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Autore: Andrea Possenti
E-mail: [email protected]
Documentario: Hubble - 15 anni di scoperte
Clip del documentario: Da 10:30:30 a 10:33:30
Regista: Lars Lindberg Christensen
Produzione: ESA
Advanced level – Spiegazione per ragazzi 14-18 anni
La storia di una stella è governata dal bilancio fra la forza di gravità e le forze di
pressione che agiscono sul gas stellare. La gravità è una forza attrattiva e tende
dunque a far contrarre la stella, mentre le forze di pressione tendono ad opporsi alla
contrazione.
Lo spazio fra una stella e l’altra in seno alla nostra galassia non è vuoto, ma è pervaso
da nubi fredde composte da gas molecolare (soprattutto idrogeno) e da polveri.
Queste nubi sono molto diluite, ma estremamente massicce e possono dare
continuamente origine a nuove stelle. Inizialmente la gravità prevale e induce una
parte delle nubi a contrarsi, assumendo progressivamente un aspetto grosso modo
sferico. La contrazione determina un aumento della temperatura del gas della nube
(che è detta in questa fase proto-stellare) fino a che al centro si raggiungono alcuni
milioni di gradi. In queste condizioni al centro della nube proto-stellare si accendono le
reazioni nucleari di fusione che utilizzano come combustibile l’idrogeno e lo
trasformano in elio. L’energia liberata dalle reazioni nucleari mantiene caldo il gas al
centro della stella. Siccome un gas molto caldo esercita una forza di pressione molto
elevata, l’accensione delle reazioni nucleari stabilizza le dimensioni della nube, che
cessa di contrarsi. L’istante di formazione di una stella coincide convenzionalmente
con l’accendersi delle reazioni nucleari al suo centro e si chiama massa iniziale della
stella il quantitativo di materia contenuto nella stella in quel momento. In particolare si
può mostrare che se la massa della proto-stella è inferiore a circa 8 centesimi della
massa del Sole la reazione nucleare di fusione dell’idrogeno non riesce ad innescarsi:
quel quantitativo di massa corrisponde quindi alla massa minima di una stella.
L’energia prodotta dalle reazioni nucleari viene trasferita dal centro verso la zone
periferiche della stella e poi irraggiata dalla sua superficie nell’ambiente circostante,
conferendo alla stella una intensissima luminosità. Le reazioni nucleari producono
energia in modo molto efficiente. Inoltre, le stelle contengono una quantità
elevatissima di combustibile. Ciò implica che una stella può brillare per tempi
lunghissimi (milioni o miliardi di anni) bruciando idrogeno nelle sue regioni centrali.
Prima o poi però l’idrogeno al centro si esaurisce, e quando il nocciolo della stella è
composto da solo elio, non c’è più combustibile per alimentare le reazioni nucleari. La
forza di gravità torna allora a prevalere al centro e il nocciolo ricomincia a contrarsi e,
di conseguenza, ad aumentare la sua temperatura. La contrazione si interrompe solo
quando la temperatura al centro è così alta che la stella può utilizzare l’elio come
nuovo combustibile per una reazione nucleare di fusione, che converte elio in
carbonio. La stella conosce allora una nuova fase di stabilità, di durata però inferiore a
quella in cui il combustibile è idrogeno [nella fase transitoria fra la fine del bruciamento
dell’idrogeno e l’inizio di quello dell’elio la stella subisce in realtà anche un radicale
riassestamento delle sue regioni più esterne, diventando una stella gigante. Questo
ha però pochi effetti sul destino finale della stella].
In estrema sintesi, buona parte della storia di una stella è caratterizzata
dall’alternanza fra fasi in cui nel nocciolo prevale la gravità (e quindi esso si contrae e
innalza la sua temperatura) e fasi in cui l’accensione di una nuova reazione nucleare
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permette alle forze di pressione di stabilizzare il nocciolo stesso. Per come sono fatte
le leggi della Natura, questa alternanza non può però protrarsi indefinitamente. Le
ragioni fondamentali sono due.
La prima ragione è che non tutti i tipi di materia sono buoni combustibili per le reazioni
nucleari nella stella. In particolare, non è possibile estrarre energia da reazioni
nucleari che usino come combustibile il ferro. Allora, quando il nocciolo di ferro di una
stella inizia a contrarsi, non si accendono mai reazioni nucleari capaci di bloccare la
contrazione stessa e garantire alla stella una nuova fase di stabilità.
La seconda ragione è legata alla riduzione progressiva delle dimensioni del nocciolo.
Ciò porta il gas nel nocciolo a compattarsi sempre più, aumentando la sua densità. Lo
studio del comportamento dei gas ci mostra che, quando un gas diventa molto denso,
la pressione che esso esercita non dipende più dalla sua temperatura, ma solamente
dalla sua densità. Un gas siffatto prende il nome di gas degenere. Il comportamento
del nocciolo di una stella composto da gas degenere è molto diverso da quello di un
nocciolo che contiene gas normale. In particolare, si può dimostrare che se la massa
del nocciolo è più piccola di una massa critica, detta massa di Chandrasekhar, il
raggio del nocciolo è univocamente assegnato, ossia non appena il nocciolo arriva a
quel raggio, la contrazione si interrompe e il nocciolo si stabilizza, a dispetto del fatto
che nessuna reazione nucleare si è accesa nel frattempo. Se invece il nocciolo
contiene più massa della massa critica la contrazione del nocciolo diventa rapidissima
e si può interrompere solamente dopo che la maggior parte delle particelle del gas si
sono trasformate in neutroni.
La massa iniziale di una stella determina quale fra i succitati fenomeni prevale durante
l’evoluzione e dunque determina il destino della stella.
Primo caso: Le stelle che possiedono una massa iniziale compresa fra circa 8
centesimi della massa del Sole e alcune volte la massa del Sole sviluppano alla fine
della loro evoluzione un nocciolo di gas degenere di massa inferiore alla massa di
Chandrasekhar. Poco prima della formazione di questo nocciolo di gas degenere,
queste stelle si liberano degli strati esterni formando le cosiddette nebulose planetarie.
In questa fase la stella restituisce al cosmo molta della massa di gas da cui si era
originariamente formata. Il gas espulso non ha più la composizione chimica di quello
originario, essendo stato arricchito di elementi chimici prodotti nella fornace stellare
dalle reazioni nucleari. L’energia irraggiata dal nocciolo eccita il gas espulso
provocando l’emissione di luce di diversi colori, in corrispondenza a diversi elementi
chimici presenti nel gas. Ne nascono strutture dalle morfologie variate e dal
cromatismo straordinario, conferendo alle nebulose planetarie il titolo indiscusso di
migliori soggetti per le foto astronomiche.
Il gas della nebulosa planetaria si disperde però in poche centinaia di migliaia di anni
e ciò che poi resta visibile è solo il nocciolo centrale. Quando il gas, per contrazione
del nocciolo, diventa degenere, si forma una stella nana bianca. Sirio B (la compagna
di Sirio, che è la stella più brillante del cielo) è la prima nana bianca che è stata
riconosciuta come tale, nel 1915. Oggi se ne conoscono decine di migliaia.
Inizialmente la nana bianca è un corpo molto caldo, ma siccome nessuna reazione
nucleare può più aver luogo al suo interno, il suo successivo destino è di raffreddarsi
(proprio come un mattone tolto dalla sua fornace) fino a raggiungere molto lentamente
la temperatura del cosmo circostante.
Secondo caso: Le stelle di massa compresa fra circa 8 volte e circa 25 volte la
massa del Sole alla fine di una lunga catena di reazioni nucleari formano al loro
interno un nocciolo di ferro di massa superiore alla massa di Chandrasekhar. La
contrazione del nocciolo non può dunque essere bloccata ne’ dall’instaurarsi di
reazioni nucleari, ne’ dalla trasformazione del gas in gas degenere. Pertanto si verifica
un vero e proprio collasso della regione centrale della stella, che riduce la sua
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dimensione di migliaia di volte. Il processo si arresta solo quando tutta la materia del
nocciolo è confinata entro un raggio di una decina di chilometri. A tali densità, il gas
del nocciolo stellare perde ogni identità chimica e si trasforma in un enorme
addensato costituito prevalentemente di un gas degenere fatto di neutroni. Da cui il
nome stella di neutroni. La sua densità è paragonabile a quella che si riscontra
all’interno dei nuclei degli atomi.
Molte stelle di neutroni nascono con elevatissima velocità di rotazione attorno al
proprio asse (decine di giri al secondo, mentre la Terra compie un giro in 24 ore) e
sono dotate di campi magnetici intensissimi (migliaia di miliardi di volte più forti di
quello della Terra). Ciò le rende sorgenti di onde radio in fasci conici del tutto simili a
quelli attraverso i quali è emessa la luce dal faro di un porto. Proprio come per un faro,
questi fasci conici non sono allineati con l’asse di rotazione della stella e quindi noi
percepiamo un segnale radio solo quando il fascio punta verso di noi. Questa
situazione favorevole si ripete una volta per ogni rotazione della stella e ciò che si
osserva usando un radiotelescopio è quindi una successione di impulsi radio, il cui
periodo di ripetizione coincide con il tempo necessario perché la stella effettui una
rotazione completa. Un segnale di questo tipo fu scoperto nel 1967 e dimostrò per la
prima volta l’esistenza delle stelle di neutroni. Oggi si conoscono circa 1700 stelle di
neutroni che emettono un segnale radio pulsato. Esse sono dette pulsar. Non tutte le
stelle di neutroni sono però pulsar: se ne conoscono alcune altre centinaia che
emettono raggi X. Come per le nane bianche, il destino delle stelle di neutroni è di
raffreddarsi fino alla temperatura dell’universo circostante.
Oltre a generare una stella di neutroni, il collasso del nocciolo stellare libera una
quantità elevatissima di energia gravitazionale. Parte di questa energia determina
l’esplosione di tutto il resto della stella, in un evento chiamato supernova. La nebulosa
del Granchio è il residuo gassoso di una supernova la cui esplosione ha avuto luogo
nel 1054. Nel 1968 è stata scoperta una pulsar al centro di questa nebulosa e ciò ha
provato che le stelle di neutroni si formano in coincidenza con una supernova. La
supernova meglio studiata è invece SN1987A, esplosa nel 1987 in una galassia
satellite della nostra Via Lattea, ossia nella vicina Grande Nube di Magellano. Da 4
secoli non viene osservata una esplosione di supernova all’interno della nostra
galassia; siccome la luminosità di una supernova è elevatissima, questi eventi sono
però fortunatamente visibili in galassie esterne fino a grandissime distanze da noi.
Al momento della formazione dell’universo, gli unici elementi chimici presenti erano
idrogeno ed elio. La fornace nucleare al centro delle stelle li trasforma in elementi via
via più pesanti: carbonio, azoto, ossigeno, eccetera, fino a produrre ferro. Elementi più
pesanti del ferro si formano invece solo nelle condizioni estreme di temperatura e
densità della materia che si riscontrano in una supernova. L’effetto di una supernova è
quindi duplice: da un lato sintetizza gli elementi più pesanti e al contempo li sparge nel
cosmo. Ad esempio tutto l’oro che ci capita di indossare si è formato miliardi di anni fa’
in una serie di esplosioni di supernova avvenute all’interno della nostra galassia.
Terzo caso: le stelle con una massa iniziale maggiore di circa 25 volte la massa del
Sole alla fine della loro evoluzione sviluppano al loro interno un nocciolo di ferro di
massa molto superiore alla massa di Chandrasekhar. In questo caso nemmeno la
conversione della materia in neutroni è in grado di bloccare l'inevitabile collasso del
nocciolo. Al procedere del collasso la gravità alla superficie del nocciolo cresce
rapidamente. Finché si raggiunge una dimensione critica per la superficie del nocciolo.
La superficie immaginaria corrispondente a questa dimensione critica è denominata
orizzonte. Non appena la superficie del nocciolo è tutta contenuta dentro la superficie
dell'orizzonte, la gravità è così intensa che nemmeno la luce può più allontanarsi dal
nocciolo stesso. In pratica il nocciolo non è più in grado di rendersi visibile. Da qui la
scelta di chiamare questi strani oggetti celesti buchi neri. Una volta formatosi, un buco
nero definisce una regione del cosmo che è causalmente disconnessa dal resto
dell’universo. Niente di ciò che avviene all’interno dell’orizzonte può essere percepito
o influenzare quanto capita fuori. Materia, energia e informazioni possono solo entrare
nell’orizzonte di un buco nero, ma non uscirvi [in realtà, alla luce di recenti studi di
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fisica quantistica, ciò vale solo in prima approssimazione, ma quel poco che può
fuoriuscire da un buco nero non muta l'aspetto o il destino dei buchi neri che
conosciamo].
A dispetto della loro elusività, oggi si contano alcune decine di oggetti celesti per i
quali vantiamo la ragionevole certezza che si tratti di buchi neri formatisi nel modo su
descritto [un’altra classe di buchi neri, quelli ospitati al centro delle galassie, si
formano con modalità diverse]. Non è invece ancora chiaro se la formazione di un
buco nero è accompagnata o meno da una supernova. Probabilmente la risposta è
affermativa per i buchi neri che nascono da stelle di massa iniziale inferiore a circa 40
masse solari, mentre le stelle di massa iniziale superiore a 40 volte la massa del Sole
terminano la loro evoluzione trasformandosi in un buco nero senza esplosione della
stella.
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