1 IL CAMPO ELETTROSTATICO 2 La legge di Coulomb

1
IL CAMPO ELETTROSTATICO
La conoscenza dei fenomeni elettrici e magnetici, nella forma presentata in
questo corso, è relativamente recente. Tuttavia, fenomeni legati all’elettricità
ed al magnetismo erano noti anche ai popoli della Grecia che già conoscevano la resina fossile, detta ambra e la magnetite. Per arrivare ad una prima
conoscenza dei fenomeni magnetici come li intendiamo oggi bisogna attendere
il libro dell’inglese William Gilbert, del 1600. In esso si parla del magnetismo
terrestre e dell’orientamento degli aghi magnetici, nonché dell’elettricità per
strofinio. La nascita dell’elettricità moderna si fonda, in ogni caso, sui lavori del
francese Charles Augustin Coulomb (1736-1806).
La storia dell’elettricità e del magnetismo, come tutte le storie relative al
progresso della conoscenza umana, non è mai il contributo di pochi ed è di!cile
compendiare gli sforzi dei molti che ci hanno consegnato i loro risultati. In
particolare, vogliamo rilevare che la storia dell’elettricità e del magnetismo si
è mescolata con la storia della costituzione della materia e con la storia della
natura della luce.
Durante questo corso conosceremo alcuni dei protagonisti ed il lavoro da
essi svolto. Non procederemo in maniera storica, perché un tale approccio non
spetta a questo corso, ma partiremo quasi dalla fine, ovvero dalla costituzione
della materia, in una forma semplificata.
Tutti i corpi sono costituiti di atomi. Gli atomi sono costituiti da un nucleo,
ove risiedono i neutroni ed i protoni, e da elettroni che sono localizzati intorno
al nucleo. Questo modello fu proposto nel 1917 dall’inglese Rutherford e dal
danese Bohr. Elettroni e protoni posseggono una carica elettrica che indicheremo, rispettivamente, con th e ts . Per convenzione, la carica dell’elettrone è
stata assunta negativa. Il protone, possiede una carica di valore pari a quella
dell’elettrone ma di segno opposto; la carica dell’elettrone e del protone è detta
carica fondamentale o lementare e il suo valore è
th = 1> 6 × 1019 F
ts = 1> 6 × 1019 F
dove F sta per Coulomb, ed è l’unità di misura della carica elettrica, nel
Sistema Internazionale. Un corpo è carico quando vi è un eccesso di cariche
positive o negative. Tutti i corpi carichi risultano avere una carica che è un
multiplo intero della carica fondamentale.
L’elettrone fu scoperto nel 1897 dall’inglese Joseph John Thomson (18561940).
2
La legge di Coulomb
Il contributo più rilevante di Coulomb è stato la determinazione, per via sperimentale, di quella che oggi è nota come legge di Coulomb (1785). In particolare,
essa stabilisce che due corpi carichi puntiformi, posti nel vuoto ad una distanza
1
r, esercitano l’uno sull’altro una forza la cui intensità, è data da
T1 T2
u2
dove T1 e T2 sono le cariche possedute dai corpi e n0 è una costante, detta
costante di Coulomb, che nel Sistema Internazionale vale circa
I0 = n0
Q p2
F2
La direzione della forza I0 è lungo la congiungente i due corpi e risulta attrattiva,se le due cariche sono di segno opposto, o repulsiva, se sono dello stesso
segno:
n0 = 9 × 109
Nel Sistema Internazionale si usa riscrivere la costante n0 nel modo seguente
1
40
dove 0 è una costante, detta costante dielettrica del vuoto, (o permettività
assoluta del vuoto). Il suo valore, nel Sistema Internazionale è circa
n0 =
0 = 8> 9 × 1012
2.1
F2
Q p2
Il campo coulombiano
Si considerino due cariche puntiformi, T e t ed un sistema di riferimento con
l’origine sulla carica T. Secondo la legge di Coulomb, sulla carica puntiforme t
verrà esercitata, da parte della carica puntiforme T, una forza la cui espressione
è
F0 = ±n0
Tt
uu
u2
(1)
dove uu è il versore del vettore posizione
r
u
Nella (1) il segno positivo va preso se le due cariche sono dello stesso segno,
mentre il segno negativo va preso se le due cariche hanno segno opposto.
uu =
2
Assumeremo, in tutta la restante sezione, che entrambe le cariche siano
positive. Il vettore
E=
F0
t
(2a)
è detto campo elettrico generato dalla carica T. Usando la (1), possiamo
ottenere la forma esplicita del campo:
T
uu
(2b)
u2
Come si vede, il campo elettrico dipende dalla carica T e dalla sua distanza
dalla carica t.
E = n0
Indipendentemente dalla presenza eettiva della carica t, ad ogni punto dello
spazio intorno alla carica T si può associare un vettore, la cui direzione è lungo
la congiungente la carica T e la carica t, il cui verso è quello del versore posizione
e la cui intensità è data da
H = n0
3
T
u2
(3)
L’insieme dei vettori associabili ai punti dello spazio, con le modalità appena
descritte, costituiscono il campo coulombiano della carica puntiforme T. L’unità
di misura del campo elettrico è quella di una forza per unità di carica
[H] =
[i ru}d]
Q
=
[fdulfd]
F
Un tipico valore del campo elettrico è 104 Q@F.
Il campo coulombiano generato da T non dipende dalla carica t. Tuttavia, per misurare il campo coulombiano E0 , dobbiamo, secondo la (2), prima
conoscere la forza F0 agente sulla carica t e poi dividere la forza stessa per
il valore di t. Per evitare che ci sia una dipendenza dalla carica, t usata per
determinare il campo coulombiano, occorre che essa sia una carica di prova.
Per carica di prova si intende una carica che sia puntiforme e su!cientemente
piccola se paragonata con T, in maniera tale che il campo coulombiano di T
non sia modificato apprezzabilmente da essa. Allora, possiamo scrivere
E=
F0
T
= n0 2 uu
t
u
t¿T
(4)
La carica di prova sarà indicata con t e assunta sempre positiva.
Una volta determinato il campo coulombiano di una carica puntiforme T,
usando la carica di prova, possiamo determinare la forza esercitata dalla carica
T su una qualunque carica puntiforme T1 ; basterà moltiplicare il campo, dato
dalla (4), per la quantità T1 :
F0 = T1 E
(5)
Se la carica T non è nell’origine, ma occupa una posizione r1 , allora il campo
elettrico da essa generato nel punto P, la cui posizione è r, sarà:
E (r) =
2.2
1
T
(r r1 )
4%0 |r r1 |3
(6)
Uso delle coordinate cartesiane
In maniera esplicita, ora otterremo i risultati in forma generale, ma usando le
coordinate cartesiane.
4
Con riferimento alla figura, il campo elettrico coulombiano in S dovuto alla
carica T è
E0 = n0 T
1
uU
U2
dove
r r1 = R
Introducendo le coordinate cartesiane dei punto S e T :
r1 = {1 u{ + |1 u| + }1 u}
r = {u{ + |u| + }u}
troviamo
R = ({ {1 ) u{ + (| |1 ) u| + (} }1 ) u}
e
|R|2 = ({ {1 )2 + (| |1 )2 + (} }1 )2
Inoltre, poiché
uU =
R
|R|
avremo
uU =
({ {1 ) u{ + (| |1 ) u| + (} }1 ) u}
q
2
2
2
({ {1 ) + (| |1 ) + (} }1 )
In definitiva, il campo coulombiano sarà dato
E0 = n0 T
({ {1 ) u{ + (| |1 ) u| + (} }1 ) u}
2
2
2 3@2
[({ {1 ) + (| |1 ) + (} }1 ) ]
Se la carica Q è posta nell’origine del sistema di riferimento avremo
5
E0 = n0 T
3
{u{ + |u| + }u}
[{2 + | 2 + } 2 ]3@2
Il campo prodotto da più cariche puntiformi
Vale, per il campo elettrico, il seguente principio di sovrapposizione:
Il campo elettrico di due o più cariche puntiformi è uguale al vettore somma
dei campi elettrici di ognuna di queste cariche prese separatamente.
In forma matematica scriveremo, per Q cariche puntiformi :
E=
Q
X
Eq
(1)
q=1
ovvero
E=
Q
1 X Tq
(r rq )
40 q=1 |r rq |3
(2)
dove Tq è la carica posta nella posizione rq ed r è la posizione del punto P, in
cui si vuole calcolare il campo coulombiano.
4
Le linee di forza del campo elettrostatico
Per visualizzare il campo si usa introdurre le linee di forza del campo. Una
tale descrizione, precisiamo subito, è solo approssimativa e serve solo ad avere,
al livello in cui opereremo, un aiuto "visivo" alla nostra rappresentazione del
campo. Una linea di forza di un campo elettrico è una linea che ha per tangente
in ogni suo punto un vettore che coincide con il campo nel punto considerato.
Le linee di forza di cariche puntiformi positive e negative sono mostrate
sotto. Esse sono sempre dirette dalle cariche positive (da cui "escono") a quelle
6
negative (in cui "entrano"). Esempi di linee di forza di cariche positive e negative
sono mostrate nella figura sotto:
Il verso delle linee di forza si comprende immaginando nei vari punti la carica
di prova. Si può immaginare che il numero di linee di forza sia proporzionale
all’intensità del campo e quindi visualizzare una maggiore o minore intensità del
campo, in una certa regione, aumentando o diminuendo, rispetto ad un’altra
regione il numero di linee di forza. In ogni caso, non bisogna dimenticare che il
campo è una funzione continua dello spazio e quindi l’uso, naturalmente discreto
delle linee di forza, può essere fuorviante.
Un modo analitico per determinare le linee di forza, ovvero per determinare
le equazioni di tali linee è quello di usare la condizione di parallelismo tra il
campo E e la tangente dl alla linea di forza in un punto:
E a dl =0
ovvero, in termini di componenti
g{
g|
g}
=
=
H{
H|
H}
5
Esempi
Esempio 1:Si determini il rapporto tra la forza di Coulomb e la forza gravitazionale che un protone esercita su un elettrone.
Ambedue le forze sono attrattive. La forza di Coulomb esercitata dal protone
sull’elettrone è data da
Ts Th
u2
dove n0 è la costante di Coulomb ed r la distanza tra le due cariche. La forza
gravitazionale esercitata dal protone sull’elettrone è data da
I0 = n0
Ps Ph
u2
dove G è la costante di gravitazione universale ed Ps ed Ph la massa del
protone e dell’elettrone, rispettivamente. Facendo il rapporto tra le due forze
IJ = J
7
n0 Ts Th
I0
=
IJ
J Ps Ph
e sostituendo i valori numerici (Ps = 1> 7 × 1027 nj> Ph = 9> 1 × 1030 nj) e
(J = 6> 7 × 1011 Q p2 @nj 2 > Tl = 1> 6 × 1019 F) alle varie quantità , si trova
I0
= 2> 3 × 1039
IJ
La forza di Coulomb è enormemente più intensa della forza gravitazionale.
Esempio 2: Trovare il campo coulombiano nel punto S di coordinate (0,0,5)
prodotte da due cariche puntiformi di uguale valore, T1 = T2 = T poste nei
punti di coordinate (3,0,0) e (0,4,0).
Poiché
r1 = {1 u{ + |1 u| + }1 u}
r2 = {2 u{ + |2 u| + }2 u}
r = {u{ + |u| + }u}
troviamo
r1 = 3u{
r2 = 4u|
R1 = r r1 = (3) u{ + (5) u}
q
s
2
2
|R1 | = (3) + (5) = 34
R2 = r r2 = (4) u| + (5) u}
q
s
2
2
|R2 | = (4) + (5) = 41
Inoltre, poiché
r r1
|r r1 |
uR2 =
r r2
|r r2 |
(3) u{ + (5) u}
s
34
uR2 =
(4) u| + (5) u}
s
41
uR1 =
avremo
uR1 =
r = 5u}
8
Il campo coulombiano in P, dovuto alla carica T1 , sarà dato da
E1 = n0 T
1
(|R1 |)2
uR1
e quello dovuto alla carica T2 sarà dato da
E2 = n0 T
1
2 uR2
(|R2 |)
Usando le relazioni precedenti troviamo
E1 = n0 T
3u{ + 5u}
E2 = n0 T
3@2
(34)
4u| + 5u}
(41)3@2
Il campo risultante sarà
E = E1 + E2 = n0 T (0> 01u{ 0> 01u| + 0> 04u} )
Esempio 3: Due cariche T1 = 50F e T2 = 10F sono poste nei punti di
coordinate (1> 1> 3) p e (3> 1> 0) p. Si determini la forza agente su T1 .
Possiamo scrivere i vettori posizione delle due cariche, avendo le componenti,
come
r1 = u{ + u| 3u}
r2 = 3u{ + u|
da cui, facendo la semplice dierenza delle componenti omologhe, avremo
p
R = r1 r2 = 4u{ 3u}
|R| = 42 + 32 = 5
Infine
uR =
La forza agente su T1 sarà
F12 =
1
r1 r2
= (4u{ 3u} )
|r1 r2 |
5
1 T1 T2
uR = 0> 18 (0> 8u{ 0> 6u} ) Q
2
40 u12
Esempio 4: (Dipolo elettrico) Due cariche, uguali ma di segno opposto, sono
tenute ferme lungo l’asse z, ad una distanza o, uguale per entrambe, dall’origine
del sistema di riferimento. Si determini il campo E in un punto P dell’asse y.
9
Nella figura precedente, con E+ ed E abbiamo indicato il campo elettrico generato in S dalle cariche positiva e negativa rispettivamente. Il campo
generato dal dipolo in un punto arbitrario S è in generale, come mostreremo
successivamente, abbastanza complesso. Qui la semplicità del calcolo è realizzata mediante la limitazione al solo asse y, che è un asse di simmetria per le due
cariche.
Il campo H+ generato dalla carica T è repulsivo, mentre il campo H è
attrattivo. La distanza g, di S da T, è uguale alla distanza di S da (T) ed
entrambe sono uguali a
g2 = o2 + | 2
(1)
I due campi hanno uguale intensità:
H+ = H =
1
|T|
40 o2 + | 2
(2)
Le componenti lungo l’asse y sono uguali e di segno contrario. Le componenti
lungo l’asse z sono uguali e dello stesso segno; il loro modulo è, rispettivamente:
o
H+>} = H+ cos = H+ p
2
o + |2
o
H>} = H cos = H p
2
o + |2
allora, la risultante componente lungo l’asse } è
H} = H+>} + H>} =
2
|T| o
40 (o2 + | 2 )3@2
(3)
Nel caso in cui | À o (approssimazione di dipolo), si può trascurare o2 nel
denominatore e la precedente relazione diventa
H} =
2 |T| o
40 | 3
10
(4)
Se introduciamo la quantità gT
gT = 2oT
(5)
detta, momento di dipolo elettrico, avremo
H} =
1 gT
40 | 3
(6)
Esempio 5: Moto in un campo elettrico longitudinale.
Con riferimento alla figura precedente, determinare la velocità di arrivo
dell’elettrone sullo schermo, sapendo che il campo elettrico uniforme è presente
solo nel tratto g .
Il teorema dell’energia cinetica, nel tratto g, si scrive
th Hg =
da cui
yi =
1
1
Ph yi2 Ph y2
2
2
r
y2 +
2th Hg
Ph
Poiché nel tratto o il moto è rettilineo uniforme, la precedente espressione rappresenta anche la velocità di arrivo sullo schermo.
Esempio 6: Moto in un campo elettrico trasverso; Determinare il punto di
arrivo sullo schermo dell’elettrone mostrato nella figura seguente e calcolarela
velocità con cui vi arriva
11
Le equazioni utili sono
Ph d| (w) = th (H)
Ph d{ (w) = 0
da cui
y{ (w) = y
y| (w) =
{ (w) = yw
th H
w
Ph
$
| (w) =
1 th H 2
w
2 Ph
Eliminando il tempo tra le equazioni delle coordinate si ottiene
|=
1 th H 1 2
{
2 Ph y 2
(1)
che è l’espressione di una parabola. Poiché, dopo aver attraversato il tratto
g la particella si muove di moto rettilineo uniforme, la velocità di arrivo sullo
schermo è uguale alla velocità di arrivo in k. Il valore di h è
k=
1 th H 1 2
g
2 Ph y 2
(2)
La velocità in k avrà un modulo che otterremo dal teorema dell’energia cinetica
Z
1
1
F · gr = Ph yi2 Ph y 2
2
2
Poiché
avremo
Z
F · gr =
Z
I{ g{ + I| g| =
Z
I| g| = th Hk
1
1
Ph yi2 = Ph y 2 + th Hk
2
2
da cui
yi =
r
y2 + 2
12
th Hk
Ph
(3)
Per ottenere la direzione della velocità basta trovare la tangente alla traiettoria,
nel punto di coordinate (g> k). Facendo la derivata della (1), si trova
g|
th H 1
=
{
g{
Ph y2
Ponendo { = g, si ottiene
tan =
th H 1
g
Ph y2
(4)
Rimane la determinazione di k1 . Geometricamente, si ha
k1 = k + o tan da cui
k1 =
th H 1
th H g
1 th H 1 2
g +o
g=
2
2
2 Ph y
Ph y
Ph y 2
13
µ
g
+o
2
¶
(5)
1
IL CONCETTO DI POTENZIALE
Argomento di questo capitolo è il concetto di lavoro in elettrostatica. Conviene
ricordare alcune delle considerazioni svolte sul concetto di lavoro in meccanica.
Abbiamo imparato nel corso di Meccanica che vi sono alcune forze, dette conservative, il cui lavoro non dipende dalla conoscenza della traiettoria del corpo,
ma solo dalle posizioni iniziali e finali, come per esempio la forza di gravitazione
universale, la forza peso e la forza elastica. Per tali forze, abbiamo definito
un’energia potenziale: Un punto materiale che si muove sotto l’azione di una
forza conservativa passa attraverso i diversi punti dello spazio cui è associato
un ben determinato valore della funzione energia potenziale, U (r). Il valore che
viene associato al generico punto rD è uguale al lavoro che la forza compie sul
punto materiale per spostarlo dal punto A ad un altro O, preso come punto di
riferimento per A e tutti gli altri punti dello spazio in cui agisce la forza. Allora
per le forze conservative è possibile definire la seguente funzione
U (rD ) U (D) = O (D $ R)
(1)
Se B è un altro punto dello spazio
U (E) = O (E $ R)
Scegliendo una traiettoria che vada da A a B, passando anche per O, possiamo scrivere
U (D)U (E) = O (D $ R)O (E $ R) = O (D $ R)+O (R $ E) = O (D $ E)
(2)
cioè
O (D $ E) = U (D) U (E) U
(3)
Il lavoro per spostare un punto materiale da A a B è, nel caso di forze
conservative, uguale alla variazione di energia potenziale cambiata di segno.
Passiamo al caso di campi elettrici. Supponiamo di avere un campo elettrico
E. La forza agente su di una carica di prova t è
F0 = tE
(4)
Se la forza è conservativa, possiamo associare ad ogni punto dello spazio ove
agisce il campo un’energia potenziale elettrostatica nel modo seguente:
Z 0
U (D) = OF0 (D $ 0) = t
E · gr
(5)
D
dove 0 è il punto di riferimento sopra descritto. Si definisce potenziale in A
il lavoro fatto dal campo sulla carica unitaria.
R0
Z 0
t D E·gr
Y (D) =
=
E·gr
(6)
t
D
1
Se si ha un secondo punto si avrà
Y (E) =
Z
0
E·gr
E
e la dierenza di potenziale tra i due punti sarà
Y (E) Y (D) =
Z
0
E·gr
Z
0
D
E
E·gr = Z
E
E·gr
(7)
D
Nel prosieguo, sostituiremo gr con gl,
Y (E) Y (D) = Z
E
E·gl
(8)
D
Il vettore infinitesimo gl, è in ogni punto tangente ad una ”linea”, o che può
essere una traiettoria di una particella reale o un ipotetico percorso.
2
Il potenziale coulombiano
Abbiamo imparato nel capitolo precedente che le proprietà dello spazio intorno
ad una carica puntiforme sono determinate dalla conoscenza del campo elettrico
coulombiano in ogni punto dello spazio. Ora mostreremo che il metodo alternativo per avere informazioni sullo spazio in cui è presente un campo coulombiano
è conoscere il potenziale, ad esso associato, in ogni punto dello spazio. Lo scopo
di questo paragrafo è la determinazione dell’espressione di questo potenziale
coulombiano.
Proviamo a calcolare la dierenza di potenziale tra due punti dello spazio
in cui è presente una carica puntiforme T. In particolare, calcoliamo il secondo
membro della seguente relazione
Y (E) Y (D) = Z
E
E·gl
D
nel caso di un campo generato la carica puntiforme T è posta nell’origine
di un sistema di riferimento.
2
Sostituendo l’espressione del campo elettrico coulombiano, per una carica
posta nell’origine, nell’integrando della precedente relazione, avremo
Y (E) Y (D) = Z
E
n0
D
T
uu ·gl
u2
dove uu è il versore radiale del campo e gl è lo spostamento infinitesimo,
ovvero è un vettore tangente alla curva che rappresenta il percorso (reale o ideale) che stiamo esaminando. Il prodotto scalare uu ·gl rappresenta la componente
del vettore gl nella direzione radiale, vale a dire gu. Allora
Y (E) Y (D) = Z
E
n0
D
¶
¶¯E
µ
µ
T
1
1
1 ¯¯
gu=
n
T
=
n
T
0
0
u2
u ¯D
uE
uD
(1)
Notiamo subito che due punti che hanno la stessa distanza dalla carica T hanno
lo stesso potenziale. Possiamo, più in generale, aermare che tutte le superfici
sferiche con centro sulla carica T sono superfici equipotenziali per la carica T.
Ricordando che il campo elettrico di una carica puntiforme è radiale, possiamo
concludere che il campo è sempre ortogonale alle superfici equipotenziali.
Assumeremo sempre che il potenziale sia nullo all’infinito (il punto di riferimento comune per tutti i punti è all’infinito ed in tale punto il potenziale è
zero)
Y (E = 4) = 0
(2)
Dalla (1) avremo
Y (D) =
Z
4
D
n0
1
T
gu = n0 T
u2
uD
Se la carica Q è negativa, avremo
3
(3a)
Y (D) = n0 T
1
uD
(3b)
All’espressione
Y0 (u) =
U (u)
=
t
Z
4
D
n0
T
T
gu = ±n0
u2
u
(4)
si dà il nome di potenziale coulombiano generato dalla carica T, posta
nell’origine del sistema di riferimento. Il potenziale coulombiano, ad una distanza u dalla carica T è uguale al lavoro fatto dalla forza coulombiana, generata
dalla carica T su di un corpo di carica unitaria, per spostarlo da una distanza
u ad una distanza infinita dalla carica T. Il segno coincide con il segno della
carica.
Il potenziale si misura in joule su coulomb e si chiama volt (V). Dalle precedenti equazioni si vede che il campo elettrico si può esprimere Volt su metro:
Y
p
Se la carica non è posta nell’origine del sistema di riferimento
[H] =
ma occupa una posizione individuata dal vettore r0 e il potenziale deve calcolarsi nel punto P, il cui vettore posizione è r, allora il potenziale coulombiano
associato alla carica T nel punto P si scrive
Y0 (u) = ±n0
1
T
T
=±
0
|r r |
40 |r r0 |
(5)
Notiamo subito che, essendo il campo elettrostatico coulombiano conservativo (per esso abbiamo potuto definire l’energia potenziale e poi il potenziale),
l’integrale di linea tra due punti qualsiasi non dipende dal percorso scelto per
connettere i due punti. In particolare, se il punto iniziale e quello finale coincidono, ovvero, se il percorso scelto è chiuso, l’integrale di linea è nullo:
4
I
E · gl = 0
(6)
Si dice che la circuitazione del campo coulombiano elettrostatico è nulla.
3
Il potenziale del campo uniforme e costante
Ci proponiamo di calcolare la dierenza di potenziale tra due punti dello spazio
in cui è presente un campo elettrico uniforme e costante. Per ora non ci preoccuperemo di sapere quale distribuzione di cariche determina un tale campo
(vedremo che un tale campo si trova tra le piastre di un condensatore piano)
ma solo di studiarne le proprietà. Un campo elettrico uniforme e costante è un
campo che assume in una regione dello spazio sempre lo stesso valore, in modulo
direzione e verso.
Supponiamo che il nostro campo elettrico E sia diretto lungo l’asse }:
E =Hu}
(7)
Abbiamo visto che la dierenza di potenziale tra due punti, in uno spazio in
cui è presente un campo elettrico conservativo è
Y (E) Y (D) = Z
E
E·gl
(8)
D
Notiamo che, per ogni spostamento ortogonale all’asse } (piani paralleli al piano
{|), si ha
Hu} ·gl =0
(9)
Quindi, se i punti A e B si trovano su un qualunque piano parallelo al piano
{| avranno lo stesso valore del potenziale:
Y (E) = Y (D)
5
(10)
Si dice che i piani ortogonali all’asse } sono superfici equipotenziali. (In
generale, una superficie equipotenziale è una superficie su cui il potenziale elettrico ha lo stesso valore in ogni punto della superficie; inoltre, le linee di forza
del campo elettrico sono perpendicolari alle superfici equipotenziali in ogni loro
punto. Non rimane che calcolare la dierenza di potenziale tra due punti dello
spazio nella direzione dell’asse }. Poiché
E =Hu}
gl =g{u}
segue
Y (E) Y (D) = Z
}E
}D
Hu} ·g}u} = Z
}E
}D
Hg} = H
Z
}E
g}
}D
In definitiva,
Y (E) Y (D) = }H = H (}D }E )
(11a)
Se si sceglie lo zero del potenziale in } = 0, il potenziale in un punto a quota
} 6= 0 sarà (Y (E) = 0)
Y (}) = H}
(11b)
La simililarità con il campo gravitazionale terrestre, cioè quello legato alla forza
peso F = P g, è marcata
Y (}) = j}
4
Espressione cartesiana di potenziali coulombiani
La funzione Y (u), cioè il potenziale coulombiano è un campo scalare in quanto
esso associa ad ogni punto dello spazio uno scalare.
Abbiamo visto che se una carica positiva T non è più posta nell’origine degli
assi, ma si trova fissata in r0 , allora il potenziale generato da T, in un punto r,
è
Y (r) =
T
1
40 |r r0 |
(12)
Se usiamo le coordinate cartesiane, possiamo scrivere esplicitamente
Y (r) =
1
T
q
40
2
2
2
({ {0 ) + (| | 0 ) + (} } 0 )
6
(13)
4.1
Numero N di cariche puntiformi
Se si ha un numero N di cariche puntiformi Tq , per il principio di sovrapposizione,
si potrà scrivere
Y (r) =
Q
1 X Tq
40 q=1 |r rq |
(14)
che utilizzando le coordinate cartesiane, è possibile esplicitare nella forma
Y (r) =
5
Q
1 X
Tq
q
40 q=1
2
2
2
({ {q ) + (| |q ) + (} }q )
(15)
Il dipolo elettrico e il suo momento
Due particelle cariche puntiformi che distano fra loro g e hanno carica opposta
costituiscono il dipolo elettrico (si pensi all’atomo di idrogeno con l’elettrone
supposto fermo; vogliamo studiare il campo prodotto da tale atomo, a grande
distanza da esso). Se T è la loro carica, il vettore
dT = Td
(16)
diretto lungo la congiungente le due cariche e verso che va da T a +T è
detto momento di dipolo elettrico.
Ci proponiamo di determinare il potenziale generato da tale distribuzione di
carica, a grande distanza dal luogo ove è localizzato il dipolo.
7
Assumeremo che il dipolo sia in prossimità dell’origine del sistema di riferimento. Nelle applicazioni pratiche il dipolo è posto proprio nell’origine (vedi
figura successiva). Dal principio di sovrapposizione e dalla figura precedente,
segue che
·
¸
1
T
T
Y (r) =
(17)
40 |r (r0 + d)| |r r0 |
¡ ¢1@2
Poiché d1 = d2
, e d2 = a · a , con a =(r r0 ) d , possiamo scrivere
0
1
|(r r ) d|
0 1
= |r r |
"
1
2 (r r0 ) · d
(r r0 )
2
+
g2
(r r0 )
2
#1@2
Al primo ordine, in |d| @ |(r r0 )| si può scrivere
#
"
(r r0 ) · d
1
0
0 1
1+
|(r r ) d| = |r r |
(r r0 )2
(18)
Sostituendo tale espressione nella (17) e semplificando si ottiene
Y (r) =
1 Td · (r r0 )
1 dT · (r r0 )
=
3
40 |r r0 |
40 |r r0 |3
(19)
Supponiamo di porre il dipolo con il suo punto medio nell’origine e diretto lungo
l’asse z (vedi figura seguente).
8
Si avrà
Y ({> |> }) =
1 gT cos 1 gT u cos =
3
40
u
40 u2
(20)
che, in termini di componenti cartesiane, ricordando le espressioni di u e cos p
}
cos =
r = {2 + | 2 + } 2
u
diventa
Y ({> |> }) =
6
1
}
gT
40 ({2 + | 2 + } 2 )3@2
(21)
Potenziale a grande distanza da una distribuzione
puntiforme di cariche
Si supponga di avere una distribuzione di cariche puntiformi, localizzate in una
regione limitata dello spazio (un atomo con elettroni considerati fermi!).
9
Il potenziale si scriverà
"
µ 0 ¶2 #1@2
Q
Q
2r · r0q
1 X Tq
1 X Tq
uq
1
Y (r) =
=
+
0
2
40 q=1 |r rq |
40 q=1 u
u
u
(22)
Al primo ordine in (uq0 @u):
Y (r) =
·
¸
Q
1 X Tq
r · r0q
1+ 2
40 q=1 u
u
ovvero
Y (r) =
1
40
PQ
1 r·
q=1 Tq
+
u
40
³P
Q
q=1
u3
Tq r0q
´
(23)
Definendo il momento di dipolo del sistema
dT>wrw =
Q
X
Tq r0q
(24)
q=1
arriviamo alla seguente espressione:
Y (r) =
1 Twrw
1 dT>wrw · r
+
40 u
40
u3
(25)
Il potenziale generato da una distribuzione di carica localizzata in una regione
finita, a grande distanza da quest’ultima, è uguale alla somma del potenziale
generato da una carica puntuale posta nell’origine, di pari a quella totale della
distribuzione, più il potenziale di un dipolo elettrico pari al momento di dipolo
del sistema posto anch’esso nell’origine. Si badi che la distribuzione di carica
deve essere vicina all’origine del riferimento, perché valgano i risultati precedenti.
Il momento di dipolo del sistema dipende, in generale, dalla posizione dell’origine
della terna di assi di riferimento. Infatti, supponiamo che l’origine di un nuovo
sistema di riferimento sia spostata di b.
10
Il nuovo momento di dipolo del sistema sarà:
X
X
X
X
00
dT>wrw =
Tq r00q =
Tq (r0q b) =
Tq r0q Tq b
q
q
q
q
Il generale, osserviamo che il momento di dipolo di un sistema dipende dal
riferimento che si sceglie. Tuttavia, se il sistema è neutro, cioé se
X
Tq = 0
q
avremo
00
dT>wrw =
X
Tq r00q =
q
X
0
Tq r0q = dT>wrw
q
Possiamo allora dire che nel caso di un sistema di cariche neutro, il momento di
dipolo è indipendente dal sistema di riferimento. In tal caso, il potenziale conterrà, come primo termine, il contributo dipolare, perché il termine coulombiano
è nullo:
Y (r) =
7
1 dT>wrw · r
40
u3
Dipolo in un campo elettrico esterno ed uniforme
Ora studieremo l’energia posseduta da un dipolo in un campo elettrico uniforme
esterno.
Supponiamo di avere un campo elettrico uniforme diretto lungo la direzione
dell’asse }.
E =Hu}
(26)
Ricordiamo che tale campo è simile ad un campo gravitazionale terrestre
locale. Sappiamo che l’energia posseduta da un corpo di massa P1 , in un
campo gravitazionale è P1 jk1 e che quindi la sua energia potenziale dipende
dall’altezza k1 che il corpo occupa, rispetto alla superficie della Terra. Se abbiamo un altro corpo P2 ad un’altra altezza k2 , la sua energia sarà P2 jk2 .
L’energia del sistema delle due cariche dipenderà dalla posizione di entrambe.
Vedremo, nel caso elettrostatico, che l’esistenza delle cariche negative rende
l’energia del dipolo indipendente dalla posizione spaziale che occupa nel campo
uniforme. In altre parole, sebbene la forza coulombiana e quella gravitazionale
abbiano la stessa forma, la loro natura fisica è molto diversa.
11
Supponiamo che il dipolo non sia inizialmente orientato nella direzione del
campo esterno. Sia }0 la posizione del punto medio del dipolo e l’angolo
che il momento di dipolo forma con la direzione del campo (in questo caso con
l’asse }). Abbiamo mostrato che in un campo elettrico uniforme e diretto nella
direzione dell’asse }, il potenziale varia solo nella direzione del campo, quindi,
per determinare l’energia potenziale del dipolo nel campo esterno è su!ciente
dare le coordinate lungo l’asse } del dipolo. Se indichiamo con } la coordinata z
della carica negativa e con }+ quella della carica positiva, entrambe si potranno
scrivere come segue:
g
g
cos }+ = }0 + cos (27)
2
2
Sappiamo che la dierenza di potenziale tra due punti, la cui distanza lungo
l’asse } è }, è
} = }0 Y = H}
Allora, nel nostro caso, avremo
¶ µ
¶
µ
g
g
} = }0 + cos }0 cos = g cos 2
2
(28)
(29)
In definitiva, l’energia potenziale associata alla posizione del dipolo, posto
nel campo uniforme, sarà data da
U = TY = TgH cos = dT · E
(30)
Possiamo concludere dicendo che l’energia potenziale di un dipolo, in un
campo magnetico esterno e uniforme, non dipende dalla posizione del dipolo
nello spazio ma solo dalla orientazione del momento di dipolo rispetto alla direzione del campo.
Per avere un quadro più completo del sistema ”dipolo”, conviene esaminare
cosa succede alle forze che agiscono sul dipolo quando è immerso nel campo
esterno uniforme. Se il dipolo non è allineato con il campo, avremo due forze
uguali e di segno contrario che agiscono su ciascuna carica. Indicando con F+
12
e con F le forze esercitate dal campo sulla carica positiva e negativa rispettivamente, troveremo
F = THu}
F+ =THu}
(31)
Pertanto, la risultante delle forze è nulla ma le due forze agiscono su due
cariche dierenti. Il sistema è soggetto ad una coppia, il cui momento non
dipende dal polo rispetto al quale lo si calcola e il suo modulo è uguale all’intensità
della forza per il braccio. In maniera esplicita, avremo
= I g sin = THg sin = gT H sin (32)
e in termini vettoriali
= dt a E
(33)
Attraverso il momento della forza, il campo tende ad orientare nella sua
stessa direzione il momento di dipolo. Notiamo, inoltre, che se deriviamo,
rispetto alla variabile angolare, l’energia potenziale, associata al dipolo nel
campo esterno, X = gT H cos , troviamo proprio il momento della coppia
cui è soggetto il dipolo stesso:
g
g
(gT H cos ) = gT H (cos ) = gT H sin = g
g
Quindi, possiamo scrivere che
gU
g
Il momento tenderà ad allineare il dipolo con il campo.
=
8
(34)
Esempi
Esempio 1: Una sfera di massa P = 101 j e carica T = 108 F è sospeso
ad un filo inestensibile e di massa trascurabile, in mezzo a due piani paralleli
verticali separati da una distanza g = 10fp. Calcolare la dierenza di potenziale
che deve esserci tra i due piani a!nché la sfera formi un angolo di 30 con la
verticale.
13
Il campo tra i due piani è
Y
g
Sulla carica agiscono tre forze: la forza peso Fs , la forza elettrica generata dai
piani TE e la tensione del filo F . All’equilibrio, si ha
H=
Fs + TE + F = 0
Se si proietta tale equazione lungo la direzione ortogonale al filo si ottiene
P j sin + TH cos = 0
da cui
Y
P j tan =H=
T
g
In definitiva,
Y =
P j tan g
T
Sostituendo i valori numerici si trova Y = 566Y
14
1
DISTRIBUZIONE CONTINUA DI CARICHE
In molti casi reali il numero di cariche puntiformi contenute in un certo volume può essere grandissimo: un corpo carico si presenta con buona approssimazione come una distribuzione continua di carica (in perfetta analogia con la
distribuzione continua di materia, già incontrata nel corso di meccanica). Se tali
cariche si considerano distribuite con continuità nello spazio, o su una superficie
o lungo una linea, possiamo utilizzare il linguaggio del continuo per esprimere
sia i campi che i potenziali.
Considerato un corpo macroscopico qualunque, si deve determinare una distribuzione infinitesima di carica, al suo interno. Questa distribuzione di carica
infinitesima diventa sorgente di un campo (o potenziale) coulombiano. Il campo
(o il potenziale) prodotto da tutto il corpo sarà la somma di tutti i campi (o
potenziali) prodotti da tutti gli elementi infinitesimi di cui è costituito il corpo
macroscopico(tale somma essendo costituita di elementi infinitesimi diventa un
integrale).
1.1
Caso a: densità di carica di volume
Si può introdurre la densità di carica (r0 ) come quella funzione dei punti dello
spazio che moltiplicata per il volume infinitesimo gY = g3 u0 , rappresenta la
carica totale contenuta in esso:
gT = (r0 ) g3 u0
(1)
La carica contenuta nell’intero volume finito Y sarà
Z
T=
g3 u0 (r0 )
(2)
Y
Per il principio di sovrapposizione, il campo (infinitesimo)
gE (r) =
1
1 (r0 ) g3 u0
gT
0
(r
r
)
=
(r r0 )
40 |r r0 |3
40 |r r0 |3
(3)
rappresenta il campo prodotto in r dalla carica gT = (r0 ) g3 u0 contenuta nel
volumetto g3 u0 . Per conoscere il campo prodotto in r da una distribuzione
continua di carica contenuta in un volume finito Y ,
Z
T=
g3 u0 (r0 )
Y
possiamo scrivere
1
E (r) =
40
Z
Y
(r0 ) g3 u0
|r r0 |3
1
(r r0 )
(4)
1.2
Caso b: densità di carica di superficie
Mostreremo, nel prossimo capitolo, che in un conduttore all’equilibrio elettrostatico la carica in eccesso si distribuisce sulla sua superficie.
Se la carica è distribuita con continuità sulla superficie di un corpo macroscopico, possiamo introdurre la densità di carica superficiale d (r0d ) (il vettore
r0d ora spazia su una superficie fissa) in maniera tale che
gTd = d (r0d ) g2 d
(5)
2
rappresenta la carica contenuta sulla superficie infinitesima g d. Il campo,
prodotto in r, dalla tale distribuzione infinitesima di carica si scriverà
gE (r) =
1 d (r0d ) g2 d
gTd
1
(r r0 ) =
(r r0 )
3
40 |r r0 |
40 |r r0 |3
(6)
La carica totale depositata su una superficie finita sarà
Z
Td = g2 dd (r0d )
d
e il campo risultante avrà la seguente espressione:
Z
1
d (r0d ) g2 d
E (r) =
(r r0d )
40 d |r r0d |3
1.3
(7)
Caso c: densità di carica lineare
Se di un corpo carico si vuole conoscere il campo in regioni molto lontane da
dove esso è situato, talvolta il corpo può approssimarsi con una sola dimensione.
Quando ciò accade e la distribuzione di carica è continua, allora si parla di
distribuzione lineare di carica o (r0o ).
La carica presente su un tratto lineare infinitesimo sarà data da
gTo = o (r0o ) go
(8)
Il campo prodotto da tale distribuzione si scriverà
gE (r) =
1
gTo
1 o (r0o ) go
(r r0 ) =
(r r0 )
3
40 |r r0 |
40 |r r0 |3
(9)
Infine, l’espressione del campo prodotto da una distribuzione lineare finita di
carica sarà,
Z
o (r0o ) go
1
(10)
(r r0o )
E (r) =
40 o |r r0o |3
Nella sezione successiva mostreremo applicazioni delle tre distribuzioni di
carica.
2
2
Determinazione di alcuni campi
Gli esempi che presenteremo hanno una caratteristica comune: il campo viene
calcolato, per l’asta lineare carica, per l’anello carico e per il disco carico in
punto posto lungo un asse di simmetria per i corpi. Nei casi che esamineremo,
tale asse coincide con l’asse {, che risulta ortogonale al sistema di carica ed è
per esso asse di simmetria.
Esempio 1: Un’asta lineare di lunghezza 2o ha una densità di carica lineare
positiva o e una carica totale T. Per una distribuzione uniforme, sarà T =
2oo . L’asta sia posizionata lungo l’asse | , da (o> o) come indicata nella figura
sottostante. Si determini il valore del campo lungo l’asse {.
Calcoliamo il campo gH, generato dalla carica infinitesima gT = o g| nel
punto S . Per ragioni di simmetria, la componente del campo ortogonale all’asse
x verrà eliminata dal tratto dy’, simmetrico di dy rispetto ad x. Per cui sarà
su!ciente calcolare la sola componente x del campo generato da gT = o g|.
Tale componente sarà:
gH{ = gH cos (E1)
dove, il modulo del campo è
gH =
1
o g|
2
40 ({ + | 2 )
(E2)
mentre il coseno sarà
{
cos = p
2
{ + |2
(E3)
Allora, la componente { del campo, dovuta a gT, avrà la forma
gH{ =
1
{o g|
40 ({2 + | 2 )3@2
Il campo risultante, prodotto da tutta l’asta, sarà
3
(E4)
H{ =
Z
{
gH{ = o
40
Z
o
g|
1
3@2
+ |2 )
L’integrale è mostrato in appendice e, dopo aver posto
o
({2
g|
|
= tan = sec2 g
{
{
si perviene al seguente risultato
¯o
¯
{
o {
|
2o
o
¯
p
s
= o s
H{ =
¯ = o
2
2
2
2
40 {2 {2 + | 2 ¯
40 { { + o
20 { { + o2
(E5)
o
Notiamo che se l’asta lineare diventa di lunghezza infinita, il precedente risultato
si può approssimare con
1
H{ = o
20 {
o AA {
(E6)
Il campo elettrostatico di un filo rettilineo indefinito cala con la distanza x dal
filo. Questo risultato sarà ritrovato anche con il teorema di Gauss. La (E5),
introducendo la carica, T = 2oo , diventa
T
1
s
(E7)
40 { {2 + o2
Nel limite opposto al precedente, se ci si pone a distanze molto grandi
rispetto alle dimensioni dell’asta, cioè se { À o, si può trascurare o rispetto
a {, al denominatore, e si ottiene il campo coulombiano:
H{ =
T 1
{Ào
(E8)
H{ =
40 {2
Esempio 2: Un anello di raggio U, ha una densità di carica superficiale positiva
d e una carica totale T. La sua distribuzione è uniforme ed è posta nel piano
|}. Si determini il campo elettrico lungo l’asse {.
4
Calcoliamo il campo di una striscia infinitesima, di carica gT , la cui caratteristica principale è di contenere punti equidistanti dal punto dove si deve
calcolare il campo. Il modulo del campo sarà:
gH =
1 gT
1
gT
=
2
2
40 u
40 U + {2
Per ragioni di simmetria, le componenti del campo, diverse da quelle lungo l’asse
{, hanno risultante nulla. Allora basta determinare la componente lungo l’asse
{:
{
gH{ = gH cos = gH s
U2 + {2
quindi
gH{ =
{
gT
{
1
gT
s
=
2
2
2
2
2
40 U + {
40 (U + {2 )3@2
U +{
Poiché tutti gli elementi infinitesimi danno lo stesso contributo, il campo totale,
lungo l’asse {, sarà:
H{ =
{T
1
2
40 (U + {2 )3@2
Notiamo che il valore del campo in { = 0 è nullo: ogni parte infinitesima di
anello ha una corrispondente parte simmetrica che annulla il campo. Inoltre, se
{ À U, avremo
H{ =
1 T
40 {2
in tal caso, il campo sarà pari a quello di una carica puntiforme T, posta nel
centro dell’anello.
Esempio 3: Un disco di raggio U ha una densità di carica superficiale d ed
una carica totale T. Si determini il campo elettrico lungo l’asse {, se la densità
è uniforme ed il disco è posto nel piano |}.
5
Il campo dell’anello di raggio u e spessore gu è stato trovato nel precedente
esercizio; la dierenza è che la carica sull’anello precedente era una carica finita
ed ora è infinitesima ed uguale a gT = d 2ugu. Il campo infinitesimo prodotto
da questa distribuzione di carica sarà:
gH{ =
{gT
1
40 (u2 + {2 )3@2
(E1)
Il campo per { A 0, sarà
H{
=
=
ovvero
{d
40
Z
U
1
gu (2u)
3@2
=
{d
40
Z
U2 +{2
{2
(u2 + {2 )
·
¸
2
2
¯
U +{
2
2
{d
{d
1@2 ¯
s
+s
=
2
¯ 2
40
40
{
U2 + {2
{2
0
H{ = d
20
µ
{
1 s
2
U + {2
¶
g 3@2
(E2)
Per U À { si trova
H{ =
{´
d ³
1
20
U
(E3)
Per { À U , avremo
di conseguenza
{
1 U2
1
s
'1
=p
2 {2
U2 + {2
1 + U2 @{2
H{ '
d 1 U2
T 1
=
20 2 {2
40 {2
(E4)
come si poteva prevedere, il campo a grande distanza diventa un campo coulombiano.
Per U = 4, il disco si trasforma in un piano indefinito e ritroviamo un
risultato del secondo capitolo:
H{ =
3
d
20
(E5)
Determinazione di alcuni potenziali
Ora useremo, per determinare alcuni potenziali, lo stesso formalismo adottato
per calcolare i campi. Questo dovrebbe confermare l’idea che i punti dello spazio
possano essere caratterizzati sia dalla conoscenza dei valori del campo che dai
valori del potenziale. Entrambe le prospettive sono possibili ed equivalenti,
perché noto il campo si può dedurre il potenziale e noto il potenziale si può
dedurre il campo.
6
3.1
Distribuzione continua di cariche
Se abbiamo una distribuzione di carica continua gT = (r0 ) g3 u0 possiamo scrivere che il suo potenziale coulombiano in r come
gY (r) =
1
1 (r0 ) g3 u0
gT
=
40 |r r0 |
40 |r r0 |
Il potenziale generato in r da tutta la carica contenuta in Y , è
Z
(r0 ) g3 u0
1
Y (r) =
40 Y |r r0 |
Se usiamo le coordinate cartesiane, possiamo scrivere:
Z
1
({0 > | 0 > } 0 ) g{0 g| 0 g} 0
q
Y (r) =
40 Y
2
2
2
({ {0 ) + (| | 0 ) + (} } 0 )
(35)
(36)
(37)
Si possono presentare casi in cui la regione ove risiede la carica possa approssimarsi con una regione lineare (p.e. il caso di un filo contenente una carica
elettrica) oppure con una regione superficiale. In tal caso, gli integrali di volume
si riducono ad integrali lineari e di superficie.
Nel caso di una distribuzione lineare continua di carica gT = o (r0o ) gr0o il
potenziale coulombiano, generato da essa, sarà
gY (r) =
1 o (r0o ) gr0o
40 |r r0o |
mentre il campo totale di tutta la distribuzione si scriverà
Z
1
o (r0o ) gr0o
Y (r) =
40 o |r r0o |
Se la distribuzione lineare è lungo l’asse {, potremo scrivere
Z
o ({0 ) g{0
1
q
Y (r) =
40
({ {0 )2 + (| | 0 )2 + (} } 0 )2
(38)
(39)
(40)
Nel caso di una distribuzione superficiale di carica, in cui la carica infinitesima si scriverà gT = d (r0d ) g2 d, il potenziale in r si scriverà
gY (r) =
1 d (r0d ) g2 d
40 |r r0d |
(41)
ed il potenziale totale diventerà
Y (r) =
1
40
Z
d
d (r0d ) g2 d
|r r0d |
(42)
Nel caso specifico di una distribuzione superficiale piana continua, posta nel
piano {|, si avrà:
7
Y (r) =
1
40
Z
d
d ({0 > | 0 ) g{0 g| 0
q
2
2
2
({ {0 ) + (| | 0 ) + (} } 0 )
(43)
Il vero problema di tutte le espressioni appena scritte è la possibilità reale
di eettuare le integrazioni in esse contenute. Solo se i corpi macroscopici sono
solidi regolari si può eettuare una "ragionevole" integrazione altrimenti, in
generale, diventano solo espressioni formali. Per quello che ci riguarda, esse
saranno calcolate solo in casi molto particolari. Quando saranno presenti simmetrie particolari si potrà utilizzare il teorema di Gauss, che discuteremo nel
prossimo capitolo.
3.2
Determinazione di alcuni potenziali
Esempio 1: Determiniamo il potenziale di un anello lungo la direzione radiale.
Il potenziale generato da una porzione infinitesima di anello è
gY =
1
g2 d
1 gT
s d
=
2
40 u
40 U2 + {2
Il potenziale prodotto da tutto l’anello sarà
Z
go
1
s o
Y =
40
U2 + {2
L’integrazione è fatta su una curva che è nel piano ortogonale ad {, quindi
durante l’integrazione non solo U, ma anche { rimane costante, per cui
Z
1
1
T
1
s
s
o go =
Y =
2
2
2
40 U + {
40 U + {2
A grande distanza, { À U, si avrà il potenziale coulombiano
Y =
1 T
40 {
Esempio 2: Determinare il potenziale di un disco, lungo l’asse di simmetria
8
Dai risultati del precedente esercizio possiamo ricavare l’espresssione del
potenziale di un anello infinitesimo del disco
gY =
1
1 d 2ugu
1
gT
g2 d
s
s d
s
=
=
2
2
2
2
40 u + {
40 u + {
40 u2 + {2
Il potenziale di tutto il disco sarà
2
Y = d
40
Z
U
0
ugu
s
u2 + {2
Posto
w = u2 + {2
gw = 2ugu
avremo
Y =
4
d
20
Z
U2 +{2
{2
2
2
s i
hp 2
gw 1@2
s ¯¯U +{
= d
U + {2 {2
w
= d w¯ 2
2
20
20
{
Potenziali a grande distanza da un distribuzione
continua
Abbiamo visto che nel caso di una distribuzioni puntiforme (ma localizzata) di
cariche, il potenziale a grande distanza daquesta era rappresentabile come la
somma di un termine di tipo coulombiano e di uno di tipo dipolare (il termine
successivo è quello quadripolare:
Y (r) '
1 Twrw
1 dT>wrw · r
+
40 u
40
u3
Se si ripetono le stesse considerazioni per una distribuzione continua,
9
(44)
si riottiene la (44), con la sola dierenza che la carica totale sarà
Z
Twrw =
(r0 ) g3 u0
(45)
Y
dove l’integrale è esteso allo spazio occupato dal corpo ed il momento di
dipolo del sistema è definito come
I
dT>wrw = g3 u0 r0 (r0 )
(46)
10
1
LA LEGGE DI GAUSS
Per la determinazione del campo elettrico bisogna sapere quali sono e dove sono
esattamente le sorgenti del campo elettrico. Abbiamo già visto che tali sorgenti
sono le cariche elettriche puntiformi. Ora stabiliremo, in maniera generale,
il legame che esiste tra una proprietà fondamentale del campo (il suo flusso
attraverso una superficie chiusa) e le sorgenti del campo stesso. Per capire ciò che
ci accingiamo a studiare e la sua collocazione all’interno dell’elettromagnetismo
conviene anticipare alcune precisazioni. Dimostremo sul piano matematico che
se è vera la legge di Coulomb, il flusso del campo elettrico dipende solo dalle
cariche contenute nella superficie. Tale risultato, poiché si fonda sulla validità
della legge di Coulomb, è detto ”teorema di Gauss”. Inoltre, mostreremo che
non è vero il contrario; cioé, che se si conosce il flusso del campo attraverso una
superficie chiusa, non sempre è possibile dedurre il campo elettrostatico (ciò
è possibile solo in casi di particolare simmetria del problema). Allora, perché
parlare di legge di Gauss nel titolo? In realtà, per poter arrivare ad una forma
di equivalenza tra la legge di Coulomb e quella di Gauss, occorre riformulare
le equazioni del campo in quella che si chiama "forma locale" delle equazioni
del campo. Quando avremo trovato la formulazione locale della circuitazione e
del flusso attraverso una superficie chiusa, del campo elettrico, avremo non solo
l’equivalenza ma saremo andati oltre. Più precisamente, la formulazione delle
leggi fisiche, nella forma di forze, si è rivelata poco e!ciente nell’indagine delle
leggi fondamentali e la strada da percorrere è stata intrapresa per la prima volta
da Maxwell nell’elettromagnetismo. Quindi, quella di Gauss è una legge, anche
se nella veste che qui sarà presentata ha più l’aspetto di un teorema. Fatta
questa precisazione, parleremo indistintamente di legge o teorema di Gauss.
2
Flusso di un vettore attraverso una superficie
Si abbia un tubo trasparente all’interno del quale scorra dell’acqua
Sia D una sua sezione e v la velocità delle particelle di fluido che transitano per D; la velocità è supposta costante su tutta la superficie ed è ad essa
1
ortogonale. La portata,
D (v) = Dv
(1)
rappresenta il volume di fluido che attraversa, nell’unità di tempo, la sezione
D. La superficie D ha due facce: vogliamo definire quella positiva. Sia o
il bordo della superficie D. Con le dita della mano destra percorriamo tale
bordo, in senso antiorario. L’area racchiusa dalla mano è la faccia positiva ed il
pollice, che risulta ortogonale a tale area, indicherà la direzione ed il verso della
superficie orientata. Tale faccia sarà indicata con un versore, ud .
Con il vettore
A = Dud
(2)
intenderemo una superficie orientata, cioè una superficie e la sua faccia positiva.
Se nel tubo ove scorre il fluido il vettore velocità non è più ortogonale alla
superficie D, pur rimanendo costante su tutta la superficie,
la portata sarà data da
D (v) = Dv cos 2
(3)
dove è l’angolo tra il vettore velocità ed il versore ud della superficie D. Per
la definizione di prodotto scalare, potremo anche scrivere
D (v) = Dud · v
(4)
La portata è un caso particolare di flusso di un vettore attraverso una superficie.
Più precisamente, la portata è il flusso del vettore velocità attraverso la superficie
D.
Se si considera un nuovo vettore, come per esempio il campo elettrico E, la
quantità
D (H) = Dud · E
(5)
rappresenta il flusso del vettore E attraverso la superficie D, nell’ipotesi che il
campo elettrico sia costante su tutta la superficie D
Allora nel calcolo del flusso dobbiamo prima stabilire la faccia positiva della
superficie e dopo verificare l’angolo tra la direzione di questa e quella del campo.
Se la superficie è chiusa la direzione di una qualunque area infinitesima deve
essere sempre quella diretta verso l’esterno:
3
La legge di Gauss per il campo elettrico
Ora dimostreremo che, come conseguenza della validità della legge di Coulomb,
il flusso del campo elettrico attraverso una superficie chiusa dipende dalle cariche
puntiformi racchiuse in essa. Questo risultato è noto come teorema (o legge) di
Gauss.
Consideriamo una sfera di raggio u che ha nel suo centro una carica positiva
T. Ci proponiamo di calcolare il flusso del campo elettrico E, generato dalla
carica posta nel centro della sfera attraverso la superficie totale della sfera.
Consideriamo prima il flusso di E attraverso una piccola area D, della superficie
sferica, che abbiamo preventivamente suddivisa in tante superfici, su ognuna
delle quali il campo è supposto costante. Focalizziamo la nostra attenzione su
una di queste superfici:
3
Il campo elettrico generato dalla carica T ad una distanza u dal suo centro
è
E=
1 T
uu
40 u2
(1)
dove 0 è la costante dielettrica del vuoto e uu il versore del vettore posizione
del sistema di riferimento con origine sulla carica T. La superficie d è talmente
piccola che ud è il solo versore che individua la sua faccia positiva. Siccome d è
parte di una superficie chiusa, cioè la superficie totale della sfera, i versori delle
superfici chiuse sono sempre uscenti dalla superficie: tutti gli ud puntano verso
l’esterno. Possiamo calcolare il flusso del campo elettrico attraverso la superficie
d. Per definizione, tale flusso è fornito dalla
d (H) = Dud · E
(2)
e sostituendo in essa, l’espressione del campo (1), si avrà:
d (H) = dud ·
1 T
uu
40 u2
ovvero
d (H) = ud · uu
d T
40 u2
(3)
Poiché i due versori sono paralleli, ud ·uu = 1; allora il flusso del campo elettrico
attraverso la superficie d sarà dato da
d (H) =
1 T
d
40 u2
(4)
Il flusso del campo elettrico attraverso l’intera superficie sferica d, sarà la somma
dei flussi attraverso tutte le superfici d che costituiscono la sfera:
d (H) =
1 TX
d
40 u2
d
4
(5)
Poiché, l’area di una sfera è d = 4u2 , la precedente espressione si riduce a
d (H) =
T
1 T
4u2 =
2
40 u
0
(6)
Questa espressione, nota come teorema di Gauss e derivata per una carica posta
nel centro della sfera, è valida qualunque siano le cariche poste dentro la sfera
e qualunque sia la forma della superficie chiusa che le contiene.
Più precisamente, il teorema di Gauss consente di provare che il flusso del
campo elettrico attraverso una qualunque superficie chiusa è sempre dato da
D (H) =
T
0
(7)
dove Q rappresenta la somma algebrica di tutte le cariche contenute nella
superficie chiusa.
Il teorema di Gauss, si fonda, nella nostra presentazione, sulla validità della
legge di Coulomb. Conviene, tuttavia, fare alcune precisazioni. Il flusso del
campo elettrico attraverso una superficie chiusa è, sempre, dato dalla somma
algebrica delle cariche contenute all’interno della superficie chiusa. Tuttavia
il campo elettrico dipende dalla configurazione istantanea di tutte le cariche
che sono dentro alla superficie chiusa. Quindi, se si cambia la configurazione
delle cariche cambierà il campo elettrico nei punti dello spazio (e anche sulla
superficie) che circondano la superficie chiusa che racchiude le cariche. Allora,
sebbene il campo all’esterno della superficie chiusa (e sulla superficie) possa
cambiare (ed anche in maniera considerevole) il teorema di Gauss aerma che il
flusso del campo rimarrà inalterato, purché nessuna carica attraversi la superficie
in uno qualunque dei versi (carica entrante oppure uscente). Questo risultato
suggerisce una certa cautela nell’uso del teorema di Gauss per la determinazione
del campo elettrico.
4
Legge di Gauss: derivazione generale
Per capire la prossima dimostrazione ed in generale il concetto di flusso attraverso una superficie di forma arbitraria, conviene introdurre la nozione di
angolo solido. Ricordiamo che un angolo piano , che sottende un arco v di di
una circonferenza di raggio U, l’angolo, si può esprimere come
=
v
U
con misurato in radianti; per un angolo infinitesimo g che sottende un arco
infinitesimo gv, sulla stessa circonferenza, si può scrivere
g =
gv
U
Questi concetti possono essere estesi agli angoli che si sviluppano, non su un
piano ma nello spazio e che prendono il nome di angoli solidi.
5
Si definisce angolo solido lo spazio compreso nella parte di cono in figura
e la sua espressione matematica è
=
d1
d2
= 2
U12
U2
Se l’angolo solido è infinitesimo, g2 , esso sottende un’area infinitesima g2 d e
si può scrivere
g2 d
g2 = 2
U
ovvero
g2 d = U 2 g2 L’unità di misura degli angoli solidi si chiama steradiante e il valore di un angolo
solido che sottende una sfera è 4.
Si definisce flusso del campo E attraverso un’area infinitesima g2 a, la quantità scalare
g (H) = E · ud g2 d
(1)
Con l’ovvia generalizzazione, il flusso attraverso una superficie finita ”a”, sarà
Z
d (H) = g2 dE · ud
(2)
d
mentre quello attraverso una superficie chiusa sarà:
I
d (H) = g2 dE · ud
(3)
d
La legge di Gauss aerma che il flusso del campo elettrostatico che attraversa
una qualunque superficie chiusa è proporzianale alla carica elettrica contenuta
nella superficie. Più precisamente, si può provare che
I
T
g2 dE · ud =
0
d
6
qualunque sia la carica Q contenuta nella superficie chiusa. Dimostreremo
questa legge, prima nell’ipotesi che vi sia una sola carica nella superficie chiusa.
Focalizziamo la nostra attenzione su una parte infinitesima di tale superficie
chiusa, su!cientemente piccola da essere considerata piatta; identifichiamo il
solito versore ud che ne individua la direzione (uscente dalla superficie in ogni
punto di essa perché è chiusa). Possiamo costruire una sfera con il centro posto
sulla carica e raggio R passante per la superficie infinitesima g2 d. Il campo
elettrico, data la forma della forza di Coulomb, è radiale e quindi ortogonale ad
una porzione infinitesima di superficie sferica di raggio R. Con g2 d0 indicheremo
la proiezione di g2 d sulla sfera di raggio U. Il flusso infinitesimo attraverso la
superficie g2 d, del campo elettrico E si potrà allora scrivere
E · ud g2 d =
1 T
uu · ud g2 d
40 U2
(5)
Ma
g2 d0 = uu · ud g2 d
(6)
dove, g2 d0 è la proiezione della superficie infinitesima g2 d nella direzione radiale
e uu è il versore del campo elettrico.
D’altra parte, per definizione di angolo solido, l’area proiettata sulla sfera si
scrive:
g2 d0 = U2 g2 (7)
Notiamo la dipendenza dell’area proiettata, dal quadrato della distanza radiale, cioè da una potenza che è esattamente uguale all’inverso della forza di
Coulomb. Il risultato che troveremo dipende esclusivamente da questa incredibile coincidenza. Combinando le due ultime equazioni possiamo scrivere:
uu · ud g2 d = U2 g2 (8)
Usando la (8), la (5) diventa
E · ud g2 d =
7
1
Tg2 40
(9)
Estendendo tale risultato a tutta la superficie chiusa avremo:
I
I
T
1
T g2 =
(10)
g2 dE · ud =
40
0
d
dove, per l’ultimo passaggio, abbiamo usato il risultato che l’angolo solido
di una sfera è 4.
4.1
Il caso di N cariche
Se le particelle cariche contenute nella sfera sono Q , per il principio di sovrapposizione, possiamo calcolare il flusso attraverso g2 d per ognuno dei campi prodotti
da ciascuna carica separatamente. In altre parole, se indichiamo con E1 il campo
della carica T1 , con E2 il campo della carica T2 e con EQ il campo della carica
TQ potremo scrivere il flusso attraverso una superficie infinitesima, per ciascuna
carica come segue
g (E1 ) = g2 dE1 ·ud
g (E2 ) = g2 dE2 ·ud
====
g (EQ ) = g2 dEQ ·ud
Il flusso di tutte le cariche, attraverso la stessa superficie infinitesima g2 d, sarà
g (E1 > E2 > ===> EQ ) =
Q
X
g2 dEq · ud
q=1
e il flusso di tutte le cariche attraverso la superficie chiusa, sarà:
d (H) =
I
2
g d
d
Q
X
q=1
Eq · ud =
Q I
X
q=1
g2 dEq · ud =
d
Q
1 X
Tq
0 q=1
(11)
dove, ovviamente, la somma è estesa solo alle cariche interne alla superficie.
4.2
Il caso di cariche esterne alla superficie
Per concludere la prova dobbiamo dimostrare ancora che il flusso attraverso
una superficie chiusa è nullo se le cariche sono esterne alla superficie. Con
riferimento alla figura seguente, supponiamo di avere una carica all’esterno di
una superficie chiusa
8
Si vede che nel calcolo del flusso attraverso la superficie chiusa, l’angolo
solido interseca sempre due porzioni della superficie chiusa. Poiché il campo ha
sempre una direzione uscente da T (supposta positiva) avremo due contributi
al flusso, uno positivo e uno negativo:
E·ud g2 d1 =
1 T
1
1 T 2
1 T 2 2
Tg2 uu ·ud g2 d1 =
g d1 =
U g =
40 U12
40 U12
40 U12 1
40
E·ud g2 d2 =
1
1 T 2
1 T 2 2
1 T
Tg2 uu ·ud g2 d2 = g d2 = U2 g = 2
2
2
40 U2
40 U2
40 U2
40
dove U1 e U2 sono i raggi delle sfere di Gauss passanti per le superfici g2 d1
e g d2 rispettivamente. Ciascuno dei due angoli solidi elementari dovrà essere
integrato su una semisfera e varrà 2; quindi la somma dei due contributi sarà
zero. Se si ripetono queste considerazioni per altre cariche esterne, si ritroverà
sempre il risultato nullo e questo completa la prova del teorema di Gauss.
Come abbiamo detto nell’introduzione al capitolo, il teorema di Gauss è,
in realtà, una legge fondamentale dell’elettromagnetismo e sebbene noi non lo
proveremo, essa vale anche quando le cariche sono in moto.
2
5
Esempi
Il teorema di Gauss è un utile strumento di calcolo del campo elettrico, ma solo
nel caso in cui il problema in esame presenti speciali simmetrie. Mostreremo di
seguito alcuni semplici esempi del suo utilizzo.
Esempio 1: Il campo di un guscio sferico carico.
Distingueremo due casi: il campo all’interno della sfera cava (il raggio della
sfera sarà indicato con U) ed il campo all’esterno della stessa. Il problema del
valore del campo sulla superficie verrà arontato più avanti.
Possiamo immediatamente aermare che il campo elettrico all’interno della
sfera cava è nullo. Infatti, applicando il teorema di Gauss ad una qualunque
sfera, di raggio u inferiore ad U, troviamo che non essendoci cariche all’interno
il flusso sarà nullo. Poiché il risultato non dipende dalle dimensioni della sfera
(purché il suo raggio sia inferiore al raggio del guscio) dobbiamo convenire che
il campo è identicamente nullo all’interno del guscio.
9
Per i punti esterni procediamo nel modo seguente. Sia S un punto che disti
u dal centro del guscio. Per ragioni di simmetria la direzione del campo in P
sarà diretta lungo la congiungente il centro del guscio ed il punto P. Se in S
vi è una carica positiva di prova (ricordiamo che la carica di prova è sempre
positiva, per definizione) il verso del campo sarà uscente se il guscio è carico
positivamente mentre sarà entrante se il guscio è carico negativamente. Quindi
E = Huu . Per determinare l’intensità del campo prendiamo una sfera di raggio
u e centro nel punto centrale del guscio. Sia T la carica totale del guscio. Il
flusso si può calcolare in maniera semplice:
I
g2 dE · ud = Hu 4u2
d
ed il teorema di Gauss diventa
Hu 4u2 = ±
T
0
da cui
Hu = ±
1 T
40 u2
(E1)
dove il segno dipende dal segno della carica. Il campo elettrostatico all’esterno
del guscio, è pari al campo che si avrebbe se tutta la carica del guscio fosse
concentrata nel centro della sfera (analogo risultato è vero per il campo gravitazionale!).
Esempio 2: Determinare il campo di una sfera isolante uniformemente
piena.
Supponiamo di dividere la sfera piena in tanti gusci sferici. Per il calcolo del
campo, nei punti esterni, se gT è la carica contenuta in un guscio generico, si
otterrà
gHu = ±
1 gT
40 u2
10
dove u è la distanza dal centro della sfera (dobbiamo immaginare tutta la
carica gT nel centro della sfera). Per ottenere il campo di tutta la sfera piena
basterà integrare ambo i membri:
Z
Z
1 1
gHu = ±
gT
40 u2
da cui
1 T
(E2)
40 u2
Il campo elettrico all’esterno della sfera piena è uguale al campo coulombiano
che si otterrebbe se tutta la carica della sfera fosse concentrata nel centro della
stessa.
Calcoliamo il campo in un punto interno alla sfera piena.
Per calcolare il campo in un punto P interno alla sfera, che disti u dal suo
centro dobbiamo solo considerare le cariche contenute nella sfera di Gauss di
raggio u. Per determinare la carica contenuta in tale sfera procediamo come
segue. La densità uniforme di tutta la sfera è
Hu = ±
=
T
4U3
3
(E3)
Questa è anche la densità della sfera di Gauss, per cui la carica contenuta
nella sola sfera di Gauss di raggio u è
Tu =
u3
T 4u3
=
T
3
4U
3
U3
3
(E4)
Il campo prodotto da tale carica è
T
1 1 u3
T
=±
u=±
u
(E5)
40 u2 U3
40 U3
3%0
Il campo, nei punti interni, è proporzionale alla distanza dal centro.
In definitiva, il campo nei punti esterni e interni ha il seguente andamento
in funzione di u:
Hu = ±
11
Esempio 3: Determinare il campo di una distribuzione lineare rettilinea.
Ci proponiamo di calcolare il campo elettrico ad una distanza r da una
distribuzione lineare rettilinea (filo rettilineo). Supporremo che la carica sia
uniformemente distribuita con una densità di carica o e che il filo sia lungo O
(il campo va calcolato nei punti non vicini alle estremità del filo (ipotesi di filo
infinito!). Per ragioni di simmetria il campo è ortogonale al filo e per il verso
vale lo stesso discorso fatto per il guscio sferico. Per calcolare l’intensità del
campo immaginiamo un cilindro, di lunghezza o ¿ O, con asse coincidente con
il filo e raggio pari ad u.
ll flusso, essendo nullo quello attraverso le basi del cilindro, sarà semplicemente
H
d = Hu 2uo
mentre la carica contenuta nel cilindro sarà o o. Il teorema di Gauss si
scriverà:
2uoHu =
o o
0
da cui
Hu =
o 1
20 u
(E6)
Esempio 4: Il campo prodotto da una distribuzione piana.
Supponiamo di avere una superficie piana uniformemente distribuita con
densità superficiale d . Per ragioni di simmetria il campo è ortogonale al piano
(nei punti lontano dai bordi). Per calcolare l’intensità in un punto generico P,
che disti r dal piano, condideriamo un cilindretto che contenga il punto S in
esame, il cui asse sia ortogonale al piano.
12
Poiché non c’è carica nello spazio il flusso attraverso il cilindretto è nullo.
Indicando con u+ il versore della superficie della base del cilindretto più lontana
dal piano e con u quello dell’altra base, il flusso può essere calcolato esplicitamente in maniera semplice (il flusso attraverso la superficie laterale è nullo
per l’ortogonalità tra il campo ed i versori di superficie) ed il teorema di Gauss
diventa
H
d = (E+ · u+ + E · u ) d = 0
dova ”d” è il valore delle due superfici di base del cilindro. Inoltre H+ ed H
indicano i valori del campo sulle due basi. Poiché il campo ha sempre lo stesso
verso, sulle due basi, mentre i versori delle due basi sono uguali e contrari (si
ricordi che per una superficie chiusa i versori sono sempre scelti uscenti!) dalla
precedente equazione deduciamo che
H+ = H
In tutto il semipiano in cui abbiamo costruito il cilindretto, essendo quest’ultimo
del tutto arbitrario nelle sue dimensioni possiamo concludere che il campo elettrostatico è costante ovunque:
H = frvwdqwh
Per determinare il valore costante del campo immaginiamo il cilindretto
esteso fino al piano ove è distribuita la carica, con una delle due basi coincide
con una porzione di tale piano.
13
Il teorema di Gauss diventa ora
(E+ · u+ + E · u ) d =
d d
0
da cui
±2H =
d
0
Il segno "+" vale se la carica sul piano è positiva ed il segno "-" in caso
contrario. Per l’intensità del campo possiamo scrivere
H=
|d |
20
(E7)
Esempio 5: Il campo tra due piani paralleli con carica opposta.
Il precedente risultato consente di derivare immediatamente il campo tra due
piani paralleli carichi, con una distribuzione superficiale uniforme ma opposta.
Il piano caricato positivamente genera un campo uniforme e costante tra le
due "armature" (così vengono chiamati i due piani paralleli), la cui intensità è
data
14
H=
|d |
20
ed il cui verso si allontana dal piano con carica positiva. Il piano caricato
negativamente genera un campo costante la cui intensità è ancora data dalla
(E7), ed il cui verso è diretto verso il piano con carica negativa. I due campi si
sommano in ogni punto e avendo la stessa direzione daranno luogo ad un campo
la cui intensità è
H=
|d |
0
(E8)
Il verso del campo, tra i due piani, è nella direzione uscente dal piano carico
positivamente. Notiamo che la forza esercitata da un’armatura sull’altra è
|F| =
d
T
20
(i)
Poiché,
d d = T
segue
|F| =
T2
2d0
(l)
Esempio 6: Una piccola sfera di massa P = 0> 1j e carica T = 109 F
è appesa con un filo di lunghezza o = 10fp ad un piano verticale infinito che
possiede una densità di carica superficiale pari a d = 105 F@p2 . Calcolare
l’angolo che il filo forma con la verticale.
15
Il campo prodotto dal piano è
H=
|d |
20
Sulla carica agiscono tre forze: la forza peso Fs , la forza elettrica generata dal
piano TE e la tensione del filo F . All’equilibrio, si ha
Fs + TE + F = 0
Se si proietta tale equazione lungo la direzione ortogonale al filo si ottiene
P j sin + TH cos = 0
da cui
tan =
TH
T |d |
=
Pj
P j 20
Sostituendo i valori numerici si ottiene:
tan = 0> 577
16
= 29 590
1
CONDUTTORI E DIELETTRICI IN ELETTROSTATICA
Il problema che ci accingiamo a trattare è quello della determinazione del campo
e del potenziale elettrostatico prodotto da corpi macroscopici. Dobbiamo distinguere tra il campo interno ed esterno al corpo macroscopico. Per il campo
interno conviene tuttavia fare delle immediate precisazioni.
Un qualsiasi corpo macroscopico è costituito da un numero elevatissimo di
cariche elettriche, quindi il campo reale, detto campo elettrico microscopico, in
un qualunque punto interno al corpo è un problema non risolvibile, tantomeno
in un corso istituzionale di base. Quello di cui parleremo, seppur brevemente,
è il campo elettrico macroscopico, definito come la media spaziale del campo
microscopico. Per capire il significato di tale operazione, dobbiamo procedere
come si fa normalmente nello studio dei fluidi. Quando parleremo di un punto di
un mezzo materiale, intenderemo un volume infinitesimo g3 u di tale mezzo, centrato intorno ad un punto materiale, le cui dimensioni fisiche siano tuttavia tali
da contenere un numero enorme di atomi, ma abbastanza piccolo da considerare
il valore del campo costante al suo interno. Una tale approssimazione è valida
solo nel caso in cui si assuma che le variazioni del campo macroscopico, su una
distanza macroscopica, siano piccole. Partiremo dal presupposto che sia sempre
verificata una tale condizione. Allora si scriverà che il campo macroscopico E,
in un punto, è
E =? Eplfur A
dove il simbolo ?...A, indica la media spaziale, di cui sopra. In futuro,
quando si parlerà di campo elettrico in un mezzo materiale si intenderà sempre
del campo elettrico macroscopico E.
Abbiamo stabilito il valore del campo elettrico e del potenziale di un corpo
macroscopico carico a grande distanza da questo. Tenteremo, ora, di determinare il campo e/o il potenziale dei corpi macroscopici anche nelle loro immediate vicinanze e al loro interno. La valutazione del campo, per distanze
intermedie è un problema molto complesso che esula dai nostri fini e che pertanto non tratteremo. I corpi macroscopici, per quanto riguarda le proprietà
elettriche, si possono dividere in diverse categorie. Esamineremo, in forma solo
introduttiva, i corpi macroscopici metallici e quelli isolanti (o dielettrici).
2
Il campo elettrico nei conduttori
I vari corpi macroscopici carichi hanno una diversità di comportamenti in presenza di un campo elettrico. Limitiamoci per ora all’analisi dei conduttori metallici.
Supponiamo di avere un corpo macroscopico carico. Definiamo tale corpo
conduttore, se all’equilibrio elettrostatico il campo elettrico al suo interno è
1
ovunque nullo. L’equilibrio elettrostatico è caratterizzato dall’assenza di moto
delle cariche elettriche.
Mostriamo che in un conduttore carico, le cariche elettriche si dispongono
sempre sulla sua superficie.
Qualche precisazione è necessaria. Nei materiali sono sempre presenti delle
cariche (gli elettroni ed i protoni che costituiscono gli atomi) ma il più delle volte
esse si neutralizzano. Un esubero di cariche di un segno renderà il corpo carico.
Vogliamo mostrare che queste cariche in esubero si porteranno, in condizioni di
equilibrio elettrostatico, sulla superficie del conduttore.
Proviamo una tale asserzione. Si prenda una qualunque superficie ”d” chiusa
all’interno del conduttore.
Il teorema di Gauss ci dice che il flusso del campo elettrico attraverso tale
superficie è proporzionale alla carica contenuta sulla superficie:
I
T
(1)
g2 dE · ud =
0
d
Poiché, per definizione, il campo elettrico è assunto nullo all’interno del
conduttore, il flusso sarà nullo
I
g2 dE · ud = 0
d
e ciò equivale a dire che la carica all’interno della superficie chiusa è nulla.
T=0
Allo stesso risultato si perviene scegliendo una superficie chiusa d0 , sempre
più grande, ma sempre contenuta all’interno del conduttore.
2
La stessa analisi può essere ripetuta con superfici via via maggiori, finché
si arriverà alla superficie chiusa che delimita il conduttore. Al suo interno la
carica sarà nulla e quindi, essendo il corpo comunque carico, la sua carica si sarà
portata sulla superficie. In tal caso, potremo anche parlare di distribuzione di
carica superficiale e caratterizzarla con una densità di carica, d .
Osservazione: Generalmente, quando si parla di corpi macroscopici si deve
fare riferimento sia a una densità di carica superficiale che a una densità di
carica di volume, perché gli eetti del corpo (il campo da esso generato sia
all’interno che all’esterno) sono dovuti, in generale, sia alla carica superficiale che
alla carica di volume. In particolare, nel caso di conduttori ideali all’equilibrio
elettrostatico la carica di volume è nulla e quindi ci si riduce alla carica di
superficie. Nel caso dei dielettrici, vedremo che possono essere presenti entrambe
le densità di carica, sebbene in alcuni casi una delle due abbia valore nullo.
3
Il campo elettrico nelle vicinanze di un conduttore
Le cariche di un conduttore carico, in equilibrio elettrostatico, sono disposte
sulla sua superficie, la quale pertanto, rappresenterà, per il conduttore e le sue
proprietà elettriche, una regione particolare. Sicuramente il campo elettrico
all’esterno del conduttore sarà diverso da zero; mentre all’interno è nullo per
definizione. Si pone, allora, il problema di stabilire in quale misura la superficie
presenti delle discontinuità per il campo (dal valore nullo all’interno, passiamo
ad un valore diverso da zero fuori).
Si può dimostrare, con una semplice considerazione, che il campo elettrico esterno, nelle immediate vicinanze di un conduttore, deve essere necessariamente
ortogonale alla superficie di quest’ultimo. La considerazione è la seguente. Le
cariche elettriche, in un conduttore ideale, sono praticamente libere di muoversi
in ogni sua regione. La presenza di un campo elettrico diverso da zero condurrebbe allo spostamento delle cariche nella direzione del campo. Indichiamo
con El il campo elettrico interno al conduttore e con E0 il campo elettrico esterno (l’apice ”0” indica il vuoto). Decomponiamo tali campi nelle rispettive
componenti tangenziali e normali alla superficie:
El = Elw + Elq
E0 = E0w + E0q
3
(2)
Poiché il campo elettrico è nullo all’interno del conduttore, sia la componente
tangenziale che quella normale del campo interno, El , sono entrambe nulle: non
vi è movimento di carica all’interno del conduttore. Passiamo alla componente
tangenziale del campo esterno, E0w . Se questa componente fosse diversa da
zero, le cariche che si trovano sulla superficie potrebbero spostarsi lungo di essa.
Poiché siamo in elettrostatica, le cariche sono supposte ferme sempre; pertanto
deve essere nulla la componente tangenziale del campo esterno (E0w = 0). Di
questo non rimane che la componente normale alla superficie:
E0 = E0q
(3)
La conclusione è che il campo elettrico nelle immediate vicinanze di un conduttore carico, in equilibrio elettrostatico, è sempre ortogonale alla superficie del
conduttore. Vale a dire, il campo elettrico nelle immediate vicinanze del conduttore potrà avere diversa da zero la sola componente ortogonale alla superficie
del conduttore.
Un procedimento analogo, per la componente ortogonale, non può essere
usato, perché una carica posta sulla superficie del conduttore non è libera di
lasciare il conduttore e passare ”nel vuoto”. Esiste, cioé, un’energia di legame
che impedisce, in condizioni normali, ad una carica di lasciare il conduttore.
Per calcolare la componente normale Hq dobbiamo usare il teorema di Gauss.
Si consideri un cilindretto, con una base d appena dentro il conduttore e
l’altra appena fuori.
4
Esso "stacca" sulla superficie del conduttore un’area d. Supponiamo, per
semplicità, che tale area sia piana e sia d la sua densità superficiale (la carica
del conduttore è tutta distribuita sulla sua superficie, quindi si può parlare di
carica superficiale). Supponiamo che la carica sia "uniformemente" distribuita
sulla superficie, pertanto la sua densità superficiale sia costante. La carica sulla
superficie sarà, allora,
T = d d
(4)
Il teorema di Gauss,
I
g2 dE · ud =
d
T
0
ci dice che il flusso attraverso tutto il cilindretto può essere espresso dalla
relazione
I
d
g2 dE · ud = d
(5)
0
d
Il flusso al primo membro, cioé il flusso attraverso la superficie totale del cilindretto, che indicheremo per brevità d (H), può essere calcolato direttamente.
Infatti, esso si può scrivere come somma di due quantità:
d (H) = ld (H) + 0d (H)
dove l’apice ”i” si riferisce alla superficie del cilindretto interna al conduttore e
l’apice ”0” alla superficie esterna.
Poiché il campo elettrico è nullo all’interno del conduttore, il flusso attraverso
la superficie del cilindretto interna al conduttore è nullo. Allora, la precedente
relazione si riduce al solo flusso attraverso la superficie esterna:
0d (H) =
d d
0
(6)
A sua volta, il flusso attraverso la superficie esterna, 0d (H), è costituito
dal flusso attraverso la superficie laterale e dal flusso attraverso la base. Ma
il campo elettrico esterno ha solo la componente ortogonale alla superficie del
conduttore, quindi tale campo è ortogonale alla superficie laterale del cilindretto:
di conseguenza, il flusso attraverso la superficie laterale esterna sarà nullo.
Non rimane che calcolare il flusso del campo elettrico attraverso la base
esterna del cilindretto. Il valore di tale flusso è uguale a
0d (H) = Hq0 d
Il teorema di Gauss è diventato, in definitiva:
Hq0 d =
da cui
5
d d
0
(7)
d
(8)
0
Possiamo allora dire che la componente normale del campo elettrico, in
un conduttore carico ed in equilibrio elettrostatico, subisce un salto di d @0
quando passa attraverso la superficie chiusa che delimita il conduttore. E ciò
senza riguardo né alla forma della superficie né alla presenza di cariche fuori da
essa. In altre parole, il campo elettrico nelle immediate vicinanze del conduttore
ha solo la componente normale che vale
Hq0 =
Hq0 =
|d |
0
(9)
Il segno (o la direzione del campo) dipende dal segno della carica sulla superficie.
4
L’induzione elettrostatica
Supponiamo di avere un conduttore "neutro" (ossia non carico) e di avvicinare
ad esso, molto lentamente, un conduttore carico positivamente.
Sulla superficie del conduttore neutro, dalla parte prossima al conduttore
carico appariranno delle cariche di segno negativo mentre dal lato opposto vi
saranno delle cariche positive.
Se si riallontana il corpo carico, la distribuzione di carica del corpo neutro
torna ad essere quella iniziale. Una tale esperienza mostra che un conduttore
carico "induce" su di un conduttore neutro la comparsa di cariche, distribuite
spazialmente in maniera dierente, ma sempre tali che la loro somma algebrica
rimanga nulla su tutto lo spazio occupato dal conduttore. Il fenomeno si chiama
induzione elettrostatica e la carica che compare sul conduttore neutro si chiama
carica indotta.
Tale fenomeno non ha ovviamente un analogo nel campo gravitazionale e
rappresenta un’importante proprietà dei corpi carichi. Inoltre, ricordiamo che
6
la ridistribuzione della carica indotta avviene sempre sulla sola superficie del
conduttore.
5
Lo schermo elettrostatico
Per illustrare, in maggiore dettaglio, il fenomeno dell’induzione elettrostatica
ed alcune sue conseguenze studieremo un esempio particolare. Supponiamo di
avere un conduttore sferico cavo di raggio U2 (guscio sferico senza spessore) e
carica totale T. All’interno di esso, e in maniera concentrica, vi sia un altro
conduttore sferico pieno di raggio U1 e carica totale 4T.
Con riferimento alla figura precedente, ci proponiamo di studiare il campo
elettrico nelle diverse regioni e la distribuzione di carica sulle due faccie del
conduttore esterno.
Il campo elettrico nel conduttore interno è nullo per il teorema di Gauss:
H (u) = 0
u ? U1
Nella regione tra i due conduttori (regione 1), sempre per il teorema di Gauss,
il campo vale
H (u) =
1 4T
40 u2
U1 ? u ? U2
(1)
Come già sapevamo, il campo è solo quello prodotto dalla carica contenuta
nel conduttore interno. Se non vi fosse alcun conduttore all’interno della zona
cava del conduttore esterno, il campo eletrrostatico sarebbe nullo. Allora, il
conduttore esterno svolge la funzione di schermo elettrostatico, per gli oggetti
dentro la cavità.
Vediamo se lo schermo funziona anche per le cariche interne verso l’esterno.
Il campo all’esterno della regione occupata dai due conduttori (regione 2) è,
sempre per il teorema di Gauss
H (u) =
1 4T T
40 u2
7
u A U2
(2)
Il campo elettrostatico è quello prodotto dalla somma algebrica delle cariche
contenute nella regione occupata dai due conduttori (la simmetria sferica fa sì
che il campo è come se fosse prodotto da una carica puntiforme, di valore pari
alla somma algebrica delle cariche dei due conduttori, posta nel centro, comune,
delle due sfere).
Vediamo la distribuzione di carica superficiale sulle faccia interna della sfera
esterna e su quella esterna del conduttore interno. L’induzione elettrostatica ci
dice che sulla faccia interna del guscio sferico vi deve essere una carica totale
4T. Poichè, la carica totale presente sul conduttore esterno, deve essere T,
sulla faccia esterna del conduttore-guscio esterno deve esserci una carica totale
+3T.
In conclusione, tutto è accaduto come se sulla superficie esterna si fosse
trasferita la carica netta posta all’interno della regione occupata dai due conduttori.
In definitiva, la carica nella cavità non è stata schermata dal conduttore
esterno.
6
Potenziale di un conduttore
Il fatto che, all’equilibrio elettrostatico, il campo elettrico interno ad un conduttore sia nullo, implica che la dierenza di potenziale tra due punti qualsiasi
8
all’interno del conduttore è nulla, vale a dire che tutti i punti interni al conduttore sono allo stesso potenziale. Per spiegare questo risultato dobbiamo
ottenere la relazione che consente di ricavare il campo elettrico una volta noto
il potenziale.Ricordiamo che
Y (D) Y (E) =
Z
E
E · gl
(1)
D
Il primo membro si può scrivere, per definizione di integrale definito, come
Y (D) Y (E) = Z
E
gY
(2)
D
Dal confronto di queste due equazioni otteniamo
Z
E
gY =
D
Z
E
E · gl
D
e quindi,
gY = E · gl
(3)
gY ({> |> }) = H{ g{ + H| g| + H} g}
(4)
In particolare, facendo uso delle componenti cartesiane, avremo
dove gl = (g{> g|> g}). Per semplificare la nostra discussione, supponiamo
che il campo ed il potenziale dipendano solo da {. In tal caso, la (4) si può
semplificare:
gY ({) = H{ g{
e ancora, esplicitando il dierenziale al primo membro:
gY ({)
g{ = H{ g{
g{
In definitiva,
gY ({)
(5)
g{
La (5) ci dice che, se è noto il potenziale, come funzione di una coordinata,
per ottenere la componente del campo associata alla coordinata è su!ciente fare
la derivata del potenziale e cambiargli il segno. Questo risultato è generalizzabile
a tutte le componenti. Possiamo dire che, mentre la (1) consente di ottenere
il potenziale se è noto il campo, la (5) consente di ricavare il campo noto il
potenziale (in maniera più rigororosa bisogna parlare di derivate parziali, ma la
sostanza delle nostre aermazioni rimane).
Possiamo tornare al nostro problema. Perché un campo nullo, all’interno di
un conduttore, implica che non vi è dierenza di potenziale tra due punti interni
al conduttore?
H{ = 9
Se un campo è nullo, tutte le sue componenti cartesiane sono nulle. Dalla
(5) l’unico potenziale le cui derivate sono sempre nulle è quello costante (indipendente da x,y,z. In conclusione, possiamo dire che il campo all’interno del
conduttore è nullo ed il potenziale è costante.
Passiamo ad esaminare il potenziale sulla superficie del conduttore. Identifichiamo su essa due punti A e B qualsiasi. Poiché il campo vicino alla superficie
esterna di un conduttore all’equilibrio è ortogonale a tale superficie, uno spostamento lungo essa è sempre ortogonale al campo,
quindi E · gl = 0 , qualunque sia lo spostamento infinitesimo gl lungo la
superficie. Allora
Z
E
E · gl = 0
D
Poiché
Y (D) Y (E) =
Z
E
E · gl
D
segue, nel caso in esame
Y (D) = Y (E)
(6)
Allora, tutti i punti della superficie sono allo stesso potenziale ed è proprio
il valore del potenziale sulla superficie che determina il valore del potenziale
all’interno del conduttore. In altre parole tutto il conduttore (interno e superficie) è allo stesso potenziale. Si può allora parlare di potenziale del conduttore.
La regione occupata da un conduttore è una regione equipotenziale. In definitiva, possiamo porre, scegliendo lo zero all’infinito, per un qualsiasi conduttore
Z 4
Y (D) =
E · gl
(7)
D
In particolare, il potenziale di un conduttore carico sferico ed isolato è
10
Y (D) =
Z
4
U0
1 T
1 T
gu =
2
40 u
40 U0
(8)
dove U0 è il raggio del conduttore sferico e T la sua carica totale.
7
Eetto punta
In un conduttore carico, all’equilibrio elettrostatico, la carica presente è localizzata soltanto sulla superficie. Il campo dipende solo dalla densità di carica
superficiale, e in particolare, dipenderà da come esattamente le cariche sono
disposte sulla superficie, quindi dalla forma e dalle dimensioni del conduttore.
La dipendenza generale del campo da tali parametri è ovviamente molto
complessa. Qui vogliamo solo provare che l’intensità del campo è maggiore nei
punti ove la superficie presenta un maggiore raggio di curvatura (eetto punta).
Tale risultato, come vedremo, dipende essenzialmente dalla proporzionalità del
campo elettrico, con la densità di carica e non con la carica stessa.
Consideriamo due casi di conduttori sferici carichi ed isolati, con raggi diversi, U ed u (U A u) e dierenti cariche TU e Tu .
Facciamo in modo che i potenziali dei due conduttori siano uguali (lo si può
sempre fare operando sui valori delle cariche e sui raggi delle due sfere, oppure
connettendoli con un filo conduttore).
Poiché il potenziale di un conduttore sferico è
Y (U) =
1 T
40 U
per i due conduttori, si ha
YU
=
Yu
=
1 TU
40 U
1 Tu
40 u
11
(1)
ed uguagliando i due potenziali, si trova
U
TU
=
Tu
u
(2)
Le cariche presenti sui due conduttori risultano in rapporto diretto con i
rispettivi raggi. Se il campo fosse proporzionale alla carica dovremmo concludere
che esso è più intenso vicino al conduttore con maggiore raggio e quindi con
minore curvatura. Tuttavia il campo è proporzionale alla carica superficiale ed
il risultato precedente sarà invertito. Infatti,
Tu = 4u2 ud
TU = 4U2 U
d
che, sostituiti nella (2), danno
U
u
d
=
u
d
U
$
HU
u
=
Hu
U
$
UHU = uHu
(3)
Le densità di carica superficiale, che determinano il valore del campo vicino ai
conduttori, sono in rapporto inverso con i raggi delle due sfere. La densità di
carica è maggiore sulla sfera più piccola, quindi l’intensità del campo è maggiore
vicino alla sfera di raggio inferiore.
8
Capacità di un conduttore
Si abbia un conduttore isolato con una carica T. Il campo, all’esterno di esso,
varierà a seconda della disposizione delle cariche, e quindi possiamo dire che
dipende dalla forma e dalle dimensioni del conduttore. Ciò comporta che anche il potenziale del conduttore dipenderà dalla forma e dalle dimensioni del
conduttore.
Consideriamo un conduttore sferico isolato. Il suo potenziale è (nell’ipotesi,
lo ricordiamo, che lo zero dell’energia potenziale sia posto all’infinito)
Y =
1 T
40 U
(1)
dove U è il raggio della sfera.
Supponiamo che dopo un pò, per qualche motivo, il potenziale del conduttore
(sferico) sia cambiato (per esempio, abbiamo avvicinato un altro conduttore) e
che possiamo scrivere il nuovo potenziale come:
Y 0 (U) = nY (U)
(2)
dove k è una costante. Poiché il raggio del conduttore non è cambiato si ha
Y 0 (U) =
1 nT
40 U
la (2) può essere riscritta:
12
Y 0 (U) =
1 T0
40 U
dove abbiamo posto
T0 = nT
(7)
In conclusione, quando il potenziale cambia di un certo fattore n, anche la
carica sul conduttore cambia dello stesso fattore. Esiste, allora, una relazione
lineare anche tra carica e potenziale tanto che il rapporto tra queste due quantità
è una costante per il conduttore:
T0
nT
T
=
=
(8)
0
Y
nY
Y
Si definisce capacità del conduttore, e si indica con C, il rapporto costante tra
la carica posseduta dal conduttore ed il suo potenziale
[F] =
T
Y
(9)
Nel S.I. la capacità si misura in farad (F).
1F
1Y
In particolare, il farad è un valore enorme per le capacità ordinarie. Si
usano allora dei sottomultipli: il microfarad, 1I = 106 I ed il picofarad
1sI = 1012 I .
1I =
9
Capacità di un condensatore piano
Un condensatore è un sistema di due conduttori, posti vicino ad una distanza
g, che hanno carica uguale ma di segno opposto.
13
Il condensatore mostrato in figura è detto piano. La capacità C di un condensatore è definita come il rapporto tra la carica posseduta da ognuno dei due
conduttori e la dierenza di potenziale esistente tra di essi:
T
(1)
Y
Supporremo che l’area di ogni armatura sia d e che la distanza tra esse sia g
(si ricorda che prende il nome di "armatura" ognuno dei due conduttori del
sistema in oggetto). Come per il calcolo della capacità di un conduttore sferico
isolato, la determinazione della capacità di un condensatore, supposta nota la
carica, si riduce al calcolo della dierenza di potenziale esistente tra le armature.
Possiamo risalire a tale dierenza dalla conoscenza del campo elettrico tra le
armature. Tale campo è stato determinato in un precedente esempio, come
campo tra due piani carichi paralleli. Esso vale
F=
d
0
dove d è la densità di carica superficiale.
La dierenza di potenziale tra due punti, posti ciascuno su un’armatura, è
proporzionale alla distanza di separazione tra essi e decresce nella direzione del
campo,
H=
Y = Hg
(2)
La precedente equazione, usando l’espressione del campo, prima trovata,
diventa
d
g
0
Moltiplicando e dividendo per la superficie d dell’armatura, si ha
Y =
dd
g
d0
Poiché T = dd rappresenta la carica presente su un’armatura, potremo scrivere
Y =
T
g
d0
e usando la definizione di capacità di un condensatore, cioé
Y =
Y =
avremo
T
F
d0
(3)
g
Per aumentare la capacità di un condensatore piano possiamo o aumentare
la sua area o diminuire la distanza tra le armature.
I più comuni condensatori sono piani paralleli, cilindrici e sferici. Graficamente, un condensatore si indica con il simbolo:
F=
14
9.1
Esempi
Esempio 1: Determinare la capacità di una sfera carica il cui raggio sia pari a
quello della Terra.
Consideriamo, un conduttore sferico. Abbiamo visto che il potenziale di un
conduttore sferico isolato è (nell’ipotesi, lo ricordiamo, che lo zero dell’energia
potenziale sia posto all’infinito)
1 T
40 U
La capacità di un conduttore sferico di raggio U è presto calcolata: poiché
Y =
Y =
T
F
segue
F = 40 U
Per una sfera di raggio pari al raggio della Terra, U = 6> 37 × 106 p troveremo
F = 7 × 104 I
Esempio 2: Determinare la capacità di un condensatore sferico.
Un condensatore sferico è costituito da due armature sfere concentriche, una
carica positivamente e una carica negativamente. Siano U1 e U2 i raggi delle
sfere, rispettivamente positiva e negativa, dove U1 ? U2 . Usando una superficie
di Gauss sferica con raggio compreso tra U1 e U2 troviamo, se T è il valore della
carica positiva del condensatore,
I
T
E · ud g2 d =
%0
da cui
T 1
4%0 u2
La dierenza di potenziale tra le due armature è
µ
¶
Z U2
Z U2
Z U2
1
T
1
T 1
gu
=
Y2 Y1 = E·gl = Hu gu = 2
4%0 U2 U1
U1
U1
U1 4%0 u
Hu =
cioè
T
Y1 Y2 =
4%0
µ
U2 U1
U1 U2
In definitiva, la capacità del condensatore sferico è
15
¶
F = 4%0
µ
U1 U2
U2 U1
¶
Esempio 3: Determinare la capacità di un condensatore cilindrico.
Un condensatore cilindrico è costituito da due armature cilindriche coassiali
cariche, rispettivamente, una positivamente e l’altra negativamente. Siano U1 e
U2 (U1 ? U2 ) i raggi della circonferenze di base ed O la loro comune lunghezza.
Inoltre sia positiva l’armatura interna.
Usando un cilindro di Gauss con raggio compreso tra U1 e U2 , se T è il
valore della carica positiva del condensatore si ha
I
T
E · ud g2 d =
%0
da cui
Hu =
T 1
4%0 O u
La dierenza di potenziale tra le due armature è
Y2 Y1 = Z
U2
U1
E·gl = Z
U2
U1
Hu gu = da cui
Y1 Y2 =
Z
U2
U1
T
ln
4%0 O
T 1
T
gu = ln
4%0 O u
4%0 O
µ
U1
U2
µ
U2
U1
¶
¶
La capacità del condensatore cilindrico si scriverà
F=
4%0 O
³ ´
1
ln U
U2
Esempio 4: Condensatori in serie
I condensatori possono essere posti sia in serie che in parallelo. Con riferimento alla figura seguente, nella connessione in serie, avremo:
16
I due condensatori, collegati in serie fra i punti A e B, hanno un connettore in
comune (nel punto D). Una prima osservazione da fare è che la carica su ciascun
condensatore è la stessa, una seconda è che la dierenze di potenziale totale, ai
capi del sistema è equivalente alla somma delle due dierenze di potenziale (per
portare una carica unitaria agli estremi del sistema bisogna passare attraverso
i due condensatori). In tal caso possiamo scrivere:
µ
¶
T
T
1
1
Y = Y1 + Y2 =
+
=T
+
F1 F2
F1 F2
da cui
1
1
1
=
+
F
F1 F2
La capacità
Fht =
F1 F2
F1 + F2
(1)
è detta capacità equivalente del sistema delle due capacità.
Per N condensatori collegati "in serie" la capacità equivalente è
Fht = P
1
1
l Fl
Si osserva, in proposito, che la capacità equivalente di un collegamento in
serie di condensatori è sempre minore delle capacità dei singoli condensatori: è
sempre più piccola del più piccolo.
Esempio 5: Condensatori in parallelo
Nella connessione in parallelo, avremo:
La precedente figura evidenzia che i condensatori collegati in parallelo fra i
punti A e B hanno entrambi i connettori in comune. In questo caso, ai capi dei
due condensatori avremo la stessa dierenza di potenziale (o sistema dei due
condensatori):
T = T1 + T2 = F1 Y + F2 Y = (F1 + F2 ) Y
17
da cui, la capacità equivalente del sistema, è
Fht = F1 + F2
(2)
Per N condensatori collegati in parallelo la capacità equivalente è
Fht =
Q
X
Fl
l=1
In proposito, si può osservare che la capacità equivalente di un insieme di
condensatori collegati in parallelo è maggiore di quella di ciascuno dei singoli
condensatori.
10
I Dielettrici
Abbiamo parlato dei conduttori, e nei prossimi capitoli vedremo che in essi,
in determinate condizioni, vi può essere un movimento di cariche. Tra i corpi
macroscopici vi è un’altra categoria di corpi che si comporta in maniera diversa: anche in presenza di un campo elettrico esterno in essi non si genera un
movimento di cariche. Questi corpi sono detti isolanti o dielettrici.
L’individuazione di corpi corduttori e isolanti rientra tra gli studi sperimentali compiuti essenzialmente da Faraday, a partire dal 1837, per dimostrare la
natura di campo anche dei fenomeni elettrici. L’idea corrente sulle forze e sulla
loro natura, ai tempi di Faraday, era essenzialmente ancora quella newtoniana.
Secondo tale visione le forze dovono agire a distanza ed essere dirette lungo la
congiungente tra due punti materiali (si pensi alla forza di gravitazione universale ed alla forza di Coulomb). Nel 1820 Oersted, come mostreremo meglio in
seguito, aveva mostrato che le correnti possono influire sugli aghi magnetici e
quest’azione non aveva caratteristiche newtoniane. Gli scienziati incominciarono ad avere una visione non strettamente newtoniana e, cosa più importante,
incominciò a riapparire il concetto di "forza che opera per contatto". Secondo
tale concezione una forza, per esempio quella elettrica, si trasmette da molecola a molecola attraverso delle linee di tensione del mezzo. Questa "tensione
del mezzo" sarà uno degli argomenti di ricerca più controversi per circa un secolo. Gli studi di Faraday, di cui brevemente tratteremo in questo capitolo,
portarono all’introduzione del concetto di linea di forza (modo convenzionale
di esprimere la direzione lungo la quale agisce la forza nei casi di induzione),
di atomi puntiformi ma con intorno un’atmosfera di forza e cosa fondamentale
(come vedremo tra breve) venne introdotta l’idea che i fenomeni elettrostatici
risiedano nel mezzo interposto tra due distribuzioni di cariche.
10.1
Costante dielettrica
Supponiamo di voler eseguire il seguente esperimento. Consideriamo un condensatore piano e valutiamo la sua capacità in due casi diversi: nel primo caso,
tra le piastre del condensatore ipotizziamo il vuoto, mentre nel secondo caso,
18
tutto lo spazio tra le piastre del condensatore è completamente riempito da un
isolante (vetro, per esempio).
Indicheremo con un pedice ”0” le quantità in assenza di dielettrico.
Nel precedente capitolo abbiamo trovato che la capacità di tale condensatore
(vi è il vuoto tra le armature) vale:
0 d
(1)
g
dove con ”d” abbiamo indicato la superficie di un’armatura e con ”g” la distanza
tra le due armature.
Inseriamo ora il dielettrico tra le armature. Come osservò Faraday per la
prima volta, la capacità C del nuovo condensatore è aumentata di un fattore u ,
che dipende dal tipo di isolante. Cioé,
F0 =
F = u F0
(2)
Il fattore u ha una interpretazione fisica legata alla forza di Coulomb. Infatti, u è la misura di quanto si riduce la forza di Coulomb, tra due cariche,
quando al vuoto tra esse si sostituisce un mezzo materiale. Più precisamente, si
prova sperimentalmente che:
1)- l’intensità della forza di Coulomb tra due cariche puntiformi, poste ad
una distanza u, nel vuoto,
1 T1 T2
I0 =
40 u2
è sempre maggiore della forza (che indicheremo con Ip ) che si esercita tra le
due stesse cariche poste in un mezzo (isolante);
19
2)- anche per la forza di Coulomb, nel mezzo si può sempre scrivere:
Ip =
1 T1 T2
4p u2
(3)
dove la quantità p (indicata anche semplicemente con ) è chiamata permettività del mezzo (allora 0 è la permettività del vuoto). Dalla prima considerazione sperimentale segue
p
I0
=
1
Ip
0
La quantità
p
0
u (4)
è il fattore che compare nella (2), e prende il nome di permettività relativa
o costante dielettrica relativa.
Dalle precedenti equazioni troviamo, inoltre, che
Ip =
I0
1 T1 T2
=
2
4p u
u
(5)
Allora, la costante dielettrica ci dice di quante volte l’intensità della forza
di Coulomb tra due cariche puntiformi poste ad una distanza u in un mezzo
isolante, è più piccola della forza che si esercita tra le stesse cariche, poste alla
stessa distanza, quando sono nel vuoto. Ma una riduzione della forza equivale
ad una riduzione del campo:
H=
H0
u
(6)
In conclusione, il risultato più rilevante dell’esperimento è che la presenza
del dielettrico riduce il campo elettrostatico tra le armature del condensatore.
Proviamo, ora, che è proprio la riduzione del campo elettrico la ragione
dell’aumento della capacità del condensatore piano quando si introduce tra le
sue armature il dielettrico.
20
Il campo tra le armature può scriversi, in termini della densità di carica
superficiale, come H0 = d @0 per cui la (6) diventa
H=
d
T
=
0 u
0 u d
dove abbiamo introdotto la carica T = d d del condensatore. Per calcolare
la nuova capacità abbiamo bisogno della dierenza di potenziale tra le armature.
Essa vale
Y = Hg = T
g
0 u d
(7)
Per definizione F = T@Y e quindi
0 u d
= u F0
g
che è quello che volevamo mostrare. Allora la costante dielettrica, definita
attraverso le (3) e (4) è esattamente la stessa costante che compare nella (2).
Notiamo, infine, che dalla (7) si ricava
F=
Y =
Y0
u
(8)
cioé, la permettività relativa fornisce anche una misura della diminuzione del
potenziale tra due armature quando, invece del vuoto, tra di esse viene posto
un dielettrico.
La descrizione che abbiamo appena fatto non spiega il motivo fisico del
perché la capacità aumenta con l’inserimento del dielettrico. La spiegazione può
avvenire solo se si ricorre ad un modello fisico di quello che accade. La risposta
la troveremo nei prossimi paragrafi e risiede nel fenomeno della polarizzazione.
10.2
Polarizzazione e vettore spostamento dielettrico D
L’applicazione di un campo elettrico in un conduttore produce uno spostamento
di cariche, cioè una corrente. Lo stesso campo applicato ad un dielettrico non
produce alcuna corrente. Tuttavia ciò non significa che non vi sia alcuno spostamento di cariche. Per convincersi che comunque vi è un lieve spostamento delle
cariche, basti pensare che in presenza di un campo elettrico esterno, le cariche
positive tenderanno a spostarsi nella direzione del campo, mentre quelle negative
nella direzione opposta. Il risultato di un tale eetto è che le parti positive e
quelle negative di ogni molecola costituenti il materiale si saranno spostate dalla
loro posizione di equilibrio in direzione opposta rispetto a quella del campo (resta
inteso che questi spostamenti sono dell’ordine di piccole frazioni del diametro
molecolare). Si dice, in tal caso, che il dielettrico si è polarizzato. Quando
si inserisce il dielettrico tra le armature del condensatore, apparirà un eccesso
di carica positiva davanti all’armatura negativa e un eccesso di carica negativa
davanti all’armatura positiva:
21
Si genera, cioè, una carica polarizzata Ts che va ad aggiungersi alla carica
libera T0 , posta sulle armature. La carica libera è responsabile del campo
elettrico E0 che si avrebbe in assenza del dielettrico, mentre la carica polarizzata
Ts , è causa del campo indotto (o di polarizzazione) Es . Il campo elettrico totale
E sarà la somma dei due campi elettrici:
E = E0 + Es
Il teorema di Gauss, in un mezzo dielettrico, si scriverà,
I
%0 E · ud g2 d = T0 + Ts
(9)
(10)
L’espressione (10), però, contiene la di!coltà intrinseca di conoscere, a priori,
la carica di polarizzazione. Conviene procedere alla derivazione del teorema di
Gauss, nei dielettrici, partendo dal teorema nel vuoto e utilizzando l’osservazione
già fatta che il campo elettrico totale si riduce di un fattore pari alla costante
dielettrica relativa. Cioè, da
I
%0 E0 ·ud g2 d = T0
osservando che (vedi la (6))
H=
H0
u
avremo
%0 u
I
E · ud g2 d = T0
(11)
In questa forma il teorema è applicabile, in quanto appaiono solo le cariche
libere. Inoltre, tale espressione suggerisce di introdurre un nuovo vettore, detto
spostamento dielettrico,
D =%0 u E
22
(12)
in maniera tale che il teorema di Gauss, nei dielettrici assume la forma:
I
D · ud g2 d = T0
(13)
Nei dielettrici le cariche libere sono le sorgenti del vettore spostamento, mentre nel vuoto lo erano per il campo elettrico. Nel vuoto, i due vettori sono legati
dalla relazione:
D0 =%0 E0
(14)
In tal caso, il campo coulombiano di una carica T, posta nell’origine del
sistema di riferimento, scritto per il vettore spostamento, diventa
G0 =
10.3
1 T
4 u2
(15)
Esempi
Esempio 1: Cosa succede alla capacità di un condensatore se il dielettrico non
riempie tutto lo spazio tra le armature ma solo una sua parte, ad esempio una
metà? Per essere precisi, se g è la distanza tra le due armature ed d è l’area di
una delle armature, il dielettrico è assunto avere uno spessore g@2 ed area d.
Il campo H1 , nella parte riempita di isolante, sarà
H1 =
H0
u
La dierenza ai capi dell’armatura sarà data da
g
g
1
Y = Y0 + Y1 = H0 + H1 = Y0
2
2
2
µ
1 + u
u
¶
Poiché la carica sulla piastra non è mutata, avremo
F=
u
T0
= F0 2
Y
1 + u
Esempio 2: Determinare la capacità del condensatore piano della figura
seguente
23
Le due regioni sono riempite di due dierenti dielettrici le cui costanti sono %1
8
d, dove
e %2 . Inoltre, l’area delle armature, relative alla prima superficie è d1 = 10
d è la superficie totale delle armature mentre g la loro distanza. Il sistema può
essere visto come un condensatore costituito da due condensatori in parallelo.
Essendo le due capacità, date da
F1 =
d1 %1
8 d%1
=
g
10 g
F2 =
d2 %2
2 d%2
=
g
10 g
la capacità totale del sistema è la somma delle capacità dei singoli condensatori:
F = F1 + F2 =
2 d%2
d
8 d%1
+
=
(8%1 + 2%2 )
10 g
10 g
10g
Infine, poiché
%u1 =
%1
%0
%u2 =
%2
%0
troviamo
%0 d 1
1
(8%u1 + 2%u2 ) = F0 (8%u1 + 2%u2 )
g 10
10
Esempio 3: Inizialmente viene dato un condensatore piano vuoto le cui
armature hanno una superficie d e sono separate da una distanza g. Successivamente viene introdotta una lastra di rame, di spessore g1 fra le armature del
condensatore, esattamente a metà strada da entrambe. Determinare la capacità
del condensatore piano dopo l’introduzione della lastra.
F=
La capacità del condensatore piano prima dell’introduzione della lastra è
d%0
F0 =
g
Dopo l’introduzione della lastra il sistema diventa equivalente a due condensatori
vuoti, in serie. La capacità equivalente sarà
1
1
1
=
+
F
F1 F2
dove
d%0
d%0
F2 =
(g g1 ) @2
(g g1 ) @2
Le due capacità sono uguali. Sostituendo troviamo
d%0
F=
g g1
F1 =
24
11
Complementi: energia e densità di energia
elettrostatica
Vogliamo studiare l’energia elettrostatica associata ad una configurazione di
cariche puntiformi. In sostanza, per mettere insieme diverse cariche (portarle
da una distanza infinita reciproca ad una distanza reciproca finita) si è spesa
una certa energia. Si può allora parlare di energia associata alla configurazione
di cariche in oggetto.
11.1
Il caso di due cariche
Consideriamo il caso di due cariche puntiformi e poniamoci il problema dell’energia
potenziale totale associata a tale sistema. Supponiamo che la carica T1 abbia
una posizione individuata dal vettore r1 e la carica T2 quella individuata dal
vettore r2 . Il lavoro che compie il campo E1 generato dalla carica T1 , per
spostare la carica T2 dal punto r2 a distanza infinita, è
Z
4
Z
4
Z
4
Z
4
1
T1
40 |r2 r1 |
r2
r2
(C1)
Una volta che la carica T2 è stata portata a distanza infinita dalla carica T1 ,
non è più necessario calcolare il lavoro che compierebbe il campo E2 , generato
dalla carica T2 , per spostare la carica T1 dal punto r1 a distanza infinita, perché
già con il primo calcolo abbiamo portato le due cariche ad una distanza reciproca
infinita. Allora, volendole separare due cariche, è su!ciente calcolare il lavoro
che fa il campo di una delle due.
Ovviamente, avremmo potuto calcolare il lavoro fatto dalla carica T2 , per
spostare la carica T1 dal punto r1 a distanza infinita e avremmo trovato:
O1 (r2 $ 4) =
F21 · gr2 = T2
E1 · gr2 = T2 Y1 (r2 ) = T2
T1
1
4
|r
0 1 r2 |
r1
r2
(C2)
Come si può vedere i due lavori sono identici. Possiamo allora scrivere che il
lavoro per separare, fino ad una distanza reciproca infinita, due cariche, dovendo
essere pari ad uno solo dei precedenti lavori, sarà uguale alla metà della loro
somma, cioè
O2 (r1 $ 4) =
F12 · gr1 = T1
E2 · gr1 = T1 Y2 (r1 ) = T1
1
1
X = [O1 (r2 $ 4) + O2 (r1 $ 4)] = [T2 Y1 (r2 ) + T1 Y2 (r1 )]
2
2
(C3)
Se si indica con
X12 = T1 Y2 (r1 )
X21 = T2 Y1 (r2 )
potremo riscrivere la (C3) in forma compatta:
25
(C4)
1
(C5)
X = [X21 + X12 ]
2
Nel caso di più cariche puntiformi, per ogni coppia dobbiamo scrivere una
quantità pari alla (5).
11.2
Densità di energia del campo elettrostatico
Vogliamo mostrare che è possibile pensare che l’energia elettrostatica possa essere localizzata nei punti dello spazio ove è presente il campo elettrico.
Noi vogliamo calcolare l’energia elettrostatica di un condensatore piano, assumendo che le derivazioni date per i corpi puntiformi siano valide anche per
corpi estesi.
Una possibile giustificazione di tale assunzione alla validità della (C3) nel
caso di un conduttore è la seguente. Se immaginiamo di portare le due cariche
della (C3) sulla superficie di un conduttore scarico, avremo
X=
1
[T2 Y1 (r2 ) + T1 Y2 (r1 )]
2
$
X=
1
[T2 Y (r2 ) + T1 Y (r1 )] (C6)
2
dove Y è il potenziale del conduttore. Allora,
1
1
[T2 + T1 ] Y
$
X = TY
(C7)
2
2
dove T = T1 + T2 . Supponiamo di avere, ora, un condensatore piano e
ipotizziamo che l’energia elettrostatica ad esso associata si possa scrivere come
X=
1
1
T1 Y1 + T2 Y2
(C8)
2
2
dove Y1 e Y2 sono i potenziali dei due conduttori. Poiché T1 = T e T2 = T,
l’energia del sistema dipenderà dalla dierenza di potenziale tra le due armature:
X=
1
TY
(C9)
2
Per determinare la dierenza di potenziale usiamo l’espressione del campo
elettrico tra le armature del condensatore:
X=
H=
d
0
(C10)
dove d è la superficie di un’armatura. Il campo per la distanza che separa le
due armature ci darà la dierenza di potenziale:
Y =
d
g
0
Sostituendo tale valore nella (C9), si avrà:
26
1 d
T g
2 0
X=
e, poiché T = d @d,
1
X = 0
2
µ
d
0
¶2
dg
(C11)
Dal momento che, dg è il volume racchiuso tra le due armature, il rimanente
fattore, potrà interpretarsi come densità di energia, vale a dire
H =
1
X
= 0
dg
2
µ
d
0
¶2
=
1
0 H 2
2
(C12)
Generalizzando il risultato ottenuto per il condensatore ad una qualunque
distribuzione di cariche, potremo scrivere che l’energia associata alla distribuzione
di carica è sempre esprimibile come l’integrale di volume esteso a tutto lo spazio
di una densità di energia H (r) (le cariche devono essere localizzate in una
regione finita), cioè,
I
X=
g3 uH (r)
(C13)
Y
dove abbiamo introdotto la densità di energia del campo elettrostatico H (r):
H (r) 0 H 2
2
(C14)
Le due ultime equazioni sono uguali alla (11). Esse ci suggeriscono una nuova
interpretazione dell’energia elettrostatica. Se E è il valore del campo elettrico in
un dato volume g3 u, a questo volume si può associare un’energia elettrostatica
H g3 u, in maniera tale che H si possa interpretare come energia per unità di
volume del campo elettrostatico.
11.3
Esempi
Esempio 1: Calcoliamo l’energia elettrostatica contenuta nel volume compreso
tra due sfere concentriche, rispettivamente, di raggio U1 = 3p ed U2 = 10p, se
nel centro di esse è posta una carica puntiforme T = 2F.
Poiché il campo prodotto da una carica puntiforme T, ad una distanza u, è
H=
1 T
40 u2
segue
H2 =
µ
1
40
27
¶2
T2
u4
Quindi
X=
Z
g2 Z
U2
U1
4
guu2 H (u) =
1
80
µ
1
1
U1 U2
¶
= 42 × 104 M
Esempio 2: Calcolare l’energia elettrostatica immagazzinata in un condensatore sferico di raggi U1 e U2 .
Se si applica il teorema di Gauss ad una superficie gaussiana con raggio
compreso tra U1 e U2 , si trova che il campo elettrico nella regione compresa tra
le due armature sferiche è:
T 1
H=
(E1)
4%0 u2
Per applicare la (C14) dobbiamo calcolare il volume elementare compreso tra
due sfere concentriche di raggio u e u + gu . Il volume compreso tra queste due
sfere è
g3 u = 4u2 gu
(E2)
Possiamo procedere al calcolo della (C14). Avremo
XH =
1
%0
2
Z
U2
4u2 gu
U1
ovvero
XH =
µ
T 1
4%0 u2
1 T2
2 4%0
µ
¶2
=
1 T2
2 4%0
U2 U1
U1 U2
µ
¶
1
1
U1
U2
¶
(E3)
(E4)
La capacità del condensatore sferico è stata calcolata nel precedente capitolo e
la sua espressione è
¶
µ
U1 U2
F = 4%0
(E5)
U2 U1
Notiamo che la (E3) è, come deve essere, anche uguale a
XH =
1 T2
2 F
Esempio 3: Calcolare l’energia elettrostatica di un conduttore sferico isolato, con carica T e raggio U1 .
Un conduttore sferico carico depone tutta la sua energia sulla superficie
esterna della sfera: il campo elettrico al suo interno è nullo. Nel caso in esame
il campo elettrostatico è diverso da zero solo per u A U1 .
Un conduttore carico sferico può essere visto come un condensatore la cui
seconda armatura è posta all’infinito. In tal caso, l’energia elettrostatica si può
ottenere dalla (c) del precedente esercizio, per U2 $ 4:
XH =
1 T2 1
2 4%0 U1
28
(E6)
Due osservazioni.
La prima è che, avendo mostrato che la capacità di un conduttore sferico è
F = 4%0 U
(E7)
l’espressione (E6) è anche uguale a
XH =
1 T2
2 F
La seconda osservazione è che per U1 $ 0, cioè per una carica puntiforme,
l’energia elettrostatica diventa infinita.
Esempio 4: Determinare l’energia elettrostatica di una sfera (non conduttrice) uniformemente carica, con carica totale T e raggio U.
Poiché la sfera è uniformemente carica, la sua densità di carica si scriverà
T
=
(E8)
4
3
3 U
Il campo elettrico è diverso da zero sia per u A U che per u U. Nella prima
regione, il campo elettrico è quello dato dalla (E1), cioè
H=
T 1
4%0 u2
uAU
(E9)
mentre nella seconda regione
u
(E10)
3%0
L’energia elettrostatica totale sarà la somma dell’energia elettrostatica associata
alla prima regione,
1 T2 1
uAU
(E11)
XH =
2 4%0 U1
H=
e di quella associata alla seconda regione
¶2
µ
Z U
1
1 T2 1
XH = %0
u =
4u2 gu
2
3%0
5 8%0 U
0
0uU
(E12)
Sommando le due ultime equazioni avremo
XH =
3 T2 1
5 4%0 U
(E13)
Esempio 5: Il raggio classico dell’elettrone.
Calcoliamo esplicitamente l’energia di una distribuzione di carica, distribuita
in una regione sferica di raggio U. Il campo elettrico prodotto da tale carica in
un qualunque punto esterno (u A U) ci consente di scrivere
H2 =
·
1
40
29
¸2
T2
u4
ed usando le coordinate sferiche possiamo scrivere
X
=
0
2
= Z
4
U
guu2
·
Z
40
1
2
40
·
T2
1
1
1 1
=
T2
U
2 40
U
4
¸2
¸2
g
1
40
T2
=
u4
Nel caso di una carica puntiforme (U = 0) l’energia elettrostatica diventa infinita:
· 2 ¸
1
T
X = lim
R$0 80 R
Possiamo dire che l’idea di localizzare l’energia nel campo elettrico non è
consistente con la nostra ipotesi di carica puntuale.
Ora, ipotizziamo che l’elettrone sia un corpo sferico di raggio uh . Vogliamo
stimare, sulla base dell’energia che esso possiederebbe, quale sia il valore del suo
raggio.
Supponendo che la carica dell’elettrone sia distribuita in una sfera di raggio
uh , abbiamo appena mostrato che l’energia associata a tale distribuzione di
carica, è
Xh =
1 th2 1
2 40 uh
Possiamo, secondo la "relatività ristretta", tale energia può essere posta
uguale a:
Ph f2 = Xh
cioè
Ph f2 =
1 th2 1
2 40 uh
e, risolvendo rispetto all’ipotetico raggio dell’elettrone, si avrà
uh =
1 th2
1
2 40 Ph f2
Il valore numerico di tale espressione è circa 1015 p. Più propriamente, la
quantità
1
th2
= 2> 8 × 1015 p
40 Ph f2
viene chiamata raggio classico dell’elettrone.
30
11.4
La distribuzione discreta di cariche
Ora discuteremo in maniera più formale dell’energia elettrostatica associata ad
una distribuzione di cariche localizzate in una regione finita di spazio. Riconsideriamo il caso di due cariche puntiformi e poniamoci il problema della
determinazione dell’energia potenziale totale associata a tale sistema.
Siano F12 e F21 le forze (interne al sistema!) agenti sulle due cariche. Il
lavoro totale infinitesimo fatto dalle due forze è
gOwrw = F12 · gr1 + F21 · gr2
Poiché F12 = F21 , introducendo il vettore relativo r12 = r1 r2 , possiamo
scrivere
gOwrw = F12 · gr12
Il lavoro infinitesimo delle forze interne dipende solo dalle configurazioni relative.
Ma le forze interne sono coulombiane, quindi conservative. Allora, esiste una
energia potenziale relativa tale che
gOwrw = gX12
(1)
L’interpretazione di tale relazione è chiara. Quando la carica T1 ha portato
la carica T2 all’infinito, non è più necessario considerare il lavoro della carica
T2 per portare la carica T1 all’infinito. Il primo lavoro ha già portato le due
cariche ad una distanza reciproca infinita.
Possiamo riscrivere la (1) come segue
1
gOwrw = g (X12 + X21 )
2
(2)
Nel caso di 3 particelle cariche, generalizzando le considerazioni appena svolte,
avremo
gOwrw = F12 · gr1 + F21 · gr2 + F13 · gr1 + F31 · gr3 + F23 · gr2 + F32 · gr3
che, raccolte a coppie e procedendo come prima, ci consentiranno di esprimere
gOwrw = g (X12 + X13 + X23 )
che possiamo riscrivere come
1
gOwrw = g [(X12 + X13 ) + (X21 + X23 ) + (X31 + X32 )]
2
31
Se si hanno N particelle cariche si avrà
¢¤
¡
1 £
gOwrw = g (X12 + === + X1Q ) + (X21 + === + X2Q ) + === + XQ 1 + === + XQ (Q1)
2
Di quest’ultima espressione si può avere una forma compatta. Posto
X1 = X12 + X13 + === + X1Q
X2 = X21 + X23 + === + X2Q
===============================================
XQ = XQ 1 + XQ 2 + === + XQ (Q1)
avremo
gOwrw
#
"Q
1 X
Xl
= g
2 l=1
(3)
dove abbiamo posto
Xl =
Q
X
Xlm
(4)
m=1(m6=l )
Questa rappresenta l’energia potenziale associata alla posizione della i-esima
particella e prodotta dalle rimanenti N-1 particelle. Esplicitamente
Xl = Tl Yl = Tl
Q
X
Q
X
Ylm = Tl
m=1(m6=l )
m=1(m6=l )
Tm
1
40 |rl rm |
(5)
dove Ylm è il potenziale generato dalla carica puntiforme j-esima nella posizione occupata dalla particella i-esima, mentre Yl è il potenziale generato nella
posizione occupata dalla particella i-esima da tutte le rimanenti particelle del
sistema. In definitiva avremo
Q
X
Q
gOwrw = 1X
2 l=1
gXlm
(6)
m=1(m6=l )
ovvero, esplicitamente,
Q
gOwrw
1X
=
2 l=1
Q
X
m=1(m6=l )
32
g
µ
Tl Tm
1
40 |rl rm |
¶
(7)
da cui, il lavoro totale finito per trasformare il sistema da una configurazione A
ad un configurazione B sarà
Q
1X
Owrw (D $ E) = Xwrw (D) Xwrw (E) =
2 l=1
Q
X
m=1(m6=l )
[Xlm (D) Xlm (E)]
(8)
dove A e B sono due dierenti configurazioni della distribuzione discreta e puntiforme di cariche.
L’energia elettrostatica associata ad una data configurazione (ometteremo
in seguito il pedice ”tot”) sarà
Q
1X
2 l=1
X (D) O (D $ 4) =
Q
X
X lm (D)
(9)
m=1(m6=l )
dove il limite infinito indica che l’energia elettrostatica è pari al lavoro che fanno
le forze generate dalle cariche stesse, per portare le cariche ad una distanza
reciproca infinita. Allora, possiamo anche scrivere:
Q
X (D) =
Q
1X
1X
Tl Yl (D) =
2 l=1
2 l=1
Q
X
Tl Ylm (D)
m=1(m6=l )
per cui si avrà la seguente espressione esplicita dell’energia elettrostatica di una
distribuzione discreta di cariche:
X (D) =
11.5
Q
1 X
80 l=1
Q
X
m=1(m6=l )
Tl Tm
|rl rm |
(10)
Le distribuzioni continue
La precedente equazione si applica a distribuzioni discrete e puntiformi di cariche
elettriche statiche. Perché delle cariche si possano considerare reciprocamente
puntiformi occorre che la distanza relativa tra esse sia molto più grande delle
dimensioni delle regioni in cui sono localizzate. Se si vuole discutere dello stesso
problema per distribuzioni di cariche che, reciprocamente, non possano considerarsi puntiformi, occorre modificare la (10) e renderla adatta a trattare le
distribuzioni continue di cariche.
Limiteremo le nostre argomentazioni a cariche elettriche che siano distribuite
con continuità in volumi finiti.
Supponiamo di avere due cariche distribuite con continuità in due regioni
limitate dello spazio, O3 e O03 siano i rispettivi volumi. Ponendo
gt l = (r) g3 u
gt m = (r0 ) g3 u0
33
possiamo pensare di prendere suggerimento dalla (10) e scrivere:
I I
1
(r) (r0 )
X (D) =
g3 ug3 u0
80 O3 O03
|r r0 |
Ma
Y (r) =
1
40
I
g3 u0
O03
(r0 )
|r r0 |
è il potenziale generato dalla distribuzione contenuta in O03 , nel punto generico
r, e quindi, in definitiva, avremo:
I
1
X (D) =
g3 u (r) Y (r)
(11)
2 O3
L’energia elettrostatica di una qualunque distribuzione di carica, a parte il fattore 1@2 , è il prodotto della carica gt = g3 u per il potenziale Y (u), generato
da tutte le cariche presenti in tutto lo spazio, calcolato nella posizione ove è la
carica.
L’espressione (11), sebbene sia stata ricavata a partire dalla distribuzione
di cariche discrete (eq.(10)), contiene un termine extra rispetto alla (10) che la
rende più generale di quest’ultima.
Per capire meglio questo punto cercheremo, nel prossimo paragrafo, di scrivere l’energia elettrostatica direttamente in termini del campo elettrico.
11.6
Auto-energia ed energia d’interazione
Siamo ora in grado di spiegare perché la (10) e la (11) sono dierenti.
Abbiamo mostrato, anche se per il caso del solo condensatore piano che
l’energia elettrostastica può pernsarsi immagazzinata in tutto lo spazio ove il
campo elettrico è diverso da zero, mediante l’espressione
X=
Z
g3 u
0 H 2 (r)
2
(12)
Prendiamo due cariche T1 e T2 localizzate in due regioni distinte dello
spazio. Non ci interessa, per ora, stabilire se si possano considerare reciprocamente puntiformi o meno, perché calcoleremo l’energia elettrostatica ad esse
associata utilizzando la (12). Nel fare ciò, lo ricordiamo, avendo mostrato che
la (12) è equivalente alla (11) sarà come se avessimo calcolato l’energia elettrostatica delle due cariche secondo quest’ultima. A sua volta la (11) l’abbiamo
derivata dalla (10), quindi non occorre, per il momento, specificare se le nostre
cariche si possano considerare o meno puntiformi.
34
Siano E1 ed E2 i campi elettrostatici prodotti dalle due cariche. Il campo
risultante sarà E = E1 + E2 per cui H 2 = H12 + H22 + 2E1 · E2 . Utilizzando la
(12) l’energia elettrostatica totale si potrà scrivere:
X = X1 + X2 + X12
(13)
dove abbiamo posto
0
X1 =
2
Z
3
g u
H12
0
X2 =
2
Z
3
g u
H22
X12
0
=
2
Z
g3 u
2 (E1 · E2 )
(14)
Notiamo subito che l’energia elettrostatica non è additiva: l’energia prodotta
dal campo E non è la somma di quella prodotta dai campi E1 e E2 .
L’energia elettrostatica totale è costituita, nel caso si utilizzi la (12), da due
tipi di energia. L’energia del tipo X1 o X2 (sempre positiva) che è detta autoenergia (o energia intrinseca) e l’energia (positiva o negativa) del tipo X12 che
è detta energia di interazione.
La prima forma di energia, l’autoenergia, è assente nella (10) perché i termini
con l = m non sono presenti in essa, mentre lo sono i termini che producono
l’energia di interazione. Questo è ancora più evidente se si considera una sola
carica elettrica, per esempio la t1 . In tal caso, avremo solo l’energia X1 , essendo
E2 = 0.
2
Notiamo ancora che, poiché, (E1 E2 ) 0 segue H12 + H22 2 (E1 · E2 ) e
quindi
X1 + X2 X12
(15)
cioè l’energia intrinseca è sempre maggiore (o uguale) dell’energia d’interazione.
Qual’è il significato fisico dell’auto-energia di una carica localizzata? Essa
è l’energia elettrostatica associata alla sua particolare configurazione e da essa
stessa prodotta. Il suo valore è pari al lavoro che le parti cariche di cui è costituita devono compiere su loro stesse per portarsi dalla configurazione considerata
ad una distanza reciproca infinita.
Ritornando alla (11) possiamo dire che il potenziale Y (r) non solo contiene
il potenziale generato da una qualunque distribuzione esterna al punto r (il
punto r è interno al volume O3 ), ma anche quello generato da tutte le cariche
contenute nello stesso volume O3 . Allora scriveremo
Y (r) = Ylqw (r) + Ydxwr (r)
(16)
dove il pedice ”int” indica il termine d’interazione e quello ”auto” il termine di
auto-energia (self-energy). Esso è il potenziale che la carica interna al volume
O3 produce in un punto ad essa interno. Più precisamente l’auto-energia è
35
Xdxwr =
1
2
I
g3 u (r) Ydxwr (r)
(17)
Y
Questa energia è pari al lavoro che le cariche contenute in un qualunque volume
finito devono compiere su loro stesse per portarsi dall’attuale configurazione
ad un’altra in cui le distanze reciproche siano infinite. Essa indica l’energia
necessaria a formare una carica in una regione limitata dello spazio.
11.7
Esempi
Esempio
1: Siano date quattro cariche poste ai vertici di un quadrato di lato
s
g = 2p . Due di queste cariche siano positive e due negative, ma tutte abbiano
valore assoluto pari T = 107 F. Determinare l’energia elettrostatica del sistema
in una qualunque configurazione (cioè si scelga, a piacere, la distribuzione delle
cariche positive e negative).
Scegliamo le due cariche negative, T1 = T2 = T , sull’asse { e quelle
positive, T3 = T4 = T, su una retta parallela all’asse {. Notiamo che qualunque
sia la distribuzione, scelta una carica, delle rimanenti tre, due sono ad una
distanza s
g dalla carica scelta e la terza essendo lungo la diagonale è ad una
distanza 2g; allora, i quattro termini che contribuiscono all’energia del sistema
sono
µ
¶
µ
¶
n0 T2
T2
n0 T1 T2
T2
T1 T3 T1 T4
=
+ s
s +
2
g
g
2
g
g
2g
2g
µ
¶
µ
¶
n0
n0 T2 T3 T2 T4 T2 T1
T2
T2
T2
=
+
+ s
s +
2
g
g
2
g
g
2g
2g
µ
¶
µ 2
¶
n0 T
T3 T1 T3 T2
T2
n0 T3 T4
T2
=
+ s
s +
2
g
g
2
g
g
2g
2g
µ
¶
µ
¶
n0 T4 T1 T4 T2 T4 T3
n0
T2
T2
T2
=
+
+ s
s +
2
g
g
2
g
g
2g
2g
Sommando tutti i termini si ha
U = 4
n0 T2
s = n0 T2 = 9 × 109 × 1014 = 9 × 105 M
2 2g
36
1
LA CORRENTE ELETTRICA CONTINUA
Un conduttore ideale all’equilibrio elettrostatico ha un campo elettrico nullo
al suo interno. Cosa succede se viene generato un campo elettrico diverso da
zero al suo interno? La risposta è la comparsa di cariche in moto, vale a dire
di una corrente. La nascita della corrente elettrica è dovuta all’ideazione da
parte di Alessandro Volta (1745-18279 della pila (1800). Il concetto di corrente
rende possibile studiare in maniera quantitativa il fenomeno del magnetismo.
Lo scopo di questo capitolo sarà solo quello di introdurre alcuni concetti legati
alla corrente elettrica, mentre il legame tra correnti e magnetismo sarà mostrato
in seguito.
La corrente elettrica è definita come la quantità di carica che nell’unità di
tempo attraversa una sezione d qualunque del conduttore:
gT
(1)
gw
Purtroppo tale definizione non si collega direttamente al moto microscopico
delle cariche elettriche ovvero ai portatori di cariche. E’ necessario pertanto,
rifarsi ad un modello microscopico sul moto delle cariche.
L=
2
Densità di carica e di corrente
Sia gT la carica contenuta in un volume g3 u. La densità di carica, indicata con
, è definita dalla seguente relazione:
gT = g3 u
(2)
Nel caso di una corrente le cariche sono in moto. I portatori possono essere
sia positivi che negativi. In ogni caso, supporremo che ciascun portatore abbia
una sola carica fondamentale. Pertanto, se si indica con q la densità numerica
(numero di particelle per unità di volume) di portatori, potremo scrivere:
= qt
(3)
dove t è la carica fondamentale, che ciascun portatore ha con sé.
Possiamo procedere con un modello microscopico. In condizioni di equilibrio
elettrostatico, il campo elettrico in un conduttore è nullo. Se tuttavia, ai suoi
estremi si genera una dierenza di potenziale, al suo interno si crea un campo
elettrico diverso da zero. Tale campo produce una forza elettrica che mette in
moto le cariche elettriche mobili del conduttore. Limiteremo il nostro studio
alle correnti che non variano nel tempo (correnti stazionarie).
Si consideri un conduttore filiforme di sezione costante d. Se tutte le cariche
in moto hanno la stessa velocità v (questa velocità comune è detta velocità di
deriva), dopo un tempo w il numero di cariche contenute nel suddetto volumetto di base d ed altezza vw sarà:
Q = qvdw
1
(4)
Se moltiplichiamo per la carica fondamentale ciascun membro della (4) avremo
la quantità di carica presente nello stesso volumetto:
T = vdw
(5)
Dividiamo per l’intervallo temporale
T
vdw
=
w
w
e passando al limite per w $ 0,
T
= vd
w
troviamo proprio la corrente che fluisce nel conduttore, cioé
lim
w$0
L = vd
(6a)
Se introduciamo il seguente vettore, detto densità di corrente:
j = v
(7)
L = md
(6b)
potremo scrivere
Al secondo membro abbiamo il modulo di un vettore per una superficie, cioè
un tipico flusso di un vettore attraverso una superficie. Se la densità e la velocità
cambiano da punto a punto, potremo scrivere:
Z
L=
g2 dud · j
(8)
d
Una corrente può sempre pensarsi come il flusso di un vettore densità di
corrente attraverso la superficie considerata.
2.1
Densità di corrente e portatori di carica
Abbiamo detto che la corrente, in generale può essere costituita sia da portatori
di carica positiva che di carica negativa. Potremo allora scrivere
j = qh th v
j+ = qtv
2
(9)
Ricordiamo che, per convenzione, la carica dell’elettrone è negativa. Ancora
per convenzione, si è scelto come corrente positiva quella dei portatori di carica
positiva, cioè
j = j+ = qtv
(10)
Nei conduttori metallici i portatori sono gli elettroni, quindi il moto reale è
opposto a quello definito positivo per convenzione.
3
Legge di Ohm
In condizioni di equilibrio elettrostatico, il campo elettrico in un conduttore è
nullo. Se tuttavia, ai suoi estremi si genera una dierenza di potenziale, al suo
interno si genera un campo elettrico. Questo campo produce una forza elettrica
che mette in moto le cariche elettriche mobili del conduttore: si genera, così,
una corrente elettrica nel conduttore.
Ci limiteremo allo studio delle correnti stazionarie, cioè alle correnti che non
variano nel tempo.
Esperimenti condotti su una classe di conduttori, (unico oggetto della nostra
attenzione) hanno mostrato che il campo elettrico generato nel conduttore, in
seguito all’applicazione ai suoi estremi di una dierenza di potenziale, è proporzionale alla densità di corrente
E = r j
(11)
dove r è una costante, detta resistenza specifica, che dipende solo dal materiale.
La precedente equazione è detta legge locale di Ohm (Georg Simon Ohm, 17891854, Germania). La convenzione adottata per il verso del campo è quella che
va dai punti a potenziale maggiore a quelli a potenziale minore.
La legge di Ohm che abbiamo appena presentato ha il vantaggio concettuale
di anteporre il concetto di campo a quello di corrente: senza la creazione del
campo elettrico all’interno del conduttore non vi sarebbe il moto delle cariche
e quindi la corrente. Tuttavia, una seconda forma, detta forma integrale della
legge di Ohm è estremamente importante, perché si presta ad una immediata
3
verifica sperimentale e perché contiene in maniera esplicita la corrente elettrica
che nel S.I. è una unità di misura fondamentale.
Si prenda un filo conduttore, di sezione costante d e lunghezza O. La
dierenza di potenziale ai capi del conduttore può scriversi come
Y = HO
Il campo è dato dalla legge di Ohm, per cui la precedente relazione diventa
Y = u mO
Non rimane che esprimere la densità di corrente in funzione della corrente.
Poiché siamo in regime stazionario, avremo
L = md
e quindi
Y =
u O
L
d
La quantità
O
1 O
=
(12)
d
d
si chiama resistenza del conduttore e si misura in ohm (). Allora, r si misura
1
in p e la quantità , detta conducibilità, si misurerà in (p) .
La legge di Ohm dice anche che la corrente che fluisce nel conduttore è
proporzionale alla dierenza di potenziale ai capi del conduttore:
U = r
Y = UL
(13)
Le dimensioni di U, nel S.I., sono quelle di volt su ampère,
Y
D
Notiamo che per i conduttori ohmici (così sono chiamati i materiali che
"seguono" la legge do Ohm), la corrente si può anche scrivere
Z
L=
E · ud g2 d
(14)
[U] =
d
dove d è la sezione trasversa del conduttore.
4
3.1
Legge di Ohm per un circuito
Per generare una corrente in un conduttore occorre stabilire una dierenza di
potenziale ai suoi capi A e B. Questa dierenza di potenziale viene generata da
un apposito apparato, detto generatore di corrente continua o batteria, esterno
al conduttore (si faccia riferimento alla figura seguente):
In particolare, il dispositivo mostrato in figura è detto circuito elettrico.
Il conduttore, in relazione alla corrente continua di cui stiamo discutendo, è
caratterizzato dalla sola resistenza U, mentre il generatore sarà caratterizzato
da una forza elettromotrice Yi hp e da una resistenza elettrica UJ (resistenza
interna).
Il circuito elettrico sarà schematizzato come segue
dove il simbolo grafico
indica il generatore, mentre il simbolo
5
rappresenta una resistenza.
Per convenzione, la corrente fluisce, all’esterno del generatore dal polo positivo al polo negativo. La corrente che scorre nel circuito è determinata dalla
legge di Ohm, con in serie le resistenze U ed UJ :
L=
Yi hp
U + UJ
(15)
che possiamo riscrivere come:
UL = Yi hp LUJ
La quantità UL è uguale, per la legge di Ohm, alla dierenza di potenziale
Y ai capi D e E del conduttore. Quindi, la (15) si può scrivere:
Y = Yi hp LUJ
(16)
La (16) ci dice che la dierenza di potenziale ai capi D e E della resistenza
è sempre inferiore alla forza elettromotrice Yi hp fornita dal generatore (si dice
che vi è una caduta di potenziale o di tensione ai capi della resistenza). La
eguaglia solo nel caso in cui il circuito sia aperto (L = 0):
Y = Yi hp
(17)
Supponiamo ora che la resistenza U del conduttore sia praticamente nulla:
In tal caso, si parla di "corto circuito" (suol dirsi che il circuito è in corto) e
dalla (15) si può dedurre la corrente Lff detta, appunto, di corto circuito. Posto
U = 0 nella (15) avremo
6
Lff =
Yi hp
UJ
(18)
In definitiva, possiamo dire che la corrente elettrica in un circuito, con solo
resistenze, può assumere diversi valori in funzione della resistenza e della differenza di potenziale, in particolare, può andare da un valore nullo, quando il
circuito è aperto, ad un valore massimo Lff , che si ha in corto circuito.
3.2
Esempi
Esempio 1: Resistenze in serie
Si abbiano due conduttori di resistenza U1 ed U2 in un circuito elettrico
collegati come nella figura seguente
Diremo che le due resistenze sono in serie. Vogliamo determinare la resistenza equivalente Uht (la resistenza fittizia che si può sostituire alle due resistenze senza cambiare le proprietà del circuito) delle due resistenze.
Ai capi delle due resistenze avremo, rispettivamente,
YDE = U1 L
YEF = U2 L
(E1)
La dierenza di potenziale tra i punti A e C sarà
YDF = YDE + YEF
(E2)
che per la (1) diventa:
YDF = U1 L + U2 L = (U1 + U2 ) L
Possiamo concludere che la resistenza equivalente è
Uht = U1 + U2
(E3)
Esempio 2: Resistenze in parallelo.
Si abbiano due conduttori di resistenza U1 ed U2 in un circuito elettrico
collegati come in figura
7
Diremo che le due resistenze sono in parallelo. Vogliamo determinare la
resistenza equivalente Uht (la resistenza fittizia che si può sostituire alle due
resistenze senza cambiare le proprietà del circuito) delle due resistenze.
Per la legge di Ohm, le correnti nelle due resistenze saranno
L1 =
YDE
U1
L2 =
YDE
U2
(E4)
La corrente totale sarà
L = L1 + L2 =
YDE
= YDE
U
µ
1
1
+
U1 U2
¶
da cui
1
1
1
=
+
Uht
U1 U2
(E5)
ovvero
U1 U2
(E6)
U1 + U2
che rappresenta la resistenza equivalente nel caso di due resistenze collegate in
parallelo.
Dai due esempi appena sviluppati è possibile estrapolare alcune considerazioni.
Per N resistori (così si chiamano i conduttori caratterizzati da una "resistenza") collegati in "serie", la resistenza equivalente è uguale alla somma
delle singole resistenza
Q
X
Uht =
Ul
(E7)
Uht =
l=1
Da ciò emerge che la resistenza equivalente di un insieme di resistenze collegate
in serie è maggiore di ogni resistenza che fa parte della serie.
Per N resistori collegati in "parallelo", invece, la resistenza equivalente è pari
a
1
Uht = PQ
(E8)
l=1 Ul
8
da cui si evince che la resistenza equivalente, nel collegamento in parallelo, è
sempre minore della resistenza più piccola.
Non si può non notare l’analogia con il collegamento di condensatori e la corrispondenza "incrociata": il collegamento in parallelo dei condensatori è analogo
(formalmente) al collegamento in serie delle resistenze (e viceversa)
3.3
Eetto joule
Le cariche in moto nei conduttori subiscono continuamente degli urti. Questi
urti sono paragonabili a forze di attrito che rallentano le particelle cariche. La
presenza di questo attrito porterà alla dissipazione di parte della loro energia
che poi apparirà sotto forma di riscaldamento del conduttore (eetto Joule).
Vogliamo determinare l’energia dissipata nell’unità di tempo.
Il lavoro fatto dal campo elettrico per spostare una carica infinitesima gT
tra due punti del conduttore, tra i quali vi sia una dierenza di potenziale Y
è
gO = gTY
Poichè la velocità iniziale e finale della carica sono identiche, ciò implica che
tutto il lavoro del campo verrà dissipato (la forza dissipativa compie un lavoro
pari e di segno opposto a quello del campo). Il calore dissipato per unità di
tempo sarà
gO
gT
=
Y = LY
gw
gw
Usando la legge di Ohm in forma integrale Y = UL, arriviamo alla seguente
espressione dell’energia dissipata per unità di tempo nel conduttore:
gO
= UL 2
(19)
gw
che esprime, in forma quantitativa, l’eetto Joule (e rappresenta l’energia dissipata per unità di tempo attraverso gli urti degli elettroni di conduzione del
metallo contro gli altri elettroni del metallo e le varie imperfezioni).
3.4
La forza elettromotrice e il campo elettrico non conservativo
Abbiamo visto che per produrre una corrente occorre una sorgente di energia
(la batteria) che spinga gli elettroni in movimento nel conduttore. Il moto
degli elettroni viene impedito dalla resistenza del circuito che si manifesta con il
fenomeno della dissipazione di energia in calore. Vogliamo mostrare che l’energia
che viene dissipata trae origine da un campo elettrico non conservativo.
Consideriamo un filo di rame di lunghezza O e sezione d chiuso. Se non si inserisce una batteria non avremo corrente, come sappiamo. Questo risultato può
9
essere visto in altro modo. Se il campo elettrico esistesse dentro il conduttore
esso sarebbe di tipo ohmico
H=
m
Ud
U
=m
=L
O
O
Calcoliamo la circuitazione di questo campo
I
I
U
E · gl = L
go = UL
O
Se il campo è conservativo
I
E · gl = 0
e di conseguenza
$
UL = 0
L=0
La corrente elettrica non può originarsi da un campo conservativo. Allora il
campo elettrico totale in un conduttore, quando vi è corrente, deve contenere
anche un campo elettrico non conservativo e questo deve originarsi dalla batteria. Pertanto, in presenza di una corrente il campo elettrico totale deve essere
la somma di due parti,
Ewrw = Ei hp +Ef
dove Ei hp è la parte non conservativa del campo elettrico, mentre Ef è la parte
conservativa. Allora
I
I
U
(Ei hp +Ef ) · gl = L
go = UL
O
Poiché,
avremo
I
I
Ef · gl = 0
Ei hp · gl = UL
La quantità
Yi hp =
I
Ei hp · gl
è la forza elettromotrice della batteria.
4
La densità di energia elettrostatica
Abbiamo parlato di energia dissipata in un circuito percorso da corrente. Il
problema dell’energia elettrostatica, cioè dell’energia associata a cariche ferme,
è stato discusso, nei complementi del precedente capitolo. In questa sezione
vogliamo ridimostrare, usando un esempio molto semplice, che è possibile pensare che l’energia elettrostatica sia distribuita con continuità nello spazio dove
10
è presente il campo elettrico. In altre parole, è possibile introdurre nello spazio
dove è presente il campo elettrostatico una densità di energia. In questo modo,
la realtà del campo assumerà un valore ancora maggiore.
Partiamo dall’energia immagazzinata in un condensatore piano. Che ci sia
energia immagazzinata lo si comprende dal fatto che accumulare cariche positive
e negative su due diverse armature ha un costo energetico che viene fornito dalla
batteria (vedi carica e scarica di un condensotore). Man mano che si accumulano
i due diversi tipi di carica sulle armature, si genera una dierenza di potenziale
tra le due armature che dipende dalla carica istantanea che vi è presente
Y (w)) =
T (w)
F
(1)
Se ipotizziamo che inizialmente non vi sia alcuna energia accumulata nel condensatore possiamo calcolare il lavoro fatto dalla batteria (dal campo elettrico)
per accumulare sulle armature una carica Ti , come segue:
O (l $ i ) =
Z
Ti
Y (w) gT =
0
Z
Ti
0
T2i
T (w)
gT =
F
2F
(2)
Come possiamo notare, il lavoro dipende solo dalla stato iniziale e finale, perché
il campo elettrostatico è conservativo. Poiché inizialmente non vi era energia
nel condensatore possiamo aermare che l’energia elettrostatica accumulata nel
condensatore è
T2
X=
(3)
2F
dove T è la carica presente su un’armatura. Possiamo anche scrivere
X=
1
1
TY = FY 2
2
2
(4)
dove Y è la dierenza di potenziale tra le due armature. L’ultima relazione può
essere utilizzata per derivare l’espressione dell’energia elettrostatica in termini
del campo elettrico. Sappiamo che
F=
d%0
g
Y = Hg
per cui possiamo scrivere
X=
1 d%0
1
1
2
FY 2 =
(Hg) = %0 H 2 (dg)
2
2 g
2
(5)
Poiché dg è lo spazio compreso tra le due armature ed è solo in questo spazio
che il campo elettrico è diverso da zero, la quantità
H =
1
%0 H 2
2
(6)
può essere considerata come una densità di energia elettrostatica (energia per
unità di volume). Questo risultato è generale e noi assumeremo che, in ogni caso,
11
l’energia elettrostatica si può sempre esprimere come un integrale di volume su
tutto lo spazio dove il campo è diverso da zero:
Z
1
(7)
XH = g3 u %0 H 2 (r)
2
5
Complementi: cenni sulle leggi di Kirchho
Nei circuiti più complessi, la legge di conservazione della carica e dell’energia e
la legge di Ohm generalizzata portano a due leggi, dette di Kirchho (Gustav
Kirchho, fisico tedesco 1824-1887; le sue leggi sono del 1847).
Per comprendere tali leggi dobbiamo analizzare gli elementi costitutivi di un
generico circuito. In un qualunque circuito si possono distinguere due elementi
caratteristici di base: i nodi e le maglie. Consideriamo il seguente circuito:
Un nodo è un punto del circuito in cui convergono più di due conduttori
(sono nodi i punti A e B della Figura)
Una maglia è un circuito chiuso che non contiene nodi e che, scelto un verso
di percorrenza, può essere percorso senza mai passare più di una volta in un
conduttore. Possibili maglie relative al precedente circuito sono:
Possiamo ora enunciare le due leggi di Kirchho.
Prima legge: La somma algebrica dei valori delle correnti, in ogni nodo,
deve essere uguale a zero; o anche, la somma delle correnti entranti in un nodo
deve essere uguale alla somma delle correnti uscenti dal nodo stesso.
X
(±) Ln = 0
(C1)
n
Tale legge è una conseguenza della conservazione della carica nel caso di
correnti stazionarie. La (C1) può essere soddisfatta solo se non si accumulano
o si perdono, cariche nel nodo. Questo vuol dire, che la quantità di corrente
che arriva deve essere pari alla quantità di corrente che lascia il nodo. Si suole
12
indicare con il segno positivo le correnti che lasciano il nodo e col segno negativo
quelle che vi arrivano.
Seconda legge: In ogni maglia, La somma dei prodotti dei valori algebrici
delle correnti per le resistenze deve essere uguale alla somma algebrica dei valori
delle f.e.m. presenti nella maglia considerata.
X
X
(±) Un Ln =
(±) Yi hpq
(C2)
q
n
Vogliamo tentare di spiegare la (C2) ed il suo utilizzo. Innanzitutto, ricordiamo
che, per convenzione, il verso positivo della corrente è quello in cui fluiscono le
cariche positive. Questo vuol dire che nei conduttori in esame il verso positivo è
opposto a quello in cui realmente si muovono i portatori della corrente, gli elettroni. Inoltre, poiché è la batteria che fornisce l’energia alle cariche (è la batteria
che ”spinge” le cariche nel circuito), il verso positivo per la forza elettromotrice
sarà (all’interno della batteria) quello che va dal polo negativo al polo positivo.
Nei precedenti grafici, nella prima maglia a sinistra sono entrambi positivi, negli
altri due grafici sono entrambi negativi. Quando la corrente attraversa la resistenza vi è una caduta di potenziale (le cariche perdono energia). Allora, se
la corrente nella resistenza circola nel verso "giusto" (che ricordiamo è fissato
dalla f.e.m della batteria) sarà riportato nella seconda legge con il segno negativo (perdita di energia), con il segno positivo se la corrente circola nel verso
contrario.
La seconda legge è una conseguenza della conservazione dell’energia e della
legge di Ohm.
Nei precedenti grafici le equazioni per le maglie sono:
Yi hp1 U2 L2 + Yho>2 = 0
Yi hp1 + U1 L3 = 0
Yi hp2 + U2 L2 + U1 L3 = 0
Infine, siccome occorrono un numero di equazioni indipendenti pari almeno al
numero di incognite circuitali, esiste una limitazione al numero di equazioni per
i nodi e le maglie. Si può suggerire di usare le equazioni per i nodi in numero
uguale al numero di nodi totali presenti nel circuito diminuito di una unità e,
nel caso delle maglie, di verificare che una maglia si dierenzi da un’altra per la
presenza di almeno un elemento circuitale.
6
Complementi: teoria microscopica elementare
della conduzione
Supponiamo di avere una corrente stazionaria in un conduttore (campo elettrico costante!). Ciò vuol dire che i portatori della corrente nel conduttore (gli
13
elettroni) si muovono con velocità costante. La situazione è palesemente diversa
dal moto delle cariche nel vuoto. Se avessimo un campo costante nel vuoto, il
moto dell’elettrone sarebbe determinato da
Ph
gv
= th E
gw
(C3)
dove th = h; quindi il moto dell’elettrone nel vuoto risulterebbe accelerato.
Poiché l’elettrone nel mezzo si muove invece con velocità costante, dobbiamo
concludere che la presenza del mezzo fa apparire una seconda forza che annulla
quella del campo. Il modo più semplice di immaginare tale forza è in termini di
una forza di attrito, proporzionale alla velocità. Possiamo allora scrivere, per il
moto di una carica in un conduttore, la seguente equazione del moto:
Ph
gv
= th E nv
gw
(C4)
dove n è una costante le cui dimensioni sono quelle di una massa divisa per un
tempo.
La soluzione di tale equazione, nel caso in cui al tempo w = 0 la particella
carica sia ferma, è:
¶¸
·
µ
th
w
v (w) = E 1 exp (C5)
n
wu
dove abbiamo introdotto il tempo di rilassamento:
wu Ph
n
(C6)
Dopo un tempo pari al tempo di rilassamento, la velocità dell’elettrone diventa
praticamente costante (velocità di deriva) ed è pari a:
vG =
th
E
n
(C7)
Possiamo far apparire il tempo di rilassamento nell’espressione della velocità di
deriva:
vG =
th
wu E
Ph
(C8)
La velocità di deriva per unità di campo elettrico definisce la mobilità della
carica:
vG
th
=
wu
H
ph
Se abbiamo qh cariche per unità di volume, la densità di corrente sarà:
14
(C9)
j = qh th vG =
qh th2 wu
E
ph
(C10)
Notiamo che
vG =
m
qh th
(C11)
Se si prende un valore di m = 106 D@p2 si trova che
p
vG = 7> 4 × 105
v
dove abbiamo usato qh = 8> 49 × 1028 ho@p3 (rame) e th = 1> 6 × 1019 F.
Poiché la velocità media degli elettroni di conduzione nei metalli è dell’ordine
di 106 p@v, possiamo concludere che l’alta conducibilità elettrica dei metalli è
dovuta all’alta concentrazione degli elettroni di conduzione piuttosto che alla
velocità con cui essi si muovono attraverso il metallo. Inoltre, se si usa la legge
di Ohm, la mobilità si può esprimere
vG
1
=
H
qh th (C12)
Da una teoria microscopica si può risalire ad un’espressione per la conducibilità
elettrica.
7
Complementi: carica di un condensatore
Supponiamo di avere un condensatore piano scarico e di collegarlo in serie ad
una resistenza U, in un circuito ove è presente una batteria con una certa Yi hp
e una resistenza interna Uj .
Al tempo w = 0 (iniziale) facciamo la connessione (cioè chiudiamo il circuito)
e una certa corrente incomincia a fluire nel circuito, mentre il condensatore si
carica. L’aumento di carica sulle armature continuerà fino a che la quantità di
carica accumulata non sarà tale da ostacolare l’arrivo di una qualunque altra
15
carica sulle armature (il segno della dierenza di potenziale ai capi del condensatore è sempre opposto a quello della batteria). Cerchiamo di descrivere
quantitativamente tale fenomeno. Abbiamo visto che in assenza del condensatore l’equazione del circuito era
(U + UJ ) L = Yi hp
Poiché il condensatore è in serie con la resistenza, l’equazione per il circuito
diventa
YF + (U + UJ ) L = Yi hp
(C13)
dove YF è la dierenza di potenziale ai capi del condensatore, vale a dire
YF (w) = T(w)@F
(C14)
T (w)
+ Uw L (w) = Yi hp
F
(C15)
Uw = U + UJ
(C16)
Allora, la (C13) diventa
dove abbiamo posto
Dierenziamo la (C15):
gL
1 gT (w)
+ Uw
F gw
gw
La corrente che circola è pari alla variazione temporale della carica sul condensatore, cioé L = gT@gw, quindi
0=
0=
1
gL
L + Uw
F
gw
ovvero
gL
gw
=
L
Uw F
che può essere facilmente risolta. Si trova
L (w) = L0 hw@
(C17)
dove L0 = Yi hp @Uw , è il valore della corrente all’istante iniziale e = 1@Uw F.
Per ottenere la legge di carica, basta integrare la (C17):
gT
= L0 hw@
gw
quindi
16
T (w) = L0
Z
w
0
gw0 hw @
(C18)
0
Ritornando all’espressione della carica troviamo:
T (w) =
´
³
´
L0 ³
1 hw@ = TP 1 hw@
(C19)
dove abbiamo posto
TP = FYi hp
(C20)
In particolare, TP rappresenta la carica massima che si può depositare su
un’armatura. Per w À , si ha
T (w) $ TP
8
(C21)
Complementi: scarica di un condensatore
Supponiamo di avere un condensatore piano di capacità F, con una certa carica iniziale T0 . Cortocircuitiamo la batteria (cioé eliminiamola e chiudiamo il
circuito) ed esaminiamo quello che accade nel circuito diventato
Indichiamo con T (w) > L (w) > Y (w) i valori istantanei rispettivamenbte della
carica dell’armatura positiva, della corrente che circola (la corrente è positiva
quando fluisce dall’armatura positiva a quella negativa) e della dierenza di
potenziale tra le armature del condensatore. Il condensatore, in questo caso,
funziona come un generatore: le cariche vengono spinte attraverso il circuito. La
dierenza di potenziale ai capi della resistenza è quella fornita dal condensatore
YF (w) = T (w) @F per cui la legge di Ohm
YF (w) = UL
diventa
T (w)
= UL
F
La corrente elettrica che fluisce nel conduttore è uguale alla diminuzione di carica
subita dal condensatore, cioè L = gT@gw. La precedente equazione diventa
17
T
gT
+
=0
gw
UF
(C22)
ovvero,
gT
gw
=
T
UF
la cui soluzione è
w
T (w) = T0 h (C23)
= UF
(C24)
dove
è il tempo durante il quale il valore iniziale della carica del condensatore
si riduce del fattore 1@h. Derivando, rispetto al tempo, la carica, otteniamo il
valore corrente nel circuito, ad ogni istante:
T0 w@
h
= L0 hw@
(C25)
UF
dove L0 è il valore istantaneo della corrente al tempo w = 0. Notiamo che,
durante la scarica, sia la carica che la corrente diminuiscono con la stessa legge
esponenziale:
L (w) =
T (w)
= hw@
T0
L (w)
= hw@
L0
18
1
FORZE AGENTI SU CARICHE IN MOTO
Per molti secoli il magnetismo rimase separato dallo studio dei fenomeni elettrici.
La svolta che avvicinò il magnetismo all’elettricità avvenne tra il 1819 e il 1820,
per opera di H.C. Oersted (1777-1851), professore di fisica presso l’Università
di Copenaghen. Durante un ciclo di lezioni sugli eetti termici delle correnti e
sulla possibile influenza della corrente sugli aghi magnetici, si accorse che, nel
caso in cui il filo e l’ago erano paralleli, la corrente deviava l’ago di una bussola.
Si era provato che le correnti elettriche influivano sui magneti naturali.
Nel prossimo capitolo studieremo i risultati essenziali dei lavori che parlano
dell’influenza delle correnti sui magneti naturali (e tra di loro). Ora procederemo
in maniera opposta e parleremo dell’influenza dei magneti naturali sulle cariche
in moto e quindi sui fili percorsi da corrente. In altre parole, poiché la corrente
elettrica può influire sui magneti, è ragionevole pensare che anche i magneti
con il loro campo possano influire sulle correnti elettriche. Le correnti elettriche
sono cariche in movimento e quindi ci aspettiamo che una forza prodotta dai
magneti possa agire sulle cariche in moto.
2
La forza di Lorentz
L’esperienza ha mostrato che su una carica T, che si muove con velocità v in
una regione in cui è presente il vettore induzione magnetica B, si esercita una
forza data da
F = Tv a B
(1)
Il verso della forza dipende anche dal segno della carica T.
Tale forza è detta forza di Lorentz. La (1), come nel caso della forza di
Coulomb per il campo elettrico, può essere presa come definizione di B. L’unità
di misura di E è chiamata tesla (W ) ed è uguale ad una forza divisa per l’unità
di carica e per la velocità:
Qv
Yv
= 2
Fp
p
All’unità yrow × vhfrqgr si dà il nome di weber (Wb). Allora
E=
1
Ze
= 1whvod (W )
p2
Un Tesla è una quantità molto elevata. Si pensi che il campo magnetico
vicino alla superficie della Terra è 0> 5 · 104 W . Talvolta si usa il gauss (G)
un’unità di misura presa in prestito dal Sistema CGS di Gauss: 1J = 104 W .
Se nella stessa regione è presente anche un campo elettrico la forza totale
agente sulla carica diventa:
E=
F = TE + Tv a B
2.1
(1a)
Esempi
Mostriamo alcune applicazioni della forza di Lorentz:
Esempio 1: La frequenza di ciclotrone.
Si abbia un campo uniforme B ed una particella con carica T, che si muove
con velocità v in un piano ortogonale a E. Su di essa si eserciterà una forza
magnetica che supporremo avere il verso disegnato in figura:
La particella si muoverà su di una circonferenza e quindi la forza magnetica
produrrà un’accelerazione centripeta che può essere subito determinata:
TvE
P
df =
ovvero
TvE
v2
=
U
P
da cui possiamo ricavare sia il raggio della circonferenza
U=
Pv
TE
(E1)
sia la velocità angolare (unità di misura: radianti/s)
v
TE
=
U
P
sia la frequenza (unità di misura: giri/s)
$f =
2
(E2)
TE
$f
=
(E3)
2
2P
Tale frequenza è detta di ciclotrone e, come si vede, non dipende dalla velocità
della particella carica. Allora, qualunque sia la velocità della particella essa si
muoverà su di una circonferenza, il cui raggio dipende dalla velocità, ma la cui
frequenza di rotazione è la stessa per tutte le velocità.
Esempio 2: I selettori di velocità
Nell’equazione che governa il moto di una particella carica T immersa in un
campo elettrico E e in un campo B,
f =
gv
= TE + Tv a B
(E4)
gw
manovrando sui valori dei due campi si può rendere nulla la forza agente sulla
particella, in corrispondenza di un determinato valore della velocità. In tal caso
P
E = v a B
(E5)
e sulla particella che si muove, in un piano ortogonale a B, con una velocità
il cui valore è
H
(E6)
E
non agirà alcuna forza. In altre parole, operando sui campi H e E si possono
selezionare particelle con dierenti valori delle velocità (quelle per le quali vale
la (E6)), in quanto esse e solo esse si muoveranno indisturbate attraverso i due
campi, mentre le altre saranno deviate.
Esempio 3: Il moto in un campo magnetico uniforme.
Risolveremo ora, con un maggior dettaglio, il problema del moto di una
particella carica in moto in un campo magnetico uniforme e costante nel tempo.
Supponiamo di avere un campo E, uniforme e costante nel tempo diretto
lungo l’asse } (B = Eu} ) e di voler risolvere la seguente equazione:
v=
P
gv
= Tv a B
gw
3
(E7)
Tale equazione può decomporsi nelle sue tre proiezioni lungo gli assi cartesiani:
P
gv{
= v| ET
gw
P
gv|
= v{ ET
gw
P
gv}
=0
gw
(E8)
Notiamo immediatamente che la componente della velocità lungo l’asse },
cioè nella direzione del campo, è costante. Il moto della particella è uniforme
nella direzione del campo, mentre è, come mostreremo, praticamente circolare
uniforme, nel piano ortogonale alla direzione del campo. Per sostituzione diretta
si può verificare che le equazioni per le altre due componenti della velocità siano
v{ (w) = D cos ($w + !)
v| (w) = G sin ($w + !)
(E9)
dove
q
ET
2 + v2 = v
(E10)
D = G
D = v0{
0|
P
Il valore di D dipende dal valore delle componenti iniziali della velocità
lungo i due assi x ed y, cioè dal valore delle componenti della velocità nel piano
ortogonale al campo B.
Le soluzioni per le velocità possono essere integrate e si ottiene:
$ = $F { (w) = {0 +
D
sin ($ F w + !)
$F
| (w) = |0 +
D
cos ($ F w + !)
$F
(E11)
Come annunciato, il moto nel piano ortogonale al campo magnetico è un
moto circolare, con una frequenza pari alla frequenza di ciclotrone. Il raggio di
tale circonferenza si trova facilmente. Quadrando le (m) si ha
2
({ (w) {0 ) =
D2 2
sin ($ F w + !)
$ 2F
2
(| (w) |0 ) =
D2
cos2 ($ F w + !)
$ 2F
e sommando membro a membro si ottiene
2
2
({ (w) {0 ) + (| (w) |0 ) =
D2
$ 2F
da cui
U=
v
D
=
$F
$F
che è il raggio di ciclotrone.
In conclusione, il moto di una particella carica in un campo magnetico uniforme e costante nel tempo è la composizione di un moto traslatorio uniforme
nella direzione del campo e di un moto circolare uniforme nel piano ortogonale
al campo. Tale moto è detto elicoidale e il passo dell’elica è
O = v} W
4
dove v} è la componente della velocità nella direzione del campo e W il periodo
del moto circolare nel piano ortogonale al campo.
Esempio 4: Campi elettrici e magnetici incrociati.
Supponiamo di avere, oltre ad un campo B uniforme e costante nel tempo,
anche un campo elettrico E uniforme e costante nel tempo.
L’equazione del moto, in questo caso, diventa
gv
= TE + Tv a B
gw
Per risolverla useremo il seguente artifizio: ci porteremo in un dierente
sistema di riferimento, in moto rispetto al precedente (quello dal quale la velocità
della particella in moto è v) con una velocità
P
EaB
(E12)
E2
Rispetto a tale nuovo riferimento la velocità della particella in moto è
V=
v0 = v EaB
E2
(E13)
e la nuova equazione del moto diventa
T
gv0
= tE + tv0 a B + 2 [(E a B) a B]
gw
E
Inoltre, poiché (a a b) a c = (a · c) b (b · c) a, troviamo
P
(E a B) a B = B (B · E) E 2 E
(E14)
(E15)
e la (E14) diventa
T
gv0
= Tv0 a B + 2 B (B · E)
(E16)
gw
E
Nell’ipotesi che il campo elettrico e quello magnetico siano ortogonali, il
secondo termine al secondo membro è nullo e si può scrivere
P
5
gv0
= Tv0 a B
(E17)
gw
Nel nuovo sistema di riferimento il campo elettrico è scomparso. La (E17)
è stata risolta nel precedente esempio. Assumiamo che il campo magnetico sia
nella direzione dell’asse } e il campo elettrico sia diretto, rispetto al riferimento
iniziale, lungo l’asse {. Allora, la soluzione del problema del moto, nel riferimento iniziale, diventa
P
{ (w) = {0 +
3
D
H
sin ($ F w + !) + w
$F
E
| (w) = |0 +
D
cos ($ F w + !)
$F
Il lavoro della forza di Lorentz
Qualunque forza agente su una particella, quando ne provoca uno spostamento,
compie un lavoro. Questo può essere positivo, negativo o nullo. Se il lavoro
fatto lungo una traiettoria chiusa risulta nullo, normalmente si dice che la forza
è conservativa. Ora, calcoleremo il lavoro fatto dalla forza di Lorentz su di una
carica in moto, per mostrare che la condizione, perché una forza sia conservativa,
è più stringente.
Il lavoro infinitesimo fatto dalla forza di Lorentz su di una carica in moto
con velocità
gO = Tv a B · gr
Poiché la velocità e lo spostamento infinitesimo sono paralleli, il secondo
membro è sempre nullo. Conclusione: il lavoro fatto dalla forza di Lorentz è
sempre nullo; in altre parole, la forza di Lorentz non provoca alcuna variazione
di velocità della particella carica.
Se si calcola il lavoro lungo una traiettoria chiusa, si troverà che esso è
nullo. Si potrebbe concludere che la forza di Lorentz sia conservativa. In realtà,
nella definizione di forza conservativa deve essere aggiunta l’ipotesi che la forza
sia dipendente solo dalle coordinate. Poiché, la forza di Lorentz dipende dalla
velocità della particella, pur essendo nullo il lavoro lungo un percorso chiuso,
manca a tale forza una condizione per poterla definire conservativa.
4
Forza agente su tratti di fili: seconda formula
di Laplace
Supponiamo di avere un filo metallico, percorso da una corrente I, posto in una
regione in cui è presente un campo costante ed uniforme B. Sia O la lunghezza
del filo ed d la sua sezione trasversa.
6
Consideriamo un tratto di filo di lunghezza o, in maniera tale che il campo
B agente su ciascuna carica in movimento (la loro velocità è assunta costante ed
uguale alla velocità di deriva), nel tratto considerato, sia costante (in modulo,
direzione e verso e non dipenda dal tempo). Con queste precisazioni, possiamo
dire che su ciascuna carica in moto, all’interno del tratto considerato, agisce la
stessa forza di Lorentz e la forza totale agente su tutto il tratto di filo considerato
sarà la somma delle forze che agiscono sulle singole cariche:
Fo = To v a B
(2)
To = do
(3)
dove To è la carica totale delle cariche in moto, con velocità v, contenute nel
tratto o. Se è la densità di cariche in moto, la carica totale contenuta nel
tratto o si può scrivere come
Allora,
To v = dov = jdo
Nell’ipotesi che sia stazionaria, la corrente si può scrivere L = md e
To v = Ll
(4)
dove la direzione e il verso della corrente sono state prese da l. La forza
magnetica esercitata da B sul tratto di filo diventa
Fo = Ll a B
(5)
che è nota come seconda formula di Laplace. Se il conduttore è rettilineo ed
il vettore B è costante ed uniforme per l’intero tratto del filo, avremo:
X
Fo =
Fo = Ll a B
(6)
o
La (6) che chiameremo forza di Laplace del campo magnetico sui conduttori
rettilinei percorsi da corrente, può essere usata per definire e misurare il campo
B. Il campo di induzione magnetica B si misura in
7
[E] =
5
Q
Dp
L’azione magnetica su un circuito: il dipolo
magnetico
La forza di Laplace ci dice come il campo magnetico esercita la sua influenza
su tratti di un filo. Ma un tratto di filo non costituisce un circuito. Per sapere
la reale azione magnetica su di un filo percorso da corrente dobbiamo chiudere
il filo e trasformarlo in circuito. Utilizzeremo come circuito una spira quadrata
(circuito elementare a forma quadrata, su!cientemente piccolo e rigido da avere,
la superficie che esso racchiude, un unico versore). Si abbia, allora, una spira
quadrata rigida, percorsa da corrente L, con i lati paralleli agli assi { ed |,
immersa in una regione dello spazio in cui sia presente il campo B, supposto
costante ed uniforme in tutto lo spazio dove è presente la spira e diretto lungo
la direzione positiva dell’asse x (B = Eu{ ).
Suddividiamo il calcolo della forza agente su tutta la spira in quattro parti,
tante quanti sono i lati della spira. Numeriamoli come in Figura. Nei tratti 1 e
3 la corrente è parallela (o antiparallela) al campo, quindi non si esercita alcuna
forza sulle cariche in moto che costituiscono la corrente in tali tratti. Possiamo
dire che sui tratti 1 e 3 del filo non si esercita, da parte del campo, alcuna forza.
Nei due tratti rimanenti avremo invece:
F2 = Ll2 a B = LoEu| a u{ = LoEu{ a u| = LoEu}
F4 = Ll4 a B = LoEu| a u{ = LoEu{ a u| = LoEu}
Queste due forze sono uguali ma di segno opposto.
8
Sebbene la forza totale sia nulla, poiché le due forze non agiscono lungo la
stessa retta di azione (agiscono su due rami dierenti del circuito), vi sarà una
coppia che tenderà a far ruotare la spira intorno al suo centro. Possiamo dire
che l’azione del campo magnetico su una spira non è una forza ma un momento
di una coppia.
Il momento della coppia non dipende dal polo rispetto al quale è calcolato e
risulta uguale al prodotto dell’intensità della forza per il braccio (che in questo
caso è uguale alla lunghezza di un lato della spira). Allora, il momento della
coppia agente sulla spira sarà:
= Lo2 E
(7)
Tale momento si può pensare costituito da due quantità: la corrente per
l’area della spira (Lo2 ) ed il campo E. Se aggiungiamo a Lo2 il versore nella direzione dell’asse z (cioè ortogonale alla superficie piana determinata dalla spira)
potremo definire un nuovo vettore, dL , che chiameremo momento di dipolo
magnetico:
dL = Lo2 u}
9
(8)
In generale, il momento di dipolo sarà il prodotto di una corrente per un’area
orientata. Direzione e verso sono determinati dal verso della corrente e dalla
regola della mano destra usata per orientare le aree. Allora, l’azione del campo
magnetico sulla spira è pari al momento di una coppia e la sua espressione si
potrà scrivere, in termini vettoriali, come segue:
= dL a B
(9)
Le dimensioni del momento di dipolo magnetico sono quelle di una corrente
per un’area (Nel SI si misura in ampère metro quadro):
[gL ] = Dp2
Come agisce il momento della coppia? Se la spira avesse la direzione del suo
momento nella direzione del campo (in questo caso la spira sarebbe nel piano
yz) il momento sarebbe nullo (posizione di equilibrio della spira). Se si discosta
da tale posizione, il momento della coppia tenderà a far assumere alla spira un
orientamento perpendicolare al campo magnetico: la spira si gira in modo da
allineare dL con B. Se la spira fosse ancorata in modo appropriato (per esempio
per il suo centro) essa, allontanata dalla posizione di equilibrio, oscillerebbe
intorno a tale posizione fino a quando non la raggiungerebbe.
Possiamo generalizzare il precedente risultato e dire che l’azione del campo
magnetico, uniforme e costante, su di un circuito elementare di forma qualsiasi
è pari al momento di una coppia, che si ottiene come prodotto vettoriale tra il
momento di dipolo magnetico, associato al circuito, ed il campo magnetico.
In definitiva, l’azione magnetica sulle cariche in moto è riconducibile ad una
forza (quella di Lorentz), ma l’azione magnetica su circuiti è sempre un momento
e l’elemento caratterizzante il circuito è il momento di dipolo magnetico. In altre
parole, l’azione dei campi magnetici sui circuiti è più simile all’azione elettrica
sui dipoli elettrici, che non all’azione elettrica su cariche elettriche. Questa
similarità sarà analizzata in maggior dettaglio nei complementi.
10
Per determinare il verso del momento magnetico associato ad una spira, si
usa la regola della mano destra (dovuta ad Ampère): Se le dita seguono la corrente che circola nella spira, il pollice indicherà il verso del momento magnetico.
Se le spire sono Q , parallele ed immerse nello stesso campo B omogeneo ed
uniforme, il momento di dipolo magnetico sarà dato da
dL = Q Lo2 ud
5.1
(10)
Campo magnetico su aghi magnetici
Comportamento analogo a quello della spira si riscontra per un ago magnetico
immerso in un campo magnetico. Si può associare, ad ogni ago magnetico, un
momento magnetico dP che è una grandezza che dipende solo dall’ago magnetico, la sua direzione e verso va dal polo sud a quello nord, ed anche per esso
si trova sperimentalmente che l’azione del campo sul magnete si riduce all’azione
di un momento torcente la cui espressione è
b dP a B
(11)
La similarità tra ago magnetico e spira percorsa da corrente fu individuata
da Ampère ed è nota come teorema di equivalenza di Ampère.
5.2
Esempi
Ora mostrremo alcuni esempi di azioni magnetiche su spire percorse da correnti
Esempio 1:
6
Il segno dei portatori di carica nei metalli
Stabiliamo se è importante sapere, per la corretta applicazione della forza di
Laplace sui conduttori, il segno delle cariche in moto. Supponiamo che le cariche
11
in moto siano quelle positive e siano dirette lungo l’asse {:
Inoltre, lungo l’asse | sia diretto il campo B. In tal caso, la forza di Lorentz
agente su ciascuna carica, e quindi sull’intero conduttore, è diretta lungo l’asse
}.
Supponiamo ora che le cariche in moto siano le cariche negative (questa è la
realtà). Esse si muoveranno ancora lungo l’asse x, ma nel verso negativo.
Tuttavia, poiché il segno della carica delle particelle è cambiato, la forza di
Lorentz su ciascuna carica, e quindi su tutto il conduttore, sarà ancora diretta
lungo la direzione positiva dell’asse }.
In conclusione, non ha importanza la determinazione del segno delle cariche
in moto, per la corretta applicazione della forza di Laplace. In altre parole, dalla
conoscenza dell’azione dei campi magnetici esterni sui conduttori filiformi, non
è possibile stabilire il segno dei portatori di carica nei conduttori. Possiamo,
allora, dire che il vettore uv indica il verso della corrente L, senza alcuna altra precisazione (anche se il moto reale è opposto al verso convenzionale della
corrente).
12
7
Eetto Hall
Una corrente elettrica in un conduttore equivale al moto di cariche elettriche al
suo interno. Queste cariche, essendo microscopiche, non sono visibili. Si pone
allora il problema di determinare il loro segno e la loro densità. Oggi sappiamo
che le cariche in moto sono gli elettroni ma nel secolo scorso non si conosceva la
loro natura. Nel 1879 Edwin Hall elaborò un esperimento per determinare sia
il segno delle cariche in moto che la loro densità di carica.
Supponiamo di avere un conduttore non più filiforme ma a forma di parallelepipedo come in figura
Assumiamo che la corrente fluisca nella direzione dell’asse {. Inoltre, il
conduttore sia immerso in un campo B diretto lungo la direzione dell’asse |.
Non conoscendo il segno delle cariche in moto analizziamo cosa accade ad una
carica di segno positivo e ad una di segno negativo in moto nel conduttore.
Poiché la corrente fluisce in direzione dell’asse {, una carica positiva si deve
muovere lungo tale direzione. Dal momento che la corrente è costante possiamo
scrivere
L = qtvd
(12)
dove n è la densità numerica delle cariche in moto, q la loro carica, v la loro
comune velocità costante, e d è la sezione trasversa (la base) del nostro conduttore. In particolare, d = og dove o è la larghezza del conduttore mentre g
è lo spessore. Allora, una carica positiva si muove lungo l’asse { con velocità v
data da
v=
L
qtd
(13)
Poiché la carica è in moto in un campo magnetico B, su di essa si esercita
la forza di Lorentz la cui intensità è
I = tvE
13
(14)
La direzione e il verso sono quelle dell’asse }: le cariche positive tenderanno
ad accumularsi sulla faccia ortogonale alla direzione positiva dell’asse } (e quelle
negative, sulla faccia ortogonale alla direzione negativa dell’asse } ).
Se invece le cariche in moto sono negative, la direzione della velocità sarà
lungo l’asse { ma nel verso negativo.
La forza di Lorenz agente sulle cariche è ancora data dalla (3) ed essendo
cambiato sia il segno delle cariche che quello delle velocità, la sua direzione e
verso saranno ancora quelli dell’asse } positivo: le cariche negative tenderanno
ad accumularsi sulla faccia ortogonale alla direzione positiva dell’asse z (e quelle
positive sulla faccia ortogonale alla direzione negativa dell’asse } ).
Allora, se le cariche in moto sono positive, un voltmetro, collegato alle due
faccie del conduttore, segnalerebbe che la faccia superiore è a potenziale maggiore di quella inferiore, viceversa nel caso in cui le cariche in moto siano quelle
negative. La semplice polarità del potenziale darà il segno delle cariche in moto.
Ma come valutare questo potenziale? Le cariche, siano esse positive o negative, non si accumulano indefinitivamente ma solo fino a quando il campo elettrico, HK , detto di Hall, generato dalle cariche che si accumulano, non generi
una forza sulle stesse cariche tale da uguagliare la forza di Lorentz che le ha
deviate e costrette ad accumularsi. Cioé, l’accumulazione avviene fino a che
non vale la seguente uguaglianza:
tHK = tvE
(15)
Al campo HK corrisponde una dierenza di potenziale YK , detta di Hall,
tra le facce superiore ed inferiore del conduttore, il cui valore è
YK = HK g
ovvero
YK = vEg
Sostituendo l’espressione (14) di v nella (16) si ha
14
(16)
YK =
EL
qto
(17)
All’inverso della densità di carica dei portatori,
FK =
1
qt
(18)
si dà il nome di costante di Hall. La (17) la possiamo riscrivere come
EL
(19)
o
Dal segno della costante di Hall desumiamo la natura delle cariche in moto
e dal suo valore, nota la carica elettrica, deduciamo la densità numerica delle
stesse. Si evince che l’eetto Hall può essere utilizzato per determinare il campo
E da misure di potenziale di Hall:
YK = FK
E=
8
o
YK = nYK
FK L
(20)
Complementi: Circuito in moto in un campo
B uniforme e costante
Vogliamo studiare il moto generale di un circuito in un campo magnetico uniforme e costante. Vedremo che è conveniente partire dalla determinazione del
lavoro necessario a spostare tale circuito da una configurazione iniziale ad una
finale. Il motivo è che tale lavoro dipenderà solo dalla configurazione iniziale
e finale. Ovvero, sarà possibile associare ad ogni configurazione del circuito
un’energia potenziale magnetica.
Supponiamo di spostare un circuito, percorso da una corrente L , in un
campo di induzione magnetica B, uniforme e costante Per conoscere il lavoro
che stiamo compiendo possiamo uguagliarlo con quello che farebbe la forza di
Laplace per spostare lo stesso circuito. Poiché il campo B esercita su di un
tratto di circuito una forza data da
gF = Lgl a B
(C1)
possiamo calcolare il nostro lavoro come se fosse fatto da tale forza. Poiché lo
spostamento infinitesimo che subisce il circuito non è legato alla velocità di alcuna particella microscopica (ricordiamo che le particelle cariche del circuito si
muovono con una velocità media costante pari alla velocità di deriva) indicheremo lo spostamento infinitesimo con gR,
15
il lavoro compiuto dalla forza magnetica sarà:
gO = L (gl a B) · gR
(C2)
(gl a B) · gR = (gR a l) · B
(C3)
Ma
Notiamo che qui, a dierenza del caso della forza di Lorentz, il prodotto
misto è diverso da zero, in ogni caso, perché lo spostamento gR non ha mai
la direzione della corrente e quindi anche delle cariche. Come si evince dalla
figura,
gR a gl = g2 dud
(C4)
rappresenta l’area elementare "spazzata", nel suo spostamento infinitesimo,
dall’elemento infinitesimo di circuito gl. Allora,
(gl a B) · gR = B · ud g2 d = g (B)
(C5)
esprime il flusso infinitesimo di B attraverso tale area. Notiamo che misurandosi
B in Z e@p2 (o tesla), il flusso di B attraverso una superficie si misura in weber.
Si può scrivere:
gO = Lg (B)
(C6)
dove tale flusso è positivo se B e ud formano un angolo acuto, ovvero se la terna
gR> gl> B è sinistrorsa.
Passiamo, ora, al calcolo del lavoro fatto dal campo per spostare di un tratto
infinitesimo tutto il circuito.
16
Sommando tutti i lavori elementari, relativi ai vari gl che costituiscono il
circuito, troviamo:
gO = Lgd (B)
(C7)
dove gd (B) rappresenta il flusso del campo B attraverso l’area d, spazzata
dall’intero circuito nel suo spostamento infinitesimo.
Per finire, possiamo calcolare il lavoro fatto dal campo in uno spostamento
dell’intero circuito da una configurazione iniziale ad una finale.
Troveremo che
O (l $ i ) = Ld (B)
(C8)
dove ora d (B) rappresenta il flusso del campo B attraverso la superficie spazzata dall’intero circuito nel suo spostamento finito dalla configurazione iniziale
a quella finale.
Il precedente risultato è molto di!cile da utilizzare praticamente, perché presuppone la conoscenza di tutte le modifiche che subisce il circuito dalla configurazione iniziale a quella finale. In realtà, questa di!coltà può essere superata,
trasformando il flusso al secondo membro in una dierenza tra due flussi, uno
17
legato al circuito nella configurazione iniziale e l’altro legato alla configurazione
finale.
Per fare ciò, chiudiamo la superficie spazzata con altre due superfici: una
che abbia per contorno il circuito nella posizione iniziale ed una che abbia per
contorno il circuito nella posizione finale.
Anticipiamo (ne discuteremo) in un prossimo capitolo un’importante proprietà del campo B sintetizzata da
I
g2 dB · ud = 0
(C9)
cioè che il flusso del campo B attraverso una qualunque superficie chiusa è
sempre nullo (non ci sono né sorgenti né pozzi nel campo B).
Applicando la precedente proprietà alla superficie chiusa appena costruita,
si può scrivere
d (B) + dl (B) + di (B) = 0
ovvero
d (B) = dl (B) di (B)
(C10)
e il lavoro precedentemente calcolato diventa
£
¤
O (l $ i ) = L dl (B) di (B)
(C11)
Il lavoro non dipende dal percorso che compie il circuito ma solo dalla sua
configurazione nella posizione iniziale e finale. In particolare, dipende dal flusso
del campo magnetico attraverso una qualunque superficie che abbia per cortorno
il circuito nella posizione iniziale e finale.
Ma ora sorge un problema per i versi delle due superfici dl ed di . Nel calcolo precedente non vi era ambiguità perché avevamo adoperato una superficie
18
chiusa e il flusso era, in entrambi i casi, uscente da essa. Ora i circuiti, nella
posizione iniziale e finale fanno da contorno a superfici aperte e sappiamo che
in tal caso dobbiamo usare la regola di percorrenza, lungo il verso della corrente. Ricordando che il verso della corrente è quello di go , vediamo subito che
mentre il segno usato per il circuito nella posizione iniziale è coincidente con il
verso corretto che si ottiene con la nuova regola, il segno nella configurazione
finale è opposto a quello che si ottiene con la regola di percorrenza del bordo.
Dobbiamo, allora, cambiare di segno al flusso attraverso la superficie che ha per
contorno il circuito nella posizione finale. Pertanto, convenendo di adottare il
verso di orientazioni delle superfici, il risultato (C11) sarà modificato in:
£
¤
O (l $ i ) = L di (B) dl (B)
(C12)
Il lavoro fatto dal campo B dipende solo dai flussi concatenati con la configurazione iniziale e finale del circuito e non dalle posizioni intermedie che assume
il circuito stesso, cioè dal suo moto attraverso lo spazio.
Ciò suggerisce la possibilità di introdurre una funzione energia potenziale associata ad ogni configurazione del circuito nel modo seguente: al circuito in una
certa configurazione A, si associa un’energia potenziale magnetica pari al lavoro
che il campo magnetico compierebbe per portare il circuito dalla configurazione
A ad una 0, di riferimento per tutte
XD LD (B) + frvw=
(C13)
dove D (B) rappresenta il flusso attraverso una qualunque superficie che abbia
per contorno il circuito nella posizione 1. In particolare, la costante arbitraria
potrebbe essere posta, per esempio, uguale a zero in corrispondenza di una
configurazione del circuito per il quale il flusso concatenato sia nullo.
Esempio: Possiamo pensare alla spira quadrata già discussa in precedenza
( si faccia riferimento alla figura seguente)
19
Nella posizione rappresentata in figura il flusso di B attraverso la spira è
nullo. Possiamo, quindi, sceglierla come posizione di riferimento (vedremo che
è anche una posizione di equilibrio) e scrivere che
X1 Ld1 (B)
(C14)
che esplicitata diventa
X1 = L
Z
B · ud g2 d
D
dove D è la superficie della spira. Avremo ancora
Z
X1 = LB · ud
g2 d = LB · ud D
D
Introducendo il momento di dipolo magnetico della spira
dL = ud DL
si ottiene
X = dL · B
(C15)
L’energia potenziale magnetica associata ad un circuito immerso in un campo
magnetico uniforme e costante non dipende dalla posizione del circuito nello
spazio ma solo dal suo momento di dipolo magnetico.
Questo risultato è molto simile a quello già trovato per un momento di dipolo
elettrico in un campo elettrico uniforme e costante:
X = dT · E
(C16)
Ritorniamo alla (C15). Abbiamo mostrato, in un precedente paragrafo che
la forza risultante sulla spira era nulla. Poiché la forza agente sulla spira è
il gradiente dell’energia potenziale cambiato di segno, la (C15) ci conferma il
valore nullo della forza risultante sulla spira.
Sul circuito però potrà agire una coppia diversa da zero (come abbiamo già
avuto modo di osservare). Se il circuito è libero di muoversi entro il campo
magnetico, tenderà ad assumere una posizione cui corrisponda l’energia potenziale minima, ovvero il flusso concatenato massimo, come abbiamo già visto
nell’esempio della spira.
Sia gli amperometri che i galvanometri si fondano su tale principio, infatti
sono costituiti da circuiti che quando sono percorsi da corrente, sono soggetti
ad una coppia il cui momento si può calcolare derivando l’energia potenziale
rispetto all’angolo di rotazione:
CX1
Cd1 (B)
=L
(C17)
C
C
Nel caso della spira, indichiamo con l’angolo che, in generale, il momento
di dipolo magnetico forma con il campo. L’energia potenziale si scrive
=
20
X = gL E cos La derivata rispetto a ci darà
=
CX
= gL E sin C
Possiamo allora scrivere
= dL a B
(C18)
Analogo risultato è stato ottenuto per il dipolo elettrico in un campo elettrico
uniforme e costante
= dT a E
21
(C19)
1
CAMPI MAGNETICI PRODOTTI DA CORRENTI STAZIONARIE
Abbiamo studiato gli eetti di un campo B, prodotto da un magnete su cariche
in moto e su circuiti percorsi da corrente. Abbiamo visto che le spire si comportano come dipoli magnetici. Esaminiamo, ora, i campi magnetici prodotti da
correnti elettriche stazionarie, che, lo ricordiamo, sono cariche in moto uniforme
con la velocità di deriva.
Nel precedente capitolo abbiamo derivato le forze agenti sui fili percorsi
da corrente, ora deriveremo i campi magnetici prodotti da correnti stazionarie
partendo da campo magnetico prodotto da una carica in moto uniforme.
2
Il campo magnetico prodotto da una carica in
moto uniforme
La corrente è costituita da cariche in moto. Si può considerare la velocità di
deriva come la velocità media costante con cui le particelle cariche si muovono
nel conduttore. Nel precedente ca abbiamo usato questo fatto per calcolare la
forza magnetica agente su fili rettilinei. Abbiamo detto che, se si conosce la
forza agente su una carica in moto in un conduttore (forza di Lorentz), la forza
agente su tutto il filo sarà data dalla somma vettoriale delle forze agenti su tutte
le cariche in moto nel filo. Abbiamo così, semplicemente, sostituito nella formula
della forza di Lorentz, al prodotto della carica per la loro comune velocità (in
realtà, velocità media), il prodotto della corrente per la lunghezza del filo:
Tv = Ll
(1)
Se le correnti stazionarie, sono cariche in moto con velocità costante, il campo
magnetico prodotto da un filo dovrebbe potersi considerare come la somma
dei campi magnetici prodotti dalle singole cariche in moto nel filo. Sebbene il
problema sia un poco più complesso, assumeremo che realmente sia possibile
considerare il campo prodotto da una corrente stazionaria come la somma dei
campi prodotti dalle singole cariche. Allora, per determinare il campo prodotto
da un filo percorso da corrente è su!ciente conoscere il campo prodotto da una
singola carica e sommare, questo campo su tutte le cariche presente in un filo.
Poniamoci nel caso più semplice possibile e supponiamo di avere una carica
positiva T0 in moto con velocità costante v0 , il cui modulo sia molto minore della
velocità della luce (v0 ¿ f) e che all’istante w considerato passi per l’origine.
Assumeremo che, il campo prodotto dalla carica T0 nel punto S , il cui
vettore posizione sia r, si possa scrivere
B0 (r) = %0 0 v0 a E0 (r)
(2)
dove E0 (r) è il campo coulombiano che, all’istante w, la carica T0 genera nel
punto S (il campo dipende dalla posizione istantanea della carica T0 ).
1
La costante 0 , detta permeabilità magnetica del vuoto, vale
v v
= 4 × 107
p
p
Poiché, il campo coulombiano generato dalla carica T0 nel punto S è
0 = 12> 56 × 107
E0 (r) =
1 T0
uu
4%0 u2
(3)
potremo scrivere
0 T0 0
v a uu
(4)
4 u2
Questo è il campo di induzione magnetica che una carica, passante per
l’origine degli assi con velocità v0 , genera nel punto S .
B0 (r) =
3
La prima formula di Laplace
Possiamo, ora, determinare il campo magnetico generato da un tratto di filo,
percorso da corrente, che sia centrato sull’origine di un sistema di riferimento.
2
Se indichiamo con go la lunghezza del tratto di filo, con gT0 la carica totale
che è in moto nel filo e sia v0 la loro velocità comune, dalla (4) potremo scrivere:
0 gT0 0
v a uu
4 u2
Ma per la (1) tale equazione diventa:
gB0 (r) =
(5)
0 L
gl a uu
(6)
4 u2
Questa relazione è detta prima formula di Laplace ed esprime il campo magnetico, prodotto da un tratto di filo, posto nell’origine del sistema di riferimento
e che si suppone possa essere percorso da una corrente L, in un punto a distanza
u dall’origine.
In realtà, questa formula è valida anche se il tratto di filo non è posto
nell’origine, ma in un punto qualsiasi dello spazio. Bisogna solo ricordare che
u è la distanza istantanea dal tratto di filo ed uu un versore, diretto dal filo al
punto in cui si intende calcolare il campo.
Unica limitazione della (6) è che essa non può essere sottoposta a verifica
diretta, perché in un tratto di filo non passa corrente.
gB0 (r) =
3.1
Esempi
Esempio 1: Assumendo vera la prima formula di Laplace, si determini il campo
E nel punto S del seguente circuito percorso dalla corrente L.
Separiamo il calcolo dei tre tratti. Vale la prima legge di Laplace
0 L
gl a uu
4 u2
La direzione di B è ortogonale al piano del circuito (piano del foglio) ed è
entrante, per tutti e tre i tratti. In particolare, i contributi al campo dai tratti
1 e 3 sono nulli (gl e uu sono paralleli o antiparalleli nei due tratti). Rimane il
tratto di arco di circonferenza di raggio U. Il tratto in oggetto è la somma di
tanti tratti infinitesimi gl chedistano U dal punto S . Inoltre, i vettori gl e uu
sono ortogonali. Allora ogni tratto contribuisce con un campo gE dato da
gB =
3
0 L
go
(E1)
4 U2
Se o0 è la lunghezza dell’arco di circonferenza, sommando tutti i contributi
avremo
gE =
E=
0 L
o0
4 U2
(E2)
Poiché
o0
(E3)
U
è la misura dell’arco in radianti, lo stesso campo B può scriversi come:
=
0 L
(E4)
4 U
Esempio 2: Assumendo vera la prima formula di Laplace si determini il
campo B nel centro di una spira di raggio U percorsa da una corrente L.
Usando la (b) del precedente esempio
E=
E=
0 L
o0
4 U2
(E2)
con o0 = 2U si trova
0 L
(E5)
2 U
La direzione del campo è ortogonale al piano della circonferenza ed il verso
è entrante nel piano.
Esempio 3: Il circuito in figura giace nel piano {| ed è percorso da una
corrente di 1D. Se i raggi delle due semicirconferenze sono rispettivamente
U1 = 1p e U2 = 2p, si determini il valore del campo di induzione magnetica
E nel punto S , centro delle due circonferenze (se serve, si usi per 0 il valore
numerico 4 × 107 ).
E=
I contributi lineari al campo sono nulli. Il campo B prodotto da un settore
circolare di lunghezza o0 è
L
E = 0 2 o0
4 U
4
Il campo prodotto da una semicirconferenza nel suo centro è
0 L
4 U
E=
Se si sceglie l’asse z come asse positivo, avremo
µ
¶
L U1 U2
L
1
1
E= 0
= 0
4
U2 U1
4 U1 U2
Sostituendo i valori numerici
E=
4 × 107
4
µ
12
2
¶
=
107
2
Il campo risultante è ortogonale all’asse xy ed è diretto lungo la direzione negativa dell’asse z.
4
Legge di Biot-Savart
Ora applicheremo la prima formula di Laplace ad un circuito filiforme rettilineo
indefinito, di sezione trascurabile. Ci si propone di calcolare il campo nel punto
S . Si veda la seguente figura:
Tutte le parti infinitesime, in cui si può pensare diviso il filo rettilineo contribuiscono, per la direzione e il verso, allo stesso modo. Il modulo infinitesimo
del campo si può scrivere:
0 go
g{
L sin = 0 L 2 cos 4 u2
4 u
Scriviamo { e u in funzione di :
gE =
g{ = |s sec2 g
{ = |s tan 5
(7)
(8)
Essendo 1@ cos = sec = u@|s , avremo
g{ = |s sec2 g = |s
u2
u2
g = g
2
|s
|s
(9)
Allora,
gE =
1 u2
0 g{
L 2 cos = 0 L 2 g cos 4 u
4 u |s
ovvero
gE =
0 L
g cos 4 |s
(10)
Il campo risultante, prodotto dal filo rettilineo indefinito, sarà
L
E= 0
4 |s
da cui
E=
0 L
4 |s
Z
Z
0
L
g cos + 0
4
|s
@2
@2
g cos =
@2
Z
@2
g cos (11)
0
0 L
L
@2
sin |@2 = 0
4 |s
2 |s
(12)
Abbiamo, così mostrato che il campo prodotto da un filo rettilineo indefinito,
in un punto che disti g dal filo, è
0 L
(13)
2 g
La (13) è nota come legge di Biot-Savart e fu stabilita nel 1820 dai francesi
Jean-baptiste Biot (1774-1862) e Félix Savart (1791-1841). Essa è una legge e
non una formula, come le due formule di Laplace, perché è verificabile direttamente. La direzione del campo B è nel piano della circonferenza, ortogonale al
filo, con centro su questo e passante per S e risulta ad essa tangente. Le linee
di forza del campo di induzione magnetica prodotte dal filo sono delle circonferenze, ortogonali al filo e con centro su di esse. Per determinarne il verso si
può usare la regola della mano destra: si pone il pollice nella direzione della
corrente e le dita nella direzione del punto S , quando si chiude la mano, le dita
indicheranno il verso del campo.
E=
6
4.1
Esempi
Esempio 1:La precedente relazione può essere utilizzata anche per calcolare il
campo prodotto da un filo di lunghezza finita.
Supponiamo di voler calcolare il campo prodotto da un filo di lunghezza O
in un punto S posto ad una distanza g da uno degli estremi del filo (vedi la
figura sottostante)
Facendo riferimento alla (11) il contributo del primo integrale è nullo. Nel
secondo integrale basterà porre 1 come estremo superiore:
E=
0 L
4g
Z
0
1
cos g =
0 L
O
L
sin 1 = 0 s
2
4g
4g O + g2
(E6)
Esempio 2: Calcoliamo il campo prodotto da un filo di lunghezza finita
O in un punto P, posto ad una distanza g, ma in una posizione qualunque,
intermedia (O = O + O ).
7
Dalla (11) otterremo
L
E= 0
4 g
Z
0
L
g cos + 0
4
g
Z
g 0 cos 0
0
ovvero
0 L
L
L
sin + 0 sin = 0 (sin + sin )
4 g
4 g
4 g
che si può anche riscrivere come
3
4
O
O
L
D
+q
E = 0 Cq
4 g
2
2
O +g
O2 + g2
E=
Esempio 3: Forza esercitata da un filo rettilineo indefinito su di un filo
finito di lunghezza O.
Il campo prodotto dal filo ad una qualunque distanza { è
E1 =
0 L1
2 {
La sua direzione è determinata da u} . La forza agente su un tratto infinitesimo
del secondo filo è
gF = L2 g{u{ × B1 = E1 L2 g{u| =
0 L1
L2 g{u|
2 {
Per ottenere la forza risultante dobbiamo integrare (la direzione ed il verso sono
determinati da u| )
I = 0 L1 L2
2
Z
g
g+O
g{
= 0 L1 L2 ln
{
2
µ
g+O
g
¶
Esempio 4: Campo magnetico sull’asse di una spira circolare.
8
Ci proponiamo di calcolare il campo magnetico E in un punto qualunque
dell’asse x, che coincida con l’asse della spira circolare. Dobbiamo usare la
formula di Laplace
L
gB = 0 2 gl a uu
4 u
Il campo gB deve essere ortogonale al piano individuato ed il suo modulo sarà
gE =
0 L
go
4 u2
perché i due vettori gl e uu sono ortogonali. Questo risultato può essere riscritto
come
L
gE = 0 2
go
4 U + {2
Se decomponiamo il campo gB in una componente lungo l’asse { ed una componente nel piano ortogonale all’asse {, possiamo notare quest’ultima ha sempre
un’analoga componente di segno opposto (prodotta dall’elemento circuitale simmetrico a gl rispetto al piano {}). In ultima analisi, per calcolare il campo di
tutta la spira dobbiamo "solo" sommare i contributi di tutti i gl nella direzione
dell’asse {. In altre parole, il campo risultante, nel punto P sarà
I
I
go cos E = gE cos = 0 L
4
U2 + {2
Poiché tutto l’integrando è costante durante l’integrazione,avremo
I
cos cos cos E = 0L 2
2U = 0 L 2
U
go = 0 L 2
2
2
4 U + {
4 U + {
2 U + {2
Non rimane che esprimere il cos in termini di R e x, cioè
U
cos = s
U2 + {2
9
per cui
E=
U2
0
L
2 (U2 + {2 )3@2
(a)
Questo risultato per { = 0 (il campo al centro della spira) diventa
E=
0 L
2 U
{=0
(b)
che avevamo già trovato.
A grande distanza dalla spira, si ha (trascurando U rispetto ad { al denominatore)
LU3
E= 0 3
{ÀU
(c)
2 {
Ma LU2 è il momento di dipolo magnetico gL della spira, per cui possiamo
scrivere
gL
{ÀU
(d)
E= 0 3
2 {
che va confrontato con l’analogo del campo elettrico generato da un dipolo
elettrico, a grande distanza dal dipolo.
Esempio 5: Il campo magnetico lungo l’asse di un solenoide.
Il solenoide è costituito da un insieme di spire circolari. Si può pensare il
campo come la somma dei campi prodotti dalle singole spire. Più esattamente,
il campo risultante è uguale al campo prodotto da una distribuzione continua
di spire, percorse dalla stessa corrente. Se consideriamo la formula
E=
0
U2
L
2 (U2 + {2 )3@2
(a)
del precedente esercizio, osserviamo che bisogna prima valutare il campo prodotto
dalle spire che sono contenute nel tratto ({> { + g{). L’unica quantità che varia
nella (a) è la corrente prodotta dalle spire contenute nel tratto considerato.
Essa, poiché la densità lineare delle spire è costante e vale q = Q@O, sarà
gL = qLg{
10
(b)
per cui, il campo prodotto dalle spire nel tratto in esame diventa
gE = q
0
U2
L
g{
2 (U2 + {2 )3@2
(c)
Il campo risultante sarà
E=q
0
L
2
Z
{2
{1
U2
(U2 + {2 )3@2
g{
Conviene passare alla variabile angolare
g{ = U sec2 g
{ = U tan Otterremo
E=q
0
L
2
Z
2
cos g = q
1
0
L (sin 2 sin 1 )
2
(d)
Se assumiamo P al centro del solenoide, a sua volta ipotizzato rettilineo indefinito (U è molto piccolo rispetto ad O), gli angoli tendono a @2 e @2 e il
risultato diventa
E = 0 qL
(e)
All’interno di un solenoide rettilineo indefinito il campo magnetico è praticamente costante ovunque e risulta proporzionale alla densità lineare delle spire e
alla corrente che circola in esse.
5
Forza agente tra cariche in moto
Possiamo pensare di utilizzare la forza di Lorentz e la legge del campo generato
da una carica in moto lento ed uniforme, per calcolare le forza che, reciprocamente, si inducono due cariche in moto uniforme e lento.
Supponiamo, per semplicità di calcolo, che la carica positiva T0 , in moto
con velocità costante v0 , all’istante w, sia nell’origine degli assi, ed il verso della
corrente sia lungo la direzione positiva dell’asse {. Consideriamo anche carica T, che supporremo sempre positiva e posta sull’asse |, ad una distanza u
dall’origine. A seconda della direzione e verso della velocità v si possono presentare tre casi che ora andremo ad esaminare separatamente.
5.1
Caso a: v è parallela a v0
Per calcolare la forza agente su T, e prodotta da T0 abbiamo bisogno della forza
di Lorentz
FT (r) = Tv a B0 (r)
(14)
B0 (r) = %0 0 v0 a E0 (r)
(15)
0
Il campo prodotto dalla carica T nel punto S è:
11
dove E0 (r) è il campo coulombiano che, all’istante t, la carica T0 genera nel
punto P, dove è posta la carica T. Il campo dipende dalla posizione istantanea
della carica T0 . Poiché le due cariche sono entrambe positive, il campo E0 (r) è
diretto lungo la direzione positiva dell’asse y. Poiché v0 è nella direzione dell’asse
x, il campo magnetico B0 (r) è diretto lungo l’asse z.
v0 = v0 u{
E0 (r) = H 0 u|
$
B0 (r) = E 0 u}
Possiamo, ora, conoscere la direzione della forza FT (r): Poiché v è nella
direzione positiva dell’asse x e B0 (r) è diretto lungo l’asse z, la forza FT (r) è
diretta lungo l’asse y, ma con verso opposto alla direzione positiva dell’asse.
v = vu{
B0 (r) = E 0 u}
$
FT (r) = IT u|
(16)
Per calcolare la forza che agisce su T0, prodotta dalla carica T, dobbiamo
riusare la forza di Lorentz:
dove:
FT0 (0) = T0 v0 a B (0)
(17)
B (0) = %0 0 v a E (0)
(18)
Qui, E è il campo elettrico generato dalla carica T nell’origine degli assi, in
cui è posta la carica T0 . Quindi
v = vu{
per cui
E (0) = Hu|
$
FT0 (0) = IT0 u|
B (0) = Eu}
(19)
Poiché si può mostrare che le due forze sono di pari intensità, in questo caso
esse obbediscono alla terza legge di Newton. Se le due particelle invece di avere
velocità parallele avessero avuto velocità antiparallele, le forze sarebbero state
repulsive. In ogni caso, le due forze rimanevano newtoniane.
12
5.2
Caso b: v è ortogonale a v0
1) Supponiamo che la carica T0 abbia le stesse caratteristiche del caso a, mentre invece la direzione ed il verso della carica T siano nella direzione positiva
dell’asse y. Poiché non sono cambiati i seguenti vettori
v0 = v0 u{
E0 (r) = H 0 u|
la forza agente sulla carica T,
$
FT (r) = Tv a B0 (r)
B0 (r) = E 0 u}
(20)
sarà diretta lungo l’asse {.
.
2) Se supponiamo che la carica T sia diretta lungo l’sse }, allora la forza
agente su tale carica
FT (r) = Tv a B0 (r)
(21)
risulterà nulla, perché la velocità ed il campo magnetico sono paralleli.
In conclusione, con la sola eccezione di velocità parallele o antiparallele, la
forza di Lorentz non obbedisce alla terza legge di Newton. Questo carattere
non newtoniano ha creato non pochi problemi alla forza di Lorentz. Solo la
constatazione che la terza legge di Newton è in contrasto con la propagazione
finita delle interazioni, ha ristabilito l’importanza di tale forza.
6
Definizione di Ampère
Molto prima della scoperta della forza di Lorentz, nel 1820 circa il francese André
Marie Ampère (1775-1836) rilevò che due fili percorsi da corrente si attraggono
o si respingono.
Si considerino due conduttori paralleli, rettilinei, di lunghezza infinita e
sezione trasversale trascurabile, posti nel vuoto, a distanza di un metro. I
due conduttori giacciono nel piano yz e le correnti sono dirette lungo l’asse z.
Indicheremo con 1 e 2 i due conduttori.
13
L’intensità del campo, che indicheremo con E1 , prodotto dal conduttore 1
in un punto qualunque del conduttore 2 è dato dalla legge di Biot-Savart:
0 L1
(22)
2 g
dove g è la distanza tra i due conduttori. La direzione del campo è quella
dell’asse { e il suo verso è nella direzione negativa dell’asse {. Consideriamo
il secondo filo immerso nel campo B1 . La forza magnetica agente su ciascun
elemento l2 , per la seconda legge di Laplace sarà
E1 =
Fo2 = L2 l2 a B1
(23)
Usando la (22), il modulo della (23), diventa
0 L1 L2
o2
2 g
La direzione è lungo l’asse | ed il verso è nel senso negativo dell’asse (correnti
concorde si attraggono e correnti discordi si respingono).
La forza risultante, per unità di lunghezza, sarà
Io2 =
0 L1 L2
2 g
In particolare, se si prende per le due correnti il valore di un ampère e per le
lunghezze la distanza di un metro avremo che il valore della forza vale
i=
0
= 2 × 107 Q
2
Possiamo, allora, dire che l’ampère è l’intensità della corrente elettrica costante
che, fluendo in due conduttori rettilinei, paralleli, molto lunghi, di sezione trasversale circolare trascurabile, posti alla distanza di 1 metro nel vuoto, determina
fra essi una forza di 2 × 107 newton al metro lineare.
I =
14
1
LA LEGGE DI FARADAY
In un precedente capitolo abbiamo analizzato l’azione di un campo magnetico
costante su di un circuito percorso da corrente. In questo capitolo, vogliamo
analizzare la possibilità da parte del campo magnetico di generare una corrente.
Abbiamo visto che per generare una corrente occorre porre in un circuito
una batteria (generatore di corrente). E’ la batteria che mediante la sua energia
chimica fornisce l’energia alle cariche per far loro compiere il giro del circuito.
Non a caso abbiamo caratterizzato la batteria mediante una forza elettromotrice
Yi hp (energia per unità di carica). Ancora, possiamo dire che è la batteria a
generare il campo elettrico che muove le cariche nei conduttori.
La questione che ora vogliamo analizzare è se, per esempio, un campo magnetico esterno possa generare un campo elettrico in un conduttore e questi a
sua volta possa far muovere i portatori e generare una corrente. In altre parole, vogliamo sapere se oltre alle batterie, esistono dei meccanismi che possano
mettere in moto i portatori di carica nei conduttori. La risposta a questa domanda fu trovata dall’inglese Michael Faraday (1791-1867) che nel 1831 eseguì
e quantificò il seguente esperimento.
Supponiamo di avere un circuito, nel quale inseriamo un galvanometro, ma
in cui non è presente alcun generatore di corrente (figura a sinistra).
Non essendoci alcuna sorgente di energia (forza elettromotrice) non dovremmo
avere alcun passaggio di corrente. Infatti, il galvanometro non segna alcuna corrente. Prendiamo ora un magnete naturale ed avviciniamolo al circuito (figura
a centro): il galvanometro segna il passaggio di una corrente. Allo stesso identico risultato giungiamo se avviciniamo il circuito al magnete (figura a destra).
Possiamo immaginare che il qualche modo si è prodotta nel circuito una forza
elettromotrice, che diremo indotta, la quale causa il passaggio di corrente nel
circuito:
1
Modifichiamo un poco l’esperimento. Supponiamo che inizialmente il circuito ed il magnete siano vicini ma fermi. Nel circuito non passa alcuna corrente,
come conferma il galvanometro. Se ora si allontana o il magnete o il circuito,
finchè vi è un moto relativo tra i due, il galvanometro segna una corrente, ma
di segno opposto alla precedente.
Tutto accade come se vi fosse una forza elettromotrice (indotta) ma di segno
opposto nel circuito.
Il risultato complessivo di tutti gli esperimenti è sintetizzabile dalla seguente
aermazione: Finché il magnete e il circuito sono in moto relativo, nel circuito
appare una forza elettromotrice indotta che genera un passaggio di corrente.
Discutiamo ancora un esperimento. Si abbia un magnete naturale (per esempio, un anello di ferro) a forma di ciambella.
Da un lato(a destra) sia avvolto un circuito, collegato ad una batteria (circuito primario), mentre dall’altro lato (a sinistra) si abbia un circuito (circuito
secondario) senza batteria ma connesso ad un galvanometro. Quando si chiude
il circuito primario appare nel secondario una corrente, che diventa di segno
opposto se si riapre il circuito primario. Poiché nel secondo circuito è cambiato
solo il campo magnetico possiamo concludere dicendo che quando un circuito è
immerso in un campo magnetico variabile, si genera in esso una forza elettromotrice indotta.
La risposta alla domanda di partenza è che un campo magnetico per poter
generare una corrente deve essere variabile. Ma non è la semplice variazione del
campo a generare la corrente indotta. Faraday, per primo, giunse alla seguente
2
conclusione generale (legge di Faraday): la corrente elettrica indotta in un circuito, in presenza di un campo magnetico, è proporzianale al numero di linee di
forza del campo che attraversano il circuito nell’unità di tempo.
Parlare di corrente indotta significa anche parlare di forza elettromotrice
indotta Yilqg
hp . Infatti, se U è la resistenza del circuito avremo sempre
L lqg =
Yilqg
hp
U
(1)
D’altra parte, il vantaggio di parlare di forza elettromotrice è nel suo legame
diretto con il campo elettrico indotto. Infatti, se indichiamo con o il generico
circuito potremo scrivere
I
Yilqg
hp =
E · gl
(2)
o
dove E è il campo elettrico indotto. Ed è in termini della forza elettromotrice
indotta che Newmann e Lenz formularono quantitativamente la legge di Faraday.
Tale legge, tradotta in linguaggio matematico, dice che la forza elettromotrice
indotta in un circuito o è uguale alla variazione, col segno cambiato, del flusso
del campo magnetico,concatenato con il circuito:
µZ
¶
I
g
2
B · ud g d
(3)
E · gl = gw
do
o
dove do è una qualunque superficie che abbia o per contorno.
La prima considerazione che viene da fare è che non sono i campi magnetici stazionari a generare le correnti ma i campi variabili; inoltre, dobbiamo
aspettarci sempre un’associazione tra campi magnetici variabili (secondo membro) e campi elettrici variabili (primo membro). La legge (3) è la prima legge
esplicita dell’elettromagnetismo.
Dobbiamo usare, per la prima volta la parola ”elettromagnetismo”, e non
elettricità o magnetismo, perché essa collega (per la prima volta) il campo magnetico (attraverso la variazione del suo flusso) alla variazione del campo elettrico
(variazione del campo elettrico lungo un circuito-percorso). In altre parole, per
la prima volta, si evidenzia che una variazione di un campo magnetico genera
una variazione di un campo elettrico. Infine, osserviamo in maniera esplicita,
che il campo elettrico, in generale, non è più conservativo:
I
E · gl 6= 0
La forza elettromotrice indotta è, per quanto riguarda la corrente che percorre un circuito, esattamente uguale alla f.e.m. di una batteria, per cui se
nel circuito è presente anche una batteria, bisognerà sommare algebricamente
le dierenti forze elettromotrici. Allora, in generale, il campo elettrico, sarà
costituito di una parte la cui origine è dovuta ad una distribuzione di carica e
di un’altra la cui origine sarà legata a variazioni di flusso di campo magnetico
attraverso la superficie concatenata con il circuito.
3
2
Induzione in un circuito in moto
Nel precedente paragrafo per spiegare il moto degli elettroni in un circuito (corrente) abbiamo fatto ricorso ad un campo elettrico indotto. Ora mostreremo che
la stessa legge può essere spiegata facendo ricorso alla forza di Lorentz, almeno
nel caso particolare in esame.
Supponiamo di avere un circuito giacente nel piano {| (vedi Figura) immerso
in un campo di induzione magnetica B uniforme, diretto lungo la direzione
dell’asse }. Il tratto DE di lunghezza o si può spostare, nel piano {|, senza
attrito.
Supponiamo che nell’intervallo di tempo infinitesimo gw, il tratto compreso
tra D e E si sposti con velocità v verso destra, nella direzione positiva dell’asse |.
Lo spostamento infinitesimo subito dal tratto DE sarà stato gu = vgw. Quando
il tratto DE si sposta, anche gli elettroni di conduzione si spostano con velocità
v e la forza di Lorentz I = th vE agisce su di loro e li fa muovere nel verso
che va da E ad D (th = h) (per convenzione, deve circolare nel circuito una
corrente antioraria, verso ABCD).
Per capire quello che accade facciamo un passo indietro e supponiamo di
considerare il lato del circuito che si sposta come se fosse isolato dal resto del
circuito. La forza di Lorentz tenderebbe ad accumulare nell’estremo D degli
elettroni (e delle cariche positive sull’estremo E). Tra i punti D e E si genera
una dierenza di potenziale (forza elettromotrice indotta).
Ciò che è accaduto finora si può sintetizzare nel modo seguente. Abbiamo
spostato un pezzo di metallo (fatto un lavoro). Poiché siamo in un campo magnetico, viene indotta ai capi della barretta una forza elettromotrice. Abbiamo
trasformato, mediante la presenza del campo magnetico un lavoro meccanico in
una dierenza di potenziale, quindi in una possibilità di utilizzo elettrico dello
stesso. Infatti, se ora poggiamo il tratto di circuito tra D e E sul resto del
circuito passa una corrente, che in parte dissiperà l’energia in eetto Joule ma
una parte può comunque essere utilizzata (è nato il motore elettrico!).
Riguardiamo quantitativamente quello che sta succedendo. La forza magnetica genera la dierenza di potenziale indotta ai capi D e E. Questa dierenza
a sua volta genera un campo elettrico indotto H che si opporrà alla forza magnetica, ovvero
4
th H = th vE
la dierenza di potenziale tra D e E e quindi tra due punti qualunque del
circuito, sarà data da
Ho = vEo
(4)
Mostriamo, ora, che il secondo membro di quest’ultima indica una variazione
di flusso concatenato con il circuito. La variazione infinitesima del flusso concatenato con il circuito, poiché il campo è uniforme, dipenderà solo dalla variazione infinitesima della superficie, g2 d = ovgw (ovvero, in termini vettoriale,
g2 du} = gr × gl ), quindi si avrà
g (B) = B · ud g2 d = Eg2 d = Eovgw
dove il segno meno deriva dal fatto che l’orientamento della corrente indotta,
verso ABCD, è tale che la superficie spazzata ha una direzione positiva opposta
al campo (usare la regola di percorrenza del bordo). Si può anche dire che la corrente indotta genera un campo magnetico indotto il quale tende di opporsi alla
variazione del flusso (vedi legge di Lenz, più avanti). La variazione, nell’unità
di tempo, del flusso concatenato sarà:
µZ
¶
g
2
B · ud g d = Eov
(5)
gw
do
Ponendo insieme la (4) e la (5) troviamo
µZ
¶
g
2
Ho = B · ud g d
gw
do
(6)
Poiché il tratto è parte di un circuito, possiamo dire che si è generata una
f.e.m. indotta, Yilqg
hp data da:
I
Z
g
B · ud g2 d
(7)
E · gl = gw
o
do
Abbiamo così mostrato che, nel caso di circuito in moto, la legge di Faraday
è deducibile dalla forza di Lorentz. Tuttavia, siccome è il solo caso in cui ciò
avviene, dobbiamo concludere che comunque la legge di Faraday è una legge
fondamentale dell’elettromagnetismo.
3
La legge di Lenz
Il modo più semplice di determinare la polarità della f.e.m indotta è dedurla
dalla legge di Lenz: la f.e.m. indotta ha una polarità tale da opporsi sempre
alla causa che l’ha prodotta. In termini di corrente, si può dire che la direzione
della corrente indotta è sempre tale da produrre un campo magnetico che si
oppone alla variazione di flusso che l’ha generata (legge di Lenz ).
5
L’esempio dato nel precedente paragrafo è molto significativo e noi ora lo
approfondiremo. Mostriamo che nel caso del circuito in moto, il campo indotto,
genera una forza che tende a frenare il moto del tratto di circuito in movimento, responsabile della corrente indotta stessa. Sappiamo che il tratto DE ha
lunghezza o, ma ora aggiungiamo ad esso una resistenza U ed una massa P . La
corrente indotta, generata quando abbiamo mosso il filo verso destra, è diretta
nel verso che va da D a E (direzione positiva dell’asse {). Il campo magnetico è
nella direzione positiva dell’asse }, quindi la forza di Laplace agente su tale filo
sarà, con le scelte fatte,
F = L lqg oEu|
(a)
La forza è nella direzione opposta al movimento del tratto di filo e quindi tende a
frenare il movimento. Se si trascura l’autoinduzione e l’attrito tra i fili possiamo
scrivere
P v̇ = L lqg oE
e poiché
L lqg =
Yilqg
Eov
hp
=
U
U
troviamo
P v̇ = o2 E 2
v
U
da cui
µ 2 2 ¶
o E
w
v{ (w) = v{ (0) exp PU
(b)
La velocità si sarà dimezzata dopo un tempo
µ 2 2 ¶
o E
v{ (0)
= v{ (0) exp w
2
PU
ovvero
w1@2 =
4
PU
ln 2
o2 E 2
Autoinduttanza ed induttanza
Se il flusso di B concatenato con un circuito varia, la legge di Faraday ci dice
che nel circuito si genera un campo elettrico indotto e quindi una f.e.m. indotta
che tende a ridurre l’eetto della variazione del flusso secondo la seguente legge:
µZ
¶
g
2
=
Yilqg
B
·
u
g
d
(8)
d
hp
gw
do
6
Consideriamo ora un singolo circuito (si pensi ad una spira circolare) percorso
da corrente L. Se la corrente subisce una variazione, il flusso del campo B,
generato dalla stessa corrente, concatenato con lo stesso circuito varierà.
Anche in questo caso nel circuito si genererà una f.e.m. indotta (ora detta
autoindotta) che tenterà di ostacolare la variazione del flusso concatenato. Si
dimostra che il flusso di B, concatenato con il circuito, risulta essere sempre
proporzionale alla corrente che circola, ad un dato istante, nel circuito stesso:
Z
B · ud g2 d = OL
(9)
do
dove O è un coe!ciente che dipende solo dalla geometria del circuito. Tale
coe!ciente è detto induttanza (o autoinduttanza) del circuito. Allora, la legge
di Faraday può assumere una forma dierente:
gL
(10)
gw
ovvero, la f.e.m. autoindotta, in un circuito in cui circola una corrente, è
proporzionale alla variazione della corrente che circola nel circuito. L’induttanza
O si misura in henry (H):
Yilqg
hp = O
[O] = K = v
L’henry è un valore piuttosto grande di induttanza: i valori delle induttanze
di uso frequente sono compresi tra K = 106 K e pK = 103 K.
Si abbiano, ora, due circuiti separati (due spire circolari) percorsi da correnti
L1 e L2 :
7
Se varia la corrente che circola nel circuito 1, il flusso concatenato con il
secondo circuito varierà. Si dimostra che il flusso concatenato con il circuito 2
risulta proporzionale alla corrente L1
Z
B1 · ud g2 d = O21 L1
(11)
d2
dove il coe!ciente (detto di mutua induzione), dipende solo dalla natura geometrica dei due circuiti. In maniera analoga, al variare della corrente L2 , nel
circuito 1 varierà il flusso concatenato e si dimostra che
Z
B2 · ud g2 d = O12 L2
(12)
d1
dove il coe!ciente di mutua induzione dipende solo dalla geometria dei due
circuiti; anzi si verifica che O21 = O12 . Anche i coe!cienti di mutua induzione
si misurano in henry.
5
Esempi
Esempio 1: Determinare l’induttanza di un solenoide rettilineo ideale di lunghezza
o costituito da Q spire.
8
Per ciascuna spira del solenoide possiamo assumere che il flusso concatenato
(B) sia lo stesso. Il flusso concatenato con tutto il solenoide sarà Q (B) per
cui, se con O indichiamo l’induttanza del solenoide, avremo
Q o (B) = OL
(E1)
dove L è la corrente che circola nel solenoide. Allora,
O=
Q (B)
L
(E2)
Se con d indichiamo la sezione interna del solenoide, il flusso di B (B è costante
ed ortogonale alla sezione) attraverso una spira qualunque sarà
(B) = Ed
(E3)
Il campo magnetico nel solenoide rettilineo indefinito ideale (vedi capitolo sulla
legge di Ampère-Maxwell) è
E = 0 qL
(E4)
dove q = Q@o, è la densità lineare delle spire. Allora, la (E3) diventa
(B) = 0 qLd
(E5)
e l’induttanza, espressa dalla (E2), divententà
Q 0 qLd
= 0 q2 do
(E6)
L
L’induttanza è proporzionale al quadrato della densità lineare delle spire (q2 )
ed al suo volume (do) interno.
Esempio 2: Cosa sta succedendo nel circuito?
Il prodotto di U per la corrente che fluisce nel circuito è uguale alla somma
delle f.e.m. presenti nel circuito:
O=
UL = Yi hp + Yilqg
hp
da cui
gL
(E7)
gw
dove Yi hp è la f.e.m. del generatore e Yilqg
hp è quella indotta. La soluzione di
tale equazione (vedi la carica di un condensatore) è
UL = Yi hp O
L (w) =
Yi hp
[1 exp (w@ )]
U
9
(E8)
dove abbiamo introdotto il tempo
O
U
(E9)
La corrente all’inizio cresce rapidamente, poi rallenta fino a tendere al valore
finale Yi hp @U. Arrivati a tale valore, potremmo togliere f.e.m. esterna (generatore) e misurare in quanto tempo il circuito scarica l’energia accumulata.
Il circuito, senza la f.e.m. esterna verifica la seguente equazione
O
gL
+ UL = 0
gw
(E10)
con la condizione iniziale (il valore finale è ora valore iniziale)
L0 =
Yi hp
U
(E11)
La soluzione della nostra equazione è
L (w) =
·
¸
Yi hp
U
exp w
U
O
(E12)
L’intensità di corrente si smorza esponenzialmente.
Gli induttori sono costituiti da solenoidi ed il loro simbolo è
6
L’energia magnetica: elementi
La similarità tra il condensatore per il campo elettrico e l’induttore per il campo
magnetico, ci inducono a pensare che anche nell’induttore venga immagazzinata dell’energia magnetica. Sul piano della descrizione qualitativa, possiamo
dire che quando un generatore esterno inizia ad erogare corrente nel circuito,
la f.e.m indotta si oppone all’aumento di corrente e quindi il generatore deve
compiere un lavoro per vincere tale opposizione. Questo lavoro si trasforma in
energia immagazzinata nell’induttore e può essere riutilizzata, quando si scollega
il generatore esterno.
Passiamo al calcolo diretto. Quando la corrente cresce con una rapidità pari
a gL@gw, la f.e.m. indotta, Yilqg
hp è data
Yilqg
hp = O
10
gL
gw
(13)
Se moltiplichiamo per L tale espressione otteniamo il lavoro per unità di tempo
compiuto dall’induttore:
LYilqg
hp = LO
gL
gw
quindi, l’energia immagazzinata per unità di tempo è
gU
gL
= LO
gw
gw
(14)
ovvero
gU = LOgL
che, integrata con L (w = 0) = 0, darà
U=
1 2
OL
2
(15)
Una tale espressione può essere usata facilmente per una verifica sperimentale.
Per il condensatore avevamo trovato X = T2 @2F. Poiché O = (B) @L, avremo
una seconda forma per l’energia magnetica
U=
6.1
1
(B) L
2
(16)
La densità di energia magnetica
L’espressione dell’induttanza di un solenoide rettilineo indefinito ideale verrà
calcolata negli esempi e si troverà:
O = 0 q2 do
(17)
dove 0 è la permeabilità magnetica del vuoto, q è la densità lineare delle spire
del solenoide, d la sezione interna del solenoide ed o la sua lunghezza. Sostituendo la (17) nella (15) troviamo
1
q2 L 2 (do)
(18)
2 0
Poiché il campo B, all’interno di un solenoide rettilineo indefinito ideale, è
U=
E = 0 qL
11
(19)
la (18) diventa
U=
E2
do
20
(20)
La (20) suggerisce di interpretare la quantità
xE =
E2
20
(21)
come una densità di energia magnetostatica (energia per unità di volume). Possiamo dire che per ogni volume unitario, interno al solenoide, vi è una quantità
di energia che è proporzionale al quadrato del campo B.
Questo risultato ha una validità generale: in ogni punto dello spazio in cui
è presente un campo di induzione magnetica si può pensare immagazzinata
un’energia per unità di volume espressa dalla (21).
7
Il circuiti LC
Supponiamo di avere in serie un induttore ed una capacità. Se il condensatore
è inizialmente carico, possiamo immaginare che a partire da un certo istante iniziale, inizierà a fluire una corrente. L’equazione di Kirchho, in presenza anche
di una resistenza, sarebbe
UL = Y O
gL
gw
(E1)
che, specificando la dierenza di potenziale ai capi del condensatore, * = tF,
diventa
t
gL
+
=0
gw
F
(E2)
g2 t
t
+
=0
gw2
F
(E3)
O
e ancora, scritta per la carica
O
Se confrontiamo tale equazione con quella di un oscillatore armonico semplice
(particella legata ad una molla, che si muove su di un piano senza attrito)
P
g2 {
+ n{ = 0
gw2
(E4)
notiamo delle analogie ({ $ t; n $ 1@F ed P $ O) e possiamo subito scrivere
12
la soluzione come segue:
t (w) = t0 cos ($ 0 w + !)
(E5)
1
$0 s
OF
(E6)
dove abbiamo posto
Quello che succede nel circuito è la seguente cosa: Alternativamente, le armature del condensatore si caricano di cariche di segno opposto; ciò avviene fino a
quando la carica di un certo segno non si è trasferita sull’armatura opposta a
quella dove era inizialmente. Dopo di ché, si inverte il processo, che in assenza
di attrito (la resistenza!), "oscillerebbe" per sempre. In particolare, se al tempo
iniziale poniamo t (w = 0) = t0 , la fase (!) può essere posta uguale a zero, e la
soluzione diventa:
t (w) = t0 cos ($ 0 w)
In tal caso, la corrente si evolve nel tempo secondo la seguente legge:
¶
µ
t0
w
L (w) = s
sin s
OF
OF
8
(E7)
(E8)
Esempi
Esempio 1: Si abbia una spira quadrata, inizialmente ferma, in un campo
magnetico uniforme variabile nel corso del tempo, secondo la legge
E = E0 sin ($w)
(1)
La spira sia nel piano {| e la direzione ed il verso del campo siano lungo
l’asse }.
13
Poiché il circuito è fermo, la derivata temporale si può portare dentro l’integrale
ed applicarla solo al campo
I
Z
CB
E · gl =
· ud g2 d
(2)
Cw
o
do
ovvero, esplicitando
I
o
Z
C
[E0 sin ($w)] u} · ud g2 d
do Cw
Z
= E0 $ cos ($w)
u} · u} g2 d
E · gl = do
= E0 $ cos ($w) do
Se la spira non è nel piano xy, ma forma un angolo con l’asse z, allora
u} · ud = cos ed il precedente risultato diventa
I
E · gl = E0 $ cos cos ($w) do
(3)
o
Esempio 2: Consideriamo una spira quadrata, inizialmente a riposo, nel
piano {|, ma poi ruotante, intorno all’asse {, con velocità angolare $ 0 . Il campo
B è nella direzione positiva dell’asse }, ed è costante ed uniforme, E = E0 .
L’angolo che la spira, nel suo movimento, forma con il piano {| (o equivalentemente l’angolo che la normale alla superficiesu cui giace la spira forma con
l’asse }) è dato da
= $0 w
La legge di Faraday, si scrive
µZ
¶
I
g
2
B · ud g d
E · gl = gw
o
do
e il flusso di E, attraverso l’area variabile sarà
14
(1)
Z
B · ud g2 d = E0 do cos ($ 0 w)
(2)
g
(E0 do cos ($ 0 w)) = E0 do $ 0 sin ($ 0 w)
gw
(3)
do
per cui
I
o
E · gl = Esempio 3: Si abbia una spira quadrata, inizialmente ferma nel piano{|.
Successivamente inizi a ruotare intorno all’asse {, con velocità angolare $ 0 , mentre è immersa in un campo magnetico variabile, diretto lungo l’asse }, la cui legge
sia
E (w) = E0 sin ($w)
(1)
Rispetto al precedente esempio avremo
= $0 w
(2)
La legge di Faraday, si scrive
µZ
¶
I
g
2
E · gl = B · ud g d
gw
do
o
ed il flusso di E, attraverso l’area variabile sarà
Z
B · ud g2 d = E (w) do cos ($ 0 w)
(3)
do
per cui
I
o
E·gl = g
gE (w)
(E (w) do cos ($ 0 w)) = do cos ($ 0 w)+E (w) do $ 0 sin ($ 0 w) (4)
gw
gw
che esplicitata diventa
I
E · gl = E0 $ cos ($w) do cos ($ 0 w) + E0 sin ($w) do $ 0 sin ($ 0 w)
o
15
(5)
e se $ = $ 0 , avremo
I
o
E · gl = E0 $do [cos ($w) cos ($w) sin ($w) sin ($w)]
= E0 $do cos (2$w)
(6)
Esempio 4: Un conduttore di un metro si sposta, nel piano {|, parallelamente all’asse { con velocità V = 2> 50u| p@v. Sapendo che esso si muove in
un campo uniforme e costante, diretto lungo l’asse }, di valore B = 0> 50u} W ,
trovare la forza elettromotrice indotta ai capi del conduttore.
Abbiamo visto che per il circuito in moto
g (E)
= EoV
gw
che, esplicitamente calcolato, diventa
g (E)
= 1> 25Y
gw
Esempio 5: Trovare la forza elettromotrice indotta, in un conduttore rettilineo, lungo 2 metri, immerso in un campo magnetico uniforme e costante,
B = 0> 50u| W , che si muove nella direzione dell’asse }, con una velocità
¡
¢
v = 2> 50 × sin 102 w u} p@v>
16
Poiché il circuito è in moto
¡
¢
E = v a B = 1> 25 × sin 102 w u{
Allora
I
E · gl =
o
Z
2
0
¢
¡
¢
¡
1> 25 × sin 102 w u{ · u{ g{ = 2> 50 × sin 102 w Y
Esempio 6: Un conduttore filiforme è posto nel piano {|, e racchiude una
superficie di 0> 50p2 . Trovare la forza elettromotrice indotta se l conduttore è
immerso in un campo uniforme, ma variabile, secondo la seguente legge
¡
¢
B = 0> 02 cos 102 w [u| + u} ]
Poiché il circuito è fermo la legge di Faraday si scrive
I
Z
CB
E · gl =
· ud g2 d
Cw
o
do
e
¡
¢
CB
= 2 sin 102 w [u| + u} ]
Cw
avremo
I
E · gl =
o
Z
do
ud g2 d = u} g2 d
¡
¢
¡
¢
¡
¢
2 sin 102 w g2 d = 2 sin 102 w do = sin 102 w Y
17
1
CIRCUITAZIONE E FLUSSO DEL CAMPO
MAGNETICO
Abbiamo gia detto che per determinare completamente un campo vettoriale
dobbiamo dare il valore della sua circuitazione ed il flusso del campo attraverso
una superficie chiusa. In questo capitolo determineremo sia la circuitazione sia
il flusso. Incominceremo con la circuitazione del campo magnetico. Divideremo lo studio in due parti. Nella prima ci limiteremo alle correnti stazionarie
e il risultato che otterremo va sotto il nome di "teorema di Ampère". Nella
seconda parte mostreremo la correzione apportata da Maxwell e solo allora
il teorema assumerà una validità generale e diventerà una legge fondamentale
dell’elettromagnetismo. Infine, parleremo del flusso del campo magnetico attraverso una superficie chiusa.
2
Circuitazione di B: il teorema di Ampère
Ci limiteremo alla sua dimostrazione nel caso in cui il campo sia prodotto da un
filo rettilineo indefinito (campo di Biot-Savart) percorso da corrente stazionaria.
Distinguiamo tra due casi.
Caso a. Supponiamo che il filo percorso da corrente sia quello indicato nella
figura sottostante.
Il percorso non si avvolge intorno al filo. I tratti 2 e 4 sono nella direzione radiale
mentre i tratti 1 e 3 sono parti di circonferenze con raggio rispettivamente uguale
a U1 e U3 . Il prodotto scalare è nullo nei tratti 2 e 4, pertanto da essi non viene
alcun contributo. Nei rimanenti tratti il campo B e lo spostamento infinitesimo
sono paralleli o antiparalleli, per cui:
Z
1+3
B · gl = Z
1
Ego +
Z
3
Ego = E
Z
1
go + E
Z
3
go = 0 L
L
O1 + 0
O3
2 U1
2 U3
dove O1 e O3 sono le lunghezze degli archi delle due circonferenze. Usando la
definizione di misura di un arco in radianti, potremo anche scrivere:
1
Z
1+3
B · gl = L
0 L
U1 + 0
U3 = 0
2 U1
2 U3
dove è l’angolo che sottende sia l’arco 1 che l’arco 2. Possiamo concludere,
dicendo che, per un percorso che non avvolga il filo, la circuitazione è nulla,
almeno per un campo prodotto da un filo rettilineo indefinito.
Caso b: Consideriamo, ora, un circonferenza che giri intorno al filo.
Anche in tal caso, la circuitazione si calcola anche facilmente e si trova, essendo
B e gl paralleli e concordi e B costante su una circonferenza con centro sul filo,
I
I
I
L
0 L
go = 0 2U = 0 L
(2)
B · gl = Ego =
2 U
2 U
La circuitazione, quando il percorso avvolge il filo, è proporzionale alla corrente
che fluisce in esso.
Se il percorso si avvolge Q volte intorno al filo allora
I
B · gl = Q 0 L
(3)
Sebbene abbiamo fatto riferimento a casi molto semplici, l’esperienza mostra
che i due risultati valgono qualunque sia la forma del circuito percorso da corrente stazionaria che produce il campo e qualunque sia il percorso scelto per la
circuitazione.
Più in generale, data una qualsiasi linea chiusa, la circuitazione lungo di essa
del campo magnetico generato da un sistema comunque complesso di correnti è
uguale alla somma algebrica delle correnti concatenate (diremo che un percorso
è concatenato con un circuito se esso non può ridursi ad un punto) con la
linea; ciascuna corrente essendo presa come positiva (negativa) se fluisce in
verso concorde (discorde) con quello con cui avanza una vite che giri nel verso
fissato sul percorso ed essendo contata tante volte quante volte la linea è con
essa concatenata. Scriveremo tutto ciò come segue:
2
I
3
B · gl = ±0
X
Lq
(4)
q
Esempi
Il teorema di Ampère può essere usato per determinare il campo magnetico
prodotto da circuiti con particolari simmetrie, come in elettrostatica il teorema di Gauss può essere utilizzato per determinare il campo elettrico per distribuzioni di cariche con particolari simmetrie.
Esempio 1: Si può rideterminare il campo B prodotto da un filo rettilineo
indefinito.
Si procede in maniera inversa rispetto alla dimostrazione fatta per provare
il teorema di Ampère. Assumiamo valido il teorema di Ampère:
I
B · gl = 0 L
(E1)
Per ragioni di simmetria il campo prodotto dal filo in un punto che disti r dal
filo sarà tangente alla circonferenza di raggio r e centro sul filo. Scegliamo il verso
(ovvero la corrente) in maniera tale che il campo sia parallelo allo spostamento
infinitesimo. Possiamo allora prendere come percorso proprio la circonferenza
che passa per il punto S e la precedente relazione diventa
E2u = 0 L
da cui
0 L
(E2)
2 u
che è proprio la legge di Biot-Savart.
Esempio 2: Determinare il campo B all’interno di un solenoide rettilineo
indefinito ideale.
Un solenoide è costituito da un filo conduttore sottile, avvolto a forma di
elica cilindrica, a spire circolari molto numerose e ravvicinate. In pratica il
solenoide è costituito da tante spire circolari percorse dalla stessa corrente. Per
ragioni di simmetria il campo B all’interno di un solenoide rettilineo indefinito
ideale è diretto lungo l’asse comune delle spire. All’esterno del solenoide, nelle
zone lontane dai bordi, il campo è talmente debole da potersi considerare nullo.
E=
3
Ci proponiamo di calcolare il campo B sull’asse comune delle spire. Useremo il teorema di Ampère per determinare tale campo. Il percorso, lungo il
quale calcoleremo la circuitazione è quello in figura, dove abbiamo disegnato
una sezione longitudinale.
La scelta del circuito è stata fatta in modo da semplificare il calcolo della
circuitazione del campo B:
I
Z
Z
Z
Z
B · gl = B · gl + B · gl + B · gl + B · gl
1
2
3
4
Nella precedente espressione abbiamo separato i comtributi alla circuitazione
nei quattro tratti.
Poiché il campo B è praticamente nullo all’esterno del solenoide, dal tratto
1 vi sarà un contributo nullo e sempre nulli saranno i contributi dei tratti 2 e
4 perché il campo B e lo spostamento infinitesimo sono ortogonali. Rimane il
tratto 3, dove il campo B risulta parallelo e concorde con lo spostamento lungo
tutto il tratto. Allora,
I
B · gl = Eo
(E3)
dove o è la lunghezza del tratto del percorso 3. Il teorema di Ampère, se le
spire, comprese nel tratto di persorso sono Q si scriverà
I
B · gl = Q 0 L
(E4)
in cui L è la corrente che percorre l’avvolgimento (e quindi ogni spira). Ponendo
insieme la (E3) e la (E4) troviamo
Eo = Q 0 L
da cui
E = q0 L
4
(E5)
dove abbiamo introdotto la densità lineare delle spire, q = Qo @o, supposta
costante.
Possiamo dire che in un solenoide indefinito, in tutti i punti dell’asse il campo
B ha lo stesso valore (modulo, direzione e verso). Tale valore non dipende dal
raggio delle spire ma solo dalla corrente e dalla densità lineare delle stesse.
Esempio 3: Determinare il campo B all’interno di un solenoide toroidale
ideale.
Per ragioni di simmetria le linee di forza del campo devono essere circonferenze con centro sull’asse della figura toroidale:
Il campo B sarà tangente alle circonferenze e costante su ciascuna di esse. La
circuitazione, lungo una qualunque circonferenza di raggio u si calcola facilmente
e si trova
I
B · gl = 2uE
Il teorema di Ampère ci dice che
I
B · gl = Q 0 L
dove Q è il numero delle spire le spire che costituiscono l’avvolgimento. Dalle
due equazioni deduciamo:
0 L
Q
(E6)
2 u
Il campo è inversamente proporzionale alla distanza u dal centro della figura
toroidale.
E=
5
1
LA CORRENTE DI SPOSTAMENTO DI MAXWELL
Abbiamo visto nello studio dei campi magnetici variabili (legge di Faraday), che
ad essi è sempre associata la comparsa di un campo elettrico variabile (che poi
è responsabile della corrente indotta). La legge di Ampère sulla circuitazione è
valida per correnti stazionarie e quindi campi magnetici non variabili nel tempo.
In particolare, in regioni in cui non ci sono correnti (per esempio nel vuoto)
possiamo scrivere
I
B · gl = 0
(1)
o
Se confrontiamo tale equazione con la legge di faraday
µZ
¶
I
g
E · gl = B · ud g2 d
gw
o
do
(2)
ci accorgiamo di una palese asimmetria. La variazione di un campo magnetico
può generare un campo elettrico variabile, ma nella prima equazione manca,
al secondo membro, un termine che ci dica come la variazione di un campo
elettrico possa generale un campo magnetico variabile. Ovviamente, questa osservazione, dettata più dalle conoscenze del poi, non è in generale su!ciente ad
aermare l’esistenza di un tale termine, ma in questo caso, per Maxwell fu una
delle motivazioni che lo spinsero ad indagare sull’esistenza dell’eventuale termine
mancante. Ora, ci occuperemo della derivazione del termine mancante, ovvero
di quella che Maxwell chiamò corrente di spostamento. Ai tempi di Maxwell
la quasi totalità della comunità dei fisici credeva nell’esistenza dell’Etere, una
sostanza che permeava tutto lo spazio vuoto. Sebbene una tale sostanza non
fosse mai stata trovata, Maxwell, per ragioni di conservazione della carica elettrica, ipotizzò che anche nel vuoto occorresse introdurre nel teorema di Ampère
un’ulteriore corrente, detta di spostamento, non legata al moto delle cariche, ma
ad una sorta di polarizzazione del vuoto. Vogliamo ricavare l’espressione della
corrente di spostamento di Maxwell. Ricordiamo che il teorema di Ampère si
scrive
I
B · gl = 0 L
(3)
o
Consideriamo il seguente circuito, che contiene un condensatore, un generatore
di corrente variabile ed un percorso o che gira intorno al conduttore. In figura è
anche evidenziata la superficie d1 che ha o per contorno.
1
Abbiamo una corrente variabile che comunque possiamo scrivere come flusso
del vettore densità di corrente attraverso la sezione trasversale del conduttore:
Z
L = g2 dj · ud
(4)
d
dove d è la sezione trasversa del conduttore. Nei conduttori vale la legge di
Ohm,
j = E
(5)
per cui, la corrente può anche scriversi
Z
L = g2 dE · ud
d
Infine, poiché il campo elettrico è diverso da zero praticamente solo nel conduttore, possiamo sostituire nell’integrale, al posto della sezione trasversa del
conduttore, l’area della circonferenza d1 :
Z
g2 dE · ud
L=
d1
Possiamo, allora, scrivere il teorema di Ampère per correnti variabili
I
Z
g2 dE · ud
B · gl = o
(6)
d1
Se ora manteniamo la scelta del percorso o , ma usiamo una superficie differente, che abbia sempre o per contorno, ma che attraversi una delle armature
del condensatore, ci troveremo in presenza di una contraddizione.
2
Il secondo membro della (1) vale zero. In altre parole, se con d2 indichiamo la
nuova superficie, il flusso di E attraverso d2 è nullo, pur avendo o per contorno.
Poiché ciò non può essere, dobbiamo ipotizzare che anche nei luoghi dove non
è presente un moto reale di cariche esiste un’altra corrente che renda il calcolo
del flusso diverso da zero. Per fare ciò dobbiamo indagare la situazione fisica
tra le armature del condensatore. Il campo elettrico tra le armature è
H0 =
0d
0
dove 0d è la densità di carica superficiale istantanea delle armature del condensatore. Poiché la carica T0 accumulata sulle armature è T0 = 0d d0 , dove d0 è la
superficie dell’armatura, avremo
H0 =
T0
0 d0
da cui possiamo derivare la carica istantanea presente sull’armatura:
T0 = 0 H 0 d0
In maniera più generale, potremo scrivere
Z
T0 = 0
E0 · ud g2 d
(7)
d0
Ma, il flusso del campo elettrico attraverso una qualunque armatura è uguale
al flusso attraverso la superficie d2 , in quanto le linee di forza del campo elettrico
che attraversano un’armatura sono uguali a quelle che attraversano la superficie
d2 (le linee di forza del campo tra le armature nascono su di una armatura e
finiscono sull’altra armatura):
Z
Z
0
E0 · ud g2 d = 0
E0 · ud g2 d
(8)
d0
d2
3
In definitiva,
T0 = 0 d2 (H 0 ) = 0
Z
E0 · ud g2 d
(9)
d2
Poiché la carica T0 varia nel tempo, vi è tra le armature una corrente LG , detta
corrente di spostamento, data da
µZ
¶
gd2 (H 0 )
g
gT0
= 0
= 0
LG =
E0 · ud g2 d
(10)
gw
gw
gw
d2
Abbiamo, almeno nel caso mostrato, trovato un’espressione esplicita della corrente di spostamento. Il teorema di Ampère deve scriversi, nella sua forma
generale:
I
B · gl = 0 (L + LG )
(12)
o
Questa è una legge fondamentale dell’elettromagnetismo. Nel vuoto, L = 0
avremo
µZ
¶
I
g
E0 · ud g2 d
(13)
B · gl = 0 0
gw
o
d2
che mostra la cercata simmetria con la legge di Faraday.
La corrente di spostamento è essenziale nel caso di campi rapidamente variabili ed è stata determinante per dimostrare che la luce è un fenomeno elettromagnetico, ma nel caso di correnti e campi lentamente variabili il suo eetto è
trascurabile.
2
Il flusso di B attraverso una superficie chiusa
Abbiamo visto che le linee di forza del campo magnetico di un filo rettilineo
indefinito sono delle circonferenze concentriche intorno al filo. Si potrebbe dimostrare in maniera diretta, in casi un pò più complessi, che le linee di forza
del campo magnetico sono sempre linee chiuse. Più in generale, si è mostrato
sperimentalmente che le linee di forza del campo magnetico sono sempre chiuse.
Questo vuol dire che il numero di linee di forza che entrano attraverso una superficie chiusa è uguale al numero di quelle che escono dalla superficie. In maniera
formale, possiamo assumere, sulla base di evidenze sperimentali, che il flusso del
campo magnetico attraverso una qualunque superficie chiusa è sempre nullo:
I
B · ud g2 d = 0
(14)
La (14) esprime anche la mancanza di monopoli magnetici.
4