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katherine rondou — ostrowski, teatro e rivoluzione
Impatto dei moti europei sulla composizione teatrale del Polacco
Ostrowski, teatro e rivoluzione
ProspettivA
Katherine Rondou
• persona •
99 (2017/1), 30-33
Traduzione di Settimio Luciano
La figura di Francesca da Rimini
fra storia e letteratura
el precedente articolo* è stato mostrato come le ossessioni di Christen Ostrowski
– il suo odio per l’invasore e la sua malinconia da esilio – si presentano come necessarie nel
corso del suo processo creativo, al punto da nuocere al suo lavoro di drammaturgo nell’elaborazione
della pièce Marie-Madeleine ou remords et repentir
(1861). Occorre riconoscere, tuttavia, che queste stesse preoccupazioni gli suggeriscono delle felici modificazioni durante l’adattamento in lingua francese
della Francesca da Rimini di Silvio Pellico.
Abbiamo pochi particolari sulla versione storica
dell’amore tragico di Francesca Polenta e Paolo Malatesta. Le due famiglie in questione, infatti, non
avevano alcun interesse a rievocare quell’episodio
scandaloso. Figlia del signore di Ravenna, Francesca sposa Giovanni Malatesta, sovrano di Rimini,
intorno al 1275. Francesca ha una quindicina d’anni e Giovanni circa trent’anni. Quando il Malatesta
scopre il legame fra la sua sposa e suo fratello minore Paolo, uccide la coppia adultera. L’analisi dei documenti d’epoca permette di individuare la morte
fra il 1283 e il 1285: Giovanni ha più di quarant’anni, Paolo fra i trentasette e i trentanove anni mentre
Francesca fra i ventitré e i venticinque anni. Dante
circa vent’anni…
Il canto V dell’Inferno (1314) costituisce l’unica
sorgente contemporanea che rievoca direttamente
l’adulterio (un incesto per la società medievale) e
l’omicidio. Il poeta avrebbe appreso la storia degli
amanti alla corte dei conti Guidi di Romena, dalle labbra di Margherita Malatesta, figlia di Paolo.
Dante menziona gli elementi storici seguenti. Francesca, solo personaggio indicato, è nata a Ravenna,
ha avuto una relazione carnale con suo cognato (la
loro presenza nel cerchio dei lussuriosi esprime la
consumazione dell’adulterio) e gli amanti sono stati uccisi da un parente che era ancora in vita nel 1300.
Si sa che Giovanni muore nel 1304.
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Se le cronache del XIV secolo giustificano legalmente il doppio omicidio, conformemente all’idea di giustizia dell’epoca, la Divina Commedia segna, contemporaneamente, l’entrata nella letteratura del tema e una prima discolpa di Francesca.
Nel cerchio dei lussuriosi, il poeta incontra la coppia adultera e convince l’anima di Francesca a confidargli i suoi ricordi. La corte di Rimini diventa
lo scenario di un idillio medievale dove i giovani
scoprono i loro sentimenti leggendo le avventure
di Lancillotto e Ginevra prima di soccombere pugnalati da Giovanni. L’episodio della seduzione di
Francesca non può, ovviamente, aver avuto testimoni e costituisce la principale inventiva di Dante. La giovane morta dell’Alighieri diventa l’incarnazione dell’innocenza nella colpa anche se la condanna teologica resta necessaria. L’approccio umano di Dante si spiega, indubbiamente, per la gratitudine verso il nipote di Francesca, Guido Novello
da Polenta, che gli offre rifugio a Ravenna dopo
l’esilio da Firenze.
Ma la prima grande riabilitazione di Francesca
risale al commento della Divina Commedia ad opera di Boccaccio (1373): ingannata da una cerimonia
matrimoniale celebrata per procura, Francesca pensa di sposare Paolo e non scopre la verità che all’indomani della sua notte di nozze. L’autore del
Decamerone precisa anche che il matrimonio aveva come fine di suggellare l’alleanza ritrovata delle
due famiglie : un elemento storicamente falso (i Polenta e i Maltesta appartenenvano al partito guelfo) a cui si ispirerà sia Silvio Pellico e sia Christen
Ostrowski.
Il tema ha attirato poco il barocco e l’illuminismo, ma conosce un importante ritorno di popolarità all’inizio del XIX secolo. Il romanticismo, affascinato dal cristianesimo e dal medioevo, riscopre Dante e il personaggio di Francesca. L’amore
tragico degli amanti di Rimini risponde perfettamente al gusto delle passioni dell’inizio del XIX
secolo.
*. Katherine Rondou, «Ostrowski, rimorso e pentimento», Prospettiva Persona, 97-98 (2016), pp. 44-48.
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La Francesca da Rimini
di Silvio Pellico
Françoise de Rimini (1838), una tragedia in versi
composta da tre atti, è la prima pièce di Ostrowski. Essa viene ripubblicata nel 1846 e nel 1849 ed
è inserita nel Théâtre complet del polacco nel 1852
e nel 1862, quanto lascia supporre che ci sia stato
un certo successo nel pubblico di quell’epoca. Un
articolo di elogio in La Revue Indépendante, precisa che la pièce sottolinea, di primo acchito, le fonti di Ostrowskli (Dante e Pellico) assieme agli eco
politici della pièce.
Ostrowski dedica il suo teso al poeta e drammaturga francese Casimir Delavigne (1793-1843), di
cui l’opera richiama regolarmente le opinioni politiche liberali. Noi possiamo supporre che Ostroski apprezzava in modo particolare l’autore di La
Varsovienne, una pièce del 1831, dove il francese condanna l’occupazione russa della Polonia. La dedica di Françoise de Rimini prosegue il richiamo degli autori impegnati. «Nonostante il consiglio di
Foscolo», il drammaturgo polacco richiamerà il
destino tragico di Francesca e Paolo ispirandosi alle opere del «prigioniero di Spielberg» (Pellico)
e del «vecchio proscritto di Firenze» (Alighieri).
In un paragrafo, Ostroski convoca due figure emblematiche del Risorgimento e rievoca l’impegno
politico di Dante.
Profondamente deluso dalle speranze e dalle disillusioni che la Rivoluzione francese e Napoleone
hanno sollevato in Europa, lo scrittore Ugo Foscolo (1778-1827) lascia l’Italia nel 1815, per non prestare giuramento al nuovo governo austriaco. Intimo di Pellico, egli lesse la sua Francesca da Rimini nel 1814, ma gli sconsigliò la pubblicazione:
i dannati di Dante avrebbero potuto spaventare i
viventi… Questo spiega perché Ostrowski riprende il tema di Francesca da Rimini, «malgrado il
consiglio di Foscolo». L’italiano muore in Inghilterra e la sua spoglia viene trasferita a Firenze se
non nel 1871.
Silvio Pellico (1789-1854) viene arrestato nel
1820, in qualità di carbonaro. Condannato inizialmente a morte, vede commutata la sua pena nella
prigionia. Viene trasferito in una prigione morava
(lo Spielberg) nel 1822 e ottiene la grazia nove anni più tardi. Diventa rapidamente il simbolo del
patriota martirizzato dai despoti stranieri.
Dante (1265-1321), infine, sostenitore dei guelfi
bianchi e molto coinvolto nella vita politica dell’epoca, lascia definitivamente Firenze dopo la presa
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di potere della fazione nera (1301). Successivamente frequenta diverse corti del nord Italia. Per un
periodo gli viene ridata la scena politica (intorno
al 1310), ma lo scacco del suo partito lo trascina verso la sua condanna a morte per contumacia. Possiamo constatare facilmente come i motivi dell’esilio e delle disgrazie della patria, siano accolti dal
loro lettore, all’interno stesso della narrazione.
Christen Ostrowski s’ispira largamente alla
Francesca da Rimini di Silvio Pellico. Questa pièce,
rappresentata per la prima volta a Milano nel 1815,
riporta un vivo successo. Viene pubblicata tre anni più tardi e tradotta rapidamente. La pièce del
Pellico appartiene, infatti, ai rari adattamenti moderni riusciti di tale materiale. L’italiano riprende
l’antagonismo delle famiglie del Boccaccio, ma sostituisce il matrimonio per procura con un amore
della giovinezza – Paolo e Francesca si sono amati prima del matrimonio della giovane donna – e
supera l’autore del Decamerone nella sua riabilitazione degli amanti. Il loro amore resta casto e i due
giovani muoiono innocenti.
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L’opera di Ostrowski su Francesca
da Rimini
Tranne qualche rara eccezione, la pièce di Ostrowki corrisponde alla traduzione francese dell’opera del Pellico. Agli occhi dell’eroina, il “crimine” è
stato già commesso all’alzarsi del sipario. Francesca ama, suo malgrado, Paolo Maltesta e si rimprovera un idillio platonico al quale ella rinuncia dopo il suo matrimonio, senza spegnere i suoi sentimenti. Nemiche, le famiglie Polenta e Malatesta si
sono per lungo tempo contrapposte, dopo una riconciliazione forzata dal matrimonio di Francesca
(che sperava di entrare in convento) e Giovanni,
davvero innamorato della sua sposa. Durante una
battaglia, Paolo ha ucciso il fratello di Francesca:
Francesco Polenta. È una morte in battaglia che la
giovane donna assimila all’omicidio. Annientato
dai rimproveri di colei che ama, Paolo parte per la
crociata con l’intento di tornare in Italia, degno
del suo amore. L’inizio del primo atto descrive
l’imbarazzo di Giovanni, dilaniato fra il desiderio
di accogliere il fratello, il cui ritorno è imminente,
e la tenerezza per la sua sposa che rifiuta di rivedere
l’assassino di Francesco. Alla scena V del primo atto, Paolo si presenta da anonimo al palazzo col fine
di fare una sorpresa al fratello. Giovanni gli rende
noto il suo matrimonio con Francesca e dell’ostili31
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tà di quest’ultima. Malgrado le proteste fraterne,
Paolo decide di lasciare immediatamente Rimini e
scambia la sua spada con il gladio di Giovanni così da significare, ancora una volta, il loro reciproco
legame. Giovanni, tuttavia, percepisce i sentimenProspettivA
persona
•
• ti dei due giovani. Permette a Francesca di torna99 (2017/1), 30-33 re a Ravenna e imprigiona suo fratello. Ma Paolo
riesce ad evadere dalla sua cella e raggiunge la giovane donna prima della sua partenza per Rimini.
Incapace di nascondere ancora a lungo i suoi sentimenti, Francesca confessa di non aver mai smesso
di amare Paolo. Giovanni sorprende suo fratello e
la sua sposa in colloquio. Pazzo di gelosia li uccide con la spada ricevuta da Paolo prima di essere
stroncato dai rimorsi. Erano innocenti…
Ostrowski riprende le allusioni politiche disseminate già nel testo italiano. La personalità del
Malatesta costituisce un eccellente esempio della sua difesa sottostante. Lungi dall’essere un tiranno sanguinario, Giovanni appare come un uomo valoroso al quale Francesca tenta disperatamente di affezionarsi, specialmente a causa della
benevolenza della gente.
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e sempre queste grandezze di cui il peso sgradito,
senza rendere affascinante l’esilio, ha fatto sorgere la
sua sorte.
E per chi nel sangue andava ad immergersi?
Per un Paleologo! Un despota straniero!
Non hai tu, figlio ingrato, non hai l’Italia
Abbellita dagli stessi doni eterni degli Dèi,
Che contamina, impunemente, la sciabola del Germano?
E a Roma, oggi, non esiste più un romano?
Se l’avido straniero s’arricchisce delle tue lacrime,
A te solo, Paese mio, consacro queste armi,
E colpendo i carnefici per la tua amara perdita,
Ti ridarò i giorni che il tuo seno mi ha donato!
O Paese! Non sei tu la più bella contrada
Che un raggio di sole abbia mai rischiarato?
Non sei tu la patria e il tempio delle arti?
La culla di Catone, la tomba dei Cesari!
Che la mia cenere fedele sia confusa con te;
Tu conservi ciò che ho di più caro al mondo:
Piuttosto che un trono altrove, sotto il tuo cielo
sempre bello,
è qui che voglio meritare una tomba!
Paolo
Ostrowski non toglie nulla al testo del Pellico, ma
Alle sofferenze del popolo [Francesca] ha pensato integra il discorso di Paolo con una critica dell’occumolto,
pazione tedesca. Precisare la base storica che ispira il
E spesso mi diceva, implorando il mio sostegno: drammaturgo italiano non è ovvio, sebbene Ostrowski dia per due volte informazioni complementari.
«Io ti amo Giovanni, perché tu regni per lui!»
Degli elementi politici ricorrenti resta, tuttavia, il
sacrificio per la patria (la morte in battaglia di Francesco), l’esilio e l’occupazione straniera (la crociata di
Paolo). Al suo ritorno a Rimini, il fratello minore
dei Malatesta richiama, con emozione, le battaglie in
Oriente e la nostalgia della madre patria.
Paolo
Paolo affrontò la morte da maestro,
Devastando le città che non conosceva:
Mentre il Pellico non evoca che un vago “ritorno di
Bisanzio”, il polacco precisa che Paolo ha preso parte
a una crociata, al servizio di un imperatore della dinastia Paleologa. Durante la prima scena del primo
atto, si sa, infatti, che Paolo torna a Rimini con «la
flotta bizantina, che riportava i crociati dai mari della
Palestina». Cronologicamente ciò riguarda la crociata del 1270 (la crociata di S. Luigi a Tunisi e di Edoardo d’Inghilterra a Acri) e la crociata di papa Gregorio X, che inviò vari contingenti di cavalieri per la difesa della Terra Santa, fra il 1271 e il 1275. Alla quin-
Figura 1: Dante Gabriel Rossetti, Paolo e Francesca da Rimini, 1855
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ta scena del primo atto, Ostrowski mette Paolo sotto
l’autorità di un sovrano Paleologo: Michele VIII Paleologo succede a Giovanni IV Lascaris nel 1261 e regnò fino alla morte avvenuta nel 1282. Suo figlio, Andronico II Paleologo, sale sul trono. Michele VIII riconquista Costantinopoli ai Latini nel 1261 e deve far
fronte a dei conflitti politici con l’Occidente. I disordini nelle provincie dell’Asia Minore, si manifestano
alla fine della sua vita e riguardano, piuttosto, il regno
di Andronico II. Egli richiede, in effetti, un aiuto straniero: nel 1304 cinquemila o seimila Catalani liberano
rapidamente una parte dell’Asia Minore.
La mancanza di precisione delle allusioni storiche
contenute nella replica di Paolo Malatesta, non ci permette di identificare con certezza un preciso conflitto.
Non pensiamo, d’altra parte, che sia questo il disegno
degli autori. Pellico e successivamente Ostrowski, cerca prima di tutto di evocare, tramite i combattimenti
lontani di Paolo, la violenza delle guerre e la nostalgia della patria. Notiamo, in questo preciso caso, una
reale qualità dell’adattamento di Ostrowski. Con un
procedimento particolarmente sintetico (il semplice
ricorso al termine “crociata”), il polacco
– evoca lo sfondo delle Chansons de toile e dà forza
all’idillio cortese di Dante;
– valorizza Paolo che da “semplice cavaliere”, diventa difensore della fede cristiana; e
– rinforza il motivo dell’innocenza, poiché la crociata permette infatti di guadagnare la salvezza (ricordiamo che Paolo desidera espiare per la morte di
Francesco).
Come si è già detto precedentemente, Ostrowski
completa il testo del Pellico attraverso una rapida allusione ad una occupazione “germanica” di Roma. Il
conflitto che oppone il papato a Federico II risale alla
prima metà del XIII secolo. La morte dell’imperatore,
nel 1250, seguita dalla morte di suo figlio e di suo nipote, porta alla fine della dinastia Hohenstaufen. Alla fine del XIII secolo l’avversario del papa non è più
l’imperatore (l’Impero è in piena ricostruzione), ma
il re di Francia. La distorsione cronologica di Ostrowski si giustifica molto facilmente. L’allusione ai vent’anni di conflitto fra il papa e Federico II permette al
drammaturga di denunciare, fra le righe, la presenza
austriaca sul territorio italiano.
Il dramma del 1838 propone ancora due modifi-
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cazioni interessanti: una variante nella scelta del libro che risveglia i sentimenti di Paolo e Francesca, e
un ricordo dei dolori dell’esilio, assente nel testo del
Pellico.
Nella pièce di Ostrowski, infatti, non è la narrazione degli amori di Lancillotto e Ginevra che permette ai due amanti di prendere coscienza dei loro
sentimenti, ma la Divina Commedia stessa.
Paolo
Sì, le rime di Dante!
Sei tu, mio vecchio proscritto, dalla lira stridente,
Giovane ancora, m’annunciavi i mali di cui ho
sofferto:
Esiliato, come me, tu cantavi gli inferni,
Mendicando il disprezzo, di riva in riva,
E l’ospitalità, peggio della schiavitù!
Tu sapevi, come me, se il cuore sia leggero
Nell’istante in cui si attraversa il suolo straniero!
PP
Questa scena, dove Paolo riceve, dal suo vecchio
scudiero, la lettura che condividerà con Francesca,
non appare nel Pellico. La sostituzione non è gratuita
e permette a Ostrowski di ricordare l’esilio di Dante
e, in generale, la sofferenza del patriota privato della
sua terra natale. Alla scena IV del secondo atto, Ostrowski si riannoda alla tradizione (e con la versione del
Pellico): Paolo ricorda a Francesca la loro lettura degli
amori di Lancillotto e Ginevra.
Infine, nel lungo dialogo che precede la morte degli amanti, il Paolo di Ostrowski si lamenta: «Se
voi sapeste che giorni terribili e tristi / Sono i giorni
di un proscritto». Un’ultima evocazione dei dolori
dell’esilio, assente nel testo italiano.
Né semplice traduzione, né creazione originale, la
Françoise de Rimini di Christen Ostrowski sembra
piuttosto come un adattamento francofono, leggermente rimaneggiato, della pièce di Silvio Pellico. Il testo del 1815, con le sue qualità letterarie e la sua arringa patriottica, non poteva che affascinare il drammaturgo polacco, profondamente ferito dalla rivoluzione fallita del 1831. Guidato dal canovaccio del Pellico, Ostrowski si permette alcune aggiunte che rinforzano l’espressione del suo dolore da esiliato, senza
nuocere alla coesione dell’insieme. Inoltre, l’integrazione delle battaglie orientali di Paolo in una crociata,
serve alla struttura del racconto. In breve, se Ostrowski giunge a inserire armoniosamente le sue rivendicazioni politiche nella Françoise de Rimini, lo deve
indubbiamente al modello proposto da Silvio Pellico.
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