5. La Chiesa: Comunità che vive nel mondo contemporaneo La Chiesa non vive in sé e per sé, ma nel mondo e per il mondo contemporaneo. Occorre avere sempre più coscienza: che la Chiesa non può e non deve vivere separata dal mondo degli uomini, ma a servizio di questo mondo, di cui condivide le gioie e i dolori che il servizio della Chiesa, in quanto servizio di evangelizzazione, esige anche un’opera di promozione umana che il servizio di evangelizzazione e promozione domanda di fare attenzione alla storia e alla cultura del mondo d’oggi. Oggi è molto diffusa la convinzione che la fede cristiana debba interessarsi di questioni puramente spirituali e religiose, senza intromettersi in problemi di tipo sociale o politico. Ad essa spetterebbe l’ambito dell’anima, dell’interiorità personale, del privato ma non quello della storia con tutti i suoi problemi. Di conseguenza anche la Chiesa dovrebbe predicare solo la salvezza dell’anima, mantenendosi lontana da tutti i problemi storici e sociali che sarebbero di competenza della società civile. A dire il vero fino al medioevo società civile e Chiesa tendevano ad identificarsi e l’autorità ecclesiale era rilevante anche per le questioni del mondo civile e profano. Con l’inizio però dell’epoca moderna la Chiesa ha visto staccarsi uno dopo l’altro i molti elementi "mondani" che prima erano stati incorporati in essa. Il papa perse il potere temporale, gli Stati nazionali chiesero l’autonomia dalla Chiesa, la scienza e la filosofia si staccarono dalla fede. Tuttavia la legittima richiesta di autonomia delle realtà terrene si trasformò ben presto e in molti casi in separazione o addirittura in opposizione. Per reazione la Chiesa si oppose al mondo moderno e senza accorgersi si estraniò dai problemi storici, sociali e culturali del mondo di allora, col rischio di lasciarsi relegare nel chiuso delle sacrestie e nel privato delle coscienze. Cosa insegna questa evoluzione? Cosa ci suggerisce in proposito l’ultimo concilio, il Vaticano II? 1. Il mondo: luogo della missione ecclesiale Se i destinatari della missione ecclesiale sono tutti gli uomini che vivono su questa terra, allora il luogo di tale missione non può che essere il mondo contemporaneo. Ciò significa che la Chiesa, come popolo di Dio peregrinante e missionario, non può estraniarsi da questo mondo: non solo vive in questo mondo ma anche per questo mondo, a servizio di tutta l’umanità che vive sulla terra. Ci sono stati, come abbiamo appena detto, dei momenti nella storia, in cui sembrava che la Chiesa, soprattutto in alcuni esponenti del suo Magistero, volesse stare separata, di fronte o contro il mondo; in realtà essa non può essere contro il mondo, ma solo contro il male che è nel mondo e affligge l’umanità. Anzi, continuando quello del suo Signore, lo stile della missione della Chiesa non può che essere quello dell’incarnazione e della condivisione. «Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, - scrive il Concilio nella "Gaudium et spes" - sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore». Perciò la Chiesa «si sente realmente e intimamente solidale con il genere umano e con la sua storia» (GS 1). 2. Nel dialogo la Chiesa accoglie e ascolta il mondo contemporaneo Certamente nello stile della incarnazione e della condivisione si nasconde un rischio da cui la Chiesa e ogni cristiano devono guardarsi, quello di finire per identificarsi col mondo, perdendo la sua "riserva critica" e senza più portare il proprio apporto specifico. Per questo Gesù mette in guardia i suoi discepoli: essi sono nel mondo ma non del mondo (cfr. Gv 17,11. 16). In questo difficile equilibrio il Vaticano II sollecita a individuare e a seguire un nuovo modo di presenza della Chiesa nel mondo, che è pure contemporaneamente un nuovo metodo per la sua missione: quello del dialogo. Il dialogo comporta sempre due aspetti: accoglienza e ascolto, da un lato, dono e parola, dall’altro. Innanzi tutto la Chiesa accoglie con amore e fiducia il mondo degli uomini contemporanei, guarda con simpatia agli sforzi dell’umanità di oggi e collabora con essa per creare un mondo più giusto e fraterno, un mondo di verità e di pace. Questa accoglienza e collaborazione non sono semplicemente una tattica pastorale iniziale, per potere poi annunziare il Vangelo di Gesù, che sarebbe qualcosa d’altro rispetto alle aspirazioni e agli sforzi dell’umanità. La Chiesa ritiene di poter, anzi dover, accogliere questo mondo e collaborare con l’umanità di oggi, perché sa che, nonostante il peccato, il mondo rimane sempre creatura di Dio e, in quanto tale, non può che essere "cosa buona". In esso vive quell’umanità che, pur non essendo sempre cosciente, porta inscritta quella vocazione alla comunione con Dio e all’unità del genere umano, la cui realizzazione Cristo è venuto a rendere possibile e di cui la Chiesa è segno e strumento (cfr. LG, 1). Inoltre la Chiesa sa che, prima ancora che essa giunga con il suo annuncio esplicito, nel mondo è già all’opera lo Spirito di Cristo, che attraverso vie misteriose associa gli uomini al mistero pasquale del Signore (cfr. GS, 22) e diffonde la salvezza cristiana, cioè il regno di Dio (cfr. LG, 16). Lo Spirito santo opera liberamente, a somiglianza del vento che soffia dove vuole (cfr. Gv 3, 8) e ci dà la fiducia che Dio conduce in modo misterioso i fili invisibili della storia anche di questo mondo contemporaneo. Per questo la Chiesa è chiamata non solo ad accogliere questo mondo ma anche a mettersi in ascolto del mondo e della cultura del nostro tempo, dei suoi modi di pensare, vedere, giudicare, esprimersi e agire (cfr. GS, 44), per scrutare i "segni dei tempi" (cfr. GS, 4. 11) e «discernere i semi del Verbo già presenti in essa [nella cultura del nostro mondo], anche al di là dei confini visibili della Chiesa. Ascoltare le attese più intime dei nostri contemporanei, prendere sul serio desideri e ricerche, cercare di capire che cosa fa ardere i loro cuori e cosa invece suscita in loro paura e diffidenza, è importante per poterci fare servi della loro gioia e della loro speranza. Non possiamo affatto escludere, inoltre, che i non credenti abbiano qualcosa da insegnarci riguardo alla comprensione della vita e che dunque, per vie inattese, il Signore possa in certi momenti farci sentire la sua voce attraverso di loro» (CEI, Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia. Orientamenti pastorali per il primo decennio del duemila, 34) 3. Nel dialogo la Chiesa dona al mondo il "Vangelo" della salvezza integrale e contribuisce al formarsi di una nuova "cultura" Il dialogo col mondo, però, non è fatto solo di ascolto, accoglienza e condivisione; dalla Chiesa si esige anche il dono di ciò che le appartiene in modo particolare, il Vangelo di Gesù, la luce della Verità che illumina e salva. La Chiesa non può dare dimostrazione più eloquente della solidarietà e del rispetto per l’intera famiglia umana, dentro la quale essa è inserita, «che instaurando con questa un dialogo sui vari problemi [... ], arrecando la luce che viene dal Vangelo e mettendo a disposizione degli uomini le energie di salvezza che la Chiesa, sotto la guida dello Spirito santo, riceve dal suo fondatore» (GS 3). In tal modo i cristiani, che costituiscono la Chiesa, «sono uomini come tutti gli altri, pienamente partecipi della vita nella città e nella società, dei successi e dei fallimenti sperimentati degli uomini; ma sono anche ascoltatori della parola, chiamati a trasmettere la differenza evangelica nella storia, a dare un’anima al mondo, perché l’umanità tutta possa incamminarsi verso quel Regno per il quale è stata creata» (CEI, Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia, 35). In altri termini, se per un verso i cristiani fanno parte del mondo e sono partecipi della cultura del mondo in cui vivono, servendosene anche per trasmettere in forma comprensibile il messaggio di Cristo, per un altro sono chiamati a far diventare la loro stessa fede, una forma di "cultura", cioè un modo diffuso di pensare, giudicare e vivere secondo i valori evangelici. Oggi ci rendiamo conto che il problema della evangelizzazione non è di contenuto e neppure di metodo: è più largamente culturale. Il Vangelo, infatti, è chiamato a confrontarsi con il compito di una nuova inculturazione, paragonabile, per entità e per esigenza, alla seconda inculturazione, dopo quella ebraica, cioè quella greca. Là apologeti e Padri della Chiesa seppero attingere dalla testimonianza e dalla riflessione gli strumenti adeguati e le parole giuste per dire Gesù Cristo alla sapienza greca; qui i cristiani sono chiamati a far risuonare come significativo l’annuncio di Cristo dentro una cultura postmoderna che mostra di volersi congedare dalla cristianità e che cerca con fatica una sua identità. Il problema, allora, non è solo il cambiamento di strategie catechistiche ma, prima di tutto, l’urgenza di una riformulazione radicale alla luce della cultura attuale, che riguarda tutta la vita della Chiesa: il suo modo di vivere, di organizzarsi, di gestire l’autorità, di annunciare. 4. Il ruolo dei laici cristiani In modo particolare qui si colloca il ruolo dei laici cristiani: vivendo e lavorando gomito a gomito con uomini indifferenti, atei o appartenenti ad altre religioni, essi danno testimonianza al Vangelo di Gesù condividendo le gioie e i dolori di tutti, mostrando che la fede in Cristo non distoglie dagli impegni terreni, ma anzi sollecita in questo senso, poiché la carità cristiana esige di farsi solidale con tutti e la salvezza cristiana, essendo salvezza globale di tutto l’uomo, comprende anche il suo corpo, le relazioni, la storia e il mondo che lo costituiscono. L’opera di evangelizzazione, che è tipica della Chiesa, esige perciò anche la promozione umana, anche se non si identifica semplicemente con essa. Proprio per questo il cristiano cerca con tutti gli altri uomini di corrispondere alla grazia di Cristo sforzandosi di costruire già su questa terra quel mondo che anticipa e adombra il regno di Cristo, regno di verità e di vita, regno di giustizia, di amore e di pace (cfr. GS 39), senza assolutizzare il progresso tecnico ed economico e mantenendo viva la tensione alla meta ultima e trascendente. Pertanto «è proprio dei laici cercare il regno di Dio trattando le cose temporali e ordinandole secondo Dio». Implicati negli affari del mondo e nelle questioni familiari, sociali, economiche, culturali e politiche «sono da Dio chiamati a contribuire, quasi dall’interno a modo di fermento, alla santificazione del mondo» (LG 31). È ovvio, quindi, che la fede cristiana, pur tendendo alla meta finale della comunione personale e comunitaria con Dio, ha anche un’intrinseca dimensione storica e sociale e la Chiesa, più che cittadella fortificata sul monte o arca di salvezza soltanto per quelli che le appartengono, va pensata come luce e sale della terra (cfr. Mt 5, 13-14).