www.judicium.it Lucia Esposito AZIONI POSSESSORIE E

SCUOLA DI SPECIALIZZAZIONE PER
LE PROFESSIONI LEGALI
A.A. 2011/2012
“DIRITTO PROCESSUALE CIVILE 2”
II ANNO DI CORSO, INDIRIZZO
GIUDIZIARIO-FORENSE
MATERIALE DIDATTICO - 01
G.S.
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Lucia Esposito
AZIONI POSSESSORIE E PETITORIE
(o dei caratteri peculiari della tutela possessoria e dei rapporti tra azione possessoria e azione
petitoria). (*)
SOMMARIO: 1) Premesse di ordine sostanziale 2) Procedimento possessorio e disciplina
previgente 3) Il nuovo modulo processuale : 3a) l’esplicita introduzione della clausola di
compatibilità 3b) la reclamabilità del provvedimento interdittale 3c) la mera eventualità,
rimessa ad istanza di parte, della fase a cognizione piena 3d) l’istanza per la prosecuzione del
giudizio 3e) il passaggio alla fase a cognizione piena: il mutamento del tema d’indagine, la
maturazione delle preclusioni, l’utilizzabilità delle risultanze istruttorie acquisite nella fase
sommaria 3f) l’ordinanza e il regime delle spese processuali 3g) il regime di stabilità
dell’ordinanza interdittale 4) Rapporti tra procedimento possessorio e giudizio petitorio : 4a)
il divieto di proposizione del giudizio petitorio in pendenza del giudizio possessorio 4b) la
riformulazione del secondo comma dell’art. 704 c.p.c.
1) Premesse di ordine sostanziale
Per cogliere appieno il diverso atteggiarsi della tutela offerta dall’ordinamento alle situazioni
possessorie ed ai diritti reali, è necessario richiamare brevemente la distinzione esistente sul piano
sostanziale tra le due categorie di posizioni soggettive tutelate.
Se la nozione di diritto reale può darsi per acquisita, costituendo il paradigma su cui si modella la
teoria del diritto soggettivo assoluto, più controversa si presenta la nozione di possesso.
L’istituto del possesso, infatti, è uno dei più complessi e controversi del diritto civile, essendone
discussa la stessa natura.
Per vero, la dottrina civilistica italiana non ha mai assimilato la nozione di possesso alla categoria
del diritto soggettivo, attribuendole, piuttosto, la connotazione di situazione meramente fattuale.
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Occorre, infatti, distinguere ius possidendi (facoltà, vantata dal titolare di un diritto reale, di
esplicare in concreto sul bene i poteri che in astratto compongono il contenuto del suo diritto) da ius
possessionis (tutela offerta dall’ordinamento alla situazione di fatto derivante da un determinato
rapporto tra persona e cosa).
L’art.1140 C.C., nel fornire la nozione di possesso, lo configura come potere sulla cosa che si
manifesta in un’attività corrispondente all’esercizio della proprietà o di altro diritto reale. Ciò sta ad
indicare che nel nostro sistema la situazione di fatto è difesa perché simmetrica ad un diritto e nei
limiti che corrispondono a quelli propri di quel dato diritto.
Un quesito di fondo si pone con riguardo all’inquadramento sistematico della nozione di possesso:
si tratta di un fatto (ancorché si obietti che un semplice fatto naturalistico non è suscettibile
d’acquisto, modificazione ed estinzione), di una situazione di fatto, di un interesse occasionalmente
protetto o di un’aspettativa?
E’ vero che in favore della configurazione del possesso come aspettativa militano gli effetti che si
riconnettono al perdurare del possesso ai fini della possibilità acquisitiva del diritto reale a titolo
originario per usucapione, ma tale possibilità acquisitiva non è, evidentemente, l’oggetto della tutela
provvisoria prevista dagli artt. 1168 e 1170 c.c.
Si è affermato che il possessore ha soltanto il diritto, di natura processuale, a che il giudice
provveda sulla domanda diretta a sanzionare la violazione di una situazione di fatto: il possesso
sarebbe quindi soltanto un diritto d’azione (viene richiamata in proposito la categoria dei diritti
soggettivi difensivi elaborata dalla dottrina tedesca o quella dei diritti in veste d’azione del processo
formulare romano, o, ancora, si accosta la tutela del possesso a quella prevista dall’art. 28 statuto
dei lavoratori, norma che prevede un’azione tipica esperibile a tutela della libertà sindacale quale
reazione alla presenza di determinate violazioni).
In questa prospettiva, si evidenzia[1] che, se non è contemplata una disciplina generale del possesso
come diritto, tuttavia un vero e proprio diritto sorgerebbe nel momento in cui il possesso viene ad
essere violato nelle forme previste dalle azioni di manutenzione o reintegrazione e tale diritto
avrebbe come contenuto la conservazione del possesso pacifico della cosa e la cessazione dello
spoglio o delle molestie.
Per altro verso, tuttavia, non si manca di sottolineare un’altra fondamentale caratteristica del
possesso: “ogni tutela possessoria è destinata per sua natura a durare solo finché intervenga
l’esercizio del diritto del proprietario”[2], talché il possesso è situazione debole, destinata a cedere
di fronte all’accertamento della proprietà o di altro diritto.
Sulla scorta di tali riflessioni autorevole dottrina è pervenuta all’affermazione secondo cui al
possesso va attribuita la valenza di “situazione fattuale di appartenenza giuridicamente rilevante
solo in ipotesi di lesione” cui l’ordinamento appronta protezione “nei limiti in cui l’esercizio del
potere sulla cosa sia aggredito nei modi tipizzati dagli artt.1168 e 1170 C.C”[3].
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Su queste premesse, in considerazione, per un verso, dei peculiari rapporti tra situazione possessoria
e situazione di diritto corrispondente, l’accertamento della quale è destinato in ogni caso a
prevalere, e, per altro verso, della correlazione necessaria, in forza dell’insegnamento costante e
tradizionale della dottrina processualcivilistica, tra diritti soggettivi o status e tutela cognitiva
ordinaria tendente al giudicato sostanziale, si è affermata, in dottrina prima e in giurisprudenza poi,
con un’opzione che ha trovato conferma nelle recenti scelte del legislatore, la tesi secondo cui un
processo possessorio di merito a cognizione piena non è indispensabile, mentre, al contrario, si
rivela adeguato alla natura della situazione tutelata un processo atto ad esaurirsi nella forme
sommarie, funzionali alle finalità della peculiare tutela, necessariamente connotata da celerità e
provvisorietà, sin dai tempi del diritto romano connessa “all’esigenza di ordine pubblico che siano
prontamente ripristinate situazioni soggettive di fatto arbitrariamente modificate da un terzo senza
previo accertamento, giudiziale o negoziale, dello stato di diritto” [4].
Dati per acquisiti i caratteri ed i presupposti della disciplina relativa alle varie tipologie di azioni
possessorie e petitorie, soffermerò l’attenzione, in particolare, sul modello processuale del
procedimento possessorio recentemente riformato, nonché sui rapporti tra tale procedimento e la
speculare azione petitoria in concreto esperibile.
2) Procedimento possessorio e disciplina previgente
Nella versione precedente alla novella del ‘90, l’art. 703 c.p.c., mediante il rinvio agli artt. 689 e
seguenti del codice di rito, faceva riferimento alle regole dettate per le azioni nunciatorie. In forza
della disciplina richiamata, poi abrogata, il processo, all’epoca di competenza del Pretore, si
articolava in due fasi distinte : una, a cognizione sommaria, destinata a concludersi con ordinanza,
avente quale contenuto la concessione o il diniego dell’interdetto possessorio, suscettibile di essere
assorbita nella sentenza conclusiva della fase successiva; l’altra, a cognizione piena,
immediatamente conseguente alla pronuncia dei provvedimenti urgenti e retta direttamente dal
ricorso introduttivo, atta a definire il procedimento con sentenza appellabile, idonea ad acquisire
l’autorità del giudicato.
Lo schema prevedeva che il provvedimento interdittale eventualmente concesso perdesse efficacia
nel caso d’estinzione del giudizio a cognizione piena.
Mutato il quadro normativo a seguito all’introduzione della novella del ‘90, la tradizionale
impostazione bifasica del procedimento possessorio fu sottoposta a seria critica.
Il rinvio normativo relativo alle norme processuali applicabili riguardava, infatti, non più gli
abrogati artt. 689 e 690 c.p.c., ma l’intera disciplina del rito cautelare uniforme (il secondo comma
dell’art. 703 c.p.c. era in tal modo riscritto: “Il giudice provvede a norma degli artt. 669 bis e seg.
C.P.C.”).
Inoltre, risultava autorevolmente chiarito che il reclamo, introdotto con riguardo al provvedimento
cautelare dall’art. 669 terdecies c.p.c., in ragione del rinvio normativo, riguardava anche il
provvedimento interdittale reso in sede possessoria (si veda al riguardo Cort. Cost. 11/12/1995 n.
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501)[5], il che assicurava la possibilità di riesame da parte del collegio dell’ordinanza emessa dal
giudice monocratico all’esito dell’istruttoria sommaria.
Le modifiche intervenute hanno posto un problema d’individuazione della disciplina applicabile.
Secondo una prima lettura delle nuove norme, il richiamo alle norme del procedimento cautelare
contenuto nel secondo comma dell’articolo 703 c.p.c., esente da cenno alcuno al limite di
compatibilità, era da intendere come idoneo ad implicare l’applicazione integrale degli artt. 669 ss.
c.p.c.
Tale interpretazione, però, si prestava a critica, giacché comportava come diretta conseguenza il
diverso atteggiarsi della struttura del procedimento secundum eventum litis: il processo, in
applicazione degli artt. 669 septies ed octies c.p.c., assumeva uno sviluppo differenziato, secondo
che la fase sommaria si concludesse con un provvedimento d’accoglimento (richiedente la
fissazione di un termine per l’instaurazione del giudizio di merito) o con un provvedimento di
rigetto, contenente la regolamentazione delle spese in conformità del disposto di cui all’art. 669
septies c.p.c., senza necessità di prosecuzione nella cognizione piena.
Le incongruenze evidenziate offrivano argomenti ai fautori della tesi secondo cui doveva ritenersi
permanere invariato nel sistema il modello bifasico tradizionale: il procedimento s’introduceva con
ricorso e all’esito della fase sommaria il giudice pronunciava sull’istanza interdittale con ordinanza;
quindi, senza soluzione di continuità, procedeva alla trattazione del merito, definendo il giudizio
con sentenza appellabile.
L’impostazione, pur se conforme alla tradizione, finiva, però, con l’obliterare totalmente, con la
sola giustificazione della natura non cautelare del procedimento possessorio, l’applicazione degli
artt. 669 septies ed octies c.p.c., presupponendo l’operatività del criterio di compatibilità, ancorché
testualmente non espresso.
Nessuna delle richiamate ricostruzioni alternative si rivelava pienamente soddisfacente.
Si andava formando, così, il consenso intorno ad una terza ipotesi, la quale configurava il
procedimento come monofasico, a carattere sommario-semplificativo-esecutivo [6], non suscettibile
di sfociare in un provvedimento di merito a cognizione piena con attitudine al giudicato, chiuso con
ordinanza reclamabile e non appellabile. A tale provvedimento finale, contenente anche la
statuizione sulle spese, veniva attribuita efficacia meramente esecutiva, essendo esso privo
dell’idoneità a dettare la disciplina definitiva in ordine al godimento del bene.
Tale ultima impostazione, avallata da cospicua ed autorevole dottrina [7], in un primo tempo ha
trovato conferma in giurisprudenza [8], poi è stata smentita dall’intervento nomofilattico attuato
dalle Sezioni unite della Corte di Cassazione con la decisione n. 1984 del 1998 [9].
In realtà, la querelle circa la sopravvivenza del merito possessorio non nasceva esclusivamente da
spunti interpretativi riconducibili alle modifiche normative (peraltro a carattere esclusivamente
formale) introdotte dalla novella del ‘90, ma affondava le sue radici in riflessioni più risalenti e
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strettamente connesse all’elaborazione di diritto sostanziale intorno all’istituto del possesso ed alla
tutela ad esso accordata dall’ordinamento.
La modifica dell’art. 703 c.p.c., di conseguenza, ha costituito soltanto “l’occasio belli, il pretesto
che ha consentito l’emersione di una generalizzata intolleranza verso l’eccesso di forme che
paludava…la tutela possessoria” [10].
La pronuncia delle Sezioni Unite, in ogni caso, pose fine all’animato dibattito [11].
In base alla ricostruzione in essa attuata la struttura del processo coincide nei tratti fondamentali con
quella delineata dalla disciplina antevigente alla riforma del 1990: il ricorso introduttivo è idoneo a
reggere le due fasi, sommaria ed a cognizione piena, talché alla fine della fase interdittale il giudice
è tenuto a proseguire in vista della decisione di merito, fissando la prima udienza di trattazione (183
c.p.c.).
3) Il nuovo modulo processuale
I termini della riferita discussione hanno certamente influenzato le scelte del legislatore in
occasione delle modifiche recentemente introdotte in materia dalla riforma del 2005.
Sotto il profilo sistematico, la novità più rilevante si rinviene nel 4° comma del modificato art. 703
c.p.c. Esso prevede la facoltatività della fase possessoria a cognizione piena, mediante un
meccanismo che rimette il suo svolgimento alla formulazione, su iniziativa di una delle parti, di
espressa istanza entro un termine perentorio decorrente dalla comunicazione del provvedimento
conclusivo della fase interdittale.
Risulta in tal modo codificato, in adesione alla tesi prospettata dai fautori del procedimento
monofasico, un modello processuale idoneo ad assumere, in assenza dell’istanza di parte per la
prosecuzione nel merito, la connotazione propria del procedimento sommario - semplificato esecutivo[12], chiuso con ordinanza all’esito della fase sommaria.
Tale modello processuale si riconnette all’ampliamento del campo di applicazione del principio
della strumentalità attenuata, principio mutuato dalla disciplina del procedimento cautelare nel rito
societario (art. 23 l. 5/2003) ed esteso dalla riforma ad alcune categorie di procedimenti cautelari, in
primo luogo quelli anticipatori. Le caratteristiche di relativa stabilità ed efficacia del provvedimento
reso nella fase sommaria, unitamente ad ulteriori aspetti comuni ai procedimenti cautelari e
possessori previsti dalla disciplina, hanno indotto taluni a ravvisare “la creazione di un modello
unitario del procedimento sommario”, o, ancora, “una sorta di riconoscimento legislativo
dell’esistenza dell’unico genus procedimento sommario”, avente quale precipuo fine,
indipendentemente dalla cautela, “quello di far conseguire a chi ne abbia bisogno
(indipendentemente da un giudicato che ne accerti il diritto) un provvedimento in grado di fornirgli
immediatamente l’utilità sostanziale di cui abbia necessità” [13].
Più specificamente, parte della dottrina, muovendo dal rinvio alle norme disciplinanti il rito
cautelare uniforme contenuto nell’art. 703 comma 2°, giunge ad affermare che il provvedimento
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sommario concesso a tutela del possesso ha stabilità ed efficacia del tutto assimilabili a quelle di un
provvedimento cautelare anticipatorio: l’istanza ex art. 703 comma 4° costituisce atto d’impulso
processuale il cui mancato compimento determina l’estinzione ex lege del processo, ma, al
contempo “dal mancato assolvimento di tale onere d’impulso non può inferirsi la perdita definitiva
ed irreversibile del diritto d’azione”[14]. Ne consegue che, come è confermato dal mancato
richiamo da parte dell’art. 703 del 1° comma dell’art. 669 novies, l’estinzione non determina la
perdita d’efficacia della misura sommaria, con la conseguenza che “l’ordinanza sommaria, pur
definitiva, non ha efficacia preclusiva rispetto a successivi giudizi a cognizione piena, relativi alla
situazione di possesso già fatta valere e alle violazioni già dedotte; essa, a fortori, non produce
effetti conformativi in ordine a diritti dipendenti, quale quello al risarcimento del danno patito in
conseguenza della lesione del possesso in precedenza denunciata”[15].
La ricostruzione, coerente con il disposto di cui all’art. 669 octies, in base al quale la vincolatività
del provvedimento sommario non può essere invocata in altro processo, determinerebbe la
riproponibilità di una domanda di tipo dichiarativo sia nel caso di emissione nella fase sommaria di
provvedimento di rigetto, a tutela della medesima situazione di possesso già fatta valere, sia nel
caso di emissione di provvedimento di accoglimento dell’istanza possessoria, sotto forma di azione
di accertamento negativo circa l’esistenza del possesso.
Inoltre, nell’ottica enunciata, sarebbe sempre possibile richiedere la revoca e la modifica del
provvedimento sommario esecutivo non seguito da istanza per la prosecuzione del giudizio.
In contrasto con la ricostruzione illustrata si pone altra opinione dottrinale, secondo cui, considerato
che il ricorso introduttivo non determina l’instaurazione di un processo sommario a sé, ma di un
unico processo contemplante due fasi, e, altresì, della previsione di un termine perentorio entro il
quale il processo già instaurato con il ricorso introduttivo può passare nella fase a cognizione piena,
individua “la logica e la struttura del fenomeno come non lontana da quella del procedimento per
ingiunzione, con la conseguenza che la mancata richiesta di prosecuzione comporta non una sorta di
estinzione del processo, con gli effetti di permanenza del provvedimento nei termini di ciò che
accade per il provvedimento cautelare, ma la stabilizzazione del provvedimento al pari di un decreto
ingiuntivo non opposto”[16].
In tale prospettiva non sarebbe esperibile ulteriore azione con riguardo alla situazione possessoria
denunciata[17], né sarebbe agevolmente ammissibile la revoca o la modifica di un provvedimento
sommario stabilizzato.
Quale che sia la categoria entro la quale ricondurre la tutela interinale, resta il fatto che la novità
legislativa introdotta non è stata condotta fino alle estreme conseguenze: rimane sempre possibile,
come alternativa alla definizione semplificata della lite, la prosecuzione del giudizio in vista della
decisione nella cognizione piena, su semplice istanza di parte.
In tal modo resta sostanzialmente salva la ricostruzione sistematica tradizionale tracciata dalle
Sezioni unite con la storica decisione 1984/98, anche se la struttura del procedimento non va esente
da una certa connotazione di ambiguità.
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3a) l’esplicita introduzione della clausola di compatibilità
La modifica del secondo comma dell’art. 703 c.p.c., consistente nell’aggiunta delle parole “in
quanto compatibili”, consente di ritenere l’interprete svincolato dalla necessaria applicazione nella
sua interezza della disciplina del rito cautelare uniforme.
Per vero, già prima dell’espressa previsione contenuta nella nuova formulazione, vigente la novella
del 1990, la giurisprudenza aveva chiarito che molte norme del rito cautelare uniforme non
potevano essere applicate al procedimento possessorio: su tale base interpretativa era stata resa la
sentenza 1984/98, dopo che il rinvio puro e semplice attuato nella precedente versione dell’art. 703
c.p.c. aveva consentito di evidenziare, quale argomento a favore della tesi del procedimento
monofasico, le contraddizioni che la puntuale applicazione delle norme avrebbe implicato.
Nel senso che il generico rinvio contenuto nella previgente formulazione del secondo comma
dell’art. 703 c.p.c. soggiaceva al limite implicito di compatibilità, si era espressa anche Corte Cost.
19/6/2000 n. 220, rilevando “il carattere selettivo del richiamo al procedimento cautelare uniforme,
contenuto nell’art. 703 cod proc. civ., volto a consentire l’applicabilità alle sole norme della novella
compatibili con le caratteristiche del procedimento possessorio ( v. ordinanze n. 203 del 1996, n.
125 del 1997)”.
L’operatività della clausola di compatibilità trova applicazione, tra l’altro, con riguardo alla
individuazione della disciplina relativa alla regolamentazione delle spese di lite a conclusione della
fase interdittale.
3 b) la reclamabilità del provvedimento interdittale
Con il terzo comma aggiunto dalla novella è stata introdotta espressamente la regola della
reclamabilità ai sensi dell’art. 669 terdecies c.p.c. dell’“ordinanza che accoglie o respinge la
domanda”. In tal modo il reclamo si pone, sotto il profilo sistematico oltre che operativo (
l’ammissibilità del reclamo avverso il provvedimento reso all’esito della fase sommaria nel
procedimento possessorio, affermata da Corte Cost. 11/12/1995 n. 501, costituisce acquisizione
giurisprudenziale consolidata e costante già nella vigenza del precedente testo della norma), come
strumento impugnatorio di carattere generale operante con riguardo ai provvedimenti caratterizzati
dalla sommarietà della cognizione, in conformità al rilevato intento del legislatore di creare un
modello processuale unitario, valido in via generale per i procedimenti sommari.
L’improprietà della previsione testuale (che fa riferimento all’accoglimento o al rigetto della
domanda possessoria e non, più opportunamente, all’accoglimento o al rigetto dell’istanza di
emissione del provvedimento interdittale) non consente, tuttavia, di escludere l’intenzione del
legislatore di assoggettare a reclamo il provvedimento reso nella fase sommaria.
Da un punto di vista metodologico, l’ammissibilità del reclamo non può che ritenersi funzionale ad
un giudizio atto a svilupparsi interamente nella fase sommaria: in proposito è stato sottolineato
come attraverso il meccanismo di provvedimento cautelare e reclamo si crea una sorta di doppio
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grado, sufficientemente garantistico, analogamente a quanto accade per l’istituto francese del
referè” [18].
3 c) la mera eventualità, rimessa ad istanza di parte, della fase a cognizione piena
La ratio della disciplina, che ribalta l’onere di intraprendere il processo a cognizione piena su chi
ritenga utile l’espletamento di tale più complessa attività o, comunque, abbia necessità di ottenere
un provvedimento dotato dell’efficacia di cui all’art. 2909 c.c., più che dettata da aspirazioni di tipo
dogmatico e di sistemazione della materia, è indubbiamente riconducibile ad esigenze di economia
processuale ed aderente alla avvertita necessità di assicurare la ragionevole durata del processo.
In sede di prima lettura della nuova norma si è dubitato che l’intenzione deflattiva del legislatore
potesse trovare rispondenza sul piano dell’effettività, cioè che una parte significativa dei giudizi
possessori fosse destinata a concludersi dopo la pronuncia dell’ordinanza interdittale. Si è osservato
in proposito che [19] “ben di rado accadrà che la parte soccombente nella prima fase non provi a
riscattarsi nella fase seguente, e dunque non chieda la prosecuzione del merito con le forme
ordinarie”, con la sola eccezione per il caso del resistente che, in considerazione del disposto
dell’art. 705 c.p.c., potrebbe essere indotto ad acquietarsi all’ordinanza possessoria sfavorevole,
auspicando di sovvertire l’esito della fase interdittale con buone ragioni da far valere nel successivo
giudizio petitorio.
La prassi, tuttavia, ha consentito effettivamente di registrare una notevole flessione dei
procedimenti a cognizione piena instaurati all’esito della fase sommaria, dimostrando che
l’obiettivo deflativo è stato in concreto raggiunto.
3 d) l’istanza per la prosecuzione del giudizio
In base al disposto del quarto comma dell’art. 703 c.p.c. la fissazione dell’udienza per la
prosecuzione del giudizio è rimessa alla presentazione di espressa istanza di una delle parti.
Detta istanza deve consistere, evidentemente, essendo la fase sommaria conclusa, in un atto scritto
da presentare nella cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento interdittale.
Quanto al termine per la presentazione, il dettato normativo è chiaro: il termine di sessanta giorni è
perentorio e decorre dalla comunicazione del provvedimento che ha definito il reclamo, nel caso in
cui sia stato attivato il procedimento di riesame del provvedimento reso nella fase sommaria; in
difetto di reclamo, esso decorre dalla comunicazione di tale ultimo provvedimento.
Non vi è interferenza tra l’art. 703,4° e l’art. 669 terdecies c.p.c., poiché il termine per la
presentazione dell’istanza di prosecuzione del giudizio possessorio spirerà ampiamente dopo la
scadenza del termine per la proposizione dell’eventuale reclamo avverso l’ordinanza che ha definito
la fase sommaria, sicché tale rimedio resta comunque esperibile in aggiunta all’istanza per
l’approfondimento nel merito della questione.
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Il termine per la proposizione del reclamo, infatti, è destinato a compiersi, secondo il disposto della
norma come novellata, quindici giorni dopo la pronuncia in udienza ovvero la comunicazione o la
notificazione, se anteriore, laddove il termine per la presentazione dell’istanza finalizzata alla
prosecuzione nel merito matura sessanta giorni dopo la comunicazione del provvedimento
interdittale o del provvedimento che decide sul reclamo, nel caso in cui tale ultimo rimedio sia stato
proposto.
Circa il momento in cui il termine per la proposizione dell’istanza per la prosecuzione del giudizio
comincia a decorrere, esso è ancorato, per espressa scelta del legislatore, alla comunicazione per
mezzo di biglietto di cancelleria, adempimento rientrante nei compiti del cancelliere e disciplinato
dagli artt. 136 c.p.c. e 45 disp. att. c.p.c.
Tuttavia, la norma ha considerato solo l’ipotesi di provvedimento pronunciato a seguito di riserva
fuori dell’udienza: in questo caso la comunicazione alle parti con le modalità di cui all’art. 136
c.p.c. costituisce la regola ai sensi dell’art. 134,2° c.p.c.
Nel caso di provvedimento reso direttamente dal giudice in udienza, ragioni di ordine sistematico
indurrebbero a ritenere che il termine decorra dal giorno della pronuncia, essendo quest’ultima di
per sé equivalente, quanto agli effetti, alla comunicazione.
In ordine al contenuto dell’istanza, può discutersi se esso debba essere limitato esclusivamente alla
funzione d’impulso propria dell’atto o se ne sia ammessa l’integrazione mediante domande,
eccezioni o allegazioni, in modo da costituire la sede per l’esercizio di ulteriori poteri processuali.
3 e) il passaggio alla fase a cognizione piena: il mutamento del tema d’indagine, la
maturazione delle preclusioni, l’utilizzabilità delle risultanze istruttorie acquisite nella fase
sommaria;
La nuova formulazione della norma lascia irrisolto il problema del coordinamento tra la fase
sommaria e la fase introduttiva del processo a cognizione piena eventuale e successivo.
Già con riferimento alla novella del 1990, la dottrina aveva avuto modo di sottolineare le
incongruenze derivanti dall’omissione di una disciplina di raccordo nelle “ipotesi in cui la
trattazione nelle forme ordinarie sia preceduta da un subprocedimento che ne costituisce una fase”
ed aveva tentato di individuare una soluzione tecnica unitaria per i diversi casi riscontrabili nella
disciplina positiva, tra i quali si menzionano, a titolo meramente esemplificativo, i giudizi di
opposizione all’esecuzione ed agli atti esecutivi, il giudizio di opposizione allo stato passivo ex art.
98 r.d. 267/1942, il processo di separazione personale dei coniugi ex art. 708 ss. c.p.c., il processo
di divorzio ex art. 4 l. 898/70[20].
E’ stato osservato in quella sede che in tutti i casi caratterizzati dal comune schema processuale
costituito da una fase introdotta con ricorso, seguita dalla trattazione nelle forme e con gli effetti
propri della cognizione piena, “in mancanza di specifiche previsioni, il contenuto del ricorso può
essere determinato ai sensi della norma generale contenuta nell’art. 125 c.p.c.” [21]; che, sebbene
tale atto sia idoneo ad introdurre un processo a cognizione piena ed esauriente, ad esso non è
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applicabile l’art. 163 c.p.c., specificamente con riferimento alla disposizione di cui al n.7, relativa
all’avvertimento previsto a pena di nullità; che, inoltre, è esclusa l’applicazione diretta, con riguardo
alla prima fase dell’iter processuale, della disciplina della fase introduttiva del processo ordinario di
cognizione innanzi al tribunale, non essendo, ad esempio, il giudice tenuto al rispetto dei termini di
comparizione previsti per il processo ordinario nella fissazione dell’udienza.
E’ stato evidenziato, inoltre, che, dovendosi ritenere operanti nella cognizione piena le regole della
fase introduttiva, strettamente funzionali al corretto esplicarsi del contraddittorio ed all’esercizio dei
poteri e facoltà delle parti (quali l’integrazione delle allegazioni, la proposizione di domande
riconvenzionali, il rilievo di eccezioni processuali e di merito in senso stretto), una soluzione
soddisfacente per il coordinamento tra le due fasi poteva essere ravvisata nell’emanazione da parte
del giudice, analogamente a quanto avviene per espressa previsione legislativa nel procedimento di
convalida di licenza o sfratto, di un provvedimento di mutamento del rito, contenente almeno la
fissazione dell’udienza di trattazione nel rispetto dei termini a comparire, oltre all’avvertimento di
cui all’art. 163 n. 7 c.p.c.
La questione è assai delicata, perché investe il nodo nevralgico del processo civile, costituito dal
maturarsi delle preclusioni: il momento del verificarsi dell’effetto preclusivo può essere ancorato,
alternativamente, all’introduzione della fase sommaria o al momento successivo dell’instaurazione
della fase a cognizione piena. Essa assume particolare rilevanza nell’ambito possessorio, poiché la
peculiare materia oggetto del procedimento è suscettibile di arricchirsi di domande concernenti il
danno da lesione del possesso, ulteriori rispetto all’obiettivo immediato del ripristino della
situazione turbata.
Il problema, irrisolto nel vigore della precedente disciplina dalla decisione n. 1984/98 delle Sezioni
Unite (che, come è noto, si è limitata a stabilire che il giudice della fase sommaria deve fissare per il
prosieguo del giudizio l’udienza di cui all’art. 183 c.p.c.), si pone negli stessi termini con riguardo
al procedimento possessorio novellato.
Al riguardo non è stata introdotta con la riforma alcuna disciplina specifica, come è accaduto,
invece, per il giudizio di separazione a seguito dell’introduzione dell’art. 709 c.p.c. nel testo
novellato, con cui il legislatore ha previsto un nuovo meccanismo di raccordo tra la fase sommaria e
quella di cognizione, mediante assegnazione alle parti, nel decreto di fissazione dell’udienza di
prosecuzione successiva alla fase presidenziale, conformemente alle indicazioni suggerite dalla
dottrina nella vigenza della novella del 1990, di termini per integrare gli atti introduttivi, proporre
domande riconvenzionali ed eccezioni non rilevabili d’ufficio.
Restano aperte, pertanto, le soluzioni offerte dagli approfondimenti svolti in sede d’interpretazione
della riforma del 1990, con la particolarità che potrebbe ritenersi consentito alla parte che formula
l’istanza di prosecuzione anticipare nella medesima allegazioni e difese che sarebbe abilitata a
svolgere, in ogni caso, nel corso del successivo iter processuale.
Domande, allegazioni, indicazioni di nuovi mezzi di prova potrebbero trovare naturale esplicazione
nella suddetta istanza, con la conseguenza che la fase a cognizione piena vedrebbe sin dall’inizio
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svolgersi il pieno contraddittorio tra le parti su tutte le questioni da definire mediante la sentenza di
merito.
Sarebbe auspicabile, inoltre, al fine di consentire un ordinato svolgimento della trattazione scandito
per fasi, l’emanazione da parte del giudice, a seguito dell’istanza per la prosecuzione del giudizio,
di un decreto avente contenuto analogo a quello dell’ordinanza ex art. 709,3° c.p.c. in materia di
procedimento di divorzio. L’accorgimento consentirebbe l’individuazione certa del termine
preclusivo della proposizione di eccezioni in senso stretto.
E’ indiscutibile, in ogni caso, che nella fase di merito possessorio è operante la regolamentazione
relativa alla modificazione di domande, eccezioni e conclusioni dettata dall’art. 183, 4° e 5° c.p.c.
nella rinnovata formulazione.
Si ritiene opportuno, infine, far cenno alla tematica relativa all’utilizzabilità nella successiva fase a
cognizione piena delle risultanze acquisite nella fase sommaria, non già perché il punto abbia
formato oggetto d’intervento da parte del legislatore della riforma, ma perché la questione
costituisce obbligato corollario della confermata duplicità delle fasi in cui continua a strutturarsi, su
richiesta delle parti, il procedimento possessorio.
Sul piano pratico, prima che dogmatico, invero, la questione si atteggia in termini differenti con
riguardo ai procedimenti in esame rispetto ai procedimenti cautelari, giacché nei primi l’istruttoria
mantiene, almeno per quanto riguarda la questione di base relativa alla presunta lesione possessoria
(salvo quanto concerne la proposizione di domande accessorie), il medesimo oggetto in entrambe le
fasi del giudizio, sommaria ed a cognizione piena.
Secondo la ricostruzione operata dalla Corte Costituzionale, l’istruttoria cautelare si
caratterizzerebbe per un differente oggetto rispetto al successivo giudizio di merito, essendo in
quest’ultimo estranea l’indagine sul periculum in mora e nel primo limitata quella sul fumus boni
iuris ad “un semplice giudizio di verosimiglianza, concretizzantesi in una valutazione probabilistica
circa le buone ragioni dell’attore”, senza alcuna “valutazione contenutistica sui fatti che hanno
rilevanza rispetto alla causa di merito” [22].
Nel procedimento possessorio, invece, il giudizio, liberato da qualsiasi indagine in ordine al
periculum in mora, concerne esclusivamente la probabilità della fondatezza della pretesa. L’oggetto
dell’accertamento è lo stesso diritto sostanziale protetto mediante le forme giudiziarie ordinarie,
anche se attraverso il ricorso a strumenti conoscitivi di più immediato e rapido espletamento,
tendenzialmente dotati di un minor grado di efficacia probatoria, ma certo non di minore
attendibilità, i cui risultati vengono valutati sul piano delle probabilità e non in termini di certezza
giuridica.
Con riguardo ai procedimenti in esame risulta, pertanto, non estensibile la conclusione, formulata
con riferimento ai procedimenti cautelari dalla citata giurisprudenza costituzionale, secondo cui “il
materiale raccolto ante causam non è di per sé destinato, appunto in ragione delle diverse finalità
istruttorie, ad assumere un’evidenza nel successivo giudizio, rilevando semmai come mero
argomento di prova”.
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Le perplessità circa l’applicazione di quest’assunto con riguardo ai procedimenti che ci occupano è
colta ampiamente dagli operatori del diritto, i quali si ritrovano il più delle volte a ripetere nella fase
a cognizione piena, forse per un eccesso di scrupolo formalistico, esattamente la medesima attività
istruttoria già compiuta, spesso più efficacemente perché nell’immediatezza dei fatti, nella fase
sommaria.
Di conseguenza, già in passato, per vero più in giurisprudenza che in dottrina, è stata valorizzata
l’interpretazione che consente di assegnare alle prove assunte nella fase sommaria valore più
pregnante di quello attribuibile agli argomenti di prova [23], evitando, così, inutili duplicazioni, con
conseguente realizzazione di risultati di tangibile economia processuale.
Non sembra, peraltro, in contrasto con i principi e le garanzie fondamentali ritenere che, ove siano
state acquisite nella fase sommaria prove tipiche mediante gli strumenti previsti in sede di giudizio
ordinario di cognizione (produzione, per quanto attiene i documenti, ed assunzione secondo le
regole di cui all’art. 202 ss. c.p.c., per le prove costituende), le stesse possano trovare pieno ingresso
nel giudizio di merito.
Tale conclusione non può che essere avvalorata a seguito della riforma, posto che, se al
provvedimento interdittale, reso a seguito dell’istruttoria sommaria, risulta attribuita, in assenza di
espressa istanza delle parti per il prosieguo nel merito, idoneità a produrre effetti tendenzialmente
definitivi in ordine alla controversia, deve riconoscersi rilevanza, anche nel caso di prosecuzione del
giudizio nel merito, agli esiti di un’istruttoria che l’ordinamento ritiene comunque sufficiente a
reggere una stabile definizione della lite, sempre che risultino rispettati i principi di tipicità e di
legalità nell’assunzione.
E’ da considerare, inoltre, che il procedimento possessorio, come risultante a seguito delle recenti
modifiche, è unico, ancorché si articoli in due fasi distinte, di cui la seconda eventuale: ne consegue
che, anche sulla scorta di tale considerazione, alle prove raccolte nella prima fase non è
agevolmente attribuibile mero valore di argomento di prova, al pari delle prove raccolte in altro
processo.
Con riguardo specifico alla prova testimoniale è da osservare che la stessa, ai fini della cennata
utilizzabilità, ove consentita, richiederebbe non soltanto la modalità di assunzione mediante la
preventiva dichiarazione d’impegno da parte del teste, ma anche il rispetto della disciplina sulla
capitolazione e sull’articolazione di prova contraria [24].
L’istruttoria effettuata secondo queste caratteristiche nella fase sommaria potrebbe consentire la
formulazione di un giudizio di superfluità in ordine alla deduzione di ulteriore prova nella fase a
cognizione piena [25], determinando la riduzione dei tempi dell’istruttoria ed evitando un’inutile
duplicazione d’attività, in linea con il principio costituzionale di ragionevole durata del processo.
Qualora, tuttavia, prove tipiche siano state assunte in forme diverse da quelle contemplate dal libro
secondo del codice, alle stesse sarà attribuito un valore inferiore (indiziario o di argomento di
prova), analogamente a quanto avviene per le altre prove atipiche comunque raccolte nella fase
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sommaria, la cui efficacia non può essere superiore a quella che dette prove assumerebbero se
assunte direttamente nel giudizio ordinario.
3f) l’ordinanza e il regime delle spese processuali.
Nel nuovo modello processuale la prosecuzione del giudizio per la trattazione del merito diviene
uno sviluppo non più necessitato, ma meramente eventuale e rimesso ad istanza di una delle parti.
Il provvedimento interdittale, pertanto, assume l’idoneità a chiudere il procedimento in via
definitiva e tendenzialmente stabile.
Occorre, di conseguenza, ricercare nell’ambito della disciplina la norma atta a regolare il regime
delle spese relative alla fase sommaria.
In proposito, è stato osservato che “l’art. 703,3° c.p.c., nuovo testo, neppure chiarisce se (e avrebbe
fatto meglio a dire che) con il provvedimento che definisce la prima fase il giudice deve provvedere
pure sulle spese, lasciando irrisolto anche il dubbio se questa statuizione, ove resa, debba essere
opposta ai sensi dell’art. 669 septies ult.co., oppure impugnata col reclamo previsto dallo stesso
comma della disposizione nuova” [26].
E’ necessario, quindi, rifarsi alla materia delle spese come regolata nell’ambito del procedimento
cautelare uniforme e vagliarne la compatibilità con la natura e le caratteristiche proprie del
procedimento possessorio, in forza della clausola posta dal secondo comma dell’art. 703 c.p.c.
Quanto al procedimento cautelare, la dottrina non ha mancato di evidenziare la mancata
omogeneizzazione, sul punto attinente alle spese, almeno sotto il profilo testuale, dei due
procedimenti sommari disciplinati dall’art. 669 octies c.p.c. e 23 d.lg.5/2003, il quale ultimo
espressamente fa carico al giudice di provvedere in ogni caso sulle spese con il provvedimento che
chiude il procedimento cautelare espletato ante causam.
Orbene, la soluzione pressoché uniformemente proposta, quanto al rito cautelare uniforme, consiste
nel ritenere estesa la pronuncia sulle spese a tutti i casi di emanazione di provvedimenti cautelari
indicati nel sesto comma dell’art. 669 octies c.p.c., giungendo a tale affermazione a seguito tanto
dell’applicazione in via analogica dell’art. 669 septies c.p.c., quanto in applicazione del principio,
ormai recepito dalla giurisprudenza costante della Suprema Corte [27], secondo cui l’art. 91 c.p.c.
pone una regola di carattere generale applicabile in tutti i casi in cui sia emesso un provvedimento
astrattamente idoneo a definire il giudizio. Oltre agli argomenti fatti palesi nelle richiamate
decisioni, milita in tal senso il principio di economia dei giudizi, che s’impone “per evitare inutili
duplicazioni di procedimenti o peggio giudizi di merito diretti soltanto in concreto alla liquidazione
delle spese processuali della fase cautelare” [28].
Non vi è ragione di escludere, stante l’astratta idoneità del provvedimento reso nella fase sommaria
a definire il giudizio, l’applicabilità con riguardo ad esso del regime relativo alle spese processuali,
operante, secondo la richiamata ricostruzione, per i provvedimenti cautelari.
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3 g) il regime di stabilità dell’ordinanza interdittale.
E’ stato osservato che “l’efficacia del provvedimento possessorio non seguito dalla fase di merito
… non trova nella legge una chiara definizione” [29].
L’unica disposizione espressa al riguardo, infatti, è rinvenibile nell’ultima parte del comma 4
dell’art. 703 c.p.c., che prevede l’applicazione dell’art. 669 novies 3°, cioè della norma secondo cui
il provvedimento cautelare perde efficacia se non è stata versata la cauzione o se con sentenza,
anche non passata in giudicato, viene dichiarato inesistente il diritto a cautela del quale è stato
concesso il provvedimento.
Dalla richiamata disciplina, stante il mancato espresso richiamo all’art. 669 octies, discende che il
provvedimento possessorio reso con ordinanza deve reputarsi dotato di una certa stabilità: esso non
sarà caducato in caso di mancato inizio della causa di merito o in caso di successiva estinzione di
quest’ultima, ma diverrà inefficace solo nei due casi richiamati.
D’altra parte tale regime è funzionale alla scelta del legislatore, che vede rimessa l’instaurazione
della fase di merito alla volontà di almeno una delle parti.
Tuttavia, il rinvio al rito cautelare uniforme contenuto nell’art. 703 c.p.c., corredato dall’espressa
previsione del limite di compatibilità, comporta una serie di problemi ermeneutici in ordine
all’estensione ai procedimenti possessori di ulteriori disposizioni previste specificamente per i
cautelari.
Sembra, in primo luogo, potersi affermare che le ordinanze di declaratoria d’incompetenza non
precludano la successiva proposizione della domanda nella sede opportuna (art. 669 septies, 1°
prima parte).
E’ discutibile, poi, se sia consentita la riproposizione della domanda nel merito, a seguito di
allegazioni di nuove ragioni di fatto e di diritto, dopo che sia intervenuto un provvedimento di
rigetto (art. 669 septies, primo comma, seconda parte): lo schema predisposto dal legislatore in
materia di procedimento possessorio, infatti, sembra escludere[30] una terza via all’alternativa tra la
pronuncia interdittale non seguita da istanza di prosecuzione ed il giudizio di merito instaurato a
seguito della proposizione di tale istanza, potendosi interpretare la mancata prosecuzione del
giudizio nel merito come una sorta di acquiescenza prestata all’acquisizione da parte del
provvedimento interdittale della connotazione d’intangibilità[31].
In termini problematici, poi, si pone la questione relativa all’applicabilità al provvedimento
interdittale della disciplina della revoca o modifica ex art. 669 decies secondo comma c.p.c.
In primo luogo, è da evidenziare che, in base alla riscritta disciplina del reclamo cautelare, è onere
della parte far valere col suddetto rimedio impugnatorio “le circostanze ed i motivi sopravvenuti al
momento della proposizione del reclamo” (669 terdecies, 3° c.p.c.): l’ampiezza dell’espressione
consentirebbe la deduzione di circostanze nuove in senso oggettivo, ma anche di quelle non dedotte,
e, altresì, di nuovi argomenti in diritto, con un “effetto devolutivo integrale” [32].
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Al di fuori del reclamo, la revoca e la modifica dovrebbero ritenersi certamente consentite, ove il
procedimento prosegua nella fase a cognizione piena, in ragione di fatti preesistenti all’emanazione
del provvedimento, ma conosciuti successivamente, mentre i fatti sopravvenuti resterebbero
inidonei a determinare mutamenti di sorta del provvedimento adottato: le azioni possessorie, infatti,
costituiscono reazione a fatti di spoglio e molestia specificamente individuati, compiuti in un
determinato contesto spaziale e temporale.
Resta aperta, invece, la questione relativa alla rilevanza, ai fini della revoca o la modifica del
provvedimento possessorio, limitatamente ai procedimenti che proseguono nel merito dopo
l’emissione del provvedimento nella fase sommaria, dei “mutamenti nelle circostanze”, intesi come
fatti ed argomenti di diritto non previamente dedotti e non preclusi (si pensi all’eventuale incidenza
sul provvedimento interdittale concesso della formulazione nella fase di merito di un’eccezione di
decadenza per tardività dell’azione non dedotta nella fase sommaria, ove ammissibile).
Per quanto concerne, poi, l’operatività della disciplina relativa alla revoca e modifica con riguardo
al provvedimento sommario cui non è seguita la prosecuzione del processo nel merito, seri dubbi si
pongono nell’ottica di quella ricostruzione interpretativa che parifica, quanto agli effetti,
l’ordinanza interdittale al decreto ingiuntivo non opposto.
E’ dubbia, inoltre, la compatibilità con il procedimento possessorio della norma di cui all’art. 669
octies 8° comma c.p.c.
E’ stato efficacemente rilevato in proposito[33] che “l’autorità del provvedimento possessorio è
sicuramente invocabile in un diverso processo” e che, specificamente, “il soggetto che vanti
l’usucapione non potrebbe non fondare la propria domanda anche sulla concessione a suo tempo ed
a suo favore di un interdetto possessorio, a cui le parti non hanno ritenuto di far seguito con la fase
di merito”. Per vero, ai sensi dell’art. 1167,2° comma c.c. l’interruzione dell’usucapione “si ha
come non avvenuta se è stata proposta l’azione diretta a recuperare il possesso e questo è stato
recuperato”.
Tanto induce l’autore citato ad affermare che, anche sotto tale profilo, “pare di poter concludere che
il provvedimento possessorio non seguito dalla fase di merito possessorio abbia in realtà efficacia e
stabilità diverse e superiori rispetto al provvedimento cautelare anticipatorio cui non sia succeduto il
giudizio di merito”.
Resta da esaminare il significato del rinvio espresso all’art. 669 novies terzo comma c.p.c.
In primo luogo, si osserva che la perdita di efficacia del provvedimento in caso di mancato
versamento della cauzione è coerente con le finalità di quest’ultimo istituto, il quale, tuttavia, risulta
di scarsa applicazione in materia possessoria.
Quanto alla perdita di efficacia del provvedimento in caso di pronuncia di sentenza con cui “è
dichiarato inesistente il diritto a cautela del quale era stato concesso”, si pone un’alternativa di
dubbia soluzione, cioè se scopo della disposizione sia quello di disciplinare i rapporti tra interdetto
possessorio e sentenza di merito possessorio o tra il medesimo provvedimento e la sentenza
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contenente l’accertamento dell’insussistenza del diritto reale o personale corrispondente
all’esercizio del possesso e relativo al medesimo bene.
Entrambe le soluzioni interpretative danno esito a risultati già assodati, in quanto insiti nel sistema,
con la conseguenza che la norma assume connotazione di superfluità sotto il profilo operativo.
Sotto il profilo strettamente sistematico, l’espressione “diritto” contenuta nella norma non è
suscettibile di essere agevolmente ricondotta ad una decisione inerente ad una situazione di fatto
quale il possesso, sicché potrebbe sembrare più coerente ritenere che l’espresso richiamo all’art.
669 novies abbia inteso disciplinare l’incidenza della decisione di merito attinente ai diritti sul bene
su cui è esercitato il possesso su un provvedimento possessorio interdittale cui non abbia fatto
seguito il giudizio di merito possessorio.
Per altro verso, se, seguendo Cassazione 1984/1998, s’intende il giudizio possessorio come avente
ad oggetto un diritto soggettivo e, specificamente, il diritto alla conservazione ed integrità della
situazione fattuale possessoria, all’espressione “diritto” sarebbe possibile attribuire duplice
significato, sì da comprendere anche la situazione possessoria tutelabile, con conseguente riferibilità
della disposizione alla pronuncia di merito dichiarativa di rigetto dell’istanza possessoria.
4) Rapporti tra procedimento possessorio e giudizio petitorio
Le azioni possessorie, come è noto, sono esclusivamente finalizzate al ripristino dello stato di fatto
violato e prescindono dall’accertamento della titolarità di un diritto dominicale sul bene oggetto
della pretesa; quelle petitorie, come quella di rivendicazione, la negatoria e la confessoria servitutis,
invece, sono dirette ad accertare l’appartenenza del diritto dominicale sul bene e comportano
l’onere di provare il diritto posto a fondamento della pretesa. Nelle azioni petitorie la causa petendi
è rappresentata dal diritto reale dedotto ed il petitum immediato, quale che sia il provvedimento in
concreto richiesto al giudice, ad esempio di rilascio, non può prescindere dall’accertamento del
diritto fatto valere, in quelle possessorie la causa petendi è costituita dal possesso o dalla
detenzione, mentre il petitum consiste nella reintegrazione o nella cessazione della molestia. E’ noto
che esula dall’indagine da compiersi in sede possessoria l’accertamento del diritto eventualmente
corrispondente alla situazione di fatto che si assume violata, e ciò per l’assoluta autonomia dei due
giudizi, possessorio e petitorio, in relazione agli elementi distintivi del petitum e della causa
petendi, autonomia che comporta uno sviluppo processuale distinto riguardo alle istanze possessorie
e petitorie relative a pretese sulla medesima res. Stante la peculiarità della situazione tutelata, di
mero fatto ed esulante, per ciò che si è detto, dalla nozione di diritto soggettivo nel senso
tradizionalmente inteso del termine, il procedimento possessorio deve ritenersi svincolato da
qualsiasi accertamento circa la sussistenza o meno del diritto reale. Di seguito vengono esaminati i
casi in cui si verificano situazioni d’interferenza tra giudizio possessorio e petitorio.
4 a) il divieto di proposizione del giudizio petitorio in pendenza del giudizio possessorio
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L’art. 705 c.p.c. pone un divieto di cumulo tra controversia possessoria e petitoria. La ratio della
scelta legislativa viene ricondotta alla funzione pubblicistica della tutela possessoria, ancorata ad
un’esigenza “di ordine pubblico” volta al ripristino di situazioni di fatto violate arbitrariamente,
senza previo accertamento dello stato di diritto.
Non si è mancato di sottolineare che il sistema realizza una sorta di “pendolo delle ragioni
proprietarie e possessorie nella contesa sul medesimo bene”, evidenziando che “qualora due
soggetti vantino, nello stesso momento storico, una pretesa incompatibile sul medesimo bene, il
conflitto tra proprietà e possesso… viene risolto, sul piano sostanziale, con la supremazia della
prima, ma il nostro ordinamento struttura la tutela possessoria in modo tale che, da un lato,
esercitata dal possessore non proprietario l’azione possessoria nei confronti del proprietario,
quest’ultimo è inibito dal condurre la disputa sul terreno del suo diritto, non potendo eccepire, per
paralizzare l’istanza possessoria, l’esistenza del suo diritto di proprietà, e, dall’altro lato, quel diritto
di proprietà, che non si è potuto eccepire come fatto impeditivo nel giudizio possessorio, diventa
l’oggetto del successivo giudizio petitorio, al fine di attribuire al proprietario lo stesso bene che la
prima pronuncia aveva attribuito al possessore”[34]
La logica della norma, come sottolineato da Corte Cost. 3/2/1992 n. 25, regge solo nei limiti in cui
la sfasatura tra giudizio possessorio e petitorio arrechi al convenuto, titolare del diritto sulla cosa,
“un sacrificio transeunte e reversibile”, che potrà essere eliso dal successivo giudizio petitorio. Da
ciò la pronuncia additiva della Corte, atta a porre un limite alla posticipazione della tutela petitoria
in funzione dell’effettività di quest’ultima, nel caso in cui dalla posticipazione della tutela petitoria
possa derivare al convenuto un pregiudizio irreparabile[35].
La recente riforma non ha inciso sul tenore dell’art. 705 c.p.c.: l’interpretazione sistematica della
norma, tuttavia, induce a ritenere che l’espressione “finché il primo giudizio non sia definito” vada
riferita alla definizione della controversia con riguardo alle due opzioni previste dall’art. 703 c.p.c.,
con conseguente proponibilità dell’azione petitoria anche nel caso in cui il procedimento si
esaurisca nella fase sommaria, senza instaurazione del giudizio di merito.
La soluzione indicata si presenta come obbligata nell’ottica di quella opzione interpretativa che
attribuisce all’interdetto possessorio non seguito dal giudizio di merito efficacia non meramente
esecutiva, ma assimilabile al giudicato; inoltre, essa appare coerente avuto riguardo al
coordinamento con le altre disposizioni modificate dall’intervento legislativo, risultando, altrimenti,
vanificate le esigenze di celerità che hanno ispirato la nuova disciplina.
4 b) la riformulazione del secondo comma dell’art. 704 c.p.c.
L’art. 704 c.p.c., nella nuova come nella precedente formulazione, prevede al primo comma che
ogni domanda relativa al possesso per fatti avvenuti durante la pendenza del giudizio petitorio sia
proposta davanti al giudice di quest’ultimo.
Perché si verifichi il caso in esame, è necessario che sia dedotta nel giudizio petitorio la titolarità del
diritto reale corrispondente e speculare alla situazione possessoria di cui si assume la lesione,
riferita al medesimo bene (come nel caso in cui si agisca in sede di confessoria servitutis e nel corso
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della causa si riferisca di un’aggressione violenta o clandestina alla situazione possessoria
corrispondente al diritto fatto valere in sede petitoria).
In questi casi il primo comma dell’articolo richiamato prevede la proposizione dinanzi al giudice
del petitorio della domanda relativa al possesso. Si ritiene tradizionalmente che la previsione non
possa trovare applicazione oltre i casi tassativamente stabiliti dalla legge, in costanza della
ricorrenza di specifici presupposti, consistenti nell’identità soggettiva delle parti, nella proposizione
dell’azione petitoria anteriormente rispetto a quella possessoria, e (secondo la prevalente
giurisprudenza[36]) nell’anteriorità della pendenza del giudizio petitorio rispetto all’accadimento
dei fatti dedotti con l’azione possessoria.
Altra implicita condizione viene tradizionalmente ritenuta, in base ai principi, la possibilità
d’attuazione del simultaneus processo: “la ratio della deroga è individuata sui motivi della
connessione, i quali spiegano i loro effetti (argomentando ex art. 40, comma 2 c.p.c. ), soltanto
qualora lo stato della causa principale o preventivamente proposta, ossia quella petitoria, consenta
l’esauriente trattazione della causa connessa, ossia quella possessoria; quindi il cumulo non potrà
avvenire se la prima causa è stata già decisa con sentenza definitiva – altrimenti, ci sarebbe
un’ingiustificata privazione di un grado di giurisdizione per chi abbia subito la lesione possessoria o, pur essendo pendente in primo grado, si trovi in uno stato processuale – ad esempio, perché
rimessa al Collegio per la decisione - che precluda la riunione delle due cause ai fini del
simultaneus processus”[37].
E’ stata evidenziata[38] l’esistenza, prima dell’entrata in vigore della legge istitutiva del giudice
unico di primo grado, di due orientamenti, l’uno [39]che configurava l’ipotesi di cui all’art. 704
c.p.c. come una deroga alla competenza funzionale del pretore in materia possessoria per ragioni di
connessione ( su queste basi si sosteneva che il giudizio possessorio conservava, pur in pendenza
del giudizio petitorio, la sua autonomia strutturale legata all’autonomia dell’oggetto sostanziale, non
potendo le due azioni interferire, stante l’estraneità dei rispettivi contenuti, ancorché ciò
determinasse problemi d’interferenza tra le decisioni assunte in tema di possesso e di titolarità del
diritto reale), l’altro, secondo cui i provvedimenti temporanei indispensabili per la tutela del
possesso in pendenza di petitorio rivestirebbero carattere incidentale e sarebbero destinati ad essere
assorbiti nella pronuncia di merito che definisce la controversia petitoria.
La scelta tra le due opzioni interpretative resta ancora aperta dopo la nuova formulazione del
secondo comma dell'articolo 704 c.p.c., che adatta la nuova disciplina dell'eventualità del giudizio
di merito possessorio all’ipotesi di domande possessorie proposte in costanza di giudizio petitorio,
prevedendo non più la rimessione delle parti davanti al giudice del petitorio su disposizione
officiosa, ma, eventualmente, la prosecuzione del giudizio a seguito dell’iniziativa di una delle parti
del giudizio, che potrà riassumere il giudizio per la prima udienza utile, verosimilmente senza
necessità di apposita istanza di prosecuzione.
La novità è coerente con il sistema della riforma, giacché la prosecuzione del giudizio possessorio,
dopo la pronuncia dei provvedimenti indispensabili, è subordinata alla richiesta di almeno una
parte, rivelandosi meramente eventuale. I provvedimenti indispensabili pronunciati in sede separata
rispetto al giudizio petitorio, pertanto, devono ritenersi suscettibili di divenire stabili, in difetto di
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prosecuzione del giudizio di merito, al pari di tutti gli interdetti emessi nella fase sommaria,
coerentemente con il nuovo sistema processuale.
(*) il presente scritto costituisce elaborazione di una relazione tenuta a Roma il 30/10/2007 in
occasione dell’incontro di studi sul tema “Riconversione civile” organizzato dal Consiglio
Superiore della magistratura nell’ambito del programma di formazione professionale della nona
Commissione
In tal senso anche Cass. S.U. 24/2/1998 n.1984, secondo cui la tesi “che propende per la
soppressione della fase del merito possessorio non è condivisibile soprattutto per motivi di diritto
sostanziale… l'ordinamento giuridico, concedendo al possessore le azioni di reintegrazione (art.
1168 cod. civ.) e di manutenzione (art. 1170 cod. civ.), gli ha riconosciuto il diritto alla
conservazione integra del potere sulla cosa contro il suo spoglio o turbativa, prevedendo in tal modo
una tutela che non può essere contenuta nei limiti ristretti del procedimento cautelare, ma deve
essere attuata con un giudizio a cognizione piena da concludersi con un provvedimento suscettibile
di passaggio in cosa giudicata, secondo la garanzia assicurata ai diritti soggettivi dall’art. 24 della
Costituzione. La tesi secondo cui il possesso, essendo una situazione di fatto, non richiederebbe la
tutela assicurata dal giudizio a cognizione ordinaria, non può, perciò, essere condivisa, giacché ad
essere protetta non è la situazione possessoria, intesa come semplice fatto naturalistico, ma il diritto
alla sua conservazione e integrità”.
[1]
SACCO (Il possesso, Milano, 1988, pg. 283) così si esprime: “ogni tutela possessoria è destinata
per sua natura a durare solo finché non intervenga l’esercizio del diritto del proprietario e non oltre
quel momento”; in tal modo evidenzia la prevalenza del diritto del proprietario, ove acclarato, di
fronte a qualsiasi diverso accertamento avente ad oggetto il possesso. Dello stesso autore, sui temi
in oggetto, Possesso, diritto soggettivo, cognizione piena in Giust. Civile, 1998, II, 193.
[2]
[3]
Così CIVININI –PROTOPISANI I procedimenti possessori in Foro It. 1994, I, 635.
[4] Così Corte Cost. 3/2/1992 n.25 (in Foro It., 1992, I, 616 ss., con nota di PROTO PISANI La
Corte costituzionale fa leva sull’irreparabilità del pregiudizio per attenuare il divieto di cumulo del
petitorio col possessorio), di cui si riporta di seguito la massima: “L'autonomia dell'azione
possessoria rispetto alla tutela petitoria, stabilita dagli art. 703 segg. c.c., si fonda sul presupposto
che la tutela possessoria è bilanciata dalla condizione che il pregiudizio, recato al convenuto, possa
essere riparato mediante altro giudizio; pertanto, è costituzionalmente illegittimo per irrazionalità, ai
sensi dell'art. 3 cost., e per lesione del diritto di difesa ai sensi dell'art. 24 cost., il menzionato art.
703 c.c., nella parte in cui subordina la proposizione del giudizio petitorio alla definizione della
controversia possessoria ed all'esecuzione della decisione anche nel caso in cui ne derivi o possa
derivarne un pregiudizio irreparabile al convenuto”.
[5] In Corr. giur., 1996, 158, con nota di MUTARELLI; ancora in Giust. civ., 1996, I, 654; Giur. It., 1996, I, 166, con
nota di CONSOLO; Giur. cost., 1995, 4265
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[6] L’elaborazione della categoria dei procedimenti sommari-semplificati-esecutivi è dovuta a
PROTO PISANI, il quale li individua come procedimenti cognitivi attraverso i quali si perviene in
tempi brevi alla formazione di un titolo esecutivo ed il cui provvedimento finale non è destinato ad
acquistare l’efficacia preclusiva propria del giudicato: si veda, quale produzione più recente sul
punto, PROTO PISANI La nuova disciplina del processo societario (note a prima lettura), in Foro
it, 2003, V, I.
Tra gli altri CHIARLONI “Non esiste più (ma non sarebbe dovuto esistere neanche prima) il
c.d. merito possessorio” in Giur. It. 1993, I 2,808 ss.; BENDIA “Il possessorio novellato” in Riv.
Dir. Proc. 1993, 793 ss.; PROTO-PISANI –CIVININI “I procedimenti possessori” in Foro it. 1994,
I, 626 ss.
[7]
Si veda Cass. 13/7/1995 n.7665 in Foro it., 1995, I, 3160, con nota di. CIVININI: la Corte,
pronunciandosi in sede di regolamento di competenza in fattispecie regolata dalla legge anteriore
all’entrata in vigore della novella, esclude l’esistenza del c.d. “merito possessorio” muovendo dalle
caratteristiche sostanziali della situazione tutelata, intesa come di mero fatto, destinata a cedere di
fronte all’affermazione del diritto, sicché la tutela possessoria è vista come “un quid
necessariamente provvisorio e trova giustificazione nell’esigenza, d’ordine pubblico, di impedire
che i cittadini si facciano giustizia da sé (ne cives ad arma veniant). La composizione del conflitto
tra le parti, una volta che sia insorto, per essere definitiva e pacificante, deve risiedere sul diritto e
non sulla situazione di fatto difforme dal diritto. L’ordinamento giuridico perciò appresta la tutela
possessoria come misura provvisoria da adottarsi con un procedimento rapido e sommario”.
[8]
In Foro It, 1998, I, 1054 ss, con nota di CIVININI, idem 1998, I, 3142, con nota di CIVININI
Per la chiarezza di idee sul procedimento possessorio; in Giustizia Civile, 1998, I, 637, con nota di
VACCARELLA Per le sezioni unite esiste, ed esisteva anche prima, il c.d. merito possessorio; in
Riv.dir. proc.1998, 530 con nota di SASSANI La tutela giurisdizionale del possesso dopo la
modifica dell’art. 703 c.p.c.: un grand arrét delle sezioni unite
[9]
[10]
Così CIVININI, op. ult. cit., 3144.
La sentenza perviene ad affermare l’esistenza del merito possessorio sulla base delle
considerazioni, in primo luogo di ordine sostanziale, di seguito riassunte: a) al possessore
l’ordinamento accorda tutela, il cui oggetto “non è la situazione possessoria, intesa come semplice
fatto naturalistico, ma il diritto alla sua conservazione e integrità”: conseguentemente, oggetto del
giudizio è un diritto soggettivo, il quale esige, in ragione del precetto costituzionale dell’art. 24
Cost., la garanzia della cognizione piena e del giudicato; b) esiste il diritto al risarcimento dei danni
da lesione possessoria, stante la natura illecita dello spoglio o della molestia, sicché alla domanda
possessoria si accompagna normalmente quella risarcitoria, da definire nell’ambito di un giudizio
necessariamente non sommario; c) sotto il profilo più strettamente processuale, esiste il giudicato
possessorio, giacché, per quanto la decisione sul possesso sia destinata a cedere davanti al giudicato
petitorio, il soccombente nel giudizio possessorio non potrà contestare la sentenza resa in sede
possessoria in un successivo giudizio avente il medesimo oggetto; inoltre, l’istruttoria nella fase di
merito non è superflua, in quanto la prima fase deve svolgersi con rapidità, sulla semplice notorietà
del fatto (art.1168 ult.comma c.c.), lasciando il compimento della piena istruttoria alla fase di
[11]
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merito; e) l’esistenza della fase a cognizione piena è evincibile, altresì, dalla disciplina della
denuncia di nuova opera, oltre che dalla considerazione che, ove il legislatore avesse voluto attuare
una riforma della portata indicata, avrebbe dettato una disciplina esplicita in tal senso; f) anche la
terminologia usata nell’art. 705 c.p.c. è univocamente significativa del riferimento al giudizio
ordinario di cognizione.
[12] Si rinvia alla nota 3 e, specificamente, a PROTO PISANI La nuova disciplina del processo
societario ( note a prima lettura ), citato.
Così G. OLIVIERI Brevi considerazioni sulle nuove norme del procedimento cautelare
uniforme in w.w.w. Judicium.it
[13]
[14] Così MENCHINI “Nuove forme di tutela e nuovi modi di risoluzione delle controversie: verso
il superamento della necessità dell’accertamento con autorità di giudicato”in Rivista di Diritto
Processuale, 2007, 868 ss.
[15]
In tal senso op. ult. cit.
[16]
Così M. BOVE “Evitare il processo?”in w.w.w. Judicium.it, 12 ss.
Nel senso di ritenere non esperibile un giudizio di merito nel caso di emissione d’interdetto non
seguita da istanza per la prosecuzione, anche Marinucci, Le nuove norme sul procedimento
possessorio in Riv. Dir. Proc 2006. p.827 ss, G. Della Pietra Riflessioni in punta di penna sul
rimodellato procedimento possessorio in w.w.w.Judicium.it, P.L. Nela Procedimenti cautelari,
possessori, di istruzione preventiva, di separazione, nel decreto sulla compatibilità in w.w.w.
Judicium.it
[17]
Così G. BORRÈ Il punto sul merito possessorio e sul reclamo in materia di procedimenti
possessori citato: lo stesso autore evidenzia come ingombrante la coincidenza tra la pendenza del
reclamo e la continuazione del processo nella fase di merito.
[18]
[19]
DELLA PIETRA, op. ult. citata.
Con riguardo alle varie tipologie di procedimenti in cui è riscontrabile lo schema processuale in
questione si vedano, tra gli altri, M. FABIANI Prime impressioni su alcune interferenze tra la
riforma del codice di procedura civile e la legge fallimentare in Foro it. 1991,I,2170;TOMMASEO
Nuovo rito civile e procedimenti di separazione e divorzio in Famiglia e dir., 1994,565;DIDONE
Riforma del processo civile e insinuazione tardiva, prime riflessioni in Dir. Fallim. 1992, I 332;
SALVANESCHI La novella del codice di rito e la fase introduttiva dei procedimenti di
separazione e divorzio in Corriere giur. 1996, 746, DE FRANCISCO I giudizi di cognizione
ordinaria introdotti con ricorso dopo l’entrata in vigore della riforma del processo civile di cui alla
l. 353/90 e successive modificazioni: il procedimento possessorio, l’opposizione all’esecuzione ed
agli atti esecutivi, i giudizi di separazione e divorzio, ecc, in Giur. It. 1995, IV, 342
[20]
[21]
G. COSTANTINO op.ult. cit.
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[22]
Così Corte Cost. 7/11/1997 n.326 in foro it.1998, I, 1007.
Nel senso di ritenere i risultati dell’istruttoria cautelare ante causam argomenti di prova, al pari
delle prove raccolte in altro giudizio, G.OLIVIERI “I provvedimenti cautelari nel nuovo processo
civile” in Riv.dir.proc., 1991, p.703; per PROTO PISANI, op. loc. cit. pg. 23 “gli elementi di prova
acquisiti in sede di cognizione sommaria non potranno poi essere riversati in sede di cognizione
piena (nel corso della quale saranno inutilizzabili ove non assunti nel rispetto delle forme previste
dal libro secondo), salva ovviamente la possibilità per le parti di non contestare tutti o parte dei
risultati dell’istruzione sommaria”
[23]
Nel senso che non sia la dichiarazione d’intenti l’elemento caratterizzante la corretta assunzione
della prova testimoniale secondo le regole del libro secondo del codice, Cass. 4/12/1990 n 11617
[24]
[25] In tal senso la giurisprudenza risalente in tema di giudizio possessorio: tra le altre Cass.
27/6/1968 n 2182 “la prova testimoniale che sia stata raccolta nella fase così unificata, anche se
cronologicamente anteriore all’emissione dei provvedimenti provvisori, deve considerarsi tale a
tutti gli effetti”
[26]
Così DELLA PIETRA, op. ult. cit.
Cass. 26/11/2002 n.16691; Cass.12/4/2001 n.5469, in base alla quale “L’art.91 c.p.c. secondo il
quale il giudice, con la sentenza che chiude il processo condanna le parti soccombenti al rimborso
delle spese, trova applicazione con riguardo ad ogni provvedimento, ancorché reso in forma di
ordinanza o di decreto, che nel risolvere contrapposte posizioni elimini il procedimento davanti al
giudice che lo emette, quando, in coerenza con il principio di economia dei giudizi, si renda
necessario ristorare la parte vittoriosa dagli oneri inerenti al dispendio di attività processuale legata
da nesso causale con l’iniziativa dell’avversario; detta norma, pertanto, opera non solo nei
procedimenti a cognizione piena, ma anche in quelli sommari e cautelari, come nel caso del
procedimento promosso ai sensi dell’art. 700 c.p.c. per l’adozione di provvedimento d’urgenza, con
la conseguenza che, ove la richiesta della parte istante venga respinta, deve essere riconosciuto il
diritto al rimborso delle spese processuali in favore dell’intimato che abbia resistito a quella
richiesta”;
[27]
[28]
Cosi ALESSANDRI, op. ult. cit., pg.5
[29]
P.L. NELA op. ult. cit.
[30]
[31]
Ma sul punto si vedano le due opzioni interpretative richiamate a pg. 10 ss.
Contra MENCHINI, op. citata
Così N. ALESSANDRI Appunti di un avvocato sulle riforme dei procedimenti e possessori e
cenni sulla nuova c.t.u preventiva prima dell’entrata in vigore della riforma 2005 del processo
civile w.w.w. Judicium .it.
[32]
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[33]
Nela, op. citata
Così A. CELESTE “Il pendolo delle ragioni proprietarie e possessorie nella contesa sul
medesimo bene tra potenziali interferenze, divieti di cumulo e pregiudizi irreparabili” in Giustizia
civile 2005, parte seconda pg. 51 ss.
[34]
[35] Come è stato opportunamente osservato (A. CELESTE op. cit.), il problema che si pone è
quello dell’attuazione della tutela. Resta l’alternativa tra la deducibilità del profilo petitorio come
eccezione nel corso del procedimento possessorio, sì da impedire a monte l’emanazione del
provvedimento possessorio e la proposizione autonoma di un giudizio petitorio, con richiesta di un
provvedimento cautelare volto a neutralizzare l’attuazione di una pregiudizievole e non reversibile
reintegrazione, ad esempio mediante la richiesta di un sequestro giudiziario (ad esempio il
proprietario che intenda paralizzare un ordine di demolizione emesso in sede possessoria con
riguardo ad una costruzione che si assume concretizzi uno spoglio, potrebbe proporre autonoma
azione petitoria richiedendo in via anticipata un sequestro giudiziario, allo scopo più che di
provvedere alla gestione o alla custodia temporanea del bene, di sottrarre il bene stesso
all’esecuzione del provvedimento possessorio).
[36] La norma sarebbe in suscettibile d’interpretazione estensiva, sicché la competenza del giudice
del petitorio non potrebbe essere estesa ai fatti verificatisi anteriormente alla pendenza dello stesso
petitorio e non ancora denunciati: in tal senso, tra le altre, Cass. 18/2/1988 n.1725, Cass.29/9/1999
n.7945, in Giur.It. 1995, I 1, 1548, con nota di SANTAGATA Brevi note sull’interpretazione
dell’art. 704 c.p.c.; in dottrina si veda Tommasi Rapporti tra giudizio possessorio e petitorio in
Riv.dir. proc. 1990, 850
In tal senso ALBERTO CELESTE Il pendolo delle ragioni proprietarie e possessorie nella
contesa sul medesimo bene tra potenziali interferenze, divieti di cumulo e pregiudizi irreparabili in
Giusitizia Civile 2005, parte seconda, 51 ss.
[37]
Si veda GRECO Sui rapporti tra petitorio e possessorio: orientamenti dottrinali e
giurisprudenziali in Foro it., 1987, I 1635.
[38]
[39]
In tal senso anche Cass. sez. un. 24/2/1998 n 1984, citata
23