immersi proponendo cambiamenti utopici e radicali delle condizioni di vita del genere umano. Se i due atteggiamenti opposti di rifiuto o di piena accettazione del ruolo delle tecnoscienze nella realtà contemporanea, sono, per ragioni diverse, illusori e poco utili, Agazzi suggerisce una posizione che inserisca i contributi della scienza all’interno di un sistema più ampio che coinvolga 9 La citazione è riportata nel libro di Agazzi. (Cfr. ivi, p. 99). H. Taine, Histoire de la littérature anglaise, 4 voll., Paris, Hachette, 1966, vol. IV, p. 421. 10 E. Agazzi, Le rivoluzioni scientifiche e il mondo moderno, cit., pp. 107-108. 5 anche la morale, la politica, l’etica e le esigenze della società stessa. Le tecnoscienze non sono un sapere neutrale, ma si inseriscono all’interno di un sistema sociale con il quale devono interagire. Il sistema sociale, politico ed etico non può dare criteri di validazione dei prodotti scientifici in quanto i giudizi per valutare se una ricerca è valida o meno sono solo interni alla scienza stessa: gli unici criteri di giudizio per valutare se una certa conoscenza scientifica o tecnologica è valida sono quelli che la tecnoscienza adotta, mentre il giudizio morale, politico, sociale, economico potranno intervenire legittimamente non già per contestare tale validità, ma, per esempio, per criticare i mezzi utilizzati per raggiungere tali conoscenze, oppure per contestare alcune loro applicazioni concrete, o per mettere in guardia contro le possibili conseguenze indesiderate a lungo termine cui certe utilizzazioni di tali conoscenze potrebbero condurre, per esempio, a livello sociale o ecologico11. La ricerca della tecnoscienza deve rimanere libera e autonoma, e, ovviamente, la verità delle sue analisi deve essere valutata solo all’interno della comunità scientifica. Ma la libertà e l’autonomia della scienza deve essere accompagnata da un senso di responsabilità della comunità scientifica che deve interagire con le forze politiche, etiche e sociali cercando di mettere le scoperte delle scienza al servizio della comunità nella quale agisce. Agazzi richiama le riflessioni di Hans Jonas12 sul ‘principio di responsabilità’ sia in ambito giuridico come impunibilità di un determinato agente che causa un’azione sia in ambito morale come senso di cura e protezione che ogni cittadino deve avere nei confronti degli altri esseri umani che appartengono alla società nella quale vive. La comunità scientifica, quindi, deve agire attraverso il ‘principio di responsabilità’ che la porti a cercare di prevedere, per quanto è possibile, gli effetti delle proprie azioni nel rispetto delle generazioni future. Il principio di responsabilità si deve accompagnare a una ‘razionalità prudenziale’ che tende a limitare determinate azioni della scienza, non perché sbagliate o false in senso assoluto, ma perché troppo rischiose e imprevedibili per l’avvenire della società. Lo sviluppo delle tecnoscienza ha portato nuove conoscenze e nuove possibilità di azione per l’umanità generando da un lato l’illusione di poter soddisfare tutti i bisogni dell’uomo, dall’altro un senso di precarietà e ansia per una tecnica che produce effetti imprevedibili e, spesso, incontrollabili: la civiltà attuale si trova quindi in una situazione paradossale. Per un verso lo sviluppo delle tecnoscienze, la diffusione dell’informazione e la facilità della comunicazione ne hanno fatto, come spesso si dice con un punta di orgoglio, una società della conoscenza, ma questo fatto non ha arrecato per nulla quel sollievo che la mentalità ‘moderna’ si attendeva, quando affermava che con l’accrescersi della conoscenza (in sostanza di quella scientifica), l’umanità avrebbe risolto tutti i suoi problemi pratici. In realtà questi appaiono oggi in parte risolti, ma in parte accresciuti proprio in seguito al progresso tecnoscientifico; riguardo a questi misuriamo l’inadeguatezza delle presunte certezze offerte da una tecnoscienza fallibile e non linearmente programmabile. Ecco dunque che la società della conoscenza appare ormai sempre più come una società del rischio. La cosa è relativamente nuova, poiché il rischio è una tipica categoria dell’azione umana, che può fallire, nel senso che il risultato sperato non viene raggiunto13. La situazione di preoccupazione e di ansietà tipica di una ‘società del rischio’ non è però, priva di possibilità e di aperture dialogiche tra l’impianto tecnoscientifico e la comunità nel quale agisce. Nella parte finale del suo intervento Agazzi invita scienziati, filosofi e cittadini a partecipare in 11 Ivi, p. 256. Si veda il testo H. Jonas, Il principio di responsabilità. Un’etica per la società tecnologica, Torino, Einaudi, 1993. 13 Ivi, pp. 263-264. 12 6 modo consapevole a una costruzione di una sapere condiviso che sia in grado di rispondere ai bisogni pratici, ma anche etici e politici della società e possa indicare alcuni limiti etici alle azioni della tecnoscienza. Agazzi afferma la necessità di accompagnare sempre l’azione della scienza con una riflessione etica che sia in grado di coinvolgere sia la comunità scientifica sia quella civile e politica. Ciò che è auspicabile non è lo sviluppo di una morale che imponga le sue verità al sapere scientifico, ma la crescita di un ‘principio di responsabilità’ comune verso l’umanità presente e futura che possa limitare determinate potenzialità tecniche là dove i rischi sociali ed etici siano troppo elevati o poco prevedibili. 7