Università degli Studi di Firenze

Università degli Studi di Firenze
Scuola di Scienze Matematiche Fisiche Naturali
Corso di Laurea in Fisica
Rilevazione di segnali biologici presenti
nell'atmosfera dei pianeti extra-solari mediante
utilizzo di spettroscopia ad elevata risoluzione
Biomarkers investigation in the extra-solar planets
atmosphere using high-dispersion spectroscopy
Candidato
Lorenzo Betti
Relatore
Prof. Alessandro Marconi
Anno Accademico 2012-2013
Indice
Introduzione
2
1 Esopianeti: Breve storia delle scoperte e metodi osservativi
3
1.1
Metodo delle velocità radiali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
4
1.2
Metodo dei transiti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
7
2 Analisi di un segnale proveniente da un esopianeta
10
2.1
Osservazione del segnale proveniente dall'esopianeta
. . . . . . . . . . . . .
10
2.2
Assorbimento del pianeta e dell'atmosfera terrestre: la massa d'aria . . . . .
12
2.3
Calcolo del segnale osservato
14
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
2.3.1
Emissione di fondo e corrente di buio . . . . . . . . . . . . . . . . . .
16
2.3.2
Sorgenti di rumore
18
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
3 Simulazione del segnale osservato
20
4 Risultati della simulazione e conclusioni
25
4.1
Risultati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
25
4.2
Considerazioni nali
30
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1
Introduzione
Le osservazioni spettroscopiche degli esopianeti orono la possibilità di rivelare la presenza
di vita extraterrestre. Dall'analisi dei composti atmosferici è possibile individuare attività
biologica su larga scala, proprio come avviene per l'ossigeno e per il metano nell'atmosfera
terrestre.
D'altra parte la cancellazione di entrambe le missioni
e
Darwin
Terrestrial Planet Finder
(NASA)
(ESA) rende improbabile il lancio di un telescopio spaziale dedicato alla ricerca
di segnali biologici entro i prossimi anni. Da qui nasce la necessità di adottare dei metodi
sperimentali per le osservazioni da terra.
In questo lavoro di tesi andremo a mostrare in che misura i telescopi situati a terra
possano essere un'ecace alternativa per la ricerca dei segnali biologici nelle atmosfere
degli esopianeti.
Innanzitutto andremo a descrivere le caratteristiche pricipali dei pianeti extrasolari ed
i metodi che ci permettono di individuarli. Ci soermeremo in particolare sul metodo dei
transiti.
Sfruttando infatti il transito del pianeta davanti alla propria stella, si può determinare lo
spettro di assorbimento del pianeta. Dunque occorre innanzitutto analizzare nel dettaglio
questo problema ed in particolare, cosa comporti dal punto di vista osservativo.
Successivamente passeremo alla fase di simulazione dei dati raccolti, variando i parametri del problema (es.: il diametro del telescopio, la lunghezza d'onda osservata,...)
e
stimando quantitativamente quale sia la migliore congurazione possibile del sistema di
misura.
A conclusione del lavoro, andremo a confrontare i nostri risultati con quelli ottenuti
nelle simulazioni di Snellen et al.[1] per quanto riguarda l'assorbimento dell'O2 da parte
di un esopianeta nella banda molecolara nel vicino I-R collocaa intorno a:
Inne andremo ad esporre i limiti ed i possibili sviluppi di tale metodo.
2
λ1 =
0,76µm.
Capitolo 1
Esopianeti: Breve storia delle
scoperte e metodi osservativi
L'interesse verso i corpi celesti ed i pianeti, ha spinto l'uomo ad osservare l'universo e,
nell'epoca moderna, a porsi questioni sulle leggi che lo governano. Storicamente la descrizione e l'interpretazione del moto dei pianeti del Sistema Solare sono state di fondamentale
importanza per la scienza, così come la intendiamo noi oggi. Nell'era tecnologica poi, lo
studio dei pianeti del Sistema Solare è stato portato avanti con notevole celerità, anche e
soprattutto grazie alle missioni esplorative del recente passato. Parallelamente gli astrosici hanno iniziato ad indagare gli spazi galattici ed extragalattici andando ad osservare
oggetti sempre più lontani nello spazio e nel tempo.
Fino all'inizio degli anni '90 le teorie sulla formazione ed evoluzione dei Sistemi Planetari erano ancora legate a quelle del nostro Sistema Solare. Nel 1995 però M. Mayor e D.
Queloz scoprono 51 Pegasi b, il primo pianeta extrasolare. Da allora si è aperta la possibilità di rivelare la presenza e le caratteristiche dei sistemi planetari al di là del Sistema
Solare.
Inoltre, come risulterà evidente in seguito, gli interessi scientici nello studio degli
esopianeti sono molteplici. I principali, almeno dal punto di vista sico, sono due:
•
Comprendere la natura della formazione dei pianeti e, più in generale, dei sistemi
planetari.
•
Migliorare le tecniche osservative per trovare esopianeti di tipo terrestre alla ricerca
di forme di vita.
Andiamo dunque a descrivere nel dettaglio i due metodi principali per l'osservazione degli
1
esopianeti : il
metodo delle velocità radiali
ed il
1
metodo dei transiti.
Esistono anche ulteriori metodi per rivelare la presenza degli esopianeti che sfruttano altri eetti sici
(es.: metodo delle micro-lenti gravitazionali o il metodo basato sullo studio dei dischi circumstellari e
protoplanetari), ma non sono utili per comprendere la natura chimico-sica dell'atmosfera degli esopianeti.
3
1.1 Metodo delle velocità radiali
Il modo più semplice per rivelare la presenza di un pianeta è quello di misurare la componente lungo la linea di vista della velocità con cui la stella ruota attorno al comune centro
di massa. Il problema da risolvere è del tutto analogo a quello dei sistemi binari in cui le
due stelle ruotano attorno ad un centro di massa comune. Dalla risoluzione del moto per
un sistema binario stella-pianeta troviamo le seguenti equazioni:
Ω2 =
v∗ sin i =
G M∗
r3
(1.1)
Mp
Ω r sin i
M∗
(1.2)
Mp
v∗
=
M∗
vp
Dove:
(1.3)
vp , v∗ = velocità del pianeta e della stella; Ω = velocità radiale; r = raggio dell'orbita
(supposta circolare)
Mp , M∗ = massa del pianeta e della stella; i = angolo d'inclinazione dell'orbita
In queste relazioni abbiamo tenuto conto del fatto che
si può riscrivere
M∗
Mp M∗ .
Dalla (1.1) e dalla (1.2)
come :
Ω2 r 3
Ωr
= M∗ =
Mp sin i
G
v∗ sin i
Si noti che nella (1.4) non è stato semplicato il
v∗ sin i.
Mp sin i in funzione
sin i,
(1.4)
poiché quello che eettivamente
misuriamo è la quantità:
Ricaviamo inne
di
Mp sin i =
Dalla (1.5) risulta evidente che le velocità
v∗ sin i:
Ωr2
(v∗ sin i)
G
(v∗ sin i)
(1.5)
saranno apprezzabili solo nel caso di
2
grandi pianeti in orbita stretta attorno alla loro stella .
Dai dati sperimentali risulta che queste velocità sono piuttosto piccole, ovvero:
v∗ km
s
Dunque per poterle rivelare occorre utilizzare uno spettrografo ad alta risoluzione e di
grandissima stabilità nella calibrazione in lunghezza d'onda.
Fu questo il metodo adottato da M. Mayor e D. Queloz nel 1995 per individuare 51
Pegasi b, esopianeta orbitante attorno a 51 Pegasi, nana gialla di classe spettrale G2.5IVa
(o G4-5V). In g. 1.1 è riportata la curva di velocità di 51 Pegasi ottenuta da M.Mayor e
D. Queloz:
2
Si noti che (v∗ sin i) è la velocità lungo la linea di vista misurabile mediante spettroscopia Doppler.
Motivo per cui (sin i) non è stato eliminato dalla (1.5).
4
Figura 1.1: Curva di velocità 51 Pegasi [
M. Mayor, D. Queloz (1995) ]
Come si vede dalla gura l'ampiezza dell'oscillazione sinusoidale è di
periodo
T ∼ 4, 23 d
. Per cui sapendo che
r=
GM∗
Ω2
1
M∗ ∼ 1 M 3
=
GM∗ T 2
4π 2
∼ 55 m/s,
il
si ricava dalla (1.4):
13
∼ 0.05 U A
Inoltre dalla (1.5) si trova:
Mp sen i ∼ (0.45) MJ sen i
Dove:
MJ = 1.8986 · 1030 g
: massa di Giove
La scoperta di Mayor e Queloz risulta sorprendente per un semplice motivo: basandosi sul
Sistema Solare, i pianeti gassosi di grande massa orbiterebbero nelle zone esterne, invece
51 Pegasi b è un pianeta sucientemente massiccio ed in orbita molto stretta e veloce
attorno alla propria stella. Basti pensare al fatto che Mercurio è, in media, circa 8 volte
più distante dal Sole (rM er ∼ 0.3829 U A) rispetto a quanto 51 Pegasi b non lo sia dalla
sua stella. Questo risultato ha aperto la possibilità che i sistemi planetari potessero essere
completamente diversi dal nostro.
Limiti del metodo delle velocità radiali
Riassumiamo brevemente quali siano i limiti del metodo delle velocità radiali.
• Osservazione di sistemi esoplanetari sucientemente vicini :
in generale il
metodo sarebbe indipendente dalla distanza a cui si trova l'oggetto osservato, però per
ottenere misure con elevata precisione è necessario avere un rapporto Segnale-Rumore
particolarmente elevato. Questo è possibile solo per esopianeti relativamente vicini,
ovvero per distanze dalla Terra dell'ordine di 100 a.l.
5
• Sistemi planetari orbitanti attorno a stelle poco massicce :
se la stella attorno
a cui orbita il pianeta (o i pianeti nel caso di sistemi multipli) è poco massiccia
l'osservazione risulta più semplice per i seguenti motivi:
1. Le stelle meno massicce risentono maggiormente degli eetti gravitazionali del pianeta.
2. Prendendo le stelle della sequenza principale, quelle con massa più piccola ruoteranno
più lentamente delle altre. Una rotazione veloce rende le righe spettrali meno nitide
per la metà della stella che si allontana dal punto di vista dell'osservatore rispetto
alla metà che si avvicina.
3. Individuare pianeti attorno a stelle maggiormente massicce è facile solo se la stella
ha abbandonato la sequenza principale e ridotto la sua rotazione.
• Tempi di osservazione per i pianeti gioviani :
il metodo si può applicare ai
pianeti gioviani anche se la loro orbita deve essere sucientemente stretta attorno
al pianeta. Infatti per orbite
r ∼ 10 U A
sono richieste osservazioni molto prolungate
nel tempo, come ci si aspetta dalla III legge di Keplero.
• Spettroscopia Doppler e falsi segnali :
la spettroscopia Doppler ha il difetto
di non riconoscere in modo adeguato segnali falsi che si presentano in alcune situazioni abbastanza comuni: sistemi multipli di stelle e pianeti, presenza di campi
magnetici ed attività magnetica stellare. Alcuni di questi eetti si possono eliminare
analizzando la stabilità del sistema planetario.
• Stima della massa minima del pianeta :
con il metodo delle velocità radiali
si può dare una stima della massa minima del pianeta.
Poiché l'inclinazione del
piano dell'orbita rispetto alla linea di vista non è nota, quando possibile, si utilizza
il metodo delle velocità radiali insieme a quello dei transiti, in modo da ottenere
la massa eettiva del pianeta. Se però si riescono a distinguere le linee spettrali del
pianeta da quelle della stella, allora si può determinare la velocità radiale del pianeta.
Grazie alla relazione (1.6) possiamo poi determinare la massa eettiva del pianeta.
• Pianeti con orbita molto inclinata rispetto alla linea di vista dell'osservatore :
se i pianeti osservati hanno un'orbita molto inclinata rispetto alla linea di vista
dell'osservatore (ovvero il piano dell'orbita è prossimo al piano del cielo), verranno
a prodursi piccole oscillazioni che sono dicili da distinguere rispetto al rumore di
fondo.
Resta comunque il fatto che questo metodo è quello più ecace per l'individuazione dei pianeti extrasolari. Infatti di tutti i metodi osservativi, quello della velocità radiale ci permette
di determinare i parametri orbitali del pianeta (come l'eccentricità dell'orbita) in modo diretto ed è il metodo con cui si sono individuati la maggior parte dei pianeti extrasolari (per
una lista aggiornata dei pianeti extrasolari si veda: http://www.exoplanet.eu)
6
1.2 Metodo dei transiti
Un altro metodo diretto per rivelare gli esopianeti è quello che sfrutta il transito del pianeta
davanti alla propria stella.
Esattamente come per le binarie spettroscopiche, anche in
questo caso, si sfrutta l'assorbimento della luce emessa dalla stella stessa. Nello specico
si osserva la variazione nel tempo della magnitudine apparente della stella, come riportato
schematicamente in g. (1.2).
Figura 1.2: Andamento della curva di luce
Il rapporto fra il usso oscurato dal disco del pianeta e quello totale della stella è dato
da:
Rp2
φoscur.
∝ 2
φ∗
R∗
(1.6)
Sperimentalmente per i grandi pianeti gassosi la diminuzione del usso osservato può
ammontare a circa l'1% del usso totale della stella. Se la stella è sucientemente brillante,
questa quantità è dunque facilmente misurabile. Dunque, il metodo è molto più ecace
per i pianeti gassosi massicci in orbita stretta rispetto alla stella.
Il primo pianeta rivelato con questo metodo fu il pianeta gioviano HD209458 b (1999),
che orbita attorno ad una nana gialla (classe spettrale G0V), distante 154 a.l.
nella costellazione del Pegaso. Nella g.(1.3) è riportata la sua curva di luce.
Figura 1.3: Curva di luce di HD209458 (Osservatorio di Ginevra, 1999)
7
dal Sole
L'osservazione della luce assorbita dal pianeta, ci permette di andare ad analizzare
direttamente la composizione chimica dell'atmosfera del pianeta attraverso le righe di assorbimento prodotte sullo spettro della stella. Nel caso specico del pianeta HD209458 b
è stato possibile rivelare la presenza di
sodio
ed
idrogeno [2].
Riassumiamo brevemente ciò che è possibile determinare con il metodo dei transiti:
• Massa del pianeta :
il metodo dei transiti ci permette di dare una prima stima
della massa del pianeta orbitante, anche se per avere conferma, bisogna utilizzare il
metodo delle velocità radiali.
• Raggio del pianeta :
a partire dalla frazione del disco oscurata si può determinare
il raggio del pianeta mediante la (1.6). In realtà nella diminuzione del usso espressa nella (1.6) non si tiene conto delle dimensioni dell'atmosfera del pianeta.
Que-
st'osservazione sarà alla base del problema che aronteremo a breve (vedi capitolo
2).
• Composizione atmosferica :
mediante spettrogra ad elevata risoluzione, è pos-
sibile eettuare un'analisi della composizione spettrale del pianeta. Conoscendo lo
spettro di emissione della stella, nel momento in cui il pianeta transita davanti ad
essa, si possono andare a misurare le righe di assorbimento dell'atmosfera del pianeta
e di conseguenza la sua composizione chimica. Nell'analisi spettrale bisognerà tener
conto dell'eetto Doppler a causa del quale le righe dello spettro osservato potrebbero essere spostate verso il rosso o verso il blu, a seconda della velocità relativa
stella-pianeta e del fatto che il sistema stella-pianeta si allontani o si avvicini alla
Terra.
Limiti del metodo dei transiti
Questi sono i limiti principali del metodo dei transiti:
• Orbite planetarie perfettamente allineate :
i transiti planetari sono meglio os-
servabili se i piani delle orbite dei pianeti sono perfettamente allineati con la linea di
vista dell'osservatore. La probabilità che questo avvenga è data dalla relazione:
P(transito allineato) ∝
Dove:
d∗ =
diametro della stella;
dorb. =
d∗
dorb.
(1.7)
diametro dell'orbita
Nelle stelle di piccole dimensioni, inoltre, diventa rilevante anche il raggio del pianeta. Calcoliamo ad esempio la probabilità che un allineamento casuale produca un
transito osservabile per un pianeta che orbiti ad una distanza di 1UA attorno ad una
stella tipo-Sole. Otterremo:
P(transito allineato) ∼ 0, 47%
Pertanto questo metodo non ci permette di dire se una particolare stella ospiti uno
(o più) pianeti, data la bassa probabilità di rivelazione.
8
• Falsi positivi :
il metodo dei transiti è molto inuenzato dai falsi positivi (circa
il 35% per la missione Kepler lanciata di recente e dedicata allo studio dei transiti,
si veda [3]). Per questo motivo la rilevazione mediante metodo dei transiti richiede
un'ulteriore conferma, tipicamente utilizzando il metodo delle velocità radiali o il
metodo della variazione del tempo di transito (si vedano [4] e [5] per ulteriori dettagli).
• Stelle di Neutroni, Nane Bianche e Giganti Rosse :
abbiamo visto in che mi-
sura i metodi delle velocità radiali e dei transiti risultino utili per l'osservazione dei
pianeti gioviani. Non abbiamo però discusso del fatto che questi pianeti potrebbero
ruotare attorno a stelle diverse rispetto a quelle della sequenza principale o alle nane
rosse/brune.
Nel caso delle
Giganti Rosse, poiché i pianeti sono maggiormente attratti gravitazio-
nalmente, si potrebbe pensare di osservare meglio il transito del pianeta. In realtà
però questi segnali di transito sono molto dicili da separare dalla curva di luce della
stella. Il motivo è legato al fatto che le
Giganti Rosse
hanno frequenti pulsazioni di
luminosità con un periodo variabile da un'ora a qualche giorno. Inoltre le
Rosse
sono molto luminose e molto grandi (tipicamente
RG.R. ∼ 100 R )
Giganti
e quindi
anche i pianeti maggiormente massicci non riescono ad oscurare sucientemente il
disco.
Al contrario per le
Stelle di Neutroni
e le
Nane Bianche i pianeti avrebbero dimensio-
ni più che sucienti per oscurare il disco. Tenendo conto del fatto che la probabilità
di allineamento perfetto dipende direttamente dal diametro della stella, sistemi planetari di questo tipo risulteranno molto dicili da distinguere.
Il nostro studio si concentrerà dunque sui sistemi planetari orbitanti attorno a stelle
di classi spettrali: G0-G5, in accordo con lo studio di I. A. G. Snellen et al.[1].
9
Capitolo 2
Analisi di un segnale proveniente da
un esopianeta
Il primo obbiettivo del lavoro di tesi è quello di analizzare il segnale proveniente da un esopianeta per riuscire a determinare la natura della sua atmosfera sfruttando strumenti posti
a terra. La maggior parte dei nostri sforzi si concentrerà sulla simulazione dello spettro
proveniente da un esopianeta mediante il software IDL (Interactive Data Language). Successivamente stabiliremo quali siano le righe eettivamente assorbite dal pianeta. In questo
modo, tenendo conto di quanto visto per il metodo dei transiti, andremo a determinare la
composizione atmosferica del pianeta stesso.
Prima di soermarci sulla descrizione della procedura adottata con IDL, è necessario
andare a descrivere dettagliatamente cosa vuol dire osservare un segnale proveniente da
un esopianeta. Una volta analizzate anche le sorgenti di rumore, potremo procedere alla
simulazione del segnale osservato.
2.1 Osservazione del segnale proveniente dall'esopianeta
Quando si osserva un segnale proveniente da un corpo celeste si misura la quantità di
energia dell'oggetto osservato che uisce attraverso la supercie del rivelatore per unità di
tempo, di lunghezza d'onda e di angolo solido. Nel nostro problema dobbiamo andare a
determinare questa quantità, ma relativamente ad un pianeta il cui disco riesce ad oscurare
in parte la stella attorno a cui orbita.
Dal punto di vista sperimentale bisognerà che
l'apparato di misura sia in grado di rivelare con elevata precisione il transito del pianeta,
ovvero la curva di luce. Di questo però ci occuperemo successivamente (vedi capitoli 3-4)
quando discuteremo di come si possa applicare il metodo adottato agli apparati strumentali
attuali ed a quelli futuri.
Supponiamo che il nostro problema sia schematizzabile come in gura 2.1.
10
Figura 2.1: Parametri del problema
Deniamo:
S(λ) =
spettro della stella per una data lunghezza d'onda
unità di usso, per esempio:
λ
(espresso in
erg cm−2 s−1 µm−1 ).
Per semplicità, come si vede nella gura precedente, supponiamo che l'atmosfera del
pianeta sia formata da uno strato omogeneo di spessore
hp .
Ipotizziamo inoltre che a ciascuna lunghezza d'onda sia possibile associare un certo
coeciente di assorbimento atmosferico
τ (λ)
espresso nella forma:
τ (λ) = [τ0 (λ)]AM
Dove:
AM = massa d'aria (airmass) (vedi Ÿ 2.2 per ulteriori dettagli)
τ0 (λ) = e−α0 (λ) : coeciente di assorbimento atmosferico per massa d'aria unitaria
(AM=1)
Per cui:
τ (λ) = e−α0 (λ) AM
In linea di principio si dovrebbe andare a determinare l'assorbimento del pianeta
τ (λ)
per ogni strato atmosferico, tenendo conto della variazione di pressione di ciascuno degli
strati e della disomogenità dell'atmosfera stessa.
Per semplicità abbiamo supposto che
l'atmosfera fosse uniforme ed abbiamo considerato per ciascuna lunghezza d'onda un coefciente di assorbimento medio
τ (λ), identicato da una massa d'aria media. Tenendo conto
0
segnale assorbito S (λ) nella forma:
anche delle dimensioni del pianeta, si potrà scrivere il
Rp2 + h2p
S (λ) = S(λ) 1 −
R∗2
0
Dove:
!
"
(Rp + hp )2 − Rp2
+ S(λ)
R∗2
#
τ (λ)planet
(2.1)
Rp = raggio del pianeta; hp = spessore dell'atmosfera; R∗ = raggio della stella;
τ (λ)planet = (τ0 (λ)planet )AM coe. di assorbimento medio dell'atmosfera del pianeta;
AM =airmass medio del pianeta in trasmissione
11
raggio ecace del pianeta Ref f .
A partire da questa relazione si può denire il
Infatti la
(2.1) può anche essere riscritta come:
0
S (λ) =
1−
2
Ref
f
R∗2
!
S(λ)
Dal confronto fra la (2.2) e la (2.1) possiamo ricavare
(2.2)
Ref f
in funzione della lunghezza
d'onda:
Ref f (λ) =
q
1 − τ (λ)planet (Rp + hp )2 + Rp2 τ (λ)planet
Inne il segnale che arriva sul telescopio
00
00
S (λ)
(2.3)
sarà esprimibile nella forma:
0
S (λ) = S (λ) τ (λ)Earth
Dove:
(2.4)
τ (λ)Earth = coe. assorbimento dell'atmosfera terrestre;
Prima di procedere, occorre fare una precisazione importante. Lo scopo delle nostre osservazioni è quello di determinare la composizione atmosferica del pianeta, nello specico per
quanto riguarda le righe di assorbimento dell'O2 . In pratica signica riuscire a determinare
realtà osserviamo il segnale
0
S (λ). Le osservazioni vengono fatte da terra, per
0
S (λ) invece che S (λ): non è certo ciò che vogliamo.
il segnale assorbito dal pianeta
00
cui in
Il motivo è semplice: nell'ipotesi che il pianeta osservato sia simile al nostro, le righe
dell'O2 dell'atmosfera del pianeta saranno alle stesse lunghezze d'onda di quelle dell'atmosfera terrestre. Di conseguenza potrebbe esserci sovrapposizione e da terra non saremmo
in grado di vedere niente.
Non abbiamo tenuto conto però dell'Eetto Doppler nello spostamento delle righe.
Infatti il moto della Terra attorno al Sole, il moto relativo fra il Sole e la stella osservata e
quello del pianeta attorno alla sua stella, determinano una
ed il pianeta e, lo
velocità relativa v
spostamento Doppler ∆λ delle righe mediante la relazione:
fra la Terra
v
∆λ = (1 + ) ∆λoss.
c
Dove:
(2.5)
∆λoss. = intervallo di lunghezze d'onda osservate; v = velocità relativa (con segno)
La velocità relativa tra la Terra ed il pianeta ci permette pertanto di spostare le righe
dell'atmosfera del pianeta rispetto a quelle dell'atmosfera terrestre.
L'ossigeno presenta intense righe di assorbimento per lunghezze d'onda intorno a
7600 Å.
λ1 ∼
Grazie alla velocità relativa Terra-pianeta, queste righe sono piuttosto isolate dallo
spettro di assorbimento terrestre e quindi possiamo rivelarle anche da terra. Motivo per
cui si sceglie l'osservazione delle righe dell'ossigeno per le osservazioni da terra, piuttosto
che quelle di altre molecole (come
H2 O, CO2
o
CH4 ).
2.2 Assorbimento del pianeta e dell'atmosfera terrestre: la
massa d'aria
Supponiamo di osservare una sorgente luminosa in un punto ben preciso del cielo.
La
congiungente fra il punto di osservazione e l'oggetto osservato formerà un certo angolo z
rispetto allo zenit.
12
Ci chiediamo quale sia il percorso che la luce deve compiere per giungere a terra. In
altri termini vogliamo determinare dunque quale sia la massa d'aria sopra di noi.
Limitiamoci al caso semplice di atmosfera con geometria piano-parallela
denisce allora come
massa d'aria
(o
airmass )AM
def
AM =
Dove:
Detto
Rp → ∞,
si
la quantità:
1
cos z
(2.6)
z = angolo azimutale di osservazione di un oggetto in cielo
τ0 (λ)
l'assorbimento per massa d'aria unitaria (in base alla (2.6) vuol dire oggetto
allo zenith), il coeciente di assorbimento sarà allora:
τ (λ) = [τ0 (λ)]AM
(2.7)
Questo descrive l'assorbimento dello spettro della stella da parte dell'atmosfera terrestre.
Per quanto riguarda l'assorbimento del pianeta, dobbiamo calcolare la massa d'aria
del pianeta attraversata dalla luce della stella.
Supponiamo che l'atmosfera del pianeta
sia uniforme ed andiamo a determinare il valore medio della massa d'aria del pianeta.
Schematizziamo il problema come in g.2.2.
Figura 2.2: Concetto di massa d'aria
13
Con riferimento alla g.2.2 supponiamo per semplicità che il valore medio della massa
d'aria sia per:
(con : γ ∈ [0, 1])
BC = γ hp
Applichiamo il Teorema di Pitagora al triangolo
\:
OAB
(Rp + hp )2 = (Rp + γ hp )2 + x2
Risolvendo per
x
si trova:
s
1 + γ hp
x = (Rp + hp − (Rp + γ hp ) = 2 (1 − γ) Rp hp 1 +
(2.8)
2
Rp
rh
i
hp
Nell'ipotesi hp Rp , si può sviluppare in serie al primo ordine il termine:
1 + 1+γ
2
Rp ,
q
2
)2
ottenendo:
x≈
q
1 + γ hp
2 (1 − γ) Rp hp 1 +
4 Rp
(2.9)
La massa d'aria del pianeta attraversata dalla luce della stella sarà dunque calcolata in
base alla relazione:
AMplanet
2x
=
≈2
hp
s
Rp
2 (1 − γ)
hp
Rp
Imponiamo inoltre che il raggio del pianeta
1 + γ hp
1+
4 Rp
(2.10)
sia circa 100 volte più grande dello spessore
hp . Questo è ragionevole dato che nel caso della Terra Rp = 6380 km ed
hp = 80 km (no allo strato della mesosfera). Per cui: R
h earth ' 79, 75. Se supponiamo
inoltre che γ ∼ 0.5, allora per il pianeta ci aspettiamo di trovare:
atmosferico
AM planet ' 20 (con :
Rp
∼ 100)
hp
In conclusione possiamo scrivere il coeciente di assorbimento medio del pianeta
τ (λ)planet
come:
τ (λ)planet = (τ0 (λ)planet )20
Come vedremo successivamente nel cap.3 assumiamo che:
τ0 (λ)planet ≡ τ0 (λ)earth ,
nell'i-
potesi che il pianeta sia una Terra-gemella.
2.3 Calcolo del segnale osservato
Quando si studia la radiazione emessa da una sorgente luminosa, oltre a quanto visto nora,
bisogna tener conto anche della distanza fra la sorgente ed il punto di osservazione. Questo
è possibile normalizzando opportunamente lo spettro dell'oggetto osservato. Introduciamo
quindi i concetti di
assoluta.
Sia
Lλ
la
luminosità, usso di energia, magnitudine apparente
luminosità della stella.
Il
Lλ
magnitudine
usso di energia S(λ) (nelle unità siche opportune)
emesso ad una data lunghezza d'onda
osservazione, è legato ad
e
λ
dalla stella, posta a distanza
D
dal punto di
dalla relazione:
S(λ) =
Lλ
4πD2
14
(2.11)
Dove:
D =distanza della stella dal punto di osservazione (espressa in pc)
È possibile inoltre denire la
come:
Dove:
magnitudine apparente m della sorgente in funzione del usso
S(λ)
m = −2.5 log
S0 (λ)
(2.12)
S0 (λ) = usso emesso da una stella di riferimento
Per poter normalizzare lo spettro tenendo conto della distanza, dobbiamo però conoscere
la
magnitudine assoluta
dell'oggetto osservato.
Poiché la (2.12) si può riscrivere anche nella forma:
m = M + 5 (log(D) − 1)
Dove:
(2.13)
M = magnitudine assoluta della stella per una data lunghezza d'onda
Le magnitudini assolute sono catalogate per ciascuna classe spettrale di stelle, andremo
dunque ad esprimere lo spettro nale in termini di magnitudine apparente dell'oggetto
osservato.
Ai ni del nostro problema vogliamo imporre che lo spettro della stella
S(λ) abbia una
magnitudine osservata nella banda V. Sfruttando la relazione (2.13) possiamo determinare
la magnitudine apparente nella banda d'interesse:
mV = MV + 5 (log(D) − 1)
Dove:
(2.14)
D =distanza della stella dal punto di osservazione (espressa in pc)
Imponiamo che la distanza sia pari a
D = 154 a.l. ' 47 pc
(come quella fra la Terra e
HD209458), e che la stella sia una stella tipo Sole, ovvero di tipo G5 (MV
= 5.1).
Per la
magnitudine apparente della stella troviamo:
mV ∼ +7.8
Andiamo a correggere in modo opportuno lo spettro misurato a terra procedendo in
questo modo.
Innanzitutto scriviamo il usso medio misurato:
R
< S(λ) > =
S(λ) tλ dλ
R
tλ dλ
Una volta ssato il ltro utilizzato per la banda, dobbiamo tener conto anche di un
fattore correttivo per lo spettro nale che dipende dal usso di riferimento
magnitudine apparente
m
Sref
e dalla
nella banda d'interesse.
Nel caso del visibile, lo spettro normalizzato della stella è dato da:
Snorm. (λ) =
Dove:
SV, ref = 3600 Jy
m
S(λ)
− V
SV, ref 10 2,5
< S(λ) >
: usso di riferimento nella banda V
15
(2.15)
A questo punto è possibile utilizzare la relazione (2.1), una volta sostituito
posto di
S(λ),
(2.4) possiamo determinare il segnale
0
S (λ) assorbito dal pianeta.
00
S (λ) che arriva sul telescopio.
per determinare il segnale
Snorm. (λ)
al
Inne mediante la
A conclusione di questa sezione occore fare alcune osservazioni di carattere sperimentale
che risulteranno utili nella trattazione successiva.
Come spiegato più in dettaglio nel cap. 3 il segnale a ciascuna lunghezza d'onda
λ sarà
distribuito opportunamente su un certo numero di pixel. Vedremo successivamente come
questo fatto sarà importante nel calcolo del rumore associato.
Inoltre per poterci ricondurre ad un'eettiva misura di laboratorio, dobbiamo tener
conto delle dimensioni di
00
S (λ).
Infatti si può osservare che:
h
i
00
S (λ) =
erg
cm2 s µm
Dunque il numero di fotoni che arrivano sul CCD e vengono rivelati (ovvero a cui si può
associare un elettrone nel CCD) saranno espressi da una relazione del tipo:
"
Sphot. (λ) = ε
Dove:
Ephot. =
hc
λ
#
00
S (λ)
Σtel. ∆t ∆λ
Ephot.
Energia del singolo fotone; Σtel. = π d4
2
(2.16)
Supercie del telescopio;
d = diametro del telescopio; ∆t = tempo di integrazione del segnale;
∆λ = larghezza in lunghezza d'onda coperta da ciascuno dei pixel del CCD;
ε = ecienza totale del sistema.
La grandezza eettivamente misurata dal telescopio è associata al numero di conteggi per
ciascun fotone. Dovrò dunque tener conto anche del fattore di conversione
Co (λ) =
Dove:
del rivelatore:
Sphot. (λ)
g
(2.17)
Co (λ) = numero di conteggi misurati alla lungh. d'onda λ;
g = fattore di conversione (o guadagno) del rivelatore (espresso in
2.3.1
g
e−
ADU
);
Emissione di fondo e corrente di buio
Nelle relazioni che ci hanno portato ad avere i conteggi attesi
Sphot (λ)
e poi
Co (λ)
dalla
(2.17), non abbiamo considerato due importanti contributi: l'emissione di fondo, ovvero il
cielo, e la corrente di buio.
La luminosità del cielo inuisce signicativamente in un'osservazione da terra. Nella
(2.17) infatti non misuriamo soltanto i conteggi dell'oggetto osservato
l'oggetto più il fondo del cielo
Co ,
ma quelli del-
Co+s .
Dal punto di vista sperimentale dovremo selezionare una porzione di cielo non contenente oggetti ed andare a determinare i conteggi
sottratti a
Co+s
Cs .
Successimente questi dovranno essere
in modo da ottenere il segnale pulito dell'oggetto osservato.
Quando si misura l'emissione di fondo, bisogna tener conto del fatto che il cielo è
uniforme su tutto lo spettro osservato.
16
Il segnale del cielo
Ssky (λ)
dal punto di vista dimensionale è una brillanza superciale,
ovvero:
[Ssky (λ)] =
erg
cm2 s µm arcsec2
Dunque per sapere quanto vale il segnale del cielo che cade in ciascun pixel del rivelatore
è suciente moltiplicare per la dimensione del pixel e la larghezza della fenditura (entrambi
espressi in arcsec).
In analogia con quanto visto nel Ÿ2.3, si può denire i conteggi associati al cielo come:
Ss (λ)
Cs (λ) =
=ε
g
Dove:
Ssky (λ)
Σtel. ∆t ∆λ dpix df end.
Ephot.
(2.18)
dpix = dimensione del pixel (espressa in arcsec); df end = dimensione della fenditura
(espressa in arcsec)
Ss (λ) = numero di fotoni associati al cielo
L'immagine di buio invece si ottiene integrando con il CCD per un tempo identico a quello
impiegato per ottenere l'immagine ma non aprendo l'otturatore. I pozzi che costituiscono i
singoli pixels si riempiranno solo per eetto termico. Per cui il numero totale dei conteggi
associati alla corrente di buio sarà dato da:
Cdark (λ) =
N
X
Cdark (i, λ)
(2.19)
i=1
Dove:
Cdark (i, λ) = numero di conteggi sull'i-esimo pixel dovuti alla corrente di buio;
N=
numero totale di pixel del CCD
In denitiva il numero di conteggi che potremo attribuire all'oggetto osservato sarà dato
da:
Co (λ) =
N
X
[Co+s (i, λ) − Cs (i, λ) − Cdark (i, λ)]
(2.20)
i=1
Dove:
Co (λ) = numero di conteggi dell'oggetto osservato in funzione della lunghezza d'onda;
Co+s (i, λ) = conteggi dell'oggetto osservato più il contributo del cielo per ciascun
i-esimo pixel ad una data lunghezza d'onda1 ;
Cs (i, λ) = conteggi associati al cielo per ciascun i-esimo pixel ad una data lunghezza
d'onda;
Cdark (i, λ) = conteggi associati alla corrente di buio
n = numero totale di pixel dell'oggetto osservato
1
Si noti come il segnale dell'oggetto venga distribuito anch'esso su gli N pixel del CCD per una data
lunghezza d'onda λ (vedi cap. 3 per ulteriori dettagli)
17
2.3.2
Sorgenti di rumore
Il rumore associato ad un segnale tipo quello espresso nella (2.20) può essere ricondotto
alle seguenti sorgenti (vedi [6]):
• Rumore Poissoniano :
il numero di fotoni/elettroni dell'oggetto osservato è aetto
da un rumore stocastico di tipo Poissoniano. La stessa cosa vale anche per il cielo e
per la corrente di buio. Dunque si possono scrivere le seguenti relazioni:
σo+s (λ) =
q
So+s (λ)
(2.21)
p
Ss (λ)
q
σdark (λ) = Sdark (λ)
σs (λ) =
(2.22)
(2.23)
Poiché i CCD dei telescopi sono rareddati ad azoto liquido, l'eetto di rumore termico associato alla corrente di buio è trascurabile rispetto alle altre fonti di rumore.
Inoltre le uttuazioni casuali di conteggio relative all'oggetto ed al cielo sono scorrelate fra loro, per cui l'errore totale di conteggio si ottiene come somma quadratica
dei singoli errori.
• Read Out Noise :
caratterizzato da una varianza pari a
σr2o
per ciascun pixel, il
rumore di lettura del CCD dipende direttamente dall'elettronica dei componenti del
CCD e dal sistema di acquisizione ad esso connesso. All'interno di
σro
è contenuto
anche l'errore associato al troncamento delle cifre digitali con cui si esprimono i
conteggi del segnale.
A questo punto andiamo a determinare le uttuazioni associate all'oggetto osservato una
volta eliminato il cielo e la corrente di buio.
In termini di conteggi sul rivelatore, il rumore totale sarà dato dalla relazione:
σC2 o (λ) =
N
X
2
2
2
[σ(C
+ σ(C
+ σC
]
s (i, λ))
o+s (i, λ))
dark (i, λ)
(2.24)
i=1
Dove:
N=
numero di pixel su cui il segnale è distribuito
Assumendo che il cielo sia uniforme si ha che:
Cs (i, λ) = cost. = Cs
∀ i, λ
In base a queste relazioni possiamo determinare i vari termini della (2.24):
2
σo+s
=
N
X
2
σ(C
= g Co (λ) + N g Cs + N σr2o
o+s (i, λ))
(2.25)
i=1
σs2 =
N
X
2
σ(C
= N g Cs + N σr2o
s (i, λ))
i=1
18
(2.26)
Trascurando il contributo dovuto alla corrente di buio e sostituendo le relazioni (2.25),
(2.26) nella (2.24), il rumore totale per la misura di
Co (λ)
si potrà scrivere nella forma:
σC2 o (λ) = g Co (λ) + 2N g Cs + σr2o
(2.27)
Inne grazie alla (2.27) ed alla (2.20) possiamo valutare il rapporto segnale/rumore per
ciascuna lunghezza d'onda osservata a partire dalla relazione:
S
Co (λ)
Co (λ)
=
≈q
N
σCo (λ)
g Co (λ) + 2N g Cs + σr2o
(2.28)
Nelle relazioni precedenti non abbiamo tenuto conto dell'immagine di Flat-Field e del suo
contributo al rumore nale. Ovvero abbiamo supposto che le ecienze quantiche dei pixel
fossero uguali fra loro e che
σF F
fosse trascurabile rispetto alle altre sorgenti di rumore.
19
Capitolo 3
Simulazione del segnale osservato
Dallo studio di Snellen et al.
del 2013 [1] emergono alcuni risultati importanti di cui
bisogna tener conto nella fase di impostazione della nostra simulazione:
• Intervallo di lunghezze d'onda adatte allo studio dei segnali biologici ed
assorbimento tellurico :
lo scopo della simulazione è quello di ricercare l'intensità
dei segnali biologici nell'atmosfera di una terra-gemella che possa essere individuata
mediante spettroscopia ad elevata risoluzione.
Bisogna dunque porsi due questioni: quale sia l'intervallo di lunghezze d'onda dove si
riescono a distinguere le righe del pianeta e quanto inuisca l'assorbimento tellurico
dell'atmosfera terrestre.
Innanzitutto per
λ > 5 µm
c'è da tener conto del fatto che il fondo del cielo è
così intenso che risulta impossibile caratterizzare correttamente un esopianeta con
un'osservazione da terra. Inoltre le bande dell'assorbimento tellurico bloccano una
parte signicativa della radiazione del vicino I-R, escluse alcune regioni ben precise
dello spettro, come si vede nella gura 3.1.
• Assorbimento tellurico e scelta delle righe dell'ossigeno per l'indagine da
terra :
l'assorbimento tellurico è sicuramente il principale ostacolo all'osservazione
dei segnali biologici mediante osservazioni da terra. Oltretutto come viene mostrato
negli articoli di Kaltenegger & Traub [8] e di Charbonneau & Deming [9], è improbabile che le osservazioni da terra possano competere con quelle spaziali nella
localizzazione delle righe dell'
H2 O,
della
CO2
o del
CH4 .
Anche nel caso si riu-
scissero ad ottenere delle misure da terra con una precisione simile a quelle spaziali,
le dimensioni dei telescopi da terra non sono certamente paragonabili a quelle dei
telescopi spaziali.
Come abbiamo visto anche nel Ÿ2.1, l'ossigeno presenta intense bande di assorbimento per lunghezze d'onda intorno a
λ1 ∼ 0, 76 µm
e, grazie alla velocità relativa
Terra-pianeta, queste righe sono lontane dalle regioni dello spettro di assorbimento
terrestre e quindi possiamo rivelarle anche da terra.
• Caratteristiche dei sistemi stellari aventi terre-gemelle in transito nella
zona abitabile :
un ulteriore risultato è quello riportato nella tabella 3.1, dove sono
state catalogate le principali caratteristiche dei sistemi stellari aventi terre-gemelle
in transito nella loro zona abitabile.
20
Figura 3.1: Assorbimento tellurico nella banda
Stellar Type
G0-G5
M0-M2
M4-M6
Tabella 3.1:
(7550 ÷ 7730) Å
dovuto alla molecola
R∗ /RSun
M∗ /MSun
a (UA)
Ptrans.
ttrans.
Torb.
1.00
0.49
0.19
1.00
0.49
0.19
1.000
0.203
0.058
0.47 %
1.12 %
1.52 %
13 h
4.1 h
1.4 h
365.3 d
47.7 d
11.8 d
O2
Proprietà dei sistemi stellari con terre-gemelle in transito nella zona
abitabile[1]
Il primo passo è stato quello di decidere gli intervalli di lunghezze d'onda in cui eettuare
il nostro studio. Abbiamo scelto:
λ1 = [7550, 7730] Å.
Per la nostra simulazione ci siamo limitati ad un caso semplice. Abbiamo ipotizzato
che la stella fosse una nana gialla della stessa classe del Sole e che il pianeta osservato fosse
appunto una terra-gemella: quindi abbiamo utilizzato come spettro della stella quello del
1 e per l'atmosfera del pianeta lo spettro dell'atmosfera terrestre2 .
Sole
Successivamente abbiamo ricalcolato il coeciente di assorbimento atmosferico mediante le relazioni del Ÿ2.2 e, tenuto conto della banda osservata, abbiamo opportunamente
corretto il segnale rispetto a quanto visto nel Ÿ2.3.
Inoltre abbiamo supposto che fosse possibile trascurare la variazione di velocità relativa
terra-sole e stella-pianeta, in modo da non dover simulare le osservazioni nelle varie fasi
del transito. Tenendo conto che il sistema stella-pianeta si muove con velocità relativa
rispetto a noi, conosciamo anche lo spostamento Doppler
∆λ
v
delle righe osservate in base
alla (2.5).
Una volta eettuate le correzioni allo spettro, il risultato ottenuto è il segnale che raggiunge l'atmosfera terrestre. Note anche delle righe di assorbimento della nostra atmosfera,
abbiamo il segnale che giunge a terra.
1
2
http://kurucz.harvard.edu/stars/sun/
http://ether.ipsl.jussieu.fr/tapas/
21
Il passaggio successivo è stato quello di implementare le osservazioni con il telescopio.
Il segnale raccolto dal telescopio viene disperso spettralmente in modo opportuno e rivelato
mediante un rivelatore CCD (per la parte ottica) o infrarosso.
Abbiamo denito le dimensioni del rivelatore (rappresentato da una matrice di
N
di
pixel), quelle della fenditura e l'area di estrazione dello spettro.
Successivamente ci siamo concentrati sulla geometria del rivelatore e sul suo modo di
rivelare il segnale.
Abbiamo supposto che il CCD fosse una matrice bidimensionale, ed
direzione di dispersione
lungo la fenditura (es. asse Y).
abbiamo denito due direzioni del CCD: la
del segnale (es. asse X) e quella
in lunghezza d'onda
Nello specico il segnale viene distribuito lungo la direzione X secondo lo spettro, e
lungo la fenditura secondo la risposta strumentale delle ottiche del sistema.
Poiché la
sorgente osservata è una stella, essa avrà dimensoni molto più piccole di quelle misurabili
dal telescopio. L'immagine della sorgente lungo la fenditura sarà pertanto quella di una
sorgente puntiforme (o Point Spread Function).
3
Abbiamo supposto che la PSF fosse descrivibile mediante una funzione gaussiana :
P SF =
Dove:
σ=
FWHM(PSF)
2.355
;
1
√
2π σ
r2
e− 2σ2
(3.1)
r = distanza dal centro della fenditura lungo la fenditura stessa
F W HM(P SF ) = Full Width at Half Maximum della PSF
Per determinare la
F W HM(P SF )
bisogna tener conto di un fatto importante. In assenza
di sistemi opportuni i telescopi sono limitati per via del seeing. Questo comporta che la
F W HM(P SF )
sia dell'ordine di
∼ (0.05 ÷ 1)00 .
Esistono sistemi di Ottiche Adattive che
consentono di ottenere osservazioni al limite di dirazione, correggendo il disturbo atmosferico, causa del seeing. Questi però al massimo funzionano solo nella banda infrarossa ed
in special modo oltre
∼ 1.5 µm.
È presumibile che nei prossimi anni si riesca ad ottenere
la correzione con le ottiche adattive no alla banda R, ovvero no ad oltre
∼ 0.6 µm.
I telescopi futuri, come E-ELT, sono stati progettati con lo scopo di raggiungere il
limite di dirazione sfruttando al massimo le ottiche adattive. In questi casi è possibile
denire la FWHM della PSF grazie alla relazione:
F W HM(P SF ) &
Dove:
λ̄
dtel.
(3.2)
dtel. = diametro telescopio;
λ̄ = lunghezza d'onda media delle osservazioni
Nella (3.2) la
F W HM(P SF )
rad. Ai ni pratici conviene esprimerla in arcsec.
' 4.8 · 10−6 rad
dtel. ' 39 m, nell'ipotesi che λ̄ ∼ 7600 Å si ha che:
è espressa in
00
Basterà sfruttare l'equivalenza: 1
Per un telescopio del diametro
F W HM(P SF ) & 1.9 · 10−8 rad = 0.003900
3
Con una PSF puntiforme il nostro segnale cadrebbe solo in un pixel lungo la fenditura ed il nostro
spettro sarebbe stato solo su una riga del CCD
22
Assumiamo che
F W HM(P SF ) ∼ 0.0200
per tener conto di eventuali correzioni non
ottimali delle ottiche adattive.
Inoltre le dimensioni di ciascun pixel
dpixel
e della fenditura
df end.
dipenderanno dalla
PSF, ovvero dalle dimensioni del telescopio. Per poter campionare bene la PSF abbiamo
supposto che:
df end. = F W HM(P SF ) ; dpixel =
1
F W HM(P SF )
2
Inne abbiamo estratto lo spettro nale seguendo quanto visto nel cap.2, tenendo conto
anche del segnale di fondo, della corrente di buio e del rumore.
Nella simulazione del segnale proveniente da un esopianeta abbiamo considerato le caratteristiche del modello descritto nel capitolo precedente e l'abbiamo resa sucientemente
versatile per adattarsi alle situazioni pratiche.
Per questo motivo le procedure che implementate in IDL si sono basate su due principi:
semplicità e dinamicità. La loro semplicità sta nel fatto che sono costituite da poche righe
di codice mediante le quali si ottiene lo scopo voluto dopo un numero di calcoli non troppo
elevato.
Inoltre si è preferito costruire tante piccole funzioni da richiamare nel programma nale,
così da rendere più dinamica tutta la procedura.
Di seguito nella tabella 3.2 elenchiamo i parametri scelti per la nostra simulazione,
mentre nella tabella 3.3 le caratteristiche dei telescopi scelti nelle nostre misure.
Come si nota dalla tabella 3.3, per entrambi i telescopi si è assunta la stessa risoluzione
spettrale (R=100000).
Parametri
R∗ /Rsun
Rp /REarth
hp /hEarth
AMplanet
AMEarth
D
v
1.00
1.00
1.00
17.9446
1.2
47 pc
50 km/s
Tabella 3.2: Parametri del problema
23
Telescopio 1 (8m): Limitato dal seeing
Diametro
8m
g
E.tot.
N.pix (lungo fend.)
N. pix (direz. dispersione)
F W HM(P SF )
Dispersione (Å/pix)
Ris. spettrale
20%
(e/ADU)
5
100
00
0.5
Dim. fend.
Scala fend.
00
0.01
R = 100000 → ∆λ = 0.076 Å
0.1
5
Dark current (e/sec/pix)
00
0.5
18000
0.3 /pix
R.O.N. (in el.)
Telescopio 2 (8m): Limitato per dirazione
Diametro
E. tot.
N.pix (lungo fend.)
N. pix (direz. dispersione)
F W HM(P SF )
Dispersione (Å/pix)
Ris. spettrale
8m
g
(e/ADU)
5
20%
100
00
0.06
Dim. fend.
00
Scala fend.
0.01
R = 100000 → ∆λ = 0.076 Å
0.1
5
Dark current (e/sec/pix)
00
0.06
18000
0.03 /pix
R.O.N. (in el.)
Telescopio 3 (39m)
Diametro
39 m
g
(e/ADU)
5
E. tot.
N.pix (lungo fend.)
N. pix (direz. dispersione)
F W HM(P SF )
Dispersione (Å/pix)
Ris. spettrale
20%
00
0.02
Dim. fend.
00
0.02
Scala fend.
00
0.01 /pix
100
18000
0.01
R = 100000 → ∆λ = 0.076 Å
5
5
R.O.N. (in el.)
R.O.N. (in el.)
Tabella 3.3: Caratteristiche dei telescopi
24
Capitolo 4
Risultati della simulazione e
conclusioni
4.1 Risultati
Abbiamo supposto di osservare una Terra-gemella orbitante attorno ad una stella di tipo
Sole con un telescopio avente le caratteristiche espressa nella tabella 3.3. Inoltre dobbiamo
considerare il fatto che il transito può avvenire solo una volta all'anno e con una durata
molto ridotta: 13 h circa (vedi tabella 3.1).
Mostriamo i risultati dell'osservazione dello spettro di assorbimento della Terra-gemella
nelle due bande dell'O2 dopo un unico transito.
Nella migliore delle ipotesi potremo
eettuare un'osservazione della durata massima di 8h (corrispondente alla durata della
notte).
Descriviamo nel dettaglio ciò che viene mostrato nelle gure 4.1-4.4.
Si eettua l'osservazione dello spettro della stella durante il transito del pianeta.
Il
rumore è dominato dal rumore poissoniano della stella stessa, è poi possibile ottenere lo
spettro della stella non assorbito dal pianeta. Si può pensare che il rumore dello spettro
non assorbito sia trascurabile rispetto a quello associato allo spettro assorbito, in quanto
sarà possibile integrare il segnale per un tempo molto lungo.
A questo punto calcoliamo il rapporto spettro assorbito/non assorbito e ci sottraiamo la
mediana. Inne abbiamo moltiplicato il tutto per un fattore
106 ,
allo scopo di evidenziare
il segnale che andiamo a cercare, ovvero le righe di assorbimento dell'O2 dell'atmosfera del
pianeta.
Analizziamo innanzitutto ciò che si può osservare con un telescopio da 8 m. Abbiamo
1
considerato sia un telescopio di 8m limitato dal seeing, che uno limitato dalla dirazione .
1
Nelle gure le bande grigie indicano le regioni dove l'assorbimento atmosferico terrestre è quasi totale
e dove quindi non possiamo eettuare delle osservazioni.
25
Figura 4.1: Osservazione breve (toss.
= 8h)
con telescopio da 8m
E' evidente che con una singola osservazione il segnale è completamente dominato dal
rumore. In gura 4.2 mostriamo anche il risultato della singola osservazione per il telescopio
da 39 m.
26
Figura 4.2: Osservazione breve (toss.
= 8h)
con telescopio da 39 m
Andiamo a determinare il rapporto S/N nel seguente modo. Dagli andamenti mostrati
nelle gure 4.3 e 4.4, possiamo denire due intervalli di lunghezze d'onda utili al calcolo
[7560, 7590]Å e [7670, 7680]Å.
e
S(λ)
il segnale riportato nei graci delle gure 4.1-4.4. Nell'intervallo di lunghezze
d'onda λ = [7670, 7680]Å ci aspettiamo di trovare il segnale del pianeta. Questo intervallo
è stato scelto così stretto tenendo conto che per le lunghezze d'onda λ ≤ 7670Å abbiamo
del rapporto segnale rumore S/N:
Sia
molte righe di assorbimento atmosferico.
Oltretutto in questa regione si riesce bene ad
indenticare la riga assorbita, dato che non c'è saturazione del segnale, ovvero le righe non
risultano semplicemente appiattite sul fondo.
Calcolando il valor medio di
e
S(λ)
in questo intervallo, otteniamo una stima di S. Ovvero:
e
S =< S(λ)
>
per : λ = [7670, 7680]Å
λ = [7670, 7680]Å, invece, non ci aspettiamo righe del pianeta, quindi
e
S(λ)
dovrebbe essere nullo, più precisamente la media dei pixel (ovvero dei canali
Nell'intervallo di
il segnale
spettrali) in questo intervallo è nulla. Possiamo allora determinare la standard deviation
per pixel E, quindi stimare il rumore sul segnale sfruttando la relazione:
E
σ=√
N
Dove:
E = standard deviation per pixel per λ = [7560, 7590]Å
N = numero di pixel
In entrambi gli intervalli di lunghezze d'onda, come abbiamo detto, escludiamo dal calcolo
il segnale che cade sui pixel che stanno sotto le righe grigie mostrate nelle gure 4.1-4.4,
ovvero dove c'è l'assorbimento atmosferico. Possiamo dunque stimare il rapporto segnale
rumore S/N.
27
Questo metodo è comunque molto semplice e serve a dare un valore indicativo del
rapporto S/N. Il valore ottenuto è molto probabilmente sovrastimato, perché non tiene
conto di una serie di errori sistematici, come ad esempio quelli legati al at eld o alla
cancellazione dell'atmosfera terrestre.
E' possibile fare stime più ranate tenendo conto della signicatività del segnale, ma
questo va oltre gli scopi del presente lavoro di tesi.
Figura 4.3: Osservazione per lunga durata con il telescopio da 8m (limitato per dirazione)
28
Figura 4.4: Osservazione per lunga durata con il telescopio da 39 m
Riportiamo brevemente i risultati dei rapporti S/N ottenuti per il telescopio da 8m
(limitato in dirazione) e per quello da 39m:


0.87
S
' 4.5
N 8m 

18.3


1.5
S
' 37.2
N 39m 

173.5
29
toss = 8h
toss = 80h
toss = 800h
toss = 8h
toss = 80h
toss = 800h
Anché il rapporto S/N diventi sucientemente alto è necessario un numero di osservazioni elevate (∼
100).
Possiamo inoltre osservare che con il telescopio da 39 m si può
arrivare ad avere un rapporto S/N abbastanza buono già dopo 10 osservazioni, anche se
per una rivelazione non ambigua ce ne vogliono almeno 100.
Dunque il numero di misure da eettuare è eccessivo considerata la frequenza di transito: poiché questo può avvenire solo una volta l'anno, bisognerebbe ripetere le osservazioni
per 100 anni (vedi gura 4.4).
Alla luce dei dati relativi al periodo orbitale per i pianeti orbitanti attorno a stelle di
altro tipo (vedi tabella 3.1) è lecito attendersi un miglioramento di queste misure. Anche
se la durata del transito diminuisce, la frequenza di transito è incrementata notevolmente:
8 volte per i pianeti attorno a stelle di tipo M0-M2, circa 30 volte per quelli attorno a stelle
di tipo M4-M6. Inoltre queste stelle sono molto più piccole del Sole, e questo incrementa
il valore del rapporto fra il raggio del pianeta ed il raggio della stella. E ciò inuisce molto
sul segnale assorbito dal pianeta determinato mediante la relazione (2.1).
Con riferimento alla tabella 3.1 si può vedere che:


9.18
Rp
' 18.7

R∗

48.3
per : Rp = REarth , R∗ = RSun
per : Rp = REarth , R∗ = R(M 0−M 2) ∼ (0.49) RSun
per : Rp = REarth , R∗ = R(M 4−M 6) ∼ (0.19) RSun
Riassumiamo brevemente i risultati ottenuti:
1.
Scelta del telescopio per le misure :
il miglior telescopio in grado di eettuare
misure di questo tipo è un telescopio da 39 m di diametro limitato in dirazione.
2.
Limiti di misura per un sistema Terra-gemella stella tipo Sole :
nel caso
di una terra-gemella orbitante attorno ad una stella tipo Sole, abbiamo potuto constatare che rivelare la presenza di ossigeno nella sua atmosfera richiede una misura
eccessivamente prolungata nel tempo (circa 100 anni), data la bassa frequenza di
transito.
3.
Sistemi planetari attorno a stelle di altro tipo :
tenendo conto dei dati rela-
tivi ai sistemi planetari orbitanti attorno a stelle di tipo M0-M2, M4-M6, possiamo
concludere che il metodo utilizzato sarà sicuramente più ecace per individuare la
presenza di ossigeno per questi sistemi.
4.2 Considerazioni nali
In questo lavoro di tesi abbiamo dimostrato come sia possibile osservare la presenza di
ossigeno nell'atmosfera di una Terra-gemella orbitante attorno ad una stella tipo Sole e
quali siano i limiti di una misura di questo tipo.
Innanzitutto è evidente che per questo tipo di misure occorre un telescopio dal diametro
molto grande. Con i telescopi attuali (anche come quelli tipo VLT dal diametro di 8m)
non si riesce a raggiungere un livello ottimale di rapporto S/N neanche dopo molti transiti.
Questo è principalmente dovuto all'area di raccolta del telescopio stesso.
Infatti, anche
nell'ipotesi di telescopio da 8m limitato per dirazione, gli andamenti del segnale nelle
gure 4.2 e 4.4 sono piuttosto eloquenti: con un telescopio da 8m, dopo 100 osservazioni,
si riesce ad osservare un segnale che è al di poco superiore, come qualità, di quello che si
30
ottiene dopo una sola misura con il telescopio da 39 m. Soltanto telescopi molto grandi
saranno in grado di raggiungere i nostri scopi.
Un ulteriore risultato riguarda i limiti raggiungibili nelle osservazioni di sistemi terregemelle stelle tipo Sole. Andare a determinare la presenza di ossigeno in questi sistemi,
vuol dire impiegare una grande quantità di tempo. Risultati abbastanza soddisfacenti si
ottengono dopo 100 anni di misura.
Questo è dovuto al fatto che il periodo orbitale è
pari ad un anno solare. È lecito attendersi che la situazione migliori per pianeti in orbita
attorno a stelle più piccole, poiché aumenta la loro frequenza di transito e il rapporto fra
il raggio del pianeta e quello stella.
Alla luce del fatto che questi risultati sono consistenti con quelli di Snellen et al.
[1], il sistema adottato è dunque valido per determinare i limiti nell'osservazione dell'O2
nell'atmosfera di un esopianeta.
Un immediato sviluppo possibile è quello di adottare il metodo per determinare la
cross-correlazione fra lo spettro osservato con il pianeta diviso lo spettro della stella non
assorbito e lo spettro teorico dell'O2 .
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Bibliograa
[1] I. A. G. Snellen, R. J. De Kook, M. Brogi et al.,
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[2] P.Monaco,
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[3] A.Santerne et al.,
physics
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545:A76, 2012
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[4] F. T. O'Donnovan, D. Charbonneau et al.,
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[5] J. Steen et al.,
644 (2):
1237-1245, 2006
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Soc., 2012
[6] A.Righini, M. Romoli,
Esperienza del diagramma HR (dispense Esperimentazioni IIIB),
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[7] J. Binney, M. Merrield,
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[8] L. Kaltenegger, W. A. Traub,
698, 519, 2009
Transits of Earth-like Planets, The Astrophysical Journal,
[9] D. Charbonneau, D. Deming,
Exoplanets, 2007
The Dynamics-Based Approach to Studying Terrestrial
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