UN OROLOGIO DENTRO LE NOSTRE CELLULE
Dott. Roberto Reginelli
Che cos’è l’Orologio biologico?
Così come un moderno computer ha bisogno del suo “clock” per avere a
disposizione una “dimensione temporale” su cui basare le proprie operazioni e per
poter sincronizzare le sue funzioni, così anche gli esseri viventi più complessi
necessitano di un meccanismo interno che sappia “dare il tempo” a tutto
quell’insieme di innumerevoli operazioni biologiche e comportamentali tipiche di un
organismo.
In particolare, studi sperimentali effettuati su animali (non sempre trasferibili
sull’uomo) hanno fatto ipotizzare l’esistenza di un “orologio biologico”,
potenzialmente dentro ogni cellula vivente. Cioè, in ogni cellula, separata dalle altre,
si possono registrare delle “operazioni” cicliche (ad esempio, sintesi e inattivazione
di certe proteine) che avvengono per ordine di un programma scritto nel DNA (il
codice genetico) di quella cellula, operazioni che, ripetendosi ogni ventiquattro ore
circa, indicano il trascorrere del giorno.
Le cellule, poi, in modo ancora misterioso, comunicano tra di loro (attraverso
messaggeri simil-ormonali?) e si “sincronizzano” tutte insieme, sotto la
“supervisione” di un gruppo di cellule particolarmente dotate, che costituisce il
“segna-tempo” dell’organismo. Nell’uomo, il segnatempo si trova in una parte del
cervello detta “ipotalamo”, una delle zone più “vecchie” dell’encefalo, nella storia
dell’evoluzione.
Questo segnatempo è responsabile del ripetersi ciclico (“circadiano”, cioè più o
meno ogni ventiquattro ore) di numerosi fenomeni biologici, tra loro sincronizzati,
quali il ritmo veglia-sonno, le modificazioni della pressione arteriosa, della
temperatura, dell’attività di ghiandole endocrine (con la relativa variazione della
produzione ormonale), dell’attività del sistema neurovegetativo. Gli ordini del segnatempo arrivano in tutti gli organi, attraverso messaggi nervosi o ormonali.
Quali organi risentono maggiormente della ciclicità delle funzioni biologiche? Quali
ormoni?
Sorvolando sulle ovaie, la cui funzione biologica, determinata anche dal “dialogo”
con altre ghiandole endocrine, quali l’ipofisi, ha un ritmo “circa-mensile”, possiamo
fare l’esempio dell’apparato cardiovascolare (ritmo della pressione arteriosa, della
frequenza cardiaca), dello stesso cervello (ritmo sonno-veglia), dell’apparato
neurovegetativo (che si ripercuote sul funzionamento dei visceri e delle ghiandole),
dell’apparato digerente (soprattutto per mezzo del sistema nervoso vegetativo), delle
ghiandole surrenaliche (ritmo degli ormoni surrenalici, come il cortisone).
Il cortisone è un tipico esempio di ormone che viene secreto da una ghiandola
secondo un ritmo circadiano (più al mattino e meno la sera), che può essere in parte
modificato da fattori esterni, quali lo stress.
L’orologio biologico, quindi, può essere influenzato da fattori esterni?
Certamente sì: il centro “segna-tempo” cerebrale, oltre a controllare e sincronizzare
tutto l’organismo, riesce anche a adeguare la sua funzione, entro certi limiti, in
risposta a informazioni provenienti dal mondo esterno.
Gli stimoli più importanti, a questo riguardo, sono le abitudini, l’attività lavorativa,
lo stress di qualsiasi natura e, soprattutto, la luce.
L’alternarsi di luce e buio, sia attraverso impulsi nervosi provenienti direttamente
dalle retine dell’occhio, sia attraverso stimoli ormonali indiretti (ad esempio la
produzione di Melatonina nelle ore notturne da parte della ghiandola pineale, che si
trova nella parte inferiore del cervello), regola l’orologio interno e lo “anticipa” o
“posticipa” a seconda delle necessità.
Così, entro certi limiti e con lentezza, le funzioni organiche sono “risincronizzate” al
variare della durata del giorno e della notte.
Vi sono casi di mancato adattamento di questo orologio biologico?
Sì. In certi viaggi trans-oceanici (si pensi al “jet lag”) o nello svolgimento di lavoro
notturno, l’orologio biologico si adatta alla situazione anomala fino a un certo punto,
oltre il quale l’organismo umano mostra i sintomi della mancata sincronizzazione
delle sue funzioni, presentando soprattutto insonnia, ma anche malessere generale,
modificazioni dell’umore, disturbi digestivi, alterazione della pressione arteriosa e
della frequenza cardiaca. Un’altra circostanza, in cui la regolarità delle funzioni
biologiche è a rischio, è costituita dal lavoro prolungato in luce artificiale (sia di
giorno che di notte).
C’è un orologio “stagionale” nell’uomo, simile a quello di molti animali?
Nell’uomo è meno evidente o per nulla evidente l’effetto dell’alternarsi delle stagioni
sulle attività biologiche: eppure, secondo alcuni Ricercatori, l’influenza dell’orologio
interno potrebbe spiegare anche la relativa iperattività e l’euforia dell’estate e, al
contrario, una certa pigrizia, accompagnata talvolta da un lieve atteggiamento
depressivo, nell’inverno.
Anche quella stanchezza che qualcuno accusa a primavera potrebbe, teoricamente,
essere associata alla riduzione della durata della notte e quindi al calo di produzione
di Melatonina (ma questo è tutto da dimostrare).
Quali conseguenze porta al nostro organismo l’adozione dell’ora legale?
Un’ora di differenza tra orario solare e orario legale non comporta in genere di per sé
alcun problema di adattamento: forse è più una questione psicologica, legata anche al
cambiamento di abitudini quotidiane.
Come cambia l’orologio biologico con l’età?
Si ritiene che, con il passare degli anni, vengano meno sia la capacità dell’orologio di
rispondere con opportuni adattamenti al modificarsi delle condizioni esterne, sia la
produzione in assoluto di Melatonina nelle ore notturne. Questo rappresenterebbe
una delle cause dell’insonnia degli anziani e di certe forme di depressione nella tarda
età.
Quando rivolgersi a un medico?
Quando l’armonia e la funzionalità di certi ritmi biologici vengono meno, possono
insorgere sintomi invalidanti. Si pensi alla rottura del ritmo veglia-sonno: in questi
casi, l’insonnia notturna e la conseguente sonnolenza diurna rendono spiacevole la
vita sia ai giovani che agli anziani. In queste situazioni, soprattutto se il problema
dura da alcune settimane, e persiste anche lontano dall’eventuale episodio
scatenante, è bene rivolgersi a un medico (che può essere internista, endocrinologo,
neurologo, psichiatra), che sappia valutare la situazione nel suo complesso e
consigliare di volta in volta la terapia adeguata.
Colgo l’occasione per ricordare come si debba garantire un adeguato riposo a chi fa
turni di lavoro notturno e che, col tempo, potrebbe presentare disadattamenti e ridotta
efficienza.