Il cuore di Danko «La verità non consiste nel seguire la propria

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ROBERTA DE FRANCESCO
Il cuore di Danko
Ma che cos’era dunque questo Spirito
che era me e al di fuori di me?
(G. DE NERVAL, Aurélia o Le Rêve et la
Vie in E. LEVINAS, Carnets de captivité).
«La verità non consiste nel seguire la propria ombra che si profila all’orizzonte delle idee, nell’identificazione con i propri concetti o con i propri prodotti, con l’uniforme che si porta, con il ruolo oggettivo che ognuno gioca
suo malgrado […]: significa ritrovare il nostro essere in noi stessi, riconquistare quel cuore che, nel folclore russo, un gigante ritenuto immortale aveva
il privilegio e l’imprudenza di custodire fuori dal suo corpo»1.
La riflessione levinassiana intorno alla verità dischiusa nelle righe proposte – nucleo fondante della storia del pensiero filosofico –, discostandosi
dall’orizzonte di una verità intesa come sapere totale e totalitario, capace
di fotografarne il profilo e afferrarne il senso attraverso la visione panoramica, immanente e inglobante, tanto dello sguardo quanto del processo
oggettivante dell’intelletto – soggettivo –, si configura invece come «sapienza della verità» di «un’altra riva», conducendo ad una verità intesa come “navigazione”, erranza, viaggio verso l’alterità di quella riva che è la riva dell’Altro. «Sapere la verità» non significa, dunque, «verità come sapere». Il cuore della verità è, innanzitutto, la verità di un cuore che pulsa per
Altro/i: la verità di un “gigante” che ha «il privilegio e l’imprudenza di custodire [il cuore] fuori dal suo corpo».
L’anima della verità e la verità dell’anima, scrive infatti Levinas, è «nella sua inquietante presenza […] una delle cose che non si vede che dal di
fuori»2. Per accostarsi alla verità presente, ma come già al di fuori e all’infuori di se stessa, occorre dunque interrogare, nel cuore della filosofia,
la presenza di un cuore letterario: la verità di un cuore sradicato dalla totalità e radicato nell’alterità. Per accostarsi alla verità “gigante”, “senza misu1 E. LEVINAS, Noms propres, Fata Morgana, Saint-Clément 1975, tr. it. Nomi propri, a
cura di F.P. Ciglia, Marietti, Casale Monferrato 1984, pp. 151-152.
2 Ivi, p. 133.
Bollettino Filosofico 26 (2010): 144-153
ISBN 978-88-548-4673-9
ISSN 1593-7178-00026
DOI 10.4399/978885484673910
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ra”, di cui scrive Levinas, occorre avvicinarsi, scavare, scandagliare e sprofondare – senza tuttavia poterne mai toccare abbastanza il fondo – nel cuore di un’altra verità, la verità dell’Altro. La verità, avendo dunque un cuore, ha anche un volto e un nome proprio: è la storia di Danko, più volte richiamata nelle pagine levinassiane3. Si tratta di una verità custodita come
ciò che è incustodibile, una verità che pulsa (in-finita) nel corpo, ma insieme al di fuori del corpo che vorrebbe contenerla, racchiuderla, incatenarla;
una verità perseguitata, inseguita, finanche calpestata, schiacciata, ma senza
poter essere mai annientata nella sua profondità e altezza; verità irrappresentabile «che disarticola l’attimo stesso in cui si offre e proclama»4. Verità
oscura, ma cangiante, diveniente; tremante, ma gioiosamente ardente e temeraria, come il cuore di Danko. Verità impossibile a cogliersi se definitamente e definitivamente riportata alla luce cristallizzante dell’immanenza,
come scrive Levinas in una toccante nota in cui alla comprensione è sostituita la verità di una filosofia “scossa” nel cuore stesso delle proprie solide e
luminose fondamenta:
Comprendere – gioire nella chiarezza della comprensione – senza poter
cambiare niente. La filosofia ha [invece] per ultima parola: “Ré-jouissez-vous
avec tremblement”5.
Si tratta dunque di una verità ben diversa dalla «verità come sapere» concepita fin dagli albori del pensiero filosofico, come esemplifica emblematicamente Parmenide nel Proemio al «Poema sulla natura»:
Bisogna che tu tutto apprenda / e il solido cuore che non trema (atremès
ētor) della bella e ben rotonda verità (Alēthéiēs eukykléos) e le opinioni dei
mortali. / Eppure anche questo imparerai: come le cose che appaiono /
bisognava che veramente fossero, essendo tutte in ogni senso6.
Dai versi parmenidei emerge in modo abbastanza evidente, e verrebbe
quasi da dire paradossale, non solo che la verità abbia un cuore, ma che es3 Cf. ivi, pp. 151-152; cf. E. LEVINAS, Dieu, la Morte et le Temps, a cura di J. Rolland,
Grasset, Paris 1993, tr. it. Dio, la morte e il tempo, a cura di S. Petrosino e M. Odorici, Jaca
Book, Milano 1996, p. 235. M. GORKIJ, Il cuore di Danko, tr. it. di E.W. Foulques, Salvatore Romano Editore, Napoli 1903.
4 E. LEVINAS, En découvrant l’existence avec Husserl et Heidegger, Vrin, Paris 1967, tr. it.
parz. di F. Ciaramelli, La traccia dell’altro, Tullio Pironti, Napoli 1979, p. 54.
5 E. LEVINAS, Carnets de captivité, Grasset, Paris 2009, p. 388. Salmi 2,11: «Ré-jouissezvous avec tremblement». La traduzione del testo citato, ogni qualvolta presente, è nostra.
6 PARMENIDE, Poema sulla natura, Rizzoli, Milano 1999, p. 149 (tr. leggermente modif.).
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so si situi dentro le “cose che appaiono”, che esso abbia una sede, un luogo
proprio, un corpo proprio dai confini nitidi e immanenti: un cuore incarnato e compiuto esclusivamente nel regno dell’essere e dell’apparire, dunque la verità di un cuore che batte, ma cessa di battere – la verità (e vita)
“mortale” contenuta nella dialettica dell’essere e del nulla. La prospettiva
parmenidea è dunque ben diversa dai sentieri teoretici percorsi da Levinas:
è qui in opera infatti un radicale oltrepassamento delle cosiddette “vie”
parmenidee, quand’anche esse vengano variamente interpretate. Se è pur
vero che Danko è un uomo in carne ed ossa, un uomo hic et nunc, e che il
suo è un cuore in cui scorre del sangue, è soprattutto vero che la verità del
cuore di Danko è altrimenti-che-essere. È innanzitutto vero che il cuore di
Danko, pur situato nel proprio corpo, pulsa al di fuori del petto in cui batte: il suo cuore esiste solo in quanto agitato, scompigliato, attraversato da
Altri, a tal punto da scoprirsi letteralmente scagliato fuori da se stesso per
Altri. È vero che il cuore di Danko non cessa di battere neppure quando è
schiacciato dal piede di quell’uomo che lo crede morto, calpestandolo come a pensare di arrestare il ritmo dei battiti di quel cuore “d’altra riva”,
come se si trattasse di poter fermare le lancette meccaniche di un orologio
– come se il tempo stesso non fosse, poi, l’infinito, irriducibile ed eterno
mistero dell’incontro con l’Altro. Danko è infatti immortale, infinito,
eterno. Il suo cuore non è poi “solido”: scintilla di un tremolio infinito;
non è “ben rotondo”: vibra e si libra ramificandosi e diffondendosi attraverso innumerevoli fiammelle. Se la verità di Danko non è situabile nell’essere,
così come nel nulla, qual è allora la sua verità? Danko è la soggettività come altrimenti-che-essere, come an-archia:
È come se vi fosse qualcosa prima dell’inizio: un’anarchia. Ciò comporta
una rimessa in causa del soggetto in quanto spontaneità; io non sono l’origine di me stesso, non ho la mia origine in me. (Si pensi a tale riguardo a
quel racconto popolare russo in cui un certo cavaliere ha il cuore al di fuori del proprio corpo)7.
Levinas invita a pensare l’impensabile verità dell’identità anarchica attraverso un sapere altro, attraverso la verità letteraria dischiusa dal racconto
di M. Gorkij intitolato: «Il cuore di Danko». La parentesi levinassiana non
apre, infatti, una mera digressione dal fulcro teoretico della soggettività,
quanto una vera e propria tesi capace di cogliere il più proprio dell’identità
7
E. LEVINAS, Dio, la morte e il tempo, cit., p. 235.
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nella sua straniera, profonda e irriducibile parentela con l’alterità.
Danko è un giovane coraggioso, fidato e bello, che vive all’interno di
una tribù improvvisamente invasa da un popolo nemico, nel tentativo di
barricarla e sterminarla all’interno di una fitta e soffocante steppa. Danko,
avvertendo con acuta coscienza le ingiuste sofferenze del suo popolo, è
l’identità che si fa carico della sofferenza dell’alterità e decide di porsi alla
guida della tribù di fratelli per condurla alla salvezza, non servendosi di
nessuna delle “scintillanti armi” omeriche, né dei “ben saldi” scudi dell’essere, ma semplicemente del suo cuore: l’âme (e non lame) di luce per rischiare le tenebre nel mistero di un al di là della luce, poiché Danko ha solo il suo cuore, ma ha nel suo cuore un Altro cuore e perciò lotta, solo con
la propria anima, ma liberando – letteralmente – il proprio cuore, un Altro cuore e il cuore di Altri. Danko è l’identità capace di dire, tanto di
fronte al volto nemico, quanto di fronte al volto minacciato dell’alterità:
“eccomi”, parola chiave dell’etica levinassiana. Parola consistente nella deposizione del soggetto, quale volto immediatamente rivolto all’alterità,
quale dono e abbandono illimitato e gratuito all’alterità. Parola consistente
nell’identificazione della soggettività non più nell’alienazione dell’identità,
ma nell’elezione all’alterità, nella denominazione dell’identità nell’eteronomia dell’alterità. Danko è la soggettività capace di ascoltare il comando
etico dell’autorità iscritto sul volto d’Altri, la trascendenza di un imperativo originale che supplica, nell’infinito della sua altezza e trascendenza:
“Tu non ucciderai”. È l’identità capace di vedere, al fondo degli occhi che
fenomenicamente guardano – e riguardano oltre misura l’identità – la presenza dell’intera umanità. Danko è l’identità infinitamente responsabile di
quell’alterità attraverso cui perviene all’apogeo della propria esistenza proprio perché «tutto, nell’Altro, lo riguarda»8. Non si tratta dunque di
un’obbedienza legata ad un atto di pietà, di riflessione, o tantomeno legata
all’entrata dell’Io in un discorso sovrapersonale, coerente e universale all’interno di un ordine gerarchico, poiché la sovranità dell’Io non si estende
ad Altri per conquistarlo, ma per sostenerlo, confermarlo e situarlo al di
sopra della propria identità: «Colui del quale devo rispondere, è colui al
quale devo rispondere. Il “del quale…” e l’“al quale…” coincidono. È questo doppio movimento della responsabilità quello che indica la dimensione
dell’elevazione»9. Si tratta di una responsabilità strutturata come l’unoper-l’altro, fino all’uno ostaggio dell’altro, fino alla sostituzione ad altri,
8
9
E. LEVINAS, Nomi propri, cit., p. 88.
Ibid.
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ostaggio nella sua stessa identità di chiamato, assediato e ossessionato insostituibilmente all’altro, impossibilitato e disinteressato a ritornare, impassibilmente, in sé e per sé di fronte alla passione per Altri, di Altri. Si tratta
dell’identità capace di patire non più “con” e “per” l’Altro, ma nell’Altro: è
questa la palpitante, toccante (e sofferta) verità dell’anima (sofferente) rintracciata da Levinas nelle pagine letterarie di Léon Bloy: «Ciò che c’è di
più duro per l’anima è di soffrire, io non dico per gli altri, ma negli altri…
“Io mi vedo investito di soprannaturale”»10. La verità del cuore di Danko è
il battito di un’alterità soprannaturale nel più intimo della propria natura, è
il pungolo dell’Altro nel medesimo, come una spina nella carne, spina profondamente inestirpabile, dolore di un’allergia inguaribile, identità radicata
nell’alterità, battito altro nel cuore del Medesimo, battito di un tempo altro nel ritmo dello stesso cuore, pulsione dell’Altro nel cuore dello Stesso,
cuore percorso e percosso da altri, cuore incagliato nell’Altro e scagliato al
di fuori del petto in cui batte d’Altro. È il cuore di Danko angosciato d’Altri, ma, come scrive Levinas, è anche il “cuore rivelatorio” e “la rivelazione
(insvelabile) del cuore” della letteratura di E.A. Poe: «il cuore angosciato
che si intende battere come un orologio nel cotone»11. Ma è proprio questo il cuore più proprio della “grande letteratura” – e così di quella filosofia
che alla totalità sostituisce l’infinito:
Il fatto che i grandi scrittori siano ricorsi al soprannaturale per esplicare
l’uomo (Fantôme – Méphisto) non prova che nella natura dell’uomo vi sono
due principi – ma che è necessario più dell’uomo per esplicare l’uomo12.
Il cammino dell’identità anarchica è perciò lungo, sofferente, faticoso e
ben presto i suoi stessi compagni, stremati, gli si scagliano contro come bestie, uomini senza volto di nobiltà13: lo circondano e hanno intenzione di
ucciderlo. Eppure Danko continua ad amarli, sapendo che senza le sue
braccia avrebbero da tempo abbracciato la morte. Il cavaliere sostituisce il
colmo dell’odio al colmo dell’amore:
“Che farò per gli uomini?” […]. E, improvvisamente, si squarciò il petto con
le mani, e ne strappò il cuore, che sollevò al di sopra della testa. E il suo
10 E. LEVINAS, Carnets de captivité, cit., pp. 158-159. Léon Bloy, Lettres à sa fiancée (août
1889-mars 1890), Stock, Delamain et Boutelleau, Paris 1922, p. 87.
11 Ivi, p. 163. E.A. Poe: Le Coeur révélateur.
12 Ivi, p. 78.
13 M. GORKIJ, Il cuore di Danko, cit., p. 68: «Vi erano molti uomini attorno a lui, ma i
loro volti non avevano alcuna impronta di nobiltà».
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cuore illuminava più del sole: tutta la foresta tacque, le tremanti tenebre
fuggirono, illuminate da quella fiaccola di grande amore per gli uomini […].
“Andiamo” disse, tenendo alto il cuore fiammeggiante per rischiarare la via.
Meravigliati ed entusiasmati gli altri lo seguirono, trascinati. […] Danko e i
compagni si trovarono tuffati in un vasto mare di luce e di aria pura, lavato
da pioggia […]. Un fiume rosso di sangue scaturiva a calde ondate dal petto
squarciato di Danko. La terra era libera e i compagni liberi14.
Alla verità trionfante e accessibile al sapere si sostituisce un’altra verità, più
sofferta, umiliata, nascosta, oscura, segreta, ma non meno dirompente ed
extra-ordinaria. Una verità letteraria nel cuore della filosofia, una verità nella lettera già al di là della lettera, come infinito Dire e Dire di un Infinito
privo di sintesi: una verità d’avant la lettre e d’avant l’être. La verità, altrimenti-che-essere, di Danko è un cuore sprofondato nell’altro, percosso
dall’Altro, ma tuttavia elevato al di sopra di se stesso. Un cuore insostenibile all’interno di se stesso, da sempre sostenuto dall’Altro, per sempre sostegno dell’Altro. Come scrive, in termini diversamente indicibili Levinas,
l’identità è infatti come una «ferita aperta, nella situazione di un’emorragia
che non si può fermare»15. È il cuore sanguinante di Danko – cuore che facendo sgorgare il proprio sangue dall’Altro e nell’Altro è capace di fermare il sangue di Altri e far sgorgare il sangue stesso dell’Altro:
Il rifiuto della sintesi non è in questo caso una debolezza dell’intelletto. È
commisurato esattamente a questo nuovo modo di essere della verità: la
sofferenza e l’umiliazione non costituiscono il risultato di un’avventura che
capita alla verità dal di fuori. Esse si inscrivono nella sua essenza di verità e
in qualche modo nella sua stessa divinità16.
Non è dunque corretto porre la domanda relativa alla verità/anima di
Danko pensando di poterne riduttivamente offrire una risposta sintetica –
come se l’anima esistesse solo in quanto risultato matematico di un peso
segnalato sul piatto di una bilancia, come se solo la trasparenza fosse in
grado di segnalare la verità. La sua anima è nelle scintille di quel cuore fuori dal corpo, ma anche nello scintillio dei suoi occhi che guardano gioiosamente l’alterità in salvo, è di fronte a quegli occhi propri che riguardano
Altri, quegli occhi capaci di vedere, al di là dello sguardo onnicomprensivo
e orientato al possesso di ciò che è inconglobabile e impossedibile,
Ivi, pp. 69-70.
E. LEVINAS, Nomi propri, cit., p. 84. Cf. ivi, p. 32.
16 Ibid.
14
15
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l’invisibile, di scrutare oltre la luce e di divenire nell’oscurità luce, per donare la luce a chi è senza luce, cieco o accecato dalla luce. È qui l’anima di
Danko: tanto più anima quanto più animata dall’Altro, quale «anima dell’anima»17:
‘Io non ho mai visto l’anima. Dov’è?’, dice l’anatomista. – L’anima è negli
occhi. Guardare qualcuno negli occhi, è vedere l’anima. Non come una
cosa. Ma guardare negli occhi è guardare guardandosi, più ancora è: io
guardo guardarmi guardando guardarmi… Iterazione all’infinito realizzata
nell’istante. Questa è l’anima. Riflessione, ma attraverso l’alternanza e attraverso l’altro18.
L’estremo e irriducibile segreto del cuore di Danko si incarna nella relazione etica e trascendente dell’identità con se stessa, nel cuore di un segreto non correlabile al pensiero poiché incommensurabile, non tematizzabile e totalizzabile nella dialettica della “ben rotonda” sfera dell’essere e
della “terra di nessuno” del nulla. L’identità non si risolve, infatti, in una
pura e semplice tautologia logica «che potrebbe dirsi in riferimento all’essere […] e che lascerebbe indifferente il suo modo di fluttuare al di sopra
del nulla o il suo carattere meteorico»19. Al pari di una meteora, frammento
di un corpo celeste che entrando a contatto con l’atmosfera terrestre si incendia a causa dell’attrito, il cuore di Danko, caduto a terra dall’alto e calpestato, all’insaputa dei compagni storditi dalla felicità, infiammato
d’amore per Altri, si spegne in fiammanti e gratuiti sorrisi di luce per accendere di luce il volto affranto dell’alterità. Il suo corpo diventa cadavere,
abbandona l’essere per un altrimenti-che-essere: «Danko sorrise […], lasciò bruciare il suo cuore per amore degli uomini e morì senza chiedere
compenso alcuno»20. Stando alla riflessione levinassiana, tuttavia, ciò che di
più prezioso dischiude la verità del cuore di Danko (“gigante ritenuto immortale”) è che egli, morendo per Altri, muore senza tuttavia poter mai
morire, come emerge, altresì, dalla verità letteraria dischiusa nella Genèse
d’un poème di E.A. Poe, in cui il Corvo è precisamente il simbolo della
morte impossibile o della morte come incontro con un’alterità assoluta e
infinitamente possibile – morte d’Altri come infinita fine, ma insieme, co-
Ivi, p. 134. Cf. E. LEVINAS, Carnets de captivité, cit., pp. 179-180.
E. LEVINAS, Carnets de captivité, cit., pp. 103-104.
19 E. LEVINAS, Nomi propri, cit., p. 82.
20 M. GORKIJ, Il cuore di Danko, cit., p. 70.
17
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me fine infinita21. Soprattutto, infatti, il cuore della morte si dischiude nel
segreto dell’identità nel cuore dell’alterità: è l’impossibile morte dell’essere in quanto altrimenti-che-essere. La sola morte dell’identità vive, infatti, nella morte dell’alterità, quale “anima dell’anima”.
“Sono cenere e polvere” […]. Ma la morte non ha potere, perché la vita
riceve un senso a partire da una responsabilità infinita, a partire da una diaconia profonda22.
In altri termini, come scrive Levinas in una nota dei Carnets, è questo il
cuore segreto dello spirito, lo spirito come segreto di un cuore in cui batte
“l’infinitamente possibile” – un altro modo per dire “spirito” è infatti racchiuso nell’espressione levinassiana: «Lo spirito – tutto è possibile»23 ,
quand’anche nella formula di una verità informulabile, nel pensiero di una
verità impensabile. Nel racconto Gorkij precisa infatti che il cuore di Danko palpita ancora e palpiterà per sempre nella steppa tenebrosa e terribile,
attraverso esili, ma intense fiammelle turchine, come insegna la vecchia
Iserghil, che ne narra umilmente le vicende, ma non come se si trattasse
delle tappe di una mera “storia”: quella di Iserghil è una «filosofia libera e
semplice»24, una filosofia incapace di compiacersi nella complicità in cui
rimane incatenata nel regno dell’essere, non più schiava dell’apparire, non
più evaporata nel nulla, ma capace di protendere gli orecchi per ascoltare
l’appello e la prima parola dell’Altro, capace di dischiudere gli occhi per
vedere l’invisibile, di pregare, interrogare e ricordando, raccontando, ricercare Altri nel racconto e al di là del racconto, come scrive Levinas:
Ricerca che si dedica all’Altro come un poema […] nello stesso significare
della significazione. Significazione più antica dell’ontologia e del pensiero
dell’essere, e che sapere e desiderio, filosofia e libido già presuppongono25.
Iserghil dichiara infatti che la storia di Danko è il racconto di una verità
21 E. LEVINAS, Carnets de captivité, cit., pp. 185-186. Per approfondire lo straordinario
contrappunto filosofico-letterario sulla questione della morte in Levinas e in E.A. Poe cf. E.
LEVINAS, Totalité et Infini. Essai sur l’extériorité, Nijoff, La Haye 1961, tr. it. Totalità e infinito.
Saggio sull’esteriorità, a cura di S. Petrosino, Jaca Book, Milano 2004, p. 240 e i numerosi
frammenti sparsi nei Carnets de captivité.
22 E. LEVINAS, Nomi propri, cit., p. 89.
23 E. LEVINAS, Carnets de captivité, cit., p. 53.
24 M. GORKIJ, Il cuore di Danko, cit., p. 64.
25 E. LEVINAS, Nomi propri, cit., p. 54.
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enigmatica e antica poiché «tutto è vecchio», ma «il passato ha la parola
dell’enigma, il senso di ogni cosa»26. Nell’Enigma levinassiano il senso
esorbitante consiste nell’eclissarsi nel cuore della sua stessa apparizione: «Il
trascendente può essere venuto come trascendente solo se il suo avvento è
contestato. La sua epifania è equivoco o enigma. È forse soltanto una parola. Il linguaggio è il fatto che una sola parola sempre viene proferita: Dio»27.
Il linguaggio di Iserghil è infatti preghiera rivolta ad Altri, sulla traccia
dell’Infinito, in nome di quel Dio, alogon, che al di là del Verbo e al di là
del silenzio, sempre “viene all’idea”: la vecchia raccontava, «mormorava
qualcosa assai dolcemente, forse pregava»28.
Tanto la verità della filosofia, quanto la verità di Danko, verità letteraria, è nella trascendenza, nel “sovrappiù” dell’infinito nel finito, nell’Enigma di un passato più antico e tuttavia “mai abbastanza passato”, nell’enigma di un’inconciliabile presenza-assenza. Ancora oggi il cuore di
Danko è, pur non essendo (altrimenti-che-essere) nella steppa tenebrosa e
terribile. L’intrico degli alberi, nella notte, sembra quasi cercare di nascondere un mistero: il mistero levinassiano inteso come «qualcosa che non
è essere e che non è niente. La notte – illuminazione delle stelle – in cui
consiste il mistero in cui si sviluppa la realtà?»29. Scrive, infatti, Levinas:
«Non è lo straordinario degli avvenimenti che li rende adatti ad un romanzo, ma il loro mistero»30 – mistero straordinario nell’ordinario, come
l’azione nel romanzo russo: in Tolstoj c’è «sempre come un mistero. Trasformazioni […]. C’è come la passione di ogni essere»31. Precisamente
«ciò che si nasconde nel mistero non è distinto dal fatto di nascondersi – un
avvenimento e un modo d’essere»32. Ecco perché Danko “è” altrimentiche-essere, ecco perché appare e scompare, brillando e spegnendosi sotto
forma di meteore o fiammelle turchine, «come fiorellini azzurri che sbocciano per un momento»33, «come fiammiferi che il vento spegne»34. Le
scintille del cuore infiammato di Danko, attraverso le quali si apre e si conclude il racconto di Gorkij, sono infatti disseminate ovunque e, anche
M. GORKIJ, Il cuore di Danko, cit., p. 64.
E. LEVINAS, Nomi propri, cit., p. 112.
28 M. GORKIJ, Il cuore di Danko, cit., p. 63.
29 E. LEVINAS, Carnets de captivité, cit., p. 147.
30 Ivi, p. 100.
31 Ibid.
32 Ivi, p. 153.
33 M. GORKIJ, Il cuore di Danko, cit., p. 67.
34 Ivi, p. 62.
26
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quando nel cuore della notte non si vedono abbastanza, «volano sempre»35.
Volano una verità altra sulla traccia dell’Altro: «la traccia come vuoto che
non si riduce né al nulla (contemporaneo all’essere!) né al segno d’una pienezza assente e recuperabile mediante la rappresentazione/ri-presentazione»36.
Così come le scintille del cuore di Danko «volano sempre. Ma io non le
vedo più»37, similmente in Levinas:
[Lo scompiglio] si insinua, si ritira ancor prima di entrare. Rimane soltanto
per chi vuol dargli seguito. Altrimenti ha già restituito l’ordine che turbava:
hanno bussato, e non c’è nessuno alla porta. Hanno davvero bussato?38.
Per interrogare la verità dischiusa dalla filosofia e dalla letteratura levinassiana occorre dunque domandarsi con Levinas «se la positività dell’essere,
dell’identità, della presenza – e di conseguenza se il sapere – sono l’ultimo
affare dell’anima»39. Danko è la verità della traccia, dell’alogon, nel Dire di
una verità infinita, nel Dire della verità dell’Infinito. Il racconto di Danko è
la verità di un’alterità letteraria nell’identità filosofica, la verità di un cuore
letterario nel cuore della filosofia, di un cuore filosofico e, insieme, extrafilosofico, poiché, il cuore letterario di Danko, così come il cuore della filosofia levinassiana, per dirlo in termini pascaliani: «ha le sue ragioni che la
ragione non conosce» 40 . L’alterità letteraria, come emerge dall’analisi
dell’opera proustiana, si può dunque dire, dona alla filosofia levinassiana,
«l’anima della propria anima». Tanto la verità del cuore di Danko, quanto
la verità dell’identità filosofica levinassiana respirano infatti in una verità altra – la verità della “pecorella smarrita”, dell’agnello della bontà e della
mansuetudine che il «piccolo principe di Saint-Exupéry chiede di disegnare
all’aviatore […]. L’aviatore disegna allora un parallelepipedo, la cassa in
cui la pecora dorme […] l’idea di un possibile in cui forse dorme
l’impossibile»41.
Ivi, p. 63.
E. LEVINAS, La traccia dell’altro, cit., p. 56.
37 M. GORKIJ, Il cuore di Danko, cit., p. 63.
38 E. LEVINAS, La traccia dell’altro, cit., p. 54.
39 E. LEVINAS, Entre nous. Essai sur le penser-à-l’autre, Bernard Grasset, Paris 1991, p. 85.
La traduzione è nostra.
40 B. PASCAL, Pensieri, Rusconi, Milano 1997, p. 262.
41 E. LEVINAS, Altérité et Trascendance, Fata Morgana, Saint-Clément 1995, tr. it. Alterità e trascendenza, a cura di S. Ragazzoni, Il Melangolo, Genova 2006, p. 82.
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