L. 31 maggio 1995, n. 218 (G.U. 3-6-1995, n. 128, s.o.). — Riforma

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L. 31 maggio 1995, n. 218 (G.U. 3-6-1995, n. 128, s.o.). — Riforma del sistema
italiano di diritto internazionale privato
TITOLO I
Disposizioni generali
1
Oggetto della legge.
1. La presente legge determina l’ambito della giurisdizione italiana, pone i criteri per
l’individuazione del diritto applicabile e disciplina l’efficacia delle sentenze e degli atti
stranieri.
L’art. 1 rappresenta la norma introduttiva della legge e presenta lo schema dell’articolato di
riforma, individuando la sequenza logica degli argomenti e le materie che il legislatore ha
ritenuto e voluto disciplinare come norme di d.i.p., rinviando per questo ai successivi tre titoli
della legge. È evidente l’approccio più moderno al d.i.p. in quanto si pone il problema della
giurisdizione non nell’ottica dei limiti della giurisdizione italiana quanto piuttosto della ricerca
del giudice più adeguato a risolvere una questione collegata a più ordinamenti.
Profili generali
Il legislatore precisa di voler ricondurre ad un
unico contesto normativo le regole per la valutazione delle situazioni che presentano elementi
di estraneità rispetto all’ordinamento italiano,
le quali in precedenza erano disseminate nelle
disposizioni preliminari al codice civile, nel
codice civile stesso e nel codice di procedura
civile. La legge (art. 73) dispone espressamente l’abrogazione delle norme precedenti delle
disposizioni preliminari ma lascia sopravvivere l’art. 16 relativo alla condizione dello straniero (soggetta a reciprocità), alcune norme di
valenza internazionalprivatistica contenute in
leggi speciali (in tema di scioglimento del matrimonio e, soprattutto, di adozione, dove l’ado-
2
zione internazionale — specifico statuto disciplinato senza far uso del metodo conflittuale —
continua ad essere regolato dalla l. 184/1983) e
tutto l’insieme delle norme di conflitto in tema
di navigazione. Essa non tocca poi certe materie, che altri ordinamenti hanno invece ritenuto
adatte alla codificazione generale delle norme
di conflitto, già parzialmente disciplinate mediante disposizioni specifiche che sopravvivono anch’esse (così in materia di stato civile e di
fallimento). Un caso a sé è costituito dalla disciplina del riconoscimento dei lodi arbitrali, riformata — in ossequio agli impegni internazionali — nel quadro della l. 5-1-1994, n. 25 (la
quale ha anche introdotto la specifica figura dell’arbitrato internazionale) e quindi sottratta alla
l. 218/1995.
Convenzioni internazionali.
1. Le disposizioni della presente legge non pregiudicano l’applicazione delle convenzioni internazionali in vigore per l’Italia.
2. Nell’interpretazione di tali convenzioni si terrà conto del loro carattere internazionale e dell’esigenza della loro applicazione uniforme.
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Diritto internazionale privato
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Il carattere interno delle norme di d.i.p. porta al rischio che i diversi ordinamenti statali adottino
regole differenti o, addirittura, contrapposte. Ciò impedisce di garantire quella certezza del
diritto che tutti i rapporti privati, anche quelli caratterizzati da elementi di estraneità, meritano.
Ecco perché accanto alle norme interne acquistano crescente importanza le convenzioni multilaterali che hanno lo scopo di unificare le norme di d.i.p. in un determinato settore. La norma
in commento presuppone l’esistenza di tali convenzioni, e ne consente l’attuazione con prevalenza rispetto alle soluzioni adottate dal legislatore italiano.
Convenzioni e trattati internazionali
Si ricorda che le convenzioni, gli accordi e i trattati internazionali, sono quelle determinazioni comuni attraverso le quali due o più Stati assumono determinati obblighi e riconoscono determinati diritti, con efficacia vincolante solo per i Paesi
firmatari che hanno pure proceduto alla ratifica.
Inoltre esistono norme di diritto internazionale
che, complete in tutti i loro elementi, sono suscettibili di applicazione immediata nell’ordinamento interno (norme c.d. self-executing).
L’applicabilità di queste norme nell’ordinamento
italiano è sempre subordinata non solo all’emanazione di norme italiane di esecuzione (generalmente
contenute in un testo che stabilisce brevemente «piena e intera esecuzione viene data al trattato …»)
ma anche all’entrata in vigore dell’accordo sul piano internazionale, la quale richiede lo scambio delle ratifiche, se l’accordo è bilaterale, o il deposito
degli strumenti di ratifica se è multilaterale.
Coordinamento tra norme interne e convenzioni
occorre tener conto di volta in volta delle particolari caratteristiche delle disposizioni. Ciò
comporta che la disciplina delle norme di diritto internazionale convenzionale non deve sempre e necessariamente considerarsi prevalente
o esclusiva.
Ciò esige anche, peraltro, che le considerazioni desumibili dall’unità del sistema giuridico
italiano non prevalgano sulla natura internazionale della disciplina convenzionale. Devono piuttosto, così come raccomandato dalla
Relazione al disegno di legge, essere valorizzati i criteri interpretativi ispirati dalla prassi
degli altri Stati contraenti e ancor più quelli
fissati mediante la giurisprudenza di una corte
internazionale competente ad interpretare l’accordo (ciò acquista un particolare rilievo, in
tema di procedura civile internazionale, per effetto della ricezione della Convenzione di Bruxelles).
Relativamente ad alcune materie, la l. 218/1995
stabilisce che esse siano regolate «in ogni caso»
da una determinata convenzione internazionale
(artt. 42, 57, 59) utilizzando, quindi, dei rinvii
speciali.
Quando si tratta di coordinare norme interne e
norme di diritto internazionale convenzionale
CASISTICA
• ll giudizio sull’esistenza e sulle vicende del
vincolo di un’associazione costituita nell’ambito dell’ordinamento ecclesiastico, si sottrae alla
giurisdizione del giudice italiano, anche quando si tratti di organizzazione soggetta alle leggi
civili sulle associazioni non riconosciute. Tale
carenza di giurisdizione del giudice nazionale
può essere rilevata d’ufficio anche in grado d’appello, pur se la parte convenuta non l’abbia ec-
cepita né in primo, né in secondo grado, atteso
che la salvezza delle convenzioni internazionali prevale sulla prescritta rilevanza dell’accettazione espressa o tacita della giurisdizione
italiana, stante la riserva esclusiva di giurisdizione in favore dell’autorità ecclesiastica risultante dal Concordato che regola i rapporti tra lo
Stato italiano e Chiesa (Cass. S.U. 10-4-97, n.
3127).
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TITOLO II
Giurisdizione italiana
3
Ambito della giurisdizione.
1. La giurisdizione italiana sussiste quando il convenuto è domiciliato o residente in
Italia o vi ha un rappresentante che sia autorizzato a stare in giudizio a norma dell’articolo 77 del codice di procedura civile e negli altri casi in cui è prevista dalla legge.
2. La giurisdizione sussiste inoltre in base ai criteri stabiliti dalle sezioni 2, 3 e 4 del
titolo II della Convenzione concernente la competenza giurisdizionale e l’esecuzione
delle decisioni in materia civile e commerciale e protocollo, firmati a Bruxelles il 27
settembre 1968, resi esecutivi con la legge 21 giugno 1971, n. 804, e successive modificazioni in vigore per l’Italia, anche allorché il convenuto non sia domiciliato nel territorio di uno Stato contraente, quando si tratti di una delle materie comprese nel campo di
applicazione della Convenzione. Rispetto alle altre materie la giurisdizione sussiste anche in base ai criteri stabiliti per la competenza per territorio.
Con la riforma, il legislatore del ’95 ha voluto cambiare completamente il sistema delle norme
sulla giurisdizione, motivando la propria decisione con la «non corrispondenza delle vecchie
norme ai più moderni orientamenti del diritto processuale civile internazionale». Il peso decisivo è spostato dalla nazionalità del convenuto alla sussistenza del domicilio in Italia e la giurisdizione non è più separata nettamente dalla competenza.
Il criterio della cittadinanza italiana sopravvive peraltro come criterio speciale in numerose materie particolari: per le controversie in materia di nullità o scioglimento del matrimonio ed in materia
di separazione personale (art. 32 d.i.p.); per le controversie in materia di filiazione e di rapporti
personali tra genitori e figli (art. 37 d.i.p.); per le controversie in materia di adozione (art. 40 d.i.p.);
per le controversie in materia di successione (peraltro, qui in concorso con altri criteri: art. 50
d.i.p.). Per la giurisdizione volontaria, si veda l’art. 9 d.i.p.; per le misure cautelari, l’art. 10 d.i.p.
Soggetti convenuti
È stata abbandonata la vecchia divisione, prevista dall’art. 4 c.p.c., tra cittadini e stranieri
(Cass. S.U. 9-12-96, n. 10954). Peraltro la giurisprudenza ha sostenuto che i criteri dell’articolo in commento condizionano l’esistenza della giurisdizione italiana solo quando convenuto
sia uno straniero, mentre non valgono come limite alla giurisdizione italiana quando si tratta
di cause promosse nei confronti di un cittadino
italiano (Cass. S.U. 8-2-01, n. 46).
Per quanto riguarda l’ipotesi che convenuta sia una
persona giuridica il legislatore del ’95 non ha
espressamente previsto il caso. Nel vigore delle
vecchie norme si riteneva che al domicilio delle
persone fisiche dovesse corrispondere la sede principale delle persone giuridiche. Per le persone giuridiche aventi sede nella Comunità valgono, quando la controversia riguardi le materie contemplate
dalla Convenzione di Bruxelles, i criteri di giurisdizione da essa stabiliti. Questi criteri valgono
peraltro, in forza del disposto del comma 2°, per
le controversie relative alle materie della Convenzione anche se la persona giuridica non ha sede
nella comunità. Il foro generale della persona giuridica vale dunque per i rapporti estranei alla Convenzione ed è costituito dalla sede principale.
Domicilio
La nozione di domicilio deve intendersi alle stregua dell’art. 43 c.c. come il luogo nel quale il
convenuto ha la sede principale dei suoi affari e
interessi (Cass. S.U. 27-5-99, n. 309).
Richiamo alla Convenzione di Bruxelles
Il richiamo fa sì che i criteri di giurisdizione previsti dalla Convenzione valgano, nelle materie
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Diritto internazionale privato
da essa previste, anche quando il convenuto non
sia domiciliato nel territorio di uno Stato contraente
(se vi ha il domicilio, la Convenzione varrebbe
per forza propria). Nella materia civile e commerciale, qualora il convenuto non sia domiciliato né in Italia né in alcun altro Stato contraente della Convenzione, valgono, principalmente, i
seguenti criteri di giurisdizione (per maggiori
particolari si legga il testo della Convenzione):
in materia contrattuale, competenza del giudice del luogo in cui l’obbligazione dedotta in giudizio è stata o deve essere eseguita; per i rapporti di lavoro, competenza del giudice del luogo in cui il lavoratore svolge abitualmente la propria attività; per le obbligazioni alimentari, competenza del giudice del luogo in cui il creditore
di alimenti ha il domicilio o la residenza abituale; per delitti e quasi-delitti, competenza del giudice del luogo in cui è avvenuto l’evento dannoso; competenza del giudice del luogo della succursale o della filiale etc. per le controversie relative all’esercizio di essa.
Competenza territoriale
Il rinvio ai criteri di competenza territoriale
ha carattere residuale (Ballarino): si esplica,
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cioè, quando il convenuto non è domiciliato
in Italia e la controversia riguarda una materia estranea alla Convenzione di Bruxelles. È
da escludere che coinvolga nella sua globalità l’art. 18 c.p.c. («Foro generale delle persone fisiche. – Salvo che la legge disponga
altrimenti, è competente il giudice del luogo
in cui il convenuto ha la residenza o il domicilio e, se questi sono sconosciuti, quello del
luogo in cui il convenuto ha la dimora. Se il
convenuto non ha residenza, né domicilio, né
dimora nello Stato o se la dimora è sconosciuta, è competente il giudice del luogo in
cui risiede l’attore») dal momento che la prima parte di questa norma è una ripetizione
del comma 1° dell’art. 3, d.i.p. mentre la seconda parte è meramente accessoria della prima. Tenendo conto del campo di applicazione molto esteso della Convenzione di Bruxelles e delle altre specifiche norme nella giurisdizione, emerge che i casi di applicazione di
questa norma di rinvio sono molto pochi: essi
sono costituiti dalle cause connesse (artt. 31
ss. c.p.c.), dal luogo in cui è nata l’obbligazione quando si tratti di un rapporto estraneo
alla Convenzione di Bruxelles (art. 20 c.p.c.),
dal foro del fallimento (art. 24, l. fall.).
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Accettazione e deroga della giurisdizione.
1. Quando non vi sia giurisdizione in base all’articolo 3, essa nondimeno sussiste se
le parti l’abbiano convenzionalmente accettata e tale accettazione sia provata per iscritto, ovvero il convenuto compaia nel processo senza eccepire il difetto di giurisdizione
nel primo atto difensivo.
2. La giurisdizione italiana può essere convenzionalmente derogata a favore di un
giudice straniero o di un arbitrato estero se la deroga è provata per iscritto e la causa
verte su diritti disponibili.
3. La deroga è inefficace se il giudice o gli arbitri indicati declinano la giurisdizione
o comunque non possono conoscere della causa.
Un’altra delle novità più rilevanti è la derogabilità convenzionale della giurisdizione straniera in favore di quella italiana, purché ciò risulti da patto scritto (oppure il convenuto non
eccepisca il difetto di giurisdizione nel primo atto difensivo); così come è previsto che i cittadini
possano chiedere l’operatività della giurisdizione straniera purché la deroga convenzionale
alla giurisdizione italiana sia provata per iscritto e si tratti di diritti disponibili (sarà sempre
riservato al giudice straniero, tuttavia, il processo che verta su diritti reali relativamente a beni
immobili situati all’estero). La possibilità di derogare alla giurisdizione italiana è assai più estesa di prima.
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Forma scritta
La forma scritta è prevista ad probationem a differenza di quanto si riteneva riguardo al previgente art. 2 c.p.c. L’atto scritto richiesto da questa
norma venne a lungo considerato tassativo per una
sua asserita qualità di forma processuale. Successivamente prevalse, anche nella giurisprudenza
della Cassazione, l’opinione che si trattava della
forma ad substantiam di un ordinario negozio giuridico, disciplinata attraverso la norma di conflitto relativa alla forma, la quale poteva richiamare
una legge straniera meno esigente della nostra.
Le norme contenute negli artt. 1341 e 1342 c.c.
non hanno rilievo in quanto non riguardano gli
aspetti probatori delle clausole di deroga della
giurisdizione (riguardano la forma dell’accordo di deroga e si applicano soltanto se la legge
italiana è competente in proposito). Varrà invece la norma dell’art. 2725 c.c. (sull’ammissibilità della prova per testimoni).
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Diritti disponibili
Ai sensi dell’art. 1966, comma 2° c.c. sono tali
quei diritti che «per loro natura o per espressa
disposizione di legge sono sottratti alle disponibilità delle parti». Occorre quindi analizzare
le singole disposizioni.
Inefficacia della deroga
Il comma 3° pone una norma a tutela dell’interesse oggettivo a che ogni questione abbia un
giudice, riaffermando la giurisdizione del giudice italiano nel caso in cui, per effetto della
deroga, la causa rischi di non poter essere decisa da alcuno. Il giudizio può essere avviato in
Italia anche se il giudice straniero indicato nell’accordo abbia declinato la propria competenza negando la validità del patto (oppure riconoscendola ma interpretando il patto in maniera
differente).
CASISTICA
• Sussiste la giurisdizione italiana per accettazione tacita nei confronti dello straniero, il quale
non abbia eccepito, e neppure in alcun modo
adombrato, il difetto di giurisdizione del giudice
italiano nella sua comparsa di costituzione e risposta (nella specie lo straniero, convenuto davanti al giudice del lavoro, nella comparsa di
risposta aveva fatto istanza di sospensione del
processo, concluso per il rigetto della domanda e chiesto in via riconvenzionale il pagamento di indennità contrattuali e solo in una successiva memoria di replica aveva eccepito il difetto di giurisdizione) (Cass. S.U. 23-11-00, n.
1200).
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Azioni reali relative ad immobili siti all’estero.
1. La giurisdizione italiana non sussiste rispetto ad azioni reali aventi ad oggetto
beni immobili situati all’estero.
La clausola, dettata da ragioni pratiche e di logica processuale, pone un legame stretto tra beni
immobili ed ordinamento processuale dello Stato. Perciò vale, a contrario, anche il principio
inverso, con affermazione della giurisdizione italiana nel caso di azioni reali concernenti immobili siti in Italia.
Ambito di applicabilità
La giurisdizione non è esclusa se il rilascio dell’immobile è richiesto come conseguenza dell’eserci-
zio di un’azione personale quale, ad esempio, una
domanda volta ad accertare la nullità di una locazione anche se poi si pone il problema della esecuzione della eventuale sentenza di accoglimento.
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Questioni preliminari.
1. Il giudice italiano conosce, incidentalmente, le questioni che non rientrano nella
giurisdizione italiana e la cui soluzione è necessaria per decidere sulla domanda proposta.
È una particolare ipotesi di deroga alla mancanza della giurisdizione italiana. Vale solo ai fini
della questione dibattuta, e solo se si rivela necessaria per poterla decidere.
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Pendenza di un processo straniero.
1. Quando, nel corso del giudizio, sia eccepita la previa pendenza tra le stesse parti di
domanda avente il medesimo oggetto e il medesimo titolo dinanzi a un giudice straniero,
il giudice italiano, se ritiene che il provvedimento straniero possa produrre effetto per
l’ordinamento italiano, sospende il giudizio. Se il giudice straniero declina la propria giurisdizione o se il provvedimento straniero non è riconosciuto nell’ordinamento italiano, il giudizio in Italia prosegue, previa riassunzione ad istanza della parte interessata.
2. La pendenza della causa innanzi al giudice straniero si determina secondo la legge
dello Stato in cui il processo si svolge.
3. Nel caso di pregiudizialità di una causa straniera, il giudice italiano può sospendere il processo se ritiene che il provvedimento straniero possa produrre effetti per l’ordinamento italiano.
La disciplina previgente (art. 3 c.p.c.) sanciva l’irrilevanza della litispendenza internazionale: sebbene
la stessa causa a lui sottoposta fosse stata azionata davanti ad un giudice straniero, il giudice italiano
poteva non tenere conto e decidere prescindendone. Il pericolo di una tale previsione era nella possibilità (non tanto remota) di un contrasto tra giudicati. Per ovviare a tali inconvenienti il legislatore del ’95
ha sovvertito tale posizione armonizzando il sistema italiano con quelli stranieri, in un contesto nel
quale si cerca di evitare il conflitto tra giudicati per agevolare il traffico internazionale.
Litispendenza
Si ha litispendenza quando una stessa controversia (avente gli stessi soggetti, oggetto e titolo) penda contemporaneamente davanti a giudici diversi. Si ha litispendenza internazionale quando la medesima controversia penda sia
davanti al giudice del foro italiano che ad un
giudice straniero. In sede pratica non è facile
individuare l’identità delle cause anche per le
differenze che esistono nella cultura e nelle istituzioni giuridiche dei diversi Stati.
La litispendenza va rilevata dalle parti e quindi
non è rilevabile d’ufficio.
Sospensione del giudizio
Il giudice italiano sospende il giudizio se ritiene che il provvedimento straniero possa produr-
re effetto per l’ordinamento italiano. La valutazione che viene richiesta al giudice a questo
scopo ha una portata assai vasta (Luzzatto). La
base di essa è costituita dai requisiti che gli artt.
64 ss., l. 218/1995 richiedono ai provvedimenti
stranieri da riconoscere in Italia.
Ogni preclusione alla giurisdizione italiana
viene meno se il giudice straniero non è in
grado di condurre ad una decisione della lite
efficace per il nostro ordinamento. È in questo caso necessaria la riassunzione ad istanza della parte interessata, ossia quell’atto processuale di parte avente in genere la forma
della comparsa ma che può assumere anche
la veste di ricorso e che è necessario a determinare la ripresa dello svolgimento ordinario del processo là dove tale svolgimento sia
impedito dal prodursi di determinati accadimenti.
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Momento determinante della giurisdizione.
1. Per la determinazione della giurisdizione italiana si applica l’articolo 5 del codice
di procedura civile. Tuttavia la giurisdizione sussiste se i fatti e le norme che la determinano sopravvengono nel corso del processo.
Perpetuatio iurisdictionis
Il principio della perpetuatio iurisdictionis, richiamato dall’articolo, impone il permanere
della giurisdizione (e della competenza) del giudice come determinati con riferimento allo stato di fatto e alla legge vigente al momento della
proposizione della domanda (notificazione della
citazione), prescindendo da ogni eventuale successivo mutamento di tale situazione.
Eccezione
L’eccezione introdotta nella seconda parte della
norma — già affermatasi in via di interpretazione della normativa previgente — è ispirata da un
principio di favore per la giurisdizione italiana.
La norma trova applicazione, per esempio, se il
convenuto, residente all’estero e costituitosi senza
accettare la giurisdizione italiana (art. 4, comma
1° d.i.p.), successivamente acquisisce il domicilio o la residenza in Italia. Per la valenza intertemporale di essa, v. sub art. 72 d.i.p.
Quanto ai procedimenti iniziati dopo l’entrata
in vigore della l. 218/1995, è quindi necessario
coordinare il principio della perpetuatio iurisdictionis, sancito dall’art. 5 c.p.c., con la regola dettata dall’art. 8 di questa legge, secondo
cui la giurisdizione italiana sussiste anche se i
fatti e le norme che la determinano sopravvengono nel corso del processo (Cass. S.U. 30-1298, n. 12907).
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Giurisdizione volontaria.
1. In materia di giurisdizione volontaria, la giurisdizione sussiste, oltre che nei casi
specificamente contemplati dalla presente legge e in quelli in cui è prevista la competenza per territorio di un giudice italiano, quando il provvedimento richiesto concerne un
cittadino italiano o una persona residente in Italia o quando esso riguarda situazioni o
rapporti ai quali è applicabile la legge italiana.
Con tale disposizione il legislatore del ’95 risolve le perplessità sorte sotto il sistema previgente
in ordine all’applicabilità ai procedimenti di volontaria giurisdizione dei criteri generali di determinazione della giurisdizione internazionale del giudice italiano. La nuova disciplina, sciogliendo ogni dubbio, prevede molte ipotesi in cui sussiste la giurisdizione italiana. Oltre ai casi previsti specificatamente dalla nuova legge (artt. 22: assenza, scomparsa, morte presunta, 37:
filiazione, 40: adozione) vanno ricordati i casi in cui è prevista la competenza per territorio, i
provvedimenti relativi a cittadini italiani oppure a soggetti residenti in Italia, infine i casi in cui si
applica la legge italiana (quest’ultima ipotesi è quella in cui si ha, come suol dirsi, la coincidenza tra ius e forum , che era alquanto insolita in Italia prima della riforma).
Volontaria giurisdizione
«Volontaria» è un’attività giurisdizionale diretta non a risolvere controversie ma alla gestione di un negozio o di un affare per la cui
conclusione è necessario l’intervento partecipativo di un terzo (il giudice) estraneo ed imparziale.
Ciò si verifica, per esempio, per l’integrazione
della capacità delle persone incapaci (autorizzazione alla vendita di beni di minori), in riferimento allo stato delle persone (affiliazione, legittimazione di figlio) oppure per le attività commerciali (denunzia al tribunale per comportamento irregolare di amministratori e sindaci) e
per tutta una serie di altre attività.
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Materia cautelare.
1. In materia cautelare, la giurisdizione italiana sussiste quando il provvedimento
deve essere eseguito in Italia o quando il giudice italiano ha giurisdizione nel merito.
Già sotto il vecchio sistema (art. 4, comma 3°, c.p.c.) il giudice italiano poteva disporre una
misura cautelare avente per oggetto una cosa esistente in Italia, anche se privo di giurisdizione
secondo le nostre norme, come pure una misura cautelare destinata a ricevere esecuzione
all’estero e per opera di organi stranieri (Morelli).
Provvedimento cautelare
Il provvedimento cautelare è il provvedimento
emesso all’esito di un procedimento speciale,
caratterizzato dalla sommarietà della cognizione volta ad accertare la probabile fondatezza
delle ragioni dell’istante (c.d. fumus boni iuris)
ed il pregiudizio di un danno grave al diritto
dell’istante, in attesa o nelle more del giudizio
ordinario di merito (c.d. periculum in mora). Si
pensi al sequestro (conservativo o giudiziario),
ai provvedimenti d’urgenza etc.
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Rilevabilità del difetto di giurisdizione.
1. Il difetto di giurisdizione può essere rilevato, in qualunque stato e grado del processo, soltanto dal convenuto costituito che non abbia espressamente o tacitamente accettato la giurisdizione italiana. È rilevato dal giudice d’ufficio, sempre in qualunque
stato e grado del processo, se il convenuto è contumace, se ricorre l’ipotesi di cui all’articolo 5, ovvero se la giurisdizione italiana è esclusa per effetto di una norma internazionale.
L’articolo è dedicato al momento e al modo della rilevazione del difetto di giurisdizione; sostituendo l’abrogato art. 37, comma 2° c.p.c., prevede le tre ipotesi in cui il giudice deve rilevare
d’ufficio il difetto di giurisdizione.
Ipotesi di rilevabilità d’ufficio
Contumace è la parte che dopo aver proposto
la domanda, ovvero dopo essere stata regolarmente citata, non si costituisce in giudizio. Per
questa ipotesi nulla è cambiato rispetto al passato.
L’articolo in commento, invece, innova la vecchia disciplina nella parte in cui limita la rilevabilità d’ufficio alle sole azioni reali mentre
precedentemente lo stesso trattamento era esteso a tutte le azioni relative a beni immobili.
La rilevabilità d’ufficio del difetto di giurisdizione derivante da una norma internazionale,
è un’innovazione che trova la sua giustificazione, come dedotto dalla Relazione alla legge, nel
fatto che il rispetto dell’obbligo internazionale
assunto dallo Stato di non esercitare la giurisdi-
zione non può essere lasciato alla disponibilità
delle parti. Si deve ritenere, peraltro, che la norma non sia applicabile in presenza di un’accettazione tacita della giurisdizione da parte del
convenuto.
Accettazione tacita
Secondo la giurisprudenza la domanda di difese di ordine procedurale o di una domanda
riconvenzionale da parte del convenuto straniero non comporta accettazione della giurisdizione del giudice italiano, se venga
espressamente subordinata al mancato accoglimento dell’eccezione di difetto di giurisdizione di detto giudice (Cass. S.U. 23-1297, n. 13015).
V. anche sub art. 4 d.i.p.
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Legge regolatrice del processo.
1. Il processo civile che si svolge in Italia è regolato dalla legge italiana.
Principio di territorialità del diritto processuale
Riguarda i rapporti, le attività e tutto ciò che
può essere ricondotto alla materia processuale
come l’azione e le sue condizioni, non invece
ciò che riguarda l’esistenza del diritto soggettivo tutelato.
Viene ricalcato qui l’abrogato art. 27 disp. prel.
al codice civile, con una differente formulazione
letterale, che rende più chiaro l’intento del legislatore di sottoporre l’intera materia processuale alla
lex fori; la precedente disposizione, infatti, si riferiva solo a competenza e forma del processo,
ed era stata la dottrina, in via interpretativa, ad
estenderne l’operatività. La sottoposizione alla
legge italiana del processo che si svolge in Italia
non esclude che il legislatore detti norme particolari, proprio in considerazione del coinvolgimento di stranieri e al fine di cooperazione tra le
autorità giurisdizionali, come, ad esempio, in
materia di notificazione di atti giudiziari (art. 142
c.p.c.) e di assunzione di prove all’estero per rogatorie (art. 204 c.p.c.).
CASISTICA
• Il rilascio della procura alla lite, che conferisce la rappresentanza tecnica in giudizio è soggetto alla legge italiana, con la conseguenza
che è inefficace in Italia una procura alla lite rilasciata con scrittura privata priva di autenticazione, in quanto, pur trattandosi di mandato sostanziale formato all’estero, la validità formale dello
stesso deve valutarsi alla stregua dell’art. 1392
c.c. (Cass. S.U. 15-1-96, n. 264).
• In tema di declaratoria giudiziale di paternità o
maternità naturale, l’espletamento del procedimen-
to, diretto non già ad accertare la filiazione naturale, bensì solo a riscontrare un fumus boni iuris in
ordine alla sua esistenza, costituisce, rispetto al
giudizio di merito, un presupposto processuale
assimilabile agli altri requisiti processuali che attengono alla costituzione ed allo svolgimento del
rapporto processuale. Ne consegue che, in applicazione del principio di territorialità, riaffermato
dall’art. 12, l. 218/1995, la fase di cui si tratta, per la
sua natura processuale, viene regolata dalla legge italiana (Cass. 1-12-99, n. 13408).
TITOLO III
Diritto applicabile
CAPO I
Disposizioni generali
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Rinvio.
1. Quando negli articoli successivi è richiamata la legge straniera, si tiene conto del
rinvio operato dal diritto internazionale privato straniero alla legge di un altro Stato:
a) se il diritto di tale Stato accetta il rinvio;
b) se si tratta di rinvio alla legge italiana.
2. L’applicazione del comma 1 è tuttavia esclusa:
a) nei casi in cui le disposizioni della presente legge rendono applicabile la legge
straniera sulla base della scelta effettuata in tal senso dalle parti interessate;
b) riguardo alle disposizioni concernenti la forma degli atti;
c) in relazione alle disposizioni del Capo XI del presente Titolo.
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Diritto internazionale privato
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3. Nei casi di cui agli articoli 33, 34 e 35 si tiene conto del rinvio soltanto se esso
conduce all’applicazione di una legge che consente lo stabilimento della filiazione.
4. Quando la presente legge dichiara in ogni caso applicabile una convenzione internazionale si segue sempre, in materia di rinvio, la soluzione adottata dalla convenzione.
La norma in esame rappresenta in modo significativo lo spirito elastico e moderno della l. 218/
1995 poiché espressamente prevede che devono intendersi richiamate, insieme all’ordinamento straniero, anche le norme di conflitto da questo dettate, con la conseguenza che alla
fattispecie potrà risultare applicata la legge di altro Stato straniero (c.d. rinvio oltre) o la legge
italiana (c.d. rinvio indietro), secondo le determinazioni in esse contenute. Il legislatore del ’95
mostra, tuttavia, di tener in conto le difficoltà che tale meccanismo può ingenerare ponendo dei
limiti qualora il sistema dei rinvii possa dar luogo a fenomeni di palleggiamento.
Rinvio
Il rinvio è il fenomeno per cui un ordinamento
attribuisce valore giuridico a norme appartenenti
ad un ordinamento diverso.
L’ordinamento richiamato può a sua volta, fare
riferimento per la disciplina della fattispecie alla
legge di altro Stato straniero dando luogo al c.d.
rinvio oltre o nuovamente alla legge italiana,
comportando il rinvio indietro.
A proposito del rinvio oltre, la legge del ’95 stabilisce che il termine di collegamento in forza
del quale l’ordinamento dichiarato competente
dalla legge italiana rinvia a sua volta ad un altro sistema giuridico dev’essere riscontrato esistente secondo le norme dell’ordinamento
dichiarato competente e non secondo le norme italiane. Ad esempio, in materia di statuto
personale, dove la legge italiana (come quella
di altri paesi di civil law) segue il criterio della
cittadinanza mentre quella inglese (e degli USA
etc.) segue il criterio del domicilio, il rinvio
eventualmente disposto dalla legge inglese, alla
quale gli artt. 20 ss., l. 218/1995 fanno riferimento, può essere seguito se si tratta di un inglese che in Italia o in un terzo paese (che accetta il rinvio) ha il domicile nel senso del diritto inglese. Non basta che in Italia (ipotesi di
rinvio indietro) o in uno Stato USA (ipotesi di
rinvio oltre accettato) egli abbia il domicilio nel
senso del codice civile italiano (che ritiene esistente il domicilio di una persona nel luogo in
cui questa ha stabilito la sede principale dei suoi
affari e interessi). Il domicile inglese può essere originario (cioè acquisito dal padre alla nascita) oppure of choice, cioè scelto volontaria-
mente, ma è sempre differente dal nostro domicilio (Ballarino).
Ipotesi di conflitto
Gli ordinamenti stranieri richiamati possono
dettare norme di conflitto che spesso utilizzano
criteri di collegamento del tutto diversi. Così,
ad esempio, prima della l. 218/1995, se un francese moriva con domicilio in Italia lasciando
soltanto beni mobili, la sua successione era disciplinata in Italia dalla legge francese (in forza
della norma di conflitto per cui la successione è
regolata dalla legge nazionale del de cuius) e in
Francia dalla legge italiana (in forza della norma di conflitto francese che sottopone la successione alla legge del domicilio per quanto riguarda i beni mobili, ed alla legge del luogo
della situazione del bene per quanto riguarda i
beni immobili). Si aveva così un conflitto negativo, dovuto al fatto che ciascuno dei due Stati
attribuiva competenze alle norme dell’altro.
Poiché, tuttavia, la Francia da tempo accettava
il rinvio, la questione in quel paese era risolta:
il giudice francese dichiarava competente la legge italiana ma seguiva il rinvio fatto dalle norme di conflitto italiane all’ordinamento francese. Dopo la l. 218/1995 il conflitto è risolto anche dal punto di vista italiano, in quanto il giudice italiano dichiarerà competente l’ordinamento francese ma seguirà il rinvio che questi,
attraverso la sua norma di conflitto relativa alle
successioni mobiliari, farà alla legge italiana.
Si deve notare che in questo caso il risultato sarà
che il giudice francese applicherà la legge francese ed il giudice italiano la legge italiana.
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L. 31 maggio 1995, n. 218
Eccezioni
Il rinvio è escluso quando l’applicazione della legge straniera dipende dalla scelta dei soggetti interessati i quali in tal modo manifestano la loro preferenza. Questa regola è conforme a quanto disposto per le obbligazioni contrattuali dalla Convenzione di Roma del 1980 e risponde ad un principio
logico: si deve infatti ritenere che la scelta degli interessati riguardi il diritto materiale e non le norme
di conflitto di un certo ordinamento (Mosconi).
L’esclusione del rinvio in materia di forma è
dovuta, invece, essenzialmente al fatto che le
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norme di conflitto relative a questa materia in
vigore in Italia espongono parecchi criteri di
collegamento in vista dello scopo di rendere
possibile un giudizio di validità dell’atto. Introdurre il rinvio significherebbe ampliare la gamma delle possibilità oltre ogni misura.
L’ultima ipotesi di esclusione del rinvio, riguarda le obbligazioni non contrattuali e risponde all’esigenza che ispira queste norme,
di assicurare un collegamento più stretto, di
localizzare un rapporto per le caratteristiche
che presenta piuttosto che tenendo conto di
un rinvio.
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Conoscenza della legge straniera applicabile.
1. L’accertamento della legge straniera è compiuto d’ufficio dal giudice. A tal fine
questi può avvalersi, oltre che degli strumenti indicati dalle convenzioni internazionali,
di informazioni acquisite per il tramite del Ministero di grazia e giustizia; può altresì
interpellare esperti o istituzioni specializzate.
2. Qualora il giudice non riesca ad accertare la legge straniera indicata, neanche con
l’aiuto delle parti, applica la legge richiamata mediante altri criteri di collegamento eventualmente previsti per la medesima ipotesi normativa. In mancanza si applica la legge
italiana.
Spetta al giudice, in virtù del principio jura novit curia, individuare la legge straniera applicabile
al caso concreto.
Il legislatore del ’95 ha, dunque, espressamente riconosciuto alle norme straniere carattere di
norme giuridiche (e non di mero fatto) a tutti gli effetti, con la conseguenza che l’errore nell’applicazione del diritto straniero costituisce motivo di ricorso per Cassazione in quanto integra
l’ipotesi di violazione o falsa applicazione di norme di legge ex art. 360 c.p.c.
Strumenti che possono essere utilizzati
dal giudice
Tra le convenzioni internazionali indicative degli strumenti di conoscenza del diritto straniero
conta in particolare la convenzione europea nel
campo dell’informazione del diritto straniero del
7-6-1968, resa esecutiva con d.P.R. 2-2-1970,
n. 1510.
Il giudice è obbligato a ricorrere al Ministero
della giustizia allorché deve acquisire informazioni dall’Autorità pubblica straniera, non
quando interpella esperti o istituti specializzati.
CASISTICA
• Soltanto in base all’art. 14, l. 218/1995, di riforma del sistema di diritto internazionale privato,
si è stabilito che l’accertamento della legge straniera deve essere compiuto di ufficio dal giudice. Pertanto, soltanto in riferimento ai giudizi ini-
ziati dopo la data di entrata in vigore della
suddetta legge (vedi artt. 72 e 74 della legge stessa) le norme di diritto straniero richiamate da
quelle di diritto internazionale privato sono da
considerare inserite nell’ordinamento interno e
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Diritto internazionale privato
sono conseguentemente assoggettate al trattamento processuale proprio delle norme giuridiche nazionali. Ne consegue che per i giudizi iniziati in epoca precedente continua a trovare applicazione il principio secondo cui qualora una
parte invochi in suo favore l’applicazione di una
legge straniera, deducendone la diversità rispetto
a quella italiana, deve provvedere ad indicare
quale sia attivandosi a fornire tutta la documentazione necessaria per porre il giudice nella condizione di trarre ragione del proprio convincimento in ordine all’applicazione della diversa disciplina, sicché in difetto di tale allegazione se il
giudice non sia in grado di avere diretta conoscenza della normativa straniera sulla base degli elementi acquisiti agli atti o per propria nozione deve fare riferimento alle leggi italiane. (Fattispecie relativa ad un giudizio instaurato nel 1987
per il risarcimento dei danni con seguenti ad incidente stradale verificatosi in Iran nel 1985)
(Cass. 30-5-01, n. 7365).
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• Secondo l’art. 14 ai fini della conoscenza della
legge straniera il giudice italiano può avvalersi,
oltre che degli strumenti indicati nelle convenzioni internazionali e delle informazioni acquisite tramite il Ministero della giustizia, anche di
quelle assunte tramite esperti o istituzioni specializzate, potendo ricorrere, onde garantire effettività al diritto straniero applicabile, a qualsiasi mezzo, anche informale; ne consegue, pertanto, che è legittimamente utilizzabile il testo
tradotto di una legge straniera (nella specie:
del Camerun), proveniente dall’ambasciata di
quel Paese che ne attesti la conformità all’originale, senza che — in difetto di qualsiasi specifica contestazione di divergenza tra la traduzione
acquisita e la norma nel suo testo originale — si
renda necessaria la traduzione giurata di un interprete abilitato italiano, non essendo al riguardo applicabile la disciplina sulla legalizzazione
di atti dall’estero di cui all’art. 33, d.P.R. 28-122000, n. 445 (Cass. 26- 2-02, n. 2791).
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Interpretazione e applicazione della legge straniera.
1. La legge straniera è applicata secondo i propri criteri di interpretazione e di applicazione nel tempo.
Il diritto straniero deve essere applicato secondo i criteri interpretativi e di successione nel
tempo che sono dettati dallo stesso (ad esempio per il diritto italiano i criteri ermeneutici sono
dettati dall’art. 12 disp. prel.), esattamente come farebbe il giudice straniero. Vanno, quindi,
rispettate le regole straniere sulla vigenza ed efficacia, sull’abrogazione e sulla retroattività
anche se si potrebbero verificare problemi di compatibilità con l’ordine pubblico.
Problematica delle qualificazioni
Poiché le norme di d.i.p. individuano i rapporti da regolare utilizzando espressioni tecnicogiuridiche (ad esempio, obbligazioni, contratti etc.), si è a lungo discusso se gli istituti che
tali espressioni richiamano dovessero essere
valutati (nella loro ampiezza ed ambito di applicazione) alla stregua dell’ordinamento richiamante o di quello richiamato. In base a
quanto stabilito dall’articolo in commento, una
volta individuato, sulla base di una prima qualificazione operata alla stregua della lex fori,
il diritto straniero applicabile, le successive interpretazioni e valutazioni (seconda qualificazione) dovranno essere effettuate in base allo
stesso diritto straniero richiamato.
Orientamenti dottrinali e giurisprudenziali
È discusso se il giudice italiano, nell’applicare
la disposizione straniera, deve tener conto del
valore attribuitogli dagli orientamenti dottrinali e giurisprudenziali dell’ordinamento di cui fa
parte. Secondo la giurisprudenza pur essendo
vero che il diritto straniero, deve essere applicato dal giudice italiano avvalendosi di tutti gli
strumenti interpretativi posti dall’ordinamento
straniero, e quindi nella sua globalità e nella dimensione in cui esso si fa diritto vivente, tuttavia ciò non implica un obbligo per il giudice di
acquisire fonti giurisprudenziali o dottrinarie
che corroborino l’una o l’altra delle possibili
letture del testo normativo (Cass. 26-2-02, n.
2791).
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L. 31 maggio 1995, n. 218
Limiti
Il criterio generale di conformità stabilito dall’art. 15, l. 218/1995 incontra comunque due
limiti: il primo è dato dal fatto che il giudice
che applica la norma di diritto internazionale
privato non diventa un giudice dell’ordinamento dichiarato competente e non avrà quindi tutti
i poteri di questo (ad esempio non avrà i poteri
processuali del suo confratello, ma non potrà
neppure esercitare il controllo di costituzionalità sulle norme di rango ordinario che quel
suo confratello possiede se nell’ordinamento
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al quale appartiene è previsto un controllo di
costituzionalità diffuso; anche nel rinvio, come
abbiamo visto, l’applicazione di quanto dispone l’ordinamento richiamato è sottoposta a forti
limiti). In secondo luogo vi è da tener conto
che l’applicazione del diritto straniero impone di adattarne i contenuti: ad esempio, se viene aperta in Italia la successione di un inglese,
la regola del diritto inglese per cui i beni ereditari passano in proprietà dell’esecutore testamentario deve essere convertita nel potere
del normale esecutore testamentario italiano
(Ballarino).
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Ordine pubblico.
1. La legge straniera non è applicata se i suoi effetti sono contrari all’ordine pubblico.
2. In tal caso si applica la legge richiamata mediante altri criteri di collegamento
eventualmente previsti per la medesima ipotesi normativa. In mancanza si applica la
legge italiana.
La riforma mantiene il limite dell’ordine pubblico proprio della disciplina precedente (art. 31
disp. gen), che si traduce in un rigetto delle disposizioni del diritto straniero richiamato che il
giudice ritenga produttive di esiti confliggenti con i valori ed i principi che il nostro ordinamento
vuole come irrinunciabili.
In quanto clausola generale, l’ordine pubblico ha carattere tipico di indeterminatezza e relatività : è, infatti, suscettibile di profonde trasformazioni spaziali e temporali. Un esempio significativo dell’evoluzione del concetto e dei contenuti dell’ordine pubblico internazionale è dato dal
principio dell’indissolubilità del matrimonio che fino al 1970 (anno in cui fu introdotto anche nel
nostro Paese l’istituto del divorzio) era considerato principio di ordine pubblico internazionale,
idoneo ad impedire l’applicazione in Italia delle norme straniere in tema di divorzio.
Ordine pubblico
La norma in esame si riferisce all’ordine pubblico c.d. internazionale cioè all’insieme dei
principi universali comuni a nazioni di cultura e
tradizioni affini, volti alla tutela dei diritti fondamentali dell’uomo, che vengono riconosciuti e
tutelati da convenzioni internazionali e carte costituzionali e che si pongono come limite all’efficacia interna di norme straniere; diverso è l’ordine pubblico c.d. interno ossia l’insieme dei
principi inderogabili dell’ordinamento giuridico,
che si pone come limite all’autonomia privata
nell’ordinamento giuridico che li recepisce.
Il limite dell’ordine pubblico è successivo e
negativo: successivo perché presuppone il normale funzionamento del sistema di diritto in-
ternazionale privato, e negativo perché l’applicazione della legge competente viene esclusa
quando gli effetti che ne derivano sono in contrasto con fondamentali principi interni.
Contrarietà all’ordine pubblico
Il giudizio di contrarietà all’ordine pubblico deve
avere ad oggetto non la legge straniera in quanto
tale ma gli effetti che la stessa potrebbe avere nell’ordinamento italiano. Questi effetti possono essere più o meno posti in relazione alle caratteristiche del rapporto, tra cui rientra la nazionalità delle persone coinvolte, o al momento di sviluppo di
esso (ad esempio non potrebbe essere celebrato
in Italia un matrimonio poligamico, ma si potrebbero riconoscere alcuni effetti di esso).
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Diritto internazionale privato
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CASISTICA
• Il principio di favore nei confronti del prestatore di lavoro — che nell’ordinamento giuridico
italiano ha carattere fondamentale — costituisce,
un limite di ordine pubblico internazionale all’introduzione nel nostro ordinamento, di una disposizione di legge straniera che contenga una disciplina del rapporto di lavoro dedotto in giudizio
meno favorevole al lavoratore rispetto a quella
prevista dalla legge italiana (Cass. 27-3-96, n.
2756).
• Non contrasta con l’ordine pubblico l’attribuzione al trustee, in relazione a un trust deed disciplinato dalla legge inglese, del potere di agire
in via esecutiva contro l’emittente e il garante alla
scadenza dei titoli (ovvero, delle notes) sottoindicata (App. Milano, 6-2-98).
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Norme di applicazione necessaria.
1. È fatta salva la prevalenza sulle disposizioni che seguono delle norme italiane che,
in considerazione del loro oggetto e del loro scopo, debbono essere applicate nonostante
il richiamo alla legge straniera.
La categoria delle norme di applicazione necessaria è stata elaborata dalla dottrina francese
per indicare tutte le norme sottratte ai limiti di applicazione sanciti dalle norme di d.i.p. In un
contesto pratico, la nozione si è affermata poi agli inizi della seconda guerra mondiale, per la
presenza in molti paesi di una legislazione economica restrittiva della libertà contrattuale.
Lo stretto legame tra i due concetti spiega la precedente confusione tra le due categorie di
norme di ordine pubblico e di applicazione necessaria qui considerate, la seconda delle quali
ha trovato solido fondamento normativo solo con la disposizione in commento.
Norme di applicazione necessaria
Sono di applicazione necessaria quelle norme
dell’ordinamento interno che in determinate materie, vengono dotate di una sfera di applicazione spaziale-personale che prescinde dai criteri
fissati dalle regole di d.i.p. È questo il secondo
limite (dopo l’art. 16, l. 218/1995) al recepimento di norme straniere richiamate, che devono cedere il passo di fronte alle norme rispondenti ai
caratteri indicati dalla legge. Esse costituiscono
un limite preventivo e positivo perché, a differenza dell’ordine pubblico, prescindono dal funzionamento delle norme di conflitto. Ne è esempio l’art. 116 c.c. che estende anche al matrimonio dello straniero l’applicazione dei divieti che
gli artt. 86, 87, n. 1, 2 e 4, 88 e 89 c.c. prevedono
per il matrimonio del cittadino italiano (ad esem-
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pio, il divieto di contrarre matrimonio tra parenti
di un certo grado).
Per quanto riguarda il problema della individuazione di queste norme si riteneva in precedenza
di poterla effettuare in base a criteri di tipo formale (norme che contengono una autonoma definizione del proprio ambito applicativo spaziale
e temporale; ad esempio, art. 185, l. dir. autore),
o tecnico (norme appartenenti ad un complesso
normativo dotato di efficacia territoriale assoluta: ad esempio, le norme sull’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro), o finalistico (norme che rappresentano, per le esigenze che le anima una deroga al sistema di d.i.p.).
La norma in esame nel richiamare l’oggetto e
lo scopo delle norme individuabili come di applicazione necessaria, appare privilegiare su tutti
il criterio finalistico.
Ordinamenti plurilegislativi.
1. Se nell’ordinamento dello Stato richiamato dalle disposizioni della presente legge
coesistono più sistemi normativi a base territoriale o personale, la legge applicabile si
determina secondo i criteri utilizzati da quell’ordinamento.
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L. 31 maggio 1995, n. 218
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2. Se tali criteri non possono essere individuati, si applica il sistema normativo con il
quale il caso di specie presenta il collegamento più stretto.
L’espressa regolamentazione della questione si presenta come una novità assoluta nel nostro
ordinamento, ed è volta a disciplinare positivamente quello che in precedenza faceva la prassi
internazionale, nell’ipotesi in cui veniva richiamato il diritto di uno Stato federale in cui all’interno del più vasto sistema normativo federale fossero ricompresi i diversi ordinamenti giuridici
degli Stati membri dotati di autonomia sul terreno del diritto privato (così tipicamente gli USA)
oppure quello di Stati caratterizzati dalle presenza, anche per mere ragioni storiche (come la
Gran Bretagna), di complessi di norme di diritto privato distinte in ciascuna area.
Conflitti di legge interni
L’ordinamento plurilegislativo può anche essere carente di norme espresse dirette a regolare i conflitti di legge interni tra i vari sistemi normativi a base territoriale o personale;
in questo caso si dovrà tener conto di quelle
ricavate dalla dottrina e dalla giurisprudenza. Se il criterio di collegamento non può in
nessun modo essere individuato il legislatore
prevede che si applichi il sistema normativo
con il quale la fattispecie presenti il collegamento più stretto lasciando ampia discrezionalità all’interprete.
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Apolidi, rifugiati e persone con più cittadinanze.
1. Nei casi in cui le disposizioni della presente legge richiamano la legge nazionale
di una persona, se questa è apolide o rifugiata si applica la legge dello Stato del domicilio o, in mancanza, la legge dello Stato di residenza.
2. Se la persona ha più cittadinanze, si applica la legge di quello tra gli Stati di
appartenenza con il quale essa ha il collegamento più stretto. Se tra le cittadinanze vi è
quella italiana, questa prevale.
È questa una norma di chiusura del sistema finalizzata a salvaguardarne l’applicazione nel
caso in cui il criterio di collegamento della cittadinanza non possa funzionare per difetto dei
presupposti minimi richiesti o perché generanti una situazione di incertezza per l’interprete.
Le soluzioni che essa esprime sono nel segno della tradizione. Il comma 1° costituisce infatti la
ripetizione di norme già accolte nel nostro paese in esecuzione degli obblighi della convenzione sullo statuto dei rifugiati adottata a Ginevra il 28-7-1951 (art. 12, par. 1) e della convenzione
sullo statuto degli apolidi adottata a New York il 28-9-1954 (art. 12, par. 1).
Apolide e rifugiato
Secondo la dizione della precedente legge
sulla cittadinanza del 1912, apolide è colui
«che non ha la cittadinanza italiana né quella di un altro Stato». La prova dell’apolidia
non può essere data con certificazioni dello
stato civile dal momento che queste riguardano soltanto gli italiani (tuttavia alcuni
Comuni rilasciano dei certificati anagrafici).
È quindi necessario un atto di notorietà o un
accertamento giudiziario. Il regolamento di
esecuzione (d.P.R. 12-10-1993, n. 572) della legge sulla cittadinanza (l. 5-2-1992, n.
91) prevede (all’art. 17) il rilascio di una certificazione dell’apolidia da parte del Ministero dell’interno.
Rifugiato è il soggetto fuggito dal proprio Paese, definito anche apolide di fatto perché non
gode della protezione del proprio Stato e normalmente neppure la desidera, pur avendone la
cittadinanza.
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