Rivoluzione Keynesiana

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Tempi e Metodi di Giorgio Andreani – Servizi di Controllo e di Organizzazione dei Processi Produttivi
Tempi e Metodi di Giorgio Andreani
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Giorgio Andreani
Castelnuovo del Garda, 05 agosto 2016
Rivoluzione Keynesiana
Un mio piccolo contributo . . . leggendo qua e là . . .
John Maynard Keynes è stato un economista britannico e, come tale, viene considerato uno
dei più grandi del XX secolo. I suoi contributi alla teoria economica hanno dato origine a quella
che è stata definita “rivoluzione keynesiana”. Con la sua teoria, infatti, sovverte l’idea ottimistica
degli economisti classici e neoclassici, che sostengono che il sistema economico capitalistico è
sempre in grado di riequilibrarsi automaticamente e di garantire la massima occupazione
possibile. Egli invece afferma la necessità dell'intervento pubblico nell'economia con misure di
politica fiscale e monetaria, qualora un’insufficiente domanda aggregata non riesca a garantire la piena occupazione.
Secondo Keynes:
 La propensione al risparmio cresce in modo più che proporzionale al crescere del reddito nazionale ed
inoltre gli imprenditori convertono i profitti realizzati in investimenti qualora nutrano aspettative positive per il
futuro. Perciò è possibile che parte della produzione rimanga invenduta e che, successivamente, per smaltire le
eccedenze sarà necessario ridurre la produzione, con conseguente calo dell’occupazione;
 Le eccedenze produttive non vengono assorbite velocemente dal sistema economico in quanto nella realtà
i prezzi non sono flessibili verso il basso, per cui l’eccedenza di offerta non fa scendere i prezzi, stimolando in tal
modo una maggiore domanda; le imprese per smaltire le eccedenze preferiscono ridurre i livelli produttivi piuttosto
che diminuire i prezzi dei prodotti; analogamente, in caso di disoccupazione, i sindacati si rifiutano di consentire
la riduzione dei salari per stimolare una maggiore domanda di lavoro da parte degli imprenditori; i prezzi dei beni
e del lavoro scendono solo dopo molto tempo con il protrarsi e l’aggravarsi della crisi;
 Poiché gli investimenti privati dipendono dalle aspettative future, se queste non sono buone, gli investimenti
non vengono realizzati; in tal caso i disoccupati non trovano lavoro non perché non accettano il salario di mercato
(come sostenevano gli economisti neoclassici), ma perché la carenza di investimenti determina il bisogno di minor
domanda di lavoro da parte degli imprenditori; pertanto la disoccupazione può anche essere involontaria.
In sintesi, per la teoria keynesiana più cresce il reddito nazionale e maggiore è il rischio di crisi di sovrapproduzione;
il sistema capitalistico non smaltisce le eccedenze in breve tempo e c’è pertanto il rischio che la disoccupazione
involontaria cresca rapidamente.
Per stimolare gli investimenti privati e dare avvio alla ripresa economica e occupazionale attraverso il meccanismo
del moltiplicatore degli investimenti occorre migliorare le aspettative degli imprenditori di poter vendere la propria
produzione. Ciò è possibile attraverso l’aumento della spesa pubblica (es. creazione infrastrutture) e/o la riduzione del
prelievo fiscale (si tratta della cosiddetta politica del deficit-spending) a carico delle famiglie e delle imprese, che pertanto
hanno maggior reddito disponibile per i consumi privati e per gli investimenti (stimolati dall’aspettativa degli imprenditori
di dover pagare minori imposte sui profitti realizzati).
Così cresce la domanda di beni, per cui gli imprenditori realizzano investimenti e quindi cresce l’occupazione. In
sintesi, per la teoria keynesiana l’intervento dello Stato attraverso la politica di bilancio è essenziale per garantire il
superamento delle crisi economiche.
Un mio piccolo contributo . . . leggendo qua e là . . .
Giorgio Andreani
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