L’Europa è stata fatta andando in pellegrinaggio a Compostela
(J.V.Goethe, 1749-1832)
L’antica via di Santiago di Compostela: gli incredibili misteri del “Cammino delle Stelle”
Quando si affrontano temi legati alla fede, lo si deve fare necessariamente
con molto tatto per evitare di urtare la sensibilità di chi in quella fede crede e vi si
riconosce. Noi cercheremo di approfondire un argomento non molto noto, ma
sicuramente non poco intrigante che trascina immancabilmente in una doppia
spirale dove si intersecano cristianità ed occulto, storia e pseudo-archeologia:
Santiago di Compostela, quello che molti considerano “il cammino delle stelle”.
Tutti oggi abbiamo una visione del pellegrinaggio molto “vacanziera”, un’esperienza
piacevole e aggregativa che presenta molte somiglianze con una normale gita e lo
avvicina al turismo religioso: viaggi comodi, sistemazioni accoglienti, cibo di buona
qualità ad ogni pasto… Ma nell’Alto Medioevo, periodo in cui si diffuse in Europa, il
pellegrinaggio era tutta un’altra storia. Il termine “pellegrino” deriva dal latino
peregrinus (per = attraverso e ager = campo) ed indicava anticamente colui il quale
non abitava in città, quindi lo straniero, ovvero qualcuno costretto a condizioni di
ridotta civilizzazione.
Il suo uso successivo invece, analogamente al nostro, implica una scelta: chi parte in
pellegrinaggio non è, ma si fa straniero e di questa condizione si assume le fatiche
ed i rischi, sia interiori e sia materiali, in vista di vantaggi spirituali.
Le prime notizie di pellegrinaggi penitenziali o espiatori, compiuti quindi per
emendare la propria anima da peccati più o meno gravi, divennero una pratica
consueta verso la metà del VIII secolo ed erano indirizzati verso una meta specifica,
un luogo fondamentale e cruciale per la storia della cristianità.
I pellegrini avevano alcuni segni non infamanti che li contraddistinguevano: il
bastone, detto bordone; la schiavina, soprabito lungo e ruvido; la bisaccia in pelle
per il denaro e il cibo; i segni del santuario verso il quale si era diretti o dal quale si
tornava, ben in vista sul copricapo o sul Sanrocchino ovvero un mantello di tela
cerata ispirato, come forma, a quello nell’iconografia di San Rocco.
Oltre ai pellegrinaggi più conosciuti, quelli che fanno parte ormai del nostro
immaginario classico, verso Roma e la Terrasanta, nel corso dell’XI secolo la potente
abbazia di Cluny si fece promotrice di un’altra destinazione: la città di Santiago di
Compostela in Galizia. I fedeli attraversavano a piedi la Francia e la Spagna per
raggiungerla e per venerare la tomba di San Giacomo, uno degli apostoli, che lì si
trova.
C’era ovviamente più di una via che portava a Santiago di Compostela, ma la
più antica che si conosca partiva ufficialmente da Roncisvalle, situata all’inizio del
percorso e prima tappa del cammino, chiamato “Camino Francés” (che parte da
Saint-Jean-Pied-de-Port).
Ma ben altro cammino, costellato di numerosi e affascinanti enigmi, unisce
Santiago di Compostela alle leggende su Atlantide, ad antichi siti megalitici europei,
fino persino all’Antico Egitto, in viaggio a ritroso che ci porta indietro di secoli e di
millenni.
Partiamo, di logica, dall’origine della misticità di questo luogo unico, legata
alla storia appunto di San Giacomo. La tradizione racconta che San Giacomo
Maggiore, chiamato così per distinguerlo dall’omonimo apostolo detto il Minore, nel
Vangelo secondo Luca fu soprannominato da Gesù, insieme al fratello,
“Boànerghesè” , ovvero “Figlio del Tuono” (Mc 3,17; Lc 9,52-56) e fu, insieme a
Giovanni, uno degli apostoli più vicini a Gesù.
Nei dodici anni successivi alla crocifissione di quest’ultimo, San Giacomo iniziò
la sua opera di evangelizzazione della Spagna, spingendosi fino in Galizia, remota
regione di cultura celtica all’estremo ovest della penisola iberica. Terminata la sua
missione, San Giacomo tornò in Palestina dove andò incontro al martirio con la
decapitazione in Gerusalemme verso l’anno 43/44 per ordine di Erode Agrippa.
Due dei suoi discepoli, Attanasio e Teodoro, con una barca guidata da un angelo, ne
trasportarono il corpo dal suo sepolcro, nuovamente in Galizia, dove approdarono
dopo sette giorni di navigazione, per seppellirlo in un bosco vicino ad Iria Flavia, il
porto romano più importante della zona, vicino all’attuale paese di Padròn.
Nei secoli successivi, le persecuzioni e le proibizioni di visitare il luogo fecero sì
che della tomba dell’apostolo si perdettero memoria e tracce, ma, secondo ciò che
tramandano le cronache, nell’anno 813 l’eremita Pelagio (o Pelayo che significa
“uomo del mare”), preavvertito da un angelo, vide delle strane luci simili a stelle
danzare sulla vegetazione sul monte Libredòn, dove esistevano antiche fortificazioni
probabilmente di un antico villaggio celtico.
Pelayo, impressionato dalle visioni, si presentò a Teodomiro, vescovo della
diocesi di Iria Flavia, per comunicargli il ritrovamento; questi, di fronte alle insistenze
di Pelayo, riunì un piccolo seguito e si diresse immediatamente al Libredòn. Nel
mezzo del bosco egli stesso fu testimone del miracoloso fenomeno descritto
dall’eremita ed il vescovo, interessato dallo strano fenomeno, scoprì in quel luogo
un mausoleo, probabilmente di epoca romana, che conteneva tre corpi, uno dei tre
aveva la testa mozzata ed una scritta: «Qui giace Jacobus, figlio di Zebedeo e
Salomé».
Dopo questo evento miracoloso, il luogo del prodigioso ritrovamento venne
denominato “Campus Stellae”, Campo delle Stelle in latino, dal quale deriva l’attuale
nome di Campostela. Il primo documento che descrive con dovizia di particolari il
ritrovamento è la Concordia de Antealtares, del 1077.
Ben presto si apre una via di pellegrinaggio, come riportato già sopra, ed è qui
che la storia e la leggenda cominciano ad intrecciarsi con fili sempre più stretti; uno
di questi fili, quello della leggenda, ha il nome dello stesso Pelayo, l’uomo che viene
dal mare e che ci ricorda i misteriosi “portatori di civiltà” di cui parlano i miti di molti
ed antichissimi popoli. L’altro, più legato alla storia, è rappresentato da Carlo
Magno.
Anche se con tutta probabilità il famoso sovrano non mise mai piede a
Compostela e non si interessò più di tanto alla vicenda, la sua figura e la sua
popolarità furono sfruttate per promuovere il nuovo cammino di fede, legando in
eterno il suo nome a quello del luogo santo; la connessione con questo
pellegrinaggio era talmente assodata già all’epoca che sul sarcofago di Carlo Magno
venne rappresentata con due scie di stelle la direzione del cammino di Santiago di
Compostela. Il fatto sorprendente è che, secondo una recente teoria, queste
incisioni sul sarcofago non sarebbero solo allegoriche e simboleggianti il cammino di
pellegrinaggi, ma avrebbero delle attinenze nelle realtà; attinenze legate ad
implicazioni geografiche a dir poco sorprendenti.
Tracciando delle linee ripercorrenti le vie battute per arrivare a Santiago di
Compostela, ci accorgiamo, mappa alla mano, che la prima, quella più a sud, parte
dalla Catalogna francese e tocca il picco Stella; dopo 23 chilometri tocca il monte
Stella; dopo 20 chilometri il monte Tre Stelle ed infine, a 400 chilometri di distanza,
la città di Estella; ancora più ad ovest troviamo Aster o Astray.
Tutte queste località sono situate tra i 42 gradi e 30 primi ed i 42 gradi e 36
primi di latitudine.La seconda linea, quella più a nord, parte dalla Catalogna, a Les
Esteilles, passa per Estillon, per Lizarra, per Lizarraga e per Liceilla e queste località
sono situate tra i 42 gradi e 46 primi ed i 42 gradi e 50 primi di latitudine.
Tutte queste zone geografiche hanno nomenclatura derivante da termini che
significano stella nelle varie lingue del luogo. Inoltre porre tutti questi punti quasi sul
medesimo parallelo non può essere considerata una coincidenza, al contrario,
richiede strumenti molto sofisticati. Troviamo così in terra “due scie di stelle” che
terminano sull’oceano.
Queste considerazioni fin qui esposte risulterebbe già stupefacenti, ma diventano
addirittura straordinarie ipotizzando in maniera concreta che di vie analoghe, in
Europa, ce ne sarebbero tre in tutto e, cercando con acutezza, se ne troverebbe
addirittura una quarta. Un cammino simile a quello di Carlo Magno è situato in
Inghilterra, poco sopra al 51esimo parallelo; una linea retta che unirebbe la costa est
a quella ovest, passando per luoghi come Canterbury, Stonehenge, Avebury e molti
altri siti dopo furono collocati in passato complessi megalitici.
Un’altra strada, situata in Francia poco sopra il 48esimo parallelo, unirebbe SainteOdile, altro luogo meta di pellegrinaggi, alla punta estrema dell’Armorica, creando
un’altra linea retta sulla quale giacciono come Chartres ed alcuni siti megalitici.
Incredibilmente questi cammini presentano una sconvolgente particolarità: quello in
Spagna è sul 42esimo parallelo, quello in Francia sul 48esimo e quello in Inghilterra
sul 51esimo.
Se ce ne fosse uno sfiorante il 45esimo parallelo, queste strade sarebbero
esattamente tracciate in linea retta a 3 gradi di distanza l’uno dall’altro. Con le
opportune osservazioni, è possibile supporre che il quarto cammino passasse per
Lascaux giungendo fino a Lugon-Libourne. In questo modo avremmo quattro vie
parallele ed equidistanti, passanti per luoghi sacri e mistici ed antichissime mete di
pellegrinaggio; tutte che vanno verso l’oceano Atlantico e sboccano in golfi ampi e
profondi, in zone dai rilievi scoscesi.
Ma è a questo punto che alcuni appassionati studiosi, come l’oramai popolare
Louis Charpentier, si sono posti una domanda cruciale: è plausibile che anticamente
questi cammini, invece di essere percorsi dalla terraferma verso l’oceano, fossero
stati tracciati per indicare il percorso opposto? E se i golfi, così particolarmente
adatti ad offrire un punto di approdo, fossero stati la meta di navigatori provenienti
dal mare in possesso di conoscenze tali da creare percorsi così precisi da ricalcare
paralleli terrestri? Il fatto che il mare di cui si parli sia in effetti l’Oceano Atlantico
apre scenari nuovi e sorprendenti che nulla sembrano avere a che fare con le
vicende qui espresse: dei collegamenti con la mitica Atlantide di Platone.
Naturalmente gli studiosi della storia ufficiale e gli affezionati dei cari libri di testo,
storceranno il naso e grideranno alla blasfemia, ma il cammino di Santiago di
Compostela e quelli analoghi che abbiamo esaminato sopra sembrerebbero
l’ennesima prova di un’antichissima quanto progredita civiltà ancestrale andata
fatalmente perduta ed i cui ultimi retaggi siano stati alla base della cultura e della
civilizzazione occidentale.
Le tradizioni legate al diluvio universale, alla distruzione da questo portata di
popoli ed arrivi marittimi post-diluviani sono presenti sia nelle leggende delle civiltà
europee, sia di quelle americane. Agli occhi dei primitivi abitanti di queste terre,
queste figure profughe arrivate dal mare parvero addirittura degli esseri divini; il
nostro Noè sarebbe l’incarnazione più familiare alla nostra cultura di questi antichi
incontri. I personaggi simili a Noè sono numerosi; solo per fare alcuni esempi, quello
Maya sbarcò in America-Centrale, quello berbero approdò sull’Atlante, senza
scordare il Deucalione greco ed il Gilgamesh mesopotamico. Casualmente, anche la
Galizia ha una sua antica leggenda similare riguardante un Noè approdato
nell’insenatura che ancora oggi porta il suo nome: il Golfo di Noia (o Noya).
Ed ecco come le leggende su Atlantide ed il diluvio universale tornano a ricollegarsi
ed arricchirsi di nuovi pezzi come per formare un illuminante mosaico. Volendo
trovare in breve altri elementi, essendo questa un’analisi tra i collegamenti tra
Compostela ed antiche conoscenze perdute e non su Atlantide nello specifico,
possiamo evidenziare come un particolare simbolo, diffuso in tutto il mondo sia
pure in diverse fogge e varianti, sia da sempre emblema di conoscenza, percorso
iniziatico e misteri che hanno origine nella notte dei tempi: il labirinto, ricorrente
anche nella cattedrale di Santiago di Compostela.
Ed ecco che “stranamente”, prendendo per buona la descrizione che ne fa
Platone, il labirinto ricorda incredibilmente la forma della pianta della città capitale
di Atlantide; città dagli ingressi sfalsati, con le mura ed i canali concentrici,
praticamente imprendibile per potenziali nemici che avessero voluto raggiungerne il
centro, sede del potere. Ma anche la basilica cattedrale di Santiago di Compostela
ha qualcosa di misterioso, qualcosa che l’occhio non può cogliere e che alcuni
vogliono sia legato ad una civiltà dimenticata.
Una prima chiesa intitolata a San Giacomo venne costruita all’inizio del IX secolo,
per volere di Alfonso II delle Asturie sul luogo dove tradizionalmente venne ritrovata
la tomba di del santo. Successivamente, nell’899, sotto re Alfonso III, la prima chiesa
fu rimpiazzata da un’altra più grande, in stile proto romanico. Nel 997, durante il
saccheggio della città di Santiago de Compostela da parte dei berberi la chiesa proto
romanica venne incendiata e le sue porte e campane fatte trasportare, dagli schiavi
cristiani, alla grande moschea di Cordoba.
Nel 1095 il papa Urbano II decreta il trasferimento della sede vescovile di Iria
Flavia, l’attuale Padrón, a Santiago de Compostela. L’inizio dei lavori dell’attuale
cattedrale risale al 1075. Il tempio, in stile romanico, venne completato nel XIII
secolo e consacrato nel 1211, alla presenza del re Alfonso IX di León. Come la
maggior parte delle chiese medievali, anche la cattedrale di Compostela non è
costruita su una linea retta; il coro, infatti, è inclinato sulla sinistra, verso nord,
rispetto alla navata centrale. Il portale occidentale non è perpendicolare alla navata
e la facciata è leggermente inclinata verso nord.
Il motivo di questa caratteristica architettonica è sconosciuto. Non può essere
dovuto ad errori di costruzione, chi era in grado di realizzare capolavori di
perfezione come le cattedrali, di sicuro non cadeva in grossolane imprecisioni di
questo genere. E’ invece un fatto che questa inclinazione particolare la si ritrovi
anche in molti siti megalitici, nonché in antico Egitto, nel Tempio dell’Uomo che si
trova a Luxor. Inoltre la basilica di Santiago è sorta sopra resti di templi di epoche e
culti precedenti, come quasi la maggior parte delle chiese medievali, in cui gli scavi
archeologici hanno messo in luce antichi “pozzi sacri”, ricordiamo per esempio il
pozzo dei “Santi Forti” nella cattedrale di Chartres, grotte o strutture megalitiche.
Studi recenti del sottosuolo hanno rivelato non solo i resti dell’antica cattedrale di
Compostela, distrutta dai Mori, ma anche quelli di un tempio romano e di un più
antico pozzo celtico.
E’ dunque ipotizzabile che il sito fosse noto alla cultura celtica come un luogo
di risalita di una potente corrente di energia vitale della terra e che il “Cammino
delle Stelle” diventasse una vera e propria esperienza iniziatica, costellata da enormi
prove e difficoltà da superare. Siamo ancora una volta di fronte a una conoscenza
trasmessa segretamente, una tradizione che si perde nei millenni? In genere la
costruzione delle chiese è attribuita a sovrani o a vescovi ma, ovviamente, erano i
capi mastro a realizzarle, persone che di solito facevano parte di confraternite e
custodivano gelosamente misteri occulti.
Erano forse loro a inserire nelle costruzioni misteriose simbologie iniziatiche,
come i matracci alchemici che questi personaggi del portale tengono in mano? Gli
stessi simboli li ritroviamo in altri capolavori dell’architettura come, solo per fare un
esempio, nella cattedrale di Chartres.
Come abbiamo visto, partendo dai cammini di Santiago di Compostela, c’è
molto su cui riflettere; testimonianze di viaggi di fede risalenti al Medioevo e luoghi
intrisi di inafferrabili conoscenze perdute fanno riemergere enigmi che potrebbero
forse portarci a riscrivere un lontano passato. Vogliamo concludere con un dettaglio:
un’antichissima leggenda, di molto anteriore al cristianesimo, chiamava il percorso
che porta al luogo di San Giacomo, il “cammino delle stelle” sulla Terra, ovvero una
riproduzione della Via Lattea nel cielo.
Ai piedi della Bisalta, montagna delle Alpi Liguri in provincia di Cuneo, la Via
Lattea viene ancora chiamata “la via ‘d Sén Giacu ‘d l’Argalisia” (la via di San
Giacomo di Galizia ). Presso Bellino, sempre nel Cuneese, la Via Lattea veniva
chiamata “Viò de Son Jacou” ( via di San Giacomo ) a causa del suo approssimativo
orientamento sul Santuario di Santiago di Compostela. Nonostante ci si riferisca al
“Camino de Santiago” come ad un preciso percorso, il celebre alchimista francese
Fulcanelli afferma: «Il cammino di San Giacomo, viene anche detto Via Lattea.
I mitologisti greci ci dicono che gli dei seguivano questa via per andare al palazzo di
Zeus ed anche gli eroi la seguivano per entrare nell’Olimpo.
Il sentiero di San Giacomo è la strada stellata accessibile agli eletti, ai mortali
valorosi, sapienti e perseveranti». Inoltre, al termine della Via Lattea, c’è la
costellazione del Cane Maggiore e la leggenda riferisce di un cane che
accompagnava sempre San Giacomo, riscontro che osserviamo anche
nell’iconografia classica.
Il “Camino de Santiago”, “Chemin de St. Jacques o Cammino Reale Francese”
è stato dichiarato Patrimonio dell’Umanità dall’UNESCO ed “Itinerario Culturale
Europeo” dal Consiglio d’Europa dal 1987.
Claudio Ferraro