Omelia
su san Gennaro
Vescovo martire del IV secolo
19 settembre
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Oggi, 19 settembre, la Chiesa tutta si rallegra per la festività di un grande santo,
Gennaro, martire di Gesù Cristo, nostro Signore e salvatore. Di lui purtroppo
abbiamo scarse notizie. Non c’è nemmeno certezza sul tipo di condanna a morte
che gli fu inflitta. Pare che sia stato decapitato nell’anno 305 presso la solfatara di
Pozzuoli, in séguito alla persecuzione aperta dall’editto di Diocleziano (303). Forse
fu vescovo di Benevento; altri dicono di Napoli. Ma questo non ha importanza. Fu
un pastore del gregge del Signore che versò il suo sangue per noi.
Alla scarsezza delle notizie storiche supplisce un grande miracolo, che si perpetua
di anno in anno e più volte all’anno. Solitamente, il 19 settembre il sangue
raggrumato del santo diventa di nuovo liquido nelle due ampolle che l’arcivescovo
di Napoli mostra al popolo nella teca d’argento e cristallo che le accoglie.
Al giorno d’oggi c’è una certa prevenzione modernista nei confronti dei miracoli.
Per superbia razionalistica si vorrebbe quasi vietare al Signore di fare dei miracoli.
Con tono scandalizzato si esclama: « Ma come! Il Signore si permette simili cose? ».
Oggi impera la mentalità illuminista, la mentalità di Voltaire, contrassegnata dal
dubbio che il Signore esista. Essa può anche arrivare ad ammettere che il Signore è
il re dell’universo, purché sia chiaro che si tratta di un re che non governa. Questa
è la concezione razionalista deista. Invece la concezione più profonda da un punto
di vista metafisico e più consona alla nostra fede è quella che vede il Signore in
un rapporto tutto particolare con il mondo, in quanto — come dice san Paolo nella
Lettera ai Romani — Dio chiama all’essere le cose che non sono. San Tommaso
d’Aquino avrebbe detto che Dio dona alle creature il loro essere, l’actus essendi,
le fa esistere poiché Egli è l’Essere sussistente, l’essere per essenza, per cui solo
lui può dare l’essere alle essenze. Tutte le cose hanno le rispettive essenze, che
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Dio rispetta come tali, ma le pone in essere creandole. Ecco la profondità dell’atto
creatore! Iddio crea dando tutto l’essere ad un’essenza che è posta nell’essere, per
cui prima di essere posta nell’essere non è nulla, proprio perché non era se non
nella mente di Dio. Il Signore dà alle cose non solo la dignità di esserci, ma anche
la dignità di essere delle cause. Perciò è sbagliata l’opinione degli occasionalisti,
che sono dei “miracolisti”. Secondo loro non esistono cause seconde, ma ogni
azione delle cose sarebbe immediatamente un agire di Dio: non è il fuoco che
brucia, ma è Dio che brucia. Se così fosse, non ci sarebbe distinzione tra fenomeni
naturali e soprannaturali. In questa prospettiva il miracolo nella sua eccezionalità
scompare.
Altri modernisti, razionalisti, insistono talmente sull’autonomia delle essenze,
da dimenticarsi che tutta l’essenza delle cose (che le cose hanno) viene dal
Signore; quindi il Signore può produrre egli stesso, immediatamente, tutti gli
effetti delle cause seconde. La ragione umana, prima ancora di accettare con
umiltà e obbedienza la parola rivelata del Signore, deve già, come praeambulum
fidei, ammettere la possibilità che Dio, che è un essere onnipotente, sommamente
razionale e sommamente libero, possa fare dei miracoli, cioè possa governare il
mondo in maniera naturale, e intervenire anche in maniera soprannaturale.
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Sul sangue di san Gennaro sono state fatte delle analisi rigorose, poiché un
fenomeno così strepitoso come la liquefazione di grumi di sangue ha sempre
suscitato curiosità. Sappiamo benissimo che quello della coagulazione ematica è
un processo irreversibile da un punto di vista biologico. Ci sono dei buoni cristiani
che ammettono che il Signore faccia questo miracolo; però si chiedono perché
mai il Signore, che così raramente ed eccezionalmente interviene nelle vicende
di questo mondo in maniera soprannaturale, si compiaccia di compiere questo
miracolo in maniera così ripetitiva. Io penso che il Signore nei nostri riguardi
segua una sua pedagogia, alla quale non badiamo, per cui tendiamo a dimenticarci
assai presto dei benefici ricevuti dal Signore. Lo preghiamo: Signore, fammi questa
grazia! E appena l’abbiamo ricevuta siamo così avvezzi ad essere trattati bene da
Lui, che ce ne scordiamo e non Gli diciamo neppure grazie!
Il beneficio supremo che il Signore ci ha dato è quello del sangue benedetto del
Figlio suo. Non dimentichiamocelo. C’è poca venerazione per quel sangue che
è la nostra salvezza, per il sangue dell’Agnello immacolato. Cerchiamo allora di
cogliere quest’occasione della festa di san Gennaro per diventare davvero grati al
Signore del supremo beneficio del dono del Figlio suo, del dono della sua croce, del
dono del suo Sangue. Sin dai tempi antichissimi, non appena l’uomo si allontanava
da Dio con il peccato, il Signore, volendo in nome del suo infinito amore e della
sua paterna misericordia restituire l’uomo alla vita soprannaturale, predispose che
il peccato venisse redento dal sangue del Figlio suo fattosi uomo.
Nell’antico Testamento la legge mosaica proibisce di mangiare la carne degli
animali assieme al loro sangue. Perché? I nostri esegeti, un po’ troppo aggiornati e
un po’ fuori strada, dicono che in fondo gli Ebrei erano dei materialisti che, quando
affermavano che nel sangue c’era l’anima, non intendevano nulla di spirituale,
ma qualcosa di concreto e materiale. Questa mentalità è terribile! Ho letto molte
opere assolutamente inattendibili su questo argomento, che attribuivano a Platone
il concetto della spiritualità dell’anima, asserendo che tale concetto è contrario
alla sapienza biblica. In tal modo, secondo i modernisti, questo argomento nella
Bibbia avrebbe avuto un’evoluzione: la Bibbia sarebbe stata infatti gradualmente
inquinata dal “dualismo greco”, per cui solo in un secondo momento sarebbe
apparsa l’idea di un’anima spirituale. Io penso invece, cari fratelli, che, se è vero
che gli autori sacri imparano un poco alla volta quella verità che il Signore vuole
rivelare, tuttavia lo Spirito Santo sa tutto fin dall’inizio. In questo senso non vale il
concetto modernista del progresso, ma la verità esiste tutta intera, nota allo Spirito,
fin dall’inizio.
Se l’uomo, come è vero, ha un’anima spirituale, essa è destinata all’immortalità ed
è ben distinta dalla carne e dal sangue. La carne e il sangue sono l’uomo nella sua
fragilità fisica, ma questa fragilità è sostenuta e vivificata da uno spirito vivente
che è l’anima. L’anima, cari fratelli, non deriva da nessuna evoluzione materiale.
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Deriva dall’alto, deriva dal Creatore, che ci ha resi simili a lui: « Poco meno degli
angeli, o Signore, hai fatto l’uomo » (Ps 8, 6; Eb 2, 7). Ecco la grandezza e la
dignità dell’essere umano!
Il comando dato dal Signore per bocca di Mosè che cosa vuol dire? Vuol dire che il
sangue non è l’anima. Invece qualcuno dice che non si deve mangiare la carne con
il sangue, perché nel sangue dell’animale c’è la sua anima. No. Non c’è identità tra
sangue e anima. Gli Ebrei non erano così primitivi come i modernisti s’immaginano.
Dunque sapevano distinguere tra l’anima e il corpo con il suo sangue. Perché il
sangue non doveva essere mangiato? Perché il sangue dell’animale apparteneva
al Signore, in quanto il sangue, senza essere l’anima, è il simbolo dell’anima
ed è il segno della morte. La morte consiste nel distacco, doloroso ovviamente,
dell’anima dal corpo. L’anima, che è fatta per il corpo, dovrebbe sopravvivere
nel corpo, ma a un certo momento subentra uno scioglimento. Ogni morte ha
in sé un aspetto anche cruento, cioè legato al sangue, che non circola più nella
salma. L’effusione del sangue è la causa – come dice san Tommaso d’Aquino –
dispositiva, non formale, della vita, così come il sangue è il segno della donazione
dell’anima a Dio, dal quale abbiamo ricevuto la vita.
Il Signore nei precetti dell’antica alleanza faceva capire che la redenzione sarebbe
stata ottenuta tramite l’effusione del sangue. Non c’è remissione dei peccati, senza
l’effusione del sangue. Ecco perché l’alleanza del popolo eletto con il suo Signore
era sempre stretta nel sangue. Pensate a Mosè, il quale prese il sangue degli animali
sacrificati e asperse l’altare del Signore e le dodici tribù di Israele.
Noi, cari fratelli, abbiamo un Sangue ben diverso, un Sangue più eloquente di
quello di Abele, un Sangue non più di animali sacrificati, ma del Verbo di Dio,
incarnatosi per la nostra salvezza. Questo Sangue è ben più potente di quello
dell’antica alleanza, con il quale il sacerdote entrava nel santuario per aspergere il
coperchio dell’arca dell’alleanza. Il Signore, donando il suo Sangue sulla croce, è
entrato in un santuario non costruito da mano umana: il santuario eterno del cielo.
Ecco l’eloquenza del Sangue di Cristo, che egli ha portato con sé nel santuario
di Dio. Quel sangue continuamente intercede per noi. Sempre il Cristo mostra al
Padre le piaghe della sua gloriosa passione per ottenerci il perdono.
Questo è il senso dell’effusione del sangue, del Sangue di quel Re dei martiri che
è il Cristo crocifisso e del sangue di tutti coloro che muoiono per la fede in Cristo.
Giustamente Tertulliano nell’Apologetico scriveva: Sanguis martyirum, semen
Ecclesiae, perché quello è il sangue di un agnello sgozzato, che vive eternamente.
Il miracolo di san Gennaro, la liquefazione del suo sangue, ha un significato
profondamente pasquale. Ci fa pensare che nella passione di Cristo, e di coloro che
hanno professato la loro fede in lui, la morte è stata inghiottita dalla vita. Cristo è
morto per il peccato una volta per sempre. Ma ora vive in Dio, vive eternamente.
Anche la nostra vita è nascosta in Dio come il nostro Signore risorto. Così bisogna
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che la Chiesa consideri sé stessa come un prolungamento della passione di Cristo
lungo la storia. La Chiesa è sempre perseguitata, sempre destinata a patire,
finché sarà su questa terra. Non ricordo se Pio IX o Pio X, ricevendo un giorno
dei seminaristi, chiese loro quali fossero gli attributi della Chiesa ed avendo essi
elencate quelli tradizionali, egli aggiunse “e perseguitata!”. Noi cristiani cosa
dobbiamo fare? Quello che Gesù ci dice nel vangelo: fare ciò che hanno fatto i
martiri dei primi tempi della Chiesa, tempi di persecuzione. Siccome la Chiesa
ha sì la sua storia, però la vive tutta protesa verso l’eternità, il tempo della Chiesa
è tempo di pienezza. Sembra quasi che nella storia della Chiesa l’inizio coincida
con la fine. Infatti Cristo è l’alfa e l’omèga, l’inizio e la fine. Questo i modernisti,
con il loro ideale progresso del quale tanto si vantano, non lo capiranno mai. Ci
accuseranno certamente di mentalità apocalittica. Nulla di male, cari fratelli, perché
sappiamo bene che l’Apocalisse conclude tutta la Scrittura e contiene promesse
buone per i buoni, minacce formidabili per i malvagi.
Allora come interpretare la storia? Il Signore Gesù parla dei segni della fine. Ed
è giusto che il cristiano approfondisca i cosiddetti segni dei tempi, ma non con
l’attuale ottimismo superficiale e con quel fare pomposo e retorico, che purtroppo
è entrato nel cattivo gusto della nostra vita ecclesiale e che fa esclamare: « noi
scrutiamo i segni dei tempi. Tutto va per il meglio! ». Ci si dimentica della falsità
di un certo profetismo, quando si sentiva dire che tutto sarebbe andato liscio e si
sarebbero ottenute strepitose vittorie. Il Signore riguardo ai segni dei tempi dice
cose terrificanti. Non rivela la data. A nessuno di noi infatti è concesso di sapere
il tempo e l’ora. Però Gesù dice quali saranno i segni premonitori. Quindi il buon
cristiano è sempre vigilante e pensa in ogni momento al kairòs, cioè al momento
che gli spalancherà l’eternità.
Mi viene in mente san Vincenzo Ferreri, un glorioso confratello domenicano,
il quale predicava con toni fortemente apocalittici, quelli che sono tanto invisi
ai modernisti di oggi. Ebbene, quel santo era considerato come l’angelo
dell’Apocalisse, quell’angelo che dice: Timete Deum et date illi honorem (Ap
14, 7). In ogni tempo c’è l’esigenza di temere Iddio e onorarlo. Allora cerchiamo
di vedere come Gesù articola questi segni, che sono catastrofici, terribili (altro
che segni di bonaccia, come sentiamo ora dappertutto!). Il mondo è spesso
addormentato. Si crea l’illusione della pace. La Scrittura invece vede le cose ben
diversamente: proprio quando diranno « pace, pace », allora ci sarà la guerra. Cari
fratelli, quando sento i capi della superpotenza comunista che parlano di pace,
temo sempre che scoppi la guerra. Bisogna pregare molto, perché questo è un
segno tutt’altro che confortante.
Gesù dice che ci saranno sconvolgimenti terribili: terremoti, carestie, pestilenze,
malattie, guerre e rivoluzioni. Che sconquasso satanico! Altro che progresso ideale!
Certo si progredirà verso la luce della gloria eterna, ma per crucem ad lucem:
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questo vale non solo per il Cristo storico, ma
anche per il Cristo mistico che è la Chiesa. La
Chiesa deve avere il coraggio di portare con
dignità la croce del suo salvatore. Solo così
essa potrà raggiungere la luce del suo ultimo
trionfo. Ma prima verranno tempi spaventosi.
Le sventure materiali saranno solo l’inizio,
ad esse faranno seguito mali peggiori, come i
disordini sociali.
Pensiamo alla società: le grandi rivoluzioni
hanno sempre distrutto la pace sociale. La
società civile dovrebbe contribuire alla salvezza
soprannaturale delle anime. I Francesi, quando
nel 1789 fecero la rivoluzione e decapitarono
il loro sovrano, non intendevano solo punire
il cittadino Capeto (Luigi XVI), ma volevano
decapitare un ordine. Quale ordine? L’ordine
che è radicato in cielo. Ci sono due ordini, uno
che ha le sue radici nella città celeste, l’altro
che ha le radici in terra. La mala pianta dell’ordine, che è il disordine, ha soppiantato
il vero ordine, che si riallaccia al cielo. Nelle rivoluzioni, il popolo insorge contro
il popolo, i fratelli denunciano i fratelli, si perseguitano e si odiano a vicenda, si
sentono profeti, non distinguono più il vero dal falso. La cosa più terribile è quando
l’odio entra nella Chiesa stessa. Questo mi fa paura. Si obietta: « Ma la Chiesa ha
vissuto tempi ben più tremendi ». È vero. In certi periodi ci furono due o tre papi
(un papa vero e due antipapi). Non si sapeva chi fosse il vero vicario di Cristo, ma
si sapeva qual era la verità, perché la si affermava chiaramente con quelle formule
che iniziavano con si quis dixerit... e terminavano con ...anàthema sit. Chi stava di
qua era figlio della Chiesa cattolica, chi stava di là era eretico.
Quello che mi fa paura – come dicevo poc’anzi – è che non c’è più un confine
spirituale tra il bene e il male, tra il vero e il falso. Dobbiamo fare molta attenzione
ai veri segni dei tempi, non a quei segni che ci propinano i pseudo-profeti che
parlano di pace anche quando c’è guerra, ma a quei segni che ci preannunciano
tempi difficili, quando sarà perseguitato non solo l’uomo buono, ma la bontà
stessa, non solo l’amante del vero, ma la verità stessa.
In tutto questo, però, il sangue di Gesù e quello dei màrtiri, che hanno fecondato
la Chiesa, ci danno forza e speranza. Quel sangue sarà la nostra salvezza. Così sia
.
Liberamente tratto da un’omelia di P. Tyn op
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