Essere / Non-essere. Emanuele Severino lettore di Parmenide

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Morselli - Essere / Non-essere. Emanuele Severino lettore di Parmenide
Graziella Morselli
Essere / Non-essere
Emanuele Severino lettore di Parmenide
1. Uscire dalle trappole
Il pensiero di Emanuele Severino si presenta irto di difficoltà perché apparentemente non fa che ruotare intorno al concetto
dell'essere inoltrandosi sempre più a fondo sulle strade dell'astrazione. A molti questo sembra in realtà un discorso allusivo e per
questo vanno alla ricerca di astrusi contenuti del simbolico dilemma, degno di Amleto, dell'essere o non essere. Basterà una piccola
premessa per intraprendere un percorso più concreto.
Ricordiamo semplicemente che sappiamo usare il termine essere declinandolo come verbo che indica l'esistere o il consistere, o
come copula di predicati in tutti i casi in cui vogliamo indicare qualità o forme o modi di qualcosa. E' soltanto quando lo usiamo con
l'articolo (l'essere) che tale termine prende il significato del verbo sostantivato e presenta più di una trappola: anzitutto le trappole
filosofiche del dare realtà a concetti astratti, in secondo luogo quelle linguistiche dell'omissione o dell'abbreviazione, per cui se
vogliamo indicare un vivente lo facciamo diventare semplicemente uno dei tanti enti, oppure se ci riferiamo a qualcuno o qualcosa
di non vivente lo lasciamo scambiare con un fantasma.
In tal modo ne viene compromessa la possibilità di comprensione delle opere di Severino. Sottrarci a queste trappole è possibile se
abbiamo cura, leggendo, di accompagnare la parola essere alle funzioni che assume in quanto verbo e scopriamo così che essa può
significare qualcosa che ci sta (o ci è stato o ci sarà) dinnanzi, oppure un pensiero, un concetto, un'idea che fa parte del discorso che
stiamo conducendo: nel primo caso si tratterebbe di una realtà percepibile che esiste (o è esistita o esisterà) ed è da confrontare ai
nostri sensi, e nel secondo caso di un'astrazione che merita di essere sottoposta ad esame per passare dall'astratto al concreto.
Per fare due esempi, il primo è semplice, addirittura povero, se possiamo tradurre l'espressione ?verità dell'essere? con ?verità di ciò
che è?. Il secondo si basa su di una frase del nostro filosofo (leggibile in Ritornare a Parmenide): ?L'essere è immutabile non in
quanto universale, ma in quanto essere, e pertanto è immutabile ogni aspetto dell'essere, la più irripetibile individualità non meno
dell'universale?, che può diventare quest'altra frase: ?Tutto ciò che è o esiste, è immutabile non in quanto universale, ma in quanto
consiste nella propria identità, ovvero permane identico a se stesso, e pertanto è immutabile ogni aspetto di ciò che è o esiste, la più
irripetibile individualità non meno dell'universale?
2. I due filosofi dell'essere
A questo punto ripetere con Parmenide, come fa Severino, che l'essere è e il non essere non è sembra portarci sul terreno ridondante
della tautologia, se non su quello banale della constatazione ingenua, ma al tempo stesso, come astrazione da concretare, rivela una
certezza a proposito delle ?cose?che vediamo (o pensiamo) o no: che l'affermarle e il negarle vanno sempre tenuti distinti e che
pensarli insieme porta ad annullare il senso. Quando ci succede di confonderli? Succede quando mettiamo insieme l'opinione che le
cose possano venire dal nulla con la convinzione che esse siano destinate a ritornare nel nulla, a sparire, a morire, in poche parole
vediamo tutto (gli eventi, le persone, le esperienze, il passato e il futuro, le idee, e tutte le realtà materiali e non) originare da un
passato di inconsistenza e avviarsi ad un futuro di dissoluzione: allora ogni cosa nella sua precarietà vale per noi molto poco, anzi
niente. Pensare ogni cosa in senso positivo, invece, vuol dire portare alla luce, razionalizzare, rendere chiara l'idea che ne abbiamo, e
difenderla da ogni forma di scetticismo, che per lo più rivela una sfiducia nel nostro stesso pensiero.
Come dobbiamo intendere l'insistere di Severino sul termine essere, nonché il suo riferimento a Parmenide? Il pensatore antico con il
proemio del suo poema, intitolato ?Sulla natura?, voleva consolidare la constatazione della realtà delle cose difendendola dallo
scetticismo, e dal dissolvimento di ogni norma, effetti che ai suoi tempi accompagnavano l'abbandono dei miti e del timore degli dei.
In un certo senso era come se avesse voluto incidere nel marmo la sua affermazione del positivo ?ciò che è, è, e sempre è stato, e
sempre sarà?, scolpita nella raffigurazione del ?puro Essere?, uno, intero ed immutabile.
Tuttavia, osserva Severino, questa sua certezza non dava alcuno spazio al molteplice delle differenze che appaiono e scompaiono in
un continuo divenire, di cui lui stesso scriveva ma che considerava oggetto di opinioni fuggevoli e di scarso peso. Perciò per
Parmenide la filosofia vera poteva parlare solo della totalità perché le singole cose separate dal Tutto non avevano verità. A parlare
del mondo naturale, come facevano altri filosofi che l'avevano preceduto o suoi contemporanei, o come lui aveva fatto nel suo stesso
poema, non poteva che essere l'opinione, esercizio mutevole e senza fondamento perché derivato dalla sensazione, dall'intuizione,
dalla percezione.
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3. La civiltà della tecnica
Rispetto al questa convinzione di Parmenide Severino avverte che la presunzione di guardare al Tutto nasconde una contraddizione,
perché noi vediamo una parte della realtà e la scambiamo con la totalità. Per liberare la mente da questa contraddizione occorre
tenere sullo stesso piano la visione del Tutto indeterminato e quella delle sue determinazioni. Ciò vuole esprimere la certezza che
cose, persone, idee, eventi appartengono tutte al discorso di ciò che esiste, in quanto modi che appaiono e scompaiono secondo
innumerevoli determinazioni senza intaccare la pienezza del Tutto, loro eterno e positivo insieme. Se questo merita il nome di
Essere, quelle sono raccolte nel tutto e vi rimangono, anch'esse eterne e degne di venire considerate nella positività dei tanti volti che
assumono, appartenendo ad un altro aspetto della realtà, che prende il nome di Essere diveniente, e che occorre distinguere
dall'Essere immutabile.
Per contro il negativo del Tutto, il non essere che non è, non può esser detto se non nella forma del Niente, forma vuota e
indeterminabile, di cui non è possibile alcun discorso.
Ma è stata la stessa filosofia, dopo Parmenide, a dare inizio all'unione del Niente con l'Essere, poiché ha affermato, da Aristotele in
poi, che l'essere è quando è, e il non-essere non è quando non è: così ha negato la realtà dell'Essere immutabile ed eterno e affermato
che esso talora è, e talaltra non è. Questa convinzione circa l'annullamento delle cose, secondo Severino, ha dominato la mentalità e
l'azione dell'Occidente, che dalla Grecia in poi ha sviluppato le diverse tecniche: così ha moltiplicato e accelerato il processo
dell'annullamento, poiché la tecnica è una potenza in grado di produrre tutto come di distruggerlo.
Trovandoci immersi in questo dominio del nichilismo, noi viviamo nella civiltà della tecnica, ossia nella cultura e nella pratica che si
affidano ai ritrovati che la scienza mette a disposizione giorno dopo giorno per migliorare la nostra vita, ma ancor più alle risorse
tecnologiche destinate all'immane compito della soluzione dei problemi umani. Ma il problema che la tecnica non può risolvere,
perché è la stessa tecnica a crearlo, è quello che nessuno dei suoi grandi progressi riesce a rassicurare gli esseri umani che prima o
poi non stia per crollare il sistema stesso, e che nella strada imboccata verso il successo in questo o quel settore non stia per
spalancarsi l'abisso di qualche cataclisma.
Prendendo ad esempio la crescente riduzione, nel mondo attuale, del sistema sociale del capitalismo alla sua globalizzazione tecnica
in forma economico/finanziaria, Severino ne individua il declino inesorabile nella contraddizione tra la volontà capitalistica di
perpetuare la scarsità delle merci (per incrementare il profitto) e la volontà tecnologica - che è propria del mezzo di cui la volontà
capitalistica si serve ? di incrementare all'infinito la potenza e quindi di ridurre e al limite eliminare quella forma di impotenza che è
la scarsità.
I successi della tecnica, del resto, non possono rassicurarci perché, anche se forniscono le soluzioni più utili e funzionali, in realtà
non risolvono le contraddizioni più profonde, e non rispondono alla domanda di verità che assilla ogni uomo. Tanta e tale è questa
inquietudine, asserisce Severino, che la civiltà della tecnica non può che aprire agli occhi di tutti il vuoto del nulla di cui si
occupano, e in definitiva preparare la strada alla ricerca delle risposte: già ne vediamo i sintomi nella domanda di filosofia che il
pubblico oggi esprime (e le pagine di Diogene lo confermano). Sapendo che è la filosofia a porre sempre e in ogni caso la domanda
di verità e che essa, dopo la fine delle ideologie e il declino delle religioni, è per eccellenza l'attività umana che tenta di rispondervi,
si spiega con evidenza il sorgere da ogni parte del bisogno di filosofare ?come fatto sociale, come occupazione primaria dell'uomo?
(La parola di Anassimandro)
4. Il sapere da conquistare
Qual è l'obiettivo che le domande della filosofia perseguono? Per quanto diversi siano i temi di cui si occupano, il loro obiettivo
rimane quello di impadronirsi del senso autentico delle cose, pur nelle infinite contraddizioni che costellano il cammino umano e
l'ostacolano. Ma Emanuele Severino colloca qui, in questa dimensione della ricerca filosofica, l'inizio del cammino sul ?sentiero del
Giorno?, come si esprime riprendendo il riferimento a Parmenide, per il quale il bivio tra i due sentieri, della Notte e del Giorno,
rappresentava il bivio tra l'errore e la verità.
Dopo avere dimostrato e variamente sottolineato come la filosofia occidentale da Platone in poi non abbia fatto che sviluppare la
metafisica in quanto filosofia del nichilismo, il nostro pensatore conclude che ?la potenza del pensiero metafisico non si trova più
nei libri dei filosofi, ma nei grandi urti delle forze mondiali, nella tensione determinata dalla possibilità che un conflitto atomico
distrugga l'umanità, nella trasformazione del mondo? (Il sentiero del Giorno, XXXI).
Per contro, egli precisa, solo nel pensiero filosofico che testimonia la verità dell'Essere è possibile la trasformazione del mondo
attuale. Infatti, la storia in cui viviamo determina per ogni popolo la misura del suo rapporto con questa verità: l'apparire totale di
questo rapporto è dato da una rivelazione infinita del sapere autentico, così come si compie nei diversi popoli e lungo le diverse
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epoche. La verità si lascia scoprire come sfondo di ogni apparire perché è all'uomo che la verità compete, in quanto è per mezzo
suo, di colui che può coglierne il senso, che essa appare eternamente. In questo apparire della verità l'uomo vive la vita degli dei.
?Il singolo non è lasciato indietro dal compimento, o ciò che è lasciato indietro è il singolo come determinazione empirica. Io non
sono una determinazione empirica, ma l'attuale ed eterno apparire dell'essere; e nel contenuto dell'apparire attuale si riflette ogni
compimento, giacché se l'essere è circondato da altre luci, oltre a quella in cui consiste l'apparire attuale, il contenuto attuale resta
determinato dal modo in cui l'essere viene svelato dalla totalità delle luci.?(Il sentiero del Giorno, IX).
Sullo sfondo della verità ognuno partecipa quindi al processo della rivelazione del Tutto, che è il processo del tempo e della storia.
Ma nella normale esistenza prevalgono le contraddizioni e la vita nella contraddizione è vita alienata. Infatti, ogni volta che nel
movimento del pensiero (o meglio dell'apparire) si nasconde una parte della ricchezza della verità allora ciò che appare è finito,
limitato, parziale e facilmente genera contraddizioni. Viviamo nella contraddizione se ci limitiamo al nostro apparire come esseri
finiti nello infinito del Tutto.
Severino dà il nome di terra a questa condizione posta tra il finito e l'infinito, e sottolinea che se vediamo la terra come la totalità di
ciò che appare la isoliamo dalla verità, e vedendola come la sola regione sicura finiamo col pensare il Niente. Così la vita normale
dell'uomo è oppressa dalla sollecitudine per la terra, ossia dai problemi quotidiani delle tante faccende che lo occupano. E apparendo
a se stesso come una delle cose della terra si vede esposto al nulla, all'annientamento, egli sa di avere un corpo e che questo corpo è
mortale. ?Ponendo la terra come la regione sicura dell'ente, l'uomo diventa un mortale, diventa cioè una delle cose della terra la cui
nientità è pensata e voluta.? (La terra e l'essenza dell'uomo, XI)
Al termine del cammino sul sentiero del giorno appare ?la terra che salva?, ovvero appare ?la totalità delle relazioni necessarie che
unisce ogni essente ad ogni altro?(Oltrepassare, X) totalità che quindi va ben oltre i limiti della vita e delle cose. In tale condizione
suprema ogni popolo conquista la visione dei nessi che legano tutti gli aspetti della realtà, superando le contraddizioni che li
separano. E' in questo traguardo, dinnanzi al compimento del destino della verità, che risplende la gioia come gioia eterna
dell'umanità. ?Noi siamo la Gioia, noi, i mortali, cioè i luoghi in cui appare il contrasto tra il destino e l'isolamento della terra? (La
Gloria, XII)
5. Citazioni da testi di Severino
Da Il sentiero del giorno, testo contenuto in Essenza del nichilismo, Adelphi, Milano 1982.
Quando il nichilismo è soltanto un modo di pensare (ossia è metafisica), la negazione del nichilismo consiste nella negazione che
l'essere sia niente. Ma quando il nichilismo diventa prassi, appare allora una civiltà - la quale appare, proprio perché la prassi è
dominata dal pensiero che l'essere sia un niente. Il nichilismo è ora questa civiltà, e la negazione del nichilismo non può più
compiersi attraverso il semplice riconoscimento che questa civiltà è un identificare l'essere al niente. Se ci si ferma a questo
riconoscimento, lasciando che questa civiltà continui ad apparire, il nichilismo non è negato (ossia è negato in modo semplicemente
formale), la verità si lascia ancora accanto la propria negazione. Questa negazione è diventata l'apparire della civiltà occidentale, sì
che la verità, come negazione della propria negazione, implica lo scomparire di questa civiltà.
Sin tanto che i popoli non portano a compimento questa apparizione ? sin tanto cioè che non portano a compimento l'apparire
dell'essere lungo il sentiero del Giorno ? la verità vive come negazione di se medesima, vive nell'errore, e la salvezza le resta
costitutivamente preclusa. Ma i popoli possono inoltrarsi per il sentiero del Giorno, solo se la verità incomincia a levare la sua voce
nel deserto, ad avvertire che l'essere è stato tradito.
Da Ritornare a Parmenide, in "Rivista di filosofia neo-scolastica", 1964
L'essere, tutto l'essere è; e quindi è immutabile. Ma l'essere, che è manifesto, è manifesto come diveniente. Dunque (e cioè proprio
perché è manifesto come diveniente) questo essere manifesto è, in quanto è immutabile, (e immutabile deve essere anch'esso, se è
essere), altro da sé in quanto diveniente. O anche: dunque, questo essere manifesto, in quanto immutabile si libra, in compagnia di
tutto l'essere, al di sopra di sé in quanto diveniente. O anche: dunque la totalità dell'essere (e quindi anche l'essere manifesto, in
quanto esso è l'essere) in quanto immutabile si raccoglie e si mantiene presso di sé, formando una dimensione diversa da quella
dell'essere in quanto diveniente,e cioè formando quel regno ospitale dove l'essere resta custodito per sempre e per sempre sottratto
alla rapina del nulla. O ancora (sempre insistendo in questo sguardo sulla verità dell'essere): questo color verde della pianta che c'è
lì fuori è essere, e in quanto essere è immutabile, eterno (non esiste un tempo in cui non era e non sarà); eppure questo stesso color
verde è nato appena ora, quando il sole ha incominciato a illuminare la pianta che prima era in ombra; e ora non è già più, dopo che
ho spostato il capo e lo vedo in una prospettiva diversa. Questo ´stesso´ colore (ma poi tutta la sterminata serie di eventi di cui si fa
esperienza) è dunque, in quanto essere, immutabile, ed è manifesto come diveniente. Ciò significa che lo ´stesso´ (questo colore) si
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differenzia; e cioè che in quanto immutabile si costituisce come e in una dimensione diversa da sé in quanto diveniente. Questa
differenza, che è l'autentica ´differenza ontologica´ è richiesta dal fatto (ché appunto di un fatto si tratta) che ´il medesimo´ sottosta a
due determinazioni opposte (immutabile, diveniente) e quindi non è medesimo ma diverso (ossia questo colore eterno non è questo
colore che nasce e perisce).
Da Oltrepassare, Adelphi, Milano 2007
Ciò significa che la verità ? l'apparire dell'esser sé dell'essente ? è e appare, solo in quanto la sua negazione , cioè l'errare, è e appare.
L'errore è il nulla; l'errare è l'essente in cui consiste il positivo significare del nulla.
Da La Gloria, Risoluzione di destino della necessità, Adelphi, Milano 2001, p. 245
Ogni divenire è il toglimento di una contraddizione, perché?ogni divenire è divenire di un eterno, ossia è il sopraggiungere, nel
cerchio dell'apparire, di un essente, cioè di un eterno che ancora non appariva.
Da Capitalismo senza futuro, Rizzoli 2012
Riguardo al rovesciamento in cui l'economia, da mezzo della politica ne diventa lo scopo, il conflitto sussiste tra le diverse volontà
delle forze politiche, ognuna delle quali per prevalere sulla altre, deve potenziare sempre di più i mezzi economici da essa gestiti.
E?.nel rovesciamento relativo alle volontà delle diverse forze (capitalismo, comunismo cinese, democrazia, islam, cristianesimo) che
oggi credono ancora di potersi servire della tecnica (e l'URSS lo credeva fino a ieri), il conflitto sussiste tra queste volontà. Il
conflitto è contraddizione. E' il contraddirsi di un certo stato di cose che si manifesta, uno stato del mondo sensibile, della mente che
vuole, di una certa situazione storica. L'unità in cui pur sempre si costituisce il conflitto delle volontà è cioè una situazione unitaria al
cui interno ogni volontà vuole peraltro qualcosa che è in contraddizione con ciò che è voluto dalle altre?.sì che l'apparire del
conflitto, cioè della contraddizione tra le forze che oggi intendono servirsi della tecnica come mezzo, è la forma più potente di
previsione del futuro del mondo: la previsione, appunto, dove la tecnica è destinata a diventare, da mezzo, lo scopo di ogni agire
dell'uomo, e quindi anche lo scopo di tali forze, qualora esse permangano dopo questo rovesciamento.
6. Consigli di lettura
- Emanuele Severino, La struttura originaria, Adelphi, Milano 1958.
E' il testo della svolta ontologica, dove per la prima volta il filosofo affronta il problema di come parlare della realtà,
testimoniandone l'aspetto positivo opposto ai mutamenti delle cose, al loro annientamento e alla morte. Infatti, nel cap. XV, § 6, si
afferma: « [?] il principio di non contraddizione non esprime semplicemente l'identità dell'essenza con se medesima [?], ma
l'identità dell'essenza con l'esistenza [?] ».
- E. Severino, Essenza del nichilismo, Adelphi, Milano 1982.
Comprende circa dieci testi diversi, che ribadiscono il discorso iniziato nel 1958 e lo arricchiscono di ulteriori concetti come quelli
di ?eternità dell'apparizione di ogni essere?, di ?isolamento della terra? e del ?Tutto dove è tolta ogni contraddizione?.
- E. Severino, Capitalismo senza futuro, Rizzoli, Milano 2012.
Tra i molti suoi scritti che hanno come tema l'attualità politico-economica, questo libro di Severino raffigura la crisi del nostro
presente come il momento del passaggio dalla globalizzazione economica a quella tecnologica, dove si profila quel trionfo e insieme
declino della tecnica che preluderà ad un diverso ordine non nihilistico delle cose.
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