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Giuseppe Solaro
Il mistero Democrito
Prefazione di
Diego Fusaro
Copyright © MMXII
ARACNE editrice S.r.l.
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via Raffaele Garofalo, /A–B
 Roma
() 
 ----
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I edizione: dicembre 
A mia madre e a mia figlia,
due per me fondamentali
Chiara
Estratti varî di (e su) Democrito
Al sapiente la terra
intera è accessibile: infatti
la patria di un’anima
buona è tutto quanto il mondo
Esistono mondi infiniti
L’educazione dà buoni frutti a prezzo
di fatica. Ciò che è turpe si ottiene
invece senza sforzo alcuno
Gli stupidi vivono senza godersi la vita
Una vita senza feste
è come una lunga strada
priva di alberghi
Una stessa cosa ad alcuni pare dolce
ad altri amara
Come riferiscono, Democrito stesso diceva
che preferiva trovare una sola spiegazione
causale al divenire re dei Persiani
Il tempo è eterno
Indugiare troppo vanifica l’azione
Conviene di più essere amabili che temibili
Chi egli fosse è chiaro anche dai suoi scritti
Democrito, il quale spiega ciò che è meno
difficile in modo più difficile, non è attendibile
Indice generale
XIII
Prefazione di Diego Fusaro
1
Capitolo I
Fatali Tesmoforie
5
Capitolo II
Dagli atomi ai pidocchi
9
Capitolo III
Un uomo assai longevo
11
Capitolo IV
Re Serse ad Abdera
13
Capitolo V
«Mente abderitica»
17
Capitolo VI
Atene
21
Capitolo VII
La fanciulla di Ippocrate
25
Capitolo VIII
Il mitico Leucippo
29
Capitolo IX
I plagi di Platone
IX
X
Indice generale
31
Capitolo X
Il facchino Protagora
33
Capitolo XI
La stele di Ahiqar
37
Capitolo XII
Le inondazioni del Nilo
39
Capitolo XIII
L’origine dei terremoti
41
Capitolo XIV
Una vita segreta
45
Capitolo XV
La mente e gli occhi
49
Capitolo XVI
Ghelasînos
53
Capitolo XVII
Riso e pianto
57
Capitolo XVIII
I tuffatori di Delo
61
Capitolo XIX
Il viaggio di Ippocrate
65
Capitolo XX
Divina follia
67
Capitolo XXI
Il Democrito spurio
Indice generale
69
Capitolo XXII
Caso e libertà
71
Capitolo XXIII
Il non-essere
73
Capitolo XXIV
Un misterioso vortice
75
Capitolo XXV
Le lacrime di Alessandro Magno
77
Capitolo XXVI
Gli atomi dell’anima
79
Capitolo XXVII
Sull’Ade e dintorni
81
Capitolo XXVIII
Un pozzo senza fondo
83
Capitolo XXIV
L’ombra dell’azione
85
Capitolo XXX
Come aquile tra serpenti
87
Capitolo XXXI
Democrazia e povertà
89
Capitolo XXXII
Il segreto della felicità
91
Capitolo XXXIII
La vera amicizia
XI
XII
Indice generale
93
Elenco delle fonti principali
103
Indice dei nomi e delle cose notevoli
111
Ragguagli bibliografici
Prefazione
Il paradosso di Democrito:
inconciliabilità dell’etica con la fisica?
di Diego Fusaro
Il libro di Giuseppe Solaro si presenta come una ricca e documentatissima biografia intellettuale sulla figura di Democrito
di Abdera. Tra i suoi molteplici meriti, vi è senz’altro quello di
porre in relazione la genesi e lo sviluppo del pensiero democriteo con la concreta esistenza del pensatore nella città di Abdera.
Non è possibile venire a capo della riflessione democritea senza
ricostruirne gli intimi rapporti con la  abderita e con i
grandi protagonisti del tempo: è attorno a questo presupposto
che Solaro costruisce i trentatré capitoli del suo lavoro. Le categorie filosofiche, come del resto tutte le altre produzioni dello
spirito, non cascano dal cielo, ma nascono sempre dall’unione
del pensiero con il contesto storico concreto, e più precisamente
come tentativo di elaborare e risolvere razionalmente problemi
sollevati nel quadro della concreta esistenza sociale. A questo
proposito, giova ricordare come nel suo splendido e mai abbastanza studiato lavoro del 1982, La repubblica cosmica1, Antonio Capizzi invitasse a operare un «riorientamento gestaltico»
nel nostro modo di leggere e interpretare i cosiddetti “Presocratici”, secondo l’equivoca espressione con cui ancora oggi siamo
soliti connotare quei “pensatori dell’origine” vissuti in un’epoca
in cui lo stesso concetto di filosofia non era ancora stato codifi1
Cfr. A. CAPIZZI, La repubblica cosmica: appunti per una storia non peripatetica
della nascita della filosofia in Grecia, Edizioni dell’Ateneo, Roma 1982.
XIII
XIV
Prefazione
cato: secondo Capizzi, infatti, occorreva affrancarsi dalla «storia peripatetica»2 della filosofia – ossia da quella storia della filosofia sui generis tratteggiata da Aristotele nel primo libro della Metafisica – per guadagnare una diversa prospettiva interpretativa, consistente, appunto, nello studio analitico del singolo
pensatore in riferimento al concreto contesto storico, politico,
culturale, simbolico e sociale del suo tempo3. In questa maniera,
la storia della filosofia antica si apriva in direzione di una più
ampia e ospitale storia delle idee – in cui spazio trovavano anche la tragedia, la poesia, ecc., nei loro nessi vitali con il pensiero filosofico all’interno della  in questione – e, insieme, si
smarcava dall’inerziale lettura di tipo peripatetico, incline a ricostruire, sulle orme dello Stagirita, l’intera avventura del pensiero cosiddetto “presocratico” come una sorta di lunga preparazione – certo non esente da deviazioni e battute d’arresto –
all’avvento del sistema aristotelico, alla cui luce leggere, interpretare, classificare pensatori che non soltanto si erano posti
problemi di ordine differente rispetto a quelli su cui si era affaticato lo Stagirita, ma che erano vissuti in contesti e in epoche
diverse e, per certi versi, inaccostabili a quella di quest’ultimo.
I molteplici errori e fuorviamenti che discendono dalla lettura peripatetica della storia della filosofia antica sono stati segnalati a suo tempo da Capizzi e non ha senso insistervi qui ulteriormente. È sufficiente ricordare come essi, in fondo, scaturiscano tutti dall’errore di considerare Aristotele quello che egli
non è mai stato né mai ha voluto essere, uno storico della filosofia attendibile, quando in verità il compito che egli apertamente
si propone è quello – a torto o a ragione – di interrogare i predecessori secondo il suo stesso sistema e in funzione di esso, in2
In particolare, per Capizzi, si tratta di «riconoscere una volta per tutte che Aristotele, quali che fossero i nomi da lui usati per comodità, ha parlato sempre e soltanto del
suo tempo, della cultura del suo tempo, dei problemi del suo tempo» (ivi, p. 10).
3
Ha ragione Capizzi quando sostiene che bisogna «privilegiare, ogni volta che si
studiano autori pre-periclei, il rapporto tra ogni singolo autore e la sua singola città» (ivi, p. 13), interpretandone il pensiero alla luce dei concreti nessi comunitari. «Ognuno
di essi va analizzato nel momento in cui costituisce il suo tipico paradigma, la sua tipica
natura ideale, destinato a dare il suo tipico insegnamento politico in quella determinata
situazione di quella determinata città» (ivi, p. 132).
Il paradosso di Democrito
XV
quadrandoli su questa base. Ho citato il libro di Capizzi perché
esso adombra un aspetto su cui, come dicevo, si regge anche il
lavoro di Solaro: il tentativo di comprendere il singolo pensatore – nel nostro caso Democrito – alla luce della concreta vita
sociale, politica e culturale della  di riferimento, nei suoi
nessi con la politica, la società e le altre manifestazioni simboliche e culturali dello spirito. Una simile posizione si regge su un
presupposto che è bene esplicitare: il pensiero non è mai una eterea forma spirituale avulsa dal contesto sociale e politico, mera riflessione teoretica disincarnata dalla vita della comunità di
appartenenza; al contrario, il pensiero – ogni pensiero – è intrinsecamente politico, in quanto racchiude – in modo più o meno
consapevole – elementi metabolizzati dall’effettivo quadro storico e sociale in cui il pensatore in questione si trova a vivere e
a operare. Le idee – non solo quelle specificamente filosofiche
– sorgono sempre in un preciso contesto sociale e rispondono a
esigenze conoscitive e di orientamento che sono esse stesse sociali.
Tuttavia, questo non vuol dire – e qui sta, a mio giudizio, il
più macroscopico limite della lettura di Capizzi – che la validità
del pensiero di un autore si esaurisca storicisticamente nel momento e nel contesto storico in cui ha pensato (come se la riflessione di Democrito potesse essere intesa come una semplice
emanazione del suo tempo, priva di ogni riferimento a un universale non esauribile nel contesto socio-politico dell’Abdera
del suo tempo!): come ho cercato di chiarire altrove 4, sulle orme
di Hegel e del nesso da lui instaurato tra verità e temporalità, il
pensiero presenta sempre una genesi particolare la cui validità,
tuttavia, tende a trascendere gli angusti confini della particolarità (storicamente determinata) per approssimarsi il più possibile
a una validità universale. Un esempio banale può, forse, fare
chiarezza su questo punto: l’abolizione della tortura ha avuto
certamente una genesi particolare e storicamente determinata e,
4
Mi permetto di rimandare al mio Minima mercatalia. Filosofia e capitalismo,
Bompiani, Milano 2012 (con saggio introduttivo di A. Tagliapietra), in particolare al
capitolo II. Si veda inoltre C. PREVE, Storia dell’etica, Petite Plaisance, Pistoia 2007;
Id., Elogio del comunitarismo, Controcorrente, Napoli 2007.
XVI
Prefazione
non di meno, presenta una validità universale, poiché si avvicina a un ideale di genere umano civilizzato, libero e pacifico.
Ancora, il pensiero di Socrate mai sarebbe potuto fiorire se non
in quella particolare e irripetibile congiuntura storica che vide la
crisi della democrazia ateniese durante e dopo la guerra del Peloponneso: e, tuttavia, la sua particolare elaborazione filosofica,
storicamente determinata nella genesi, presenta una validità universale, che trascende il tempo storico pur essendo impossibile a prescindere da esso.
Al di là di questa tendenza a risolvere storicisticamente il
pensiero degli autori esaminati, la lettura di Capizzi solleva un
altro problema degno di rilievo, che, se preso sul serio, permette
di fare luce sul “mistero” di Democrito. Seguo volentieri Solaro
nell’uso questa categoria – il “mistero” – in riferimento
all’Abderita perché, in effetti, mi pare che sia alquanto appropriata soprattutto in relazione a quello che, da un punto di vista
filosofico, può a giusto titolo essere considerato come l’aspetto
più misterioso della riflessione democritea: l’apparente inconciliabilità tra la sua teoria fisica e le sue massime morali. A tutta
prima, infatti, la filosofia del pensatore di Abdera sembrerebbe
sospesa tra l’ambigua codificazione di una natura meccanicisticamente determinata secondo l’algida geometria imposta
dall’assunzione degli atomi e del vuoto come princìpi, e la tematizzazione di una teoria morale contraddittoriamente centrata
su quella libertà d’azione che è la stessa teoria fisica democritea
a rendere impossibile. Come possono le splendide massime morali di Democrito armonizzarsi (ma anche solo coesistere) con
la sua concezione deterministica della ? Come può l’invito
a conquistare l’ e la , ad agire sempre secondo il criterio del  conciliarsi con l’assunzione di quel
meccanicismo che fa dell’uomo un mero aggregato passivo di
atomi e vuoto? In termini ancora più diretti: come può
l’Abderita prescriverci azioni morali e, in sede fisica, neutralizzare la libertà d’azione riducendoci a meri aggregati di atomi
privi di volontà libera?
Fintantoché si resta nell’alveo del paradigma peripatetico,
l’aporia non può essere risolta: tra le due dimensioni – fisica e
Il paradosso di Democrito
XVII
morale – non si dà alcun nesso, essendo l’una rispetto all’altra
non solo inconciliabile, ma direttamente opposta. Ed è in
quest’ottica che la prospettiva di Capizzi può aiutare a fare luce
sul mistero. Tra le tesi della Repubblica cosmica, come ricordavo, figura quella secondo cui il pensiero impropriamente detto
presocratico non è mera indagine teoretica sugli eterni princìpi
della , a distanza di sicurezza dalla dimensione sociopolitica, ma, al contrario, è un’investigazione che incorpora elementi politici e sociali legati a filo doppio alla congiuntura
storica e alla concreta  di riferimento. Di più, Capizzi si
spinge a sostenere che, nel pensiero presocratico, la
svolge il ruolo di paradigma alla cui luce rendere ragione
della società, anche in forza del fatto che microcosmo e macrocosmo non erano ancora chiaramente distinti sul piano concettuale. La natura, dunque, come valore paradigmatico tramite il
quale proiettare nel macrocosmo i valori microcosmici della
, vero oggetto della riflessione presocratica. Con le parole
di Capizzi: «la natura è stata utilizzata dai Presocratici come mito paradigmatico, come personaggio di una favola educativa
raccontata per rendere più autorevole un messaggio politico»5,
come è corroborato dall’impiego presocratico di un linguaggio
toto genere socio-politico in riferimento alla  (dalla coppia
“ingiustizia” e “pagare il fio” in Anassimandro alla dialettica tra
“armonia” e “contesa” in Empedocle, ecc.) 6.
Destino, Legge, Principio – il poema parmenideo resta, da
questo punto di vista, un modello insuperato – figurano allora,
nel mondo presocratico, valori politici poi trasposti per estensione nel mondo della natura, non per spiegarla, bensì per impiegarla come paradigma in grado di mostrare su scala più
“grande” la realtà della comunità, ossia per pensare le logiche
della riproduzione, della conservazione e del consolidamento
5
A. CAPIZZI, La repubblica cosmica, cit., p. 116.
Ivi, p. 108: «il linguaggio usato per esprimere i rapporti tra gli enti che costituiscono la natura del mondo contiene, con una frequenza sbalorditiva, espressioni inequivocabilmente politiche».
6
XVIII
Prefazione
della propria comunità politica 7. Non deve stupire, allora, che
nei frammenti presocratici la natura sia studiata sempre e solo
da un punto di vista politico: gli stessi frammenti di Eraclito
impiegano il linguaggio politico in riferimento alla natura intesa
paradigmaticamente come città in grande, appunto come cosmopoli; ugualmente l’”essere” in Parmenide è trattato sempre
politicamente con richiamo alla giustizia, al limite, all’armonia
non spigolosa di una città concepita come un tutto compattamente sferico (lo stesso Parmenide svolse attività di nomoteta a
Elea). Ancora, la di Empedocle è antropomorfica, giacché
il suo ciclo è quello delle lotte intestine della  agrigentina,
nella cui vita politica il pensatore prese attivamente parte schierandosi con i democratici.
Per inciso, quello che Capizzi non dice e che invece è bene
evidenziare è il motivo per cui il paradigma aristotelico – i Presocratici come indagatori del mondo naturale – continua a godere di una fiducia pressoché incondizionata. La mia tesi, come ho
avuto modo di sostenere altrove 8, è che la lettura di Aristotele,
certo al di là delle sue intenzioni, si presta a essere assunta come sostegno dell’ideologia oggi dominante, quella che rimuove
dal campo operativo della filosofia ogni problema sociale e politico e tende a ricondurre la stessa impresa filosofica – quando
non la delegittimi integralmente – ai canoni delle scienze della
natura. Se, come è stato ampiamente dimostrato 9, i “pensatori
7
Dice bene Jean-Pierre Vernant a proposito del concetto di  : «questa ragione
greca non è la ragione sperimentale della scienza contemporanea» (J.-P. VERNANT, Les
origines de la pensée grecque, PUF, Paris 1962, p. 127), poiché è la ragione del 
come calcolo sociale comunitario delle giuste proporzioni.
8
Mi permetto di rinviare ancora a Minima mercatalia. Filosofia e capitalismo, cit.,
capitolo II.
9
Con buona pace delle letture oggi più consolidate, i cosiddetti Presocratici non erano scienziati in camice, ma uomini d’azione, che legavano teoria e prassi, legislatori
comunitari che operavano nello spazio geometrizzato – basato cioè sul giusto calcolo
della misura sociale – della  idealizzata nel pensiero tramite l’ausilio di paradigmi
naturali. Ha scritto Farrington: «se qualcosa può caratterizzare questa età più di ogni altra è che in tale epoca i grandi pensatori furono anche uomini d’azione. […] Se i primi
filosofi greci si interessarono al problema del mutamento, questo non fu solo perché la
natura è così mutevole (il che era sempre stato vero), ma perché l’uomo stesso non era
mai stato prima un così attivo, indipendente fattore del mutamento stesso. Gli uomini
che costruirono le città della Ionia erano uomini di un nuovo tipo, che avevano realizza-
Il paradosso di Democrito
XIX
dell’origine” erano anzitutto legislatori comunitari che pensavano la comunità nella forma di una metafisica della giusta «misura» () come sola difesa contro l’irruzione
dell’«illimitatezza» () dell’arricchimento – la “crematistica” che sarà magistralmente condannata dalla Politica aristotelica –, non è difficile capire come il paradigma peripatetico,
abbandonando il problema socio-politico centrale nei cosiddetti
Presocratici e facendo di essi dei meri indagatori della natura –
e, dunque, dei precorritori degli odierni scienziati in camice che
operano nei laboratori –, si presti a essere assimilato dallo spirito di un tempo che ha abbandonato ogni limite (e, dunque, ogni
pensiero del limite) per consegnarsi ciecamente al «moderno furore dell’accrescimento»10, come lo etichettava Elias Canetti.
È anche troppo noto per insistervi oltre il fatto che
l’immaginario greco viene prendendo forma intorno all’ideale
originariamente socio-politico del  e alle sue determinazioni satellitari (il senso dell’armonia, dell’euritmia, delle buone
proporzioni, del limite), fino a diventare il principio metafisico
unitario del pensiero greco nell’arco di tempo che congiunge
Solone ad Aristotele. Il  deve, pertanto, essere inteso
come la cifra espressiva della grecità in quanto tale, e dunque
come un concetto che fa da sfondo e da sostegno a tutte le realizzazioni fiorite in terra greca. Si tratta di una determinazione
che è, a un tempo, geometrica, sociale, politica, economica e religiosa, una funzione sociale collettiva che copre un’ampia
gamma di espressioni culturali e di funzioni simboliche che
spaziano dalla misurazione delle proporzioni geometriche intese
in senso sociale (Pitagora) alla distinzione socio-politica tra
crematistica ed economia (Aristotele), dalle riflessioni dei coto una ‘rilevante estensione del controllo dell’uomo sulla natura’. Ora, non è necessaria
una complessa argomentazione per provare che i nostri filosofi di Mileto erano uomini
tipici del loro tempo. Talete era famoso più di due secoli prima che Aristotele lo presentasse come il primo metafisico: non appariva, però, sotto questo aspetto prima di Aristotele» (B. FARRINGTON, Science and Politics in the Ancient World, 1939; tr. it. Scienza e
politica nel mondo antico. Lavoro intellettuale e lavoro manuale nell’antica Grecia,
Feltrinelli, Milano 1976 2, pp. 176-177).
10
E. CANETTI, Masse und Macht, 1960; tr. it. a cura di F. Jesi, Massa e potere, Adelphi, Milano 2009, p. 566.
XX
Prefazione
siddetti Presocratici sull’ della alle considerazioni di
marca ontologica di Parmenide sull’eterna immutabilità
dell’essere, dalle realizzazioni artistiche incardinate sull’ideale
dell’armonia e della giusta proporzione delle parti alla condanna
del  come eccesso rispetto al giusto limite (Platone), dalla tragedia come dramma scaturente dal superamento dei
limiti ad opera dei comportamenti inscritti nel registro della
 (Eschilo, Sofocle ed Euripide) alla commedia come eccesso che induce irresistibilmente alla risata (Aristofane), e così
via11.
La prospettiva che qui ho provato, sia pure impressionisticamente, a delineare sulle orme di Capizzi (e spunti altrettanto
interessanti si trovano anche in Rodolfo Mondolfo12) permette,
come dicevo, di fare luce sul mistero del pensiero filosofico di
Democrito, sull’apparente inconciliabilità di etica e fisica. Ancora una volta, la storiografia, seguendo Aristotele, insiste inerzialmente sul fatto che la , da Parmenide destituita di ogni
fondamento tramite la negazione, sul piano logico e ontologico,
della molteplicità e del movimento, viene successivamente riabilitata dai successori del pensatore di Elea sbrigativamente
qualificati come “pluralisti” (Empedocle di Agrigento, Anassagora di Clazomene e Democrito di Abdera). Al fine di «salvare i
fenomeni» (), costoro “rifonderebbero” la
possibilità del divenire e, dunque, dell’indagine della natura
tramite l’assunzione di una pluralità di princìpi (le “radici” di
Empedocle, le “omeomerie” di Anassagora e gli “atomi” di
Democrito) e, in questo modo, riprenderebbero la via ionica
dell’indagine della natura a partire dalle sue . Applicando
l’immutabilità dell’essere parmenideo ai princìpi “plurali” e, insieme, salvando il fenomeno del divenire, spiegato come com11
Cfr. C. PREVE, Elogio del comunitarismo, cit., pp. 35 ss. Cfr. inoltre S.
NOTARGIACOMO, Medietà e proporzione, Lampi di Stampa, Milano 2011.
12
Cfr. soprattutto R. MONDOLFO, La comprensione del soggetto umano
nell’antichità classica, La Nuova Italia, Firenze 1958 (ristampato presso Bompiani, Milano 2012, a cura di G. Reale). Cfr. inoltre G. THOMSON, Studies in Ancient Greek Society, 1955; tr. it. I primi filosofi. Studi sulla società greca antica, Vallecchi, Firenze
1973; L. GRECCHI, Perché non possiamo non dirci Greci, Petite Plaisance, Pistoia 2010;
ID., L’umanesimo della antica filosofia greca, Petite Plaisance, Pistoia 2007.