L’umorismo e i suoi effetti sulla salute: evidenze scientifiche
Dott.ssa Valeria Marangi
Abstract. L’umorismo riveste un ruolo rilevante nella comunicazione umana e raccoglie in sè
aspetti psicologici, fisiologici, cognitivi, emozionali, comportamentali e sociali.
Gli antichi filosofi e i detti popolari hanno spesso sottolineato l’importanza del ridere nella
vita di ogni persona e negli ultimi decenni si è creato intorno al fenomeno dello humour un
crescente interesse da parte di varie discipline.
Le teorie psicologiche sull’humor s’incentrano sul riso come espressione esterna
dell’esperienza umoristica, che diventa un tipo di linguaggio semplice ed osservabile.
La letteratura sull’humor in campo psicologico si può suddividere in tre grandi periodi:
preteorico, psicoanalitico e cognitivo.
A partire dagli anni Ottanta, con gli studi sulla PsicoNeuroEndocrinoImmunologia (PNEI),
che indaga gli effetti delle emozioni sul sistema immunitario e viceversa, è venuta a delinearsi
una visione interdisciplinare. La ricerca evidenzia i benefici derivanti dal ridere a livello
psicologico e dei sistemi immunitario, endocrino, respiratorio, scheletrico-muscolare, cardiocircolatorio, oltre che da un punto di vista relazionale.
Lo sviluppo dell’umorismo avviene per gradi, fin dall’infanzia, seguendo alcune tappe
evolutive, nel rispetto dell’individualità delle persone.
A questo proposito è interessante l’aspetto relativo all’umorismo che riguarda la gelotofobia.
Key works: umorismo, benefici, gelotofobia.
Il riso, abitualmente, accompagna l’esperienza dell’humor e ne costituisce l’espressione
esterna, indicando che la persona sta sperimentando qualcosa di divertente (Goldstein &
McGhee, 1972/1976).
Da sempre filosofi, antropologi, sociologi, psicologi danno differenti definizioni ed
interpretazioni dell’humor. La psicologia rappresenta però l’unica disciplina che ha un
approccio scientifico nello studio dell’umorismo, obbiettivo estremamente complesso ma non
impossibile. Le teorie psicologiche sull’humor hanno prevalentemente ad oggetto il riso,
poiché tale atto è semplice ed osservabile: il riso è infatti sostanzialmente considerato un
linguaggio, che va esaminato nel suo contesto, nella sua forma e anche nella sua tonalità, per
essere compreso appieno.
L’umorismo è una delle principali cause del riso (Ziv, 1979/1981). In psicologia si rinviene
una vasta letteratura sull’argomento e molte sono le teorie e gli studiosi che si sono interessati
a questa materia: basti pensare che nel 1977, in Inghilterra, ha avuto luogo il primo Congresso
Internazionale di Psicologia dell’Umorismo.
Storicamente i ricercatori hanno definito l’humor come un’attività inconscia che si sviluppa
sin dall’infanzia, in modo spontaneo ed incongruente, comportando un cambiamento dello
stato mentale (Goldstein & McGhee, 1972/1976). Partendo da queste considerazioni, oggi
alcuni psicologi clinici identificano l’humor come meccanismo di coping, abilità di
comunicazione e mezzo per promuovere il processo fisiologico e psicologico della salute
(Bellert, 1989). Dalla seconda metà degli anni settanta, Ziv (1979/1981) definiva l’umorismo
in base al modo in cui questo veniva percepito: quindi non solo come capacità di creare il riso,
ma soprattutto come capacità di saper cogliere in modo originale i legami esistenti fra esseri
viventi, oggetti e idee.
Gli approcci moderni definiscono con il termine gelotologia (dal greco gelos: riso) la nuova
disciplina che si occupa dello studio sistematico del ridere in relazione alle sue potenzialità
terapeutiche. Questa dottrina concretizza l’unione di più discipline (biologia, psicologia,
antropologia, medicina), poiché per studiare il riso e comprenderne i diversi aspetti è
necessario un approccio multidisciplinare: quando una persona ride aziona un complesso
meccanismo che coinvolge e mette in comunicazione fra loro la sfera bio-antropologica,
emotiva, corporea, con quella intellettuale, spirituale, energetica (Fioravanti & Spina, 1999).
La gelotologia indica come elementi essenziali del processo dell’umorismo, lo stimolo
(humor), la risposta emozionale (allegria) e gli aspetti comportamentali che ne derivano
(ridere, sorridere) (Fry, 1992).
L’humor ha valenza multidimensionale, con implicazioni a livello psicologico, fisiologico,
sociale, emotivo e cognitivo.
L’humor è difficile da valutare, ma la sua risposta, il riso, può essere agevolmente studiata. Si
ritiene che a livello cerebrale sia l’ipotalamo a coordinare le reazioni del ridere: in particolare,
questa esperienza piacevole è associata all’attività del sistema limbico. Dopo aver
riconosciuto uno stimolo divertente, il meccanismo scatenante innato ci permette di
rispondere con il riso: dal talamo e dai nuclei lenticolari e caudali del cervello parte l’impulso
del riso che arriva ai nervi facciali, i quali stimolano a loro volta i muscoli risorio e
zigomatico. Più l’impulso è forte e più arriva lontano, fino al diaframma, ai muscoli
dell’addome. Quando la risata cessa, inizia un piacevole e benefico stato di rilassamento
(Fioravanti & Spina, 1999).
Ridere incide anzitutto sulla respirazione e sull’attività scheletrico-muscolare. Per quanto
riguarda la respirazione, durante questa azione c’è un cambiamento del respiro normale,
aumenta la ventilazione, quindi l’ossigenazione del sangue, e l’aria residua nei polmoni
diminuisce. Vi è un aumento della pressione sanguigna, della circolazione venosa ed arteriosa
e del battito cardiaco, seguito da un periodo di rilassamento, con conseguente abbassamento
della pressione e delle pulsazioni. Gli effetti sul sistema circolatorio aumentano il trasporto di
sangue alle cellule utili al sistema immunitario. La temperatura della pelle si alza in
conseguenza di una circolazione periferica maggiore. Quindi il riso sembra avere un effetto
positivo su molti problemi cardiovascolari e respiratori. Per quanto riguarda l’attività
scheletrico-muscolare, vengono coinvolti addome, muscoli facciali, sistema gastrointestinale,
gambe e braccia, come se l’individuo stesse facendo del jogging interno, che riduce la
tensione muscolare. I fisiologi muscolari hanno dimostrato che ansia e rilassamento
muscolare non possono coesistere e che la risposta del rilassamento, dopo una risata di cuore,
può durare anche 45 minuti: l’humor costituisce dunque il fondamento di una buona salute
(Adams, 1998/1999).
La ricerca ha infine dimostrato che il riso incrementa la secrezione di sostanze chimiche
naturali, catecolamine e endorfine, che fanno sentire vivaci e in forma. In particolare, al
termine di una risata si ha un rilascio di endorfina (oppioide endogeno), i cui effetti sono:
immunostimolante, antidolorifico, euforizzante e calmante. Diminuisce invece la secrezione
del cortisolo e abbassa il tasso di sedimentazione, il che implica una stimolazione della
risposta immunitaria.
Numerose ricerche sperimentali hanno esaminato gli effetti del divertimento e del ridere su
varie componenti del sistema immunitario, tramite l’analisi di campioni di saliva e di sangue
dei partecipanti, prima e dopo uno stimolo umoristico (come ad esempio un film comico).
Una parte di questi studi ha avuto ad oggetto la presenza di Immunoglobulina A (S-IgA), una
componente del sistema immunitario che si trova nella saliva ed agisce come difesa contro
infezioni respiratorie, diminuendo in caso di stress: le verifiche empiriche hanno dimostrato
che la sua diminuzione è tanto più modesta quanto più forte è il senso dell’umorismo esibito
dall’individuo (Martin & Lefcourt, 1983). Berk è uno dei principali ricercatori che si occupa
dello studio degli effetti del ridere sul sistema immunitario: già verso la fine degli anni ottanta
ha dimostrato (Berk, et al., 1988), che il senso dell’umorismo e il ridere moderano gli effetti
immunosoppressivi dello stress, riducono il livello di cortisolo nel sangue e stimolano la
crescita spontanea di linfociti (linfociti T: T-killer e T-helper). Un successivo studio (Berk, et
al., 1989) ha inoltre evidenziato come il sistema neuroendocrino e gli ormoni implicati nello
stress, soprattutto l’epinefrina, si modificano con le emozioni positive. Studi più recenti della
stessa equipe di ricercatori (Berk, Tan, Berk & Eby, 1991; Berk, Felten, Tan, Bittman &
Westengard, 2001) hanno confermato i precedenti risultati, permettendo di affermare che
ridere produce effetti benefici sulla salute ed il benessere e che è ottimo se integrato alle
terapie farmacologiche.
L’humor ha effetti anche sullo stress. Il nostro sistema nervoso centrale è dinamico, un
sistema di feedback nel quale le nostre sensazioni, percezioni, emozioni, e reazioni sono
costantemente in interazione. L’ansia, come la paura, fanno aumentare l’attività del sistema
nervoso simpatico, il quale a sua volta incrementa l’attività delle ghiandole sudoripare e
modifica la conduttività elettrica della pelle.
In particolare, un’osservazione su individui malati di cancro e HIV ha dimostrato che ridere
riduce lo stress ed aumenta il rilascio naturale di cellule T-Killer: poiché l’abbassamento di
quest’ultime porta alla diminuzione della resistenza alla malattia e all’aumento della
morbilità, è stato provato che ridere può essere utile anche come intervento cognitivocomportamentale (Bennett, 2003).
Esiste una correlazione tra lo stress e l’humor: gli individui con un buon senso dell’humor
affrontano con più efficacia lo stress. Come già detto ridere induce uno stato emotivo
positivo, che a sua volta ha effetti benefici sulla salute. Ancor più che ridere, è la componente
cognitiva, ovvero l’abilità a mantenere una prospettiva umoristica durante momenti di stress,
a risultare fondamentale. E’ stato anche ipotizzato che alcuni stili di humor (come ridere di se
stessi) siano più adattivi di altri (come il sarcasmo) per la salute (Martin, 2002).
Uno studio recente ha infine dimostrato che l’humor porta benefici anche se impiegato nella
cura di persone anziane residenti in case di cura, poiché riduce lo stress e l’ansia, due aspetti
rilevanti, in questo ambito, nel determinare come l’individuo vive la perdita della sua
indipendenza (Westburg, 2003).
Diversi studi, effettuati con accurato rigore metodologico, hanno esaminato il potenziale
effetto analgesico del ridere misurando la soglia di dolore nei soggetti prima e dopo
l’esposizione a film comici (Martin, 2001; 2002). Esaminando il senso dell’umorismo e il
rapporto con la salute tramite self-report checklist di sintomi fisici è emersa una correlazione
negativa: gli individui con maggior senso dell’umorismo hanno riportato un minor numero di
sintomi di malattia e problemi di salute (Martin, 2002).
Weisenberg e i suoi collaboratori si sono occupati di verificare l’influenza dell’umore positivo
sul dolore: mentre un iniziale studio, pur evidenziandone i vantaggi, non dimostrò che i
risultati positivi ottenuti fossero attribuibili esclusivamente all’humor, essendo lo stimolo
umoristico di breve durata (Weisenberg, et al., 1995), uno studio successivo, sottolineando
l’importanza della componente psicologica, mostrò che l’umore positivo riesce ad elevare la
tolleranza al dolore (Weisenberg, et al., 1998). E’ inoltre emerso che l’humor, derivante
dall’ascolto di audiocassette umoristiche, è in grado di ridurre la sensibilità al dolore,
suggerendo che ridere ha un grande potenziale come strategia di intervento per elevare la
soglia del dolore clinico (Cogan, Cogan, Waltz & McCue, 1987). Un risultato simile è stato
ottenuto da Weaver e Zillmann (1994) che hanno riscontrato una maggior tolleranza al dolore
nei maschi rispetto alle femmine ed al gruppo di controllo, sia dopo la visione di un
documentario (inteso come tecnica di distrazione), che di una commedia.
Molteplici ricerche hanno infine indagato gli effetti sulla tolleranza al dolore di individui con
un tratto di personalità umoristico: questi soggetti hanno una capacità di coping maggiore,
siano o meno sottoposti a stimoli umoristici, mentre i soggetti che non hanno questo tratto di
personalità risultano più vulnerabili al dolore anche dopo gli stimoli umoristici. Ciò porta ad
affermare che è più importante l’humor di tratto che l’humor di stato (Hudak, Dale, Hudak &
DeGood, 1991).
Da più parti, ormai, si manifesta la necessità di intraprendere ulteriori studi sperimentali
finalizzati a comprendere quanto sia il solo humor ad innalzare la soglia del dolore e quanto
invece influiscano anche il rilassamento, la distrazione, l’aspettativa: fatto ormai certo è che la
maggior parte delle persone preferisce uno stimolo umoristico piuttosto che esercizi di
rilassamento o ipnosi per affrontare il dolore (Mahony, Burroughs & Hieatt, 2001).
Il messaggio del sorriso è quello di un approccio amichevole, anche se è ovvio che il sorriso
può essere, in realtà, una maschera di una grande varietà di stati d’animo (imbarazzo, ironia,
scherno, sufficienza). Infatti, nonostante l’universalità delle emozioni permetta di valutare
come antiaggressivo il messaggio del sorriso, è possibile riconoscere vari tipi di sorriso, come
è stato dimostrato in uno studio volto a verificare il legame tra questa abilità e il livello di
socialità dell’individuo (Devereux & Ginsburg, 2001).
Recentemente è stata condotta un’interessante indagine esplorativa , tramite interviste, sul
significato dell’humor, i suoi effetti e le sue funzioni: le categorie che emergono dall’analisi
qualitativa definiscono l’humor come un’esperienza emozionale che va dal ridere al pianto, e
può essere intesa come possibilità/ostacolo e come arma/protezione. Emerge inoltre che il
prerequisito essenziale per l’utilizzo dell’humor in ambito sanitario è l’empatia. Infine, esso
rappresenta un ponte tra la distanza mentale e intellettuale tra persone di differenti culture e
con un backgrounds differente (Olsson, Backe, Sörensen & Kock, 2002).
Per quanto riguarda il dominio cognitivo, l’humor facilita il processo di apprendimento,
catturando e mantenendo l’attenzione aumentando la memoria ed inoltre, aiutando a diminuire
lo stress e l’ansia, rinforza la propria autostima poiché permette un’accettabile sfogo emotivo
(Beck, 1997).
L’umorismo può inoltre essere impiegato come meccanismo di coping per far fronte ad una
situazione spiacevole: permettendo di alleviare la tensione e l’ansia, serve come sfogo per
ostilità e collera, consente una fuga temporanea dalla realtà. Così, ad esempio, alcune persone
malate di cancro riescono ad affrontare la paura della morte (Bellert, 1989). Uno dei motivi
per cui l’umorismo aiuta il coping può essere individuato nel fatto che vedere il lato comico
della situazione permette di valutarla come meno minacciosa e di rispondere quindi con una
minore attivazione a livello simpatico-surrenale (Farnè & Sebellico, 1990, pp. 59-96).
L’humor influenza positivamente la salute anche in via indiretta, aumentando il livello di
supporto sociale. Gli individui che hanno senso dell’umorismo sono socialmente competenti
ed attraenti e sono più abili nel ridurre le tensioni ed i conflitti all’interno delle relazioni
interpersonali, con il vantaggio di avere maggior intimità ed un maggior numero di relazioni
sociali soddisfacenti. Il supporto sociale deriva da queste relazioni e permette di attutire gli
effetti dello stress e migliorare il proprio benessere (Martin, 2002). Negli adulti risulta molto
utile anche nel mondo del lavoro: i suoi effetti positivi stimolano le abilità professionali, la
soddisfazione sul lavoro, il coinvolgimento e le competenze ( Miller, 1996; Yates, 2001).
L’humor può infine rappresentare un’abilità comunicativa che gli individui mostrano con gli
altri, ovvero un mezzo per le comunicazioni interpersonali.
Dall’analisi appena svolta sui molteplici effetti dell’humor, emerge lo stretto collegamento
esistente tra aspetti fisiologici, sistema immunitario, stress, dolore, aspetti cognitivi e sociali
dell’individuo.
La PsicoNeuroEndocrinoImmunologia (PNEI) cerca di abbandonare lo studio del corpo
umano e delle sue funzioni in modo separato, come è tipico di un vecchio approccio medico,
avviando una visione interdisciplinare tra diversi approcci come la neurofisiologia,
l’immunologia e l’endocrinologia. Con la PNEI si ha una visione olistica dell’uomo, dove gli
aspetti della psiche (intesa come pensiero, coscienza ed emozioni), sono implicati in ogni
processo nervoso, endocrino, immunitario, tramite una comunicazione interna e quindi la
PNEI ci aiuta a comprendere come la psiche, il sistema nervoso centrale e il sistema
immunitario si influenzino a vicenda (Olness & Kohen, 1996, pp.334-344).
Questo nuovo approccio nasce dalla consapevolezza che le emozioni e le sensazioni, che ci
permettono di memorizzare le esperienze, sono responsabili di molti meccanismi
neurofisiologici che regolano il funzionamento dell’organismo.
Interessanti sono gli sviluppi che riguardano le implicazioni dell’umorismo dal punto di vista
della gelotofobia, ovvero la paura di essere derisi (G.Forabosco).
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