LA TEORIA DELLA RELATIVITÀ GENERALE

For the English version see below, after the Italian one.
LA TEORIA DELLA RELATIVITÀ GENERALE
di Leonardo Rubino
[email protected]
Pubblicata su www.fisicamente.net
Maggio 1993 – Rev. 00
Giugno 2011 – Rev. 01
Agosto 2011 – Rev. 02
Indice:
-Indice.
-Introduzione.
Pag.1
Pag.2
-Capitolo 1: Premesse di Geometria.
Par. 1.1: Formalismo, lunghezze di archi e aree di superfici curve.
Par. 1.2: Geometria differenziale di base.
Par. 1.3: Geometria differenziale dello spazio.
Pag.4
Pag.4
Pag.7
Pag.10
-Capitolo 2: Le grandezze salienti della Teoria della Relatività Generale.
Par. 2.1: Concetti introduttivi sulla Relatività Generale.
Par. 2.2: Sul tensore metrico ed altre grandezze salienti.
Par. 2.3: Sulla Trasformazione di Lorentz in Relatività Generale.
Par. 2.4: Il 4-vettore Momento-Energia ed il Tensore Momento-Energia.
Par. 2.5: Idrodinamica relativistica.
Par. 2.6: L’Equazione della geodetica.
λ
Par. 2.7: La relazione tra g µν e Γµν
.
Pag.17
Pag.17
Pag.19
Pag.24
Pag.25
Pag.28
Pag.29
Pag.30
Par. 2.8: Il limite Newtoniano.
Par. 2.9: Il Tensore di Curvatura di Riemann-Christoffel.
Pag.30
Pag.31
-Capitolo 3: Le Equazioni del Campo Gravitazionale di Einstein.
Par. 3.1: Le dieci Equazioni del Campo Gravitazionale di Einstein.
Pag.33
Pag.33
-Capitolo 4: Tests classici della teoria di Einstein.
Par. 4.1: La metrica.
Par. 4.2: La soluzione di Schwarschild.
Par. 4.3: Le equazioni generali del moto.
Par. 4.4: La deflessione della luce da parte del Sole.
Par. 4.5: Calcolo alternativo della deflessione, con profili di antagonismo alla TRG.
Par. 4.6: La precessione del perielio dei pianeti.
Pag.35
Pag.35
Pag.36
Pag.37
Pag.38
Pag.40
Pag.42
-APPENDICI.
Appendice 1: La Teoria Della Relatività Ristretta.
Appendice 2: Come io vedo l’Universo (Unificazione Gravità Elettromagnetismo).
Pag.45
Pag.45
Pag.70
-Bibliografia.
Pag.87
La cosa più vicina all’intelligenza è la semplicità.
Introduzione.
La Teoria della Relatività Generale (TRG) è un’estensione della Teoria della Relatività
Ristretta (o Speciale) (TRR) esposta in App. 1, necessaria ad Einstein per spiegare la
Gravitazione. Il termine gravità richiama il termine accelerazione; vedremo infatti al Par.
2.1 che, laddove coi sistemi di riferimento c’è accelerazione, rotazione e gravità, la metrica
non è più semplice come nella TRR.
Inoltre, la TRG spiega la gravità come una curvatura dello spazio, o meglio, dello spaziotempo (spazio-tempo matematico, nell’opinione di chi scrive) determinata dalla materia (e
dall’energia!) immersa in tale spazio-tempo. E’ un po’ come quando, ad esempio, si pone
una sfera di piombo su un materasso: in prossimità della sfera si ha uno sprofondamento
ad imbuto e in tale zona il materasso appare incurvato. Potremmo dunque dire che tale
area di materasso incurvato è il campo gravitazionale della sfera di piombo. Se ora
lanciamo un pallino sul materasso, lo stesso, attriti a parte, procederà, indisturbato, di
moto rettilineo uniforme sul materasso piatto, finchè, avvicinandosi all’area incurvata e
sprofondata, non inizierà ad accelerare (cadere) verso la sfera di piombo.
La materia, nella TRG, ha lo spazio-tempo come binari su cui muoversi; se dunque questi
vengono incurvati, le traiettorie seguite dalla materia saranno curve.
Se poi la sfera è così massiva da sprofondare completamente nel materasso, allora
l’imbuto diventerà una sacca strozzata, ciò che chiameremmo buco nero, e dalla stessa
non uscirebbe più neanche la luce.
In TRG vale poi il Principio di Equivalenza, secondo cui un campo gravitazionale può
essere annullato da una accelerazione e non è dunque possibile distinguere, in senso
assoluto, una accelerazione da un campo gravitazionale. Si immagini infatti l’Ascensore di
Einstein, in cui una persona ferma ad un piano grava ovviamente sul pavimento
dell’ascensore col suo peso; se però tagliamo il cavo dell’ascensore, questo inizierà a
trovarsi in caduta libera nel campo gravitazionale terrestre e l’uomo all’interno galleggerà
come in un’astronave priva di gravità, poiché lui cade e l’ascensore pure e il pavimento di
quest’ultimo gli sfuggirà sempre da sotto i piedi. Dunque, una accelerazione, quella di
caduta, ha annullato l’effetto della gravità; e contemporaneamente, ad ascensore fermo,
la persona all’interno, invece di concludere che era fermo e sospeso in un campo
gravitazionale (gravando coi piedi sul pavimento) poteva anche concludere che non vi era
nessun campo gravitazionale, ma che l’ascensore stava accelerando verso l’alto, spingendo
sotto le suole delle sue scarpe.
Con l’esempio del materasso abbiamo introdotto il concetto di curvatura dello spaziotempo (matematico) causato dalla materia/energia. L’equazione tensoriale, che noi qui
dimostreremo, che esprime appunto la corrispondenza tra materia/energia e curvatura è
l’Equazione tensoriale del Campo Gravitazionale di Einstein:
Rµν −
1
g µν R = −8πGTµν
2
Il primo membro, tutto in R, ad indicare “raggio di curvatura”, esprime appunto le
caratteristiche geometriche dello spazio contenente materia/energia, e l’entità di tale
materia/energia è invece data dal secondo membro, col tensore momento-energia Tµν , il
quale, come vedremo, in alcune sue componenti è, ad esempio, proporzionale alla densità
ρ ecc.
Forse solo nell’opinione di chi scrive (in quanto il concetto che segue, così come tante altre
cose, non l’ho mai letto su nessun libro) anche l’equazione di Newton sul campo
gravitazionale esprime una corrispondenza tra caratteristiche geometriche dello spazio e
presenza di materia:
r
r d 2r
r
Mm
a = 2 , ma = −G 2 rˆ , →→→
dt
r
2r
d r
M
→→→ 2 = −G 2 rˆ
dt
r
r
d 2r
infatti, il primo membro dell’ultima equazione, ossia
, ossia la derivata seconda della
dt 2
posizione spaziale nel tempo, è appunto una caratteristica geometrica dello spazio, mentre
M
il secondo membro − G 2 rˆ ci informa sull’entità di M!
r
Sin dalla sua nascita, ufficialmente nel 1916, la TRG è sempre stata vista da molti con
perplessità, in quanto in essa la complessità, sia matematica che concettuale, non manca
proprio e dunque sostenere che così tante ipotesi e così tanti calcoli conseguenti possano
portare ad equazioni che siano sempre ben salde alla realtà, qualche volta ha portato più
di qualche critico a definirla una teoria un po’ azzardata (weird, in inglese).
I tests classici del Cap. 4 sono incoraggianti in senso opposto, anche se pure lì le
premesse, le supposizioni ed i calcoli non scarseggiano e poi, ad esempio, nel calcolo della
deflessione della luce delle stelle ad opera del Sole, durante una eclissi nel 1919, la
precisione di misura forse era parecchio vicina al valore misurato. Ed esistono poi
spiegazioni alternative ed antagoniste alla TRG per spiegare deflessione della luce e
precessione del perielio dei pianeti.
Nell’opinione di chi scrive, la TRG è sicuramente una splendida e meravigliosa teoria fisico
matematica, più matematica che fisica, forse la più bella che c’è, ma è altrettanto vero che
contiene profili appunto un po’ azzardati. Penso che la TRG sia la classica teoria
falsificabile alla Popper, un po’ come un modello interpretativo che va bene per spiegare
parecchi fenomeni, ma che però non è l’essenza piena del fenomeno spiegato. E poi,
supposta la realtà dell’interpretazione geometrica della curvatura, resterebbe da spiegare
come mai la materia la causa; sì, la causa, ma perché? Constatare non equivale
pienamente a spiegare ed a giustificare ed a rendere plausibile.
Nella TRG la gravità è solo attrattiva ed Einstein, nella sua Teoria dei Campi Unificati,
riassumendo un po’, dopo aver utilizzato il concetto di curvatura in TRG per spiegare
l’attrazione gravitazionale, utilizzò il concetto di torsione per tentare di spiegare anche le
forze repulsive dell’elettricità. Purtroppo senza successo, ossia senza che le sue nuove
equazioni del campo unitario (mi pare 33) trovassero un qualche riscontro nell’Universo
reale. Il lavoro di Einstein, dunque, non si esaurì con la TRG; egli, infatti, morì nel 1955 in
un letto d’ospedale con carta e penna in mano!
Io, personalmente, penso che la forza di gravità sia una macroscopica forza che si
compone di microscopiche forze elettrostatiche tra le particelle, positive e negative, che
compongono l’Universo, e che possono considerarsi distribuite in modo random (vedi App.
2). Infatti, dimostro in Appendice 2 che l’energia elettrostatica corrispondente ad un
elettrone in una coppia elettrone-positrone, che è:
1 e2
⋅
4πε 0 re
è esattamente pari all’energia gravitazionale conferita ad un elettrone da tutta la massa
dell’Universo M Univ a distanza RUniv , cioè:
GM Univ me
RUniv
Si ha dunque:
1 e 2 GM Univ me
!!
⋅ =
RUniv
4πε 0 re
E non pare proprio un caso anche il fatto che se si considera l’Universo come composto da
soli elettroni e positroni (armoniche fondamentali, di massa me ) , in numero N, si ha
banalmente che:
M
N = Univ ≅ 1,75 ⋅ 1085
me
e, fin qui, ancora nulla di strano, se non fosse che ci accorgiamo che se moltiplico la radice
di N ( N ≅ 4,13 ⋅ 1042 ) per il raggio classico dell’elettrone re , otteniamo esattamente
N re ≅ RUniv ≅ 1,18 ⋅ 1028 m , il raggio dell’Universo! E la spiegazione di ciò, in perfetta sintonia
con l’equivalenza tra elettricità e gravità appena esposta, è stata dedotta in App. 2/nel
Par.4.1.
Dunque l’attrazione(/repulsione) particella-antiparticella, ossia le oscillazioni veloci delle
coppie particella-antiparticella, nel comporsi tra loro, danno luogo alla oscillazione lenta
dell’Universo (Big Bang, espansione, contrazione, Big Crunch). Noi ora siamo nell’era della
contrazione, cioè la materia si sta contraendo tutta verso in centro di massa dell’Universo,
da cui l’apparire della forza di gravità attrattiva che viviamo ogni giorno, mentre centinaia
di miliardi di anni fa, quando l’Universo si espandeva, la gravità era (conseguentemente)
di tipo repulsivo (vedere sempre App. 2, a supporto di tutto ciò), da cui la perfetta
similitudine tra l’elettricità (attrattiva e repulsiva) e la gravità (anch’essa attrattiva e
repulsiva); solo che quando la Terra è nata, la gravità aveva smesso già da un pezzo di
essere repulsiva!
Capitolo 1: Premesse di Geometria.
Par. 1.1: Formalismo, lunghezze di archi e aree di superfici curve.
la sfera ed il cerchio:
Con riferimento alla figura 1, vogliamo rappresentare con una formula la superficie di una
z
sfera Σ :
P(r, θ, φ)
Σ
φ
circonferenza equatoriale max
r
y
x
Fig. 1.1: La sfera.
θ
In coordinate cartesiane, basta usare il Teorema di Pitagora per ottenere tale formula:
x2 + y 2 + z 2 = r 2
(1.1)
Invece, verso le più maneggevoli coordinate sferiche, si ha, molto banalmente ed
intuitivamente:
r
τ Σ = (r cosθ sin ϕ ) xˆ + (r sin θ sin ϕ ) yˆ + (r cos ϕ ) zˆ
(1.2)
r
dove ovviamente τ Σ è il vettore che descrive (muovendosi) tutta la superficie della sfera.
Si vede che le componenti sono funzione di due parametri (θ e ϕ ).
Ovviamente, nel caso più semplice di un cerchio γ , si avrebbe:
r
τ γ = (r cosθ ) xˆ + (r sin θ ) yˆ
(1.3)
e qui si vede che invece le componenti sono funzione di un solo parametro (θ ), se r=cost.
y
P(r, θ)
r
θ
x
Fig. 1.2: Il cerchio.
Le (1.1) e (1.2) si possono dunque scrivere, in forma più generale, come funzioni,
rispettivamente, di 2 e 1 parametri:
r
τ Σ = τ 1 (u , v) xˆ + τ 2 (u , v) yˆ + τ 3 (u, v) zˆ ( u , v = θ , ϕ e r=r(u,v))
(1.4)
r
τ γ = τ 1 (u ) xˆ + τ 2 (u ) yˆ ( u = θ e r=r(u))
(1.5)
E’ ovvio che se nelle (1.4) e (1.5) i vari τ i non hanno le espressioni che hanno nelle (1.2)
e (1.3), ma bensì ne hanno altre, di generiche, allora esse (sempre le (1.4) e (1.5))
possono rappresentare non più sfera e cerchio, ma altre superfici e curve del tutto
generiche.
Ora, volendoci avvicinare un po’ più alle coordinate cartesiane (x,y)=(x,f(x)), effettiuiamo
nella (1.5) un cambio di parametro (u >>> x) in modo tale che si abbia:
r
τ γ = τ 1 (u ) xˆ + τ 2 (u ) yˆ = xxˆ + f ( x ) yˆ
(1.6)
Riterremo dunque la (1.4) l’espressione generale di una superficie, e la (1.6) quella
generale di una curva.
lunghezza di un arco su una curva:
r
r
r
τ B (u ) - τ A (u ) = ∆τ γ (u )
γ
y
r
τ A (u )
r
τ B (u )
x
Fig. 1.3: Lunghezza di un arco.
r
r
r
r
Con riferimento alla figura 1.3, se τ B (u ) tende a τ A (u ) , allora ∆τ γ (u ) , diverrà un dτ γ (u ) ;
r
non solo; esso corrisponderà all’arco infinitesimo dl su γ . Possiamo dunque scrivere che:
r
r
dl = dτ γ (u ) , da cui:
l=
r
∫ dl
=
l ( A− B )
r
∫ dτ
l ( A− B)
γ
(u ) =
r
∫τ '
γ
l ( A− B)
(u ) du =
∫
l ( A− B)
[(
dτ 1 (u ) 2 dτ 2 (u ) 2
) +(
) ])du = ∫ (1 + f '2 ( x ))du
du
du
l ( A− B )
(1.7)
r
e notiamo, altresì, dalla composizione vettoriale di Fig. 1.3, che dτ γ (u ) risulta essere
tangente a γ , in quanto la tocca in un solo punto, e dunque il vettore
r
r dτ γ (u )
t =
du
è un vettore tangente a γ .
(1.8)
area di una superficie curva:
r
Riprendiamo la (1.4), che qui riportiamo: τ Σ = τ 1 (u , v) xˆ + τ 2 (u , v) yˆ + τ 3 (u, v) zˆ .
r
r
dτ Σ
t
γ (t )
du
Σ
r
dτ Σ
dv
Fig. 1.4: Areola su una superficie curva.
Ora, con riferimento alla Figura 1.4, si abbia appunto una superficie curva Σ ed una curva
γ (t ) su di essa.
E’ ovvio che se voglio sostenere che la curva γ (t ) sta proprio su Σ , allora si deve avere
che i due parametri u e v di Σ devono essere funzione del parametro unico t di γ (t ) :
r
Ora, sappiamo dalla (1.8) che la derivata del vettore τ γ che descrive una curva, rispetto al
r
suo parametro t, ci dà il vettore tangente t a tale curva. Parimenti, allora, la derivata del
r
r
vettore τ Σ che descrive la superficie Σ fornisce un vettore t tangente alla superficie
stessa, e se la derivata è effettuata sul parametro t della curva γ (t ) che sta su Σ , allora,
ovviamente, tale vettore tangente sarà pure la tangente della curva γ (t ) . Tale parentela è
analiticamente esplicitabile vedendo i due parametri u e v come funzioni del parametro t
della curva: u = u (t ) e v = v(t ) .
Allora, la tangente alla curva γ (t ) sarà:
r
r
r
r dτ
dτ du dτ Σ dv
t = Σ = Σ
+
(1.9)
dt
du dt
dv dt
Dunque, sempre con riferimento alla Figura 1.4, per la (1.9) si vede che il vettore
r
r
r
dτ Σ
dτ Σ
tangente t ed i vettori
e
stanno sullo stesso piano, in quanto costituiscono una
du
dv
composizione a tre, come appunto in figura. Ora, dal momento che il prodotto vettoriale
tra due vettori (modulo = prodotto dei moduli per il seno dell’angolo tra loro) dà come
risultato ancora un vettore che è ortogonale ai primi due, allora, per ottenere il vettore
r
r
dτ Σ
dτ Σ
normale alla superficie Σ , effettuo il prodotto vettoriale tra
e
e se poi voglio il
du
dv
versore n̂ (modulo unitario) dividerò per il modulo del vettore normale:
r
r
dτ Σ dτ Σ
×
dv
(versore normale)
(1.10)
nˆ = du
r
r
dτ Σ dτ Σ
×
du
dv
Per quanto riguarda l’area di una superficie (in generale) curva, sappiamo dalla geometria
elementare che l’area di un trapezio è data dal prodotto dei due lati per il seno dell’angolo
da essi formato e ricordando la definizione di prodotto vettoriale riportata qui sopra,
r
r
dτ Σ
dτ Σ
possiamo allora dire che l’areola dΣ individuata dai due vettorini
e
(Fig. 1.4) è:
du
dv
r
r
dτ Σ dτ Σ
dΣ =
×
, da cui, per integrazione su tutto u e v:
du
dv
r
r
dτ Σ dτ Σ
Σ = ∫ dΣ = ∫∫
×
dudv
(1.11)
dv
du
Σ
u −v
Par. 1.2: Geometria differenziale di base.
bˆ(u )
tˆ(u )
P (u )
γ (u )
nˆ (u )
Fig. 1.5: Triedro fondamentale.
r
r
dτ γ (u ) r
Abbiamo visto con la (1.8) che il vettore t (u ) =
= τ 'γ (u ) è tangente alla curva γ (u ) .
du
Volendo noi un versore tˆ (modulo unitario), avremo:
r
τ ' (u )
ˆt (u ) = r γ
τ 'γ (u )
(versore tangente)
(1.12)
Quindi, sempre con la (1.8) abbiamo visto che l’operazione di derivazione fornisce un
vettore ortogonale.
Deriviamo ora la (1.12), ottenendo il versore normale nˆ (u ) :
d ˆ
t (u ) (versore normale)
(1.13)
du
Per ultimo, definiamo il versore binormale bˆ(u ) , ovviamente nel seguente modo,
utilizzando il prodotto vettoriale:
nˆ (u ) =
bˆ(u ) = tˆ(u ) × nˆ(u ) (versore binormale)
(1.14)
{
r
τ ' (u )
ˆt (u ) = r γ
τ 'γ (u )
d ˆ
t (u )
(triedro fondamentale con parametro generico u)
du
bˆ(u ) = tˆ(u ) × nˆ(u )
nˆ (u ) =
(1.15)
Vedemmo poi con la (1.7) che la lunghezza di un arco è pari a:
s (u ) =
r
∫ ds
=
s ( A− B )
r
∫ dτ
s ( A− B )
γ
(u ) =
r
∫τ '
γ
s ( A− B )
u r
(u ) du = ∫ τ 'γ (u ) du
u0
(1.16)
ds r
= τ 'γ (u ) .
du
Se ora nel triedro (1.15) effettuiamo un cambio di parametro (u >>> s, con s parametro
intrinseco), si avrà: r
dτ (u ) du r
r
r
1
τ 'γ ( s ) = τ 'γ [u ( s )] = γ
= τ 'γ (u )
, da cui:
du ds
s ' (u )
r
τ 'γ (u )
r
τ 'γ (s ) =
= 1 . Poi:
s ' (u )
da cui: s ' (u ) =
r
r
r
du
du r
du
τ ' 'γ (u ) s ' (u ) − τ 'γ (u ) s ' ' (u )
τ ' 'γ (u ) − τ 'γ (u ) s ' ' (u )
r
ds
ds =
ds
τ ' 'γ ( s ) =
(s ' (u ))2
(s ' (u ))2
ed otteniamo così il triedro fondamentale nella parametrizzazione intrinseca:
{
r
tˆ( s ) = τ 'γ ( s )
r
τ ' 'γ (s )
nˆ ( s ) = r
τ ' 'γ (s )
(triedro fondamentale con parametro intrinseco s)
r
r
τ 'γ ( s ) × τ ' 'γ ( s )
ˆ
ˆ
b( s ) = t ( s ) × nˆ ( s ) =
r
τ ' 'γ (s )
bˆ( s )
tˆ( s )
P (s )
γ (s )
nˆ ( s )
Fig. 1.6: Triedro fondamentale nella parametrizzazione intrinseca.
(1.17)
curvatura e raggio di curvatura:
r
τ ' 'γ (s ) è nullo per le rette, mentre è ≠ 0 sulle circonferenze ecc.
r
r
τ ' 'γ (s ) è definito come CURVATURA di γ in τ γ (s ) .
1
ρ ( s) = r
τ ' 'γ ( s )
(1.18)
è il RAGGIO DI CURVATURA.
Esempio del cerchio (sul piano x-y):
x2 + y2 = r 2
(z=0)
s
s
x = r cosα = r cos( ) , y = r sin α = r sin( ) , z=0 (dove s = αr è l’arco di circonferenza),
r
r
r
s
s
dunque: τ γ ( s ) = ( x, y, z ) = (r cos( ), r sin( ),0) da cui:
r
r
r
dτ γ ( s )
r
s
s
τ 'γ ( s ) =
= ( x ' , y ' , z ' ) = (− sin( ), cos( ),0) e dunque:
ds
r
r
r
dτ 'γ ( s )
r
1
s 1
s
τ ' 'γ ( s ) =
= ( x' ' , y ' ' , z ' ' ) = (− cos( ),− sin( ),0) , da cui, ancora:
ds
r
r r
r
r
1
τ ' 'γ ( s ) = x ' '2 + y ' '2 + z ' '2 = (curvatura)!!
r
la torsione:
bˆ' ( s ) è // a nˆ ( s ) ; infatti:
r
d ˆ
d
d
d
d
d
b(s ) = (tˆ(s ) × nˆ ( s )) = tˆ( s ) × nˆ (s ) + tˆ(s ) × nˆ (s ) = τ ' 'γ ( s ) × nˆ (s ) + tˆ( s ) × nˆ( s ) = tˆ(s ) × nˆ (s )
ds
ds
ds
ds
ds
ds
d
nˆ ( s ) non
ds
rappresenta una variazione del modulo di nˆ ( s ) , ossia lungo la sua estensione di vettore,
ma, di conseguenza, è una variazione solo ortogonalmente allo stesso nˆ ( s ) , dunque
d
nˆ ( s ) ⊥ nˆ ( s ) , e parlandosi di terna ortogonale, si ha anche che
possiamo dire che:
ds
d
(ovviamente) [tˆ( s) × nˆ ( s)] // nˆ ( s ) e dunque viene ad essere proporzionale a nˆ ( s ) :
ds
1
bˆ' ( s ) = −
nˆ ( s ) ;
(1.19)
τ ( s)
1
r
è la TORSIONE di γ in τ γ (s ) .
τ ( s)
Ora osserviamo che, essendo nˆ ( s ) un versore (modulo 1 costante),
Vi è ora un legame tra curvatura e torsione, espresso dalle seguenti:
formule di Frénet:
1
nˆ (s ) . Poi, si ha la
dalle prime due delle (1.17) e dalla (1.18) si ha la seguente: tˆ' ( s ) =
ρ ( s)
(1.19):
1
bˆ' (s ) = −
nˆ (s ) . Inoltre, dall’ultima delle (1.17) scaturisce che: nˆ ( s ) = bˆ(s ) × tˆ( s ) e quindi:
τ ( s)
1
1
d
d
nˆ ( s ) × tˆ( s ) + bˆ( s ) ×
nˆ (s ) =
nˆ (s ) = (bˆ( s ) × tˆ( s )) = bˆ' ( s ) × tˆ( s ) + bˆ( s ) × tˆ' ( s ) = −
ds
ds
τ ( s)
ρ ( s)
1 ˆ
1 ˆ
b( s ) −
t ( s)
=
τ (s)
ρ (s)
da cui le formule di Frénet:
{
1
tˆ' ( s ) =
nˆ (s )
ρ ( s)
1
bˆ' (s ) = −
nˆ (s )
τ ( s)
1 ˆ
1 ˆ
nˆ ' (s ) =
b( s ) −
t ( s)
τ ( s)
ρ ( s)
(formule di Frénet)
(1.20)
Curiosità: un corpo che si muove lungo una curva potrà ovviamente avere una
accelerazione tangenziale at ed una accelerazione centrifuga ac che, dalla fisica, sappiamo
essere v2 /r. Vediamo ora se le nostre equazioni e tutto il formalismo finora esposto
confermano ciò. Si ha:
r
r
dτ γ ( s ) dτ γ ( s ) ds ds
=
= tˆ( s )
dt
ds dt dt
r
d 2τ γ ( s ) d 2 s
r r r
ds 2 dtˆ(s ) d 2 s ˆ
ds 2 1
v2
ˆ
ˆ
ˆ
=
t
(
s
)
+
(
)
=
t
(
s
)
+
(
)
n
(
s
)
=
a
=
a
+
a
=
a
t
(
s
)
+
nˆ ( s ) c.v.d.
t
c
t
dt 2
dt 2
dt
ds
dt 2
dt ρ ( s )
ρ
Par. 1.3: Geometria differenziale dello spazio.
prima forma fondamentale:
abbiamo visto con la (1.4) che una superficie è rappresentabile come segue:
r
r
r
τ Σ = τ 1 (u , v) xˆ + τ 2 (u , v) yˆ + τ 3 (u, v) zˆ , ossia: τ Σ = τ Σ (u, v) ed in forma differenziale:
r
r
r dτ Σ
r
r
dτ Σ
dτ Σ =
du +
dv = τ u du + τ v dv
du
dv
r
Definiamo allora la 1^ forma fondamentale di τ Σ (u, v ) come segue:
r
r
r r
r r
r r
I = dτ Σ ⋅ dτ Σ = (τ u ⋅ τ u )du 2 + 2(τ u ⋅ τ v )dudv + (τ v ⋅ τ v )dv 2 = Edu 2 + 2 Fdudv + Gdv 2
r r
r r
r r
con E = (τ u ⋅ τ u ) , F = (τ u ⋅ τ v ) , G = (τ v ⋅ τ v )
r
r
Se ora si effettua un cambio di parametri ( τ (u , v ) >>>> τ * (θ ,φ ) ), cambiano i coefficienti E,
F e G, ma I=I*:
2
2
r r
r
r
r
r
r
I * (dθ , dφ ) = dτ ⋅ dτ = dτ 2 = τ θ*dθ + τ φ*dφ = τ θ* (θ u du + θ v dv) + τ φ* (φu du + φv dv ) =
2
r
r
r
r
r
r 2
r
= (τ θ*θ u + τ φ*φu )du + (τ θ*θ v + τ φ*φv )dv = τ u*du + τ v*dv = dτ 2 = I (du, dv )
lunghezza di un arco:
r r
Si abbia un arco τ = τ (u (t ), v(t )) ;
(1.21)
qui compaiono ancora i due parametri u e v caratteristici delle superfici, ma avendo
sottolineato la loro reciproca dipendenza da un sol parametro comune t, la (1.21) è allora
anche l’espressione di una curva (su cui l’arco). Per la lunghezza s tra a e b, si ha allora,
ovviamente:
s=∫
b
a
b
r
r r
b dτ
b r du
dτ
dτ
r dv r du r dv 1 / 2
dt = ∫ ( ⋅ )1 / 2 dt = ∫ [(τ u
+ τ v )(τ u
+ τ v )] dt =
a
a
dt
dt dt
dt
dt
dt
dt
= ∫ [E (
a
du 2
du dv
dv
) + 2F
+ G ( )2 ]1 / 2 dt
dt
dt dt
dt
(1.22)
area A della superficie:
Con la (1.11) vedemmo che A = ∫ dA =
A
r
∫∫ dτ
u
r
× dτ v dudv
u −v
r r2 r2 r2 r r2
Ora, dal momento che vale la seguente identità vettoriale: a × b = a b − a ⋅ b , si ha
r
r 2
allora: dτ u × dτ v = EG − F 2 e dunque:
A = ∫ dA =
A
r
∫∫ dτ
u −v
u
r
× dτ v dudv =
∫∫
EG − F 2 dudv
(1.23)
u−v
-esempio 1: lunghezza di una circonferenza:
abbiamo già visto con la (1.2) che la sfera (Fig. 1.1) si rappresenta con la seguente
equazione:
r
τ = (r cosθ sin ϕ ) xˆ + (r sin θ sin ϕ ) yˆ + (r cos ϕ ) zˆ .
Se ora consideriamo la circonferenza equatoriale massima (vedi Fig. 1.1), la stessa la si
individua ponendo φ=90°, da cui:
r
r r
r
τ = (r cosθ ) xˆ + (r sin θ ) yˆ.....(+0 zˆ ) ed ho una τ = τ (u (t ), v (t )) = τ (θ (t ), r (t )) , proprio come nella
(1.21), da cui:
r
τ θ = − (r sin θ ) xˆ + (r cosθ ) yˆ
r
τ r = − cosθxˆ + sin θyˆ ,
r r
r r
E = τ θ ⋅ τ θ = r 2 sin 2 θ + r 2 cos2 θ = r 2 , F = τ θ ⋅ τ r = − r cosθ sin θ + r cosθ sin θ = 0 ,
r r
dr
G = τ r ⋅ τ r = cos 2 θ + sin 2 θ = 1 , e la (1.22) ci fornisce dunque (r=cost →
= 0 ):
dt
b
dr
dθ dr
dθ
dv
du dv
du 2
+ G ( ) 2 ]1 / 2 dt = ∫ [ E ( ) 2 + 2 F
+ G ( ) 2 ]1 / 2 dt =
) + 2F
a
a
dt
dt dt
dt
dt
dt dt
dt
b
b
b
dθ
dθ
2π
dt = ∫ rωdt = rωT = r T = 2πr = C
= ∫ [ E ( ) 2 ]1 / 2 dt = ∫ E
a
a
a
dt
T
dt
cioè proprio la circonferenza del cerchio!!!
b
s = ∫ [ E(
-esempio 2: superficie della sfera:
consideriamo sempre la nostra sfera (Fig. 1.1), che per la (1.2) si rappresenta con la
seguente equazione:
r
τ = (r cosθ sin ϕ ) xˆ + (r sin θ sin ϕ ) yˆ + (r cos ϕ ) zˆ , da cui:
r
τ θ = − (r sin θ sin ϕ ) xˆ + (r cosθ sin ϕ ) yˆ
r
τ ϕ = (r cosθ cosϕ ) xˆ + (r sin θ cosϕ ) yˆ − (r sin ϕ ) zˆ
r r
r r
r r
E = τ θ ⋅ τ θ = r 2 sin 2 ϕ , F = τ θ ⋅ τ ϕ = 0 , G = τ ϕ ⋅ τ ϕ = r 2 e, per la (1.23), si ottiene:
A = ∫ dA =
A
∫∫
EG − F 2 dθdϕ =
θ −ϕ
∫∫
r 4 sin 2 ϕ − 0dθdϕ =
θ −ϕ
∫∫ r
2
sin ϕ dθdϕ =
θ −ϕ
π
= r 2 ∫ dθ ∫ sin ϕdϕ = r 2 2π − cos ϕ 0 = r 2 2π ⋅ 2 = 4πr 2
θ
ϕ
e cioè proprio la superficie della sfera che noi tutti conosciamo!!!
---------------------------seconda forma fondamentale:
r
riscriviamo qui la (1.10), che ci fornisce un vettore/versore N normale alla superficie:
r τr × τr
r r
r r
r
N = ru rv ; si ha poi, ovviamente: N = 1 e 0 = d (1) = d ( N ⋅ N ) = 2dN ⋅ N , da cui:
τ u ×τ v
r
r
(1.24)
dN ⊥ N .
r
Se così è, allora dN giace sulla superficie, e dunque è esprimibile, a maggior ragione,
come segue (u,v):
r
r
r ∂N
r
r
∂N
dN =
du +
dv = N u du + N v dv
∂u
∂v
Possiamo ora definire la seconda forma fondamentale II:
(1.25)
r
r
r r
r
r
r r
r r r r
r r
II = − dτ ⋅ dN = −(τ u du + τ v dv)( N u du + N v dv) = −τ u N u du 2 − (τ u N v + τ v N u )dudv − τ v N v dv 2 =
= Ldu 2 + 2Mdudv + Ndv 2
proprietà di II:
r
r r
r r
r r r r
visto che si ha che: (τ u ,τ v ) ⊥ N , segue che 0 = (τ u ⋅ N )u = τ uu ⋅ N + τ u ⋅ N u ,
r r
r r r r
r r
r r r r
r r
r r r r
0 = (τ u ⋅ N )v = τ uv ⋅ N + τ u ⋅ N v , 0 = (τ v ⋅ N )u = τ vu ⋅ N + τ v ⋅ N u , 0 = (τ v ⋅ N )v = τ vv ⋅ N + τ v ⋅ N v ,
r r
r r r r
r r
r r
r r
r r
r r
quindi: τ uu ⋅ N = −τ u ⋅ N u , τ vv ⋅ N = −τ v ⋅ N v , τ uv ⋅ N = −τ u ⋅ N v , τ vu ⋅ N = −τ v ⋅ N u e allora:
r r
r r
r r
L = τ uu ⋅ N , M = τ uv ⋅ N , N = τ vv ⋅ N da cui:
r r
r r
r r
r r
II = Ldu 2 + 2Mdudv + Ndv 2 = τ uu ⋅ Ndu 2 + 2τ uv ⋅ Ndudv + τ vv ⋅ Ndv 2 = d 2τ ⋅ N
curvatura normale:
Se si ha una superficie S contenente una curva C e se P è un punto su C, la (1.20-1) ci
fornisce il vettore curvatura, mentre definiamo curvatura tˆ'n ( s ) normale a C in P la
r
r
proiezione del vettore curvatura tˆ' ( s ) sulla normale N (ed N è il versore nˆ ( s ) della
(1.10)):
r r
r
r
tˆ'n (s ) = (tˆ' ( s ) ⋅ N ) N e la componente lungo N è: tn = tˆ' ( s ) ⋅ N .
r
Ora, visto che tˆ( s ) ⊥ N , si ha:
r
r
r
d ˆ
d r
d r
(t ( s ) ⋅ N ) = 0 = tˆ' ( s ) ⋅ N + tˆ( s ) ⋅ N , da cui: tˆ' ( s ) ⋅ N = −tˆ( s ) ⋅ N e allora:
ds
ds
ds
r
r
r
r
r
r
dτ (s ) dN
dτ ⋅ dN II
r
d r
tn = tˆ' (s ) ⋅ N = −tˆ(s ) ⋅ N = − γ
= − γ 2 = , in quanto il numeratore dτ γ ⋅ dN è
ds
ds ds
ds
I
2
proprio la definizione di II, mentre ds lo si può valutate derivando la (1.22) e quadrando,
e si ha proprio I.
esempio: curvatura normale della sfera
abbiamo già visto con la (1.2) che la sfera (Fig. 1.1) si rappresenta con la seguente
equazione:
r
τ = (r cosθ sin ϕ ) xˆ + (r sin θ sin ϕ ) yˆ + (r cos ϕ ) zˆ da cui:
r
τ θ = − (r sin θ sin ϕ ) xˆ + (r cosθ sin ϕ ) yˆ
r
τ ϕ = (r cosθ cosϕ ) xˆ + (r sin θ cosϕ ) yˆ − (r sin ϕ ) zˆ
r
τ θθ = −(r cosθ sin ϕ ) xˆ − (r sin θ sin ϕ ) yˆ
r
τ θϕ = −(r sin θ cos ϕ ) xˆ + (r cosθ cos ϕ ) yˆ
r
τ ϕϕ = −(r cosθ sin ϕ ) xˆ − (r sin θ sin ϕ ) yˆ − (r cosϕ ) zˆ
r
N = −(r cosθ sin ϕ ) xˆ − (r sin θ sin ϕ ) yˆ − (r cosϕ ) zˆ
r
r r
r r
r r
r r
r
E = τ θ ⋅ τ θ = r 2 sin 2 ϕ , F = τ θ ⋅ τ ϕ = 0 , G = τ ϕ ⋅ τ ϕ = r 2 , L = τ θθ ⋅ N = r sin 2 ϕ , M = τ θϕ ⋅ N = 0
r
r
N = τ ϕϕ ⋅ N = r , da cui:
tn =
Ldθ 2 + 2 Mdθdϕ + Ndϕ 2 1
= !!!
Edθ 2 + 2 Fdθdϕ + Gdϕ 2 r
curvature e direzioni principali:
le due direzioni, perpendicolari tra loro, dove t n assume valori massimo e minimo, sono
dette direzioni principali e le corrispondenti curvature normali t1 e t2 sono le curvature
principali.
Teorema: t0 è principale con direzione principale du0,dv0 se e solo se du0,dv0 e t0
soddisfano le condizioni:
( L − t0 E )du0 + (M − t0 F )dv0 = 0
(M − t0 F )du0 + ( N − t0G )dv0 = 0
(1.26)
{
dimostrazione:
tn è un estremante se (tn=II/I)
dtn
du
=0 e
( du 0 , dv 0 )
I ⋅ II dv − II ⋅ I dv
I2
II du −
II
I du
I
II du − t0 I du
dtn
dv
= 0 , cioè:
( du 0 , dv 0 )
= 0 e:
( du0 , dv0 )
= 0 . Ora, moltiplicando per I, si ha:
( du0 , dv0 )
= 0 , e: II dv −
( du0 , dv0 )
( du0 , dv0 )
I ⋅ II du − II ⋅ I du
I2
II
I dv
I
= 0 e II dv − t0 I dv
= 0 ma:
( du0 , dv0 )
( du0 , dv0 )
II
(du0 , dv0 ) = t0 , dunque:
I
= 0 . Essendo ora:
II du = 2 Ldu + 2Mdv e I du = 2 Edu + 2 Fdv e dunque:
{
( Ldu0 + Mdv0 ) − t0 ( Edu0 + Fdv0 ) = 0
(Mdu0 + Ndv0 ) − t0 ( Fdu0 + Gdv0 ) = 0
e cioè l’asserto.
Riscriviamo ora le (1.26) nel seguente modo:
{
( L − tE )du + ( M − tF )dv = 0
(M − tF )du + ( N − tG )dv = 0
e moltiplichiamo membro a membro:
( EG − F 2 )t 2 − ( EN + GL − 2 FM )t + ( LN − M 2 ) = 0 .
Le due soluzioni sono le curvature principali.
(1.27)
curvatura di Gauss e curvatura media:
dividendo la (1.27) precedente per ( EG − F 2 ) , otteniamo: t 2 − 2 Ht + K = 0 , con:
1
LN − M 2
H = (t1 + t2 ) (curvature media) e K = t1t2 (curvatura di Gauss). ( H =
)
2
EG − F 2
equazioni di Gauss-Weingarten:
r
r r
τ u , τ v , ed N abbiamo visto che sono linearmente indipendenti (ortogonali) e dunque
possiamo utilizzarli come
r base per scrivere le loro derivate:
r
1 r
2r
τ uu = Γ11τ u + Γ11τ v + b11 N
r
r
r
r
τ uv = Γ121 τ u + Γ122 τ v + b12 N
Gauss
r
r
r
r
1
τ vv = Γ22
τ u + Γ222 τ v + b22 N
(1.28)
r
r
r
r
N u = β11τ u + β12τ v + γ 1 N
Weingarten
r
r
r
r
N v = β 21τ u + β 22τ v + γ 2 N
{
}
}
dove i Γijk sono i simboli di Christoffel di 2^ specie.
r
r
r
Abbiamo visto con la (1.24) che: dN ⊥ N e la (1.25) ci dice che dN è esprimibile in
r r
r
r r
termini di N u , N v , da cui discende che N ⊥ ( N u , N v ) e, per le equazioni di Weingarten,
possiamo
r r scrivere
rche: 2 r r
r r
1r
0 = N u ⋅ N = β1τ u ⋅ N + β1 τ v ⋅ N + γ 1 N ⋅ N
r r
r r
r r
r r
0 = N v ⋅ N = β 21τ u ⋅ N + β 22τ v ⋅ N + γ 2 N ⋅ N
r r
r r r r
ma sappiamo anche che: τ u ⋅ N = τ v ⋅ N = 0 e N ⋅ N = 1 , da cui: γ 1 = γ 2 = 0 e quindi le
(1.28) si semplificano un po’, come segue:
{
}
r
r
r
r
τ uu = Γ111 τ u + Γ112τ v + b11 N
r
r
r
r
τ uv = Γ121 τ u + Γ122 τ v + b12 N
Gauss
r
r
1 r
2 r
τ vv = Γ22τ u + Γ22τ v + b22 N
r
r
r
N u = β11τ u + β12τ v
r
r
r Weingarten
N v = β 21τ u + β 22τ v
}
(1.29)
Scriviamo le (1.29), più semplicemente, in forma TENSORIALE, più compendiosa:
r
r
r
τ ij = Γijατ α + bij N (i,j=1,2)
(1.30)
e ricordiamoci bene che, con la (1.30), si è appena iniziato a fare uso della CONVENZIONE
DI EINSTEIN, secondo cui, se in un termine un indice è ripetuto, su esso è sottintesa la
r
sommatoria su quell’indice. Infatti, nel termine Γijατ α della (1.30), α è ripetuto e dunque
tale termine darà due valori, esattamente come succede nelle equazioni (1.29) di Gauss.
Il TENSORE METRICO g ij :
rivediamo un attimo la nostra terminologia sin qui usata, usando forme un po’ più
compendiose:
r
r
∂ 2τ
r ∂τ
r
1
2
ì
u = u , v = u , u = (u , v) , τ i = i , τ ij = i j ;
∂u
∂u ∂u
r r r r 1 1
r r 1 2 r r 2 2
I = dτ ⋅ dτ = τ 1 ⋅ τ 1du du + 2τ 1 ⋅ τ 2du du + τ 2 ⋅ τ 2 du du = g11du1du1 + g12 du1du 2 + g 21du 2 du1 +
+ g 22 du 2du 2 = ∑ gik du i du k = gik du i du k , con: g11 = E , g12 = g 21 = F , g 22 = G e:
i, k
 g11
g = det 
 g 21
g12 
 = g11 g 22 − g 21 g 22 = EG − F 2 = g
g 22 
r r
r
Inoltre: dN = N1du1 + N 2 du 2 e:
r r
r r
r r
r r
r r
II = − dτ ⋅ dN = −τ 1 N1du1du1 − τ 1 N 2du1du 2 − τ 2 N1du 2 du1 − τ 2 N 2 du 2 du 2 =
= b11du1du1 + b12 du1du 2 + b21du 2 du1 + b22 du 2 du 2 = ∑ bik du i du k
i ,k
b b 
con: b11 = L , b12 = b21 = M , b22 = N e: b = det 11 12  = b11b22 − b21b22 = LN − M 2 = b .
 b21 b22 
r
Moltiplichiamo ora scalarmente le eq. di Gauss per τ k si ha:
r r
r r
r r
r r
r r
τ ij ⋅τ k = Γijατ ατ k + bij N ⋅ τ k = Γijατ ατ k + 0 = Γijατ ατ k = Γijα gαk = Γijk ( α , i, j = 1,2 )
(1.31)
Γijk sono i simboli di Christoffel di 1^ specie.
Ricordiamo poi che: g iα g αj = δ i j (definizione di g αj ), con δ i j che è la Delta di Kronecker, e
r r r r
r r r r
r r
vale 0 se i ≠ j e 1 se i = j ; infatti: giα g αj = τ i ⋅ τ α ⋅ τ α ⋅ τ j = τ i ⋅ τ j ⋅ τ α ⋅ τ α = τ i ⋅ τ j ⋅ 1 = δ i j , in
r
r
r
quanto τ i e τ j sono, per definizione, normali, se i ≠ j (definizione di τ j ).
Da ciò si ha allora: Γijβ g βk = Γijα gαβ g βk = Γijα δαk = Γijk e dunque: Γijk = g kα Γijα e
Γijk = g kα Γijα .
(1.32)
∂g ij
= Γikj + Γ jki
∂u k
dimostrazione:
r r
si ha, per definizione di g ij , che: g ij = τ i ⋅ τ j , da cui:
Si ha che:
(1.33)
∂g ij r r r r
= τ ik ⋅τ j + τ i ⋅τ jk = Γikj + Γ jki
∂u k
-----------------1 ∂g ik ∂g ki ∂g ij
−
)
Si ha poi che: Γikj = ( i +
(1.34)
2 ∂u
∂u j ∂u k
dimostrazione:
∂g ij
∂g ik
∂g ki
si ha, per la (1.33), che:
= Γ jik + Γkij ,
= Γkji + Γijk e
= Γikj + Γ jki , (si tratta
i
j
∂u
∂u
∂u k
sempre della (1.33), ma con indici ogni volta diversi, ma, del resto, gli indici hanno valore
1 e 2, indipendentemente dal loro nome), da cui l’asserto.
-----------------Segue che:
∂g
∂g
1
∂g
Γijk = g kα ( jαi + αji − αij )
(1.35)
2
∂u
∂u
∂u
e inoltre, moltiplicando la (1.32) Γijk = g kα Γijα in entrambi i membri per g µα (reciproco di
g kα ) , dove appunto, per definizione di reciproco: g µα g kα = δ µk , si ha:
g µα Γijk = g µα g kα Γijα = δ µk Γijα , ossia, rimuovendo in quest’ultima δ µk a condizione di porre
µ = k nel suo primo membro, si ha:
Γijα = g µα Γijµ e, grazie a quest’ultima, la (1.33)
∂g ij
= Γikj + Γ jki = g µj Γikµ + g µi Γαµk
∂u k
∂g ij
= Γikj + Γ jki diventa:
∂u k
(1.36)
-----------------r
r
r
Moltiplicando scalarmente per τ j le equazioni di Weingarten (1.29) N i = β iατ α , si ottiene:
r r
r r
− bij = N i ⋅ τ j = β iατ α ⋅ τ j = β iα gαj ; ponendo ora: bi j = biα g αj , si ha:
r
r
bi j = biγ g γj = − β iα gαγ g γj = − β iα δαj = − β i j ; dunque N i = −biατ α , con:
bi j = g αj biα e bij = gαj biα
i simboli (tensori) di Riemann di 1^ e 2^ specie:
Rmijk = bik b jm − bij bkm (2^ specie, tensore di rango 4)
(1.37)
Rijkρ = g αρ Rαijk (1^ specie, tensore di rango 4)
(1.38)
Rmijk è il tensore di curvature di Riemann covariante
Rijkρ è il tensore di curvature di Riemann misto
Ovviamente: Rijkρ = g αρ Rαijk = g αρ (bik b jα − bij bkα ) = bik b jρ − bij bkρ
Per la (1.37), si ha: Rimjk = − Rmijk ,
(1.39)
Rmikj = − Rmijk ; inoltre Rmijk = 0 se i primi due indici, o gli
ultimi due, coincidono, dunque, solo quattro componenti sono diverse da zero e sono:
R1212 = R2121 = b22b11 − b12b21 = LN − M 2 = b e R1221 = R2112 = b12 b21 − b22b11 = − ( LN − M 2 ) = −b
Notiamo che:
LN − M 2 b R1212
= =
= K (Gauss ) .
EG − F 2 g
g
------------------
Si ha che: Rijkα = (Γikα ) j − (Γijα )k + Γikβ Γβαj − Γijβ Γβαk
(1.40)
(1.41)
dimostrazione:r
r
r
τ ij = Γijατ α + bij N >>>
r
r
r
r
∂τ ij r
r
r
α
αr
α
α
β r
τ
τ
τ
τ
τ
=
=
(
Γ
)
+
Γ
+
(
b
)
N
+
b
N
=
(
Γ
)
+
Γ
(
Γ
+
b
N
)+
ijk
ij k α
ij αk
ij k
ij k
ij k α
ij
αk β
αk
∂u k
r
r
r
r
+ (bij ) k N + bij (−bkατ α ) = [(Γijα ) k + Γijβ Γβαk − bij bkα ]τ α + [Γijα bαk + (bij )k ]N
r
r
dove si è usata la eq. di Weingarten N i = −biατ α .
r
r
r
Analogamente: τ ikj = [(Γikα ) j + Γikβ Γβαj − bik bαj ]τ α + [Γikα bαj + (bik ) j ]N
Ora, le derivate del terzo ordine sono indipendenti dall’ordine di derivazione se e solo se:
r
r
τ ijk = τ ikj , ossia:
r
r
r
r
τ ijk − τ ikj = [(Γijα ) k − (Γikα ) j + Γijβ Γβαk − Γikβ Γβαj − bij bkα + bik bαj ]τ α + [Γijα bαk + (bij ) k − Γikα bαj − (bik ) j ]N = 0
r
r
r
e dato che τ 1 , τ 2 ed N sono linearmente indipendenti, l’equazione precedente equivale
a dire che:
[(Γijα )k − (Γikα ) j + Γijβ Γβαk − Γikβ Γβαj − bij bkα + bik bαj ] = 0
(1.42)
[Γijα bαk + (bij )k − Γikα bαj − (bik ) j ] = 0
La (1.42), mediante la (1.39), fornisce: Rijkα = (Γikα ) j − (Γijα )k + Γikβ Γβαj − Γijβ Γβαk , cioè l’asserto.
Capitolo 2: Le grandezze salienti della Teoria della Relatività Generale .
Par. 2.1: Concetti introduttivi sulla Relatività Generale.
Si rilegga innanzitutto l’Introduzione a pag. 2.
Inoltre, sappiamo dalla TRR (in App. 1) che la contrazione di Lorentz avviene nella
direzione del moto, dunque, se si ha un sistema in rotazione, o un punto che ruota, ad
esempio, su un cerchio, ci si troverà a muoversi, in certe fasi lungo x, poi lungo x ed y, poi
magari anche lungo z, dunque la contrazione di Lorentz non agisce sempre lungo una sola
coordinata e, dunque, il cerchio percorso risulterebbe, agli occhi si un sistema di
riferimento in rotazione, dunque non inerziale, schiacciato, in qualche modo, dunque
modificato geometricamente.
Se, infatti, in un sistema inerziale I abbiamo:
dτ 2 = c 2dt 2 − dx 2 − dy 2 − dz 2 , ( dτ 2 = −ηik dξ i dξ k ,vedere oltre)
(2.1)
in un altro sistema I’ in accelerazione lungo x rispetto al primo, si avrà:
{
{
1
x = x'+ at 2
2
y = y'
z = z'
t = t'
dx = dx'+ at ' dt '
dy = dy '
dz = dz '
dt = dt '
e:
da cui:
dτ 2 = c 2 dt '2 −(dx'+ at ' )2 − dy '2 − dz '2
oppure
(2.2)
dτ 2 = (c 2 − a 2t '2 )dt '2 −2at ' dx ' dt '− − dx '2 −dy '2 − dz '2
(2.3)
Se poi abbiamo anche un altro sistema I’ col piano x-y in rotazione (a velocità angolare ω )
rispetto a quello del primo, avendosi il seguente sistema di trasformazione:
{
x = x' cos ωt − y ' sin ωt
y = x' sin ωt + y ' cos ωt
y’
y
ω
x’
θ = ωt
x
Fig. 2.1: Due sistemi di riferimento, uno in rotazione rispetto all’altro.
e ricordando che, banalmente, ad esempio, d (sin ωt ) = ω cos ωt ⋅ dt ecc, si ha per dτ 2 :
dτ 2 = [c 2 − ω 2 ( x'2 + y '2 )]dt 2 + 2ωy ' dx' dt '−2ωx ' dy ' dt '− dx '2 −dy '2 − dz '2
(2.4)
e si vede che in nessun caso ((2.2), (2.3), e (2.4), che sono del tipo dτ 2 = − g µν dx µ dxν ;
vedere oltre) si può ridurre dτ 2 , tramite trasformazioni temporali, alla somma algebrica
dei quadrati dei differenziali delle quattro coordinate, come nella (2.1) e come sarebbe
invece per un altro sistema di riferimento inerziale.
Dunque, la presenza di accelerazioni rettilinee dei sistemi di riferimento (che possono
annullare i campi gravitazionali) e anche centrifughe/centripete, ossia centrali, come per la
gravità (ad esempio, in seguito a rotazioni), introducono termini misti che cambiano la
metrica, e dunque la geometria dello spazio/spazio-tempo. Da qui l’esigenza di formulare
una teoria relativistica per la gravitazione (TRG).
Par. 2.2: Sul tensore metrico ed altre grandezze salienti.
Quando abbiamo trattato le equazioni di Gauss-Weingarten, poco sopra, abbiamo visto
r
r r
che τ u , τ v , ed N sono linearmente indipendenti (ortogonali) e dunque sono un sistema
di riferimento anche loro, ma curvilineo, e locale, in quanto giacciono su un punto della
superficie, e quando ci si muove su di essa, tale terna si sposta ed essi cambiano pure di
direzione. Ecco dunque un valido esempio di sistema di riferimento curvilineo, nell’opinione
di chi scrive, ovviamente.
In tutte le equazioni presentate nel capitolo precedente sulla geometria, gli indici i, j, k ecc
variavano da 1 a 2 o anche 3. Ora, addentrandoci un po’ più nell’ambito dell’Universo e,
quindi della Relatività Generale, prendiamo innanzitutto atto del fatto che il nostro
Universo appare tridimensionale, dunque, per gli indici, avremo una variabilità che giunge
almeno fino a tre, e poi, visto che, come esposto anche in App. 1 sulla Relatività Ristretta,
esiste un Universo matematicamente quadridimensionale (per la fisica ufficiale, esso è
anche realmente quadridimensionale; per me invece no!), in cui si ha covarianza, dunque
conservazione, nel passaggio da un sistema inerziale all’altro, allora, con Einstein, iniziamo
una volta per tutte a considerare l’Universo in chiave quadridimensionale e basta; dunque,
gli indici di tutte le equazioni geometriche presentate nel capitolo precedente, avranno
d’ora in poi gli indici con una variabilità a quattro valori e la quarta componente è quella
temporale (ct). Varrà poi la convenzione di Einstein, secondo cui se in un termine di
un’equazione un indice compare due volte, allora è sottintesa la somma su esso.
Riportiamo qui le principali, che ci serviranno:
r
r
τ ij = Γijατ α
(Eq. di Gauss in forma più compendiosa; tutto in Γijα ) (i,j=1,2,3,4)
(2.5)
(questa ci dà anche la derivata del versore)
dτ 2 = − gik du i du k (i,j=1,2,3,4) (tensore metrico g ik /de-quadridistanza quadro dτ 2 )
(2.6)
1 kα ∂g jα ∂gαi ∂gij
g ( i +
−
) (i,j=1,2,3,4) (simbolo di Christoffel di 2^ specie)
2
∂u
∂u j ∂u α
(2.7)
Rijkα = (Γikα ) j − (Γijα )k + Γikβ Γβαj − Γijβ Γβαk (i,j=1,2,3,4) (Tensore di curvatura di Riemann misto)
(2.8)
Γijk =
Il tensore metrico g ik , nel caso ci si trovi in spazi euclidei, si riduce al tensore di Minkowski
ηik (vale 1 per i=k=1,2,3 e vale -1 per i=k=4; vale 0 per i diverso da k) e senza termini
misti, cioè con i,k diversi, ηik=0; infatti, si avrebbe ( u i = x, y, z , ct ):
dτ 2 = −ηik dξ i dξ k = − x 2 − y 2 − z 2 + (ct )2 , proprio come nella Relatività Ristretta (App. 1) e le
ξ i denoterebbero il sistema euclideo di coordinate. Passando a sistemi curvi ( dξ i >>>> dx i ),
si ha:
∂ξ i ∂ξ k
dτ 2 = −ηik dξ i dξ k = −ηik µ ν dx µ dxν = − g µν dx µ dxν , con
(2.9)
∂x ∂x
∂ξ i ∂ξ k
g µν = ηik µ ν
(2.10)
∂x ∂x
che è l’equazione di passaggio da un sistema all’altro.
In futuro riserveremo, per gli indici, tendenzialmente le lettere dell’alfabeto comune (i,j,k
ecc) in caso di spazi euclidei ( η ik ) e le lettere dell’alfabeto greco ( µ,ν ecc) per gli spazi
curvi g µν , a forte gravità.
-----------------Abbiamo visto con le (1.1) e (1.2) che una sfera si può rappresentare tramite
un’equazione che contenga le tre coordinate cartesiane classiche (x,y,z) oppure anche
fissando un raggio e facendo variare due angoli ( r ,θ ,ϕ ):
x2 + y 2 + z 2 = r 2
r
τ Σ = (r cosθ sin ϕ ) xˆ + (r sin θ sin ϕ ) yˆ + (r cos ϕ ) zˆ
(x,y,z)
( r ,θ , ϕ )
Ora, nel caso in cui si effettui un cambiamento di sistema di coordinate (x,y,z) >>>>
(x’,y’,z’) con il secondo magari traslato e ruotato rispetto al primo, ci saranno delle
classiche equazioni di passaggio da un sistema all’altro, ma i due sistemi di coordinate
avranno sempre la stessa rappresentazione grafica di assi che si estendono dall’origine
all’infinito, in positivo come in negativo.
x ' 2 + y '2 + z '2 = r 2
(x’,y’,z’)
Ciò, però, nell’ambito della geometria euclidea, o non curvilinea, se vogliamo.
y’
y
z’
z
x’
Fig. 2.2: Due diversi sistemi di riferimento “euclidei”.
x
Se ora io suppongo di dover passare da un sistema come quello di Fig. 2.2 ad uno in cui lo
spazio è, per qualche motivo, incurvato, magari dalla gravità della materia e dell’energia,
come sostenuto in Relatività Generale, allora la geometria euclidea non mi è più sufficiente
e quella curvilinea, non euclidea “alla Riemann” mi è più di aiuto. Infatti, nell’opinione di
chi scrive, nel passare da un sistema normale ad uno “curvo”, non si può più avere la
rappresentazione di Fig. 2.2, ma il sistema curvo avrà un aspetto di terna di assi cartesiani
rettilinei solo nell’infinitesimo (“d” = de), come in Fig. 2.3, in quanto, essendo lo stesso
appunto curvo, appena mi allontano dall’origine “0”, l’asse si incurva e non ho più alcuna
forma di linearità e di proporzionalità.
dy’
dy
dx
dx’
0
0
dz
dz’
Fig. 2.3: Caso di sistema di coordinate curvilinee.
Avrò dunque un sistema di equazioni di passaggio da un sistema euclideo ( ξ i ) ad uno
curvilineo ( x i ), nell’ambito dell’infinitesimo, per quanto appena detto, e che sarà, in
generale, di questo tipo:
{
{
ξ 1 = ξ 1 ( x1 , x 2 , x 3 , x 4 )
ξ 2 = ξ 2 ( x1 , x 2 , x 3 , x 4 )
ξ 3 = ξ 3 ( x1 , x 2 , x 3 , x 4 )
ξ 4 = ξ 4 ( x1 , x 2 , x 3 , x 4 )
(2.11)
e viceversa:
x1 = x1 (ξ 1, ξ 2 , ξ 3 , ξ 4 )
x 2 = x 2 (ξ 1 , ξ 2 , ξ 3 , ξ 4 )
x 3 = x 3 (ξ 1, ξ 2 , ξ 3 , ξ 4 )
x 4 = x 4 (ξ 1 , ξ 2 , ξ 3 , ξ 4 )
(2.12)
e per le equazioni di conversione delle espressioni per le superfici e per gli oggetti
r
r
geometrici (τ ), si ha ovviamente ( τ = ξ 1iˆ + ξ 2 ˆj + ξ 3kˆ + ξ 4tˆ = (ξ 1 , ξ 2 ,ξ 3 ,ξ 4 ) e
r
r
r
r
r
( τ = x1τ 1 + x 2τ 2 + x 3τ 3 + x 4τ 4 = ( x1 , x 2 , x 3 , x 4 ) ):
r
r ∂τ ∂ξ 1
∂ξ 2
∂ξ 3
∂ξ 4
τ 1 = 1 = 1 iˆ + 1 ˆj + 1 kˆ + 1 tˆ
∂x
∂x
∂x
∂x
∂x
r
1
2
3
r
∂τ
∂ξ ˆ ∂ξ ˆ ∂ξ ˆ ∂ξ 4 ˆ
τ2 = 2 = 2 i + 2 j + 2 k + 2 t
∂x
∂x
∂x
∂x
∂x
r
1
2
3
r ∂τ ∂ξ
∂ξ
∂ξ
∂ξ 4
τ 3 = 3 = 3 iˆ + 3 ˆj + 3 kˆ + 3 tˆ
(2.13)
∂x
∂x
∂x
∂x
∂x
r
r
∂τ
∂ξ 1
∂ξ 2
∂ξ 3
∂ξ 4
τ 4 = 4 = 4 iˆ + 4 ˆj + 4 kˆ + 4 tˆ
∂x
∂x
∂x
∂x
∂x
{
e inoltre, ovviamente:
{
∂ξ 1 1 ∂ξ 1 2 ∂ξ 1 3 ∂ξ 1 4
dx + 2 dx + 3 dx + 4 dx
∂x
∂x
∂x
∂x1
2
2
2
∂ξ 2
∂ξ
∂ξ
∂ξ
dξ 2 = 1 dx1 + 2 dx 2 + 3 dx 3 + 4 dx 4
∂x
∂x
∂x
∂x
3
3
3
∂ξ 3
∂ξ
∂ξ
∂ξ
dξ 3 = 1 dx1 + 2 dx 2 + 3 dx 3 + 4 dx 4
∂x
∂x
∂x
∂x
4
4
4
∂ξ 4
∂ξ
∂ξ
∂ξ
dξ 4 = 1 dx1 + 2 dx 2 + 3 dx 3 + 4 dx 4
∂x
∂x
∂x
∂x
dξ 1 =
(2.14)
r
e allora: dτ = dξ 1iˆ + dξ 2 ˆj + dξ 3kˆ + dξ 4tˆ = (dξ 1, dξ 2 , dξ 3 , dξ 4 ) = (dx1 , dx 2 , dx 3 , dx 4 ) =
r
r
r
r
r
r
r
= dτ = dx1τ 1 + dx 2τ 2 + dx 3τ 3 + dx 4τ 4 = dx iτ i = dτ
(2.15)
r
r
r
r
r
e dunque ( dx1 , dx 2 , dx 3 , dx 4 ) sono le componenti di τ nella base curvilinea ( τ 1 ,τ 2 ,τ 3 ,τ 4 ).
r r r r
Esiste ora una quaterna reciproca ( τ 1 ,τ 2 ,τ 3 ,τ 4 ) tale che, per definizione:
r r
τ i ⋅τ j = δ i j .
Riprendendo ora un attimo la (2.15), dove è palesemente utilizzata la convenzione di
r
r
Einstein, si ha: dτ = dx iτ i
Se ora vogliamo effettuare un cambiamento di base curvilinea, con coordinate da dx i a
r
r
dx'l , scriveremo ovviamente che: dx iτ i = dx'l τ 'l e, moltiplicando entrambi i membri per
r
r r
∂x i
τ i , si ha: dx i = dx'l τ 'l ⋅τ i , ma è anche vero che (come per le (2.14)): dx i = l dx'l ; segue
∂x '
i
r r
∂x
= τ 'l ⋅τ i , ossia:
che:
l
∂x '
r
r ∂x i
τ 'l = τ i l
(2.16)
∂x '
e la (2.16) è l’equazione per il cambiamento di base.
Legge di trasformazione delle componenti di un 4-vettore:
r
r
r
sia V = V iτ i un generico vettore espresso con le coordinate curvilinee nella base τ i ; nella
r
r
r
base τ 'l si avrà invece: V = V 'l τ 'l e, per la (2.16):
r
r
r
∂x i r
V = V 'l τ 'l = V 'l l τ i = V iτ i , con:
∂x '
i
∂x
V i = V 'l l
(2.17)
∂x '
che è la equazione di trasformazione delle componenti di un 4-vettore per cambiamento di
i
i
l ∂x '
base. Banalmente, la sua inversa è: V ' = V
∂x l
------------------
Legge di trasformazione delle componenti di un 4-tensore:
nell’App. 1 sulla Relatività Ristretta abbiamo ricordato che si ottiene un tensore T di rango
n quando moltiplico tra loro le componenti di n vettori. Si abbiano dunque due vettori V ed
S: (dove stiamo contemporaneamente ricordando come si trasformano le loro componenti)
∂ x 'λ
>>>>
∂xσ
µ
λ
∂x 'µ ∂x 'λ
∂x'µ
∂x 'λ
νσ ∂x ' ∂x '
T 'µλ = V 'µ S 'λ = V ν ν S σ σ = V ν S σ ν
T
= T 'µλ ed ecco come si
=
ν
σ
σ
∂x ∂x
∂x ∂x
∂x
∂x
trasformano le componenti di un tensore di rango 2. Si procede poi similmente per tensori
di rango superiore.
V 'µ = V ν
∂x'µ
∂xν
e
S 'λ = S σ
derivazione di un 4-vettore:
r
r
si abbia un 4-vettore: V = V µτ µ ; deriviamolo:
r
r
dV dV µ r
σ dτ σ
=
τµ +V
,
(2.18)
dx µ dx µ
dxν
gli indici cambiano da un termine all’altro, perchè essi variano su quattro valori e non
devono necessariamente essere contemporaneamente gli stessi nei vari termini.
r r
Moltiplichiamo ora il secondo membro della (2.18) per la quantità unitaria τ µ ⋅ τ µ
r
r
dV
dV µ
σ dτ σ r µ r
= [ µ +V
τ ]τ µ ; bene, la quantità tra le quadre è la derivate covariante ed è
dx µ
dx
dxν
un tensore, per quanto finora detto:
r
dV µ
dV µ
µ
σ dτ σ r µ
V;ν = µ + V
τ
=
+ V σ Γνσµ (derivata covariante)
(2.19)
dx
dxν
dx µ
con i Γνσµ detti Simboli di Christoffel (connessione affine) e già introdotti con la (1.30).
Inoltre, per il sistema (2.13), potremmo scrivere, più in forma vettoriale compendiosa, che
r
r
∂ξ α
τ µ = (∑ )ηα µ , da cui una forma duale per la quaterna reciproca τ µ (tale che, per def.
∂x
α
rµ
∂x µ
τ = (∑ )η µ α e dunque il coefficiente Γνσµ nella (2.19)
∂ξ
µ
possiamo anche esprimerlo nel seguente modo:
r
dτ σ r µ
d
∂ξ α
∂x µ
∂ 2ξ α ∂x µ
µ
Γνσ = ν τ = ν (ηα σ )η µ α = ηαη µ σ ν
, che, inserito nella (2.19), può essere
dx
dx
∂x
∂ξ
∂x ∂x ∂ξ α
anche scritto in modo più semplice, senza i coefficienti unitari η:
∂ 2ξ α ∂x µ
µ
Γνσ = σ ν
(2.20)
∂x ∂x ∂ξ α
Poi, già nell’App. 1 sulla Relatività Ristretta, abbiamo ricordato che una tale derivata (di un
vettore) dà un tensore. Si vede poi che tale derivata è un tensore (di rango 2) già solo per
il fatto che gli addendi che la compongono contengono due indici, appunto come un
tensore 2.
Inoltre, la (1.30) del capitolo precedente sulla Geometria è un esempio di derivata di un
vettore (versore) che appare appunto come tensore 2.
r r
di reciprocità: τ µτν = δ µν ):
derivazione di un tensore:
∂ µσ
µ νσ
σ
k
T + Γρν
Tλ + Γρν
Tλµσ − Γλρ
Tkµσ
ρ λ
∂x
r r
µσ
infatti ( Tλ sono solo le componenti, senza “versori” e inoltre τ µτ µ = δ µµ = 1 ):
r r r
T(tensore)= Tλµσ τ µτ στ λ , da cui:
si ha che: Tλµσ
;ρ =
(2.21)
r r r
r r r
∂
∂
∂ r r r r r
∂ r r r r r
(Tλµσ τ µτ σ τ λ ) = ( ρ Tλµσ )(τ µτ σ τ λ ) + Tλνσ ( ρ τν )τ σ τ λ (τ µτ µ ) + Tλµν ( ρ τν )τ µτ λ (τ σ τ σ ) +
ρ
∂x
∂x
∂x
∂x
r
r
r
r
r
∂
∂
µ νσ
σ
k
Tλ + Γρν
Tλµσ − Γλρ
Tkµσ = Tλµσ
− Tkµσ ( ρ τ µ )τ kτ σ (τ λτ λ ) = ρ Tλµσ + Γρν
; ρ cvd.
∂x
∂x
r
r
r
r
r µ ∂τ k
∂τ µ r r µ ∂τ k
∂τ µ r
∂ µ
∂ rµ r
, da cui:
(in quanto : ν τ τ k = ν δ k = 0 = ν τ k + τ
)
τ k = −τ
∂xν
∂xν
∂x
∂xν
∂x
∂x
Par. 2.3: Sulla Trasformazione di Lorentz in Relatività Generale.
Riprendiamo un attimo la (2.9), dove sappiamo dall’App. 1 sulla Relatività Ristretta che
dτ 2 è Lorentz invariante:
∂x'α ∂x'β γ δ
dτ 2 = −ηαβ dx 'α dx'β = −ηαβ γ
dx dx = −ηγδ dx γ dx δ , con:
δ
∂x ∂x
α
β
∂x ' ∂x'
ηγδ = ηαβ γ
(2.22)
∂x ∂x δ
Differenziamo ora la (2.22) rispetto ad xε :
∂ 2 x'α ∂x'β
∂x 'α ∂ 2 x'β
0 = ηαβ γ ε δ + ηαβ γ
; ora, sommiamo a quest’ultima la stessa con γ ed ε
∂x ∂x ∂x
∂x ∂xδ ∂xε
scambiati e poi sottraiamo sempre la stessa con ε e δ scambiati, ottenendo:
∂ 2 x'α ∂x 'β
∂ 2 x 'α
0 = 2ηαβ γ ε δ >>>>>
= 0 , la cui soluzione è:
∂x ∂x ∂x
∂xγ ∂xε
x'α = Λαβ x β + aα
(Trasformazioni di Lorentz)
(2.23)
∂x'α ∂x'β
= ηαβ Λαγ Λβδ .
∂x γ ∂xδ
Inoltre, la (2.23) in forma differenziale è: dx'α = Λαγ dx γ .
Questa, unitamente alla (2.22), fornisce: ηγδ = ηαβ
(2.24)
Valutiamo ora gli elementi della matrice di Lorentz (o del tensore di Lorentz) Λαβ :
Dalle Trasformazioni di Lorentz (A1.8) in App. 1, abbiamo che (// e ⊥ si riferiscono alla
direzione di moto):
r r
r
r
r
r
r
V ⋅x
x '// = γ ( x// − Vt ) , x '⊥ = x⊥ , t ' = γ (t − 2 ) ; inoltre, ovviamente, si ha che:
c
r
r
r
r
r
r r
V
x// = ( x ⋅ V ) 2 e x⊥ = x − x// , sicchè:
V
r
r
r r
r r V
x ' = x + (γ − 1)( x ⋅ V ) 2 − γVt e
(2.25)
V
r r
V ⋅x
t ' = γ (t − 2 )
c
mentre per la (2.24), si ha: dx'i = Λiβ dx β , da cui, lasciando l’alfabeto comune (i,j ecc) per le
tre componenti spaziali, 0 come quarto coefficiente temporale e quello greco per tutto:
dx'i = Λi j dx j + Λi0 dx 0
(per la (2.24))
(2.26)
r r Vi
1
dx'i = dx i + (γ − 1)(dx ⋅ V ) 2 + γ V i dx 0 (per le (2.25))
V
c
(qui l’ultimo termine ha segno + e non – perché dx 0 = −cdt )
(2.27)
Dal confronto tra le (2.26) e (2.27), si ha:
1
(γ − 1) i
Λi0 = +γ V i e Λi j = δ ij +
V V j , e facendo nostra la normalizzazione c=1, per
c
V2
emplificare un po’ le espressioni:
Λi0 = +γV i e Λi j = δ ij +
(γ − 1) i
V Vj
V2
(Tensore di Lorentz)
r r
dove il prodotto dx ⋅ V della (2.27) ha reso solo la componente dx jV j nella (2.26), in
quanto nella (2.26) compariva solo dx j .
Se la T. di Lorentz diretta è data dalla (2.24): dx'α = Λαγ dx γ quella inversa, evidentemente, la
indichiamo così: dxγ = Λ 'αλ dx'α .
Allora, come del resto vedemmo anche in App. 1 sulla Relarività Ristretta, non solo le
componenti spaziali (x) e temporali (ct) si possono trasformare con Lorentz, ma anche i
quadrivettori ed i quadritensori lo fanno:
V 'α = ΛαβV β
γ
T 'αβ
= Λγδ Λεα Λξβ Tεξδ (ricordando che le componenti di un tensore si ottengono moltiplicando
quelle dei vettori)
Par. 2.4: Il 4-vettore Momento-Energia ed il Tensore Momento-Energia.
premessa sulla Delta di Dirac:
per definizione, la Delta di Dirac deve soddisfare la seguente equazione:
r
r
r r
f ( y ) = ∫ f ( x )δ 3 ( x − y )d 3 x
Praticamente, messa nell’integrale (che, ricordiamolo, è una sommatoria anch’esso),
fornisce sempre la funzione integranda f, ma di altra variabile. Si veda un qualche buon
testo sulla trasformata di Fourier per avere utili versioni della Delta di Dirac.
premessa su correnti e densità (di materia/energia):
r
se in vari punti xn (t ) ho energia (e dunque anche materia) con densità volumica en [ J / m3 ] ,
per avere quella totale dovrò ovviamente sommare su n:
r
r r
ε ( x , t ) = ∑ enδ 3 ( x − xn (t )) ,
n
dove la Delta di Dirac mi garantisce il giusto valore di en nella sommatoria per ogni
r
posizione xn (t ) .
Per quanto riguarda invece la corrispondente densità di corrente di materia/energia
r r
J ( x , t ) , si ha ovviamente:
r
r r
r
dxn (t )
3 r
J ( x , t ) = ∑ enδ ( x − xn (t ))
dt
n
r
dxn (t )
[m / s ] ci dà proprio una corrente di joule al metro
infatti, en [ J / m3 ] moltiplicato per
dt
quadro.
r r
dxα (t )
In componenti: J α ( x ) = ∑ enδ 3 ( x − xn (t )) n
e, ovviamente: J 0 = ε e xn0 (t ) = ct .
dt
n
Ora, la sommatoria è sui punti n; per avere il totale, bisogna integrare anche sul tempo:
dxαn (t ' )
; moltiplicando ora numeratore e
dt '
n
denominatore per c, visto che il “de” tempo proprio è dτ = cdt ' , avremo:
J α ( x ) = ∫ dt 'δ ( x − xn (t ' ))J α ( x ) = ∫ dt '∑ enδ 4 ( x − xn (t ' ))
J α ( x) = ∫ dτ ∑ enδ 4 ( x − xn (τ ))
n
dxαn (τ )
dτ
dxnα (τ )
.
dτ
r r r
r r
r r
∂
dx i (t )
∂
dx i (t )
Inoltre, ∇ ⋅ J ( x , t ) = ∑ en i δ 3 ( x − xn (t )) n = − ∑ en i δ 3 ( x − xn (t )) n =
∂x
dt
∂xn
dt
n
n
r r r
r r
∂
∂ r
∂ r
= − ∑ en δ 3 ( x − xn (t )) = − ε ( x , t ) . Portando ora − ε ( x , t ) insieme con ∇ ⋅ J ( x , t ) , avremo
∂t
∂t
∂t
n
la quadridivergenza (vedi anche App.1):
∂ α
J ( x ) = 0 (è evidente l’invarianza su Lorentz).
(2.28)
∂xα
r
Inoltre, Q (mat − energ ) = ∫ d 3 xJ 0 ( x ) = ∫ d 3 x ⋅ε ( x , t )
J α (x) è un 4-vettore, perchè tale è
------------------
il 4-vettore momento-energia:
Già è stato trattato, tale vettore, nell’ambito della Relatività Ristretta (App. 1).
dxα
dpα
d 2 xα
α
Ovviamente, p = m0
;poi
= m0
= fα e
2
dτ
dτ
dτ
r 2 2 1/ 2
r 2 1/ 2
2
2
dτ = (c dt − dx ) = (1 − V c ) dt = dt γ
da cui, per
tridimensionale e per quella temporale:
r la componente
r
0
p = m0γV e p = E0 c = m0γc e quindi:
dx β
.
dτ
Ovviamente, per Lorentz: p'α = Λαβ p β .
p β = ( E0 c 2 )
(2.29)
(2.30)
(*): In realtà considereremo la massa m come massa riferita unità di volume [kg/m3]
il TENSORE momento-energia:
r
r r
T α 0 ( x , t ) = ∑ pnα (t )δ 3 ( x − xn (t ))
(“0” è la componente temporale)
(2.31)
n
r
r r
dxi (t )
T αi ( x , t ) = ∑ pnα (t ) n δ 3 ( x − xn (t )) (“i” fa invece riferimento alle tre componenti spaziali)
dt
n
e, nell’insieme, in modo più compendioso:
r r
dx β (t )
T αβ ( x) = ∑ pnα (t ) n δ 3 ( x − xn (t )) ( xn0 (t ) = ct )
(2.32)
dt
n
La prima è effettivamente un momento (p) e la seconda è effettivamente un’energia (p x
v). Come in precedenza, si è sommato sulle particelle n.
(Sommando poi anche sul tempo, si avrebbe, anche qui dopo aver moltiplicato numeratore
dx β
e denominatore per c: T αβ = ∫ dτ ∑ pnα n δ 4 ( x − xn (τ )) )
dτ
n
Ora, la (2.32), tramite la (2.30), diventa:
r r
pα p β
T αβ ( x) = ∑ n n2 δ 3 ( x − xn (t ))
n ( En / c )
Si nota la simmetria T αβ ( x ) = T βα ( x ) ; inoltre, T αβ (x) è un tensore e, come tale, per
Lorentz, si trasforma come segue:
T 'αβ = Λαγ Λβδ T γδ .
(2.33)
Inoltre, proprio come fatto in precedenza per giungere alla (2.28), tramite la quadri
divergenza, si ha:
dxni (t ) ∂ 3 r r
dxni (t ) ∂ 3 r r
∂ αi r
α
α
T
(
x
,
t
)
p
(
t
)
δ
(
x
x
(
t
))
p
(
t
)
=
−
=
−
∑n n dt ∂xi
∑n n dt ∂xi δ ( x − xn (t )) =
n
∂x i
n
r
r r
∂ 3 r r
∂
dpα (t )
δ ( x − xn (t )) = − T α 0 ( x , t ) + ∑ n δ 3 ( x − xn (t ))
∂t
∂t
dt
n
n
r
∂
in quanto T α 0 ( x , t ) nell’ultima riga si compone appunto, per la regola della derivazione di
∂t
un prodotto, dei due termini che ha a destra ed a sinistra.
r r
r
∂
∂
∂
dpα (t )
Dunque, i T αi + T α 0 = β T αβ = ∑ n δ 3 ( x − xn (t )) = Gα ( x , t ) , ossia:
∂x
∂t
∂x
dt
n
∂ αβ
T = Gα , con:
β
∂x
r
r r
r r
dpα (t )
dτ dpnα (τ ) 3 r r
dτ α
Gα ( x , t ) = ∑ n δ 3 ( x − xn (t )) = ∑
δ ( x − xn (t )) = ∑
f n (t )δ 3 ( x − xn (t ))
dt
dτ
n
n dt
n dt
= − ∑ pnα (t )
dpαn
dove f =
è ovviamente una forza.
dτ
α
n
Se le particelle sono libere, allora pαn = const e dunque >>>>
∂ αβ
T = 0 !!!
∂x β
Par. 2.5: Idrodinamica relativistica.
E’ ora molto importante dare una forma al tensore momento-energia T αβ , in quanto
vedremo che, nel limite newtoniano della gravitazione relativistica, una sua componente
compare (T 00 ) , suggerendoci così di coinvolgere, quando si esce dalla situazione limite,
appunto tutto T αβ . Per semplicità, considereremo ora c=1 (normalizzazione).
Vediamo ora che T αβ = pη αβ + ( p + ρ )U αU β e, per campi di intensità qualsiasi:
T µν = pg µν + ( p + ρ )U µU ν
(c=1)
(2.34)
dimostrazione:
denotiamo co simbolo ~ le grandezze che si riferiscono ad un sistema in quiete; inoltre,
dalla (2.32) si evince che, a secondo membro, vi è un prodotto di una quantità di moto
[(kg/m3)(m/s)] per una velocità [(m/s)] (ricordare l’osservazione (*) a pag. 26) e dunque:
massa x velocità x velocità (=J) fratto m3, cioè una pressione p.
(2.35)
Quando poi la quantità dx/dt=d(ct)/dt=c è quella corrispondente all’indice zero, come
per la (2.31), allora si avrà a secondo membro il prodotto p0 (mc, vedi la (2.29)) per c, ma
per l’osservazione (*) di pag. 26, m è una ρ e dunque si ha un ρc2. Riassumendo:
~
~
~
~
T ij = pδ ij [Pa ] , T i 0 = T 0 i = 0 , T 00 = ρ , ossia ( ρc 2 con c=1 [Pa ] )
(2.36)
Essendo ora T un tensore, trasformiamolo secondo Lorentz, in accordo con la (2.33), per
ottenere i suoi valori per un sistema generico, ossia non in quiete:
~
T αβ = Λαγ Λβδ T γδ ; si otterrà: ( γ =
{
1
1 − (V 2 c 2 )
=
1
1−V 2
, con c=1)
T ij = pδ ij + ( p + ρ )γ 2V iV j
T i 0 = ( p + ρ )γ 2V i
T 00 = γ 2 ( pV 2 + ρ )
infatti, tenendo conto che, per il Tensore di Lorentz, si ha:
(γ − 1) i
1
1
Λ00 = γ , Λi0 = γV i ( γ V i con c=1), Λ0i = γVi ( γ Vi con c=1), Λi j = δ ij +
V V j , segue che:
c
c
V2
~
~
~
T 00 = Λ0γ Λ0δ T γδ = Λ00 Λ00T 00 + ∑ (Λ0i Λ0iT ii ) = γ 2 ρ + ∑ [γ 2 (V i ) 2 ] p = γ 2 ( ρ + pV 2 )
i
i
~
~
~
T = Λ Λ T γδ = Λi0 Λ00T 00 + Λi j Λ0jT jj = γ 2V i ρ + p ∑ (Λi j Λ0j ) = γ 2V i ρ + p(Λii Λ0i + Λik Λ0k + Λil Λ0l ) =
i0
i
γ
0
δ
j
(k,l ≠ 0,i e j può valere i, oppure k,l)
(γ − 1)
(γ − 1)
= γ 2V i ρ + p[(1 + (V i ) 2
)γV i + V iV k
)γV k +
2
2
V
V
(γ − 1)
(γ − 1)
(γ − 1)
(γ − 1)
+ V iV l
)γV l ] = γ 2V i ρ + p[γV i + γV i (V i ) 2
) + γV i (V k ) 2
) + γV i (V l ) 2
)] =
2
2
2
V
V
V
V2
(γ − 1) i 2
= γ 2V i ρ + pγV i + pγV i
[(V ) + (V k ) 2 + (V l )2 ] = γ 2V i ρ + pγV i + pγV i (γ − 1) =
2
V
2 i
= γ V ( p + ρ)
Invece, per il calcolo di T ij , separiamo i due casi: (i=j e i ≠ j)
(γ − 1) 2
~
~
~
~
~
T ii = Λiγ Λiδ T γδ = Λi0 Λi0T 00 + Λii ΛiiT ii + Λik ΛikT kk + Λil ΛilT ll = (k , l ≠ i ) = γ 2 (V i )2 ρ + [1 + (V i )2
] p+
V2
2
(γ − 1) 2
i l (γ − 1) 2
2
i 2
i 2 (γ − 1)
+ [V iV k
]
p
+
[
V
V
]
p
=
γ
(
V
)
ρ
+
p
+
p
(
V
)
[(V i )2 + (V k ) 2 + (V l )2 ] +
V2
V2
V4
2
(γ − 1)
(γ − 1)
2
i 2
i 2 (γ − 1)
+ 2 p(V i )2
=
γ
(
V
)
ρ
+
p
+
p
(
V
)
+ 2 p (V i ) 2
= p + γ 2 (V i ) 2 ρ +
2
2
V
V
V2
(γ − 1)
(V i )2 2
i 2
2
+ p (V i )2
−
+
=
p
+
V
+
p
(
γ
1
2
)
γ
(
)
ρ
(γ − 1) = p + γ 2 (V i ) 2 ρ + p(V i ) 2 γ 2 =
2
2
V
V
2
2
(γ − 1) γ
= p + γ 2 (V i ) 2 ( p + ρ ) . (poichè
= 2 = γ 2 se c=1)
2
V
c
Nel caso invece di i ≠ j:
~
~
~
~
~
T ij = Λiγ Λ δj T γδ = Λi0 Λ 0j T 00 + Λii Λ jiT ii + Λi j Λ jjT jj + Λik Λ jk T kk = (k ≠ i, j ) = γ 2V iV j ρ +
(γ − 1) i j (γ − 1)
(γ − 1)
(γ − 1)
][V V
] + p[V iV j
][1 + (V j )2
]+
2
2
2
V
V
V
V2
2
ik
i k (γ − 1)
jk
j k (γ − 1)
2 i j
i
j (γ − 1)
i 2 i
j (γ − 1)
p[δ ( = 0) + V V
][δ ( = 0 ) + V V
] = γ V V ρ + pV V
+ p(V ) V V
+
V2
V2
V2
V4
2
2
(γ − 1)
i j (γ − 1)
j 2 i j (γ − 1)
k 2 i j (γ − 1)
+ pV V
+ p(V ) V V
+ p(V ) V V
= γ 2V iV j ρ + 2 pV iV j
+
2
4
4
V
V
V
V2
2
(γ − 1) 2
2 i
i 2
j 2
k 2
j
i
j (γ − 1)
i j (γ − 1)
[(
)
(
)
(
)
]
2
+ pV iV j
V
+
V
+
V
=
γ
V
V
ρ
+
pV
V
+
pV
V
=
V4
V2
V2
(γ 2 − 1) γ 2
(γ − 1)
2 i
j
= 2 = γ 2 se c=1).
= γ 2V iV j ρ + pV iV j
(
2
+
γ
−
1
)
=
γ
V
V
(
p
+
ρ
)
(poichè
2
2
V
V
c
+ p[1 + (V i )2
In totale:
T ij = pδ ij + ( p + ρ )V iV j γ 2 (per le componenti spaziali)
T αβ = pη αβ + ( p + ρ )U αU β (per tutte e 4 le componenti, ma in campi deboli (η αβ ))
dx i
dx i
dove U =
=γ
= γV ì e U 0 = γc .
dτ
dt
Per ultimo, per campi gravitazionali qualsiasi ( η αβ >>>> g αβ ):
T µν = pg µν + ( p + ρ )U µU ν (c=1) cvd.
i
Par. 2.6: L’Equazione della geodetica.
Un paracadutista in caduta libera non ha un pavimento su cui il suo corpo può gravare,
dunque lui, tra sé e sé, non avverte accelerazione di gravità, e si sente come sospeso nel
vuoto e si accorge che sta cadendo solo se guarda gli altri oggetti attorno che si muovono.
Per una particella in caduta libera, dunque, vi è ovviamente un sistema di riferimento in
r
cui a = 0 , ossia:
∂ 2ξ α
=0
(caduta libera in coordinate euclidee)
(2.37)
∂τ 2
con dτ 2 = −ηik dξ i dξ k .
Possiamo però vedere la (2.37) nel seguente modo:
d ∂ξ α dx µ
∂ 2ξ α dx µ dxν
∂ξ α d 2 x µ
∂ 2ξ α
+
=
=
=
0
(
)
dτ ∂x µ dτ
∂x µ dτ 2 ∂x µ ∂xν dτ dτ
∂τ 2
∂x λ
e teniamo conto del fatto che:
Moltiplichiamo ora entrambi i membri per
∂ξ α
∂ξ α ∂x λ
= δ µλ si avrà:
µ
α
∂x ∂ξ
µ
ν
d 2xλ
λ dx dx
+
Γ
= 0 (caduta libera in coordinate curvilinee)
(2.38)
µν
dτ 2
dτ dτ
(equazione della geodetica, dove geodetica, qui sulla Terra, è la rotta minima tra una
località e l’altra)
∂ 2ξ α ∂x λ
λ
con Γµν
.
= µ ν
∂x ∂x ∂ξ α
λ
Par. 2.7: La relazione tra g µν e Γµν
.
Già ricavammo tale relazione in un contesto tutto geometrico (vedere la (1.35)).
Ricaviamo ora la stessa relazione partendo da un calcolo diretto:
∂ξ α ∂ξ β
∂
; applichiamo ora a quest’ultima
:
Sappiamo già che: g µν = ηαβ µ
ν
∂x λ
∂x ∂x
α
∂g µν
∂ 2ξ α ∂ξ β
∂ξ α ∂ 2ξ β
∂ 2ξ α
λ ∂ξ
η
η
=
+
;
ricordando
ora
che
=
Γ
segue che:
αβ
µν
αβ
∂x λ
∂x λ ∂x µ ∂xν
∂x µ ∂x λ ∂xν
∂x µ ∂xν
∂x λ
α
α
∂g µν
∂ξ β
∂ξ α
ρ ∂ξ
ρ ∂ξ
ρ
η
ηαβ = Γλµ
g ρν + Γλνρ g ρµ
=
Γ
+
Γ
λµ
αβ
λν
∂x λ
∂x ρ ∂xν
∂x µ ∂x ρ
Similmente, si calcolano poi
(2.39)
∂g µλ
∂g λν
e
, da cui:
µ
∂x
∂xν
∂g µν ∂g λν ∂g µλ
k
+ µ − ν = 2 g kν Γλµ
; definendo ora una matrice (o tensore) reciproco gνσ tale che:
λ
∂x
∂x
∂x
νσ
σ
g g kν = δ k , si avrà, dunque:
∂g
∂g
1
∂g
σ
Γλµ
= gνσ ( µνλ + λνµ − µλ
),
(2.40)
2
∂x
∂x
∂xν
esattamente ciò che ottenemmo in ambito puramente geometrico appunto nel Capitolo 1.
Par. 2.8: Il limite Newtoniano.
r
r
Sappiamo che nel limite newtoniano (V<<c): dτ 2 = c 2 dt 2 − dx 2 = c 2 dt 2 − V 2 dt 2 ≅ c 2 dt 2
Ciò equivale a dire che V ì = dx i / dt ∝ dx i / dτ << dx 0 / dτ ∝ dx 0 / dt = d (ct ) / dt = c , ossia
appunto: dx i / dτ << dx 0 / dτ .
d 2xµ
dt
Con ciò, la (2.38) diviene:
+ Γ00µ ( ) 2 = 0 (con la convenzione c=1); inoltre, essendo,
2
dτ
dτ
in tale limite, il campo stazionario, g µν tende a η µν (cost) e allora le derivate temporali di
g µν sono nulle e allora, per la (2.40):
1
∂g
1
∂h
Γ00µ = − g µν 00
e gαβ = ηαβ + hαβ , con hαβ << 1 e quindi: Γ00α = − η αβ 00β e:
ν
∂x
2
∂x
2
r
d 2 x 1 dt 2
= ( ) ∇h00 = 0 da cui:
dτ 2 2 dτ
r
d 2x 1
= ∇h00 = 0 e
dt 2 2
d 2t
dt
=C.
= 0 da cui:
2
dτ
dτ
(2.41)
r
r
mM
GM
Ora, sappiamo dalla gravitazione di Newton che: ma = −G 2 rˆ , da cui: a = − 2 rˆ , ma:
r
r
2r
r d x
GM
GM
GM
rˆ = ∇(−
) = ∇φ (con φ = −
) e quindi: a = 2 = −∇φ e da quest’ultima con la
2
r
r
r
dt
(2.41), emerge che: h00 = −2φ + const ; visto che all’infinito h00 = φ = 0 , allora const=0 e:
g 00 = η00 + h00 = −1 − 2φ = −(1 + 2φ )
(2.42)
equazione di Poisson:
r
definiamo ora, con ovvietà, il flusso del vettore accelerazione a :
r
r
r r
GM
GM
dS
Φ (a ) ; si ha: dΦ(a ) = a ⋅ dS = − 2 rˆ ⋅ uˆdS = − 2 cosθdS = −GM 2n = −GMdΩ , da cui:
r
r
r
r
r r
Φ (a ) = ∫ a ⋅ dS = −GM ∫ dΩ = −4πGM , ma: M = ∫ ρ ( x, y, z )dV , da cui:
S
V
r r
r
r r
Φ (a ) = −4πG ∫ ρ ( x, y , z )dV = ∫ a ⋅ dS = for _ Theorem _ of _ Div. = ∫ ∇ ⋅ adV , e cioè:
V
S
V
r r
∇ ⋅ a = −4πGρ ( x, y, z )
r 1
r
rˆ
Adesso, visto che si ha dall’analisi matematica che ∇( ) = − 2 , allora: ∇φ = − a e quindi:
r
r
2
∆φ = ∇ φ = 4πGρ (Equazione di Poisson)
(2.43)
Par. 2.9: Il Tensore di Curvatura di Riemann-Christoffel.
1 νσ ∂g µν ∂gλν ∂g µλ
g ( λ + µ − ν ) , e cioè
2
∂x
∂x
∂x
esattamente ciò che ottenemmo al Cap. 1 , con la (1.35), in chiave puramente geometrica.
Ora, sarebbe possibile, sebbene in forma un po’ ampollosa, esplicitare la forma del tensore
di curvatura di Riemamm-Christoffel tramite calcoli diretti, puramente matematici, proprio
in analogia col Par. 2.7, ma si ottiene appunto quanto ottenuto al Cap. 1 con la (1.41), che
qui riportiamo, ottenuta in chiave più prettamente geometrica e dove useremo lettere
greche per gli indici, per denotare che parliamo qui di campi gravitazionali di intensità
qualsiasi e ricordando altresì che qui tali indici sono a quattro valori (spazio-tempo), tre
spaziali ed uno temporale:
Al paragrafo 2.7 abbiamo dimostrato che
λ
λ
λ
η
λ
η
λ
Rµν
k = (Γµν ) k − (Γµk )ν + Γµν Γkη − Γµk Γνη =
σ
Γλµ
=
λ
∂Γµν
∂Γµλk
η
−
+ Γµν
Γkλη − Γµηk Γνηλ
k
ν
∂x
∂x
(2.43)
σ
λσ
e anche Rµν
Rλµνk
k = g
σ
da cui pure: Rλµνk = g λσ Rµν
k e ricordando l’espressione (2.40) per
Γabc :
∂g
∂g
∂g
∂g
∂g
∂g
1
∂
1
∂
g λσ k [ g σρ ( ρµ
+ ρνµ − µνρ )] − g λσ ν [ g σρ ( ρµk + ρµk − µρk )] +
ν
2
∂x
∂x
∂x
2
∂x
∂x
∂x
∂x
∂x
η
σ
η
σ
+ g λσ [Γµν Γkη − Γµk Γνη ]
(2.44)
σ
Rλµνk = g λσ Rµν
k =
Ora, sappiamo che g λσ g σρ = δ λρ , da cui:
della (2.39), ossia della seguente:
∂
( g λσ g σρ ) = 0 e dunque, tenendo anche conto
k
∂x
∂g ij
= g µj Γikµ + g µi Γαµk si ha:
k
∂u
∂ σρ
∂
g = − g σρ k g λσ = − g σρ (Γkηλ gησ + Γkησ gηλ )
(2.45)
k
∂x
∂x
dove è stato ovviamente effettuato un piccolo aggiustamento degli indici, che,
ricordiamolo, hanno una valenza di genericità, ossia, poco importa se uso j o k; è
importante che essi varino su quattro valori, come ormai sappiamo, e che la loro
ripetizione sia coerente.
g λσ
Ritornando alla (2.44), la stessa diventa, grazie alla (2.45):
∂2 g
∂2 g
1 ∂2 g
∂2 g
σ
η
Rλµνk = [ k λνµ − k µνλ − ν λkµ + ν µkλ )] − [Γkηλ gησ + Γkησ gηλ ]Γµν
+ [Γνλη gησ + Γνσ
gηλ ]Γµσk +
2 ∂x ∂x
∂x ∂x
∂x ∂x
∂x ∂x
η
σ
]
+ g λσ [Γµν
Γkση − Γµηk Γνη
Rλµνk
e cioè:
∂ 2 g µν
∂ 2 g µk
∂ 2 g λk
1 ∂ 2 g λν
σ
= [ k µ − k λ − ν µ + ν λ )] + gησ [Γνλη Γµσk − Γkηλ Γµν
]
∂x ∂x
∂x ∂x
∂x ∂x
2 ∂x ∂x
(2.46)
Come, del resto, abbiamo fatto anche alla fine del Par. 1.3, deduciamo tre proprietà del
tensore Rλµνk , che sono di verifica diretta:
-Simmetria Rλµνk = Rνkλµ
-Antisimmetria Rλµνk = − Rµλνk = − Rλµkν = Rµλkν
-Ciclicità Rλµνk + Rλkµν + Rλνkµ = 0
Il tensore di Ricci:
Rµk = g λν Rλµνk
( Rµk = Rkµ )
(2.47)
e si verifica direttamente che: Rµk = − g λν Rµλνk = − g λν Rλµkν = + g λν Rµλkν
E’ poi palese la parentela strettissima di tale tensore con la curvatura di Gauss (vedi la
(1.40), bidimensionale), da cui appunto il nome di tensore di curvatura.
L’Identità di Bianchi:
ponendoci in un sistema di coordinate localmente inerziale (campo gravitazionale non
forte) i vari Γabc sono nulli; infatti, la differenza tra l’equazione della geodetica in uno spazio
euclideo (2.37) e quella di uno spazio fortemente incurvato dalla gravità, ossia la (2.38),
sta proprio nella comparsa di un Γabc . In un sistema di coordinate localmente inerziale,
∂
dunque, la (2.46) fornisce (derivazione ;η espressa dalla presenza di η ):
∂x
2
2
2
2
∂ g
∂ g
1 ∂ ∂ g λν
∂ g
Rλµνk ;η =
[ k µ − k µνλ − ν λkµ + ν µkλ )]
(2.48)
η
2 ∂x ∂x ∂x
∂x ∂x
∂x ∂x
∂x ∂x
e quindi, per verifica diretta, si ha che:
Rλµνk ;η + Rλµην ; k + Rλµkη ;ν = 0
Contraendo (moltiplicando con), in quest’ultima, λ,ν con g λν , si ha:
Rµk ;η − Rµη ; k + Rνµkη ;ν = 0 e, contraendo ancora:
R;η − Rηµ; µ − Rην ;ν = 0 che equivale a scrivere anche (gli ultimi due termini sono simili:
2x >>> 1/2):
1
( Rηµ − δηµ R); µ = 0 e
2
( R µν −
1 µν
g R ); µ = 0
2
(2.49)
Capitolo 3: Le Equazioni del Campo Gravitazionale di Einstein.
Par. 3.1: Le dieci Equazioni del Campo Gravitazionale di Einstein.
Si tratta di 16 equazioni, in realtà, in quanto le stesse contengono tensori di rango 2, ossia
a due indici, ognuno dei quali può assumere 4 valori, e dunque 4x4=16, ma tali equazioni
non sono tutte linearmente indipendenti tra loro, ossia contengono dei doppioni, e quelle
indipendenti sono appunto dieci.
Sappiamo dalla (2.42) che g 00 = −(1 + 2φ ) (punto di contatto con la teoria di Newton e base
di partenza), mentre dalle (2.36) sappiamo che, per materia non relativistica:
T00 = ρc 2 = ρ (con normalizzazione c=1); si ha poi che:
∆g 00 = ∇ 2 g 00 = ∇ 2 [−(1 + 2φ )] = −2∇ 2φ = −8πGρ = −8πGT00 ossia:
∇ 2 g 00 = −8πGT00 ; possiamo quindi, per estensione, suopporre che valga un’eguaglianza
del tipo: Gαβ = −8πGTαβ e, per campi gravitazionali di intensità qualsiasi:
Gµν = −8πGTµν
Deduciamo ora cinque particolarità che Gµν deve evidentemente avere:
A)per definizione, Gµν è un tensore, visto che il tensore momento-energia Tµν lo è
B) Gµν consiste di termini con derivate seconde del tensore metrico (ciò guardando ∇ 2 g 00 )
C) Gµν è simmetrico come Tµν
D)siccome Tµν è conservato ( Tµν ; µ = 0 ) allora anche Gµν e simili lo sono ( Gνµ; µ = 0 )
E)per campi stazionari deboli, non relativistici, si ha: Gµν = ∇ 2 g 00
A e B vogliono che Gµν sia proporzionale al tensore di curvatura (2.46) o meglio la (2.48),
palesemente composto da derivate seconde del tensore metrico.
Inoltre, la simmetria degli indici vuole che il tensore di curvatura sia rappresentato dal
tensore di Ricci Rµk = Rkµ e dall’altrettanto simmetrico R = Rµµ (vedi paragrafo sul tensore
di Ricci):
Gµν = C1Rµν + C2 g µν R
(3.1)
ma, con le (2.49), abbiamo anche visto che:
1
1
1
( Rνµ − δνµ R); µ = 0 , da cui: Rνµ; µ = δνµ R; µ = R;ν ; moltiplichiamo ora la (3.1) per g µµ :
2
2
2
C
C
Gνµ = C1Rνµ + C2 Rgνµ e Gνµ; µ = C1 Rνµ; µ + C2 R;ν = 1 R;ν + C2 R;ν = ( 1 + C2 ) R;ν
2
2
C1
Per la particolarità D, o C2 = −
o R;ν = 0 ; la seconda è da escludere poiché:
2
Gµµ = (C1 + g µν g µν C2 ) R = (C1 + 4C2 ) R = −8πGTµµ , quindi, se R;ν = ∂R ∂xν si annulla,
altrettanto deve accadere a ∂Tµµ ∂xν , ma noi non siamo ancora nel caso di materia non
relativistica.
1
g µν R)
(3.2)
2
Ora, grazie alla particolarità E, calcoliamo C1: per sistemi non relativistici, si ha sempre:
1
Tij << T00 , ossia: Gij << G00 , da cui, per la (3.2) qui sopra: Rij ≅ gij R ; inoltre, gαβ ≅ ηαβ
2
3
R
(tensore di Minkowski) e dunque: Rkk ≅ R e R00 ≅
.
2
2
La (3.2) con µ =ν = 0 ( g 00 ≅ η00 ) fornisce:
1
G00 = C1 ( R00 − (−1)2 R00 ) = 2C1R00 ; inoltre, per campi deboli possiamo scrivere (vedi la
2
c
(2.46) con Γab =0 o direttamente la (2.48)):
Allora: Gµν = C1 ( Rµν −
∂2 g
∂2 g
1 ∂2 g
∂2 g
Rλµνk = [ k λνµ − k µνλ − ν λkµ + ν µkλ )] e Rµk = η λν Rλµνk ; essendo il campo statico, le
2 ∂x ∂x
∂x ∂x
∂x ∂x
∂x ∂x
derivate temporali si annullano:
1 λν ∂ 2 g 00
1 ij ∂ 2 g 00
1
1
R00 = η Rλ 0ν 0 = η ( ν λ ) = η ( i j ) − η 00 0 = ∇ 2 g 00 , da cui:
2
∂x ∂x
2
∂x ∂x
2
2
1
1
G00 = 2C1 ∇ 2 g 00 = C1∇ 2 g 00 , da cui ( C1 = 1 ) Gµν = Rµν − g µν R e quindi:
2
2
λν
1
g µν R = −8πGTµν
2
che sono le equazioni del campo gravitazionale di Einstein, che riscriviamo:
Rµν −
Rµν −
1
g µν R = −8πGTµν
2
(3.3)
che ci dicono che la curvatura ( ∝ Rµν , R ) dello spazio-tempo è uguale alla presenza di
materia-energia ( ∝ Tµν ) nello stesso!!!
Contraendo ora con g µν , si ha: R − 2 R = −8πGTµµ , ossia R = 8πGTµµ e quindi:
1
g µν Tλλ ) (altra forma delle equazioni di Einstein).
2
Nel vuoto, f(T)=0 e quindi Rµν = 0 .
Rµν = −8πG (Tµν −
Capitolo 4: Tests classici della teoria di Einstein.
Par. 4.1: La metrica.
Si abbia sempre c=1, come convenzione semplificatrice. Definiamo un tensore metrico
generale, per cui un campo gravitazionale sia statico e isotropico; statico significa che il
tensore metrico non dipende dal tempo, riguardo la sua forma e le sue caratteristiche, con
chiaro riferimento ai coefficienti. Isotropico significa che vi è dipendenza dagli invarianti
irrotazionali; sappiamo infatti che la norma di un vettore ed il prodotto scalare tra due
vettori sono invarianti per rotazione:
r
r2
r
r r
x 2 = x , (dx ) 2 , x ⋅ dx
Tutto ciò per coordinate ortogonali quasi minkowskiane (quasi ηαβ )
dτ 2 = − g µν dx µ dxν , dτ 2 = F (r )dt 2 − 2 E (r )dtx ⋅ dx − D (r )( x ⋅ dx) 2 − C (r )dx 2
r r
r = ( x ⋅ x )1 / 2 e, in coordinate sferiche:
X3
{
x1 = r sin θ cosϕ
x2 = r sin θ sin ϕ
x3 = r cosθ
z
P(r, θ, φ)
(4.1)
r sin θdϕ
θ
r
r
X2
x1
x
dr
rdθ
φ
dτ 2 = F (r )dt 2 − 2rE (r )dtdr − r 2 D(r )(dr ) 2 − C (r )(dr 2 + r 2 dθ 2 + r 2 sin 2 θdϕ 2 )
Definiamo ora l’applicazione lineare t ' = t + φ (r ) ed eliminiamo gli elementi non diagonali
(misti) ponendo:
dφ
rE (r )
=−
; esiste una rototraslazione/applicazione lineare che mi riduce a forma
dr
F (r )
canonica la forma quadratica qui sopra:
dτ 2 = F (r )dt '2 −G (r )dr 2 − C (r )(dr 2 + r 2 dθ 2 + r 2 sin 2 θdϕ 2 ) , con:
E 2 (r )
)
F (r )
Definiamo r '2 = C (r )r 2 ; otteniamo allora la forma standard:
dτ 2 = B(r ' )dt '2 − A(r ' )dr '2 − r '2 (dθ 2 + sin 2 θdϕ 2 )
C (r )
r dC (r ) − 2
)(1 +
)
con B(r ' ) = F (r ) A(r ' ) = (1 +
G (r )
2C (r ) dr
A noi interessa dunque la forma standard (4.2):
G ( r ) = r 2 ( D( r ) +
(4.2)
dτ 2 = B(r )dt 2 − A(r )dr 2 − r 2 (dθ 2 + sin 2 θdϕ 2 ) e dal confronto con l’espressione generale della
metrica (2.9), si evince che: g rr = A(r ) , gθθ = r 2 , gϕϕ = r 2 sin 2 θ , g tt = − B(r ) e siccome
g µν è ortogonale, si ha che: g rr = A−1 (r ) , g θθ = r −2 , g ϕϕ = r −2 sin −2 θ , g tt = − B −1 (r ) .
λ
Sapendo poi che, per la (2.40): Γµν
=
1 λρ ∂g ρµ ∂g ρν ∂g µν
g ( ν + µ − ρ ) , emerge che le sole
2
∂x
∂x
∂x
quantità non nulle sono:
1 dA(r )
r
1 dB(r )
1
r sin 2 θ
r
Γrrr =
, Γϕϕ
, Γθθr = −
, Γrθθ = Γθθr = ,
=−
, Γttr =
2 A(r ) dr
A(r )
2 A(r ) dr
A(r )
r
1 dB(r )
1
θ
ϕ
ϕ
Γϕϕ
= − sin θ cosθ , Γrϕϕ = Γϕϕr = , Γθϕ
= Γϕθ
= cot θ , Γtrt = Γrtt =
.
2 B(r ) dr
r
λ
della (2.43)):
Calcoliamo ora il tensore di Ricci ( λ = ν in Rµνk
λ
λ
∂Γµλ
∂Γµλ
∂Γµλk
η
λ
η
λ
− λ + Γµλ Γkη − Γµk Γλη e ricordiamo che
è simmetrico su µ e k , anche
Rµk =
∂x k
∂x
∂x k
per eventuale verifica diretta; dunque, in totale, troviamo che:
Rrr =
B' ' (r ) 1 B' (r ) A' (r ) B' (r ) 1 A' (r )
− (
)(
+
)−
2 B(r ) 4 B(r ) A(r ) B(r )
r A(r )
Rθθ = −1 +
r
A' (r ) B' (r )
1
(−
+
)+
2 A(r ) A(r ) B(r )
A(r )
Rϕϕ = sin 2 θ ⋅ Rθθ , Rtt = −
B' ' (r ) 1 B' (r ) A' (r ) B' (r ) 1 B' (r )
+ (
)(
+
)−
, Rµν = 0 per µ ≠ ν .
2 A(r ) 4 A(r ) A(r ) B(r )
r A(r )
Par. 4.2: La soluzione di Schwarschild.
Sappiamo già che: dτ 2 = B(r )dt 2 − A(r )dr 2 − r 2dθ 2 − r 2 sin 2 θdϕ 2
Inoltre, nel vuoto Rµν = 0 , quindi
Rrr = Rθθ = Rtt = 0 ;
notiamo inoltre che:
Rrr Rtt
1 A' B'
A'
B'
+
= − ( + ) e, per la (4.3), si ha:
= − , cioè:
A
B
rA A B
A
B
(4.3)
A(r ) B(r ) = const .
(4.4)
Poi, per r → ∞ , il tensore metrico g µν deve approssimarsi al tensore di Minkowski η µν in
coordinate sferiche, ossia: lim r → ∞ A(r ) = lim r →∞ B(r ) = 1 , da cui, per la (4.4):
1
A(r ) =
e usando quest’ultima nelle espressioni per Rθθ ed Rrr , si ha:
B(r )
B' ' (r ) B' (r ) R'θθ (r )
+
=
Rθθ = −1 + B' (r )r + B(r ) e Rrr =
; ponendo Rθθ = 0 si ha:
2 B(r ) rB(r ) 2rB (r )
d
rB(r ) = rB ' (r ) + B(r ) = 1 , da cui: rB(r ) = r + const .
dr
Inoltre, per r → ∞ : g tt = g 00 = − B = −1 − 2φ → ( φ = −
GM
)→
r
2GM −1
2GM
] e cioè, infine:
] e A(r ) = [1 −
r
r
2GM 2
2GM −1 2
]dt − [1 −
] dr − r 2 dθ 2 − r 2 sin 2 θdϕ 2
dτ 2 = [1 −
r
r
(Soluzione di Schwarschild)
B(r ) = [1 −
(4.5)
Par. 4.3: Le equazioni generali del moto.
Sappiamo dunque che dτ 2 = B(r )dt 2 − A(r )dr 2 − r 2 dθ 2 − r 2 sin 2 θdϕ 2 e teniamo inoltre conto
della equazione della geodetica (2.38):
ν
λ
d 2 xµ
ν dx dx
+
Γ
=0
νλ
dp 2
dp dp
(in p generico, per ora): si
ha allora, facendo variare µ :
0=
d 2 r A' (r ) dr 2
r dθ 2 r sin 2 θ dϕ 2 B' (r ) dt 2
+
(
)
−
( ) −
( ) +
( )
dp 2 2 A(r ) dp
A(r ) dp
A(r ) dp
2 A(r ) dp
d 2θ 2 dθ dr
dϕ
0= 2 +
− sin θ cosθ ( ) 2
dp
r dp dp
dp
(4.6)
(4.7)
0=
d 2ϕ 2 dϕ dr
dϕ dθ
+
+ 2 cot θ
2
dp
r dp dp
dp dp
(4.8)
0=
d 2t B ' (r ) dt dr
+
dp 2 B(r ) dp dp
(4.9)
Ora, siccome il campo è isotropico, poniamo θ = π 2 e dunque le ultime due, (4.8) e (4.9)
diventano:
d
dϕ
d
dt
[ln
+ ln r 2 ] = 0 e
[ln
+ ln B] = 0 , da cui:
dp
dp
dp dp
dϕ
r2
= J (costante)
(4.10)
dp
dt
B = const (=1, per scelta)
(4.11)
dp
dt 1
=
da cui:
. Inserendo ora le (4.10), (4.11) e la condizione ( θ = π 2 ) usata prima,
dp B
nella (4.6), si ha:
dr
d 2 r A' (r ) dr 2
J2
B' (r )
0= 2 +
( ) − 3
+
e moltiplicando ora per 2 A(r )
:
2
dp
2 A(r ) dp
r A(r ) 2 A(r ) B (r )
dp
d
dr
J2
1
[ A(r )( )2 + 2 −
] = 0 cioè:
dp
dp
r
B (r )
dr 2 J 2
1
A(r )( ) + 2 −
= − E (costante)
(4.12)
dp
r
B(r )
Facendo poi sistema tra la condizione ( θ = π 2 ) usata prima, la (4.10), (4.11) e (4.12), si
ottiene:
dτ 2 = Edp 2
(4.13)
Sappiamo che E=0 per i fotoni e E>0 per particelle materiali.
Siccome A(r) è sempre positivo, si ha che la particella può raggiungere r solo se (vedi la
(4.12)):
1
J2
+E≤−
. Usando poi la (4.11) nelle (4.10), (4.12) e (4.13), si ottiene:
2
r
B(r )
dϕ
(4.14)
r2
= JB(r )
dt
A(r ) dr 2 J 2
1
= −E
( ) + 2 −
(4.15)
2
B (r ) dt
r
B(r )
e dτ 2 = EB 2 (r )dt 2
(4.16)
dϕ
=J e
Sappiamo ora che, per campi deboli: B − 1 = 2φ → r 2
dt
1 dr 2 J 2
1− E
( ) + 2 +φ ≅
(4.17)
2 dt
2r
2
1
1
=−
≅ ( perTaylor ) ≅ −(1 − 2φ )
in quanto: −
1 + 2φ
B(r )
La (4.17) ha una analoga nella meccanica classica di Newton.
Per orbite generali, r=r(φ); sappiamo poi che:
{
r2
dϕ
=J
dp
dr 2 J 2
1
) + 2 −
= −E
dp
r
B(r )
A(r ) dr 2 1
1
E
( ) + 2− 2
=− 2 ,
eliminando dp, si ha:
4
r
dϕ
r
J B(r )
J
con soluzione:
A1 / 2 (r )dr
ϕ = ±∫
1
E
1
− 2 − 2 )1 / 2
r2( 2
J B(r ) J
r
A(r )(
(4.18)
(4.19)
Par. 4.4: La deflessione della luce da parte del Sole.
ϕ (∞)
0
RS
r
ϕ (r )
0
r0
b
Δφ
Fig. 4.1: La deflessione della luce da parte del Sole.
γ
RS = RdelSole ; b è il parametro d’urto. All’infinito, b = r sin(ϕ − ϕ∞ ) ≅ r (ϕ − ϕ∞ ) e:
d
dr
r cos(ϕ − ϕ ∞ ) ≅
; V è la velocità di moto (costante). Essendo all’infinito A=B=1,
dt
dt
inserendo queste due relazioni nelle (4.14) e (4.15), si ha:
−V =
(4.20)
J = bV ed
2
E =1−V
(4.21)
La (4.21) è banale; per ottenere invece la (4.20), osserviamo che:
dϕ
dr
b ≅ r (ϕ − ϕ ∞ ) , da cui: 0 = dr (ϕ − ϕ ∞ ) + rdϕ , da cui: r 2
= − (ϕ − ϕ∞ )r = bV = J
dt
dt
1
Per r = r0 si ha che dr / dϕ = 0 e la (4.18) allora diviene: J = r0 (
− 1 + V 2 )1 / 2 e la (4.19)
B(r0 )
diviene, con facili passaggi:
ϕ ( r ) = ϕ (∞ ) + ∫
∞
r
A1 / 2 (r )dr
1 1
1
1
r 2[ 2 (
− 1 + V 2 )(
− 1 + V 2 )−1 − 2 ]1 / 2
r0 B(r )
B(r0 )
r
(4.22)
La variazione totale di φ è: 2 ϕ (r0 ) − ϕ∞ , mentre se il raggio di luce procedesse
indisturbato, si avrebbe una variazione pari a π , quindi, con riferimento alla Fig. 4.1, si
ha: ∆ϕ = 2 ϕ (r0 ) − ϕ ∞ − π ; per un fotone, V 2 = 1 e la (4.22) fornisce:
−
∞
1
2 dr
r
B(r )
ϕ (r ) − ϕ (∞) = ∫ A1 / 2 (r )[( ) 2 ( 0 ) − 1]
r
r0
B (r )
r
Usando ora gli sviluppi (di Taylor) dovuti a Robertson:
(4.23)
GM
GM
+ .... , B(r ) = 1 − 2
+ .... , si ha:
r
r
GM
1− 2
+ ....
r 2 B(r0 )
r 2
r
1 1
r0
( ) (
) −1 = ( ) [
] − 1 = ( ) 2[1 + 2GM ( − ) + ...] − 1 ≅
r0
B( r )
r0 1 − 2 GM + ....
r0
r r0
r
r
r
r
(r − r )
2GMr
≅ [( )2 + ( )2 2GM 0
− 1] = [( ) 2 − 1][1 −
+ ...]
r0
r0
rr0
r0
r0 (r + r0 )
L’ultima eguaglianza è verificabile direttamente.
La (4.23) diviene, per Taylor:
r
(per la risoluzione dei primi due integrali, si ponga 0 = cos x , mentre per il terzo si porrà
r
r0
1− t
= t e l’integrale sarà
)
r
1+ t
A(r ) = 1 + 2
ϕ ( r ) − ϕ (∞) = ∫
∞
r
−
1
2
1 r
GM
GMr
A (r ) [( ) 2 − 1] [1 +
+
+ ....]dr ossia:
r r0
r
r0 (r + r0 )
1/ 2
1°
Int.
2°
Int.
3°
Int.
r
GM
r
r − r0
[1 + 1 − 1 − ( 0 ) 2 −
] + ... e dunque:
ϕ (r ) − ϕ (∞) = sin −1 ( 0 ) +
r
r0
r
r + r0
∆ϕ =
4GM
4GM
e ricordando la nostra normalizzazione (c=1), si ha infine: ∆ϕ =
; con
r0
r0c 2
r0 = RS = 6,95 ⋅ 108 m e M S = 1,97 ⋅ 1030 kg , si ha:
∆ϕ = 1,75' ' , in ottimo accordo con i dati sperimentali. In realtà, quando nel 1919 fu
effettuata una spedizione in Brasile per la misura di tale deflessione della luce delle stelle
da parte del Sole, in occasione di una eclissi, la precisione della misura era dello stesso
ordine di grandezza del risultato.
Par. 4.5: Calcolo alternativo della deflessione, con profili di antagonismo alla TRG.
Questo metodo (Firk) fa leva sulla variazione di velocità che la luce subisce quando si
approssima ad una massa; per tale ragione, ravvedo dei profili di antagonismo alla pura
TRG. Esistono poi anche altri metodi, più o meno simili, che si basano su tale supposizione
(ad esempio Wåhlin) e pare che, considerando cifre decimali lontane, siano anche più
conformi ai dati sperimentali.
Ricordiamo innanzitutto che, per Schwarzschild (vedi, ad esempio, la (4.5)):
dτ 2 = B(r )dt 2 − A(r )dr 2 − r 2dθ 2 − r 2 sin 2 θdϕ 2 ;
(4.24)
r 2
2
2
2
Sappiamo poi che, in generale: dτ = c (dt ) − (dx ) ed essendo, per un fotone,
r
(dx )2 = c 2 (dt ) 2 , segue che: dτ 2 = 0 , da cui, per la (4.24):
0 = B(r )dt 2 − A(r )dr 2 − r 2 dθ 2 − r 2 sin 2 θdϕ 2 ; inoltre, considerando luce che viaggia
radialmente verso il Sole, possiamo annullare le componenti in dθ e dϕ :
0 = B(r )dt 2 − A(r )dr 2 ;
(4.25)
la velocità della luce è c = dr dt lontano dalla massa del Sole, mentre in prossimità dello
stesso vale la (4.25), dalla quale si ricava che:
V = dr dt = c( B(r ) A(r ))1 / 2 ≠ c ;
Dal Par. 4.2 abbiamo i valori di A(r) e B(r), in cui, però, nel momento dei calcoli, va
tenuto conto che non è più c=1; quindi:
2GM
2GM −1
2GM
B(r ) = [1 −
] e A(r ) = [1 −
] ≅ [1 +
]
2
2
rc
rc
rc 2
2GM
dagli sviluppi in serie sulla variabile
, si ha banalmente che:
rc 2
2GM
2GM 1 / 2
2GM
2GM
2GM
2GM
V c = ([1 −
] [1 +
]) ≅ [1 −
][1 −
] ≅ [1 −
] , ossia: V ≅ c[1 −
]
2
2
2
2
2
rc
rc
2rc
2rc
rc
rc 2
V ≅c
V ≅c
Angolo di deflessione
Fronte d’onda
V ≅c
V <c
Sole
Fig. 4.2: Le velocità dei fronti d’onda.
Con riferimento alla Figura 4.2, la parte di fronte d’onda che è più lontana dalla massa M
ha velocità c, mentre quella più vicina ha velocità V < c .
y
dx’=V’dt
x
dy
dx=Vdt
Onde piane
di luce
y
r
y=0
R
x
Sole (M)
Fig. 4.3: Schema per i calcoli.
Ora, con riferimento invece alla Figura 4.3, si ha:
r 2 = ( y + R)2 + x 2 (eq. di un cerchio);
applichiamo ora l’operatore ∂ ∂y alla (4.26), ottenendo:
2r (∂r ∂y ) = 2( y + R) da cui: ∂r ∂y = ( y + R) / r e sulla superficie della massa M:
∂r ∂y y →0 = R r
Ora:
∂V
∂y
(4.26)
∂V ∂r ∂V ∂r ∂
2GM
2GM ∂r
=
=
(c[1 −
]) = 2
, da cui:
2
∂y ∂y ∂r ∂y ∂r
rc
r c ∂y
=
y →0
2GM ∂r
r 2c ∂y
=
y →0
2GM R 2GMR
=
.
r 2c r
r 3c
Calcoliamo ora la differenza tra i cammini dx e dx’ dei fronti d’onda a distanza verticale y
ed y+dy, alle quali la luce ha velocità rispettivamente pari a V e V’:
dx’=V’dt e dx=Vdt, da cui:
dx’- dx =V’dt-Vdt=dt(V’-V) ;
(4.27)
inoltre, si ha, per Taylor: V ' = V + (∂V ∂y )dy , ossia: V '−V = (∂V ∂y )dy e la (4.27) diventa:
dx'−dx = (∂V ∂y )dydt
(4.28)
Poi, sempre dalla Figura 4.3 e dalla (4.28), si ha:
dα = (dx '− dx ) dy = (∂V ∂y )dt = (∂V ∂y ) dx V .
La deflessione totale ∆α subita tra − ∞ e + ∞ è, considerando che, in tale range, V è
quasi sempre uguale a c (tranne che appena in prossimità di M):
+∞
+∞
−∞
−∞
∆α = ∫ dα = ∫
1
1 +∞
(∂V ∂y )dx ≅ ∫ (∂V ∂y )dx e, in prossimità della superficie di M (y=0):
V
c −∞
1 + ∞ 2GMR
2GMR + ∞
dx
2GMR
x
∆α = ∫
dx =
=
3
2
2
2 3/ 2
2
2
2
∫
−
∞
−
∞
c
rc
c
(R + x )
c
R ( R + x 2 )1 / 2
4GM
∆α =
= 1,75' ' , proprio come ottenuto al Par. 4.4!!!
Rc 2
+∞
=
−∞
2GMR 2
⋅ 2 , cioè:
c2
R
Par. 4.6: La precessione del perielio dei pianeti.
a
a 1 − e2
r-
r+
e⋅a
un fuoco=Sole
Fig. 4.4: La precessione del perielio di Mercurio.
Per i pianeti ed in particolare per Mercurio, nei secoli, si nota che il perielio si sposta.
dr
= 0 . Sappiamo poi già che (vedi la (4.18)):
In r+ e r− , si ha che
dϕ
A(r ) dr 2 1
1
E
1
1
E
( ) + 2− 2
= − 2 ; quest’ultima, in r+ e r− , diventa: 2 − 2
=− 2 ,
4
r
dϕ
r
J B(r )
J
r± J B(r± )
J
1
1
r+2
r2
−
− −
B(r+ ) B(r− )
B(r+ ) B(r− )
e J2 =
da cui: E =
2
2
1 1
r+ − r−
−
r+2 r−2
Si ha: ϕ (r ) = ϕ (r− ) + ∫
r
r−
r
ϕ (r ) − ϕ (r− ) = ∫ [
r−
(4.29)
A1 / 2 (r )dr
, da cui, per le (4.29), si ha:
E
1
1 1/ 2
2
r [ 2
−
− ]
J B(r ) J 2 r 2
r−2 [ B −1 (r ) − B −1 (r− )] − r+2 [ B −1 (r ) − B −1 (r+ )] 1 −1 / 2 1 / 2
− 2 ] A (r )r − 2 dr
r+2 r−2 [ B −1 (r+ ) − B −1 (r− )]
r
(4.30)
La variazione totale di φ è: ∆ϕ = 2 ϕ (r+ ) − ϕ (r− ) . In assenza di precessione si avrebbe:
2 π = 2π . La precessione dell’orbita vale: ∆ϕ = 2 ϕ (r+ ) − ϕ (r− ) − 2π .
Ricordiamo ora gli sviluppi di Robertson di pag. 39:
GM
GM
+ .... , B(r ) = 1 − 2
+ ....
r
r
Abbiamo bisogno di uno sviluppo al 2° ordine per B −1 , altrimenti nella (4.30) B non dà
1
nessun contributo ∝ 2 . Per B −1 (r ) abbiamo allora:
r
GM
G 2M 2
B −1 ( r ) ≅ 1 + 2
+ 4 2 + .... .
r
r
A(r ) = 1 + 2
Con tali sviluppi, la radice nella (4.30) può ridursi ad una forma quadratica in
1
; si può
r
comunque notare che tale quantità si annulla per r = r± , quindi:
R=
1 1 1 1
r−2 [ B −1 (r ) − B −1 (r− )] − r+2 [ B −1 (r ) − B −1 (r+ )] 1
− 2 = C ( − )( − )
2 2
−1
−1
r+ r− [ B (r+ ) − B (r− )]
r
r− r r r+
C può essere determinata eseguendo il lim r → ∞ :
C=
r+2 [1 − B −1 (r+ )] − r−2 [1 − B −1 (r− )]
; ora, fattorizzando al numeratore ed al denominatore:
r+ r− [ B −1 (r+ ) − B −1 (r− )]
1 1
+ ) ; con tali risultati nella (4.30), si ottiene:
r+ r−
GM
[1 +
]dr
1 1 r
r
ϕ (r ) − ϕ (r− ) ≅ ......... ≅ [1 + MG( + )]∫
; definiamo ora:
r+ r− r− r 2 [( 1 − 1 )( 1 − 1 )]1 / 2
r− r r r+
1 1 1 1
1 1 1
= ( + ) + ( − ) sin Ψ
(4.31)
r 2 r+ r−
2 r+ r−
si ottiene: ( r = r− → Ψ = − π 2 ; inoltre, basta ricavare dr in funzione di dΨ nella (4.31) e
sostituire nell’integrale in dr:
3
1 1
1
1 1
π
ϕ (r ) − ϕ (r− ) ≅ ......... ≅ [1 + MG ( + )][Ψ + ] − MG( − ) cos Ψ .
2
r+ r−
2 2
r+ r−
6πMG
Per la (4.31), all’afelio Ψ = π 2 , quindi: ∆ϕ = 2 ϕ (r+ ) − ϕ (r− ) − 2π = (
) [rad/rev]
L
1 1 1
dove L = ( + ) (semilato retto).
2 r+ r−
6πMG
Sapendo ora che r± = (1 ± e)a ed L = (1 − e 2 )a (vedi nota (**) sotto), si ha: ∆ϕ = (
) e,
L
6πMG
ricordando la nostra normalizzazione iniziale (c=1), si ha: ∆ϕ = (
) ; per Mercurio
Lc 2
L = 55,3 ⋅ 109 m , da cui ∆ϕ = 0,1038' ' . Ora, siccome in un secolo Mercurio compie 415
rivoluzioni, si ha ∆ϕsec olo = 43,03' ' , in ottimo accordo con i dati sperimentali, visto che i
primi rilievi su Mercurio risalgono al 1765 e Clemence, nel 1943, calcolò:
∆ϕ = 43,11' '±0,45' ' .
---------------------------2(r− − r+ ) MG si ottiene: C ≅ 1 − 2MG (
(**): alcune considerazioni sull’ellisse:
y=direttrice
P(x,y)
x
Fuoco=(p,0)
Fig. 4.5: L’ellisse.
Si ha, per la definizione stessa di ellisse, che: d(P,F)=ed(P,d), dove e è l’eccentricità e d è
la direttrice. Dunque: ( x − p )2 + y 2 = e 2 x 2 , da cui (1 − e 2 ) x 2 + y 2 − 2 px + p 2 = 0 ; con facili
calcoli otteniamo che, per 0<e<1,
x2 y 2
+ 2 = 1 , con a = pe /(1 − e 2 ) e b = a 1 − e 2 , ma sappiamo anche che b = a 2 − c 2 (dalla
2
a
b
definizione di ellisse), quindi, per confronto: a ⋅ e = c .
Considerando poi anche l’altro fuoco, si ha che: d(P,F)+ d(P,F’)=cost=2a; infatti:
d(P,F)=ed(P,d) e d(P,F’)=ed(P,d’) e d(P,F)+ d(P,F’)=e[d(P,d)+ d(P,d’)]=costante,
ovviamente (per simmetria).
----------------------------
Appendici:
App. 1: La Teoria Della Relatività Ristretta
Indice dell’App. 1:
-Indice dell’App. 1.
-App. 1-Introduzione.
Pag.1
Pag.1
-App. 1-Capitolo 1: Concetti introduttivi fondamentali.
App. 1-Par. 1.1 Trasformazioni di Galilei.
App. 1-Par. 1.2: Trasformazioni (relativistiche) di Lorentz.
App. 1-Par. 1.3: La contrazione delle lunghezze, o di Lorentz.
App. 1-Par. 1.4: Dilatazione del tempo (Paradosso dei Gemelli).
App. 1-Par. 1.5: Il quadrivettore posizione.
App. 1-Par. 1.6: Legge Relativistica di Trasformazione delle Velocità.
App. 1-Par. 1.7: Il Tempo Proprio dτ di una particella.
Pag.3
Pag.3
Pag.3
Pag.5
Pag.6
Pag.6
Pag.7
Pag.8
-App. 1-Capitolo 2: La relatività delle energie.
App. 1-Par. 2.1: Il quadrivettore momento-energia (o momento lineare).
App. 1-Par. 2.2: Il quadrivettore velocità.
App. 1-Par. 2.3: La quadriforza.
App. 1-Par. 2.4: E0=m0c2.
App. 1-Par. 2.5: Energia cinetica relativistica.
Pag.9
Pag.9
Pag.9
Pag.9
Pag.10
Pag.11
-App. 1-Capitolo 3: Fenomeni relativistici.
App. 1-Par. 3.1: Tempo e gravità: la gravità rallenta il tempo!
App. 1-Par. 3.2: Volume dei solidi in moto.
App. 1-Par. 3.3: L’equazione delle onde, o di D’Alembert, vale in qualsiasi sistema di riferimento inerziale.
App. 1-Par. 3.4: L’esperimento di Fizeau.
App. 1-Par. 3.5: Effetto Doppler Relativistico (longitudinale).
App. 1-Par. 3.6: Il Paradosso dei Gemelli spiegato con l’Effetto Doppler Relativistico!
App. 1-Par. 3.7: L’Esperimento di Michelson e Morley.
Pag.11
Pag.11
Pag.12
Pag.12
Pag.13
Pag.14
Pag.14
Pag.15
-App. 1-Capitolo 4: L’Elettrodinamica relativistica.
App. 1-Par. 4.1: La forza magnetica è niente altro che una (relativistica) forza elettrica di Coulomb(!)
App. 1-Par. 4.2: Il quadrivettore densità di corrente.
App. 1-Par. 4.3: Il tensore del campo elettromagnetico.
Pag.16
Pag.16
Pag.19
Pag.20
-App. 1-SUBAPPENDICI:
App. 1-Subapp. 1: Trasformazioni di Lorentz consecutive.
App. 1- Subapp. 2: Effetto Doppler (relativistico) Trasversale.
App. 1- Subapp. 3: Le trasformazioni della quadrivelocità.
App. 1- Subapp. 4: Le trasformazioni della quadriforza.
App. 1- Subapp. 5: Il quadrivettore accelerazione e le trasformazioni delle accelerazioni.
App. 1- Subapp. 6: Come io vedo l’Universo (Unificazione Gravità Elettromagnetismo).
Pag.22
Pag.22
Pag.22
Pag.24
Pag.24
Pag.25
Pag.26
App. 1-Introduzione:
Tempo non è niente altro che il nome che viene dato ad una relazione matematica di rapporto tra due spazi differenti;
quando dico che per andare da casa al lavoro ho impiegato il tempo di mezz’ora, dico semplicemente che il
percorrimento dello spazio che separa casa mia dall’azienda in cui lavoro è corrisposto allo spazio di mezza circonferenza
orologio percorsa dalla punta della lancetta dei minuti.
A mio avviso, nulla di misterioso o di spazialmente quadridimensionale dunque, come invece proposto nella TRR (Teoria
della Relatività Ristretta). A livello matematico, invece, il tempo può essere sì considerato una quarta dimensione, così
come, se introduco la temperatura, ho poi una quinta dimensione, e così via.
La velocità della luce (c=299.792,458 km/s) è un limite superiore di velocità non per mistero inspiegabile o per principio,
come sostenuto nella TRR ed anche dallo stesso Einstein, ma bensì perché (sempre a mio avviso) un corpo non può
muoversi a casaccio ed a proprio piacimento, nell’Universo in cui è in caduta libera a velocità c, in quanto lo stesso è
vincolato a tutto l’Universo circostante, come se quest’ultimo fosse una tela di ragno che, quando la preda cerca di
muoversi, condiziona il movimento della stessa, e tanto più quanto i movimenti vogliono essere ampi (v~c), cioè, per
restare all’esempio della tela di ragno, se la mosca intrappolata vuole solo muovere un’ala, può farlo quasi
incondizionatamente (v<<c), mentre se vuole proprio compiere delle volate da una parte all’altra della tela (v~c), la tela
si fa sentire (massa che tende all’infinito ecc). Si veda, a tal proposito, il Subappendice 1.6.
La teoria di Einstein si fonda comunque formalmente su due principi:
-Principio di Relatività: le leggi fisiche assumono la stessa forma in tutti i sistemi inerziali (cioè in moto relativo a velocità
costante); non avendo infatti senso il moto assoluto rispetto ad un etere immobile che non esiste (vedi App.1-Par. 3.7)
tutti i sistemi di riferimento sono laboratori alla pari per verificarvi le leggi della fisica e non esistono dunque sistemi di
riferimento privilegiati (tranne che, a mio avviso, quello del centro di massa dell’Universo).
In ogni caso, l’esperimento di Michelson e Morley (App.1-Par. 3.7) segnò la fine dell’etere e spalancò le porte alla TRR.
-Principio di Costanza della Velocità della Luce: la velocità della luce nel vuoto ha in ogni sistema di riferimento inerziale
sempre il valore c=300.000 km/s.
Non importa dunque se la insegui a 299.000 km/s o se fuggi da essa sempre con tale velocità; la luce nel vuoto sfuggirà
o ti rincorrerà sempre a 300.000 km/s! (c=299.792,458 km/s)
Nell’opinione di chi scrive, c’è nella TRR una forma di contraddizione; la velocità della luce appare infatti “assoluta”, non
“relativa”, parlandosi qui di “relatività”. Il fatto è che le velocità tra i vari oggetti nell’Universo sono relative appunto tra
loro, ma esiste una velocità assoluta (o quasi) c con cui tutti gli oggetti nell’Universo cadono verso il centro di massa
dello stesso; da cui l’assolutezza di c. E si spiega anche come mai gli oggetti in quiete risultano possedere energia m0c2
(App.1-Par. 2.4), energia che Einstein conferì appunto alla massa in quiete, senza purtroppo dirci che tale massa invece
non è mai in quiete, poiché cade con velocità c verso il centro di massa dell’Universo, guarda caso. Si veda, a tal
proposito, la mia opinione personale completa, in merito, in Appendice 2.
Se giunge alle orecchie di un uomo comune il fatto che la luce ha velocità uguale per “tutti” gli osservatori inerziali,
quand’anche con determinati moti relativi tra loro, la cosa può cadere lì. Se però giunge alle orecchie di un uomo
particolare, come Einstein, le conseguenze che questi può intuire sono sconvolgenti. Questo piccolo esperimento che
segue, condotto con un orologio a luce a bordo di un’astronave, dimostra che il fatto che la velocità della luce è c per
“tutti” implica che il tempo sia relativo, da cui il Paradosso dei Gemelli (App.1-Par. 1.4) ecc:
contatore
00:01
00:02
sorgente di luce
00:02
V
V
ct
ct’
ct’
Vt
specchio
Fig. A1: Orologio a luce in quiete.
Fig. A2: Orologio a luce in movimento a velocità V.
Come si vede dalla figura A1, ogni volta che la luce (frecce blu) compie il tragitto dalla sorgente allo specchio e ritorno,
l’orologio a luce segna, ad esempio, un secondo, oppure un certo tempo t’. Il tragitto in blu schematizzato in figura A1 è
visto da chi è in quiete rispetto ad esso, cioè con chi è sull’astronave con l’orologio stesso. Chi invece è sulla Terra e
osserva l’orologio in viaggio sull’astronave, vedrà la luce compiere tragitti obliqui e più lunghi, come in figura A2, in
quanto, mentre la luce scende, lo specchio si sposta, e mentre risale, la sorgente si sposta ancora. Ora, parlandosi qui di
luce, il comportamento della stessa, mentre scende, non è come quello di una valigia che cade dalla cappelliera di un
vagone ferroviario, che è vista cadere verticalmente dal passeggero e in traiettoria parabolica dall’osservatore fermo
sulla banchina della stazione, impiegando per entrambi lo stesso tempo di caduta, in quanto nel secondo caso
(parabolico) la velocità di caduta risulta maggiore; qui si parla appunto di luce, dunque la sua velocità deve essere la
stessa per tutti, e cioè c; ma, se così è, allora chi osserva il tragitto obliquo più lungo deve concludere che il tempo
impiegato dalla luce per compiere un ciclo di discesa e risalita deve essere più lungo. Dunque, pur parlandosi dello
stesso orologio e dello stesso evento, i due osservatori, sulla durata, giungono a risultati diversi, e dunque alla relatività
del tempo ed a tutte le sue conseguenze.
Applicando il Teorema di Pitagora al triangolo di figura A2, si ha:
c t = c t ' +V t
2 2
2 2
2 2
, da cui:
V2
t'= t 1 − 2
c
e cioè, in generale:
t'< t
e t’ tende a zero per V che tende a c! Ricordo
che t’ è il tempo dell’astronauta in viaggio con l’orologio a luce, mentre t è il tempo trascorso sulla Terra. Se il fenomeno
è vero per la cosa più veloce che esiste (la luce), figuriamoci per gli orologi tradizionali a lancette e per quelli biologici
(esseri viventi)!
Negli anni settanta, utilizzando i sensibilissimi orologi atomici, è stata dimostrata la dilatazione del tempo, sulla Terra, tra
due orologi atomici inizialmente sincronizzati, dopo che uno dei due ha compiuto un volo aereo, subendo una
leggerissima, ma ben rilevata, dilatazione del tempo.
App. 1-Capitolo 1: Concetti introduttivi fondamentali.
App. 1-Par. 1.1: Trasformazioni di Galilei.
Le stesse forniscono semplicemente le relazioni tra coordinate spaziali (e tempo), per due sistemi di riferimento in moto
relativo, ma nell’ambito della fisica classica, dove cioè la velocità della luce c non è un limite superiore.
y
y’
P
r
r
0
r
V
r
r'
0’
x _ x’
z’
z
Fig. A1.1: Sistemi di riferimento in moto relativo.
Si ha ovviamente che:
r r
r r
r = r '+00' = r '+Vt ,
(A1.1)
da cui, per le componenti (t=t’):
{
{
x = x'+Vt '
y = y'
z = z'
t = t'
(A1.2)
e per le inverse, si ha, ovviamente:
x' = x − Vt
y' = y
z' = z
t' = t
(A1.3)
Le (A1.2) ed (A1.3) sono le Trasformazioni di Galilei.
Derivando la (A1.1), si ottiene poi:
r r r
v = v '+V che vale come teorema di addizione delle velocità della fisica classica.
App. 1-Par. 1.2: Trasformazioni (relativistiche) di Lorentz.
Premetto che le Trasformazioni di Lorentz nascono prima della Teoria della Relatività (su cui la stessa si fonda) ed in un
contesto tutto elettromagnetico.
Le stesse sono dunque l’equivalente relativistico di quelle di Galilei e valgono dunque nel momento in cui si ammette che
la velocità della luce è un limite massimo di velocità nell’Universo e che vale c per (~)ogni osservatore.
-PRIMA DEDUZIONE:
supponendo un moto relativo lungo x, correggiamo le componenti x delle Trasformazioni di Galilei tramite un coefficiente
k, come segue:
x' = k ( x − Vt )
(A1.4)
x = k ( x '+Vt ' )
(A1.5)
Ora, per un fotone si ha, ovviamente:
ct ' = k (c − V )t e ct = k (c + V )t , in quanto la luce ha la stessa velocità c nei due sistemi di riferimento, da cui,
moltiplicando membro a membro:
V2
c tt ' = k tt ' c (1 − 2 ) , da cui:
c
1
1
=
k=
2
1− β 2
V
1− 2
c
1 x
( − x' ) ed usando in quest’ultima la (A1.4), si ha:
Inoltre, dalla (A1.5) si ha: t ' =
V k
1 x
1
1
kx
x
V
t ' = [ − k ( x − Vt )] =
x − + kt = k [t − (1 − 2 )] = k[t − 2 x]
V k
kV
V
V
k
c
2
1
V
in quanto, per la (A1.6), si ha che: (1 − 2 ) = 2 .
k
c
2
2
2
(A1.6)
(A1.7)
Con lo stesso procedimento che ci ha condotti alla (A1.7) si deduce poi anche l’espressione per t.
In conclusione, ecco le Trasformazioni di Lorentz:
{
{
x' =
( x − Vt )
1− β 2
y' = y
z' = z
t'=
(A1.8)
V
x)
c2
1− β 2
(t −
x=
( x'+Vt ' )
1− β 2
y = y'
z = z'
V
( t '+ 2 x ' )
c
t=
1− β 2
(A1.9)
-SECONDA DEDUZIONE:
Sappiamo che c=cost in tutti i sistemi di riferimento. Ora, con riferimento alla Fig. A1.1, quando 0=0’ e t=t’, dall’origine
viene emessa luce per onde sferiche ed in modo isotropico e si può dunque scrivere che:
c 2t 2 − ( x 2 + y 2 + z 2 ) = 0
e
c 2 t ' 2 −( x ' 2 + y ' 2 + z ' 2 ) = 0
in quanto la luce ha la stessa velocità c nei due sistemi di riferimento. Dunque:
c 2 t 2 − ( x 2 + y 2 + z 2 ) = c 2t ' 2 −( x ' 2 + y ' 2 + z ' 2 )
e per raggi propagantisi lungo x (y=y’ e z=z’):
c t − x = c t ' − x ' . Poniamo ora ( i = − 1 ): ix = ξ , ix ' = ξ ' , ct = η
ξ 2 + η 2 = ξ '2 +η '2 , la cui soluzione è:
ξ ' = ξ cos θ − η sin θ
η ' = ξ sin θ + η cos θ
2 2
2
2 2
2
{
e
ct ' = η ' ; si ha:
(A1.10)
ed in forma differenziale:
{
dξ ' = dξ cos θ − dη sin θ
dη ' = dξ sin θ + dη cos θ
A(1.11)
Notiamo ora che rispetto all’origine “0”,
dx
= 0,
dt
in quanto il sistema di riferimento (0,x,y,z) è fermo rispetto a se
dx'
= −V , in quanto il sistema (0’,x’,y’,z’) si muove con velocità V rispetto a “0” e di
dt '
dξ
V
dξ '
=0 e
= −i , ma dal rapporto tra le (A1.11) si ha che:
dη
c
dη '
dξ
cosθ − sin θ
V
dξ ' dξ cosθ − dη sin θ dη
0 − sin θ
= −tgθ e dunque: tgθ = i = iβ
=
=
=
d
ξ
c
dη ' dξ sin θ + dη cosθ
sin θ + cosθ 0 + cosθ
dη
1
1
ma sappiamo dalla trigonometria che: cos θ =
=
e:
2
1 + tg θ
1− β 2
tgθ
iβ
sin θ =
=
e dunque le (A1.10) diventano:
2
1 + tg θ
1− β 2
stesso. Invece,
ξ − iηβ
ξ '=
{
x' =
1− β
η'=
iξβ + η
ossia:
1− β 2
( x − Vt )
y' = y
z' = z
t' =
e
2
conseguenza:
1− β 2
β
x)
c
1− β 2
(t −
e cioè ancora le (A1.8). In modo analogo si giunge poi alle (A1.9).
App. 1-Par. 1.3: La contrazione delle lunghezze, o di Lorentz.
Gli oggetti in movimento a velocità confrontabili con quella della luce risultano più corti, agli occhi dell’osservatore in
quiete. Se quest’ultimo compie delle misurazioni per determinare la lunghezza dello sfuggente corpo in moto, il metodo
più efficace che ha è quello di utilizzare delle sorgenti di luce (la cosa più veloce che esiste), illuminando la prua e la
poppa del corpo in moto, al fine di determinarne le rispettive posizioni, momento per momento. Solo che la luce che usa
ha velocità costante, nonché limitata, ed il risultato sarà quello di un corpo più corto. Realtà o apparenza misurativa?
Convinciamoci sin da subito che la realtà (che osservo) e l’apparenza misurativa sono la stessa cosa, come non può che
essere!
Sia l la lunghezza di un segmento nel sistema O di quiete:
xB − x A = l
. In O’ (in moto), per le Trasf. di Lorentz:
l ' = x ' B (t ' ) − x ' A (t ' ) =
( xB − Vt B ) − ( x A − Vt A )
1− β
2
=
( xB − x A )
1− β
2
=
l
1− β 2
= l ' , in quanto nel sistema O la misura del
segmento ha senso se i due estremi vengono rilevati “simultaneamente” (tA=tB).
Col tendere di v verso c,
β =v c
tenderà ad 1 e il radicale tenderà a zero, e con esso anche l! Dunque, la misura l
rilevata in O sarà pari a quella l’ rilevata in O’ per una quantità minore di 1, cioè l’osservatore immobile (O) vedrà un
oggetto più corto.
App. 1-Par. 1.4: Dilatazione del tempo (Paradosso dei Gemelli).
Sembra strano, ma anche il tempo può essere ed è relativo. Ovviamente, ogni osservatore, nel suo, vede il tempo
scorrere sempre allo stesso ritmo; non è che se uno viaggia a velocità prossime a quelle della luce sente il suo cuore
rallentare. E’ poi il confronto tra i due osservatori di due sistemi che sono stati in moto relativo che mostra la differenza
nel come i due tempi sono scorsi.
Dunque, per le Trasf. di Lorentz, in O’ (sistema in movimento):
∆t = t B − t A =
t 'B + x 'B β c − t ' A − x ' A β c
1− β 2
∆t ' = t 'B −t ' A , mentre in O (sistema di quiete):
, ma, per ipotesi,
x' A = x 'B , poiché nel sistema O’ (O’,x’,y’,z’) l’orologio
è immobile, in quanto viaggia col sistema O’ stesso, dunque:
∆t =
∆t '
1− β 2
Col tendere di v verso c,
β =v c
tenderà ad 1 e il radicale tenderà a zero, e con esso anche
∆t ' !
Due gemelli si separano perché uno dei due parte per un viaggio spaziale di un mese a velocità vicine a quelle della luce;
ritornato sulla Terra trova il suo gemello invecchiato di trent’anni! (Paradosso dei Gemelli)
A circa 260.000 km/s si ha il dimezzamento, cioè il radicale varrà ½ e i due tempi scorreranno uno la metà dell’altro.
Si veda poi anche la dimostrazione della dilatazione del tempo con l’orologio a luce (in Introduzione) e quella in chiave di
Effetto Doppler Relativistico (App.1-Par. 3.6).
App. 1-Par. 1.5: Il quadrivettore posizione.
Invece di scrivere i vettori posizione con le classiche tre componenti x, y e z, scriviamoli in forma matematicamente
quadridimensionale, aggiungendo anche il tempo; ciò ci tornerà molto utile. Preciso però che, nell’opinione (motivata) di
chi scrive, il nostro Universo è e resta a tre dimensioni e l’aggiunta di una quarta dimensione è un fatto puramente
matematico; sfido infatti chiunque ad indicarmi col dito indice la quarta dimensione di un qualsivoglia oggetto presunto
quadridimensionale. Nella TRR di oggigiorno, si parla invece di una effettiva quarta dimensione!
Bene, allora:
x = ( x1 , x2 , x3 , x4 ) , che equivale a dire anche: (x,y,z,ct).
Con tale nuova terminologia, le Trasformazioni di Lorentz divengono:
{
{
x'1 = γx1 − βγx4
x'2 = x2
x'3 = x3
x'4 = − βγx1 + γx4
Con
β =V c
e
γ =
x1 = γx'1 + βγx '4
x2 = x '2
x3 = x'3
x4 = βγx'1 +γx'4
1
1− β 2
(A1.12)
.
Si può verificare che la distanza spazio-temporale tra due punti è invariante per Trasformazioni di Lorentz, cioè è la
stessa in tutti i sistemi di riferimento inerziali:
(∆x) 2 = (∆x1 ) 2 + (∆x2 ) 2 + (∆x3 ) 2 − (∆x4 ) 2 = (∆x ') 2 = (∆x'1 ) 2 + (∆x'2 ) 2 + (∆x'3 ) 2 − (∆x'4 )2
(A1.13)
(Questa espressione è una sorta di Teorema di Pitagora in quattro dimensioni).
Per la dimostrazione di ciò, si utilizzino, nella (A1.13), le Trasformazioni di Lorentz qui sopra, con i Δxi in luogo degli xi, e
si verifichi appunto l’egualianza.
In altre parole, lunghezza tridimensionale e tempo sono relativi, mentre la loro composizione quadridimensionale è
assoluta. Ecco perché si è detto che la definizione delle grandezze fisiche tramite quattro componenti ci sarebbe tornata
utile.
Si possono dunque applicare le Trasformazioni di Lorentz a tutti i quadrivettori, nella forma delle (A1.12).
------------In forma matriciale, le Trasformazioni di Lorentz possono essere così scritte:
(si ricordi il prodotto matriciale, con le componenti della riga della prima matrice moltiplicate per le rispettive componenti
della colonna della seconda matrice, sommando poi tali prodotti per ottenere la componente della matrice prodotto
appunto)
 γ

 0
( x '1 , x'2 , x'3 , x'4 ) = 
0

 − βγ

γ 0

 0 1
( x1 , x2 , x3 , x4 ) = 
0 0

 βγ 0

0
1
0
0
0
0
1
0
0 − βγ   x1 
  
0
0   x2 
⋅
1
0   x3 
  
0
γ   x4 
βγ   x'1 
  
0   x '2 
⋅
0   x '3 
  
γ   x '4 
e
(A1.14)
(A1.15)
mentre in forma tensoriale:
(si utilizza la convenzione di Einstein, cioè, se in un termine un indice è ripetuto, si considera sottointesa la sommatoria
su quell’indice)
x'i = α ik xk
(i,k=1,2,3,4) a secondo membro, k è ripetuto, quindi si somma su di esso
(A1.16)
xk = α 'ik x'i
(i,k=1,2,3,4)
(A1.17)
App. 1-Par. 1.6: Legge Relativistica di Trasformazione delle Velocità.
Se sto camminando alla velocità di 5 km/h in un vagone ferroviario che, a sua volta, viaggia alla velocità di 100 km/h
rispetto alla banchina, avrò, rispetto alla banchina, una velocità totale di 105 km/h. Questa è fisica classica. Quando però
le due velocità iniziano ad essere confrontabili con quelle della luce, la semplice composizione per somma algebrica non
vale più, ed iniziano a vigere le equazioni che stiamo per scrivere; anche perché, se no, qualche somma algebrica
semplice rischierebbe di farci comparire una velocità totale superiore a c, cosa impossibile.
Dunque, abbiamo per definizione che:
{
vx = dx dt
v y = dy dt
vz = dz dt
{
{
v' x = dx ' dt '
v' y = dy ' dt '
v' z = dz ' dt '
Differenziando ora le Trasformazioni di Lorentz, si ha:
dx =
(dx '+Vdt ' )
1− β 2
dy = dy '
dz = dz '
V
(dt '+ 2 dx' )
c
dt =
1− β 2
(dx'+Vdt ' )
vx = dx =
dt
V
(dt '+ 2 dx ' )
c
dy ' 1 − β 2
dy
v y = dt =
V
(dt '+ 2 dx' )
c
dz ' 1 − β 2
vz = dz dt =
V
(dt '+ 2 dx' )
c
{
da cui:
Se ora divido numeratore e denominatore di queste ultime per dt’, si ha:
{
vx =
{
(v 'x +V )
Vv '
(1 + 2 x )
c
v' x =
(v x − V )
Vv
(1 − 2x )
c
v' y 1 − β 2
vy 1 − β 2
(A1.18) e analogamente:
vy =
v' y =
Vv ' y
Vv
(1 + 2 )
(1 − 2y )
c
c
2
v' 1 − β
v 1− β 2
vz = z
v' z = z
Vv '
Vv
(1 + 2 z )
(1 − 2z )
c
c
v << 1 ci si riconduce al caso classico (galileiano) di somma algebrica.
Per V << 1 e x
c
c
Per rifarsi un attimo al caso del vagone ferroviario in cui una persona cammina all’interno, se si pone
e
v' = (v 'x ,0,0, c)
v = (v x ,0,0, c) , dalle (A1.18) si ha che:
vx =
e se
(v 'x +V )
Vv '
(1 + 2 x )
c
v' x = V = c ,
(A1.19)
allora
vx = c ,
e non 2c! Dunque, se il treno si muove di suo a velocità c ed io all’interno di esso
corro a velocità c, io, rispetto alla banchina, avrò una velocità risultante pari a c e non a 2c!
La (A1.19) rappresenta il Teorema Relativistico di Addizione delle Velocità.
Altro esempio: due missili che viaggiano ciascuno a velocità c/2 si incrociano; a che velocità
vx =
(c 2 + c 2)
c
4
=
= c<c
2
c
54 5
(1 + 2 )
4c
App. 1-Par. 1.7: Il Tempo Proprio
vx
si incrociano dunque?
!
dτ
di una particella.
Se una particella è ferma in (O’,x’,y’,z’), ossia se la stessa si muove appunto con O’, ossia se O’ è il suo sistema di
riferimento “proprio”, allora: dx’= dy’= dz’=0 e:
(ds )2 = dx 2 + dy 2 + dz 2 − c 2 dt 2 = 0 + 0 + 0 − c 2 dt '2 = − c 2 dt '2 , da cui:
dt ' = dτ =
tale è
ds
dx 2 + dy 2 + dz 2
1 dl 2
v2
= 1−
dt
=
1
−
(
)
=
1
−
dt
c
c 2 dt 2
c 2 dt
c2
(tempo proprio, invariante, in quanto
ds
).
c
Dunque, quando si eseguono calcoli riguardanti una particella, viene spontaneo utilizzare per essa appunto il suo tempo
proprio:
dτ = (1 −
v2
dt
)dt =
2
c
γ
.
App. 1-Capitolo 2: La relatività delle energie.
App. 1-Par. 2.1: Il quadrivettore momento-energia (o momento lineare).
Sappiamo dalla fisica classica che il momento lineare, o quantità di moto, è dato dal prodotto della massa per la velocità.
Ora, nel caso relativistico, per quanto visto finora, definiremo innanzitutto un quadrivettore e poi la velocità intesa come
dx/dt avrà come dt il tempo proprio dτ , che è caratteristico appunto della particella in esame, per la quale si va a
definire il quadrivettore:
dx
m dx m dx m dx m dx
dx
dx
dx1
, m0 2 , m0 3 , m0 4 ) = ( 0 1 , 0 2 , 0 3 , 0 4 ) =
dτ
dτ
dτ
dτ
1 γ dt 1 γ dt 1 γ dt 1 γ dt
r
r
dx
dx
dx
dx
= (m 1 , m 2 , m 3 , m 4 ) = (mv , mc) = ( p, mc) = p
dt
dt
dt
dt
r
r
dove v è il vettore (tridimensionale) velocità, p è il momento lineare tridimensionale,
dt
m
dx
mc = m 4 è la componente quadridimensionale, dτ =
è il tempo proprio e m = 0 = γm0
γ
dt
1γ
p = (m0
è la massa
dinamica, che coincide con la massa a riposo m0 solo se v=0.
Si inizia quindi ad introdurre già il concetto di massa relativa, che cresce con la velocità, divenendo infinita per v=c.
Come già accennato in precedenza, i moduli dei quadrivettori sono “assoluti”, cioè invarianti per trasformazioni di
Lorentz; infatti:
2
r2
p = p − p42 = m2v 2 − m2c 2 = −m 2 (c 2 − v 2 ) = −
m02
(c 2 − v 2 ) = − m02c 2 = costante, cioè non funzione di v.
v2
(1 − 2 )
c
In Relatività esiste dunque un Universo (matematicamente quadridimensionale) descritto da quadrivettori, dove le
grandezze non variano così arbitrariamente con la velocità e dove dunque le leggi della natura preservano una certa
coerenza, indipendentemente dallo stato di moto.
App. 1-Par. 2.2: Il quadrivettore velocità.
Lo definiamo ovviamente come segue:
v=
dx
dτ
, dove si usa il tempo proprio
denominatore sono entrambi invarianti, e dunque anche
v
dτ
per motivi già esposti. Numeratore e
lo è.
Si ha:
v=(
r
dx1 dx2 dx3 dx4
dx
dx
dx
dx
,
,
,
) = (γ 1 , γ 2 , γ 3 , γ 4 ) = (γvx , γv y , γv z , γc ) = (γv , γc)
,
dτ dτ dτ dτ
dt
dt
dt
dt
e dunque, per il modulo di tale quadrivettore:
2
v = γ 2 v 2 − γ 2 c 2 = −c 2
(costante!).
(A2.1)
App. 1-Par. 2.3: La quadriforza.
Così come in fisica classica la forza è data dalla derivata della quantità di moto nel tempo, in relatività definiamo la
quadriforza come derivata del quadrivettore momento-energia nel tempo (tempo proprio):
r
r
d r d
d
d
p, (m0γc)) = (γ (m0γv ), γ (m0γc )) ;
= ( F1 , F2 , F3 , F4 ) = ( F , F4 ) = (
dτ
d τ dτ
dt
dt
r
r
r
d
si ha dunque che: γ
(m0γv ) = γ ⋅ f = F ,
dt
r
r
d
(
(m0γv ) = f è la forza “classica” e a maggior ragione quando γ = 1 )
dt
r
F
d r
d r
da cui: γ
(γv ) =
=
(γv ) , cioè, in componenti:
dt
m0 dτ
F=
dp
(A2.2)
(A2.3)
γ
F
d
d
(γvi ) = i =
(γvi )
m0 dτ
dt
(i=x,y,z)
e poi, riguardo la quarta componente:
e quindi:
γ
γ
(A2.4)
d
(m0γc ) = F4
dt
(A2.5)
F
d
d
(γc ) = 4 =
(γc) .
m0 dτ
dt
(A2.6)
Differenziamo ora la (A2.1), cioè la seguente equazione:
2
v = γ 2v 2 − γ 2c 2 = γ 2 v x2 + γ 2 v 2y + γ 2 v z2 − γ 2 c 2 = −c 2 , ottenendo:
d
d
d
d
d
d
(γv x ) 2 +
(γv y )2 +
(γvz ) 2 −
(γc) 2 ) = (2γvx
(γv x ) + 2γv y
(γv y ) +
dτ
dτ
dτ
dτ
dτ
dτ
d
d
(γv z ) − 2γc (γc ))
+ 2γvz
dτ
dτ
d
d
d
d
(γvx ) + γv y
(γv y ) + +γvz
(γvz ) − γc (γc)) , ossia, per la (A2.4) e la (A2.6):
cioè: 0 = (γvx
dτ
dτ
dτ
dτ
0=(
0 = (γvx
F
F
F
Fx
+ γv y y + +γvz z − γc 4 )
m0
m0
m0
m0
γf
γf x
γf
F
+ γv y y + +γvz z − γc 4 )
m0
m0
m0
m0
γ r r
F4 = ( f ⋅ v ) .
c
0 = (γvx
e per la (2.3) ( γ
r r
⋅ f = F ):
, cioè:
(A2.7)
Tornando ora alla (A2.2), si ha finalmente la quadriforza, o Forza di Minkowski:
F=
r γ r r
= (γf , ( f ⋅ v ))
dτ
c
dp
(A2.8)
Per le equazioni di trasformazione di tale quadriforza, si veda il Subappendice 1.4.
App. 1-Par. 2.4: E0=m0c2.
d
γ r r
(m0γc ) = F4 , mentre per la (A2.7) si ha: F4 = ( f ⋅ v ) . Dunque:
dt
c
r
r
d
γ r r
d
γ (m0γc) = ( f ⋅ v ) , ossia: (m0γc 2 ) = f ⋅ v , ossia ancora:
dt
dt
r cr
2
d (m0γc ) = f ⋅ v dt = dL = dE
(A2.9)
La (A2.9) è esattamente l’espressione dell’energia in fisica classica se γ = 1 ; l’integrazione della (A2.9) con costante
Per la (A2.5) si ha che:
γ
d’integrazione uguale a zero fornisce:
E = γm0c 2
(A2.10)
In realtà la (A2.10) vale solo per energie guadagnate (come negli acceleratori di particelle), mentre per energie cedute
(Universo collassante o Fisica Atomica degli elettroni che scendono di livello) vale la seguente, che io mi attribuisco:
E=
1
m0c 2
γ
(Rubino)
(si veda anche l’Appendice 2; per una convincente dimostrazione della stessa, prego contattarmi:
[email protected] ).
Dunque, una particella di massa m0 possiede energia totale:
E = γm0c 2 =
m0c 2
(A2.11)
v2
(1 − 2 )
c
e a “riposo” ( v = 0 e dunque γ = 1 ) energia di “riposo”:
E0 = m0c 2
(A2.12)
App. 1-Par. 2.5: Energia cinetica relativistica.
La differenza tra la (A2.11) e la (A2.12) fornisce ovviamente la pura energia cinetica di una particella:
1
EK = E − E0 = γm0 c 2 − m0c 2 = m0c 2 (γ − 1) = m0c 2 (
Sviluppando ora in Serie di Taylor l’espressione per
γ =
1
1 2 3 4
=
1
+
β + β + .....
8
2
(1 − β 2 )
EK = m0c 2 (γ − 1) = m0c 2 (
cinetica!
− 1)
v2
(1 − 2 )
c
1
1
γ =
=
v2
(1 − β 2 )
(1 − 2 )
c
, cioè:
1 v2
1
) = m0 v 2
2
2c
2
(γ − 1) ≅
1 2 1 v2
β =
2
2 c2
(A2.13)
, si ha, per v<<c (β<<1):
e per la (A2.13):
(v<<c) e cioè la nota espressione classica (di Newton) per l’energia
Si veda poi la deduzione della (A2.13) in Appendice 2, a partire dalle caratteristiche dell’Universo in contrazione.
App. 1-Capitolo 3: Fenomeni relativistici.
App. 1-Par. 3.1: Tempo e gravità: la gravità rallenta il tempo!
Anche la gravità rallenta il tempo! In montagna il tempo scorre più velocemente che a valle. Ovviamente, sulla Terra, la
differenza è impercettibile, ma su una stella di neutroni, o in un buco nero, l’effetto è intensissimo.
H
Fotone in discesa
con freq. aumentata
dalla gravità
∆E = m0 gH (delta energia del salto di quota)
∆E = h∆ν (delta energia del calo di freq. di un fotone)
Dalle due: ∆ν = m0 gH h .
Per un fotone,
E = hν
cui, per un fotone:
Fotone in salita
con freq. diminuita
dalla gravità
Fig. A3.1: Montagna, gravità e tempo.
, ma in relatività: E
= m0c 2 , da
m0 = hν c 2 e dunque, per ∆ν :
∆ν = νgH c 2 ed essendo il tempo l’inverso della
frequenza, si ha: ∆ν ν = ∆t t e dunque:
gH
∆t = 2 t . Dunque, su un tempo t, si ha un
c
rallentamento Δt dato dalla gravità!
Sappiamo che la velocità di fuga di un corpo celeste di massa M e raggio R vale:
V=
2GM
R
. Se su quel corpo un
oggetto viene lanciato verticalmente alla velocità di fuga, esso uscirà dal campo gravitazionale del corpo celeste ed andrà
verso l’infinito, senza più ricadere.
Un buco nero è un corpo così compresso (M grande ed R piccolo) che la velocità di fuga sulla sua superficie raggiunge il
valore della velocità della luce e dunque neanche la luce vi sfugge, da cui il nome di buco nero; inoltre, per quanto detto
sopra, si può affermare che in un buco nero il tempo è pressoché fermo!
App. 1-Par. 3.2: Volume dei solidi in moto.
I solidi in moto risultano ruotati.
B
L
C
L
L
Δz
L
B’
φ
Δy
A
Δx
D
L
Lsin φ
B
V
V
--Osservatore—
Fig. A3.2: Corpo visto in quiete.
Fig. A3.3: Corpo visto in moto.
V = ∆x∆y∆z (volume del solido per un osservatore solidale allo stesso)
V ' = ∆x ' ∆y ' ∆z ' = ∆x 1 − β 2 ∆y∆z = V 1 − β 2
(volume del solido per un osservatore che vede il solido in
movimento a velocità V lungo x).
Ovviamente, per le Trasformazioni di Lorentz, essendo il moto lungo x, solo Δx subisce contrazione. Tuttavia,
l’osservatore in quiete vede il punto B in ritardo rispetto ad A, in quanto B è più distante di A ed il ritardo vale L/c,
ovviamente. Come ulteriore conseguenza, B appare spostato indietro di un tratto pari a (L/c)V=βL.
Si ha: Lsin φ= βL, da cui: sin φ= β e φ=arcsin β.
In definitiva, il corpo appare dunque ruotato! Ed una sfera invece continua ad apparire come tale.
App. 1-Par. 3.3: L’equazione delle onde, o di D’Alembert, vale in qualsiasi sistema di riferimento inerziale.
Le onde elettromagnetiche nel vuoto, e dunque anche la luce, si propagano, come noto, seguendo l’equazione delle
onde:
1 ∂ 2φ
∂ 2φ ∂ 2φ ∂ 2φ 1 ∂ 2φ
0
φ
+
+
−
=
=
∆
−
= φ
c 2 ∂t 2
∂x 2 ∂y 2 ∂z 2 c 2 ∂t 2
Ora notiamo preliminarmente che, per le Trasformazioni di Lorentz, si ha (derivando le stesse):
∂y ' ∂z '
∂x' ∂x' ∂y '
∂x'
∂x '
∂t '
V ∂t'
=
= 1,
=
=
= ...... = 0
= −γV ,
= −γ 2 ,
=γ ,
=γ ,
∂y ∂z
∂y ∂z ∂x
∂t
∂x
c
∂x
∂t
r
Per l’analisi matematica, si ha, in 0’: φ = φ ( r ' , t ' ) , e dunque:
∂φ ∂φ ∂x ' ∂φ ∂y ' ∂φ ∂z ' ∂φ ∂t '
∂φ
∂φ
=
+
+
+
=γ
+ (−V )γ
∂x ∂x ' ∂x ∂y ' ∂x ∂z ' ∂x ∂t ' ∂x
∂x'
∂t '
∂ 2φ
∂ 2φ V 2 ∂ 2φ
2V
∂ 2φ
=
γ
(
+
)
−
∂x 2
∂x '2 c 4 ∂t '2
c 2 − V 2 ∂x' ∂t '
∂φ
∂φ
∂φ
= −Vγ
+γ
∂t '
∂t
∂x'
e
; inoltre:
e similmente, per le altre coordinate:
2
∂ 2φ
∂ 2φ
∂ 2φ
2
2 ∂ φ
=
γ
(
V
+
)
−
2
V
γ
∂t 2
∂x '2 ∂t '2
∂x ' ∂t '
da cui, per sostituzione nell’equazione delle onde, si ha:
∂ 2φ ∂ 2φ ∂ 2φ 1 ∂ 2φ ∂ 2φ ∂ 2φ ∂ 2φ 1 ∂ 2φ
+
+
−
=
+
+
−
∂x 2 ∂y 2 ∂z 2 c 2 ∂t 2 ∂x '2 ∂y '2 ∂z '2 c 2 ∂t '2
c.v.d.
e
∂ 2φ ∂ 2φ
=
∂y 2 ∂y '2
,
∂ 2φ ∂ 2φ
=
∂z 2 ∂z '2
App. 1-Par. 3.4: L’esperimento di Fizeau.
Nel 1849, molto prima della formulazione della Teoria della Relatività Ristretta da parte di Einstein (1905), il fisico
francese A.H.L. Fizeau condusse degli studi sulla velocità della luce nell’acqua e nei fluidi in movimento.
Acqua
P=lamina semitrasparente
Prisma inverso
Specchio
V
P
V
Sorgente di luce
Acqua
Fig. A3.4: Esperimento di Fizeau.
Nell’acqua in quiete la luce ha velocità
v=
c 3 ⋅ 108 m / s
=
≅ 225.000km / s ,
n
1,33
dove n=1,33 è l’indice di rifrazione
dell’acqua. Se ora l’acqua, o comunque il fluido nel quale si va a misurare la velocità della luce, scorre a sua volta con
velocità V, allora, secondo i risultati di Fizeau, la velocità complessiva della luce nel fluido in scorrimento è:
v=
c
1
+ V (1 − 2 ) ,
n
n
(A3.1)
in totale disaccordo con la fisica classica, secondo cui si dovrebbe avere più semplicemente:
v=
c
+V
n
.
Anni dopo, la TRR ha dato una spiegazione teorica della (A3.1). Infatti, per il Teorema di Addizione delle Velocità
espresso dalla (A1.19), si può scrivere che:
c
c
( +V) ( +V)
v = n
= n
Vc
V
(1 + 2 ) (1 + )
nc
nc
; ora, moltiplicando numeratore e denominatore per
c
c
V
c
1
V2
( + V ) ( + V )(1 − )
+ V (1 − 2 ) −
nc = n
n
nc
v = n
= n
V
V 2
V 2
(1 + )
1− ( )
1− ( )
nc
nc
nc
, ma le quantità
(1 −
V2
nc
V
) , si ha:
nc
a numeratore e
(
V 2
)
nc
a
denominatore sono ciascuna trascurabile (<<1) rispetto agli altri addendi e possono essere appunto trascurate, da cui
l’asserto:
v=
c
1
+ V (1 − 2 ) .
n
n
App. 1-Par. 3.5: Effetto Doppler Relativistico (longitudinale).
c
c
c
V
Antenna Sorgente S
Antenna Ricevitore R
Fig. A3.5: Effetto Doppler longitudinale (esempio di sorgente S in allontanamento da R con velocità V (β)).
L’antenna sorgente invia a quella ricevente segnali elettromagnetici di periodo TS;
Per il fenomeno della dilatazione del tempo l’antenna ricevente li riceverà con un periodo T’S tale che:
T 'S =
TS
; inoltre, l’allontanamento di S determinerà un
(1 − β 2 )
VT 'S V
∆T 'S =
=
c
c
TR = T 'S + ∆T 'S =
=
TS
(1 − β )
2
TS
(1 − β 2 )
TS
(1 + β ) = TS
(1 − β )
che riscriviamo:
TR = TS
=β
+β
TS
(1 − β 2 )
TS
(1 − β 2 )
∆T 'S tra
un fronte d’onda e l’altro pari a:
; dunque, si avrà in totale per TR:
=
TS
(1 − β 2 )
(1 + β ) =
TS
(1 + β ) =
(1 − β ) (1 + β )
(1 + β )
= TR
(1 − β )
(1 + β )
(1 − β )
; (S ed R in allontanamento)
(A3.2)
lo stesso vale se è il ricevitore ad allontanarsi. Se poi S ed R sono in avvicinamento, per gli stessi ragionamenti, vale la
seguente:
TR = TS
(1 − β )
(1 + β )
(S ed R in avvicinamento).
(A3.3)
Per una trattazione più generale dell’argomento, si veda il Subappendice 1.2.
App. 1-Par. 3.6: Il Paradosso dei Gemelli spiegato con l’Effetto Doppler Relativistico!
Supponiamo che uno dei due gemelli parta per un viaggio spaziale a velocità pari a 3/5 c=180.000 km/s, in
allontanamento dalla Terra per 25 min (misurati sulla Terra) e poi inverta la rotta e ritorni sulla Terra alla stessa velocità,
impiegando dunque altri 25 min. Si trascurino ovviamente, per semplicità, le fasi di accelerazione e decelerazione.
Ora, per dimostrare che la dilatazione del tempo agisce anche sulla frequenza cardiaca del gemello in viaggio (ma
sempre agli occhi del gemello sulla Terra, nonché al reincontro dei gemelli a fine viaggio), supponiamo, per semplicità,
che entrambi i gemelli abbiano un battito cardiaco al secondo e che il gemello sulla Terra trasmetta un impulso radio
(dunque a velocità c) ogni secondo, cioè ogni suo battito cardiaco, verso l’astronave, per tenere informato il fratello
gemello in viaggio sulla propria frequenza cardiaca. Ricordiamo che per il gemello “vecchio” (old) che resta sulla Terra il
viaggio dura, per ipotesi, 25+25=50 min (3000 battiti cardiaci), mentre, se la dilatazione del tempo è vera, per il gemello
giovane (young) la durata sarà di (V=3/5 c, cioè β=3/5):
Tyoung = Told (1 − β 2 ) = Told (1 −
V2
9c 2
)
=
50
min
(
1
−
) =40min
c2
25c 2
(=2400 battiti cardiaci)
Invece, sotto un’analisi Doppler del fenomeno, possiamo dire che, per la (A3.2), il gemello sulla Terra (old) trasmette i
suoi battiti cardiaci ogni secondo, ma dal gemello in viaggio essi verranno ricevuti, nella fase di andata, ogni due
secondi; infatti, durante l’andata (“to”):
Tyoung (to) = Told (to)
(1 + β )
1 + (3 / 5)
= 1s
= 2 s e dunque, durante l’andata, il gemello in viaggio, il cui tempo
(1 − β )
1 − (3 / 5)
di andata è di 20 min=1200s=1200 battiti, ha ricevuto dal fratello sulla Terra un battito ogni 2s, cioè solo 600 battiti.
Dunque, il gemello in volo, durante i suoi 20 min(=1200s) di andata, ha constatato su se stesso ovviamente 1200 battiti
e ne ha ricevuti però solo 600 del fratello sulla Terra.
Dopo 20 min del gemello in volo, la rotta si inverte ed inizia il ritorno verso la Terra, di altri 20 min (sempre secondo il
tempo del gemello in volo). In questi altri 20 min di ritorno (“from”), però, il gemello sulla Terra trasmette sempre ogni
secondo, ma quello in volo ora riceve ogni mezzo secondo; infatti, ora, per la (A3.3):
Tyoung ( from) = Told ( from)
(1 − β )
1 − (3 / 5)
= 1s
= 0,5s , dunque, durante questi suoi altri 20 min=1200s=
(1 + β )
1 + (3 / 5)
=1200 battiti su se stesso, il gemello in volo riceve ben 2400 battiti dal fratello dalla Terra.
Dunque, il gemello in volo, durante gli altri suoi 20 min(=1200s) di ritorno, ha constatato su se stesso ovviamente altri
1200 battiti e ne ha ricevuti però ben 2400 dal fratello dalla Terra.
Riassumiamo:
in totale, durante il suo intero viaggio di 20+20=40 min, il gemello in volo ha contato ovviamente 1200+1200=2400
battiti cardiaci su se stesso e ben 600+2400=3000 battiti cardiaci dal fratello gemello rimasto sulla Terra.
Deve per forza ritenersi più giovane!!!
App. 1-Par. 3.7: L’Esperimento di Michelson e Morley.
S – specchio semiriflettente
S1, S2 - specchi
S1
r1
L – sorgente luminosa
S2
S
r2
Cannocchiale e interferometro
Fig. A3.6: Apparecchiatura di Michelson (interferometro).
S
S1
V ⋅ t2
2
S2
c+V
l1
S
S
c-V
l2
c
V
c
V
Fig. A3.7: Percorsi luminosi e rispettive velocità.
c2 −V 2
c −V
2
2
Prima di Einstein si pensava che le onde elettromagnetiche, e dunque anche la luce, dovessero necessariamente
propagarsi in un mezzo, così come avviene per le onde sonore nell’aria. Si suppose dunque che lo spazio fosse permeato
da un gas invisibile e leggerissimo, detto etere. La Terra ruota intorno al Sole con una velocità V di circa 30 km/s,
dunque si muoverebbe nell’etere con tale velocità e la luce emessa da una sorgente luminosa solidale con la Terra stessa
dovrebbe dunque avere, in generale, una velocità diversa da c (c±V lungo la direzione di moto della Terra e c 2 − V 2
trasversalmente).
Nel 1886 si iniziò a preparare l’esperimento, che doveva dimostrare il movimento della Terra nell’etere. A Cleveland
venne bloccato il traffico durante l’esperimento, per evitare vibrazioni; l’apparecchiatura fu posta su una lastra di pietra
galleggiante in un pozzo di mercurio, per effettuare la rotazione dell’apparecchiatura di 90° senza vibrazioni.
Ora, con l1 lungo il moto della Terra, per il cammino di andata e ritorno compiuto dalla luce, si ha:
2l
1
l1
l
+ 1 = 1
c +V c −V
c (1 − V 2 c 2 )
2l
2l
1
t2 = 2 2 2 = 2
c (1 − V 2 c 2 )
c −V
t1 =
e per il moto trasversale lungo l2:
Facendo giungere i due raggi su un interferometro per farli appunto interferire, gli stessi giungerebbero con un Δt pari a:
2
2
l2
l1
∆t = t2 − t1 = (
−
) ≅ [l2 (1 + V 2 2c 2 ) − l1 (1 + V 2 c 2 )]
2
2
2
2
c (1 − V c ) (1 − V c )
c
V c ≅ 10−4 , V 2 c 2 ≅ 10−8 e (1 + x )k ≅ 1 + kx .
−7
d’onda della luce utilizzata era λ = 5,5 ⋅ 10 m e sappiamo
in quanto si ha che
La lunghezza
che a λ corrisponde l’angolo giro
2π
;
possiamo dunque scrivere la seguente proporzione che coinvolge l’angolo di sfasamento δ tra i due raggi e la differenza
di cammino cΔt:
λ
c∆t
=
2π
δ
, da cui:
δ =
2πc∆t
.
λ
Fissando la lunghezza di un braccio e regolando quella dell’altro tramite una vite micrometrica, si può rendere cΔt
dell’ordine di λ, realizzando il fenomeno di interferenza voluto.
Ora, senza variare la geometria dell’apparecchiatura, la si ruoti di 90°; i ruoli di l1 ed l2 si invertiranno e si avrà:
2
2
l1
l2
) ≅ [l1 (1 + V 2 2c 2 ) − l2 (1 + V 2 c 2 )]
∆t ' = t '2 −t '1 = (
−
2
2
2
2
c (1 − V c ) (1 − V c )
c
e inoltre si avrebbe:
∆δ δ − δ ' c∆t − c∆t ' l1 + l2 V 2
22m
=
=
=
=
10 −8 ≅ 0, 4 ,
2
−7
2π
2π
λ
λ c
5,5 ⋅ 10 m
cioè, con la rotazione
dell’interferometro si dovrebbe osservare uno spostamento delle frange di interferenza pari a 0,4 volte la distanza λ fra
due massimi successivi.
In realtà, nulla di tutto ciò fu osservato, nonostante la sensibilità degli strumenti fosse tale che si potesse avere anche
∆δ
= 0,01
2π
!
Michelson si dichiarò dunque deluso dall’esperimento, visto che non venne dimostrato il movimento della Terra nell’etere.
La questione venne risolta nel 1905 da un impiegato dell’Ufficio Brevetti di Berna, un certo Albert Einstein, che suggerì di
cessare di cercare di dimostrare il moto della Terra nell’etere, per il semplice fatto che l’etere non esiste!
Aggiungo io che la materia oscura dei giorni nostri presto farà la stessa fine.
App. 1-Capitolo 4: L’Elettrodinamica relativistica.
App. 1-Par. 4.1: La forza magnetica è niente altro che una (relativistica) forza elettrica di Coulomb(!)
A tal proposito, immaginiamo la seguente situazione, dove vi è un conduttore, ovviamente composto da nuclei positivi e
da elettroni, e poi un raggio catodico (di elettroni) che scorre parallelo al conduttore:
Raggio catodico
e
-
e
-
e
F
-
e
-
e
y’
-
-
e
-
e
-
I’
Direzione del raggio catodico v
z’
e
-
x’
e
-
+
F
e
-
Conduttore
e-
e-
e-
e-
e-
e-
e-
e-
e-
e-
p+
p+
p+
p+
p+
p+
p+
p+
p+
p+
Fig. A4.1: Conduttore non percorso da corrente, visto dal sistema di riferimento I’ (x’, y’, z’) di quiete del raggio catodico.
Sappiamo dal magnetismo che il raggio catodico non sarà deflesso verso il conduttore perché in quest’ultimo non scorre
nessuna corrente che possa determinare ciò. Questa è l’interpretazione del fenomeno in chiave magnetica; in chiave
elettrica, possiamo dire che ogni singolo elettrone del raggio è respinto dagli elettroni del conduttore con una forza Fidentica a quella F+ con cui è attratto dai nuclei positivi del conduttore.
Passiamo ora alla situazione in cui nel conduttore scorra invece una corrente con gli e- a velocità u:
Raggio catodico
e
-
e
-
e
F
-
e
-
e
-
e
ep+
p+
ep+
-
e
I’
e
Direzione del raggio catodico v
z’
-
x’
e-
e-
Conduttore
ep+
-
+
F
e-
y’
-
e-
p+
p+
p+
ep+
ep+
Direzione della corrente
I, con e a velocità u
p+
Fig. A4.2: Conduttore percorso da corrente (con gli e- a velocità u), visto dal sistema di riferimento I’ (x’, y’, z’) di quiete
del raggio catodico.
In quest’ultimo caso, sappiamo dal magnetismo che il raggio di elettroni deve deflettere verso il conduttore, in quanto
siamo nel noto caso di correnti parallele e di verso concorde, che devono dunque attrarsi. Questa è l’interpretazione del
fenomeno in chiave magnetica; in chiave elettrica, possiamo dire che dal momento che gli elettroni nel conduttore
inseguono, per così dire, quelli del fascio, i primi, visti dal sistema di quiete del fascio (I’), avranno una velocità minore
rispetto a quella che risultano avere i nuclei positivi, che invece sono fermi nel conduttore. Risulterà, perciò, che gli spazi
immaginabili tra gli elettroni del conduttore subiranno una contrazione relativistica di Lorentz meno accentuata, rispetto
ai nuclei positivi, e dunque ne risulterà una densità di carica negativa minore della densità di carica positiva, e dunque gli
elettroni del fascio verranno elettricamente attratti dal conduttore. Ecco la lettura in chiave elettrica del campo
magnetico. Ora, è vero che la velocità della corrente elettrica in un conduttore è molto bassa (centimetri al secondo)
rispetto alla relativistica velocità della luce c, ma è anche vero che gli elettroni sono miliardi di miliardi …, e dunque un
piccolo effetto di contrazione su così tanti interspazi determina l’apparire della forza magnetica.
Ora, però, vediamo se la matematica ci dà quantitativamente ragione su quanto asserito, dimostrandoci che la forza
magnetica è una forza elettrica anch’essa, ma vista in chiave relativistica. Consideriamo allora una situazione semplificata
in cui un elettrone e- , di carica q, viaggi, con velocità v, parallelo ad una corrente di nuclei con carica Q+ (a velocità u):
y’
y
I’
r
Q+
I
z
Q+
z’
-
q
x’
v
F
Q+
Q+
Q+
Q+
u
d = d 0 1 − u 2 c2
x
Fig. A4.3: Corrente di cariche positive (a velocità u) ed elettrone a velocità v nel sistema di quiete del lettore I.
a) Valutazione di F in chiave elettromagnetica, nel sistema I :
Ricordiamo innanzitutto che se ho N cariche Q, in linea, a distanza d una dall’altra (come in figura A4.3), allora la densità
di carica lineare λ sarà:
λ = N ⋅Q N ⋅ d = Q d
.
Ora, sempre con riferimento alla Fig. A4.3, nel sistema I, per l’elettromagnetismo l’elettrone sarà sottoposto alla forza di
Lorentz
Fl = q ( E + v × B) che si compone di una componente originariamente già elettrica e di una magnetica:
Fel = E ⋅ q = (
1 Q d
1 λ
)q
)q = (
ε 0 2πr
ε 0 2πr
dovuta all’attrazione elettrostatica di una distribuzione lineare di cariche Q,
e:
Fmagn = µ0
Dunque:
I
Q t
Q (d u )
uQ d
= µ0
= µ0
= µ0
2πr
2πr
2πr
2πr
Fl = q (
(Biot e Savart).
1
1 Q d
Q d0 1
uQ d
)=q
( − µ0 uv )
− vµ0
2πr
2πr ε 0
ε 0 2πr
1 − u 2 c2
,
(A4.1)
dove il segno meno indica che la forza magnetica è repulsiva, in tale caso, visti i segni reali delle due correnti, e dove la
distanza d0 di quiete risulta contratta a d, per Lorentz, nel sistema I in cui le cariche Q hanno velocità u
(d
= d0 1 − u 2 c 2
).
b) Valutazione di F in chiave elettrica, nel sistema I’ di quiete di q:
nel sistema I’ la carica q è ferma e dunque non costituisce nessuna corrente elettrica, e dunque sarà presente solo una
forza elettrica di Coulomb verso le cariche Q:
F 'el = E '⋅q = (
1 λ'
1 Q d'
1 Q d0
1
)q = (
) q = q(
)
ε 0 2πr
ε 0 2πr
ε 0 2πr
1 − u '2 c 2
,
(A4.2)
dove u’ è la velocità della distribuzione di cariche Q nel sistema I’, che si compone di u e v tramite il noto teorema
relativistico di addizione delle velocità:
u ' = (u − v) (1 − uv c 2 )
,
(A4.3)
e d0, questa volta, si contrae appunto secondo u’:
d ' = d 0 1 − u '2 c 2
.
Notiamo ora che, con un po’ di algebra, vale la seguente relazione (vedi la (A4.3)):
1 − u '2 c 2 =
(1 − u 2 c 2 )(1 − v 2 c 2 )
(1 − uv c 2 ) 2
F 'el = E '⋅q = (
, che sostituita nel radicale della (A3.2) fornisce:
1 λ'
1 Q d'
1 Q d0
(1 − uv c 2 )
)q = (
) q = q(
)
ε 0 2πr
ε 0 2πr
ε 0 2πr
1 − u 2 c2 1 − v 2 c2
(A4.4)
Vogliamo ora confrontare la (A4.1) con la (A4.4), ma ancora non possiamo, perché una fa riferimento ad I e l’altra ad I’;
rapportiamo allora
I’:
F 'el (in _ I ' ) =
F 'el
della (A4.4) in I anch’essa e, per fare ciò, osserviamo che, per la definizione stessa di forza, in
∆p I '
∆pI
Fel (in _ I )
=
=
∆t I ' ∆t I 1 − v 2 c 2
1 − v2 c2
, con
∆pI ' = ∆pI
in quanto
∆p si estende lungo y, e non
lungo la direzione del moto relativo, dunque per le T. di Lorentz non subisce variazione, mentre
Si ha allora:
Fel (in _ I ) = F 'el (in _ I ' ) 1 − v 2 c 2 = q (
1 Q d 0 (1 − uv c 2 )
= q(
)
= Fel (in _ I )
ε 0 2πr
1 − u 2 c2
∆t
1 Q d0
(1 − uv c 2 )
)
1 − v 2 c2
2
2
2
2
ε 0 2πr
1− u c 1− v c
ovviamente sì.
=
(A4.5)
Ora, dunque, possiamo confrontare la (A4.1) con la (A4.5), in quanto ora entrambe fanno riferimento al sistema I.
Riscriviamole una sopra l’altra:
Fl (in _ I ) = q (
1
1 Q d
Q d0 1
uQ d
)=q
( − µ0 uv)
− vµ0
2πr
2πr ε 0
ε 0 2πr
1 − u 2 c2
Fel (in _ I ) = q (
1
1 Q d 0 (1 − uv c 2 )
Q d0 1
uv
)
( −
)
=q
2
2πr ε 0 ε 0 c
ε 0 2πr
1 − u 2 c2
1− u2 c2
Possiamo dunque dire che le due equazioni sono identiche se è verificata la seguente identità:
c =1
ε 0µ0
, e la
stessa è nota sin dal 1856. Essendo dunque identiche le due equazioni, la forza magnetica risulta ricondotta ad una forza
elettrica di Coulomb, e dunque è compiuta l’unificazione dei campi elettrico e magnetico!!
App. 1-Par. 4.2: Il quadrivettore densità di corrente.
Si hanno ovviamente le seguenti equazioni sulla densità di carica:
ρ0 =
dQ
dt0
,
dQ
dQ
=
= γρ 0
dτ
1 − β 2 dt0
ρ=
Si noti poi che vale la seguente equazione che testimonia anche l’invarianza della carica elettrica:
Sappiamo poi dalla fisica che la densità di corrente vale
r
r
j = ρv .
ρ 0 dt0 = ρdτ
.
Viene allora spontaneo definire il quadrivettore densità di corrente nel seguente modo:
r
r
j = ( j , ρc) = (γρ0 v , γρ 0 c) ; si noti la similitudine con il quadrivettore momento-energia:
r
r
p = ( p, mc) = (γm0 v , γm0 c) . Si ha poi:
r2
2
j = j − j42 = − ρ 02 c 2 e inoltre, potendo applicare le Trasformazioni di Lorentz ad un quadrivettore, come detto allo
App.1-Par. 1.5 – eq. (A1.12), si ha:
{
j1 ' = γj1 − βγj4
j ' 2 = j2
j '3 = j3
j ' z = jz
oppure anche:
j '4 = − βγj1 + γj4
con
β =V c
{
j x ' = γ ( j x − ρV )
j' y = j y
e
γ =
ρ '= γ (ρ −
1
1− β 2
(A4.6)
V
jx )
c2
.
Adesso, al fine di mostrare con i quadrivettori e in modo più compatto quanto esposto all’ App.1-Par. 4.2, consideriamo
un filo percorso da corrente stazionaria I in un riferimento k e sia I diretta lungo x; se in tale sistema si pone una carica
q con velocità v lungo x, si ottiene un movimento di q ad opera del solo campo B, poiché E=0, in quanto, in media, vi
sono in un conduttore tante cariche positive quante sono quelle negative. Se però ci poniamo ora in un sistema k’ che si
muove con velocità V=v rispetto a k, in k’ q è ferma ed in teoria dovrebbe scomparire la forza magnetica; ma ciò è
contrario al Principio di Relatività (vedi Introduzione). Deve quindi comparire in k’ un campo elettrico; infatti:
r
j = j + + j − , j + = ( j+ , cρ + ) = (0, nqc ) [n]=[numero di q coinvolte/m3] e
r
r
j − = ( j− , cρ − ) = (− nqv ,− nqc ) , il primo termine qui è negativo perché
il verso di v è opposto a quello
convenzionale di I (in quanto qui q<0) ed il secondo termine anche è negativo, sempre perché qui q<0.
Per le Trasformazioni di Lorentz (A1.12) si ha allora (v=V):
j '+ x == −γnqV
ρ '+ = γnq
ed essendo ora
j '− x = γ (− nqv + nqV )
vV
ρ '− = γ (− nq + nq 2 )
c
ρ '+ ≠ − ρ '− , deve comparire un campo elettrico.
App. 1-Par. 4.3: Il tensore del campo elettromagnetico.
Premessa sui tensori:
Un vettore è un tensore di rango 1.
Per noi, poi, è sufficiente dire che ottengo un tensore di rango 2 quando eseguo il prodotto delle componenti di due
vettori c e b:
c(ci ) = (c1, c2 , c3 , c4 ) , b(bk ) = (b1 , b2 , b3 , b4 )
→
Aik = cibk
Con le (A1.16) e (A1.17) abbiamo visto come esprimere le Trasformazioni di Lorentz:
ci = α il c'l
(i,m=1,2,3,4)
bk = α kmb'm
e
(k,l=1,2,3,4) e dunque:
Aik = ci bk = α ilα km c 'l b'm = α ilα km A'lm = Aik
(A4.7)
che è la legge di trasformazione di un tensore di rango 2.
Notiamo poi che si ottiene un tensore di rango 2 anche derivando le componenti di un vettore b rispetto alla coordinata
x:
∂x'm
→ α mk
∂xk
∂bi
∂b ∂x 'm
∂
∂x'
∂b'l
= i
=
(α il b'l ) m = α ilα mk
∂x'm
∂xk ∂x'm ∂xk
∂xk
∂x'm
bi = α il b'l
,
x'm = α mk xk
>>>
; dunque, tale derivata si trasforma come le componenti di un
tensore 2, dunque è un tensore 2.
Premessa sull’elettromagnetismo:
sappiamo dall’elettromagnetismo che i campi elettrico e magnetico (vettore induzione B) possono essere espressi in
funzione dei potenziali elettrodinamici φ ed A:
r
r
r
∂A
E = −∇ϕ −
∂t
r r r
B = ∇× A
e
(A4.8)
(A4.9)
e conosciamo anche la Condizione di Lorentz:
nonché l’Eq. di Continuità:
r r ∂ρ
∇⋅ j +
= 0.
∂t
r r 1 ∂ϕ r r
∂ϕ
∇⋅ A+ 2
= ∇ ⋅ A + εµ
=0
c ∂t
∂t
,
(A4.10)
(A4.11)
Sempre dall’elettromagnetismo sappiamo inoltre che:
1 ∂ 2ϕ
ρ
∆ϕ − 2 2 = − = φ
c ∂t r
ε
r 1 ∂2 A
r
r
∆A − 2 2 = − µj = A
c ∂t
e
(A4.12)
(A4.13)
e ricordiamo che già definimmo il quadrivettore densità di corrente j:
r
j = ( j , cρ ) = ( j x , j y , j z , cρ )
(
ji = vi ρ ).
------------------
Viene ora spontaneo definire il Quadrivettore Potenziale o Quadripotenziale
Φ:
ϕ
Φ = ( Ax , Ay , Az , ) ; infatti, così facendo, le (A4.12) e (A4.13) si possono così riassumere:
c
Φ k = − µ jk
e definendo la quadridivergenza
r
r
∂
∂
∂
∂
∂
div4 = ∇ 4 =
+
+
+
= (∇ +
)
∂x ∂y ∂x ∂(ct )
∂ (ct )
si ha anche,
banalmente:
r
∇4 j = 0
per l’Equazione di Continuità (A4.11) e
r
∇4 Φ = 0
per la Condizione di Lorentz (A4.10).
------------------
Ora, dalle (A4.8) e (A4.9) si ha:
Bx = B1 =
∂Az ∂Ay ∂Φ 3 ∂Φ 2
−
−
=
∂y
∂x3
∂x2
∂z
,
Ex = E1 = −
∂ϕ ∂Ax
∂Φ
∂Φ1
−
= c( 4 −
)
∂x
∂t
∂x1
∂x4
ecc; quindi E e B non sono
esprimibili tramite due quadrivettori, ma sono esprimibili insieme tramite un quadritensore di rango 2, in quanto
dimostrammo che la derivata di un vettore è un tensore 2:
Fik = c(
∂Φ k ∂Φ i
−
) ; scriviamo ora le componenti di Fik in forma matriciale:
∂xi
∂xk
 0

 − cBz
Fik = 
cBy

 E
 x
modo:
cBz
0
− cBx
Ey
− cBy
cBx
0
Ez
− Ex 

− Ey 
− Ez 

0 
, e con la (A4.7) abbiamo dimostrato che Fik si trasforma nel seguente
Fik = α ilα km F 'lm .
(A4.14)
Si noti che Fik è antisimmetrico, cioè Fik=-Fki.
Ovviamente, poi:
 0

 − cB' z
F 'ik = 
cB' y

 E'
x

cB'z
0
− cB'x
E'y
− cB' y
cB'x
0
E'z
− E'x 

− E'y 
− E 'z 

0 
Ricordando ora che a secondo membro della (A4.14) è sottintesa la sommatoria su l ed m, che sono infatti ripetuti, e
sviluppando appunto tale equazione, otteniamo le trasformazioni del campo elettromagnetico:
{
{
Ex = E ' x
E y = γ ( E ' y +VB' z )
Ez = γ ( E 'z −VB ' y )
nonché le sue inverse:
E 'x = E x
E ' y = γ ( E y − VBz )
E ' z = γ ( Ez + VBy )
{
{
Bx = B'x
V
E 'z )
c2
V
Bz = γ ( B'z + 2 E ' y )
c
By = γ ( B' y −
B' x = Bx
V
Ez )
c2
V
B ' z = γ ( Bz − 2 E y )
c
B ' y = γ ( By +
App. 1-SUBAPPENDICI:
App. 1-Subapp. 1: Trasformazioni di Lorentz consecutive.
k >>> V >>> k’ >>> W >>> k’’
Abbiamo tre sistemi di riferimento k, k’ e k’’ e V e W sono le rispettive velocità relative.
Con le seguenti notazioni:
β1 =
V
c
,
β2 =
W
c
,
γ 1 = 1 1 − β12
,
γ 2 = 1 1 − β 22
,
U=
V +W
VW
1+ 2
c
e
β=
U
c
si ha, per le T. di Lorentz applicate consecutivamente:
x = γ 1 ( x '+Vt ' )
con
x' = γ 2 ( x' '+Wt ' ' )
con
β1
x' )
c
β
t ' = γ 2 (t ' '+ 2 x ' ' )
c
t = γ 1 (t '+
e
e, per sostituzione:
x = γ 1γ 2 ( x ' '+Wt ' '+Vt ' '+ β1β 2 x' ' ) = γ 1γ 2 [(1 + β1β 2 ) x' '+ (V + W )t ' ' ] =
= γ 1γ 2 (1 + β1β 2 )( x ' '+
e analogamente:
V +W
t' ') = x
1 + β1β 2
t = γ 1γ 2 (1 + β1β 2 )(t ' '+
(A.1.1)
1 V +W
x' ' ) ;
c 2 (1 + β1β 2 )
(A.1.2)
ora notiamo che si ha:
γ 1γ 2 (1 + β1β 2 ) = 1
=1
(1 − β12 )(1 − β 22 ) (1 + β1β 2 ) 2 = 1
[1 + β12 β 22 + 2 β1β 2 − (β12 + β 22 + 2 β1β 2 )] (1 + β1β 2 ) 2 =
2
1 − [(β1 + β 2 ) (1 + β1β 2 )] = 1 1 − U 2 c 2 = γ , e quindi le (A.1.1) e (A.1.2) si riscrivono così:
x = γ ( x' '+Ut ' ' )
Lorentz ( γ 1 ,V e
U
β
x ' ' ) = γ (t ' '+ x' ' )
2
c
c
γ 2 ,W), se ne compie solo una, ma utilizzando γ ed U.
t = γ (t ' '+
con
, dunque, invece di compiere due T. di
App. 1- Subapp. 2: Effetto Doppler (relativistico) Trasversale.
Rappresentiamo un’onda elettromagnetica che si propaga, tramite il suo campo elettrico E:
r r
r 2π
r
2π
e ω =
per cui:
E = E0 e i (ωt − k ⋅r ) ; tale campo si propaga lungo r e sappiamo che k =
λ
T
r
r
T ω r
(A.2.1)
k λ = ωT , cioè: k = ω = = k ;
λ c
r r
I = ωt − k ⋅ r è evidentemente un invariante, ma è anche esprimibile come il prodotto di due quadrivettori
r
r
(evidentemente invarianti): (4-vettore posizione e 4-vettore d’onda) I = − r ( r , ct ) ⋅ k ( k , ω c) .
r ω
Ricordiamo ora che, per la (A.2.1), k =
e consideriamo un’onda luminosa che si propaga in un sistema k’(V) sul
c
r
piano x’, y’ e formante un angolo θ’ con x’; le componenti di k ' saranno:
k '1 = k ' cosθ ' = (ω ' c ) cosθ ' , k '2 = k ' sin θ ' = (ω ' c) sin θ ' , k '3 = 0 e k '4 = (ω ' c) = k ' .
Per le T. di Lorentz, si ha, invece, in un sistema k:
k1 = γ (k '1 + β k '4 ) , k2 = k '2
k4 = γ (k '4 + β k '1 ) ; ora, poichè anche k3=0, anche nel sistema k il
ω
ω
ω
raggio si propaga su x,y; quindi, si ha: k = ( cosθ , sin θ ,0, ) ; calcoliamo ora dunque ω e θ: a tal proposito,
c
c
c
ω
ω'
ω'
dalla trasformazione di k’4 si ha:
= γ ( + β cosθ ' ) oppure:
c
c
c
,
k3 = k '3
e
(1 + β cosθ ' )
ω = ω'
(1 − β 2 )
= ω ' γ (1 + β cosθ ' )
mentre dalla trasformazione di k’1 si ha:
cosθ =
ω'
(cosθ '+ β )
γ (cosθ '+ β ) =
ω
(1 + β cosθ ' )
(A.2.2)
ω
ω'
ω'
cosθ = γ ( cosθ '+ β ) e
c
c
c
tenendo conto della (A.2.2), si ha:
(A.2.3)
Notiamo poi ancora che la trasformazione di k’2 e la (A.2.2) ci danno:
(1 − β 2 )
sin θ '
ω'
sin θ ' =
sin θ ' =
(1 + β cosθ ' )
γ (1 + β cosθ ' )
ω
sin θ
e dalle (A.2.3) e (A.2.4) si ha ancora: sin θ ' =
γ (1 − β cosθ )
sin θ =
(A.2.4)
, che è poi anche la (A.2.4) con θ’ e θ scambiati e con
(-β) al posto di β; il tutto per la relatività del moto.
-----------------------Supponiamo ora una sorgente ω’ in quiete in un sistema k’(θ’); allora, dalla (A.2.3) si ha:
cosθ ' =
(cosθ − β )
(1 − β cosθ )
(utile per determinare subito θ da θ’) ((A.2.3) con θ’ e θ scambiati e con (-β) al posto di β),
da cui, con un po’ di calcolo:
(1 + β cosθ ' ) =
ω = ω'
(1 − β 2 )
1 − β cosθ
e la (A.2.2) diviene:
(1 − β 2 )
1 − β cosθ
(A.2.5)
Qui ω’ è la ω della sorgente in moto e
ω ' ≠ ω . Dunque, se nel sistema k si vede arrivare la radiazione sotto un angolo
θ = π , significa che la radiazione proviene da destra, dal sistema k’ in allontanamento lungo l’asse x, e si può dunque
cosθ = cos π = −1 e dalla (A.2.5) con sorgente in
(1 − β )
allontanamento ( θ = π ) si ha: ω = ω '
(A.2.6)
(1 + β )
parlare di Effetto Doppler Longitudinale (Par. 3.5) ed in tal caso
>>>
T = T'
ω = ω'
>>>
(1 + β )
(1 − β )
, mentre col sistema k’ in avvicinamento (θ=0 >>> cos θ=1), si ha:
(1 + β )
(1 − β )
T = T'
(A.2.7)
(1 − β )
(1 + β )
, proprio come nel Par. 3.5.
Curiosità: sviluppando in serie di β (<<1), le (A.2.6) e (A.2.7) si ottiene:
ω − ω ' ∆ω
=
= mβ
ω'
ω'
λν = c ).
ω ≅ ω ' (1 − β )
e
ω ≅ ω ' (1 + β )
, formula molto usata in astrofisica e cosmologia per il red shift (si ricorda poi che
da cui:
ω = 2πν
e
Per passare dal caso di emettitore in moto a quello di osservatore in moto e viceversa, basta poi scambiare β con – β (V
con –V) e ω’ con ω. In ogni caso, quando c’è avvicinamento (o allontanamento) le formule per l’Effetto Doppler
Relativistico longitudinale sono le stesse indipendentemente da chi dei due si avvicina.
Se il sistema k si vede invece arrivare la radiazione con
θ =π 2,
dall’alto, allora possiamo parlare di Effetto Doppler
Relativistico TRASVERSALE; in tal caso non si ha allontanamento o avvicinamento, ma l’unico effetto di tipo Doppler è
imputabile alla sola dilatazione del tempo; infatti, anche dalla (A.2.5), con
θ =π 2,
si ha:
ω = ω ' (1 − β 2 )
.
Sviluppando, con β<<1, si ha:
ω ≅ ω ' (1 −
β2
)
2
(secondo grado in β, dunque un effetto meno visibile del
longitudinale). Tale effetto fu osservato per la prima volta da Ives nel 1938 e confermò in pieno la teoria. Inoltre, la
diversità tra θ’ e θ conferma anche il fenomeno dell’ABERRAZIONE della luce, secondo cui se sei in moto vedi la luce
giungerti sotto un angolo diverso, un po’ come quando in viaggio in macchina vedi la pioggia cadere in obliquo sul
parabrezza. E dalle (A.2.3) e (A.2.4) si ha:
tgθ =
sin θ ' (1 − β 2 )
(cosθ '+ β )
.
App. 1- Subapp. 3: Le trasformazioni della quadrivelocità.
Abbiamo definito all’ App.1-Par. 2.2 il quadrivettore velocità:
v=(
r
dx1 dx2 dx3 dx4
dx
dx
dx
dx
,
,
,
) = (γ 1 , γ 2 , γ 3 , γ 4 ) = (γvx , γv y , γvz , γc) = (γv , γc) = (u1 , u2 , u3 , u 4 )
dτ dτ dτ dτ
dt
dt
dt
dt
Applicando le T. di Lorentz, si ha:
ora, si noti che
Γ
u '1 = Γ(u1 − β u 4 ) , u ' 2 = u 2
è definito dalla V del sistema 0’ in moto (e
γ ' alla v’
γ ' v 'x = Γ(γvx − γV ) , γ ' v ' y = γv y
particella ha in 0, e
,
u '3 = u3 , u ' 4 = Γ(u 4 − β u1 ) ;
β=V/c), mentre γ si riferisce alla
velocità v che la
che la particella ha in 0’. Sostituendo ora agli u i valori corrispondenti:
,
γ ' v' z = γv z , γ ' c = Γ(γc − γβv x ) ;
γ
1
=
,
γ ' Γ(1 − V v )
x
c2
γ
γ
Γ( v x − V ) , v' y = v y
che sostituita nelle prime tre: v' x =
γ'
γ'
(A.3.1)
e dall’ultima si ha:
γ
v z dà la trasformazione delle velocità. Nel
γ'
γ
V
= Γ (1 + 2 v x ) .
caso delle trasformazioni inverse, in luogo della (A.3.1) si avrà:
γ'
c
Segue dalla (A.3.1) che se la particella è in quiete in 0 (v=0 >> γ = 1 ), allora γ ' = Γ , da cui v’=-V , cioè in 0’ la
,
v' z =
particella ha velocità –V (ovvio).
App. 1- Subapp. 4: Le trasformazioni della quadriforza.
All’ App.1-Par. 2.3 abbiamo introdotto la Forza di Minkowski, o quadriforza:
r γ r r
= (γf , ( f ⋅ v )) = ( F1 , F2 , F3 , F4 ) .
dτ
c
Per le T. di Lorentz: F '1 = Γ( F1 − β F4 ) , F '2 = F2
F=
dp
,
F '3 = F3
,
F '4 = Γ( F4 − β F1 )
.
Introducendo ora in tali equazioni di trasformazione le componenti della Forza di Minkowski, si ottiene:
r r
r r
β r r
γ ( f ⋅ v )) , γ ' f ' y = γf y , γ ' f ' z = γf z , γ ' ( f '⋅v ' ) = Γ(γ ( f ⋅ v ) − Vγf x ) , da cui:
c
r r
r r
γ
β r r
γ
γ
γ
f ' x = Γ( f x − ( f ⋅ v )) , f ' y = f y , f ' z = f z , ( f '⋅v ' ) = Γ(( f ⋅ v ) − Vf x ) , che, per la (A.3.1)
γ'
γ'
c
γ'
γ'
γ ' f ' x = Γ (γf x −
divengono:
f 'x =
β r r
( f ⋅ v ))
c
V
1 − 2 vx
c
( fx −
,
f y 1− β 2
f 'y =
V
1 − 2 vx
c
,
fz 1− β 2
f 'z =
V
1 − 2 vx
c
che sono le equazioni di trasformazione della quadriforza.
,
r r
r r
( f ⋅ v ) − Vf x
( f '⋅v ' ) =
V
1 − 2 vx
c
App. 1- Subapp. 5: Il quadrivettore accelerazione e le trasformazioni delle accelerazioni.
Ovviamente, il quadrivettore accelerazione è definibile come segue:
a=
d2x
d 2 x1 d 2 x2 d 2 x3 d 2 x4
dv
(
,
,
,
)=
=
= (a1 , a2 , a3 , a 4 )
2
2
2
2
2
dτ
dτ
dτ
dτ
dτ
dτ
Per le prime tre componenti (spaziali) si ha: ( α
= 1,2,3 )
dγ
dv
v&
v (vv&)
dt
d
= γvα
+ γ 2 α = α 2 + 2 α 2 2 , in quanto:
aα = (γvα )
dt
dt 1 − β
c (1 − β )
dτ
dt
3
1
dγ d
3
& = γ vv& . Riguardo invece a4 :
γ& =
= (
)
=
γ
β
β
dt dt (1 − β 2 )
c2
a4 =
d
dt
dγ c dγ 2
(vv&)
(γc)
= cγ
=
= cγ 4 β β& =
dt
dτ
dt 2 dt
c (1 − β 2 ) 2
a = (γ
si ha:
e dunque:
d
c dγ 2
(vv&)
(γv ),
) = (γ 2 v& + γ 4 β β&v,
)
dt
2 dt
(1 − β 2 ) 2 ; si noti che nel sistema in cui la particella è a riposo (v=0, β=0)
a1( 0) = v&x , a2( 0 ) = v& y
ordinaria. Si ha inoltre:
,
a3( 0 ) = v&z , a4( 0 ) = 0 , cioè la parte spaziale di a
2
a = v& 2 > 0
ed essendo
a
2
coincide con quella tridimensionale
un invariante, la disegualianza è sempre verificata e
a
è dunque
di tipo spazio.
Per giungere ora alle equazioni di trasformazione dell’accelerazione, di consideri che:
dv
dv'
e v&'=
; inoltre, vx = vx (t ) e v' x = v 'x (t ' ) (coerentemente). Denominiamo poi:
dt
dt
v
v'
β x = x e β 'x = x ; otteniamo allora dalle (A1.18) che:
c
c
dv' x
dv '
1 − β (β 'y
− β 'x )
1 − β ( β 'z x − β ' x )
dv y
dv ' y
dvx
1
dvz
dv' z
= 2
,
=
e
=
2
2
dv' x γ (1 + ββ ' x )
dv' y
γ (1 + ββ ' x )
dv' z
γ (1 + ββ 'x )2
v& =
Da queste si ha poi:
dv' y − β (β ' y dv' x − β ' x dv' y )
γ (1 + ββ 'x ) 2
e
a ' y + β ( β ' x a' y − β ' y a 'x )
γ 2 (1 + ββ 'x )3
az =
.
dv' z − β (β ' z dv' x − β 'x dv' z )
γ (1 + ββ 'x )2
β
dividendo ora tali relazioni con la seguente nota relazione (delle T. di Lorentz) dt = γ ( dt '+ dx' ) , si ha:
c
dvx =
ax =
dv ' x
2
γ (1 + ββ ' x ) 2
,
1
a 'x
γ (1 + ββ 'x )3
3
dv y =
,
ay =
e
dvz =
;
a' z + β ( β 'x a 'z − β 'z a 'x )
γ 2 (1 + ββ ' x )3
che sono appunto le equazioni di trasformazione dell’accelerazione.
Notiamo, per ultimo, che tali equazioni contengono la velocità; quindi, se l’accelerazione tridimensionale è costante in un
sistema di riferimento inerziale, varierà nel tempo in tutti gli altri!
App. 2: Come io vedo l’Universo (Unificazione Gravità Elettromagnetismo).
Indice dell’App. 2:
-Indice dell’App. 2.
Pag.26
-App. 2-Capitolo 1: Un nuovo Universo, cento volte più grande, massivo e vecchio.
App. 2-Par. 1.1: Niente materia oscura!
App. 2-Par. 1.2: L’accelerazione cosmica aUniv.
App. 2-Par. 1.3: La nuova densità dell’Universo.
App. 2-Par. 1.4: Ulteriori considerazioni sul significato di aUniv.
App. 2-Par. 1.5: Ulteriori conferme ed incoraggiamenti da parte di altre branche della fisica.
App. 2-Par. 1.6: Sulle discrepanze tra la velocità di rotazione calcolata e quella osservata, nelle galassie.
Pag.26
Pag.26
Pag.28
Pag.29
Pag.29
Pag.30
Pag.31
-App. 2-Capitolo 2: L’unificazione della forza elettromagnetica con quella gravitazionale (Rubino).
App. 2-Par. 2.1: L’effetto di MUniv sulle particelle.
App. 2-Par. 2.2: La scoperta dell’essenza comune di gravità ed elettromagnetismo.
App. 2-Par. 2.3: L’entità oscillatoria dell’Universo tutto e delle particelle.
Pag.32
Pag.32
Pag.33
Pag.34
-App. 2-Capitolo 3: L’unificazione della forza magnetica con quella elettrica.
App. 2-Par. 3.1: La forza magnetica è niente altro che una forza elettrica di Coulomb(!).
Pag.35
Pag.35
-App. 2-Capitolo 4: Giustificazione dell’equazione
elettrica con quella gravitazionale (Rubino).
App. 2-Par. 4.1: L’equazione
RUniv = N re
RUniv = N re precedentemente utilizzata per l’unificazione della forza
Pag.38
(!).
Pag.38
-App. 2-Capitolo 5: “aUniv“ come responsabile assoluta di tutte le forze.
Pag.39
App. 2-Par. 5.1: Tutto da “aUniv“.
Pag.39
App. 2-Par. 5.2: Schema riassuntivo dell’unificazione delle forze.
Pag.39
App. 2-Par. 5.3: Altre considerazioni sulla composizione dell’Universo in coppie +/-.
Pag.40
App. 2-Par. 5.4: La Teoria della Relatività altro non è che la interpretazione dell’Universo di oscillazioni appena descritto,
in contrazione a velocità c ed accelerazione auniv.
Pag.40
App. 2-Par. 5.5: Sulla “Relatività” delle energie cedute.
Pag.42
-App. 2-SUBAPPENDICI.
App. 2-Subppendice 1: Costanti fisiche.
Pag.42
Pag.42
App. 2-Capitolo 1: Un nuovo Universo, cento volte più grande, massivo e vecchio.
App. 2-Par. 1.1: Niente materia oscura!
SULLE DISCREPANZE TRA LA DENSITA’ ρUniv CALCOLATA E QUELLA OSSERVATA:
Ricercare il 99% della materia dell’Universo, dopo che la si è dichiarata invisibile, mi sembra alquanto strano. Si dice
infatti che la materia oscura dovrebbe essere molta di più di quella visibile (dalle 10 alle 100 volte di più).
Gli astrofisici misurano un valore di ρ dell’Universo visibile pari, o intorno, a:
ρ ≅ 2 ⋅ 10−30 kg / m 3 .
La cosmologia prevalente di oggigiorno, nel calcolo della densità media dell’Universo, giunge invece ad un valore ρ pari a
(vedere anche la (A1.6)):
4
2
ρWrong = H local
/( πG ) ≅ 2 ⋅ 10− 26 kg / m3
3
(valore troppo elevato!) .
(A1.1)
Assumiamo ora per Hlocal (costante di Hubble locale – vedi la (A1.7) più sotto) il valore plausibile di:
m
H local ≅ 75km /( s ⋅ Mpc) ≅ 2,338 ⋅10−18 [( ) m]
s
(A1.2)
H local ≈ c / RUniverso − Old
(A1.3)
confermato dalle innumerevoli misurazioni, ad esempio, sull’ammasso di galassie della Chioma (vedi la (A1.7) più sotto)
e ciò conferma dunque anche il fatto che gli oggetti più lontani mai osservati si allontanano ad una velocità vicina a
quella della luce:
, da cui:
RUniv −Old ≈ c / H local ≈ 4000Mpc ≈ 13,5 ⋅109 anni _ luce
Inoltre, si calcola la velocità di un corpo “gravitante” di massa m ai confini dell’Universo visibile, banalmente, imponendo
la seguente eguaglianza tra forza centrifuga e forza gravitazionale:
m⋅a = m⋅
c2
RUniv −Old
2
= G ⋅ m ⋅ M Univ − Old / RUniv
− Old
,
(A1.4)
da cui, tenuto anche conto della (A1.3), segue che:
M Univ − Old = c 3 /(G ⋅ H local ) ≅ 1,67 ⋅10 53 kg
(A1.5)
e quindi:
4 3
4
4
c 3
3
2
) ] = H local
/( πG ) ≅ 2 ⋅ 10− 26 kg / m3
ρWrong = M Univ −Old /( πRUniv
− Old ) = (c GH local ) [ π (
3
3 H local
3
(A1.6)
cioè appunto la (A1.1) (valore troppo elevato!)
Bene, anzi, male; tale valore è di quattro ordini di grandezza superiore al valore di densità osservato e, dunque, misurato
dagli astrofisici. E poi le galassie sono troppo “leggère” per ruotare così velocemente (vedere oltre). Ed ecco che si è
deciso di mettersi alla ricerca di materia oscura, e non di poca, visto che essa dovrebbe essere molta di più di quella
visibile (dalle 10 alle 100 volte di più).
Invece, gli astrofisici misurano dunque un valore di ρ pari, o intorno, a:
ρ ≅ 2 ⋅ 10−30 kg / m 3 .
Cerchiamo un attimo di capire quali scelte arbitrarie, nei decenni, abbiano potuto portare a tale discrepanza.
Dalle osservazioni di Hubble in poi, emerse che le galassie lontane e gli ammassi di galassie si allontanano da noi con
certe velocità, determinate da misure dello spostamento verso il rosso. Ma non solo; più si osservano quelle lontane e
più si rilevano velocità di allontanamento maggiori e pare giustamente che ci sia una legge che leghi la distanza di tali
oggetti da noi e la velocità con cui essi si allontanano, sempre da noi.
La Fig. A1.1 qui sotto è una foto dell’ammasso di galassie della Chioma, sul quale sono disponibili centinaia di
misurazioni; bene, sappiamo che tale ammasso dista da noi:
Δx=100 Mpc = 3,26 108 a.l. = 3,09 1024 m
e si allontana da noi ad una velocità:
Δv=6870 km/s=6,87 106 m/s.
Fig. A1.1: Ammasso della Chioma.
Parlando appunto della legge di Hubble ed utilizzando i dati dell’ammasso della Chioma, quanto si osservava (e si
osserva tutt’oggi), in forma matematica, è esprimibile come segue:
m
H local = ∆v ∆x ≅ 2, 22 ⋅10−18 [( ) m] ,
s
cioè un buon valore per la costante di Hubble “locale”, utilizzata ancor oggi dalla Cosmologia (prevalente).
(A1.7)
App. 2-Par. 1.2: L’accelerazione cosmica aUniv.
A conferma di quanto appena detto, abbiamo anche visto con la (A1.3) che si ottiene sempre lo stesso valore di costante
9
di Hubble locale se, invece dei dati sull’ammasso della Chioma, si utilizza l’intero nostro Universo visibile, di 13,5 10 a.l.
di raggio ed espandentesi approssimativamente a velocità c.
Ma per gli stessi ragionamenti fatti finora per giungere alla definizione di Hlocal, possiamo anche dire che se le galassie,
con l’allontanarsi, aumentano la loro velocità, allora sono sottoposte ad un’accelerazione aUniv , e, dalla fisica, sappiamo
che, banalmente:
∆x =
1
1
1
a ⋅ ∆t 2 = (a ⋅ ∆t ) ⋅ ∆t = ∆v ⋅ ∆t
2
2
2
, da cui:
∆t =
aUniv , ci dà:
aUniv =
∆v
∆v
( ∆v ) 2
=
=
= aUniv ≅ 7,62 ⋅ 10−12 m / s 2 ,
⋅
∆
x
2
∆t
2 ⋅ ∆x
∆v
2 ⋅ ∆x
∆v
, che usata nella definizione di accelerazione
accelerazione cosmica (Wåhlin)
(A1.8)
avendo utilizzato i dati dell’ammasso della Chioma.
E’ questa l’accelerazione con cui perlomeno tutto il nostro Universo visibile accelera verso il centro di massa dell’Universo
intero.
VEDREMO ORA CHE QUESTO PICCOLO OGGETTO CHE ABBIAMO APPENA VALUTATO, E CIOE’ aUniv, CHE E’ UN
OGGETTO DI CUI, EVIDENTEMENTE, NON SI TIENE BEN CONTO, CI PERMETTE DI CONCLUDERE CHE LA DENSITA’
CALCOLATA DELL’UNIVERSO E’ ESATTAMENTE QUELLA MISURATA DAGLI ASTROFISICI E CI PERMETTERA’ ANCHE DI
GIUSTIFICARE LE ALTE VELOCITA’ DI ROTAZIONE DELLE GALASSIE, SEMPRE SENZA STARE A CERCARE LA MATERIA
OSCURA
9
pena però il dover accettare che viviamo in un Universo che ha un raggio almeno 100 volte quello dei 13,5 10 a.l.
predicato oggigiorno, e con una massa molto più grande dell’1,67 1053 kg, valutata a pag. 71, e sempre predicata
oggigiorno come massa dell’Universo tutto, e non di quello a noi visibile (vedere oltre).
Dipaniamo la matassa:
Partiamo dunque dalla scoperta rappresentata dalla (A1.8), secondo cui stiamo accelerando e dalla (A1.4), secondo cui:
aUniv =
c2
RUniv − New
RUniv − New
, da cui, per il nuovo raggio dell’Universo:
c2
=
≅ 1,17908 ⋅10 28 m .
aUniv
(A1.9)
Tale valore è un centinaio di volte quello precedentemente calcolato nella (A1.3) e sarebbe però il raggio compreso tra il
centro di massa dell’Universo ed il luogo dove siamo ora noi, luogo in cui la velocità della luce vale c.
((non essendo evidentemente noi esattamente ai confini di tale Universo, si dimostra che l’estensione totale è più grande
di un fattore 2 , cioè RUniv-Tot=1,667 1028m.))
In ogni caso, si viaggia su dimensioni lineari dell’ordine di 100 volte quelle contemplate nella cosmologia prevalente. In
un certo senso, di materia che non vediamo ce n’è, ma sta oltre il range dei nostri telescopi, e non dentro le galassie o
tra le galassie, materia (quella oscura) che andrebbe a scombussolare le leggi della gravitazione, che invece reggono
bene.
Sempre dalla (A1.4) si ha ora che:
2
m ⋅ aUniv = G ⋅ m ⋅ M Univ − New / RUniv
− New
, da cui:
2
55
M Univ − New = aUniv ⋅ RUniv
− New / G = 1,59486 ⋅ 10 kg
(A1.10)
Questo valore, ancora una volta, è 100 volte quello della cosmologia prevalente della (A1.5) ed è la massa entro il raggio
RUniv-New , mentre quella entro il totale RUniv-Tot non è nota.
Dalle (A1.9) ed (A1.10) scaturisce poi che:
c2 =
GM Univ
RUniv
(~Eddington).
(A1.11)
App. 2-Par. 1.3: La nuova densità dell’Universo.
VENIAMO ORA AL CALCOLO DELLA NUOVA DENSITA’ DELL’UNIVERSO:
4
3
− 30
ρ = M Univ − New /( π ⋅ RUniv
kg / m3
− New ) = 2.32273 ⋅ 10
3
!!!
(A1.12)
molto, ma molto prossima a quella osservata e misurata dagli astrofisici e già riportata a pag. 70.
La natura, per fortuna, offre anche dei segnali che incoraggiano e, anzi, convincono, nel perseguimento di una
determinata strada, quando conferme di ciò che si è intuito giungono da altri settori della fisica del tutto distanti da
quello in cui ci si sta muovendo.
A tal proposito, premetto che il raggio classico dell’elettrone (particella base e “stabile”, nel nostro Universo!) è definito
eguagliando la sua energia E=mec2 a quella elettrostatica immaginata sulla sua superficie (in senso classico):
me ⋅ c 2 =
re =
1 e2
4πε 0 re
, da cui:
e2
1
≅ 2,8179 ⋅ 10−15 m
2
4πε 0 me ⋅ c
(A1.13)
Adesso, sempre in senso classico, se immagino, ad esempio, di calcolare l’accelerazione di gravità su un elettrone, come
se lo stesso fosse un piccolo pianetino, devo scrivere banalmente che:
mx ⋅ ge = G
ge = G
mx ⋅ me
re2
, da cui:
3 4
me
2 2 Gme c
=
8
π
ε
= aUniv = 7,62 ⋅10−12 m s 2 !!!
0
4
2
re
e
(A1.14)
cioè esattamente il valore ottenuto nella (A1.8) per tutt’altra via, macroscopica, e non microscopica, come nel caso della
(A1.14). Del resto, i comportamenti gravitazionali dell’Universo e degli elettroni che lo compongono, perchè dovrebbero
essere diversi tra loro?
App. 2-Par. 1.4: Ulteriori considerazioni sul significato di aUniv.
Beh, certo che se la materia mostra attrazione reciproca in forma di gravità, allora siamo in un Universo armonico
oscillante in fase di contrazione, che si sta contraendo tutto verso un punto comune che è il centro di massa di tutto
l’Universo. Infatti, l’accelerare verso il centro di massa ed il mostrare proprietà attrattive gravitazionali sono due facce
della stessa medaglia. Inoltre, tutta la materia intorno a noi mostra di voler collassare: se ho una penna in mano e la
lascio, essa cade, dimostrandomi che vuole collassare; poi, la Luna vuole collassare nella Terra, la Terra vuole collassare
nel Sole, il Sole nel centro della Via Lattea, la Via Lattea nel centro del suo ammasso e così via, e, dunque, anche tutto
l’Universo collassa. No?
Ma allora come si spiegherebbe che vediamo la materia lontana, intorno a noi, allontanarsi e non avvicinarsi? Beh, facile:
se tre paracadutisti si lanciano in successione da una certa quota, tutti e tre stanno cadendo verso il centro della Terra,
dove poi idealmente si incontreranno, ma il secondo paracadutista, cioè quello che sta in mezzo, se guarda in avanti,
vede il primo che si allontana da lui, in quanto ha una velocità maggiore, poiché si è buttato prima, mentre se guarda
indietro verso il terzo, vede anche questi allontanarsi, in quanto il secondo, che sta facendo tali rilevamenti, si è lanciato
prima del terzo, e dunque ha una velocità maggiore e si allontana dunque pure da lui. Allora, pur convergendo tutti, in
accelerazione, verso un punto comune, si vedono tutti allontanarsi reciprocamente. Hubble era un po’ come il secondo
paracadutista che fa qui i rilevamenti. Solo che non si accorse dell’esistenza della accelerazione di gravità g (aUniv) come
background.
Ricordo poi che recenti misurazioni su supernove di tipo Ia in galassie lontane, utilizzate come candele standard, hanno
dimostrato che l’Universo sta effettivamente accelerando, fatto questo che è contro la teoria della nostra presunta
attuale espansione post Big Bang, in quanto, dopo che l’effetto di una esplosione è cessato, le schegge proiettate si
propagano, sì, in espansione, ma devono farlo ovviamente non accelerando.
235
238
Poi, dai rapporti attuali delle abbondanze di U
e U
, elementi trans-CNO formatisi durante l’esplosione della
supernova originaria, si evince che (forse) la Terra ed il sistema solare hanno solo cinque o sei miliardi di anni, ma ciò
non contraddice quanto appena detto sulla reale età dell’Universo, in quanto non si escludono sub-cicli che hanno dato
origine alle galassie ed ai sistemi solari, di durata ben minore dell’età complessiva dell’Universo.
Riguardo il periodo TUniv dell’Universo, sappiamo dalla fisica che: v=ωR e
ω = 2π / T , e, nel caso dell’Universo
intero: c=ωRUniv e
TUniv =
ω = 2π / TUniv
, da cui:
2πRUniv
= 2,47118 ⋅ 1020 s
c
(7.840 miliardi di anni)
(A1.15)
E per il valore della frequenza angolare:
ωUniv ≅ c / RUniverso − New = 2,54 ⋅10−20 rad / s , ed esso è il parametro giusto
per una reinterpretazione della costante di Hubble globale
( ωUniv
H global ,
che vale
H local
solo nell’Universo a noi visibile
= H Global ).
App. 2-Par. 1.5: Ulteriori conferme ed incoraggiamenti da parte di altre branche della fisica.
1) Ricordiamo preliminarmente la legge di Stephan-Boltzmann:
ε = σT 4 [W/m2],
dove
σ = 5,67 ⋅ 10−8 W (m 2 K 4 )
E’ ora interessantissimo notare che se si immagina che un elettrone (particella base e “stabile”, nel nostro Universo!)
irradi tutta l’energia che lo costituisce nel tempo TUniv , si ottiene una potenza che è esattamente ½ della costante di
Planck in watt!
Infatti:
mec 2 1
Le =
= hW = 3,316 ⋅ 10− 34 W
TUniv 2
(Non deve stupire il coefficiente ½; infatti, ai livelli fondamentali di energia, esso sempre compare, come, ad esempio,
sul primo orbitale dell’atomo di idrogeno, dove la circonferenza dell’orbitale dell’elettrone (2πr) è proprio
1
1
λDeBroglie dell’elettrone. E lo stesso fotone è rappresentabile come se racchiuso in un cubetto di lato λ photon ).
2
2
2) Inoltre, notiamo che un elettrone e l’Universo hanno lo stesso rapporto luminosità – massa:
infatti,
LUniv
M Univ
LUniv =
M Univc 2
= 5,80 ⋅1051W
TUniv
(per definizione) e risulta quindi vero che:
M Univc 2
mec 2
1
hW
c2
Le TUniv
c2
TUniv
=
=
=
=
=
=2
M Univ
TUniv me
me
TUniv
me
e per la legge di Stephan-Boltzmann, sia all’Universo
che ad un “elettrone” si può, per così dire, attribuire la stessa temperatura della radiazione cosmica di fondo:
1
h 1
1
1
1
L
L
L
L
4
Univ
e
2
4
4
4
) =(
) =(
) =(
) 4 ≅ 2,73K
= σT , da cui: T = (
2
2
2
4πR 2
4πR 2σ
4πRUniv σ
4πre σ
4πre σ
!!!
E tutto ciò non è più vero se si usano i valori della cosmologia prevalente!
3) Il Principio di Indeterminazione di Heisenberg come conseguenza dell’essenza dell’Universo macroscopico accelerante
ad
aUniv :
per tale principio, dal momento che il prodotto Δx Δp deve stare al disopra della quantità
dell’eguaglianza, quando Δx è massimo, Δp deve essere minimo, e viceversa:
∆p ⋅ ∆x ≥ h / 2
Ora, come
e
∆pmax
∆pmax = (me ⋅ c )
∆pmax ⋅ ∆xmin = h / 2
(h
= h / 2π
h/ 2,
con il segno
)
consideriamo, per l’elettrone (particella base e “stabile”, nel nostro Universo!), la quantità
∆x
min
e come
per l’elettrone, dal momento che lo stesso altro non è che un’armonica
dell’Universo che lo contiene (così come un suono può essere considerato come composto dalle sue armoniche), avremo
∆xmin = aUniv (2π )2 ,
come conseguenza diretta delle caratteristiche dell’Universo che lo contiene; infatti, per la
2
2
RUniv = aUniv ωUniv
, in quanto si sa dalla fisica che a = ω R , e poi ωUniv = 2π TUniv = 2πν Univ
ωe dell’elettrone (che è armonica dell’Universo) si considera dunque la “ν Univ – esima” parte di ωUniv , cioè:
(A1.15),
ωe = ωUniv ν Univ = H Global ν Univ
, e come
, come se l’elettrone o una coppia elettrone-positrone possono compiere
oscillazioni a mo’ di quelle dell’Universo, ma con un rapporto velocità - ampiezza non pari alla Costante di Hubble
ν Univ e, dunque, se per l’Universo tutto
a
aUniv
aUniv
a
= Univ2 =
=
= Univ2
2
2
(ωe )
( ωUniv ν Univ )
( H Global ν Univ )
(2π )
(globale), bensì con la stessa fratto
l’elettrone:
∆xmin
è vero che:
, da cui:
2
RUniv = aUniv ωUniv
,
per
∆pmax ⋅ ∆xmin = mec
aUniv
−34
= 0,527 ⋅ 10 −34 [Js] e questa quantità ( 0,527 ⋅10 Js), guarda caso, è proprio h / 2 !!
( 2π ) 2
4) Come fatto in precedenza, premetto che il raggio classico dell’elettrone (particella base e “stabile”, nel nostro
Universo!) è definito eguagliando la sua energia E=mec2 a quella elettrostatica immaginata sulla sua superficie (in senso
classico):
me ⋅ c 2 =
re =
1 e2
4πε 0 re
, da cui:
e2
1
≅ 2,8179 ⋅ 10−15 m
4πε 0 me ⋅ c 2
Sempre in senso classico, se immagino di calcolare l’accelerazione di gravità su un elettrone, come se lo stesso fosse un
piccolo pianetino, devo scrivere banalmente che:
mx ⋅ g e = G
ge = G
m x ⋅ me
re2
, da cui:
3 4
me
2 2 Gme c
=
8
π
ε
= aUniv = 7,62 ⋅10−12 m s 2 !!!
0
2
4
re
e
5) Sappiamo che la quantità
α=
1
137
è il valore della Costante di Struttura Fine e l’espressione
tale valore solo se ν è quella dell’Universo da noi appena descritto, cioè:
α=
1
Gme2
=
hν Univ
137
re
, dove notoriamente ν Univ
=
1
TUniv
N ≅ 4,13 ⋅ 1042
e−
(e/o i positroni
M Univ
≅ 1,75 ⋅ 1085 (~Eddington); la radice quadrata di tale numero è:
me
(~Weyl).
Notiamo ora, con sorpresa, che
( RUniv
assume
(vedi la (A1.15)) !!
6) Se suppongo, per semplicità, che l’Universo sia composto solo da armoniche come gli elettroni
e + ), essi saranno, in numero, pari a: N =
Gme2
hν
re
N re ≅ 1,18 ⋅10 28 m
(!), cioè proprio il valore di
RUniv
ottenuto nella (A1.9)
= N re ≅ 1,18 ⋅10 m ) !!!
28
App. 2-Par. 1.6: Sulle discrepanze tra la velocità di rotazione calcolata e quella osservata, nelle galassie.
Galassia di Andromeda (M31):
Distanza: 740 kpc; RGal=30 kpc;
Massa visibile MGal = 3 1011MSun;
Massa stimata(+Dark) M+Dark = 1,23 1012MSun;
MSun=2 1030 kg; 1 pc= 3,086 1016 m;
Fig. A1.2: Galassia di Andromeda (M31).
Imponiamo, ad una stella periferica in rotazione in una galassia, l’equilibrio tra forza centrifuga e forza di attrazione
gravitazionale verso il centro di massa della galassia stessa:
mstar
v2
m M
= G star 2 Gal
RGal
RGal
, da cui:
v=
GM Gal
RGal
Nel caso invece si consideri anche il contributo mareale dovuto ad aUniv , e cioè dovuto anche a tutto l’Universo
circostante, si ha:
v=
GM Gal
+ aUniv RGal
RGal
; vediamo dunque, nel caso, ad esempio, della M31, a quanti RGal (quante k volte) di
distanza dal centro della galassia il contributo di aUniv riesce a sopperire alla necessità di considerare dark matter:
GM + Dark
GM Gal
=
+ aUniv kRGal
kRGal
kRGal
, da cui:
k=
G (M + Dark − M Gal )
≅ 4 , dunque a 4RGal l’esistenza di aUniv
2
aUniv RGal
ci permette di avere i valori di velocità di rotazione osservati, senza far ricorso alla materia oscura. Inoltre, a 4RGal il
contributo alla rotazione dovuto ad aUniv domina.
Per ultimo, osservo che aUniv non ha invece effetto su oggetti piccoli come il sistema solare; infatti, in tale caso:
G
M Sun
RTerra − Sole
≅ 8,92 ⋅ 108 >> aUniv RTerra − Sole ≅ 1,14
.
E’ ovvio che queste considerazioni sul legame tra aUniv e la velocità di rotazione delle galassie sono ampiamente aperte
ad ulteriori speculazioni e la formula tramite la quale si può tener conto dell’effetto mareale di
aUniv
nelle galassie può
assumere una forma ben più complessa di quelle qui sopra, ma non sembra proprio un caso che un po’ tutte le galassie
hanno dimensioni che stanno in un range abbastanza stretto (3 – 4 RMilky Way o non molto di più) e, in ogni caso, non con
raggi di decine o di centinaia di RMilky Way , ma, al massimo, di qualche unità. E’ infatti la componente dovuta
all’accelerazione cosmica che, annullando, in certe fasi, l’accelerazione centripeta nella galassia, andrebbe a sfrangiare la
galassia stessa, ed eguaglia, ad esempio, nella M31, la componente gravitazionale propria ad un valore di raggio pari a:
GM M 31
= aUniv RGal − Max
RGal − Max
, da cui:
GM M 31
≅ 2,5RM 31 ,
aUniv
RGal − Max =
ed infatti i raggi massimi osservati nelle
galassie sono all’incirca di tale taglia.
--------------------------------------------App. 2-Capitolo 2: L’unificazione della forza elettromagnetica con quella gravitazionale (Rubino).
App. 2-Par. 2.1: L’effetto di MUniv sulle particelle.
a) Ricordo che dalla definizione di
re
della (A1.13):
1 e2
⋅ = mec 2
4πε 0 re
e dalla (A1.11):
c2 =
GM Univ
RUniv
(~Eddington),
segue che:
1 e 2 GM Univ me
⋅ =
4πε 0 re
RUniv
!!
(A2.1)
b) Alternativamente, sappiamo che la Costante di Struttura Fine vale 1 su 137 ed è espressa dalla seguente equazione:
1 2
e
1
4πε 0
α=
=
h
137
c
2π
(Alonso-Finn), ma notiamo anche che la quantità
1
137
è data dalla seguente espressione, che
può essere evidentemente ritenuta, a tutti gli effetti, altrettanto valida come espressione per la Costante di Struttura
Fine:
Gme2
E
1
r
α=
= e = Box _ Min
137 hν Univ EEmanable
, dove notoriamente ν Univ
=
1
TUniv
.
EBox _ Min è
la più piccola scatoletta di energia dell’Universo (l’elettrone), mentre
EEmanable
è la minima energia
emanabile, visto che ν Univ è la più piccola frequenza.
Tra parentesi,
α = ve _ in _ H
α è anche data dal rapporto tra la velocità dell’elettrone nell’atomo di idrogeno e la velocità della luce:
c = e 2 2ε 0 hc , oppure ancora come rapporto tra la lunghezza d’onda Compton dell’elettrone (che è la
minima λ di e- quando è libero ed alla velocità massima c) e la lunghezza d’onda di e- appunto sul primo orbitale di H:
α = λCompton λ1− H = (h mec) (h me ve _ in _ H ) . E’ altresì vero che α = re a0
, con
a0 = 0,529 Å, che è il raggio
di Bohr.
Potremo dunque stabilire la seguente uguaglianza e trarre le relative conseguenze (Rubino):
1 2
Gme2
e
1
4πε 0
r
)=
(α =
= e
h
137
hν Univ
c
2π
, da cui:
Gme2
1 2
c Gme2
c Gme2
e =
=
= RUniv
re
4πε 0
2πνUniv re
H global re
avendo utilizzato anche la (A1.15).
Dunque, si può scrivere che:
Gme2
1 e2
=
re
4πε 0 RUniv
(ed anche questa equazione intermedia mostra una strettissima
parentela tra elettromagnetismo e gravità, ma procediamo oltre…)
Ora, se si immagina momentaneamente, e per semplicità, che la massa dell’Universo sia composta da N tra elettroni
e + , potremo scrivere che:
1 e2
GM Univ me
=
= N ⋅ me , da cui:
4πε 0 RUniv
N N re
e−
e positroni
M Univ
oppure ancora:
1
e2
GM Univ me
⋅
=
4πε 0 ( RUniv N )
N re
Se ora ipotizziamo che
RUniv = N re
,
.
(A2.2)
(vedi anche la (A4.2)), oppure, ciò che è lo stesso,
re = RUniv
N
, allora la
(A2.2) diventa:
1 e 2 GM Univ me
⋅ =
4πε 0 re
RUniv
!!
(Rubino) cioè appunto ancora la (A2.1).
Ora, notiamo innanzitutto che l’aver supposto che
RUniv = N re
è correttissimo, in quanto, dalla definizione di N data
poco fa e dalla (A1.10), si ha che:
M Univ
≅ 1,75 ⋅ 1085 (~Eddington), da cui:
me
proprio il valore di RUniv ottenuto nella (A1.9).
N=
N ≅ 4,13 ⋅ 1042
(~Weyl) e
RUniv = N re ≅ 1,18 ⋅ 10 28 m , cioè
App. 2-Par. 2.2: La scoperta dell’essenza comune di gravità ed elettromagnetismo.
La (A2.1) è di fondamentale importanza ed ha un significato molto preciso (Rubino) in quanto ci dice che l’energia
elettrostatica associata ad un elettrone in una coppia elettrone-positrone ( e
l’energia gravitazionale conferita alla stessa da tutto l’Universo
M Univ
+ −
e
alla distanza
Dunque, un elettrone, lanciato gravitazionalmente da una enorme massa
M Univ
adiacenti) è né più, né meno che
RUniv
! (e viceversa…)
per un tempo lunghissimo
TUniv
e
R
attraverso un lunghissimo cammino Univ , acquista una energia cinetica di origine gravitazionale tale che, se poi è
chiamato a restituirla tutta insieme, in un attimo, tramite, ad esempio, un urto, e tramite dunque una oscillazione della
molla costituita appunto dalla coppia
e+e− ,
deve appunto trasferire una tale energia gravitazionale, accumulata nei
miliardi di anni, che se fosse da attribuire solo alla energia potenziale gravitazionale della esigua massa dell’elettrone
stesso, sarebbe insufficiente per parecchi ordini di grandezza.
Ecco, dunque, che l’effetto di restituzione immediata, da parte di
che abbiamo visto essere
GM Univ me
RUniv
e − , di una grande energia gravitazionale accumulata,
, fa “apparire” l’elettrone, sul momento, e in un range più ristretto ( re ), capace
di liberare energie derivanti da forze molto più intense della gravitazionale, oppure, come se fosse capace di una speciale
forza gravitazionale con una speciale Costante di Gravitazione Universale G’ ben più grande di G:
(
mm
e e me me
1
⋅
⋅ )⋅
= G '⋅ e e
re
re
4πε 0 me me
; dunque, nel momento eventuale della restituzione immediata di energia da
parte dell’elettrone, c’è l’effetto rincorsa dovuto alla sua eterna caduta libera (gravitazionale) nell’Universo. E, di riflesso,
la gravità è l’effetto di composizione di tante piccole forze elettrostatiche.
Faccio altresì notare che l’energia espressa dalla (A2.1), guarda caso, è proprio pari a
me c 2
!!!, cioè proprio una sorta di
energia cinetica di rincorsa posseduta dalle coppie elettrone-positrone in caduta libera, e che Einstein conferì anche alla
materia in quiete, senza purtroppo dirci che quella materia, appunto, non è mai in quiete rispetto al centro di massa
dell’Universo, visto che siamo tutti inesorabilmente in caduta libera, anche se tra noi ci vediamo fermi, da cui la sua
essenza di energia cinetica di origine gravitazionale
1 e 2 GM Univ me
mec =
⋅ =
4πε 0 re
RUniv
2
mec 2 :
.
App. 2-Par. 2.3: L’entità oscillatoria dell’Universo tutto e delle particelle.
Si parla di oscillazioni perché è così che si trasmette l’energia, specie in un urto, ed anche in quello tra, ad esempio, due
palle da biliardo, dove le oscillazioni nel punto di contatto ci sono, e come, anche se non si vedono (quelle degli elettroni
periferici, delle molecole, degli atomi ecc, nel punto di scontro).
Si parla qui di oscillazioni in modo proprio, anche perché un sistema Sole/pianeta o un semplice atomo di idrogeno,
oppure una coppia elettrone-positrone e-e+, che sono governati dalle leggi dell’elettromagnetismo, si comportano come
delle vere e proprie molle:
infatti, in coordinate polari, per l’elettrone in orbita intorno al protone, in un atomo di idrogeno, si ha l’equilibrio tra forza
di attrazione elettrostatica e forza centrifuga:
Fr = −
1 e2
dϕ 2
1 e2
p2
+
m
(
)
r
=
−
+
e
4πε 0 r 2
dt
4πε 0 r 2 me r 3
, dove
dϕ
=ω
dt
e
p = me v ⋅ r = meωrr = meωr 2
Valutiamo ora l’energia corrispondente, integrando tale forza nello spazio:
U = − ∫ Fr dr = −
1 e2
p2
+
4πε 0 r
2me r 2
.
(A2.3)
U
U
p2
2me r 2
U Parab = k (r − r0 )2 + U 0
r0
r
−
Uo
U 0 = −(
1 2 me e 4
)
4πε 0 2 p 2
1 e2
4πε 0 r
Fig. A2.1: Grafico dell’energia.
Il punto di minimo in (r0,U0) è punto di equilibrio e di stabilità (Fr=0) e lo si calcola annullando la derivata prima della
(A2.3) (e cioè ponendo appunto Fr=0).
Inoltre, in r0, la curva esprimente U è visivamente approssimabile con una parabola UParab e cioè, in quell’intorno, si può
scrivere:
Fr = − ∂U Parab ∂r = −2k (r − r0 )
che è, guarda caso, una forza elastica a tutti gli effetti ( F = − kx - Legge di Hooke).
U Parab = k (r − r0 )2 + U 0
, e la corrispondente forza è:
Inoltre, la legge gravitazionale cui l’Universo obbedisce, mostra una forza che varia con il quadrato della distanza,
proprio come quella elettrostatica, dunque anche la forza gravitazionale porta alla legge di Hooke per l’Universo.
--------------------------------------------Tramite la (A2.1) e la sua interpretazione abbiamo ricondotto la forza elettrica a quella gravitazionale; riconduciamo ora
la forza magnetica a quella elettrica, in modo tale da chiudere il cerchio ed effettuare l’unificazione del campo
elettromagnetico con quello gravitazionale. E tutti questi campi, per ultimo, sono riconducibili all’accelerazione cosmica
aUniv , visto che la gravità lo è.
App. 2-Capitolo 3: L’unificazione della forza magnetica con quella elettrica.
App. 2-Par. 3.1: La forza magnetica è niente altro che una forza elettrica di Coulomb(!).
A tal proposito, immaginiamo la seguente situazione, dove vi è un conduttore, ovviamente composto da nuclei positivi e
da elettroni, e poi un raggio catodico (di elettroni) che scorre parallelo al conduttore:
Raggio catodico
e
-
e
-
e
-
F
e
-
e
y’
-
-
e
F
-
e
-
I’
Direzione del raggio catodico (v)
z’
e
-
x’
e
-
+
e
-
Conduttore
e-
e-
e-
e-
e-
e-
e-
e-
e-
e-
p+
p+
p+
p+
p+
p+
p+
p+
p+
p+
Fig. A3.1: Conduttore non percorso da corrente, visto dal sistema di riferimento I’ (x’, y’, z’) di quiete del raggio catodico.
Sappiamo dal magnetismo che il raggio catodico non sarà deflesso verso il conduttore perché in quest’ultimo non scorre
nessuna corrente che possa determinare ciò. Questa è l’interpretazione del fenomeno in chiave magnetica; in chiave
elettrica, possiamo dire che ogni singolo elettrone del raggio è respinto dagli elettroni del conduttore con una forza Fidentica a quella F+ con cui è attratto dai nuclei positivi del conduttore.
Passiamo ora alla situazione in cui nel conduttore scorra invece una corrente con gli e- a velocità u:
Raggio catodico
e-
e-
F
e-
e
-
e
-
e
ep+
p+
e-
e
-
I’
e
Direzione del raggio catodico (v)
z’
-
x’
e
-
e
-
Conduttore
ep+
p+
-
+
F
e-
y’
-
e-
p+
p+
p+
ep+
ep+
Direzione della corrente I,
con e a velocità u
p+
Fig. A3.2: Conduttore percorso da corrente (con gli e- a velocità u), visto dal sistema di riferimento I’ (x’, y’, z’) di quiete
del raggio catodico.
In quest’ultimo caso, sappiamo dal magnetismo che il raggio di elettroni deve deflettere verso il conduttore, in quanto
siamo nel noto caso di correnti parallele e di verso concorde, che devono dunque attrarsi. Questa è l’interpretazione del
fenomeno in chiave magnetica; in chiave elettrica, possiamo dire che dal momento che gli elettroni nel conduttore
inseguono, per così dire, quelli del fascio, i primi, visti dal sistema di quiete del fascio (I’), avranno una velocità minore
rispetto a quella che risultano avere i nuclei positivi, che invece sono fermi nel conduttore. Risulterà, perciò, che gli spazi
immaginabili tra gli elettroni del conduttore subiranno una contrazione relativistica di Lorentz meno accentuata, rispetto
ai nuclei positivi, e dunque ne risulterà una densità di carica negativa minore della densità di carica positiva, e dunque gli
elettroni del fascio verranno elettricamente attratti dal conduttore. Ecco la lettura in chiave elettrica del campo
magnetico. Ora, è vero che la velocità della corrente elettrica in un conduttore è molto bassa (centimetri al secondo)
rispetto alla relativistica velocità della luce c, ma è anche vero che gli elettroni sono miliardi di miliardi …, e dunque un
piccolo effetto di contrazione su così tanti interspazi determina l’apparire della forza magnetica.
Ora, però, vediamo se la matematica ci dà quantitativamente ragione su quanto asserito, dimostrandoci che la forza
magnetica è una forza elettrica anch’essa, ma vista in chiave relativistica. Consideriamo allora una situazione semplificata
in cui un elettrone e- , di carica q, viaggi, con velocità v, parallelo ad una corrente di nuclei con carica Q+ (a velocità u):
y’
y
I’
r
Q+
I
Q+
z
z’
-
q
x’
v
F
Q+
Q+
Q+
Q+
u
d = d 0 1 − u 2 c2
x
Fig. A3.3: Corrente di cariche positive (a velocità u) ed elettrone a velocità v nel sistema di quiete del lettore I.
a) Valutazione di F in chiave elettromagnetica, nel sistema I :
Ricordiamo innanzitutto che se ho N cariche Q, in linea, a distanza d una dall’altra (come in figura A3.3), allora la densità
di carica lineare λ sarà:
λ = N ⋅Q N ⋅ d = Q d
.
Ora, sempre con riferimento alla Fig. A3.3, nel sistema I, per l’elettromagnetismo l’elettrone sarà sottoposto alla forza di
Fl = q ( E + v × B) che si compone di una componente originariamente già elettrica e di una magnetica:
1 λ
1 Q d
Fel = E ⋅ q = (
)q = (
)q , dovuta all’attrazione elettrostatica di una distribuzione lineare di cariche Q
ε 0 2πr
ε 0 2πr
Lorentz
e:
Fmagn = µ0
Dunque:
I
Q t
Q (d u )
uQ d
= µ0
= µ0
= µ0
2πr
2πr
2πr
2πr
Fl = q (
(Biot e Savart).
1
1 Q d
Q d0 1
uQ d
)=q
( − µ0 uv )
− vµ0
2πr
2πr ε 0
ε 0 2πr
1 − u 2 c2
,
(A3.1)
dove il segno meno indica che la forza magnetica è repulsiva, in tale caso, visti i segni reali delle due correnti, e dove la
distanza d0 di quiete risulta contratta a d, per Lorentz, nel sistema I in cui le cariche Q hanno velocità u
(d
= d0 1 − u 2 c 2
).
b) Valutazione di F in chiave elettrica, nel sistema I’ di quiete di q:
nel sistema I’ la carica q è ferma e dunque non costituisce nessuna corrente elettrica, e dunque sarà presente solo una
forza elettrica di Coulomb verso le cariche Q:
F 'el = E '⋅q = (
1
1 Q d0
1 Q d'
1 λ'
)
) q = q(
)q = (
ε 0 2πr
ε 0 2πr
ε 0 2πr
1 − u '2 c 2
,
(A3.2)
dove u’ è la velocità della distribuzione di cariche Q nel sistema I’, che si compone di u e v tramite il noto teorema
relativistico di addizione delle velocità:
u ' = (u − v) (1 − uv c 2 )
,
(A3.3)
e d0, questa volta, si contrae appunto secondo u’:
d ' = d 0 1 − u '2 c 2
.
Notiamo ora che, con un po’ di algebra, vale la seguente relazione (vedi la (A3.3)):
(1 − u 2 c 2 )(1 − v 2 c 2 )
1 − u' c =
(1 − uv c 2 ) 2
2
2
, che sostituita nel radicale della (A3.2) fornisce:
1 λ'
1 Q d'
1 Q d0
(1 − uv c 2 )
F 'el = E '⋅q = (
)q = (
) q = q(
)
ε 0 2πr
ε 0 2πr
ε 0 2πr
1 − u 2 c2 1 − v 2 c2
(A3.4)
Vogliamo ora confrontare la (A3.1) con la (A3.4), ma ancora non possiamo, perché una fa riferimento ad I e l’altra ad I’;
rapportiamo allora
I’:
F 'el (in _ I ' ) =
F 'el
della (A3.4) in I anch’essa e, per fare ciò, osserviamo che, per la definizione stessa di forza, in
∆p I '
∆pI
F (in _ I )
=
= el 2 2
2
2
∆t I ' ∆t I 1 − v c
1− v c
, con
∆pI ' = ∆pI
in quanto
∆p si estende lungo y, e non
lungo la direzione del moto relativo, dunque per le T. di Lorentz non subisce variazione, mentre
Si ha allora:
Fel (in _ I ) = F 'el (in _ I ' ) 1 − v 2 c 2 = q (
= q(
∆t
1 Q d0
(1 − uv c 2 )
)
1 − v 2 c2
2
2
2
2
ε 0 2πr
1− u c 1− v c
1 Q d 0 (1 − uv c 2 )
)
= Fel (in _ I )
ε 0 2πr
1 − u 2 c2
ovviamente sì.
=
(A3.5)
Ora, dunque, possiamo confrontare la (A3.1) con la (A3.5), in quanto ora entrambe fanno riferimento al sistema I.
Riscriviamole una sopra l’altra:
Fl (in _ I ) = q (
1 Q d
uQ d
Q d0 1
1
− vµ0
)=q
( − µ0 uv)
ε 0 2πr
2πr
2πr ε 0
1 − u 2 c2
Fel (in _ I ) = q (
1 Q d 0 (1 − uv c 2 )
Q d0 1
uv
1
)
=q
( −
)
2
ε 0 2πr
2πr ε 0 ε 0 c
1 − u 2 c2
1− u2 c2
Possiamo dunque dire che le due equazioni sono identiche se è verificata la seguente identità:
c =1
ε 0µ0
, e la
stessa è nota sin dal 1856. Essendo dunque identiche le due equazioni, la forza magnetica risulta ricondotta ad una forza
elettrica di Coulomb, e dunque è compiuta l’unificazione dei campi elettrico e magnetico!!
---------------------------------------------
RUniv = N re
App. 2-Capitolo 4: Giustificazione dell’equazione
precedentemente utilizzata per
l’unificazione della forza elettrica con quella gravitazionale (Rubino).
App. 2-Par. 4.1: L’equazione
RUniv = N re
(!).
Abbiamo innanzitutto già verificato che l’equazione
RUniv = N re ,
utilizzata nella (A2.2), è corretta di per sé, in
quanto, a livello numerico, è esatta.
Ed è altresì giustificabile pure in chiave oscillatoria ed ora vediamo come; tale equazione ci dice che il raggio
dell’Universo è uguale al raggio classico dell’elettrone moltiplicato per la radice quadrata del numero di elettroni (e
positroni) N di cui l’Universo può ritenersi composto.
(Sappiamo che in realtà, la quasi totalità della materia dell’Universo non è composta da coppie e+e- ma da coppie p+e- di
atomi di H, ma a noi ora interessa vedere l’Universo scomposto in mattoni fondamentali, o in armoniche fondamentali, e
sappiamo che l’elettrone ed il positrone lo sono, in quanto sono stabili, mentre il protone pare che stabile non sia, e
dunque non è un’armonica fondamentale e dunque neanche un mattone fondamentale.)
Supponiamo ora che ogni coppia e+e- (o, per il momento, anche p+e- (H), se preferite) sia una piccola molla (fatto
peraltro già giustificato dai ragionamenti compiuti intorno alla (A2.3)), e che l’Universo sia una grande molla oscillante
(ed attualmente in contrazione verso il suo centro di massa) con ampiezza di oscillazione pari ovviamente ad R Univ , che
si compone di tutte le micro oscillazioni delle coppie e+e-. E, per ultimo, chiariamo che tali micromolle sono distribuite
alla rinfusa nell’Universo, come non può che essere, dunque una oscilla verso destra, l’altra verso sinistra, l’altra in su,
l’altra ancora in giù, e così via.
In più, i componenti e+ ed e- di ogni coppia non sono fissi, dunque non considereremo N/2 coppie oscillanti con
ampiezza 2re, ma N elettroni/positroni oscillanti ad re.
re
RUniv
Fig. A4.1: L’Universo rappresentato come un insieme di tante (N) molle oscillanti in direzione casuale, o come grossa
molla oscillante unica.
Ora, essendo le micro oscillazioni orientate a caso, la loro composizione random è schematizzabile come in figura A4.2.
rN
RUniv
y
r
re
r
re
r
re
r
re
r
re
r
re
r
re
r
re
Fig. A4.2: Composizione delle N micro oscillazioni
z
r
re
r
re
r
re
x
distribuite casualmente a formare l’oscillazione globale RUniv.
rN
r N −1 r
rN
RUniv
= RUniv
+ re ed il prodotto scalare di RUniv
con se stesso fornisce:
rN rN
r
N
N −1 2
N −1 r
RUniv ⋅ RUniv = ( RUniv
) 2 = ( RUniv
) + 2 RUniv
⋅ re + re2 ; prendendo ora la media:
r N −1 r
N
N −1 2
N −1 2
(A4.1)
( RUniv
) 2 = ( RUniv
) + 2 RUniv
⋅ re + re2 = ( RUniv
) + re2 ,
r N −1 r
r
visto che 2 RUniv ⋅ re = 0 , dal momento che re può essere orientate in modo casuale su 360° (o su 4π sr, se vi va),
Possiamo scrivere ovviamente che:
e dunque un vettore che media con esso, come nella espressione precedente, fornisce un valore nullo.
Riscriviamo allora la (A4.1):
N
N −1 2
( RUniv
) 2 = ( RUniv
) + re2
e procedendo, su di essa, per induzione, dal momento
che (sostituendo N con N-1 e così via):
N −1 2
N −2 2
( RUniv
) = ( RUniv
) + re2
, e poi:
N −2 2
N −3 2
( RUniv
) = ( RUniv
) + re2
ecc, si ottiene:
N
N −1 2
N −2 2
( RUniv
) 2 = ( RUniv
) + re2 = ( RUniv
) + 2 re2 = .......... = 0 + N re2 = N re2
N
( RUniv
) 2 = N re2
, da cui, estraendo la radice di entrambi i membri:
N
( RUniv
) 2 = RUniv = N
RUniv = N ⋅ re
!!!
, cioè:
re2 = N ⋅ re
, e cioè:
(Rubino)
(A4.2)
E’ comunque noto, in fisica, che, ad esempio, il cammino R compiuto per N passi r successivi effettuati in direzione
casuale è proprio la radice di N per r (vedi, ad esempio, gli studi sul moto Browniano).
--------------------------------------------App. 2-Capitolo 5: “aUniv“ come responsabile assoluta di tutte le forze.
App. 2-Par. 5.1: Tutto da “aUniv“.
Sempre in linea con quanto detto finora, la stessa accelerazione cosmica aUniv è responsabile della gravità tutta e dunque
anche di quella terrestre. Infatti, solo perché la Terra è abbastanza densa, ha una accelerazione di gravità sulla sua
superficie pari a g=9,81 m/s2, mentre, se tutt’oggi la si potesse considerare come composta di elettroni sparsi a caso, un
po’ come in Fig. A4.1 per l’Universo, allora la stessa avrebbe un raggio pari a
M Earth
⋅ re = N Earth ⋅ re ,
me
e
l’accelerazione di gravità sulla sua superficie sarebbe:
g New = G
M Earth
= aUniv = 7,62 ⋅ 10−12 m / s 2
2
( N Earth ⋅ re )
!!!
Dunque, ancora una volta, possiamo dire che la forza di gravità è una conseguenza del collasso dell’Universo con
accelerazione aUniv, e le accelerazioni di gravità che si incontrano, di volta in volta, per ogni oggetto celeste, sono diverse
da aUniv nella misura in cui tali oggetti sono particolarmente più compressi.
--------------------------------------------App. 2-Par. 5.2: Schema riassuntivo dell’unificazione delle forze.
aUniv
causa di
GRAVITA’
causa di
ELETTRICITA’
FORZA DEBOLE
(Rubino)
causa di (Einstein)
(Maxwell)
FORZA FORTE
MAGNETISMO
Fig. A5.1: Schema riassuntivo dell’unificazione delle forze.
(Lavori in corso)
(through meson exchanges?)
App. 2-Par. 5.3: Altre considerazioni sulla composizione dell’Universo in coppie +/-.
Lo scaricarsi completo di ogni singola mollettina, che rappresenta la coppia elettrone-positrone, altro non è che
l’annichilazione, con trasformazione in fotoni delle due particelle. In tal modo, la coppia non sarà più rappresentata da
un’onda piccata in un dato luogo ed in un dato momento (ad esempio
quest’ultima, cioè la
δ ( x − vt ) di
sin( x − vt ) ( x − vt ) ,
o la cugina di
Dirac), dove la parte piccata starebbe a testimoniare la carica della molla, ma sarà
rappresentata da una funzione del tipo
sin( x − ct ) ,
omogenea lungo tutta la sua traiettoria, quale il fotone è. Ciò
avverrà quando il collasso dell’Universo nel suo centro di massa sarà completo.
Inoltre, l’essenza delle coppie e+e-, o, in quest’era, delle e-p+, è necessaria per la non violazione del Principio di
Conservazione dell’Energia. Infatti, l’Universo, che nella sua fase di contrazione massima verso una singolarità, pare
svanire nel nulla, o originarsi dal nulla, nel processo inverso a mo’ di Big Bang, rappresenterebbe una violazione di tale
principio di conservazione, se non fosse per il Principio di Indeterminazione, secondo cui una energia ΔE è comunque
legittimata a comparire, purchè sia di durata inferiore a Δt, nella misura in cui
∆E ⋅ ∆t ≤ h 2 , cioè, essa può comparire
a patto che l’osservatore non abbia tempo sufficiente, in relazione ai suoi mezzi di misura, per determinarla, giungendo
quindi alla constatazione della violazione. E, di riflesso, tutto l’Universo, che di coppie +/- è composto, gode di questa
proprietà. E la comparsa di un ΔE composto da una coppia di particelle, vede le stesse prima separarsi, e dunque avere
carica uguale, mentre l’annichilirsi successivo dopo un Δt testimonia una attrazione successiva, e dunque l’assunzione di
cariche opposte. Dunque, la comparsa e l’annichilazione equivalgono alla espansione e contrazione dell’Universo. Se
dunque fossimo in un Universo in fase di espansione, la gravità non esisterebbe, anzi esisterebbe all’incontrario, e non è
dunque vero che solo la forza elettrica può essere repulsiva, ma anche la gravità può esserlo (con Universo in fase di
espansione); ora non lo è, ma lo fu!
La considerazione filosofica più immediata che si può fare, in tale scenario, è che, come dire, tutto può nascere
(comparire), purchè muoia, e sufficientemente in fretta; e così la violazione è evitata, o meglio, non è
dimostrata/dimostrabile, ed il Principio di Conservazione dell’Energia è preservato, e la contraddizione della comparsa di
energia dal nulla è aggirata, anzi, di più, è contraddetta essa stessa.
Il protone, poi, gioca il ruolo del positrone, nei confronti dell’elettrone ed è più pesante di quest’ultimo per la possibilità
di esistere che il caso non ha potuto negargli, nell’ambito del Principio Antropico Cosmologico, portando, un siffatto
protone, all’esistenza dell’atomo e, dunque, delle cellule e della vita che si interroga su di esso. Al momento del collasso
dell’Universo, il protone irradierà tutta la sua massa, divenendo positrone ed annichilendosi con l’elettrone. E trova qui
risposta anche il quesito sul perché, nel nostro Universo, la materia ha prevalso sull’antimateria: infatti questo non è
vero; considerando il protone, ossia un futuro, nonchè ex, positrone, come l’antimateria dell’elettrone, e viceversa,
l’equilibrio è perfetto.
App. 2-Par. 5.4: La Teoria della Relatività altro non è che la interpretazione dell’Universo di oscillazioni
appena descritto, in contrazione a velocità c ed accelerazione auniv.
Sulla composizione delle velocità:
1) Caso di un corpo di massa m. Se in un mio sistema di riferimento I, in cui io osservatore sono in quiete, ho un corpo
di massa m in quiete, potrò scrivere:
v1 = 0
E2 =
e
E1 =
1 2
mv2
2
1 2
mv1 = 0
2
. Se ora gli conferisco energia cinetica, esso passerà alla velocità v2, tale che, ovviamente:
ed il suo delta energia di energia GUADAGNATA
∆↑ E
(delta up) sarà:
1 2
1
1
mv2 − 0 = m(v2 − 0)2 = m(∆v) 2 , con ∆v = v2 − v1 .
2
2
2
Ora, il fatto che ho ottenuto un ∆v che è semplicemente pari a v2 − v1 è un caso del tutto PARTICOLARE e vale solo
∆↑ E = E2 − E1 =
quando si parte da fermi, e cioè quando v1 = 0.
In caso contrario:
vettoriale:
∆↑ E = E2 − E1 =
∆V v = (v22 − v12 )
1 2 1 2 1
1
mv2 − mv1 = m(v22 − v12 ) = m(∆V v )2 ,
2
2
2
2
dove
∆V
è un delta
; possiamo dunque affermare che, a parte il caso particolare in cui si parta da fermi (v1
= 0), se si è già in moto, non si avrà un delta semplice, ma bensì uno vettoriale; ma questa è semplice fisica di base.
2) Caso della Terra. In un mio sistema di riferimento I, in cui io osservatore sono in quiete, la Terra (E-Earth) ruota
intorno al Sole con energia totale:
ETot =
∆↑ E
1
M m
mE vE2 − G Sun E
2
RE − S
, e con energia cinetica
EK =
1
m E v E2
2
. Se ora conferiamo alla Terra un delta up
di energia cinetica per farla saltare dalla sua orbita a quella di Marte (M-Mars), allora, analogamente al caso
precedente del punto 1, si ha:
1
1
1
1
mE vE2 − mE vM2 = mE (vE2 − vM2 ) = mE (∆V v )2
2
2
2
2
delta di velocità sono di tipo vettoriale ( ∆V ).
∆↑ E =
, con
∆V v = (vE2 − vM2 )
, e dunque anche qui i
3) Caso dell’Universo. In un mio sistema di riferimento I, in cui io osservatore sono in quiete, se ad un corpo di massa
m0 che mi appare in quiete voglio fargli raggiungere la velocità V, devo conferirgli un delta v appunto, ma per quanto
esposto nelle pagine precedenti, essendo noi già in movimento nell’Universo (ed a velocità c), come per i punti 1 e 2 qui
sopra, tale delta v deve sottostare alla seguente eguaglianza (vettoriale):
2
V = ∆V v = (c 2 − v New
− Abs −Univ − Speed ) ,
dove
vNew − Abs −Univ − Speed
(A5.1)
è la nuova velocità assoluta che il corpo di massa m0 risulta avere non rispetto a noi, ma nel
contesto dell’Universo e rispetto al suo centro di massa. Infatti, un corpo è inesorabilmente legato all’Universo in cui si
trova, nel quale, guarda caso, esso, già di suo si muove con velocità c e possiede dunque una energia intrinseca
m0 c 2 .
Nella fattispecie, dovendo io apportare energia cinetica Ek al corpo m0 per fargli acquisire velocità V (rispetto a me), e
considerando che, ad esempio, in una molla con una massa attaccata ad un’estremità, per la legge del moto armonico
ho, per la velocità, una legge armonica del tipo:
v = (ωX Max ) sin α = VMax sin α
( vNew − Abs −Univ − Speed
= c sin α , nel nostro caso),
e per l’energia armonica si ha una legge armonica del tipo:
E = E Max sin α
ricavando
sin α
( m0 c
2
= (m0c 2 + EK ) sin α
, nel nostro caso),
dalle due equazioni precedenti ed eguagliando, si ottiene:
vNew − Abs −Univ − Speed = c
m0c 2
m0c 2 + EK
e sostituendo tale valore di
,
vNew − Abs −Univ − Speed
nella (A5.1), otterrò:
2
2
V = ∆V v = (c 2 − vNew
− Abs −Univ − Speed ) = [c − (c
V = [c 2 − (c
m0 c 2
) 2 ] = V , che riscrivo:
2
m0 c + EK
m0c 2
)2 ]
m0c 2 + EK
(A5.2)
Se ora ricavo EK dalla (A5.2), ottengo:
EK = m0c 2 (
1
V2
1− 2
c
− 1)
!!! che è esattamente l’energia cinetica relativistica di Einstein!
Aggiungendo ora a tale EK cinetica l’energia intrinseca (che ha anche a “riposo” – riposo rispetto a noi, non rispetto al
centro di massa dell’Universo) del corpo m0, ottengo l’energia totale:
E = EK + m0c 2 = m0c 2 + m0c 2 (
E = γ ⋅ m0 c 2
(della TRR).
1
2
V
1− 2
c
− 1) =
1
2
V
1− 2
c
m0c 2 = γ ⋅ m0c 2
, e cioè la ben nota
(A5.3)
Tutto ciò dopo che abbiamo supposto di apportare energia cinetica ad un corpo in quiete (rispetto a noi). La (A5.3)
funziona benissimo, dunque, negli acceleratori di particelle, dove le particelle guadagnano energia, ma ci sono casi
(Universo collassante e Fisica Atomica) dove le masse perdono energia ed irraggiano, invece di guadagnarla, ed in tali
casi la (A5.3) è completamente inapplicabile, in quanto la stessa vale per energie apportate, non rimosse.
App. 2-Par. 5.5: Sulla “Relatività” delle energie cedute.
In caso di energie rimosse (fase ulteriore del moto armonico), vale la seguente:
E=
1
⋅ m0 c 2
γ
(Rubino)
(A5.4)
che è intuitiva già solo per il fatto che, con l’aumentare della velocità, il coefficiente
1γ
mi abbassa m0, riducendola
appunto, a favore della irradiazione, e cioè della perdita, di energia, cosa purtroppo non prevista, nei termini della
(A5.4), nella Teoria della Relatività.
Per una (convincente) deduzione della stessa (A5.4) e di alcune sue implicazioni, però, sono da me disponibili ulteriori
trattazioni a riguardo.
Utilizzando la (A5.4) in Fisica Atomica per valutare le energie di ionizzazione
∆ ↓ EZ
di atomi con singolo elettrone, ma
con numero atomico Z variabile, ci si riconduce, ad esempio, alla seguente equazione, che rispecchia egregiamente i dati
sperimentali:
Ze2 2
∆↓ EZ = mec [1 − 1 − (
) ]
2ε 0 hc
2
(A5.5)
e per atomi con numero quantico n qualsiasi ed orbitali qualsiasi:
∆↓ EZ − n = mec 2[1 − 1 − (
Ze 2 2
) ]
4nε 0 hc
(Wåhlin)
Orbitale (n)
Energia (J)
Orbitale (n)
1
2,1787 10-18
5
2
5,4467 10-19
6
3
2,4207 10-19
7
4
1,3616 10-19
8
Tab. A5.1: Livelli energetici nell’atomo di idrogeno H (Z=1), come da (A5.6).
(A5.6)
Energia (J)
8,7147 10-20
6,0518 10-20
4,4462 10-20
3,4041 10-20
L’applicazione della qui inappropriata (A5.3) non porta invece ai dati sperimentali, ma bensì al ricorso di complesse
correzioni ed equazioni di correzione (Fock-Dirac ecc), che tenterebbero appunto di “correggere” una applicazione
appunto errata.
Anche per avere delle chiare dimostrazioni delle (A5.5) e (A5.6), sono da me disponibili ulteriori files e trattazioni.
--------------------------------------------App. 2-SUBAPPENDICI.
App. 2-Subppendice 1: Costanti fisiche.
1,38 ⋅ 10−23 J / K
−12
2
Accelerazione Cosmica aUniv: 7,62 ⋅ 10 m / s
11
Distanza Terra-Sole AU: 1, 496 ⋅ 10 m
24
Massa della Terra MTerra: 5,96 ⋅ 10 kg
6
Raggio della Terra RTerra: 6,371 ⋅ 10 m
−19
Carica dell’elettrone e: − 1,6 ⋅ 10 C
Costante di Boltzmann k:
1,75 ⋅ 1085
−15
Raggio classico dell’elettrone re: 2,818 ⋅ 10 m
−31
Massa dell’elettrone me: 9,1 ⋅ 10 kg
−3
Costante di Struttura Fine α (≅ 1 137) : 7,30 ⋅ 10
−21
Frequenza dell’Universo ν Univ : 4,05 ⋅ 10 Hz
Numero di elettroni equivalente dell’Universo N:
Pulsazione dell’Universo
ωUniv (= H global ) : 2,54 ⋅ 10−20 rad s
6,67 ⋅10−11 Nm 2 / kg 2
2,47 ⋅1020 s
Costante di Gravitazione Universale G:
Periodo dell’Universo
TUniv :
9, 46 ⋅ 1015 m
16
Parsec pc: 3,26 _ a.l. = 3,08 ⋅ 10 m
−30
3
Densità dell’Universo ρUniv: 2,32 ⋅ 10 kg / m
Temp. della Radiaz. Cosmica di Fondo T: 2,73K
−6
Permeabilità magnetica del vuoto μ0: 1, 26 ⋅ 10 H / m
−12
Permittività elettrica del vuoto ε0: 8,85 ⋅ 10 F / m
−34
Costante di Planck h: 6,625 ⋅ 10 J ⋅ s
−27
Massa del protone mp: 1,67 ⋅ 10 kg
30
Massa del Sole MSun: 1,989 ⋅ 10 kg
8
Raggio del Sole RSun: 6,96 ⋅ 10 m
8
Velocità della luce nel vuoto c: 2,99792458 ⋅ 10 m / s
−8
2 4
Costante di Stephan-Boltzmann σ: 5,67 ⋅ 10 W / m K
28
Raggio dell’Universo (dal centro fino a noi) RUniv: 1,18 ⋅ 10 m
55
Massa dell’Universo (entro RUniv) MUniv: 1,59 ⋅ 10 kg
Anno luce a.l.:
Grazie per l’attenzione.
Leonardo RUBINO
E-mail: [email protected]
---------------------------------------------------------------
Bibliografia:
1) (M.M. Lipschutz) GEOMETRIA DIFFERENZIALE, Schaum.
2) (Steven Weinberg) GRAVITATION AND COSMOLOGY(Principles and Applications of the General Theory of
Relativity), John Wiley & Sons.
3) (S. Greco e P. Valabrega) LEZIONI DI MATEMATICA, Vol. 2- Geometria Analitica e Differenziale, Levrotto & Bella.
4) (F.W.K. Firk) ESSENTIAL PHYSICS - Part 1-Relativity, Gravitation etc – F. Yale University.
5) (L. Wåhlin) THE DEADBEAT UNIVERSE, 2nd Ed. Rev., Colutron Research.
6) (R. Feynman) LA FISICA DI FEYNMAN I-II e III – Zanichelli.
7) (Lionel Lovitch-Sergio Rosati) FISICA GENERALE, Elettricità, Magnetismo, Elettromagnetismo
Relatività Ristretta, Ottica, Meccanica Quantistica , 3^ Edizione; Casa Editrice Ambrosiana-Milano.
8) (C. Mencuccini e S. Silvestrini) FISICA I – Meccanica-Termodinamica, Liguori.
9) (C. Mencuccini e S. Silvestrini) FISICA II – Elettromagnetismo-Ottica, Liguori.
10) (R. Sexl & H.K. Schmidt) SPAZIOTEMPO – Vol. 1, Boringhieri.
11) (V.A. Ugarov) TEORIA DELLA RELATIVITA' RISTRETTA, Edizioni Mir.
12) (A. Liddle) AN INTRODUCTION TO MODERN COSMOLOGY, 2nd Ed., Wiley.
13) (A. S. Eddington) THE EXPANDING UNIVERSE, Cambridge Science Classics.
14) ENCYCLOPEDIA OF ASTRONOMY AND ASTROPHYSICS, Nature Publishing Group & Institute of Physics Publishing.
15) (Keplero) THE HARMONY OF THE WORLD.
16) (H. Bradt) ASTROPHYSICS PROCESSES, Cambridge University Press.
--------------------------------------------------------------
THE GENERAL THEORY OF RELATIVITY
by Leonardo Rubino
[email protected]
Published on www.fisicamente.net
May 1993 – Rev. 00
June 2011 – Rev. 00
August 2011 – Rev. 02
Contents:
-Contents.
-Introduction.
Page.1
Page.2
- Chapter 1: Preamble on Geometry.
Par. 1.1: Formalism, lengths of arcs and areas of curved surfaces.
Par. 1.2: Base differential Geometry.
Par. 1.3: Space differential Geometry.
Page.4
Page.4
Page.7
Page.10
- Chapter 2: The main quantities in the Theory of General Relativity.
Par. 2.1: Introductory concepts on General Relativity.
Par. 2.2: On the metric tensor and other main quantities.
Par. 2.3: On the Lorentz Transformation in the General Relativity.
Par. 2.4: The 4-vector Momentum-Energy and the Tensor Momentum-Energy.
Par. 2.5: Relativistic Hydrodynamics.
Par. 2.6: The geodetic Equation.
λ
Par. 2.7: The relation between g µν and Γµν
.
Page.17
Page.17
Page.18
Page.24
Page.25
Page.27
Page.29
Page.28
Par. 2.8: The Newtonian limit.
Par. 2.9: The Riemann-Christoffel Curvature Tensor.
Page.30
Page.31
- Chapter 3: The Einstein’s Equations of the Gravitational Field.
Par. 3.1: The ten Einstein’s Equations of the Gravitational Field.
Page.33
Page.33
- Chapter 4: Classic tests of Einstein’s theory.
Par. 4.1: The metric.
Par. 4.2: The Schwarschild’s Solution.
Par. 4.3: The general equations of motion.
Par. 4.4: The deflection of light by the Sun.
Par. 4.5: An alternative calculation of the deflection, with profiles of antagonism to GTR.
Par. 4.6: The precession of the perihelion of planets.
Page.34
Page.34
Page.36
Page.36
Page.38
Page.39
Page.41
-APPENDIXES.
Appendix 1: The Special Theory of Relativity.
Appendix 2: As I see the Universe (Unification Gravity Electromagnetism).
Page.44
Page.44
Page.69
-Bibliography.
Page.86
Simplicity is the closest thing to intelligence.
Introduction.
The General Theory of Relatività (GTR) is an extension of the Special Theory of Relativity
(or Restricted) (STR) shown in App. 1; it was necessary for Einstein to explain the
Gravitation. The word gravity reminds the word acceleration; in fact, we will see in Par.
2.1 that where there is an acceleration, rotation and gravity with a reference system, the
metric is not simple anymore as in STR.
Moreover, the GTR explains gravity as a curvature of the space, or better of the spacetime (mathematic space-time, in the opinion of the writer) caused by matter (and by the
energy!) which is in such space-time. It’s like when, for instance, you put a ball of lead on
a mattress: around the sphere you have a funnel-like hollow and there, the mattress is
curved. Then, we can say that in such an area where the mattress is curved is the
gravitational field of the ball of lead. If now we throw a small ball over the mattress, and
neglecting frictions, it will move uniformly on a straight line, over the flat side of the
mattress until, as it approaches the curved hollow, it will fall towards the ball of lead.
Matter, in GTR, sees the space-time as a railway over which it can move; therefore, if this
railway is curved, the trajectories followed by the matter will be curved.
Then, if the ball of lead is so heavy that it completely sinks into the mattress, then the
funnel will become like a closed bag and we would call it a black hole, and from it nothing
would come out, not even light.
In the GTR the Equivalence Principle holds, according to which a gravitational field can be
cancelled by an acceleration and so it is not possibile to absolutely tell an acceleration
from a gravitational field. In fact, let us consider the Einstein Elevator, in which a guy,
standing stopped at a floor, rests with his weight on the floor of the elevator; if now we
cut the cable holding the elevator, it will start a free falling in the terrestrial gravitational
field and the guy inside will float as if in a space ship where there is no gravity, as he is
falling with the elevator and with its floor and this floor will always fall under his feet.
Therefore, an acceleration, that of the free falling, has cancelled the gravitational effect;
and, at the same time, when the elevator is stopped, the guy inside it, instead of thinking
that he was standing in a gravitational field (as he is resting on the floor of the elevator)
could have thought that there weren’t any gravitational fields, but that the elevator was
accelerating upwards, so pushing the soles of his shoes.
Through the example of the mattress we have just introduced the concept of the
(mathematical) space-time curvature, caused by the matter/energy. The tensor equation,
which will be here proved, and which shows the correspondence between the
matter/energy and the curvature indeed, is the Einstein Gravitational Field tensor
Equation:
1
Rµν − g µν R = −8πGTµν
2
Its left side, all in R, shows the “curvature radius” and the geometric characteristics of the
space in which the matter/energy is, and the measure of such a matter/energy is, on the
contrary, given by the right side, through the momentum-energy tensor Tµν , that, as we
will see, in some of its components, is proportional to the density ρ etc.
Perhaps, only in the opinion of the writer (as the thought which follows, as well as many
others, hasn’t been ever read on any books by me) the Newton classic gravitational
equation shows a correspondence between geometrical characteristics and the presence
of matter:
r
r d 2r
r
Mm
a = 2 , ma = −G 2 rˆ , →→→
dt
r
2r
d r
M
→→→ 2 = −G 2 rˆ
dt
r
r
d 2r
in fact, the left side of the last equation, that is
, that is the second derivative of the
dt 2
spatial position, over the time, is a geometric characteristic of the space indeed, while the
M
right side − G 2 rˆ tells us about M!
r
Since the time when it was born, officially in 1916, the GTR has been always seen by
many people with suspects, as it’s full of complexity, mathematical as well as conceptual;
so, thinking that so many hypothesis and relevant calculations can lead to equations which
stick to reality, sometimes led some critics to hold it as a weird theory.
Classic tests in Chapt. 4 are encouraging in the opposite direction, even though also there
the preambles, the suppositions and calculations are a lot, and then, for instance, in the
calculation of the deflection of the light of stars by the Sun, during an eclipse in 1919, the
accuracy of the measurement was very close to the result. Moreover, there are also
alternative explanations and in competition with the GTR, to explain the deflection of light
and the precession of the perihelion of planets.
In the opinion of the writer, GTR is for sure a beautiful physical-mathematical theory,
mathematical more than physical, maybe the most beautiful, but it’s also true that it has
somewhat weird concepts inside. I think that the GTR is the typical falsifiable Popper-like
theory, like if it were an interpretative model which works to explain many phenomena,
but that it’s not the real essence of the phenomena just explained. And then, provided
that the geometric interpretation of the curvature is real, we should still explain why the
matter causes it; ok, it causes that, but why? To see is not the same as to explain and
justify.
In the GTR, the gravity is just attractive and Einstein, in his Theory of Unified Fields (let’s
sum up a bit, out of brevity) after having used the concept of curvature in the GTR to
explain the gravitational pull, also used the concept of torsion to try to explain also the
repulsive forces of the electricity. All this unfortunately without success, that is, his unitary
field equations (maybe 33) couldn’t be proved in the real Universe. Therefore, Einstein
work didn’t finish with the GTR; in fact, he died in 1955 in a bed in a Hospital, with paper
and pen in his hands!
I personally think the force of gravity is a macroscopic force which is made of microscopic
and electric forces among particles, positive and negative, which make the Universe, and
that can be considered as randomly spread (see App. 2). In fact, I prove in Appendix 2
that the electric energy of an electron in an electron-positron pair, which is:
1 e2
⋅
4πε 0 re
Is exactly the gravitational energy given to an electron by all the mass of the Universe
M Univ at a distance RUniv , that is:
GM Univ me
RUniv
Therefore, we have:
1 e 2 GM Univ me
!!
⋅ =
RUniv
4πε 0 re
And it really doesn’t seem to be just by chance the fact that if we see the Universe as if
made just by electrons and positrons (fundamental harmonics, whose mass is me ), and
whose number is N, we easily have:
M
N = Univ ≅ 1,75 ⋅ 1085
me
and nothing is strange, so far, but we realize that if we multiply the square root of N
( N ≅ 4,13 ⋅ 1042 ) by the classic radius of the electron re , we get exactly
N re ≅ RUniv ≅ 1,18 ⋅ 1028 m , that is, the radius of the Universe! And an explanation of all this,
in a perfect harmony with the equivalence of electricity and gravity just shown, has been
put in App. 2/at Par.4.1.
Therefore, the attraction (/repulsion) particle-antiparticle, that is, the fast oscillations of
the particle-antiparticle pairs, in composing together, generate the slow oscillation of the
Universe (Big Bang, expansion, contraction, Big Crunch). Now, we are in the era of the
contraction, that is, the matter is contracting all towards the centre of mass of the
Universe, and that’s why we see the actractive force of gravity every day, but hundreds of
billion of years ago, when the Universe was expanding, the gravity was (as a
consequence) repulsive-like (see still App. 2, as a support of all this), from which the
similarity between the electricity (attractive and repulsive) and the gravity (also attractive
and repulsive); “unfortunately”, when the Earth was born, the gravity already stopped to
be repulsive a very long time before!
Chapter 1: Preamble on Geometry.
Par. 1.1: Formalism, lengths of arcs and areas of curved surfaces.
the sphere and the circle:
with reference to figure 1, we want to represent through a formula the surface of a sphere
z
Σ:
P(r, θ, φ)
Σ
φ
max equatorial circumference
r
y
x
θ
Fig. 1.1: The Sphere.
In Cartesian coordinates, we just use the Pythagorean Theorem to get such a formula:
x2 + y 2 + z 2 = r 2
(1.1)
On the contrary, with the more friendly spherical coordinates, we have, very easily and
intuitively:
r
τ Σ = (r cosθ sin ϕ ) xˆ + (r sin θ sin ϕ ) yˆ + (r cos ϕ ) zˆ
(1.2)
r
where, of course, τ Σ is the vector which describes (by moving) all the surface of the
sphere. We see that the components are a function of two parameters (θ e ϕ ).
Of course, in the simpler case of a circle γ , we would have:
r
τ γ = (r cosθ ) xˆ + (r sin θ ) yˆ
(1.3)
and here we see that the components are a function of just one parameter (θ ), if
r=const.
y
P(r, θ)
r
θ
x
Fig. 1.2: The Circle.
(1.1) and (1.2) can therefore be written in a more general form, as functions of
respectively 2 and 1 parameters:
r
τ Σ = τ 1 (u , v) xˆ + τ 2 (u , v) yˆ + τ 3 (u, v) zˆ ( u , v = θ , ϕ and r=r(u,v))
(1.4)
r
τ γ = τ 1 (u ) xˆ + τ 2 (u ) yˆ ( u = θ and r=r(u))
(1.5)
Of course, if in (1.4) and (1.5) all the τ i don’t have the expressions they have in (1.2) and
(1.3), but they have other ones, generic ones, then they (still (1.4) and (1.5)) can
represent not anymore the sphere and the circle, buth other generic surfaces and curves.
Now, if we get a bit closer to the Cartesian coordinates, (x,y)=(x,f(x)), we make in (1.5) a
change of parameter (u >>> x) so that we then have:
r
τ γ = τ 1 (u ) xˆ + τ 2 (u ) yˆ = xxˆ + f ( x ) yˆ
(1.6)
We will so consider (1.4) as the general expression for a surface and (1.6) that of a curve.
length of an arc on a curve:
r
r
r
τ B (u ) - τ A (u ) = ∆τ γ (u )
γ
y
r
τ A (u )
r
τ B (u )
x
Fig. 1.3: Length of an arc.
r
r
r
r
With reference to figure 1.3, if τ B (u ) tends to τ A (u ) , then ∆τ γ (u ) will become a dτ γ (u ) ;
r
not only; it will correspond to the infinitesimal arc dl on γ . We can so write that:
r
r
dl = dτ γ (u ) , from which:
r
r
r
dτ (u )
dτ (u )
l = ∫ dl = ∫ dτ γ (u ) = ∫ τ 'γ (u ) du = ∫ [( 1 )2 + ( 2 ) 2 ])du = ∫ (1 + f '2 ( x ))du
du
du
l ( A− B )
l ( A− B)
l ( A− B)
l ( A− B)
l ( A− B )
(1.7)
r
and we also see from the vectorial composition in Fig. 1.3, that dτ γ (u ) is tangent to γ , as
it meets
r it just in one point, and therefore the vector
r dτ γ (u )
t =
du
is tangent to γ .
(1.8)
area of a curved surface:
r
Let’s consider again (1.4), and we report it here again: τ Σ = τ 1 (u , v) xˆ + τ 2 (u , v) yˆ + τ 3 (u, v) zˆ .
r
r
dτ Σ
t
γ (t )
du
Σ
r
dτ Σ
dv
Fig. 1.4: Small area on a curved surface.
Now, with reference to Figure 1.4, we have a curved surface Σ , indeed, and a curve γ (t )
on it.
Of course, if I want to say that the curve γ (t ) is really on Σ , then both parameters u and
v of Σ must be a function of the only parameter t of γ (t ) :
r
Now, we know from (1.8) that the derivative of the vector τ γ which represents a curve,
r
over its parameter t, yields the tangent vector t , to the curve. By the same token, then
r
r
the derivative of the vector τ Σ which represents the surface Σ yields a vector t tangent to
the surface itself, and if the derivative is calculated on the parameter t of the curve γ (t )
which lies on Σ , then, of course, such a tangent vector will be also the tangent of the
curve γ (t ) . Such a relationship can be analytically shown by seeing the two parameters u
and v as functions of the parameter t of the curve: u = u (t ) and v = v(t ) .
Then, the tangent to the curve γ (t ) will be:
r
r
r
r dτ Σ dτ Σ du dτ Σ dv
t =
=
+
(1.9)
dt
du dt
dv dt
r
So, still with reference to Figure 1.4, for the (1.9) we see that the tangent vector t and
r
r
dτ Σ
dτ Σ
vectors
and
lie on the same plane, as they are a three element composition, as
du
dv
well as in the figure, indeed. Now, as the vectorial product of two vectors (modulus =
product of moduli by the sine of the angle between them) yields a vector again, which is
normal to the original vectors, then, in order to obtain the vector normal to the surface Σ
r
r
dτ Σ
dτ Σ
we carry out the vectorial product between
and
and if, then, I also want the
du
dv
versor n̂ (unitary modulus) I will divide by the modulus of the normal vector:
r
r
dτ Σ dτ Σ
×
dv
(normal versor)
(1.10)
nˆ = du
r
r
dτ Σ dτ Σ
×
du
dv
For what the area of a surface (in general) is concerned, we know from the elementary
geometry that the area of a trapezium is given by the product of both sides by the sine of
the angle formed by them, and if we also remind the definition of vectorial product above
r
dτ Σ
reported, we can then say that the small area dΣ delimited by the two small vectors
du
r
dτ Σ
and
(Fig. 1.4) is:
dv
r
r
dτ Σ dτ Σ
, from which, by integration over all u and v:
dΣ =
×
du
dv
r
r
dτ Σ dτ Σ
dudv
(1.11)
Σ = ∫ dΣ = ∫∫
×
du
dv
Σ
u −v
Par. 1.2: Base differential Geometry.
bˆ(u )
tˆ(u )
P (u )
γ (u )
nˆ (u )
Fig. 1.5: Fundamental Trihedron.
r
r
dτ γ (u ) r
We saw with (1.8) that the vector t (u ) =
= τ 'γ (u ) is tangent to the curve γ (u ) . As
du
we want a versor tˆ (unitary modulus), we’ll have:
r
τ ' (u )
ˆt (u ) = r γ
(tangent versor)
(1.12)
τ 'γ (u )
So, still with (1.8) we saw that the derivation operation yields a normal vector.
Now, we derive the (1.12), so getting the normal versor nˆ (u ) :
d ˆ
nˆ (u ) =
t (u ) (normal versor)
(1.13)
du
At last, we define the binormal versor bˆ(u ) , of course in the following way, by using the
vectorial product:
bˆ(u ) = tˆ(u ) × nˆ(u ) (binormal versor)
(1.14)
r
τ ' (u )
tˆ(u ) = r γ
τ 'γ (u )
{
d ˆ
t (u )
(fundamental trihedron with generic parameter u)
du
bˆ(u ) = tˆ(u ) × nˆ(u )
nˆ (u ) =
(1.15)
We saw through (1.7) that the length of an arc is:
s (u ) =
r
∫ ds =
s ( A− B )
r
∫ dτ γ (u) =
s ( A− B )
u r
r
τ
'
(
u
)
du
=
γ
∫
∫ τ 'γ (u ) du
u0
s ( A− B )
(1.16)
ds r
= τ 'γ (u ) .
du
If now, in the trihedron (1.15), we make a change of parameter (u >>> s, with s as an
intrinsic parameter),rwe’ll have:
dτ (u ) du r
r
r
1
τ 'γ ( s ) = τ 'γ [u ( s )] = γ
= τ 'γ (u )
, from which:
du ds
s ' (u )
r
τ 'γ (u )
r
τ 'γ (s ) =
= 1 . Then:
s ' (u )
from which: s ' (u ) =
r
r
r
du
du r
du
' 'γ (u ) s ' (u ) − τ 'γ (u ) s ' ' (u )
' 'γ (u ) − τ 'γ (u ) s ' ' (u )
τ
τ
r
ds
ds =
ds
τ ' 'γ ( s ) =
2
2
(s ' (u ))
(s ' (u ))
and so we get the fundamental trihedron in the intrinsic parameterization:
{
r
tˆ( s ) = τ 'γ ( s )
r
τ ' 'γ (s )
nˆ ( s ) = r
τ ' 'γ (s )
(fundamental trihedron with the intrinsic parameter s)
(1.17)
r
r
τ 'γ ( s ) × τ ' 'γ ( s )
ˆ
b( s ) = tˆ( s ) × nˆ ( s ) =
r
τ ' 'γ (s )
bˆ( s )
tˆ( s )
P (s )
γ (s )
nˆ ( s )
Fig. 1.6: Fundamental trihedron in the intrinsic parameterization.
Curvature and radius of curvature:
r
τ ' 'γ (s ) is zero for lines, while it is ≠ 0 on circles etc.
r
r
τ ' 'γ (s ) is defined as CURVATURE of γ in τ γ (s ) .
1
ρ ( s) = r
τ ' 'γ ( s )
is the RADIUS OF CURVATURE.
(1.18)
Example on a circle (on the plane x-y):
x2 + y2 = r 2
(z=0)
s
s
x = r cosα = r cos( ) , y = r sin α = r sin( ) , z=0 (where s = αr is the arc on the circle),
r
r
r
s
s
therefore: τ γ ( s ) = ( x, y, z ) = (r cos( ), r sin( ),0) from which:
r
r
r
dτ γ ( s )
r
s
s
τ 'γ ( s ) =
= ( x ' , y ' , z ' ) = (− sin( ), cos( ),0) and so:
ds
r
r
r
dτ 'γ ( s )
r
1
s 1
s
τ ' 'γ ( s ) =
= ( x' ' , y ' ' , z ' ' ) = (− cos( ),− sin( ),0) , from which, again:
ds
r
r r
r
r
1
τ ' 'γ ( s ) = x ' '2 + y ' '2 + z ' '2 = (curvature)!!
r
the torsion:
bˆ' ( s ) is // to nˆ ( s ) ; in fact:
r
d ˆ
d
d
d
d
d
b(s ) = (tˆ(s ) × nˆ ( s )) = tˆ( s ) × nˆ (s ) + tˆ(s ) × nˆ (s ) = τ ' 'γ ( s ) × nˆ (s ) + tˆ( s ) × nˆ( s ) = tˆ(s ) × nˆ (s )
ds
ds
ds
ds
ds
ds
d
nˆ ( s ) does not represent
ds
a variation of the modulus of nˆ ( s ) , that is, along its extension as a vector, but, as a
d
consequence, it is just a normal to nˆ ( s ) variation, so we can say that:
nˆ ( s ) ⊥ nˆ ( s ) , and
ds
as we are talking about an orthogonal trihedron, we also have that (of course)
d
[tˆ( s) × nˆ ( s)] // nˆ ( s ) and so it shows to be proportional to nˆ ( s ) :
ds
1
bˆ' ( s ) = −
nˆ ( s ) ;
(1.19)
τ ( s)
1
r
is the TORSION of γ in τ γ (s ) .
τ ( s)
Now, there is a link between curvature and torsion and it’s expressed by the following:
Now, we notice that as nˆ ( s ) is a versor (modulus 1 constant),
Frénet formulas:
from the first two of (1.17) and from (1.18) we have the following: tˆ' ( s ) =
1
nˆ (s ) . Then,
ρ ( s)
we have the (1.19):
1
bˆ' (s ) = −
nˆ (s ) . Moreover, from the last of the (1.17) we get: nˆ ( s ) = bˆ(s ) × tˆ( s ) and so:
τ ( s)
1
1
d
d
nˆ ( s ) × tˆ( s ) + bˆ( s ) ×
nˆ (s ) =
nˆ (s ) = (bˆ( s ) × tˆ( s )) = bˆ' ( s ) × tˆ( s ) + bˆ( s ) × tˆ' ( s ) = −
ds
ds
τ ( s)
ρ ( s)
1 ˆ
1 ˆ
b( s ) −
t ( s)
=
τ (s)
ρ (s)
from which we have the Frénet formulas:
{
1
tˆ' ( s ) =
nˆ (s )
ρ ( s)
1
bˆ' (s ) = −
nˆ (s )
τ ( s)
1 ˆ
1 ˆ
nˆ ' (s ) =
b( s ) −
t ( s)
τ ( s)
ρ ( s)
(Frénet formulas)
(1.20)
Curio: a body moving along a curve can have a tangential acceleration at and a centrifugal
one ac , of course, and from physics we know it’s v2 /r. Now, let’s see if all the equations
and all the formalism presented so far show this. We have:
r
r
dτ γ ( s ) dτ γ ( s ) ds ds
=
= tˆ( s )
dt
ds dt dt
r
d 2τ γ ( s ) d 2 s
r r r
ds 2 dtˆ(s ) d 2 s ˆ
ds 2 1
v2
ˆ
ˆ
ˆ
= 2 t (s) + ( )
= 2 t ( s) + ( )
n( s ) = a = at + ac = at t ( s ) + nˆ ( s ) .
dt 2
dt
dt
ds
dt
dt ρ ( s )
ρ
Par. 1.3: Space differential Geometry.
first fundamental form:
we saw through (1.4) that a surface can be represented as follows:
r
r
r
τ Σ = τ 1 (u , v) xˆ + τ 2 (u , v) yˆ + τ 3 (u, v) zˆ , that is: τ Σ = τ Σ (u, v) and in a differential form:
r
r
r dτ Σ
r
r
dτ Σ
dτ Σ =
du +
dv = τ u du + τ v dv
du
dv
r
So, let’s define the 1st fundamental form for τ Σ (u, v ) as follows:
r
r
r r
r r
r r
I = dτ Σ ⋅ dτ Σ = (τ u ⋅ τ u )du 2 + 2(τ u ⋅ τ v )dudv + (τ v ⋅ τ v )dv 2 = Edu 2 + 2 Fdudv + Gdv 2
r r
r r
r r
where E = (τ u ⋅ τ u ) , F = (τ u ⋅ τ v ) , G = (τ v ⋅ τ v )
r
r
If now we make a change of parameters ( τ (u , v ) >>>> τ * (θ , φ ) ), we’ll have a change in the
coefficients E, F and G, but I=I*:
2
2
r r
r
r
r
r
r
I * (dθ , dφ ) = dτ ⋅ dτ = dτ 2 = τ θ*dθ + τ φ*dφ = τ θ* (θ u du + θ v dv) + τ φ* (φu du + φv dv ) =
2
r
r
r
r
r
r 2
r
= (τ θ*θ u + τ φ*φu )du + (τ θ*θ v + τ φ*φv )dv = τ u*du + τ v*dv = dτ 2 = I (du, dv )
length of an arc:
r r
we have an arc on τ = τ (u (t ), v(t )) ;
(1.21)
here, we still see the two parameters u and v, typical for surfaces, but as we pointed out
their common dependance from one single parameter t, then (1.21) is also the expression
for a curve (on which the arc is). About the length s between a and b, we then have, of
course:
r
r r
b dτ
b dτ
b r du
dτ
r dv r du r dv 1 / 2
s=∫
dt = ∫ ( ⋅ )1 / 2 dt = ∫ [(τ u
+ τ v )(τ u
+ τ v )] dt =
a dt
a dt
a
dt
dt
dt
dt
dt
b
du
du dv
dv
= ∫ [ E ( )2 + 2 F
+ G ( )2 ]1 / 2 dt
(1.22)
a
dt
dt dt
dt
area A of the surface:
by the (1.11), we saw that A = ∫ dA =
A
r
∫∫ dτ
u
r
× dτ v dudv
u −v
r r2 r2 r2 r r2
Now, as the following vectorial identity holds: a × b = a b − a ⋅ b , then we have:
r
r 2
dτ u × dτ v = EG − F 2 and so:
A = ∫ dA =
A
r
∫∫ dτ
u −v
u
r
× dτ v dudv =
∫∫
EG − F 2 dudv
(1.23)
u−v
-example 1: length of a circle:
we already saw through (1.2) that the sphere (Fig. 1.1) is represented by the following
equation:
r
τ = (r cosθ sin ϕ ) xˆ + (r sin θ sin ϕ ) yˆ + (r cos ϕ ) zˆ .
If now we consider the maximum equatorial circle, (see Fig. 1.1), you can get it by putting
φ=90°, from which:
r
r r
r
τ = (r cosθ ) xˆ + (r sin θ ) yˆ.....(+0 zˆ ) and then we have a τ = τ (u (t ), v (t )) = τ (θ (t ), r (t )) , just like
in (1.21), from which:
r
τ θ = − (r sin θ ) xˆ + (r cosθ ) yˆ
r
τ r = − cosθxˆ + sin θyˆ ,
r r
r r
E = τ θ ⋅ τ θ = r 2 sin 2 θ + r 2 cos2 θ = r 2 , F = τ θ ⋅ τ r = − r cosθ sin θ + r cosθ sin θ = 0 ,
r r
dr
G = τ r ⋅ τ r = cos 2 θ + sin 2 θ = 1 , and so (1.22) yields (r=const →
= 0 ):
dt
b
b
du
du dv
dv
dθ
dθ dr
dr
s = ∫ [ E( )2 + 2F
+ G ( ) 2 ]1 / 2 dt = ∫ [ E ( ) 2 + 2 F
+ G ( ) 2 ]1 / 2 dt =
a
a
dt
dt dt
dt
dt
dt dt
dt
b
b
b
dθ
dθ
2π
= ∫ [ E ( ) 2 ]1 / 2 dt = ∫ E
dt = ∫ rωdt = rωT = r T = 2πr = C
a
a
a
dt
dt
T
that is really the length of a circle!!!
-example 2: the surface of the sphere:
we still consider the same sphere (Fig. 1.1), which, through (1.2), is shown by the
following equation:
r
τ = (r cosθ sin ϕ ) xˆ + (r sin θ sin ϕ ) yˆ + (r cos ϕ ) zˆ , from which:
r
τ θ = − (r sin θ sin ϕ ) xˆ + (r cosθ sin ϕ ) yˆ
r
τ ϕ = (r cosθ cosϕ ) xˆ + (r sin θ cosϕ ) yˆ − (r sin ϕ ) zˆ
r r
r r
r r
E = τ θ ⋅ τ θ = r 2 sin 2 ϕ , F = τ θ ⋅ τ ϕ = 0 , G = τ ϕ ⋅ τ ϕ = r 2 and for the (1.23), we get:
A = ∫ dA =
A
=r
2
∫∫
θ −ϕ
∫ dθ ∫ sin
θ
ϕ
EG − F 2 dθdϕ =
∫∫
r 4 sin 2 ϕ − 0dθdϕ =
θ −ϕ
π
2
sin ϕ dθdϕ =
θ −ϕ
ϕdϕ = r 2π − cos ϕ 0 = r 2π ⋅ 2 = 4πr
2
∫∫ r
2
2
That is really the surface of the sphere we all know!!!
---------------------------second fundamental form:
r
write again the (1.10), which supplies a vector/versor N normal to the surface:
r r
r r
r r
r
τ u ×τ v
r r ; we then have, of course: N = 1 and 0 = d (1) = d ( N ⋅ N ) = 2dN ⋅ N , from
τ u ×τ v
r
r
which: dN ⊥ N .
(1.24)
r
If it’s so, then dN lies on the surface, and so it can be expressed as follows (u,v):
let’s
r
N=
r
r
r ∂N
r
r
∂N
dv = N u du + N v dv
dN =
du +
∂u
∂v
Now we can define the second fundamental form II:
(1.25)
r
r
r r
r
r
r r
r r r r
r r
II = − dτ ⋅ dN = −(τ u du + τ v dv)( N u du + N v dv) = −τ u N u du 2 − (τ u N v + τ v N u )dudv − τ v N v dv 2 =
= Ldu 2 + 2Mdudv + Ndv 2
properties of II:
r
r r
r r
r r r r
as we have: (τ u ,τ v ) ⊥ N , then 0 = (τ u ⋅ N )u = τ uu ⋅ N + τ u ⋅ N u ,
r r
r r r r
r r
r r r r
r r
r r r r
0 = (τ u ⋅ N )v = τ uv ⋅ N + τ u ⋅ N v , 0 = (τ v ⋅ N )u = τ vu ⋅ N + τ v ⋅ N u , 0 = (τ v ⋅ N )v = τ vv ⋅ N + τ v ⋅ N v ,
r r
r r r r
r r
r r
r r
r r
r r
therefore: τ uu ⋅ N = −τ u ⋅ N u , τ vv ⋅ N = −τ v ⋅ N v , τ uv ⋅ N = −τ u ⋅ N v , τ vu ⋅ N = −τ v ⋅ N u and so:
r r
r r
r r
L = τ uu ⋅ N , M = τ uv ⋅ N , N = τ vv ⋅ N from which:
r r
r r
r r
r r
II = Ldu 2 + 2Mdudv + Ndv 2 = τ uu ⋅ Ndu 2 + 2τ uv ⋅ Ndudv + τ vv ⋅ Ndv 2 = d 2τ ⋅ N
normal curvature:
if we have a surface S which contains a curve C and if P is a point on C, the (1.20-1)
supplies the vector curvature, while we define the curvature tˆ'n ( s ) normal to C in P the
r
r
projection of the curvature vector tˆ' ( s ) on the normal N (and N is the versor nˆ ( s ) of
(1.10)):
r r
r
r
tˆ'n (s ) = (tˆ' ( s ) ⋅ N ) N and the component along N is: tn = tˆ' ( s ) ⋅ N .
r
Now, as tˆ( s ) ⊥ N , we have:
r
r
r
d ˆ
d r
d r
(t ( s ) ⋅ N ) = 0 = tˆ' ( s ) ⋅ N + tˆ( s ) ⋅ N , from which: tˆ' ( s ) ⋅ N = −tˆ( s ) ⋅ N and so:
ds
ds
ds
r
r
r
r
r
r
dτ (s ) dN
dτ ⋅ dN II
r
d r
tn = tˆ' (s ) ⋅ N = −tˆ(s ) ⋅ N = − γ
= − γ 2 = , as the numerator dτ γ ⋅ dN is really
ds
ds ds
ds
I
the definition of II, while ds 2 can be figured out by deriving (1.22) and then squaring, and
we’ll really have I.
example: normal curvature of the sphere:
we already saw with (1.2) that the sphere (Fig. 1.1) is represented by the following
equation:
r
τ = (r cosθ sin ϕ ) xˆ + (r sin θ sin ϕ ) yˆ + (r cos ϕ ) zˆ , from which:
r
τ θ = − (r sin θ sin ϕ ) xˆ + (r cosθ sin ϕ ) yˆ
r
τ ϕ = (r cosθ cosϕ ) xˆ + (r sin θ cosϕ ) yˆ − (r sin ϕ ) zˆ
r
τ θθ = −(r cosθ sin ϕ ) xˆ − (r sin θ sin ϕ ) yˆ
r
τ θϕ = −(r sin θ cos ϕ ) xˆ + (r cosθ cos ϕ ) yˆ
r
τ ϕϕ = −(r cosθ sin ϕ ) xˆ − (r sin θ sin ϕ ) yˆ − (r cosϕ ) zˆ
r
N = −(r cosθ sin ϕ ) xˆ − (r sin θ sin ϕ ) yˆ − (r cosϕ ) zˆ
r
r r
r r
r r
r r
r
E = τ θ ⋅ τ θ = r 2 sin 2 ϕ , F = τ θ ⋅ τ ϕ = 0 , G = τ ϕ ⋅ τ ϕ = r 2 , L = τ θθ ⋅ N = r sin 2 ϕ , M = τ θϕ ⋅ N = 0
r
r
N = τ ϕϕ ⋅ N = r , from which:
tn =
Ldθ 2 + 2 Mdθdϕ + Ndϕ 2 1
= !!!
Edθ 2 + 2 Fdθdϕ + Gdϕ 2 r
curvatures and main directions:
the two orthogonal directions where t n has its maximum and minimum values, are known
as main directions and the relevant normal curvatures t1 and t2 are the main curvatures.
Theorem: t0 is main and with main direction du0,dv0 if and only if du0,dv0 and t0 satisfy the
conditions:
( L − t0 E )du0 + (M − t0 F )dv0 = 0
(M − t0 F )du0 + ( N − t0G )dv0 = 0
(1.26)
proof:
tn is a bound if (tn=II/I)
{
dtn
du
= 0 and
( du 0 , dv 0 )
I ⋅ II dv − II ⋅ I dv
I2
II du −
II
I du
I
dtn
dv
= 0 , that is:
( du 0 , dv 0 )
I ⋅ II du − II ⋅ I du
I2
= 0 and:
( du0 , dv0 )
= 0 . Now, if we multiply by I, we have:
( du0 , dv0 )
= 0 , and: II dv −
( du0 , dv0 )
II
I dv
I
= 0 but:
( du0 , dv0 )
II
(du0 , dv0 ) = t0 , so:
I
II du − t0 I du
( du0 , dv0 )
= 0 and II dv − t0 I dv
( du0 , dv0 )
= 0 . Now, as:
II du = 2 Ldu + 2Mdv and I du = 2 Edu + 2 Fdv and so:
{
( Ldu0 + Mdv0 ) − t0 ( Edu0 + Fdv0 ) = 0
(Mdu0 + Ndv0 ) − t0 ( Fdu0 + Gdv0 ) = 0
that is, what we wanted to prove.
Now, we rewrite the (1.26) in the following way:
{
( L − tE )du + ( M − tF )dv = 0
(M − tF )du + ( N − tG )dv = 0
and we multiply side to side:
( EG − F 2 )t 2 − ( EN + GL − 2 FM )t + ( LN − M 2 ) = 0 .
(1.27)
The two solutions are the main curvatures.
Gauss curvature and mean curvature:
by dividing the previous equation (1.27) by ( EG − F 2 ) , we get: t 2 − 2 Ht + K = 0 , where:
1
LN − M 2
H = (t1 + t2 ) (mean curvature) and K = t1t2 (Gauss curvature). ( H =
)
2
EG − F 2
Gauss-Weingarten equations:
r
r r
we saw τ u , τ v , and N are linearly independent (orthogonal) and so we can use them as
a base to write their derivatives:
r
r
r
r
τ uu = Γ111 τ u + Γ112τ v + b11 N
r
r
r
r
τ uv = Γ121 τ u + Γ122 τ v + b12 N
Gauss
r
r
1 r
2 r
τ vv = Γ22τ u + Γ22τ v + b22 N
(1.28)
r
r
1r
2r
N u = β1τ u + β1 τ v + γ 1 N
Weingarten
r
r
r
r
N v = β 21τ u + β 22τ v + γ 2 N
{
}
}
Where the Γijk are the 2nd kind Christoffel simbols.
r
r
r
We saw by (1.24) that: dN ⊥ N and the (1.25) tells us that dN can be espressed in terms
r r
r
r r
of N u , N v , from which we have that N ⊥ ( N u , N v ) and, according to the Weingarten
equations, we can write that:
r r
r r
r r
r r
0 = N u ⋅ N = β11τ u ⋅ N + β12τ v ⋅ N + γ 1 N ⋅ N
r r
r r
r r
r r
0 = N v ⋅ N = β 21τ u ⋅ N + β 22τ v ⋅ N + γ 2 N ⋅ N
r r
r r r r
but we also know that: τ u ⋅ N = τ v ⋅ N = 0 and N ⋅ N = 1 , from which: γ 1 = γ 2 = 0 and so
{
(1.28) get easier, as follows:
r
r
r
r
τ uu = Γ111 τ u + Γ112τ v + b11 N
r
r
r
r
τ uv = Γ121 τ u + Γ122 τ v + b12 N
Gauss
r
r
r
r
1
τ vv = Γ22
τ u + Γ222 τ v + b22 N
r
r
r
N u = β11τ u + β12τ v
r
r
r Weingarten
N v = β 21τ u + β 22τ v
}
}
(1.29)
Let’s write (1.29),
more simply, in a TENSOR form, more completely:
r
r
αr
τ ij = Γij τ α + bij N (i,j=1,2)
(1.30)
and let’s not forget that by (1.30) we have just started to use the EINSTEIN
CONVENTION, according to which if in a term an index is repeated, then on it we have to
r
sum up. In fact, in the term Γijατ α in (1.30), α is repeated and so this term will yield two
values, as well as happens in the Gauss equations (1.29).
THE METRIC TENSOR g ij :
let’s review our terminology used so far, using more compendious forms:
r
r
∂ 2τ
r ∂τ
r
1
2
ì
u = u , v = u , u = (u , v) , τ i = i , τ ij = i j ;
∂u
∂u ∂u
r r r r
r r
r r
I = dτ ⋅ dτ = τ 1 ⋅ τ 1du1du1 + 2τ 1 ⋅ τ 2du1du 2 + τ 2 ⋅ τ 2 du 2 du 2 = g11du1du1 + g12 du1du 2 + g 21du 2 du1 +
+ g 22 du 2du 2 = ∑ gik du i du k = gik du i du k , with: g11 = E , g12 = g 21 = F , g 22 = G and:
i, k
g12 
 = g11 g 22 − g 21 g 22 = EG − F 2 = g
g 22 
g
g = det  11
 g 21
(1.31)
r r
r
Moreover: dN = N1du1 + N 2 du 2 and:
r r
r r
r r
r r
r r
II = − dτ ⋅ dN = −τ 1 N1du1du1 − τ 1 N 2du1du 2 − τ 2 N1du 2 du1 − τ 2 N 2 du 2 du 2 =
= b11du1du1 + b12 du1du 2 + b21du 2 du1 + b22 du 2 du 2 = ∑ bik du i du k
i ,k
b b 
with: b11 = L , b12 = b21 = M , b22 = N and: b = det 11 12  = b11b22 − b21b22 = LN − M 2 = b .
 b21 b22 
r
By scalarly multiplying Gauss equations by τ k , we have:
r r
r r
r r
r r
r r
τ ij ⋅τ k = Γijατ ατ k + bij N ⋅ τ k = Γijατ ατ k + 0 = Γijατ ατ k = Γijα gαk = Γijk ( α , i, j = 1,2 )
Γijk are the 1st kind Christoffel symbols.
Then, remember that: g iα g αj = δ i j (by definition of g αj ), with δ i j which is the Kronecker’s
Delta, and is 0 if i ≠ j and 1 if i = j ; in fact:
r r r r
r r r r
r r
r
r
giα g αj = τ i ⋅ τ α ⋅ τ α ⋅ τ j = τ i ⋅ τ j ⋅ τ α ⋅ τ α = τ i ⋅ τ j ⋅1 = δ i j , as τ i and τ j are, by definition,
r
normal, if i ≠ j (definition of τ j ).
From this, we have: Γijβ g βk = Γijα gαβ g βk = Γijα δαk = Γijk and so: Γijk = g kα Γijα and
Γijk = g kα Γijα .
We have:
∂g ij
= Γikj + Γ jki
∂u k
(1.32)
(1.33)
proof:
r r
we have, by definition of g ij , that: g ij = τ i ⋅ τ j , from which:
∂g ij r r r r
= τ ik ⋅τ j + τ i ⋅τ jk = Γikj + Γ jki
∂u k
-----------------∂g
1 ∂g
∂g
Then, we also have: Γikj = ( iki + kij − ijk )
2 ∂u
∂u
∂u
(1.34)
proof:
∂g ij
∂g ik
∂g ki
= Γikj + Γ jki ,
=
Γ
+
Γ
,
=
Γ
+
Γ
and
jik
kij
kji
ijk
∂u k
∂u i
∂u j
(it’s still about (1.33), but with indexes every time different, but, all in all, indexes have
values 1 and 2, whatever their name is), from which we have what we wanted to prove.
we have, according to (1.33), that:
------------------
It follows that:
∂g
∂g
1
∂g
Γijk = g kα ( jαi + αji − αij )
(1.35)
2
∂u
∂u
∂u
and moreover, by multiplying (1.32) Γijk = g kα Γijα in both sides by g µα (the reciprocal of
g kα ) , where, by definition of reciprocal: g µα g kα = δ µk , we have: g µα Γijk = g µα g kα Γijα = δ µk Γijα ,
that is, by removing δ µk and provided that µ = k , in the left side, we have:
Γijα = g µα Γijµ and by using the last equation, the (1.33)
∂g ij
= Γikj + Γ jki = g µj Γikµ + g µi Γαµk
k
∂u
∂g ij
= Γikj + Γ jki becomes:
∂u k
(1.36)
-----------------r
r
r
By scalarly multiplying by τ j , the Weingarten equations (1.29) N i = β iατ α , we get:
r r
r r
− bij = N i ⋅ τ j = β iατ α ⋅ τ j = β iα gαj ; if now we put: bi j = biα g αj , we have:
r
r
bi j = biγ g γj = − β iα gαγ g γj = − β iα δαj = − β i j ; therefore N i = −biατ α , with:
bi j = g αj biα e bij = gαj biα
the symbols (tensors) of Riemann (1st and 2nd kind):
Rmijk = bik b jm − bij bkm (2nd kind, rank 4 tensor)
(1.37)
Rijkρ = g αρ Rαijk (1st kind, rank 4 tensor)
(1.38)
Rmijk is the covariant Riemann curvature tensor
Rijkρ is the combined Riemann curvature tensor
Of course: Rijkρ = g αρ Rαijk = g αρ (bik b jα − bij bkα ) = bik b jρ − bij bkρ
According to (1.37), we have: Rimjk = − Rmijk ,
(1.39)
Rmikj = − Rmijk ; moreover Rmijk = 0 if the first
two indexes or the last two are the same; therefore, just four components are not zero,
and are:
R1212 = R2121 = b22b11 − b12b21 = LN − M 2 = b and R1221 = R2112 = b12 b21 − b22b11 = − ( LN − M 2 ) = −b
We notice that:
LN − M 2 b R1212
= =
= K (Gauss ) .
EG − F 2 g
g
------------------
We have: Rijkα = (Γikα ) j − (Γijα )k + Γikβ Γβαj − Γijβ Γβαk
(1.40)
(1.41)
proof:
r
r
r
τ ij = Γijατ α + bij N >>>
r
r
r
r
∂τ ij r
r
r
r
r
= τ ijk = (Γijα ) k τ α + Γijατ αk + (bij )k N + bij N k = (Γijα ) k τ α + Γijα (Γαβkτ β + bαk N ) +
k
∂u
r
r
r
r
+ (bij ) k N + bij (−bkατ α ) = [(Γijα ) k + Γijβ Γβαk − bij bkα ]τ α + [Γijα bαk + (bij )k ]N
r
r
where we used the Weingarten equation N i = −biατ α .
r
r
r
Similarly: τ ikj = [(Γikα ) j + Γikβ Γβαj − bik bαj ]τ α + [Γikα bαj + (bik ) j ]N
Now, the third order derivatives are not depending on the order of derivation if and only
if:
r
r
τ ijk = τ ikj , that is:
r
r
r
r
τ ijk − τ ikj = [(Γijα ) k − (Γikα ) j + Γijβ Γβαk − Γikβ Γβαj − bij bkα + bik bαj ]τ α + [Γijα bαk + (bij ) k − Γikα bαj − (bik ) j ]N = 0
r
r
r
and as τ 1 , τ 2 and N are linearly independent, the last equation means that:
[(Γijα )k − (Γikα ) j + Γijβ Γβαk − Γikβ Γβαj − bij bkα + bik bαj ] = 0
(1.42)
[Γijα bαk + (bij )k − Γikα bαj − (bik ) j ] = 0
The (1.42), through the (1.39), yields: Rijkα = (Γikα ) j − (Γijα )k + Γikβ Γβαj − Γijβ Γβαk , that is what we
wanted to show.
Chapter 2: The main quantities in the Theory of General Relativity.
Par. 2.1: Introductory concepts on General Relativity.
First of all, please read again the Introduction on page 2.
Moreover, we know from STR (in App. 1) that the Lorentz contraction happens just in the
direction of the movement, so, if we have a rotating system or a point which rotates, for
instance, around a circle, the movement will be sometimes along x, then along x and y,
then also along z; therefore, the Lorentz contraction is not acting still on just one
coordinate and so, the run circle will appear as squashed, when seen by a rotating
reference system, therefore, not inertial somehow, and therefore geometrically modified.
As a matter of fact, if:
dτ 2 = c 2dt 2 − dx 2 − dy 2 − dz 2 , ( dτ 2 = −ηik dξ i dξ k ,see after)
(2.1)
then, in another system I’ which is accelerating along x with respect to the former one,
we’ll have:
{
{
1
x = x'+ at 2
2
y = y'
z = z'
t = t'
dx = dx'+ at ' dt '
dy = dy '
dz = dz '
dt = dt '
and:
from which:
dτ 2 = c 2 dt '2 −(dx'+ at ' )2 − dy '2 − dz '2
or
(2.2)
dτ 2 = (c 2 − a 2t '2 )dt '2 −2at ' dx ' dt '− − dx '2 −dy '2 − dz '2
(2.3)
If, then, we also have another system I’ whose plane x-y is rotating (with angular velocity
ω ) with respect to that of the former system, as we then have the following
transformation system:
{
x = x' cos ωt − y ' sin ωt
y = x' sin ωt + y ' cos ωt
y’
y
ω
x’
θ = ωt
x
Fig. 2.1: Two reference systems, one rotating with respect to the other.
and remembering that, easily, for instance, d (sin ωt ) = ω cos ωt ⋅ dt etc, we have for dτ 2 :
dτ 2 = [c 2 − ω 2 ( x'2 + y '2 )]dt 2 + 2ωy ' dx' dt '−2ωx ' dy ' dt '− dx '2 −dy '2 − dz '2
(2.4)
and we can see that in no cases ((2.2), (2.3), and (2.4), which are of the kind
dτ 2 = − g µν dx µ dxν ; see after) we can reduce dτ 2 , by means of time transformations, to the
algebraic summation of the squares of the differentials of the four coordinates, as in (2.1)
and as would be, on the contrary, for another inertial reference system.
Therefore, the presence of linear accelerations of reference systems (that can cancel
gravitational fields) and also centrifugal/centripetal ones, that is, central ones, such as for
the gravity (for instance, after rotations), introduce combined terms which change the
metric, and so the geometry of the space-time. From this comes the need to formulate a
relativistic theory for gravitation (GTR).
Par. 2.2: On the metric tensor and other main quantities.
r
When we have dealt with the Gauss-Weingarten equations, just before, we saw that τ u ,
r
r
τ v , and N are linearly independent (orthogonal) and so they really are a reference
system, but curvilinear, and local, as they lie on a point of a surface, and when we move
on it, such a tern moves and they also change their direction. That’s a valid example of a
curvilinear reference system, in the opinion of the writer, of course.
In all the equations introduced in the last chapter on geometry, indexes i, j, k etc changed
from 1 to 2 or also 3. Now, getting a bit deeper in the Universe, and so in the General
Relativity, we first of all notice that our Universe looks tridimensional, therefore, on
indexes, we’ll have a variability which reaches at least three, and then, as also shown in
App. 1 on Special Relativity, there exists a mathematically four-dimensional Universe (for
the standard physics it’s also really four-dimensional; to me, it’s not!), in which there is
covariance, and so conservation, when passing from an inertial system to another, then,
with Einstein, we start once and for all to consider the Universe on a four-dimensional
basis and that’s it; therefore, the indexes of all the geometrical equations introduced in
the last chapter, will have, from now on, all indexes with a variability on four values and
the fourth value is the time one (ct). Then, the Einstein’s convention will hold, according
to which if in a term of an equation an index is present twice, then the summation over it
is understood.
We report here the mains, which will be needed by us:
r
r
τ ij = Γijατ α
(Gauss’ equations in a more compendious form; all in Γijα ) (i,j=1,2,3,4)
(2.5)
(this gives us also the derivative of a versor)
dτ 2 = − gik du i du k (i,j=1,2,3,4) (metric tensor g ik /de-square four-distance dτ 2 )
Γijk =
1 kα ∂g jα ∂gαi ∂gij
g ( i +
−
) (i,j=1,2,3,4) (1st kind Christoffel symbol)
2
∂u
∂u j ∂u α
Rijkα = (Γikα ) j − (Γijα )k + Γikβ Γβαj − Γijβ Γβαk (i,j=1,2,3,4) (Riemann combined curvature tensor)
(2.6)
(2.7)
(2.8)
The metric tensor g ik , in case we are dealing with Euclidean spaces, reduces to
Minkowski’s tensor ηik (it’s 1 for i=k=1,2,3 and it’s -1 for i=k=4; it’s 0 when i is different
from k) and without combined terms, that is, if i,k are not the same, then ηik=0; in fact,
we should then have ( u i = x, y, z , ct ):
dτ 2 = −ηik dξ i dξ k = − x 2 − y 2 − z 2 + (ct )2 , just like in Special Relativity (App. 1) and the ξ i
would represent the Euclidean coordinate system. Then, when passing to curvilinear
systems ( dξ i >>>> dx i ), we’ll have:
dτ 2 = −ηik dξ i dξ k = −ηik
g µν = ηik
∂ξ i ∂ξ k µ ν
dx dx = − g µν dx µ dxν , with
∂x µ ∂xν
∂ξ i ∂ξ k
∂x µ ∂xν
(2.9)
(2.10)
which is the link equation from one system to another.
In the future we’ll keep for the indexes the letters of the common alphabete (i,j,k etc) in
case of Euclidean spaces ( η ik ) and those of the Greek alphabete ( µ,ν etc) for curvilinear
spaces g µν , with strong gravity.
-----------------We saw with (1.1) and (1.2) that a sphere can be represented through an equation in
which there are the three classic Cartesian coordinates (x,y,z) or also by fixing a radius
and making two angles change ( r ,θ , ϕ ):
x2 + y 2 + z 2 = r 2
(x,y,z)
r
τ Σ = (r cosθ sin ϕ ) xˆ + (r sin θ sin ϕ ) yˆ + (r cos ϕ ) zˆ
( r ,θ , ϕ )
Now, in case we make a change of coordinate system (x,y,z) >>>> (x’,y’,z’) where the
latter is, for instance, shifted and rotated with respect to the former, there will be classic
equations to go from one system to another, but both system will still have the same
graphical representation by axes stretching from the origin to infinite, in positive as well as
in negative.
x ' 2 + y '2 + z '2 = r 2
(x’,y’,z’)
but all this in the Euclidean geometry, or non curvilinear, if we like.
y’
y
z’
z
x’
x
Fig. 2.2: Two different “Euclidean” reference systems.
If now we suppose to go from a system as that in Fig. 2.2 to another in which the space
is, for any reason, curved, for instance by the gravity of matter and energy, as supposed
in the General Relativity, then the Euclidean geometry isn’t enough anymore and the
curvilinear one, the non Euclidean Riemann-like is more helpful. In fact, in the opinion of
the writer, when passing from a standard system to a curvilinear one, you cannot have the
representation of Fig. 2.2, but the curvilinear one will look like a tern of straight Cartesian
axes only in the infinitesimal range (“d” = de), as per Fig. 2.3; in fact, as it’s curved, as
long as you get farther from the origin “0”, every single axis bends and loses any linearity
and proportionality.
dy’
dy
dx
dx’
0
0
dz
dz’
Fig. 2.3: Case of curvilinear coordinate systems.
Therefore, we’ll have a system of link equations from an Euclidean system ( ξ i ) to a
curvilinear one ( x i ), in the infinitesimal range, for all what just said so far, and that will
be, in general, like this:
{
ξ 1 = ξ 1 ( x1 , x 2 , x 3 , x 4 )
ξ 2 = ξ 2 ( x1 , x 2 , x 3 , x 4 )
ξ 3 = ξ 3 ( x1 , x 2 , x 3 , x 4 )
ξ 4 = ξ 4 ( x1 , x 2 , x 3 , x 4 )
(2.11)
and vice versa:
{
x1 = x1 (ξ 1, ξ 2 , ξ 3 , ξ 4 )
x 2 = x 2 (ξ 1 , ξ 2 , ξ 3 , ξ 4 )
x 3 = x 3 (ξ 1, ξ 2 , ξ 3 , ξ 4 )
x 4 = x 4 (ξ 1 , ξ 2 , ξ 3 , ξ 4 )
(2.12)
and for the conversion equations for the expressions for the surfaces and for geometrical
r
r
object (τ ), we obviously have ( τ = ξ 1iˆ + ξ 2 ˆj + ξ 3kˆ + ξ 4tˆ = (ξ 1 , ξ 2 ,ξ 3 ,ξ 4 ) and
r
r
r
r
r
( τ = x1τ 1 + x 2τ 2 + x 3τ 3 + x 4τ 4 = ( x1 , x 2 , x 3 , x 4 ) ):
r
r ∂τ ∂ξ 1 ˆ ∂ξ 2 ˆ ∂ξ 3 ˆ ∂ξ 4 ˆ
τ1 = 1 = 1 i + 1 j + 1 k + 1 t
∂x
∂x
∂x
∂x
∂x
r
1
2
3
r
∂ξ 4
∂ξ
∂ξ
∂ξ
∂τ
τ 2 = 2 = 2 iˆ + 2 ˆj + 2 kˆ + 2 tˆ
∂x
∂x
∂x
∂x
∂x
r
1
2
3
r ∂τ ∂ξ
∂ξ 4
∂ξ
∂ξ
(2.13)
τ 3 = 3 = 3 iˆ + 3 ˆj + 3 kˆ + 3 tˆ
∂x
∂x
∂x
∂x
∂x
r
r
∂τ
∂ξ 1
∂ξ 2
∂ξ 3
∂ξ 4
τ 4 = 4 = 4 iˆ + 4 ˆj + 4 kˆ + 4 tˆ
∂x
∂x
∂x
∂x
∂x
{
{
and moreover, of course:
∂ξ 1 1 ∂ξ 1 2 ∂ξ 1 3 ∂ξ 1 4
dx + 2 dx + 3 dx + 4 dx
∂x1
∂x
∂x
∂x
2
2
2
∂ξ
∂ξ
∂ξ
∂ξ 2
dξ 2 = 1 dx1 + 2 dx 2 + 3 dx 3 + 4 dx 4
∂x
∂x
∂x
∂x
3
3
3
∂ξ
∂ξ
∂ξ
∂ξ 3
dξ 3 = 1 dx1 + 2 dx 2 + 3 dx 3 + 4 dx 4
∂x
∂x
∂x
∂x
4
4
4
∂ξ
∂ξ
∂ξ
∂ξ 4 4
4
1
2
3
dξ = 1 dx + 2 dx + 3 dx + 4 dx
∂x
∂x
∂x
∂x
dξ 1 =
(2.14)
r
and so: dτ = dξ 1iˆ + dξ 2 ˆj + dξ 3kˆ + dξ 4tˆ = (dξ 1, dξ 2 , dξ 3 , dξ 4 ) = (dx1 , dx 2 , dx 3 , dx 4 ) =
r
r
r
r
r
r
r
= dτ = dx1τ 1 + dx 2τ 2 + dx 3τ 3 + dx 4τ 4 = dx iτ i = dτ
(2.15)
r
1
2
3
4
and therefore ( dx , dx , dx , dx ) are the components of τ in the curvilinear base
r r r r
( τ 1 ,τ 2 ,τ 3 ,τ 4 ).
r r r r
There exist a reciprocal set of four numbers (τ 1 ,τ 2 ,τ 3 ,τ 4 ) that, by definition:
r r
τ i ⋅τ j = δ i j .
Now, if we go back for a while to the (2.15), where we plainly used the Einstein’s
r
r
convention, we have: dτ = dx iτ i
If now we want to make a change of curvilinear base, with coordinates from dx i to dx'l ,
r
r
r
we will obviously write: dx iτ i = dx'l τ 'l and, by multiplying both sides by τ i , we’ll have:
r r
∂x i
dx i = dx'l τ 'l ⋅τ i , but it’s also true that (as well as for (2.14)): dx i = l dx'l ; therefore:
∂x '
i
r r
∂x
= τ 'l ⋅τ i , that is:
l
∂x '
r
r ∂x i
τ 'l = τ i l
(2.16)
∂x '
and (2.16) is the equation for the base change.
Law of transformation for the components of a 4-vector:
r
r
r
let V = V iτ i be a generic vector expressed by curvilinear coordinates in the base τ i ; in
r
r
r
another base τ 'l , we will have: V = V 'l τ 'l and, according to the (2.16):
r
r
r
∂x i r
V = V 'l τ 'l = V 'l l τ i = V iτ i , with:
∂x '
i
∂x
V i = V 'l l
(2.17)
∂x '
which is the transformation equation for the components of a 4-vector after a base
i
i
l ∂x '
change. Very simply, its inverse is: V ' = V
∂x l
-----------------Law of transformation for the components of a 4-tensor:
in App. 1 on Special Relativity we said that we can get a tensor T with rank n when we
multiply the components of n vectors. So, if we have two vectors V and S: (where we are
simultaneously reminding how their components transformate)
∂ x 'λ
>>>>
∂xσ
µ
λ
∂x'µ
∂x 'λ
∂x 'µ ∂x 'λ
νσ ∂x ' ∂x '
T 'µλ = V 'µ S 'λ = V ν ν S σ σ = V ν S σ ν
=
T
= T 'µλ and this is how the
∂x
∂x
∂x ∂xσ
∂xν ∂xσ
components of a rank 2 tensor transformate. Then, you can proceed similarly for higher
rank tensors.
V 'µ = V ν
∂x'µ
∂xν
e
S 'λ = S σ
Derivation of a 4-vector:
r
r
we have a 4-vector: V = V µτ µ ; let’s derive it:
r
r
dV dV µ r
σ dτ σ
=
τ
+
V
,
(2.18)
µ
dx µ dx µ
dxν
Indexes changes from one term to another, as they change on four values and must not
necessarily be simultaneously the same in all terms.
r r
Now, multiply the right side of (2.18) by the unitary (=1) quantity τ µ ⋅ τ µ :
r
r
dV
dV µ
σ dτ σ r µ r
τ ]τ µ ; well, the quantity between the brackets is the covariant
= [ µ +V
dx µ
dx
dxν
derivative and is a tensor, for all that has been said so far:
r
dV µ
dV µ
σ dτ σ r µ
µ
(2.19)
V;ν = µ + V
τ
=
+ V σ Γνσµ (covariant derivative)
dx
dxν
dx µ
where Γνσµ are said the Christoffel’s symbols (affine connection) and already introduced by
(1.30).
Moreover, for the system (2.13), we could write, in a more compendious vectorial form:
r
∂ξ α
τ µ = (∑ )ηα µ , and, from this, we also have a dual form for the reciprocal set of four
∂x
α
r
r r
r
∂x µ
τ µ (so that, by definition of reciprocity: τ µτν = δ µν ): τ µ = (∑ )η µ α and so the coefficient
∂ξ
µ
Γνσµ in (2.19) can be espressed also in the following way:
r
∂ 2ξ α ∂x µ
dτ σ r µ
d
∂ξ α
∂x µ
µ
, that, if inserted in (2.19), can be also
Γνσ = ν τ = ν (ηα σ )η µ α = ηαη µ σ ν
∂x ∂x ∂ξ α
∂ξ
dx
dx
∂x
written in a simpler way, without the unitary coefficients η:
∂ 2ξ α ∂x µ
µ
Γνσ = σ ν
(2.20)
∂x ∂x ∂ξ α
Then, already in App. 1 on Special Relativity, we reminded that such a derivative (of a
vector) gives a tensor. We also notice that such a derivative is a tensor (rank 2) just
because the terms which make it, have two indexes, just like a tensor 2.
Moreover, (1.30) in the last chapter on Geometry is an example of a derivative of a vector
(versor) which looks like a tensor 2, indeed.
derivation of a tensor:
∂ µσ
µ νσ
σ
k
T + Γρν
Tλ + Γρν
Tλµσ − Γλρ
Tkµσ
(2.21)
ρ λ
∂x
r r
in fact ( Tλµσ are just the components, without “versors” and, moreover τ µτ µ = δ µµ = 1 ):
r r r
T(tensor)= Tλµσ τ µτ στ λ , from which:
we have: Tλµσ
;ρ =
r r r
r r r
∂
∂
∂ r r r r r
∂ r r r r r
(Tλµσ τ µτ σ τ λ ) = ( ρ Tλµσ )(τ µτ σ τ λ ) + Tλνσ ( ρ τν )τ σ τ λ (τ µτ µ ) + Tλµν ( ρ τν )τ µτ λ (τ σ τ σ ) +
ρ
∂x
∂x
∂x
∂x
r
r
r
r
r
∂
∂
µ νσ
σ
k
− Tkµσ ( ρ τ µ )τ kτ σ (τ λτ λ ) = ρ Tλµσ + Γρν
Tλ + Γρν
Tλµσ − Γλρ
Tkµσ = Tλµσ
; ρ cvd.
∂x
∂x
r
r
r
r
r µ ∂τ k
∂ rµ r
∂ µ
∂τ µ r r µ ∂τ k
∂τ µ r
(as: ν τ τ k = ν δ k = 0 = ν τ k + τ
, da cui:
τ k = −τ
)
∂x
∂x
∂x
∂xν
∂xν
∂xν
Par. 2.3: On the Lorentz Transformation in the General Relativity.
Let’s go back to (2.9), and we know from App. 1 on Special Relativity that dτ 2 is Lorentz
invariant:
∂x'α ∂x'β γ δ
dτ 2 = −ηαβ dx 'α dx'β = −ηαβ γ
dx dx = −ηγδ dx γ dx δ , with:
δ
∂x ∂x
α
β
∂x ' ∂x'
(2.22)
ηγδ = ηαβ γ
∂x ∂x δ
Let’s differentiate (2.22) on xε :
∂x 'α ∂ 2 x'β
∂ 2 x'α ∂x'β
0 = ηαβ γ ε δ + ηαβ γ
; now, we sum to this the same, but with γ and ε
∂x ∂xδ ∂xε
∂x ∂x ∂x
swapped and then we subtract the same equation, but with ε and δ swapped, so getting:
∂ 2 x'α ∂x 'β
∂ 2 x 'α
0 = 2ηαβ γ ε δ >>>>>
= 0 , whose solution is:
∂x ∂x ∂x
∂xγ ∂xε
x'α = Λαβ x β + aα
(Lorentz Transformation)
(2.23)
∂x'α ∂x'β
This one, together with (2.22), yields: ηγδ = ηαβ γ
= ηαβ Λαγ Λβδ .
δ
∂x ∂x
α
Moreover, (2.23) in a differential form is: dx' = Λαγ dx γ .
(2.24)
α
β
Let’s figure out the elements of the Lorentz matrix (or of the Lorentz tensor) Λ :
from the Lorentz Transformations (A1.8) in App. 1, we have that (// and ⊥ refers to the
direction of the movement):
r r
r
r
r
r
r
V ⋅x
x '// = γ ( x// − Vt ) , x '⊥ = x⊥ , t ' = γ (t − 2 ) ; moreover, of course, we have:
c
r
r
r r V
r
r r
x// = ( x ⋅ V ) 2 e x⊥ = x − x// , and so:
V
r
r
r r
r r V
x ' = x + (γ − 1)( x ⋅ V ) 2 − γVt and
(2.25)
V
r r
V ⋅x
t ' = γ (t − 2 )
c
While, for (2.24), we have: dx'i = Λiβ dx β , from which, using the common letters (i,j etc) for
the three spatial components, 0 as the fourth time coefficient and the Greek letters for all
of them:
dx'i = Λi j dx j + Λi0 dx 0
(for (2.24))
r r Vi
1
dx'i = dx i + (γ − 1)(dx ⋅ V ) 2 + γ V i dx 0 (for (2.25))
V
c
(here, the last term has got a + and not a – because dx 0 = −cdt )
(2.26)
(2.27)
By comparing (2.26) and (2.27), we have:
1
Λi0 = +γ V i
c
simplicity:
and
Λi j = δ ij +
(γ − 1) i
V V j , and if we use the normalization c=1, out of
V2
Λi0 = +γV i e Λi j = δ ij +
(γ − 1) i
V Vj
V2
(Lorentz Tensor)
r r
where the product dx ⋅ V in (2.27) yielded just the component dx jV j in (2.26), as in (2.26)
there was just dx j .
If the direct Lorentz T. is given by (2.24): dx'α = Λαγ dx γ , then, the inverse one will be
represented as follows: dxγ = Λ 'αλ dx'α .
Therefore, as also seen in App. 1 on Special Relativity, not only the spatial components (x)
and temporal (ct) can be Lorentz transformed, but also 4-vectors and 4-tensors can:
V 'α = ΛαβV β
γ
T 'αβ
= Λγδ Λεα Λξβ Tεξδ (remembering that the components of a tensor are obtained by
multiplying those of vectors)
Par. 2.4: The 4-vector Momentum-Energy and the Tensor Momentum-Energy.
Preamble on the Delta of Dirac:
By definition, the Delta of Dirac must satisfy the following equation:
r
r
r r
f ( y ) = ∫ f ( x )δ 3 ( x − y )d 3 x
In practice, if you put it in the integral (which is a summation) it yields the same
integrated function f, but of a different variable. See some good books on the Fourier
Transform to have useful versions of the Delta of Dirac.
Preamble on currents and densities (of matter/energy):
r
if in various points xn (t ) we have energy (and so also matter) with a volume density
en [ J / m3 ] , in order to have the total one, we obviously have to sum on n:
r
r r
ε ( x , t ) = ∑ enδ 3 ( x − xn (t )) ,
n
where the Delta of Dirac gives the right value for en in the summation for every position
r
xn (t ) .
r r
About the relevant current density of matter/energy J ( x , t ) , we obviously have:
r
r r
r
dxn (t )
3 r
J ( x , t ) = ∑ enδ ( x − xn (t ))
dt
n
r
dxn (t )
3
in fact, en [ J / m ] , multiplied by
[m / s ] , really gives a current of joule per square
dt
meter.
r r
dxα (t )
In components: J α ( x ) = ∑ enδ 3 ( x − xn (t )) n
and, of course: J 0 = ε and xn0 (t ) = ct .
dt
n
Now, this summation is over the points n; in order to have the total value, one must
integrate also over the time:
dxαn (t ' )
J ( x) = ∫ dt ' δ ( x − xn (t ' ))J ( x ) = ∫ dt '∑ enδ ( x − xn (t ' ))
; now, by multiplying numerator
dt '
n
and denominator by c, as “de” proper time is dτ = cdt ' , we’ll have:
α
α
4
J α ( x) = ∫ dτ ∑ enδ 4 ( x − xn (τ ))
n
dxαn (τ )
dτ
dxnα (τ )
is.
dτ
r r
r r
r r
∂
∂
dx i (t )
dx i (t )
Moreover, ∇ ⋅ J ( x, t ) = ∑ en i δ 3 ( x − xn (t )) n = − ∑ en i δ 3 ( x − xn (t )) n =
∂xn
∂x
dt
dt
n
n
r r r
r r
∂
∂ r
∂ r
= − ∑ en δ 3 ( x − xn (t )) = − ε ( x , t ) . If now we bring − ε ( x , t ) together with ∇ ⋅ J ( x , t ) , we
∂t
∂t
∂t
n
will have the 4-divergence (see also App.1):
∂ α
J ( x ) = 0 (the invariance on Lorentz is clear).
(2.28)
∂xα
r
Moreover, Q (mat − energ ) = ∫ d 3 xJ 0 ( x ) = ∫ d 3 x ⋅ε ( x , t )
J α (x) is a 4-vector, ad so
------------------
the 4-vector momentum-energy:
we already dealt with it in Special Relativity (App. 1).
dxα
dpα
d 2 xα
Of course, pα = m0
; then
= m0
= f α and
2
dτ
dτ
dτ
r 2 2 1/ 2
r 2 1/ 2
2
2
dτ = (c dt − dx ) = (1 − V c ) dt = dt γ
from which,
for the tridimensional component and for the temporal one:
r
r
p = m0γV and p 0 = E0 c = m0γc and so:
dx β
.
dτ
Of course, for Lorentz: p'α = Λαβ p β .
p β = ( E0 c 2 )
(2.29)
(2.30)
(*): In reality, we will consider the mass m as a mass referred to the unity of volume
[kg/m3]
the TENSOR momentum-energy:
r
r r
T α 0 ( x , t ) = ∑ pnα (t )δ 3 ( x − xn (t ))
(“0” is the temporal component)
(2.31)
n
r
r r
dxi (t )
T αi ( x , t ) = ∑ pnα (t ) n δ 3 ( x − xn (t )) (“i” , on the contrary, refers to the three spatial
dt
n
components) and, all together, in a more compendious form:
dxnβ (t ) 3 r r
αβ
α
T ( x) = ∑ pn (t )
δ ( x − xn (t )) ( xn0 (t ) = ct )
(2.32)
dt
n
The first one is a moment (p), actually, and the second is an energy, indeed (p x v). As
before, we summed over the particles n.
(Then, by summing also over the time, we’d have, here too, after having multiplied
dx β
numerator and denominator by c: T αβ = ∫ dτ ∑ pnα n δ 4 ( x − xn (τ )) )
dτ
n
Now, (2.32), through (2.30), becomes:
T αβ ( x) = ∑
n
pnα pnβ 3 r r
δ ( x − xn (t ))
( En / c 2 )
We notice the simmetry T αβ ( x ) = T βα ( x ) ; moreover, T αβ (x) is a tensor and, being so,
according to Lorentz, transforms, as follows:
T 'αβ = Λαγ Λβδ T γδ .
(2.33)
Moreover, just like previously done to get (2.28), through the 4-divergence, we have:
∂ αi r
dxni (t ) ∂ 3 r r
dxni (t ) ∂ 3 r r
α
α
−
=
−
=
x
x
t
p
t
T
(
x
,
t
)
p
(
t
)
δ
(
(
))
(
)
∑n n dt ∂xi
∑n n dt ∂xi δ ( x − xn (t )) =
n
∂x i
n
= − ∑ pnα (t )
n
r
r r
∂
∂ 3
dpα (t )
v
δ ( x − xn (t )) = − T α 0 ( x , t ) + ∑ n δ 3 ( x − xn (t ))
∂t
∂t
dt
n
∂ α0 r
T ( x , t ) in the last equation is made of those two terms it has on its sides, for the
as
∂t
rule of the derivation.
∂ αβ
dpαn (t ) 3 r r
∂ αi ∂ α 0
=
Therefore,
T
T
=
T
+
∑n dt δ ( x − xn (t )) = Gα ( x, t ) , that is:
∂x β
∂t
∂x i
∂ αβ
T = Gα , with:
β
∂x
r r
dpnα (t ) 3 r r
dτ dpnα (τ ) 3 r r
dτ α
α r
G ( x, t ) = ∑
δ ( x − xn (t )) = ∑
δ ( x − xn (t )) = ∑
f n (t )δ 3 ( x − xn (t ))
dt
dτ
n
n dt
n dt
where f nα =
dpnα
is obviously a force.
dτ
If particles are free, then pαn = const and so >>>>
∂ αβ
T = 0 !!!
∂x β
Par. 2.5: Relativistic Hydrodynamics.
Now, it’s very important to find a form for the tensor momentum-energy T αβ , as we’ll see
that in the Newtonian limit of the relativistic gravitation, a component of it appears (T 00 ) ,
so suggesting to involve, once we are out of the limit situation, all T αβ indeed. Out of
simplicity, now we consider that c=1 (normalization).
Now we see that T αβ = pη αβ + ( p + ρ )U αU β and for fields of any intensity:
T µν = pg µν + ( p + ρ )U µU ν
(c=1)
(2.34)
proof:
let’s put the symbol ~ over the quantities which refer to a system at rest; moreover, from
(2.32), we have that, in the right side, there is a product of a moment [(kg/m3)(m/s)] by a
velocity [(m/s)] (remind the note (*) on page 26) and so:
mass x velocity x velocity (=J) divided by m3, that is a pressure p.
(2.35)
Then, when the quantity dx/dt=d(ct)/dt=c is that which corresponds to the index zero, as
per (2.31), then we’ll have on the right side the product p0 (mc, see (2.29)) by c, but
according to the note (*) on page 26, m is a ρ and so we have ρc2. Let’s sum up:
~
~
~
~
T ij = pδ ij [Pa ] , T i 0 = T 0 i = 0 , T 00 = ρ , that is: ( ρc 2 with c=1 [Pa ] )
(2.36)
As T is a tensor, let’s transform it according to Lorentz, as per (2.33), to get its values for
a generic system, that is, not at rest:
~
T αβ = Λαγ Λβδ T γδ ; we’ll have: ( γ =
{
1
1 − (V c )
2
2
=
1
1−V 2
, with c=1)
T ij = pδ ij + ( p + ρ )γ 2V iV j
T i 0 = ( p + ρ )γ 2V i
T 00 = γ 2 ( pV 2 + ρ )
in fact, as, according to the Lorentz Tensor, it is:
1
1
(γ − 1) i
Λ00 = γ , Λi0 = γV i ( γ V i with c=1), Λ0i = γVi ( γ Vi with c=1), Λi j = δ ij +
V V j , it follows
c
c
V2
~
~
~
that: T 00 = Λ0γ Λ0δ T γδ = Λ00 Λ00T 00 + ∑ (Λ0i Λ0iT ii ) = γ 2 ρ + ∑ [γ 2 (V i ) 2 ] p = γ 2 ( ρ + pV 2 )
i
i
~
~
~
T = Λ Λ T γδ = Λi0 Λ00T 00 + Λi j Λ0jT jj = γ 2V i ρ + p ∑ (Λi j Λ0j ) = γ 2V i ρ + p(Λii Λ0i + Λik Λ0k + Λil Λ0l ) =
i0
i
γ
0
δ
j
(k,l ≠ 0,i and j can be i, or k,l)
(γ − 1)
(γ − 1)
= γ 2V i ρ + p[(1 + (V i ) 2
)γV i + V iV k
)γV k +
2
V
V2
(γ − 1)
(γ − 1)
(γ − 1)
(γ − 1)
+ V iV l
)γV l ] = γ 2V i ρ + p[γV i + γV i (V i ) 2
) + γV i (V k ) 2
) + γV i (V l ) 2
)] =
2
2
2
V
V
V
V2
(γ − 1) i 2
[(V ) + (V k ) 2 + (V l )2 ] = γ 2V i ρ + pγV i + pγV i (γ − 1) =
= γ 2V i ρ + pγV i + pγV i
2
V
2 i
= γ V ( p + ρ)
On the contrary, for the calculation of T ij , let’s split this in two cases:
(i=j e i ≠ j)
(γ − 1) 2
~
~
~
~
~
T ii = Λiγ Λiδ T γδ = Λi0 Λi0T 00 + Λii ΛiiT ii + Λik ΛikT kk + Λil ΛilT ll = (k , l ≠ i ) = γ 2 (V i )2 ρ + [1 + (V i )2
] p+
V2
2
(γ − 1) 2
i l (γ − 1) 2
2
i 2
i 2 (γ − 1)
+ [V iV k
]
p
+
[
V
V
]
p
=
γ
(
V
)
ρ
+
p
+
p
(
V
)
[(V i )2 + (V k ) 2 + (V l )2 ] +
2
2
4
V
V
V
2
(γ − 1)
(γ − 1)
(γ − 1)
+ 2 p(V i )2
= γ 2 (V i )2 ρ + p + p(V i ) 2
+ 2 p (V i ) 2
= p + γ 2 (V i ) 2 ρ +
2
2
2
V
V
V
i 2
(γ − 1)
(V )
+ p (V i )2
(γ − 1 + 2) = p + γ 2 (V i ) 2 ρ + p 2 (γ 2 − 1) = p + γ 2 (V i ) 2 ρ + p(V i ) 2 γ 2 =
2
V
V
2
2
(γ − 1) γ
= p + γ 2 (V i ) 2 ( p + ρ ) . (as
= 2 = γ 2 if c=1)
V2
c
On the contrary, if i ≠ j:
~
~
~
~
~
T ij = Λiγ Λ δj T γδ = Λi0 Λ 0j T 00 + Λii Λ jiT ii + Λi j Λ jjT jj + Λik Λ jk T kk = (k ≠ i, j ) = γ 2V iV j ρ +
(γ − 1) i j (γ − 1)
(γ − 1)
(γ − 1)
][V V
] + p[V iV j
][1 + (V j )2
]+
2
2
2
V
V
V
V2
2
(γ − 1)
jk
j k (γ − 1)
2 i j
i
j (γ − 1)
i 2 i
j (γ − 1)
+ V iV k
][
δ
+
V
V
]
=
γ
V
V
ρ
+
pV
V
+
p
(
V
)
V
V
+
(
=
0
)
V2
V2
V2
V4
+ p[1 + (V i )2
p[δ ik ( = 0)
2
2
(γ − 1)
(γ − 1)
j 2 i j (γ − 1)
k 2 i j (γ − 1)
+
p
V
V
V
+
p
V
V
V
= γ 2V iV j ρ + 2 pV iV j
+
(
)
(
)
4
4
2
V
V
V
V2
2
(γ − 1) 2
i 2
j 2
k 2
2 i
j
i
j (γ − 1)
i j (γ − 1)
+ pV iV j
V
+
V
+
V
=
V
V
+
pV
V
+
pV
V
=
[(
)
(
)
(
)
]
γ
ρ
2
V4
V2
V2
(γ − 1)
(γ 2 − 1) γ 2
2 i
j
γ
γ
ρ
= γ 2V iV j ρ + pV iV j
(
2
+
−
1
)
=
V
V
(
p
+
)
(as
= 2 = γ 2 if c=1).
2
2
V
V
c
+ pV iV j
Totally:
T ij = pδ ij + ( p + ρ )V iV j γ 2 (for the spatial components)
T αβ = pη αβ + ( p + ρ )U αU β (for all 4 components, but in weak fields (η αβ ))
dx i
dx i
=γ
= γV ì e U 0 = γc .
dτ
dt
At last, for any gravitational fields (η αβ >>>> g αβ ):
T µν = pg µν + ( p + ρ )U µU ν (c=1) .
where U i =
Par. 2.6: The geodetic Equation.
A free falling parachutist does not have any floor over which his body can rest; therefore,
he does not detect any gravitational acceleration and he feels as if floating in the vacuum.
He realizes he is falling only if he looks at the moving objects around. Therefore, for a free
r
falling particle, there is a reference system in which a = 0 , that is:
∂ 2ξ α
=0
(free falling in Euclidean coordinates)
(2.37)
∂τ 2
with dτ 2 = −ηik dξ i dξ k .
But we can see (2.37) in the following way:
∂ 2ξ α
d ∂ξ α dx µ
∂ξ α d 2 x µ
∂ 2ξ α dx µ dxν
=0=
(
)= µ
+
dτ ∂x µ dτ
∂τ 2
∂x dτ 2 ∂x µ ∂xν dτ dτ
∂x λ
and consider that:
If we multiply both sides by
∂ξ α
∂ξ α ∂x λ
= δ µλ , we’ll have:
µ
α
∂x ∂ξ
µ
ν
d 2xλ
λ dx dx
+
Γ
= 0 (free falling in curvilinear coordinates)
(2.38)
µν
dτ 2
dτ dτ
(equation of the geodetic, where geodetic, on the Earth, is the shortest path between two
places)
∂ 2ξ α ∂x λ
λ
with Γµν
= µ ν
.
∂x ∂x ∂ξ α
λ
Par. 2.7: The relation between g µν and Γµν
.
We already got such a relation in a context all geometric (see (1.35)). Now we get the
same relation starting from a direct calculation:
We already know that: g µν = ηαβ
∂ξ α ∂ξ β
∂
to it:
; now we apply
µ
ν
∂x ∂x
∂x λ
α
∂g µν
∂ξ α ∂ 2ξ β
∂ 2ξ α ∂ξ β
∂ 2ξ α
λ ∂ξ
η
+
η
=
Γ
=
;
if
we
now
remember
that
, we
αβ
αβ
µν
∂x µ ∂x λ ∂xν
∂x λ
∂x λ ∂x µ ∂xν
∂x µ ∂xν
∂x λ
have:
α
α
∂g µν
∂ξ α
∂ξ β
ρ
ρ ∂ξ
ρ ∂ξ
= Γλµ ρ
ηαβ + Γλν µ
ηαβ = Γλµ
g ρν + Γλνρ g ρµ
ρ
ν
λ
∂x ∂x
∂x ∂x
∂x
Similarly, we also calculate
(2.39)
∂g µλ
∂g λν
and
, from which:
µ
∂x
∂xν
∂g µν ∂g λν ∂g µλ
k
; now, by defining a reciprocal matrix (or tensor) gνσ so that:
+ µ − ν = 2 g kν Γλµ
λ
∂x
∂x
∂x
gνσ g kν = δ kσ , we’ll have, therefore:
∂g
∂g
1
∂g
σ
Γλµ
= gνσ ( µνλ + λνµ − µλ
),
(2.40)
2
∂x
∂x
∂xν
which is exactly what we got in a purely geometrical context in Chapter 1.
Par. 2.8: The Newtonian limit.
r
r
We know that in the Newtonian limit (V<<c): dτ 2 = c 2 dt 2 − dx 2 = c 2 dt 2 − V 2 dt 2 ≅ c 2 dt 2
This is to say that V ì = dx i / dt ∝ dx i / dτ << dx 0 / dτ ∝ dx 0 / dt = d (ct ) / dt = c , that is,
indeed: dx i / dτ << dx 0 / dτ .
d 2xµ
dt
+ Γ00µ ( ) 2 = 0 (with the convention c=1); moreover, as, in this
So, (2.38) becomes:
2
dτ
dτ
limit, the field is stationary, g µν tends to η µν (const) and so the temporal derivatives of
g µν are zero, and so, according to (2.40):
1
∂g
1
∂h
Γ00µ = − g µν 00
e gαβ = ηαβ + hαβ , with hαβ << 1 and so: Γ00α = − η αβ 00β and:
ν
2
∂x
2
∂x
r
d 2 x 1 dt 2
= ( ) ∇h00 = 0 from which:
dτ 2 2 dτ
r
d 2x 1
= ∇h00 = 0 and
dt 2 2
d 2t
dt
= 0 from which:
=C.
2
dτ
dτ
(2.41)
r
r
mM
GM
Now, we know from Newton’s gravitation that: ma = −G 2 rˆ , from which: a = − 2 rˆ ,
r
r
2r
r d x
GM
GM
GM
but: 2 rˆ = ∇(−
) = ∇φ (con φ = −
) and so: a = 2 = −∇φ and from both this one
r
r
r
dt
and (2.41), we have: h00 = −2φ + const ; as at infinite: h00 = φ = 0 , then const=0 and:
g 00 = η00 + h00 = −1 − 2φ = −(1 + 2φ )
(2.42)
Poisson’s equation:
r
now, we define, with simplicity, the flux of the acceleration vector a :
r
r
r r
GM
GM
dS
Φ (a ) ; we have: dΦ(a ) = a ⋅ dS = − 2 rˆ ⋅ uˆdS = − 2 cosθdS = −GM 2n = −GMdΩ , from
r
r
r
which:
r
r r
Φ (a ) = ∫ a ⋅ dS = −GM ∫ dΩ = −4πGM , but: M = ∫ ρ ( x, y, z )dV , from which:
S
V
r r
r
r r
Φ (a ) = −4πG ∫ ρ ( x, y , z )dV = ∫ a ⋅ dS = for _ Theorem _ of _ Div. = ∫ ∇ ⋅ adV , that is:
V
S
V
r r
∇ ⋅ a = −4πGρ ( x, y, z )
r 1
r
rˆ
Now, as we know from mathematics that ∇( ) = − 2 , then: ∇φ = − a and so:
r
r
2
∆φ = ∇ φ = 4πGρ (Poisson’s Equation)
(2.43)
Par. 2.9: The Riemann-Christoffel Curvature Tensor.
1 νσ ∂g µν ∂gλν ∂g µλ
g ( λ + µ − ν ) , that is, exactly what we got at
∂x
2
∂x
∂x
Chapter 1, through (1.35), in a purely geometrical basis. Now, it could be possible, but a
bit boring, to deduct the form of the Riemamm-Christoffel curvature tensor through direct
calculations, purely mathematical, exactly like in Par. 2.7, but we would get exactly what
already obtained at Chapter. 1 with (1.41), here reported again, and obtained in a more
suitable geomertical basis and where we will use Greek letters for the indexes, to show
that here we are talking about gravitational fields with any intensity and also reminding
here that those indexes have four values each (space-time), three for space and one for
time:
σ
At Par. 2.7 we proved that Γλµ
=
λ
µνk
R
λ
∂Γµν
∂Γµλk
η
= (Γ ) − (Γ ) + Γ Γ − Γ Γ =
− ν + Γµν
Γkλη − Γµηk Γνηλ
k
∂x
∂x
λ
µν k
λ
µk ν
η
µν
λ
kη
η
λ
µk νη
(2.43)
σ
λσ
σ
and also Rµν
Rλµνk , from which, also: Rλµνk = g λσ Rµν
k = g
k and reminding the expression
(2.40) for Γabc :
∂g
∂g
∂g
∂g
∂g
∂g
1
∂
1
∂
g λσ k [ g σρ ( ρµ
+ ρνµ − µνρ )] − g λσ ν [ g σρ ( ρµk + ρµk − µρk )] +
ν
2
∂x
∂x
∂x
∂x
2
∂x
∂x
∂x
∂x
η
σ
η
σ
+ g λσ [Γµν Γkη − Γµk Γνη ]
(2.44)
σ
Rλµνk = g λσ Rµν
k =
Now, we know that g λσ g σρ = δ λρ , from which:
(2.39), that is, the following:
∂
( g λσ g σρ ) = 0 and so, also through
k
∂x
∂g ij
= g µj Γikµ + g µi Γαµk , we have:
k
∂u
∂ σρ
∂
g = − g σρ k g λσ = − g σρ (Γkηλ gησ + Γkησ gηλ )
(2.45)
k
∂x
∂x
where we have made a small rearranging of indexes, which have (those indexes) generic
values, that is, we don’t care if we use j or k; what’s important is that they can have all
four values, as we already know, and that their repetition is consistent.
g λσ
If we go back to (2.44), it becomes, through (2.45):
∂2 g
∂2 g
1 ∂2 g
∂2 g
σ
η
Rλµνk = [ k λνµ − k µνλ − ν λkµ + ν µkλ )] − [Γkηλ gησ + Γkησ gηλ ]Γµν
+ [Γνλη gησ + Γνσ
gηλ ]Γµσk +
2 ∂x ∂x
∂x ∂x
∂x ∂x
∂x ∂x
η
σ
+ g λσ [Γµν
Γkση − Γµηk Γνη
]
that is:
∂2 g
∂2 g
1 ∂2 g
∂2 g
σ
]
Rλµνk = [ k λνµ − k µνλ − ν λkµ + ν µkλ )] + gησ [Γνλη Γµσk − Γkηλ Γµν
2 ∂x ∂x
∂x ∂x
∂x ∂x
∂x ∂x
(2.46)
As already made at the end of Par. 1.3, we deduce three properties of the tensor Rλµνk ,
which are directly verifiable:
-Simmetry Rλµνk = Rνkλµ
-Antisimmetry Rλµνk = − Rµλνk = − Rλµkν = Rµλkν
-Cyclicity Rλµνk + Rλkµν + Rλνkµ = 0
The Ricci Tensor:
Rµk = g λν Rλµνk
( Rµk = Rkµ )
(2.47)
λν
λν
λν
and one can directly verify that : Rµk = − g Rµλνk = − g Rλµkν = + g Rµλkν
It’s then clear the strong relationship of such a tensor with the Gauss curvature (see
(1.40), bidimensional), from which its name curvature tensor, indeed.
The Bianchi’s Identity:
if we put ourselves in a locally inertial reference system (not strong gravitational field) all
Γabc are zero; in fact, the difference between the geodetic equation of an Euclidean space
(2.37) and that of a space strongly curved up by gravity, that is, the (2.38), is really the
presence of a Γabc . In a locally inertial coordinate system, therefore, (2.46) yields
∂
(derivation ;η expressed by the presence of η ):
∂x
2
2
2
2
∂ g
∂ g
1 ∂ ∂ g λν
∂ g
Rλµνk ;η =
[ k µ − k µνλ − ν λkµ + ν µkλ )]
(2.48)
η
2 ∂x ∂x ∂x
∂x ∂x
∂x ∂x
∂x ∂x
and so, by direct verification, we have:
Rλµνk ;η + Rλµην ; k + Rλµkη ;ν = 0
By contracting (by multiplying with), in the above equation, λ,ν with g λν , we have:
Rµk ;η − Rµη ; k + Rνµkη ;ν = 0 and by contracting again:
R;η − Rηµ; µ − Rην ;ν = 0 which is the same as to say also that (the last two terms are similar:
2x >>> 1/2):
1
( Rηµ − δηµ R); µ = 0 and
2
( R µν −
1 µν
g R ); µ = 0
2
(2.49)
Chapter 3: The Einstein’s Equations of the Gravitational Field.
Par. 3.1: The ten Einstein’s Equations of the Gravitational Field.
They are 16 equations, actually, as they contain rank 2 tensors, that is, with two indexes
each, and everyone of them can have 4 values, and so 4x4=16, but such equations are
not all linearly independent among them, that is, there are doubles, and the independent
ones are ten, indeed.
We know from (2.42) that g 00 = −(1 + 2φ ) (contact point with Newton’s theory and starting
base), while from (2.36) we know that, for non relativistic matter: T00 = ρc 2 = ρ (with
normalization c=1); we also have that:
∆g 00 = ∇ 2 g 00 = ∇ 2[−(1 + 2φ )] = −2∇ 2φ = −8πGρ = −8πGT00 , that is:
∇ 2 g 00 = −8πGT00 ; so we can suppose, out of extension, that the following equality holds:
Gαβ = −8πGTαβ and for gravitational fields of any intensity:
Gµν = −8πGTµν
Let’s deduce, now, five peculiarities Gµν must have:
A)by definition, Gµν is a tensor, as the momentum-energy tensor Tµν is
B) Gµν is consisting of terms with second derivatives of the metric tensor (just look at
∇ 2 g 00 )
C) Gµν is symmetric, as well as Tµν
D)as Tµν is conserved ( Tµν ; µ = 0 ), then Gµν and similars are, as well ( Gνµ; µ = 0 )
E)for weak stationary fields, non relativistic ones, we have Gµν = ∇ 2 g 00
A and B say that Gµν is proportional to the curvature tensor (2.46), or better to (2.48),
clearly made of second derivatives of the metric tensor.
Moreover, the symmetry of indexes wants that the curvature tensor is represented by the
Ricci tensor Rµk = Rkµ and by the symmetric, as well, R = Rµµ (see the paragraph on the
Ricci tensor):
Gµν = C1Rµν + C2 g µν R
(3.1)
but, through (2.49), we have also seen that:
1
1
1
( Rνµ − δνµ R); µ = 0 , from which: Rνµ; µ = δνµ R; µ = R;ν ; now, multiply (3.1) by g µµ :
2
2
2
C
C
Gνµ = C1Rνµ + C2 Rgνµ and Gνµ; µ = C1 Rνµ; µ + C2 R;ν = 1 R;ν + C2 R;ν = ( 1 + C2 ) R;ν
2
2
C
For the peculiarity D, C2 = − 1 or R;ν = 0 ; the second one must be rejected, as:
2
µ
µν
Gµ = (C1 + g µν g C2 ) R = (C1 + 4C2 ) R = −8πGTµµ , and so, if R;ν = ∂R ∂xν becomes zero, the
same must happen to ∂Tµµ ∂xν , but now we aren’t yet in the case of non relativistic
matter.
1
g µν R)
(3.2)
2
Now, because of the peculiarity E, we figure out C1: for non relativistic systems, we always
have:
1
Tij << T00 , that is: Gij << G00 , from which, for the above (3.2): Rij ≅ gij R ; moreover,
2
3
R
gαβ ≅ ηαβ (Minkowski’s tensor) and so: Rkk ≅ R and R00 ≅
.
2
2
(3.2) with µ =ν = 0 ( g 00 ≅ η00 ) yields:
1
G00 = C1 ( R00 − (−1)2 R00 ) = 2C1R00 ; moreover, in case of weak fields, we can say (see
2
c
(2.46) with Γab =0 or directly (2.48)):
Therefore: Gµν = C1 ( Rµν −
∂ 2 g µk
∂ 2 g µν
1 ∂ 2 g λν
∂ 2 g λk
Rλµνk = [ k µ − k λ − ν µ + ν λ )] and Rµk = η λν Rλµνk ; being the field static, the
2 ∂x ∂x
∂x ∂x
∂x ∂x
∂x ∂x
temporal derivatives are zero:
∂2 g
∂2 g
1
1
1
1
R00 = η λν Rλ 0ν 0 = η λν ( ν 00λ ) = η ij ( i 00j ) − η 00 0 = ∇ 2 g 00 , from which:
2
∂x ∂x
2
∂x ∂x
2
2
1 2
1
G00 = 2C1 ∇ g 00 = C1∇ 2 g 00 , from which ( C1 = 1 ) Gµν = Rµν − g µν R and so:
2
2
1
Rµν − g µν R = −8πGTµν
(3.3)
2
which are the Einstein’s equations of the gravitational field, and we rewrite them:
1
Rµν − g µν R = −8πGTµν
2
which tell us that the curvature ( ∝ Rµν , R ) of the space-time is equal to the presence of
matter-energy ( ∝ Tµν ) in it!!!
Now, by contracting with g µν , we have: R − 2 R = −8πGTµµ , that is: R = 8πGTµµ and so:
1
g µν Tλλ ) (another form for the Einstein’s equations).
2
In the vacuum, f(T)=0 and so Rµν = 0 .
Rµν = −8πG (Tµν −
Chapter 4: Classic tests of Einstein’s theory.
Par. 4.1: The metric.
We still have c=1, as a simplifying convention. Now, we define a general metric tensor
through which a gravitational field is static and isotropic; static means that the metric
tensor does not depend on time, about its form and its characteristics, with a clear
reference to its coefficients. Isotropic means that there is a dependance from the
irrotational invariants; in fact, we know that the norm of a vector and the scalar product
between two vectors are invariant for rotations:
r
r2
r
r r
x 2 = x , (dx ) 2 , x ⋅ dx
All this for orthogonal coordinates almost Minkowskian (almost ηαβ )
dτ 2 = − g µν dx µ dxν , dτ 2 = F (r )dt 2 − 2 E (r )dtx ⋅ dx − D (r )( x ⋅ dx) 2 − C (r )dx 2
r r
r = ( x ⋅ x )1 / 2 and in spherical coordinates:
X3
{
x1 = r sin θ cosϕ
x2 = r sin θ sin ϕ
x3 = r cosθ
z
P(r, θ, φ)
(4.1)
r sin θdϕ
θ
r
r
X2
x1
x
dr
rdθ
φ
dτ 2 = F (r )dt 2 − 2rE (r )dtdr − r 2 D(r )(dr ) 2 − C (r )(dr 2 + r 2 dθ 2 + r 2 sin 2 θdϕ 2 )
Now, we define the linear application t ' = t + φ (r ) and get rid of the non diagonal elements
(combined) by putting:
dφ
rE (r )
=−
; there exists a linear rototranslation/application which reduces to a canonical
dr
F (r )
form the above quadratic form:
dτ 2 = F (r )dt '2 −G (r )dr 2 − C (r )(dr 2 + r 2 dθ 2 + r 2 sin 2 θdϕ 2 ) , with:
E 2 (r )
)
F (r )
Let’s define r '2 = C (r )r 2 ; then, we get the standard form:
dτ 2 = B(r ' )dt '2 − A(r ' )dr '2 − r '2 (dθ 2 + sin 2 θdϕ 2 )
(4.2)
C (r )
r dC (r ) − 2
)(1 +
)
with B(r ' ) = F (r ) A(r ' ) = (1 +
G (r )
2C (r ) dr
We are now interested in the standard form (4.2):
dτ 2 = B(r )dt 2 − A(r )dr 2 − r 2 (dθ 2 + sin 2 θdϕ 2 ) and through a comparison with the general
expression of the metric (2.9), we get: g rr = A(r ) , gθθ = r 2 , gϕϕ = r 2 sin 2 θ , g tt = − B(r )
G ( r ) = r 2 ( D( r ) +
and as g µν is orthogonal, we have that: g rr = A−1 (r )
,
g θθ = r −2 ,
g ϕϕ = r −2 sin −2 θ
,
g tt = − B −1 (r ) .
λ
=
Then, as we know that according to (2.40): Γµν
1 λρ ∂g ρµ ∂g ρν ∂g µν
g ( ν + µ − ρ ) , it comes out
2
∂x
∂x
∂x
that the only non zero quantities are:
1 dA(r )
r
1 dB(r )
r sin 2 θ
1
r
Γrrr =
, Γϕϕ
=−
, Γttr =
, Γθθr = −
, Γrθθ = Γθθr = ,
2 A(r ) dr
A(r )
A(r )
2 A(r ) dr
r
1 dB(r )
1
θ
ϕ
ϕ
Γϕϕ
= − sin θ cosθ , Γrϕϕ = Γϕϕr = , Γθϕ
= Γϕθ
= cot θ , Γtrt = Γrtt =
.
2 B(r ) dr
r
λ
of the (2.43)):
Now, we calculate the Ricci tensor ( λ = ν in Rµνk
λ
λ
∂Γµλ
∂Γµλ
∂Γµλk
η
λ
η
λ
Rµk =
− λ + Γµλ Γkη − Γµk Γλη and we remind that
is symmetric over µ and k ,
∂x k
∂x
∂x k
also by a direct verification; therefore, we totally have:
Rrr =
B' ' (r ) 1 B' (r ) A' (r ) B' (r ) 1 A' (r )
)−
)(
− (
+
2 B(r ) 4 B(r ) A(r ) B(r )
r A(r )
Rθθ = −1 +
1
r
A' (r ) B' (r )
)+
(−
+
2 A(r ) A(r ) B(r )
A(r )
Rϕϕ = sin 2 θ ⋅ Rθθ , Rtt = −
B' ' (r ) 1 B' (r ) A' (r ) B' (r ) 1 B' (r )
)−
)(
+ (
+
, Rµν = 0 for µ ≠ ν .
2 A(r ) 4 A(r ) A(r ) B(r )
r A(r )
Par. 4.2: The Schwarschild’s Solution.
We already know that: dτ 2 = B(r )dt 2 − A(r )dr 2 − r 2 dθ 2 − r 2 sin 2 θdϕ 2
Moreover, in the vacuum Rµν = 0 , so:
Rrr = Rθθ = Rtt = 0 ;
moreover, we notice that:
Rrr Rtt
1 A' B'
A'
B'
+
= − ( + ) and for the (4.3), we have: = − , that is:
A
B
rA A B
A
B
(4.3)
A(r ) B(r ) = const .
(4.4)
Then, for r → ∞ , the metric tensor g µν must get close to the Minkowski’s tensor η µν in
spherical coordinates, that is: lim r → ∞ A(r ) = lim r →∞ B(r ) = 1 , from which, for the (4.4):
1
A(r ) =
and by using this one in the expressions for Rθθ and Rrr , we have:
B(r )
B' ' (r ) B' (r ) R'θθ (r )
+
=
Rθθ = −1 + B' (r )r + B(r ) and Rrr =
; by putting Rθθ = 0 , we have:
2 B(r ) rB(r ) 2rB (r )
d
rB(r ) = rB ' (r ) + B(r ) = 1 , from which: rB(r ) = r + const .
dr
GM
Moreover, for r → ∞ : g tt = g 00 = − B = −1 − 2φ → ( φ = −
)→
r
2GM
2GM −1
B(r ) = [1 −
] and A(r ) = [1 −
] and so, finally:
r
r
2GM 2
2GM −1 2
dτ 2 = [1 −
]dt − [1 −
] dr − r 2 dθ 2 − r 2 sin 2 θdϕ 2
(4.5)
r
r
(Schwarschild’s solution)
Par. 4.3: The general equations of motion.
We know that dτ 2 = B(r )dt 2 − A(r )dr 2 − r 2 dθ 2 − r 2 sin 2 θdϕ 2 and we also consider the
geodetic equation (2.38):
ν
λ
d 2 xµ
ν dx dx
+
Γ
= 0 (in p generic, for the moment): we have,
νλ
dp 2
dp dp
by making µ change:
0=
d 2 r A' (r ) dr 2
r dθ 2 r sin 2 θ dϕ 2 B' (r ) dt 2
+
(
)
−
( ) −
( ) +
( )
dp 2 2 A(r ) dp
A(r ) dp
A(r ) dp
2 A(r ) dp
(4.6)
0=
d 2θ 2 dθ dr
dϕ
+
− sin θ cosθ ( ) 2
2
dp
r dp dp
dp
(4.7)
0=
d 2ϕ 2 dϕ dr
dϕ dθ
+
+ 2 cot θ
2
dp
r dp dp
dp dp
(4.8)
0=
d 2t B ' (r ) dt dr
+
dp 2 B(r ) dp dp
(4.9)
Now, as the field is isotropic, we put θ = π 2 and so the last two equations, (4.8) and
(4.9), becomes:
d
dϕ
d
dt
[ln
+ ln r 2 ] = 0 and
[ln
+ ln B] = 0 , from which:
dp
dp
dp dp
dϕ
r2
= J (constant)
(4.10)
dp
dt
B = const (=1, by choice)
(4.11)
dp
dt 1
=
. Now, by putting (4.10), (4.11) and the condition ( θ = π 2 ) used
from which:
dp B
before, in the (4.6), we’ll have:
dr
d 2 r A' (r ) dr 2
J2
B' (r )
+
and by multiplying, now, by 2 A(r )
0= 2 +
( ) − 3
:
2
dp
r A(r ) 2 A(r ) B (r )
2 A(r ) dp
dp
d
dr
J2
1
[ A(r )( )2 + 2 −
] = 0 that is:
dp
dp
r
B (r )
dr 2 J 2
1
(4.12)
) + 2 −
= − E (constant)
dp
r
B(r )
If now we make a system with the equations ( θ = π 2 ) just used, then the (4.10), (4.11)
and (4.12), we get:
dτ 2 = Edp 2
(4.13)
We know that E=0 for photons and E>0 for material particles.
As A(r) is always positive, we have that the particle can reach r only if (see (4.12)):
J2
1
+E≤−
. Then, by using (4.11) in (4.10), (4.12) and (4.13), we get:
2
r
B(r )
dϕ
r2
= JB(r )
(4.14)
dt
A(r ) dr 2 J 2
1
( ) + 2 −
= −E
(4.15)
2
B (r ) dt
r
B(r )
and dτ 2 = EB 2 (r )dt 2
(4.16)
dϕ
Now we know that, for weak fields: B − 1 = 2φ → r 2
= J and
dt
1 dr 2 J 2
1− E
( ) + 2 +φ ≅
(4.17)
2 dt
2r
2
1
1
=−
≅ ( forTaylor ) ≅ −(1 − 2φ )
as: −
B(r )
1 + 2φ
(4.17) has got a similar correspondance in Newton’s classic mechanics.
A(r )(
For general orbits, r=r(φ); then, we know that:
{
r2
dϕ
=J
dp
dr 2 J 2
1
A(r )( ) + 2 −
= −E
dp
r
B(r )
if we get rid of dp, we have:
A(r ) dr 2 1
1
E
( ) + 2− 2
=− 2 ,
4
r
dϕ
r
J B(r )
J
(4.18)
whose solution is:
A1 / 2 (r )dr
ϕ = ±∫
1
E
1
r2( 2
− 2 − 2 )1 / 2
J B(r ) J
r
(4.19)
Par. 4.4: The deflection of light by the Sun.
ϕ (∞)
0
RS
r
ϕ (r )
0
r0
γ
b
Δφ
Fig. 4.1: The deflection of light by the Sun.
RS = RSun ; b is the collision parameter. At the infinite, b = r sin(ϕ − ϕ∞ ) ≅ r (ϕ − ϕ∞ ) and:
d
dr
− V = r cos(ϕ − ϕ ∞ ) ≅
; V is the motion speed (constant). As at the infinite A=B=1, if
dt
dt
we put these two equations in (4.14) and (4.15), we have:
J = bV and
E =1−V 2
(4.21) is trivial; in order to get the (4.20), we see that:
(4.20)
(4.21)
dϕ
dr
= − (ϕ − ϕ∞ )r = bV = J
dt
dt
1
− 1 + V 2 )1 / 2 and
For r = r0 we have that dr / dϕ = 0 and (4.18) then becomes: J = r0 (
B(r0 )
(4.19) becomes, after an easy calculation:
b ≅ r (ϕ − ϕ ∞ ) , from which: 0 = dr (ϕ − ϕ ∞ ) + rdϕ , and so: r 2
ϕ ( r ) = ϕ (∞ ) + ∫
∞
r
A1 / 2 (r )dr
1 1
1
1
r 2[ 2 (
− 1 + V 2 )(
− 1 + V 2 )−1 − 2 ]1 / 2
r0 B(r )
B(r0 )
r
(4.22)
The total variation of φ is: 2 ϕ (r0 ) − ϕ∞ , while, if the ray of light walked unperturbed, we
would have a variation of π , so, with reference to Fig. 4.1, we have: ∆ϕ = 2 ϕ (r0 ) − ϕ ∞ − π ;
for a photon, V 2 = 1 and (4.22) yields:
∞
−
1
2 dr
r
B(r )
ϕ (r ) − ϕ (∞) = ∫ A (r )[( ) 2 ( 0 ) − 1]
r
r0
B (r )
r
Now, by using the (Taylor’s) developments due to Robertson:
1/ 2
(4.23)
GM
GM
+ .... , B(r ) = 1 − 2
+ .... , we have:
r
r
GM
1− 2
+ ....
1 1
r
r 2 B(r0 )
r 2
r0
) −1 = ( ) [
( ) (
] − 1 = ( ) 2[1 + 2GM ( − ) + ...] − 1 ≅
r0
r r0
r0
B( r )
r0 1 − 2 GM + ....
r
(r − r )
2GMr
r
r
r
≅ [( )2 + ( )2 2GM 0
− 1] = [( ) 2 − 1][1 −
+ ...]
rr0
r0
r0 (r + r0 )
r0
r0
A(r ) = 1 + 2
The last equality can be directly verified.
(4.23) becomes, for Taylor:
(in order to solve the first two integrals, put
the integral will be
ϕ ( r ) − ϕ (∞) = ∫
∞
r
r0
r
= cos x , while for the third, put 0 = t and
r
r
1− t
)
1+ t
−
1
2
1 r
GM
GMr
A (r ) [( ) 2 − 1] [1 +
+
+ ....]dr that is:
r r0
r
r0 (r + r0 )
1/ 2
1st
Int.
2nd
Int.
3rd
Int.
r
GM
r
r − r0
ϕ (r ) − ϕ (∞) = sin −1 ( 0 ) +
[1 + 1 − 1 − ( 0 ) 2 −
] + ... and so:
r
r0
r
r + r0
∆ϕ =
4GM
4GM
, and if we remind our normalization (c=1), we finally have: ∆ϕ =
; with
r0
r0c 2
r0 = RS = 6,95 ⋅ 108 m and M S = 1,97 ⋅ 1030 kg , we have:
∆ϕ = 1,75' ' , in perfect agreement with experimental results. In reality, when in 1919 the
deflection of star light by the Sun was measured in Brazil, during an eclipse, the accuracy
of the measurement was as big as the measure itself.
Par. 4.5: An alternative calculation of the deflection, with profiles of antagonism to
GTR.
This method (Firk) is based on the variation of velocity the light undergoes when it
approaches a mass; for this reason I see profiles of antagonism to pure GTR. Then, there
exsist also other methods, more or less similar, based on such a supposition (for instance
Wåhlin) and it seems that, if we take into account the smallest cyphers after the point,
those results are even more similar to experimental values.
First of all, we remind that, according to Schwarzschild (see, for instance, (4.5)):
dτ 2 = B(r )dt 2 − A(r )dr 2 − r 2dθ 2 − r 2 sin 2 θdϕ 2 ;
(4.24)
r 2
r 2
2
2
2
Then, we know that, in general: dτ = c (dt ) − (dx ) and as, for a photon, (dx ) = c 2 (dt ) 2 ,
we have: dτ 2 = 0 , from which, for the (4.24):
0 = B(r )dt 2 − A(r )dr 2 − r 2 dθ 2 − r 2 sin 2 θdϕ 2 ; moreover, if we consider light radially travelling
towards the Sun, we can get rid of the components in dθ and dϕ :
0 = B(r )dt 2 − A(r )dr 2 ;
(4.25)
The speed of light is c = dr dt far from the mass of the Sun, while, close to it, the (4.25)
holds, from which we get:
V = dr dt = c( B(r ) A(r ))1 / 2 ≠ c ;
From Par. 4.2, we have the values for A(r) and B(r), in which, during calculations, we do
not forget that now c=1 does not hold anymore; therefore:
2GM
2GM −1
2GM
B(r ) = [1 −
] e A(r ) = [1 −
] ≅ [1 +
]
2
2
rc
rc
rc 2
2GM
From the developments on the variable
, we easily have that:
rc 2
2GM
2GM 1 / 2
2GM
2GM
2GM
2GM
V c = ([1 −
] [1 +
]) ≅ [1 −
][1 −
] ≅ [1 −
] , that is: V ≅ c[1 −
]
2
2
2
2
2
rc
rc
2rc
2rc
rc
rc 2
V ≅c
V ≅c
Deflection angle
Wavefront
V <c
V ≅c
Sun
Fig. 4.2: The velocities of the wavefronts.
With reference to Figure 4.2, the part of wavefront wich is farther from the mass M has
speed c, while the closer one has speed V < c .
y
dx’=V’dt
x
dy
dx=Vdt
Plane waves
of light
y
r
y=0
R
Sun (M)
x
Fig. 4.3: Drawing for calculations.
Now, with reference to Figure 4.3, we have:
r 2 = ( y + R)2 + x 2 (eq. of a circle);
(4.26)
now, we apply the operator ∂ ∂y to (4.26), so having:
2r (∂r ∂y ) = 2( y + R) , from which: ∂r ∂y = ( y + R) / r and on the surface of the mass M:
∂r ∂y y →0 = R r
Now:
∂V
∂y
∂V ∂r ∂V ∂r ∂
2GM
2GM ∂r
=
=
(c[1 −
]) = 2
, from which:
2
∂y ∂y ∂r ∂y ∂r
rc
r c ∂y
=
y →0
2GM ∂r
r 2c ∂y
=
y →0
2GM R 2GMR
=
.
r 2c r
r 3c
Now, we calculate the difference between the paths dx and dx’ of wavefronts at a vertical
distance y and y+dy, at which light has got velocities V and V’ respectively:
dx’=V’dt and dx=Vdt, from which:
dx’- dx =V’dt-Vdt=dt(V’-V) ;
(4.27)
moreover, we have, for Taylor: V ' = V + (∂V ∂y )dy , that is: V '−V = (∂V ∂y )dy and (4.27)
becomes:
dx'−dx = (∂V ∂y )dydt
(4.28)
Then, still from Figure 4.3 and from (4.28), we have:
dα = (dx '− dx ) dy = (∂V ∂y )dt = (∂V ∂y ) dx V .
The total deflection ∆α from − ∞ and + ∞ is, by considering that, in such a range, V is
almost always equal to c (except for when it’s right close to M):
+∞
1
1 +∞
(∂V ∂y )dx ≅ ∫ (∂V ∂y )dx and, close to the surface of M (y=0):
−∞ V
c −∞
∆α = ∫ dα = ∫
−∞
+∞
1 + ∞ 2GMR
2GMR + ∞
dx
2GMR
x
∆α = ∫
dx =
=
3
2
2
2 3/ 2
2
2
2
∫
−
∞
−
∞
c
rc
c
(R + x )
c
R ( R + x 2 )1 / 2
+∞
=
−∞
2GMR 2
⋅ 2 , that is:
c2
R
4GM
∆α =
= 1,75' ' , right what we got in Par. 4.4!!!
Rc 2
Par. 4.6: The precession of the perihelion of planets.
a
a 1 − e2
r-
r+
e⋅a
a focus=Sun
Fig. 4.4: The precession of the perihelion of Mercury.
For planets, and in particular for Mercury, through centuries, we notice that the perihelion
moves.
dr
= 0 . Then, we already know that (see (4.18)):
dϕ
A(r ) dr 2 1
1
E
1
1
E
( ) + 2− 2
= − 2 ; this one, in r+ e r− , becomes: 2 − 2
=− 2 ,
4
r
dϕ
r
J B(r )
J
r± J B(r± )
J
In r+ e r− , we have that
1
1
r+2
r2
−
− −
B(r+ ) B(r− )
B(r+ ) B(r− )
from which: E =
and J 2 =
2
2
1 1
r+ − r−
−
r+2 r−2
We have: ϕ (r ) = ϕ (r− ) + ∫
r
r−
r
ϕ (r ) − ϕ (r− ) = ∫ [
r−
(4.29)
A1 / 2 (r )dr
, from which, for (4.29), we have:
1
1
E
r 2[ 2
− 2 − 2 ]1 / 2
J B(r ) J
r
r−2 [ B −1 (r ) − B −1 (r− )] − r+2 [ B −1 (r ) − B −1 (r+ )] 1 −1 / 2 1 / 2
− 2 ] A (r )r − 2 dr
−1
−1
2 2
r+ r− [ B (r+ ) − B (r− )]
r
(4.30)
The total variation of φ is: ∆ϕ = 2 ϕ (r+ ) − ϕ (r− ) . If we did not have any precession, we
would have:
2 π = 2π . The precession of the orbit is: ∆ϕ = 2 ϕ (r+ ) − ϕ (r− ) − 2π .
We remind the Robertson’s developments on pag. 39:
GM
GM
A(r ) = 1 + 2
+ .... , B(r ) = 1 − 2
+ ....
r
r
We need a 2nd order development for B −1 , otherwise, in (4.30), B doesn’t yield anything
1
∝ 2 . For B −1 (r ) we then have:
r
GM
G 2M 2
+ 4 2 + .... .
B −1 ( r ) ≅ 1 + 2
r
r
1
Through such developments, the root in (4.30) can reduce to a quadratic form in
;
r
anyway, we can notice that such a quantity cancels for r = r± , therefore:
r−2 [ B −1 (r ) − B −1 (r− )] − r+2 [ B −1 (r ) − B −1 (r+ )] 1
1 1 1 1
− 2 = C ( − )( − )
2 2
−1
−1
r+ r− [ B (r+ ) − B (r− )]
r
r− r r r+
C can be calculated by executing the lim r → ∞ :
R=
r+2 [1 − B −1 (r+ )] − r−2 [1 − B −1 (r− )]
; now, by factoring on both numerator and denominator:
r+ r− [ B −1 (r+ ) − B −1 (r− )]
1 1
2(r− − r+ ) MG , we get: C ≅ 1 − 2MG ( + ) ; with such results in (4.30), we get:
r+ r−
GM
[1 +
]dr
1 1 r
r
ϕ (r ) − ϕ (r− ) ≅ ......... ≅ [1 + MG( + )]∫
; now, we define:
r+ r− r− r 2 [( 1 − 1 )( 1 − 1 )]1 / 2
r− r r r+
1 1 1 1
1 1 1
= ( + ) + ( − ) sin Ψ
(4.31)
r 2 r+ r−
2 r+ r−
we get: ( r = r− → Ψ = − π 2 ); moreover, we just get dr as a function of dΨ in (56.1) and
make a replacement in the integral in dr:
C=
π
1 1
1 1
1
3
ϕ (r ) − ϕ (r− ) ≅ ......... ≅ [1 + MG ( + )][Ψ + ] − MG( − ) cos Ψ .
2
2 2
r+ r−
r+ r−
For the (4.31), at the aphelion, Ψ = π 2 , so: ∆ϕ = 2 ϕ (r+ ) − ϕ (r− ) − 2π = (
where L =
6πMG
) [rad/rev]
L
1 1 1
( + ) (straight semiside).
2 r+ r−
Now, as we know that r± = (1 ± e)a and L = (1 − e 2 )a (see note (**) below), we have:
6πMG
∆ϕ = (
) and, if we do not forget our initial normalization (c=1), we have:
L
6πMG
∆ϕ = (
) ; for Mercury, L = 55,3 ⋅ 109 m , from which ∆ϕ = 0,1038' ' . Now, as in a century
2
Lc
Mercury makes 415 revolutions, we have ∆ϕcentury = 43,03' ' , in perfect agreement with
experimental measurements, as the very first measurements on Mercury started in 1765,
and Clemence, in 1943, calculated:
∆ϕ = 43,11' '±0,45' ' .
---------------------------(**): some considerations on the ellipse:
y=directrix
P(x,y)
x
Focus=(p,0)
Fig. 4.5: The Ellipse.
we have, by the definition of ellipse, that: d(P,F)=ed(P,d), where e is the eccentricity and
d is the directrix. Therefore: ( x − p )2 + y 2 = e 2 x 2 , from which (1 − e 2 ) x 2 + y 2 − 2 px + p 2 = 0 ;
through easy calculations, we get that, for 0<e<1,
x2 y 2
+
= 1 , with a = pe /(1 − e 2 ) and b = a 1 − e 2 , but we also know that b = a 2 − c 2 (by
a 2 b2
the definition of ellipse), so, by comparison: a ⋅ e = c .
Then, if we also take into consideration the other focus, we have: d(P,F)+
d(P,F’)=const=2a; in fact: d(P,F)=ed(P,d) and d(P,F’)=ed(P,d’)
and
d(P,F)+
d(P,F’)=e[d(P,d)+ d(P,d’)]=constant, of course (by simmetry).
----------------------------
Appendixes:
App. 1: The Special Theory Of Relativity.
Contents of App. 1:
-Contents of App. 1.
- App.1-Introduction.
Page.1
Page.1
-App.1-Chapter 1: Fundamental introductory concepts.
App.1-Par. 1.1 Galilean transformations.
App.1-Par. 1.2: The (Relativistic) Lorentz Transformations.
App.1-Par. 1.3: The contraction of length, or of Lorentz.
App.1-Par. 1.4: Time dilation (Twin Paradox).
App.1-Par. 1.5: The four-vector position.
App.1-Par. 1.6: Relativistic Law of Transformation of Velocities.
App.1-Par. 1.7: The Proper Time dτ of a particle.
Page.3
Page.3
Page.3
Page.5
Page.6
Page.6
Page.7
Page.8
-App.1-Chapter 2: The relativity of energies.
App.1-Par. 2.1: The momentum-energy four-vector (or linear momentum).
App.1-Par. 2.2: The velocity four-vector.
App.1-Par. 2.3: The four-force.
App.1-Par. 2.4: E0=m0c2.
App.1-Par. 2.5: Relativistic kinetic Energy.
Page.8
Page.8
Page.9
Page.9
Page.10
Page.11
-App.1-Chapter 3: Relativistic phenomena.
App.1-Par. 3.1: Time and gravity: gravity slows down the time!
App.1-Par. 3.2: Volume of moving solids.
App.1-Par. 3.3: The equation of waves, or of D’Alembert, holds in every inertial reference system.
App.1-Par. 3.4: The Fizeau experiment.
App.1-Par. 3.5: Relativistic Doppler Effect (longitudinal).
App.1-Par. 3.6: The Twin Paradox explained by the Relativistic Doppler Effect!
App.1-Par. 3.7: The Michelson and Morley experiment.
Page.11
Page.11
Page.11
Page.12
Page.12
Page.13
Page.14
Page.15
-App.1-Chapter 4: Relativistic Electrodynamics.
App.1-Par. 4.1: Magnetic force is simply a Coulomb’s electric force(!).
App.1-Par. 4.2: The Current Density four-vector.
App.1-Par. 4.3: The Electromagnetic Field Tensor.
Page.16
Page.16
Page.19
Page.19
- App.1-SUBAPPENDXES:
App.1-Subapp. 1: Lorentz Transformations in succession.
App.1- Subapp. 2: Transversal (relativistic) Doppler Effect.
App.1- Subapp. 3: The Transformations of the four-velocity.
App.1- Subapp. 4: The transformations of the four-force.
App.1- Subapp. 5: The acceleration four-vector and the transformations of the acceleration.
App.1- Subapp. 6: As I see the Universe (Unification Gravity Electromagnetism).
Page.21
Page.21
Page.22
Page.24
Page.24
Page.25
Page.26
App.1-Introduction:
Time is just the name which has been assigned to a mathematical ratio relation between two different spaces; when I
say that in order to go from home to my job place it takes half an hour, I just say that the space from home to my job
place corresponds to the space of half a clock circumference run by the hand of minutes. In my own opinion, no
mysterious or spatially four-dimensional stuff, as proposed by the STR (Special Theory of Relativity). On the contrary, on
a mathematical basis, time can be considered as the fourth dimension, as well as temperature can be the fifth and so
on. The speed of light (c=299.792,458 km/s) is an upper speed limit, but neither by an unexplainable mystery, nor by a
principle, as asserted in the STR and also by Einstein himself, but rather because (and still in my opinion) a body cannot
move randomly in the Universe where it’s free falling with speed c, as it’s linked to all the Universe around, as if the
Universe were a spider’s web that when the trapped fly tries to move, the web affects that movement and as much as
those movements are wide (v~c), that is, just to stick to the web example, if the trapped fly just wants to move a wing,
it can do that almost freely (v<<c), while, on the contrary, if it really wants to fly widely from one side to the other on
the web (v~c), the spider’s web resistance becomes high (mass which tends to infinite etc). On this purpose, see
Appendix 2.
Anyway, Einstein’s theory is formally founded on two principles:
-Principle of di Relativity: laws of phisics have the same form in all inertial systems (i.e. at relative movement with a
constant speed); as it doesn’t make any sense an absolute movement with respect to a standing ether which does not
exist (see Par. 3.7) all reference systems are equal laboratories to verify in all laws of physics; so there aren’t any
privileged reference sysyems (except for, in my opinion, that of the center of mass of the Universe).
Anyway, the Michelson and Morley experiment (App.1-Par. 3.7) represented the end of the ether and opened the doors
to STR.
-Principle of Constancy of the Speed of Light: the speed of light in vacuum has always the same value c=300.000 km/s.
Therefore, no matter if you chase it at 299.000 km/s of if you run away from it still with that speed; light in vacuum will
run away or chase you still at 300.000 km/s! (c=299.792,458 km/s)
In the opinion of the writer, there is something like a contradiction in the STR; the speed of light seems to be an
“absolute” object, indeed, and not “relative”, as we are here talking about “relativity”. The point here is that speeds
among objects in the Universe are relative with respect to themselves, but there is an absolute (or almost) speed c with
which all objects in the Universe fall towards the centre of mass of it; from this the absolute essence of c. And here
there is also an explanation of the reason why objects at rest have energy m0c2 (App.1-Par. 2.4), energy given to matter
at rest by Einstein, unfortunately without telling us that such a matter is never at rest, as it’s free falling with speed c
towards the center of mass of the Universe, as chance would have it. On this purpose, see my complete personal
opinion in Appendix 2.
If a common man hears the speed of light is the same everywhere and for everybody (all inertial observers), even when
they have relative movements at constant speed, nothing happens. On the contrary, if it’s heard by a particular man like
Einstein, what he can understand from that can be surprising. The following simple experiment, made by a light clock on
a space ship, shows that the fact that the speed of light is c for “everybody” implies that time is relative, from which the
Twin Paradox comes (App.1-Par. 1.4) etc:
counter
00:01
00:02
light source
00:02
V
V
ct
ct’
ct’
Vt
mirror
Fig. A1: Light clock not moving.
Fig. A2: Light clock moving at speed V.
As you can see in Fig. A1, every time light (blue arrows) goes from source to mirror and back, the light clock says, for
instance, one second, or a certain time t’. The path in blue shown in Fig. A1 is seen by those who are not moving with
respect to the clock, i.e. by who is on the space ship with the clock itself. On the contrary, those who are on the Earth
and see the clock moving on the ship, will see the light travelling diagonally longer paths, as shown in Fig. A2, as the
mirror moves while the light goes downwards, and the source moves, too, when the light goes back upwards. Now, as
we are talking about light, the behaviour of it during its going downwards is not like that of a suitcase falling from the
luggage compartment of a railway wagon, which is seen to fall vertically by the passenger on it and by a parabolic
trajectory by the observers not moving, on the platform at the station, so taking the same time for both of them, as in
the latter case (parabolic) the falling speed is higher; we are here talking about light, therefore its speed must be the
same for all, and c; but if it’s so, then those who see the longer diagonal path must say that time taken by light to go
down and up must be longer. Therefore, despite we’re talking about just one clock and one event, those two observers
come to different results, so to the relativity of time and to all its implications.
Using the Pithagorean Theorem on the triangle in Fig. A2, we have:
c t = c t ' +V t
2 2
2 2
2 2
, from which:
V2
t'= t 1 − 2
c
and so, in general:
t'< t
and t’ tends to zero when V tends to c!
I remind you that t’ is the time of the astronaut who is travelling with the clock, while t is the time elapsed on the Earth.
If all this is true for the fastest thing (light), then it’s also true for standard hands clocks and also for the biologic ones
(living beings)! In the seventies, by using very sensitive atomic clocks, they proved the time dilation on the Earth,
between two atomic clocks which were synchronized, at the beginning, after that one of them flew on a plane,
underwenting a slight, but well felt, time dilation.
App.1-Chapter 1: Fundamental introductory concepts.
App.1-Par. 1.1: Galilean transformations.
They simply give the relations between spatial coordinates (and time), for two reference systems in relative motion, but
in classic physics, where the speed of light is not an upper limit.
y
y’
P
r
r
0
r
V
r
r'
0’
x _ x’
z’
z
Fig. A1.1: Reference systems in relative motion.
We obviously have:
r r
r r
r = r '+00' = r '+Vt ,
(A1.1)
from which, for the components (t=t’):
{
{
x = x'+Vt '
y = y'
z = z'
t = t'
(A1.2)
and for the reverse ones, we obviously have:
x' = x − Vt
y' = y
z' = z
t' = t
(A1.3)
(A1.2) and (A1.3) are the Galilean Transformations.
By deriving (A1.1), we have:
r r r
v = v '+V which can be held as the theorem of summation of velocities in classic physics.
App.1-Par. 1.2: The (Relativistic) Lorentz Transformations.
We know that the Lorentz transformations were born before the Theory of Relativity (which is founded on them) and on
an electromagnetic basis.
They correspond to the Galilean ones, but on a relativistic basis and they are in force as long as we say that the speed
of light is an upper limit in the Universe and it’s c for (~)every observer.
-FIRST PROOF:
if we suppose a relative motion along x, we correct the x components of the Galilean Transformations through a
coefficient k, as follows:
x' = k ( x − Vt )
x = k ( x '+Vt ' )
Now, for a photon, we obviously have:
(A1.4)
(A1.5)
ct ' = k (c − V )t
and
ct = k (c + V )t ,
as light has the same speed c in both reference systems, from which, by
mutual multiplication of the corresponding sides:
c 2tt ' = k 2tt ' c 2 (1 −
1
k=
V2
1− 2
c
=
V2
)
c2
1
, from which:
(A1.6)
1− β 2
1 x
( − x' ) and using (A1.4) in it, we have:
V k
1 x
1
1
kx
x
V
t ' = [ − k ( x − Vt )] =
x − + kt = k [t − (1 − 2 )] = k[t − 2 x]
V k
kV
V
V
k
c
2
1
V
as, for (A1.6), we have: (1 − 2 ) = 2 .
k
c
Moreover, from (A1.5) we have:
t'=
(A1.7)
By the same way which led us to (A1.7), we also get the expression for t.
Finally, here are the Lorentz Transformations:
{
{
x' =
( x − Vt )
1− β 2
y' = y
z' = z
t'=
x=
(A1.8)
V
x)
c2
1− β 2
(t −
( x'+Vt ' )
1− β 2
y = y'
z = z'
V
( t '+ 2 x ' )
c
t=
1− β 2
(A1.9)
-SECOND PROOF:
We know that c=const in all inertial reference systems. Now, with reference to Fig. A1.1, when 0=0’ and t=t’, from the
origin light is emitted through spherical waves and isotropically and so we can write that:
c 2t 2 − ( x 2 + y 2 + z 2 ) = 0
and
c 2 t ' 2 −( x ' 2 + y ' 2 + z ' 2 ) = 0
as light has the same speed c in both reference systems. Therefore:
c 2 t 2 − ( x 2 + y 2 + z 2 ) = c 2t ' 2 −( x ' 2 + y ' 2 + z ' 2 )
and for rays along x (y=y’ and z=z’):
c 2 t 2 − x 2 = c 2 t '2 − x '2 . Now we say ( i = − 1 ): ix = ξ , ix ' = ξ ' , ct = η
ξ 2 + η 2 = ξ '2 +η '2 , whose solution is:
{
{
ξ ' = ξ cos θ − η sin θ
η ' = ξ sin θ + η cos θ
and
ct ' = η ' ; we have:
(A1.10)
and in a differential form:
dξ ' = dξ cos θ − dη sin θ
dη ' = dξ sin θ + dη cos θ
(A1.11)
Now we notice that with respect to the origin “0”,
dx
= 0 , as the reference system (0,x,y,z) is not moving with respect
dt
dx'
= −V , as the system (0’,x’,y’,z’) moves with speed V with respect to
dt '
dξ
V
dξ '
= 0 and
= −i , but from the ratios between (A1.11) we have that:
consequence:
dη
c
dη '
dξ
cosθ − sin θ
V
dξ ' dξ cosθ − dη sin θ dη
0 − sin θ
= −tgθ and so: tgθ = i = iβ
=
=
=
d
ξ
c
dη ' dξ sin θ + dη cosθ
sin θ + cosθ 0 + cosθ
dη
1
1
but we know from trigonometry that: cos θ =
=
and:
2
1 + tg θ
1− β 2
tgθ
iβ
sin θ =
=
and so the (A1.10) become:
2
1 + tg θ
1− β 2
to itself. On the contrary,
ξ − iηβ
ξ '=
{
x' =
1− β
η'=
iξβ + η
1− β 2
, that is:
( x − Vt )
y' = y
z' = z
t' =
and
2
“0” and, as a
1− β 2
β
x)
c
1− β 2
(t −
and so (A1.8) again. By the same way, we also get (A1.9).
App.1-Par. 1.3: The contraction of length, or of Lorentz.
Moving objects with speeds close to that of ligth are shorter to not moving observers. If those observers make
measurements to get the length of the running body, the best way is to use light sources (the fastest thing), by
illuminating the bow and the stern of that body, in order to see the corresponding positions, moment by moment. But
that light has a constant speed, and limited, too, and the result will be that of a shorted body. Reality or measuring
appearance? Convince yourself immidiately that (observed) reality and the measuring appearence are the same thing,
and it must be so!
Let l be the length of a segment in the O system:
xB − x A = l
. In O’, according to Lorentz Transformations:
l ' = x ' B (t ' ) − x ' A (t ' ) =
( xB − Vt B ) − ( x A − Vt A )
1− β
2
=
( xB − x A )
1− β
2
=
l
1− β 2
= l ' , as in system O the measurement of
the segment makes sense if both ends are detected “simultaneously” (tA=tB).
When v tends to c,
β =v c
will tend to 1 and the radical will tend to zero, as well as l!
Therefore, the length l measured in O will be that measured in O’ by a value less than 1, that is, the observer at rest (O)
will detect a shorter object.
App.1-Par. 1.4: Time dilation (Twin Paradox).
It sounds strange, but time, too, can be, and is, relative. Of course, every observer, in himself, sees time going by still in
the same way; if you move with a speed close to that of light, you will not hear your heart beating slower. The
comparison between those two observers which were in relative motion will show the difference on how those two times
went by.
So, according to Lorentz Transformation, in O’ (moving system):
∆t = t B − t A =
t 'B + x 'B β c − t ' A − x ' A β c
1− β 2
∆t ' = t 'B −t ' A , whilst in O (system at rest):
, but, by assumption,
x' A = x 'B , as in the system O’ (O’,x’,y’,z’) the
clock is at rest, as it’s travelling with the system O’ itself; therefore:
∆t =
∆t '
1− β 2
When v tends to c,
β =v c
will tend to 1 and the radical will tend to zero, as well as ∆t ' !
Two twins separate as one leaves for a spatial travel one month long and at speeds close to that of ligth; once back to
the Earth, he sees the other twin thirty years older! (Twin Paradox)
At a speed of 260.000 km/s you have the halving, so the radical will be ½ and those two times will go by one a half of
the other.
See also the proof of the time dilation by the ligth clock (in the Introduction) and also that on a Doppler Effect basis
(App.1-Par. 3.6).
App.1-Par. 1.5: The four-vector position.
Instead of writing the position vectors with the three classic components x, y and z, let’s write them in a mathematically
four-dimensional form, by adding time; this will be very useful. In the (justified) opinion of the writer, our Universe is
three-dimensional and the adding of a fourth dimension is a purely mathematical operation; in fact, I defy you to show
me the fourth dimension of a whatsoever object which is held four-dimensional. In the nowadays’ STR, a real four
dimension is believed!
Well, so:
x = ( x1 , x2 , x3 , x4 ) , which is the same as: (x,y,z,ct).
By this new terminology, the Lorentz Transformations become:
{
{
x'1 = γx1 − βγx4
x'2 = x2
x'3 = x3
x'4 = − βγx1 + γx4
where
β =V c
e
x1 = γx'1 + βγx '4
x2 = x '2
x3 = x'3
x4 = βγx'1 +γx'4
γ =
1
1− β 2
(A1.12)
.
You can prove the space-time distance between two points is invariant for Lorentz Transformations, i.e. it is the same in
all inertial reference systems:
(∆x) 2 = (∆x1 ) 2 + (∆x2 ) 2 + (∆x3 ) 2 − (∆x4 ) 2 = (∆x ') 2 = (∆x'1 ) 2 + (∆x'2 ) 2 + (∆x'3 ) 2 − (∆x'4 )2
(A1.13)
(This expression is a kind of Pitagorean Theorem in four dimensions).
In order to prove that, use the Lorentz transformations in (A1.13), where there are Δxi in place of xi, and you check the
equality.
In other words, three dimension length and time are relative, while their four-dimensional composition is absolute. That’s
why we said the definition of physical quantities by four components would have been useful.
We can then use the Lorentz transformations on all four-vectors, in the form of (A1.12).
------------If we use matrixes, Lorentz Transformations can be written in the following way:
(remember the matrix product, with the components of the row of the first matrix which are multiplied by the
corresponding components of the column of the second matrix, then summing up those products to get the component
of the product matrix, indeed)
 γ

 0
( x '1 , x'2 , x'3 , x'4 ) = 
0

 − βγ

γ

 0
( x1 , x2 , x3 , x4 ) = 
0

 βγ

0
1
0
0
0
1
0
0
0 − βγ   x1 
  
0
0   x2 
⋅
1
0   x3 
  
0
γ   x4 
and
0 βγ   x'1 
  
0 0   x '2 
⋅
1 0   x '3 
  
0 γ   x '4 
(A1.14)
(A1.15)
while, for the tensor form:
(use the Einstein convention, according to which, if in a term an index is repeated, the summation on that index is
understood)
x'i = α ik xk
(i,k=1,2,3,4) on the right side, k is repeated, so you make the summation on it
(A1.16)
xk = α 'ik x'i
(i,k=1,2,3,4)
(A1.17)
App.1-Par. 1.6: Relativistic Law of Transformation of Velocities.
If I’m walking with a speed of 5 km/h in a railway train car which is travelling with a speed of 100 km/h with respect to
the platform, I’ll have, with respect to the platform, a total speed of 105 km/h. This is classic physics. On the contrary,
when those two speeds get close to that of light, the simple composition by algebraic summation cannot be used
anymore, as it would show us a speed higher than that of light c, which must be impossible.
Therefore, we have, by definition:
{
{
vx = dx dt
v' x = dx ' dt '
v y = dy dt
v' y = dy ' dt '
vz = dz dt
{
v' z = dz ' dt '
Now, by differentiating the Lorentz Transformations, we have:
dx =
(dx '+Vdt ' )
1− β 2
dy = dy '
dz = dz '
V
(dt '+ 2 dx' )
c
dt =
1− β 2
{
from which:
(dx'+Vdt ' )
V
(dt '+ 2 dx ' )
c
dy ' 1 − β 2
v y = dy dt =
V
(dt '+ 2 dx' )
c
dz ' 1 − β 2
vz = dz dt =
V
(dt '+ 2 dx' )
c
vx = dx
dt
=
If now we divide numerator and denominator of last equations by dt’, we have:
{
vx =
vy =
(v 'x +V )
Vv '
(1 + 2 x )
c
v' y 1 − β 2
Vv '
(1 + 2 y )
c
{
v' x =
(A1.18)
v' 1 − β 2
vz = z
Vv '
(1 + 2 z )
c
v << 1
When V << 1 and x
c
c
and similarly:
(v x − V )
Vv
(1 − 2x )
c
v' y =
v' z =
vy 1 − β 2
Vv
(1 − 2y )
c
vz 1 − β 2
Vv
(1 − 2z )
c
we are in the classic case (galileian) of algebraic sum.
If we use again the example of the railway train car, where a guy walks inside, if we say
v' = (v 'x ,0,0, c)
and
v = (v x ,0,0, c) , from (A1.18) we have:
vx =
and if
(v 'x +V )
Vv '
(1 + 2 x )
c
(A1.19)
v' x = V = c , then vx = c ,
and not 2c! Therefore, if the train moves with a speed c and I run inside at c, as
well, with respect to the platform, I’ll have a resulting speed equal to c and not 2c!
(1.19) represents the Relativistic Theorem of Addition of Velocities.
As an example: two rockets travel each with speed c/2 and meet; at which velocity
vx =
(c 2 + c 2)
c
4
=
= c<c
2
c
54 5
(1 + 2 )
4c
App.1-Par. 1.7: The Proper Time
vx
do they meet?
!
dτ
of a particle.
If a particle is at rest in (O’,x’,y’,z’), i.e. if it moves in O’, indeed, i.e. if O’ is its “proper” reference system, then: dx’=
dy’= dz’=0 and:
(ds )2 = dx 2 + dy 2 + dz 2 − c 2 dt 2 = 0 + 0 + 0 − c 2 dt '2 = − c 2 dt '2 , from which:
ds
dx 2 + dy 2 + dz 2
1 dl 2
v2
dt ' = dτ =
= 1−
dt = 1 − 2 ( ) = 1 − 2 dt
c
c 2 dt 2
c dt
c
(proper time, invariant, as so is
ds
).
c
Therefore, when you make calculations on a particle, you are led to use for it its proper time, indeed:
v2
dt
dτ = (1 − 2 )dt =
c
γ
.
App.1-Chapter 2: The relativity of energies.
App.1-Par. 2.1: The momentum-energy four-vector (or linear momentum).
We know from classic physics that the linear momentum is given by the product of the mass by the velocity. Now, in the
relativistic case, for what has been said so far, we will define a four-vector and then the velocity as dx/dt will have the
proper time dτ instead of dt, which is typical of the particle, indeed, for which we are going to define the four-vector:
dx
m dx m dx m dx m dx
dx
dx
dx1
, m0 2 , m0 3 , m0 4 ) = ( 0 1 , 0 2 , 0 3 , 0 4 ) =
dτ
dτ
dτ
dτ
1 γ dt 1 γ dt 1 γ dt 1 γ dt
r
r
dx
dx
dx
dx
= (m 1 , m 2 , m 3 , m 4 ) = (mv , mc) = ( p, mc) = p
dt
dt
dt
dt
r
r
where v is the (three-dimension) velocity vector, p is the three-dimension linear momentum,
dt
m
dx
mc = m 4 is the 4-dimension component, dτ =
is the proper time and m = 0 = γm0
γ
1γ
dt
p = (m0
is the dynamic mass,
which is the rest mass only if v=0.
We have just begun to introduce the concept of relative mass, which is increasing with speed, and becoming infinite
when v=c.
As already said before, the modules of 4-vectors are “absolute”, i.e. they are invariant for Lorentz T.; in fact:
2
r2
p = p − p42 = m 2 v 2 − m 2 c 2 = − m 2 (c 2 − v 2 ) = −
m02
(c 2 − v 2 ) = − m02c 2 = constant, i.e. it’s not
2
v
(1 − 2 )
c
depending on v.
In Relativity there exist a Universe (mathematically 4-dimensional) described by 4-vectors, where quantities are not
changing so arbitrarily with speed and where laws of nature preserve some consistency, no matter what the state of
motion is.
App.1-Par. 2.2: The velocity four-vector.
We obviously define it as follows:
v=
dx
dτ
, where we use the proper time
dτ
for reasons already shown. Numerator
and denominator are both invariant, so also v is.
We have:
v=(
r
dx1 dx2 dx3 dx4
dx
dx
dx
dx
,
,
,
) = (γ 1 , γ 2 , γ 3 , γ 4 ) = (γvx , γv y , γv z , γc ) = (γv , γc)
,
dτ dτ dτ dτ
dt
dt
dt
dt
and so, as a module for such a 4-vector:
2
v = γ 2 v 2 − γ 2 c 2 = −c 2
(constant!).
(A2.1)
Par. 2.3: The four-force.
As in classic physics, force is the derivative of the linear momentum with respect to time, in relativity we define the 4force as the derivative of the momentum-energy 4-vector with respect to time (proper time):
r
r
d r d
d
d
= ( F1 , F2 , F3 , F4 ) = ( F , F4 ) = (
p, (m0γc)) = (γ (m0γv ), γ (m0γc )) ;
dτ
d τ dτ
dt
dt
r r
r
d
so we have: γ
(m0γv ) = γ ⋅ f = F ,
dt
r
r
d
(
(m0γv ) = f is the “classic” force, and it’s more so when γ = 1 )
dt
r
F
d r
d r
and so: γ
(γv ) =
=
(γv ) , and by components:
dt
m0 dτ
d
F
d
γ (γvi ) = i =
(γvi ) (i=x,y,z)
dt
m0 dτ
d
and then, about the fourth component: γ
(m0γc ) = F4
dt
F=
dp
(A2.2)
(A2.3)
(A2.4)
(A2.5)
and so:
γ
F
d
d
(γc ) = 4 =
(γc) .
m0 dτ
dt
(A2.6)
Now, we differentiate (A2.1), that is, the following equation:
2
v = γ 2v 2 − γ 2c 2 = γ 2 v x2 + γ 2 v 2y + γ 2 v z2 − γ 2 c 2 = −c 2 , so getting:
d
d
d
d
d
d
(γv x ) 2 +
(γv y )2 +
(γvz ) 2 −
(γc) 2 ) = (2γvx
(γv x ) + 2γv y
(γv y ) +
dτ
dτ
dτ
dτ
dτ
dτ
d
d
(γv z ) − 2γc (γc ))
+ 2γvz
dτ
dτ
d
d
d
d
(γvx ) + γv y
(γv y ) + +γvz
(γvz ) − γc (γc)) , and, for (A2.4) and (A2.6):
that is: 0 = (γvx
dτ
dτ
dτ
dτ
0=(
0 = (γvx
F
F
F
Fx
+ γv y y + +γvz z − γc 4 )
m0
m0
m0
m0
γf
γf x
F
γf
+ γv y y + +γvz z − γc 4 )
m0
m0
m0
m0
γ r r
F4 = ( f ⋅ v ) .
c
0 = (γvx
and for (A2.3) ( γ
r r
⋅ f = F ):
, that is:
(A2.7)
If now we go back to (A2.2), we finally have the 4-force, or Minkowski force:
F=
r γ r r
= (γf , ( f ⋅ v ))
dτ
c
dp
(A2.8)
To have the transformation equations for such a 4-force, please see Subappendix 1.4.
Par. 2.4: E0=m0c2.
d
γ r r
(m0γc ) = F4 , whilst for (A2.7) we have: F4 = ( f ⋅ v ) . Therefore:
dt
c
r
r
r
r
d
γ
d
γ (m0γc) = ( f ⋅ v ) , that is: (m0γc 2 ) = f ⋅ v , that is, again:
dt
dt
r cr
2
(A2.9)
d (m0γc ) = f ⋅ v dt = dL = dE
(A2.9) is exactly the expression for the energy in classic physics, if γ = 1 ; the integration of (2.9) with integration
According to (A2.5), we have:
γ
constant equal to zero yields:
E = γm0c 2
(A2.10)
In reality (A2.10) holds only for gained energies (as in particle accelerators), while for lost energies (collapsing Universe
or Atomic Physics of electrons going down in energy levels) the following must be used, and I assume it as mine:
E=
1
m0c 2
γ
(Rubino)
(see also Appendix 2; for a convincing proof of it, please contact me: [email protected] ).
Therefore, a particle whose mass is m0 has got a total energy:
E = γm0c =
2
m0c 2
v2
(1 − 2 )
c
and “at rest”( v = 0 and so γ = 1 ) it has a “rest” energy:
E0 = m0c 2
(A2.11)
(A2.12)
App.1-Par. 2.5: Relativistic kinetic energy.
The difference between (A2.11) and (A2.12) obviously yields the pure kinetic energy of a particle:
1
EK = E − E0 = γm0 c 2 − m0c 2 = m0c 2 (γ − 1) = m0c 2 (
− 1)
(A2.13)
v2
(1 − 2 )
c
1
1
=
, we get, for v<<c (β<<1):
If now ve develop, according to Taylor, the expression for γ =
2
v
(1 − β 2 )
(1 − 2 )
c
1
1 2 3 4
1 2 1 v2
γ =
=
+
β
+
β
+
.....
, that is: (γ − 1) ≅ β =
1
and for (A2.13):
2
8
2
2 c2
(1 − β 2 )
1 v2
1
EK = m0c (γ − 1) = m0c ( 2 ) = m0 v 2
2c
2
2
2
(v<<c) which is the well known classic expression (Newton’s) for the
kinetic energy!
In order to have a proof of the (A2.13) starting from a collapsing Universe characteristics, please see into Appendix 2.
App.1-Chapter 3: Relativistic phenomena.
App.1-Par. 3.1: Time and gravity: gravity slows down the time!
Also gravity slows down the time! On a mountain time elapses faster than down in the valley. Of course, on the Earth,
the difference is imperceptible, but on a neutron star or in a black hole, that effect is very strong.
∆E = m0 gH (delta energy from the level difference)
∆E = h∆ν (delta energy due to the freq. decrease of
the photon). From them: ∆ν = m0 gH h .
Photon going down,
with freq. increased
by gravity
H
For a photon,
E = hν
, but in relativity: E
from which, for a photon:
Photon going up,
with freq. decreased
by gravity
Fig. A3.1: Mountain, gravity and time.
= m0c 2 ,
m0 = hν c 2 and so,
for ∆ν : ∆ν
= νgH c 2 and as time is the reciprocal of
the frequency, we have: ∆ν ν = ∆t t and so:
gH
∆t = 2 t . Therefore, over a time t, we have a slow
c
down Δt due to gravity!
We know that the escape velocity of a celestial body whose mass is M and radius R is:
V = 2GM R
. If on that
body an object is cast vertically with the escape velocity, it will quit the gravitational field of that celestial body and will
go towards the infinite, without falling down anymore.
A black hole is a body so compressed (big M and small R) that the escape velocity on its surface reaches the speed of
light and so not even the light can escape, from which the name of black hole; moreover, for what above said, we can
say that in a black hole time is approximately stopped!
App.1-Par. 3.2: Volume of moving solids.
Moving solids appear rotated.
B
L
C
L
L
Δz
L
B’
φ
Δy
A
Δx
D
L
Lsin φ
V
B
Fig. A3.2: Body seen at rest.
V
--Observer--
Fig. A3.3: Body seen moving.
V = ∆x∆y∆z (volume of the solid for an observer integral with it)
V ' = ∆x ' ∆y ' ∆z ' = ∆x 1 − β 2 ∆y∆z = V 1 − β 2
(volume of the solid for an observer who sees that solid in
movement with speed V, along x).
Of course, for Lorentz Transformations, as the movement is along x, only Δx is contracted. On the other hand, the
observer at rest sees point B with a delay with respect to A, and this delay is L/c, obviously. As a further consequence, B
appears as moved back about a stretch which is (L/c)V=βL.
We have: Lsin φ= βL, from which: sin φ= β and φ=arcsin β.
Finally, that body appears rotated! And a sphere goes on appearing as a sphere.
App.1-Par. 3.3: The equation of waves, or of D’Alembert, holds in every inertial reference system.
Electromagnetic waves in vacuum, an so the light, too, propagates, as well known, respecting the wave equation:
∂ 2φ ∂ 2φ ∂ 2φ 1 ∂ 2φ
1 ∂ 2φ
= φ
=
=
∆
−
−
+
+
0
φ
∂x 2 ∂y 2 ∂z 2 c 2 ∂t 2
c 2 ∂t 2
Now, we preliminarily notice that, according to the Lorentz Transformations, we have (by deriving them):
∂y ' ∂z '
∂x' ∂x' ∂y '
=
= 1,
=
=
= ...... = 0
∂y ∂z
∂y ∂z ∂x
r
According to mathematical analysis, we have, in 0’: φ = φ ( r ' , t ' ) , and so:
∂x'
∂x '
∂t '
V
=γ ,
= −γV ,
= −γ 2
∂x
∂t
∂x
c
,
∂t'
=γ
∂t
,
∂φ ∂φ ∂x ' ∂φ ∂y ' ∂φ ∂z ' ∂φ ∂t '
∂φ
∂φ
=
+
+
+
=γ
+ (−V )γ
∂x ∂x ' ∂x ∂y ' ∂x ∂z ' ∂x ∂t ' ∂x
∂x'
∂t '
∂ 2φ
∂ 2φ V 2 ∂ 2φ
∂ 2φ
2V
=γ( 2 + 4 2)− 2
∂x 2
∂x '
c ∂t '
c − V 2 ∂x' ∂t '
∂φ
∂φ
∂φ
= −Vγ
+γ
∂t
∂x'
∂t '
and
; furthermore:
and similarly, for the other coordinates:
2
∂ 2φ
∂ 2φ
∂ 2φ
2
2 ∂ φ
= γ (V
+
) − 2Vγ
∂t 2
∂x '2 ∂t '2
∂x ' ∂t '
and
∂ 2φ ∂ 2φ
=
∂y 2 ∂y '2
,
∂ 2φ ∂ 2φ
=
∂z 2 ∂z '2
from which, by substitution in the wave equation, we have:
∂ 2φ ∂ 2φ ∂ 2φ 1 ∂ 2φ ∂ 2φ ∂ 2φ ∂ 2φ 1 ∂ 2φ
+
+
−
=
+
+
−
∂x 2 ∂y 2 ∂z 2 c 2 ∂t 2 ∂x '2 ∂y '2 ∂z '2 c 2 ∂t '2
that is what we wanted to prove.
App.1-Par. 3.4: The Fizeau experiment.
In 1849, a long time before the formulation of the Special Theory of Relativity by Einstein (1905), the French physicist
A.H.L. Fizeau carried out studies on the speed of light in water and in moving fluids.
Water
P=semitransparent plate
Inverted prism
Mirror
V
P
V
Light
source
Water
Fig. A3.4: Fizeau’s experiment.
In water at rest, light has velocity v
=
c 3 ⋅ 108 m / s
=
≅ 225.000km / s ,
n
1,33
where n=1,33 is the refractive index of
water. If now water, or the fluid, in which we are going to measure the speed of light, flows with speed V, then,
according to Fizeau’s results, the total velocity of light in the flowing fluid is:
v=
1
c
+ V (1 − 2 ) ,
n
n
(A3.1)
in total disagreement with classic physics, according to which we should more simply have:
v=
c
+V
n
.
Years later, STR has given a theorethical explanation of (A3.1). In fact, for the Theorem of Addition of Velocities given
by (A1.19), we can write that:
c
c
( +V) ( +V)
v = n
= n
V
Vc
(1 + 2 ) (1 + )
nc
nc
; now, we multiply numerator and denominator by
1
c
V2
V
c
c
( + V ) ( + V )(1 − )
+ V (1 − 2 ) −
n
nc
nc = n
v = n
= n
V 2
V 2
V
1− ( )
(1 + )
1− ( )
nc
nc
nc
, but quantities
(1 −
V2
nc
V
) , and we have:
nc
on the numerator and
(
V 2
)
nc
on
the denominator are both negligible (<<1) with respect to the other terms and can be neglected indeed, from which the
assertion:
v=
c
1
+ V (1 − 2 ) .
n
n
App.1-Par. 3.5: Relativistic Doppler Effect (longitudinal).
c
c
c
V
Source Aerial S
Receiving Aerial R
Fig. A3.5: Longitudinal Doppler Effect (example of a source S getting farther from R with speed V (β)).
The source aerial sends electromagnetic signals to the receiving one, and the periods is TS;
Because of the time dilation, the receiving aerial will receive them with a period T’S , so that:
T 'S =
TS
; moreover, the fact that S is getting farther will cause a
(1 − β 2 )
VT ' S V
∆T ' S =
=
c
c
TR = T 'S + ∆T 'S =
=
TS
(1 − β )
2
TS
(1 − β 2 )
TS
(1 + β ) = TS
(1 − β )
=β
+β
TS
(1 − β 2 )
TS
(1 − β 2 )
(1 + β )
= TR
(1 − β )
=
∆T 'S among
phase fronts, which is:
; so, we’ll totally have TR:
TS
(1 − β 2 )
(1 + β ) =
TS
(1 + β ) =
(1 − β ) (1 + β )
and we rewrite it here:
TR = TS
(1 + β )
(1 − β )
; (S and R getting farther)
(A3.2)
The same holds if the receiver is the one who gets farther. If, then, S and R are getting closer, through the same
reasonings which led us so far, the following holds:
TR = TS
(1 − β )
(1 + β )
(S and R getting closer).
(A3.3)
For a more general treatment of this subject, see Subappendix 1.2.
App.1-Par. 3.6: The Twin Paradox explained by the Relativistic Doppler Effect!
Say a twin leaves for a space flight with a velocity equal to 3/5 c=180.000 km/s, getting far away from the Earth for 25
min (measured on the Earth) and then he comes back towards the Earth with the same velocity, so taking another 25
min. Out of simplicity, we neglect the acceleration and deceleration phases.
Now, in order to prove that the time dilation acts also on the cardiac (heart) rhythm of the travelling twin (but still in the
opinion of the twin at rest on the Earth, and when the twins meet on the Earth, at the end of the flight), say, out of
simplicity, both twins have one heartbeat per second and say the twin on the Earth transmits a radio pulse (whose
speed is c) every second, i.e. every heartbeat, towards the space ship, in order to inform his travelling twin brother on
his own cardiac rhythm. Now, remember that in the opinion of the “older” twin at rest on the Earth, the flight lasts, by
supposition, 25+25=50 min (3000 heartbeats), while, if the time dilation is true, for the “younger” travelling twin it lasts
(V=3/5 c, that is: β=3/5):
Tyoung = Told (1 − β 2 ) = Told (1 −
V2
9c 2
=
−
)
50
min
(
1
) =40min
c2
25c 2
(=2400 heartbeats)
Moreover, under a Doppler analysis of the phenomenon, we can say that for equation (A3.2), the twin on the Earth (old)
transmits his heartbeats every second, but the flying twin will receive them, during the first “to” step of the flight, every
two seconds; in fact:
Tyoung (to) = Told (to)
(1 + β )
1 + (3 / 5)
= 1s
= 2 s , so, in the “to” step, the flying twin, whose “to” flight time is
(1 − β )
1 − (3 / 5)
20 min=1200s=1200 heartbeats, has received one heartbeat every 2s from his brother on the Earth, that is just 600
heartbeats.
Therefore, the flying twin, during his 20 min(=1200s) “to” flight, has counted on himself 1200 heartbeats, but has
received only 600 from his brother on the Earth.
After 20 min of the flying twin, the direction of the flight is inverted and the return to the Earth starts, for another 20
min (still according to the time measured by the flying twin). During those further 20 min’s return flight (“from”), on the
contrary, the twin on the Earth still transmits every second, but the flying one now receives every half a second; in fact,
for equation (A3.3):
Tyoung ( from) = Told ( from)
(1 − β )
1 − (3 / 5)
= 1s
= 0,5s , so, during those further flyer’s 20 min=1200s=
(1 + β )
1 + (3 / 5)
=1200 heartbeats counted on himself, the flyer receives 2400 heartbeats from his brother on the Earth.
Therefore, the flying twin, during his further 20 min(=1200s) return flight, has obviously counted on himself another
1200 hearthbeats and has received 2400 (!) from his brother from the Earth.
Sum up of the counts:
Totally, during the whole space flight, of 20+20=40 min, the flying twin has obviously counted 1200+1200=2400
hearthbeats on himself and (a piece of!) 600+2400=3000 hearthbeats from his twin brother on the Earth.
He must feel younger!!!
App.1-Par. 3.7: The Michelson and Morley experiment.
S – semireflective mirror
S1, S2 - mirrors
S1
r1
L – Light source
S2
S
r2
Interferometer and binocular
Fig. A3.6: Michelson’s device (interferometer).
S
S2
S1
V ⋅ t2
2
c+V
l1
S
S
c-V
l2
c
V
c2 −V 2
V
c
c2 −V 2
Fig. A3.7: Luminous paths and relevant velocities.
Before Einstein, they thought that electromagnetic waves, and so the light, had to propagate in a mean, as well as for
sounds in the air. They supposed that the space was filled with an invisible and very light gas, the ether. The Earth
rotates around the Sun with a speed V around 30 km/s, so it should move through the ether with such a speed and light
emitted by a light source which is on the Earth itself should have, in general, a speed different from c (c±V along the
direction of rotation of the Earth and c 2 − V 2 transversally).
In 1886 they started to prepare the experiment which should have proved the movement of the Earth through the ether.
In Cleveland they stopped the street traffic during the experiment in order not to have vibrations; the device was put on
a floating stone slab in a well of mercury, to easily rotate it of 90° without vibrations.
Now, if you put l1 along the direction of rotation of the Earth, about the - to and fro - light path, we have:
t1 =
l1
l
2l
1
+ 1 = 1
c +V c −V
c (1 − V 2 c 2 )
and for the transversal path along l2:
t2 =
2l2
c −V
2
2
=
2l2
c
1
(1 − V 2 c 2 )
If you make both rays enter an interferometer to make them interfere, indeed, they should arrive with a Δt:
2
2
l2
l1
∆t = t2 − t1 = (
−
) ≅ [l2 (1 + V 2 2c 2 ) − l1 (1 + V 2 c 2 )]
2
2
2
2
c (1 − V c ) (1 − V c )
c
V c ≅ 10−4 , V 2 c 2 ≅ 10−8
as we have
The wavelenght of the used light was
(1 + x )k ≅ 1 + kx .
λ = 5,5 ⋅ 10−7 m and we
and
know that λ corresponds to the full angle
2π
;
therefore, we can write the following proportion, which involves the phase difference δ between the two rays and the
path difference cΔt:
λ
c∆t
=
2π
δ
, from which:
δ =
2πc∆t
.
λ
By fixing the one arm length and adjust the other arm one by a micrometric screw, you can make cΔt of the same size
of λ, so making the desired interference phenomenon.
Now, without bringing any change to the geometry of the device, rotate it of 90°; the roles of l1 and l2 are so swapped
and we’ll have:
2
2
l1
l2
) ≅ [l1 (1 + V 2 2c 2 ) − l2 (1 + V 2 c 2 )]
∆t ' = t '2 −t '1 = (
−
2
2
2
2
c
c (1 − V c ) (1 − V c )
and we should also have:
∆δ δ − δ ' c∆t − c∆t ' l1 + l2 V 2
22m
=
=
=
=
10 −8 ≅ 0, 4 , that is, through the
2
2π
2π
λ
λ c
5,5 ⋅ 10 − 7 m
rotation of the interferometer, you should see a shift of the fringes of interference of 0,4 times the distance λ between
two subsequent maxima.
In reality, none of all that was observed, despite the accuracy of the devices was as good as to detect a
∆δ
= 0,01 !
2π
Michelson declared himself to be disappointed by that experiment, as he couldn’t prove the movement of the Earth
through the ether.
The question was solved in 1905 by an employee of the Patent Office of Berne, Albert Einstein, who suggested to cease
searching for a proof of the movement of the Earth through the ether, for the simple reason that the ether is not
existing!
I add that the nowadays’ dark matter will soon end up like it.
App.1-Chapter 4: Relativistic Electrodynamics.
App.1-Par. 4.1: Magnetic force is simply a Coulomb’s electric force(!).
Concerning this, let’s examine the following situation, where we have a wire, of course made of positive nuclei and
electrons, and also a cathode ray (of electrons) flowing parallel to the wire:
Cathode ray
e
-
e
-
e
-
F
e
-
e
y’
-
-
e
F
-
e
-
I’
Direction of the cathode ray (v)
z’
e
-
x’
e
-
+
e
-
Wire
e-
e-
e-
e-
e-
e-
e-
e-
e-
e-
p+
p+
p+
p+
p+
p+
p+
p+
p+
p+
Fig. A4.1: Wire not flown by any current, seen from the cathode ray steady ref. system I’ (x’, y’, z’).
We know from magnetism that the cathode ray will not be bent towards the wire, as there isn’t any current in it. This is
the interpretation of the phenomenon on a magnetic basis; on an electric basis, we can say that every single electron in
the ray is rejected away from the electrons in the wire, through a force F- identical to that F+ through which it’s attracted
from positive nuclei in the wire.
Now, let’s examine the situation in which we have a current in the wire (e- with speed u)
Cathode ray
e
-
e
-
e
F
-
e
-
e
-
e
F
e-
ep+
p+
e-
-
e
-
I’
e
Direction of the ray (v)
z’
-
x’
e
-
e
-
Wire
+
ep+
p+
y’
-
e-
p+
p+
p+
ep+
Direction of the current I,
whose e speed is u
ep+
p+
Fig. A4.2: Wire flown by a current (with e- speed=u), seen from the cathode ray steady ref. system I’ (x’, y’, z’).
In this case we know from magnetism that the cathode ray must bend towards the wire, as we are in the well known
case of parallel currents in the same direction, which must attract each other.
This is the interpretation of this phenomenon on a magnetic basis; on an electric basis, we can say that as the electrons
in the wire follow those in the ray, they will have a speed lower than that of the positive nuclei, in the system I’, as such
nuclei are still in the wire. As a consequence of that, spaces among the electrons in the wire will undergo a lighter
relativistic Lorentz contraction, if compared to that of the nuclei’s, so there will be a lower negative charge density, if
compared to the positive one, so electrons in the ray will be electrically attracted by the wire.
This is the interpretation of the magnetic field on an electric basis. Now, although the speed of electrons in an electric
current is very low (centimeters per second), if compared to the relativistic speed of light, we must also acknowledge
that the electrons are billions and billions…., so a small Lorentz contraction on so many spaces among charges, makes a
substantial magnetic force to appear.
But now let’s see if mathematics can prove we’re quantitatively right on what asserted so far, by showing that the
magnetic force is an electric one itself, but seen on a relativistic basis.
On the basis of that, let’s consider a simplified situation in which an electron e- , whose charge is q, moves with speed v
and parallel to a nuclei current whose charge is Q+ each (and speed u):
y’
y
I’
r
Q+
I
Q+
z
z’
q-
x’
v
F
Q+
Q+
Q+
Q+
u
d = d 0 1 − u 2 c2
x
Fig. A4.3: Current of positive charge (speed u) and an electron whose speed is v, in the reader’s steady system I.
a) Evaluation of F on an electromagnetic basis, in the system I :
First of all, we remind ourselves of the fact that if we have N charges Q in line and d spaced (as per Fig. A4.3), then the
linear charge density λ will be:
λ = N ⋅Q N ⋅ d = Q d
.
Now, still with reference to Fig. A3.3, in the system I, for the electromagnetics the electron will undergo the Lorentz
Fl = q ( E + v × B) which is made of an originally electrical component and of a magnetic one:
1 λ
1 Q d
Fel = E ⋅ q = (
)q = (
)q due to the electric attraction from a linear distribution of charges Q, and:
ε 0 2πr
ε 0 2πr
I
Q t
Q (d u )
uQ d
= µ0
= µ0
= µ0
(Biot and Savart).
Fmagn = µ0
2πr
2πr
2πr
2πr
force
So:
Fl = q (
1
1 Q d
Q d0 1
uQ d
)=q
( − µ0 uv )
− vµ0
2πr
2πr ε 0
ε 0 2πr
1 − u 2 c2
,
(A4.1)
where the negative sign tells us the magnetic force is repulsive, in that case, because of the real directions of those
currents, and where the steady distance d0 is contracted to d, according to Lorentz, in the system I where charges Q
have got speed u ( d
= d0 1 − u 2 c 2
).
b) Evaluation of F on an electric base, in the steady system I’ of q:
in the system I’ the charge q is still and so it doesn’t represent any electric current, and so there will be only a Coulomb
electric force towards charges Q:
F 'el = E '⋅q = (
1
1 Q d0
1 Q d'
1 λ'
)
) q = q(
)q = (
ε 0 2πr
ε 0 2πr
ε 0 2πr
1 − u '2 c 2
,
(A4.2)
where u’ is the speed of the charge distribution Q in the system I’, which is due to u and v by means of the well known
relativistic theorem of composition of speeds:
u ' = (u − v) (1 − uv c 2 )
,
(A4.3)
and d0, this time, is contracted indeed according to u’:
d ' = d 0 1 − u '2 c 2
.
We now note that, through some algebraic calculations, the following equality holds (see (A4.3)):
1 − u '2 c 2 =
(1 − u 2 c 2 )(1 − v 2 c 2 )
(1 − uv c 2 ) 2
F 'el = E '⋅q = (
, which, if replacing the radicand in (A4.2), yields:
1 λ'
1 Q d'
1 Q d0
(1 − uv c 2 )
)q = (
) q = q(
)
ε 0 2πr
ε 0 2πr
ε 0 2πr
1 − u 2 c2 1 − v 2 c2
(A4.4)
We now want to compare (4.1) with (4.4), but we still cannot, as one is about I and the other is about I’; so, let’s scale
F 'el
in (A4.4), to I, too, and in order to do that, we see that, by definition of the force itself, in I’:
F 'el (in _ I ' ) =
F (in _ I )
∆p I '
∆pI
= el
=
∆t I ' ∆t I 1 − v 2 c 2
1 − v2 c2
, where
∆pI ' = ∆pI ,
as
∆p
extends along y, and not
along the direction of the relative motion, so, according to the Lorentz transformations, it doesn’t change, while
course, does. So:
Fel (in _ I ) = F 'el (in _ I ' ) 1 − v 2 c 2 = q (
= q(
1 Q d0
(1 − uv c 2 )
)
1 − v 2 c2
2
2
2
2
ε 0 2πr
1− u c 1− v c
∆t , of
=
1 Q d 0 (1 − uv c 2 )
)
= Fel (in _ I )
ε 0 2πr
1 − u 2 c2
(A4.5)
Now we can compare (4.1) with (A4.5), as now both are related to the I system.
Let’s write them one over another:
Fl (in _ I ) = q (
1 Q d
uQ d
Q d0 1
1
− vµ0
)=q
( − µ0 uv)
ε 0 2πr
2πr
2πr ε 0
1 − u 2 c2
Fel (in _ I ) = q (
1 Q d 0 (1 − uv c 2 )
Q d0 1
uv
1
)
=q
( −
)
2
2
2
ε 0 2πr
2πr ε 0 ε 0 c
1− u c
1− u2 c2
Therefore we can state that these two equations are identical if the following identity holds:
c =1
ε 0µ0
, and this
identity is known since 1856. As these two equations are identical, the magnetic force has been traced back to the
Coulomb’s electric force, so the unification of electric and magnetic fields has been accomplished!!
App.1-Par. 4.2: The Current Density four-vector.
We obviously have the following equations on charge density:
ρ0 =
dQ
dt0
,
ρ=
dQ
dQ
=
= γρ 0
dτ
1 − β 2 dt0
Moreover, notice that the following equation holds; it shows the invariance of the electric charge:
ρ 0 dt0 = ρdτ
.
Moreover, we know from physics that the current density is:
r
r
j = ρv .
So, we are led to define the current density 4-vector in the following way:
r
r
j = ( j , ρc) = (γρ0 v , γρ 0 c) ; note the similarity with the momentum-energy 4-vector:
r
r
p = ( p, mc) = (γm0 v , γm0 c) . Then, we have:
r2
2
j = j − j42 = − ρ 02 c 2 and moreover, as we can apply the Lorentz Transformations to a 4-vector, as said at App.1-
Par. 1.5 – eq. (A1.12), we have:
{
{
j1 ' = γj1 − βγj4
j ' 2 = j2
j x ' = γ ( j x − ρV )
j' y = j y
j '3 = j3
j ' z = jz
or also:
j '4 = − βγj1 + γj4
where
β =V c
ρ '= γ (ρ −
e
γ =
1
1− β 2
(A4.6)
V
jx )
c2
.
Now, in order to show by 4-vectors and in a more compact way what shown in App.1-Par. 4.2, we consider a wire flown
by a stationary current I in a reference system k and let I be directed along x; if, in such a system, we put a charge q
whose speed is v along x, we’ll have a movement of q by the only field B, as E=0, because, on an average, we have in a
conductor as many positive charges as the negative ones are. On the contrary, if we place ourselves in a k’ reference
system which is moving with speed V=v with respect to k, in k’ q is at rest and theoretically the magnetic force should
disappear; but this is unacceptable for the Principle of Relativity (see the Introduction). An electric field must so appear
in k’; in fact:
r
j = j + + j − , j + = ( j+ , cρ + ) = (0, nqc ) [n]=[number of q involved/m3] and
r
r
j − = ( j− , cρ − ) = (− nqv ,− nqc ) , the first term is negative as the direction of v is opposite to the conventional one
for I (as, here q<0) and the second one is still negative, as well, still because here, q<0.
For the Lorentz Transformations (A1.12) we so have (v=V):
j '+ x = −γnqV
ρ '+ = γnq
and as now
j '− x = γ (− nqv + nqV )
vV
ρ '− = γ (− nq + nq 2 )
c
ρ '+ ≠ − ρ '− , an electric field must appear.
App.1-Par. 4.3: The Electromagnetic Field Tensor.
Preamble on tensors:
A vector is a tensor of rank 1.
For us it’s enough to say that we get a rank 2 tensor when we make the product of the components of two vectors c and
b:
c(ci ) = (c1 , c2 , c3 , c4 ) , b(bk ) = (b1 , b2 , b3 , b4 )
→
Aik = cibk
Through (A1.16) and (A1.17) we have seen how to express the Lorentz Transformations:
ci = α il c'l
(i,m=1,2,3,4)
and
bk = α kmb'm
(k,l=1,2,3,4) and so:
Aik = ci bk = α ilα km c 'l b'm = α ilα km A'lm = Aik
(A4.7)
which is the transformation law for a rank 2 tensor.
Then, we also notice that we get a rank 2 tensor also when we derive the components of a vector b with respect to the
x coordinate:
∂x'm
→ α mk
∂xk
∂bi
∂b ∂x 'm
∂
∂x'
∂b'l
= i
=
(α il b'l ) m = α ilα mk
∂xk ∂x'm ∂xk
∂x'm
∂xk
∂x'm
bi = α il b'l
,
x'm = α mk xk
>>>
; therefore, such a derivative transforms as the components
of a rank 2 tensor and so it’s a rank 2 tensor, as well.
Preamble on electromagnetism:
We know from the electromagnetism that electric and magnetic fields (induction vector B) can be expressed as a
function of electrodynamic potentials φ and A:
r
r
r
∂A
E = −∇ϕ −
and
∂t
r r r
B = ∇× A
(A4.8)
(A4.9)
r r 1 ∂ϕ r r
∂ϕ
and we also know the Lorentz Condition: ∇ ⋅ A + 2
= ∇ ⋅ A + εµ
=0
c ∂t
∂t
r r ∂ρ
and also the Continuity Equation: ∇ ⋅ j +
= 0.
∂t
,
(A4.10)
(A4.11)
Still from electromagnetism, we also know that:
1 ∂ 2ϕ
ρ
=− = φ
2
2
c ∂t r
ε
r 1 ∂2 A
r
r
∆A − 2 2 = − µj = A
c ∂t
∆ϕ −
and
(A4.12)
(A4.13)
and we remind ourselves that we already defined the current density 4-vector j:
r
j = ( j , cρ ) = ( j x , j y , j z , cρ )
(
ji = vi ρ ).
------------------
Now, we feel led to define the Potential Four-vector or Four-Potential
Φ:
ϕ
Φ = ( Ax , Ay , Az , ) ; in fact, so doing, (A4.12) and (A4.13) can be so summarized:
c
r
r
∂
∂
∂
∂
∂
+
+
+
= (∇ +
)
Φ k = − µjk and if we also define the four-divergence div4 = ∇ 4 =
∂x ∂y ∂x ∂(ct )
∂ (ct )
we easily get:
r
∇4 j = 0
for the Continuity Equation (A4.11) and
∂Az ∂Ay ∂Φ 3 ∂Φ 2
−
=
−
∂z
∂x2
∂x3
∂y
for the Lorentz Condition (A4.10).
------------------
Now, from (A4.8) and (A4.9), we have:
Bx = B1 =
r
∇4 Φ = 0
,
Ex = E1 = −
∂ϕ ∂Ax
∂Φ
∂Φ1
−
= c( 4 −
)
∂x
∂t
∂x1
∂x4
etc; therefore, E and B
cannot be espressed through two 4-vectors, but through a rank 2 four-tensor, as we proved the derivative of a vector is
a 2-tensor:
Fik = c(
∂Φ k ∂Φ i
−
) ; let’s write the components of Fik as a matrix:
∂xi
∂xk
 0

 − cBz
Fik = 
cBy

 E
 x
way:
cBz
0
− cBx
Ey
− cBy
cBx
0
Ez
− Ex 

− Ey 
− Ez 

0 
, and through (A4.7) we have proved that Fik transforms in the following
Fik = α ilα km F 'lm .
(A4.14)
Notice that Fik is antisymmetric, that is: Fik=-Fki.
Then, of course:
 0

 − cB' z
F 'ik = 
cB' y

 E'
x

cB'z
0
− cB'x
E'y
− cB' y
cB'x
0
E'z
− E'x 

− E'y 
− E 'z 

0 
If now we remind ourselves that on the right side of (A4.14) the summation over l and m is understood, as they are
repeated there, and if we develop such an equation, we get the transformation of the electromagnetic field:
{
{
{
{
Ex = E ' x
Bx = B'x
V
E 'z )
c2
V
Bz = γ ( B'z + 2 E ' y )
c
E y = γ ( E ' y +VB' z )
By = γ ( B' y −
Ez = γ ( E 'z −VB ' y )
and also its inverse:
E 'x = E x
B' x = Bx
V
Ez )
c2
V
B ' z = γ ( Bz − 2 E y )
c
E ' y = γ ( E y − VBz )
B ' y = γ ( By +
E ' z = γ ( Ez + VBy )
SUBAPPENDIXES:
Subapp. 1: Lorentz Transformations in succession.
k >>> V >>> k’ >>> W >>> k’’
We have three reference systems k, k’ and k’’ and V and W are the relevant relative velocities.
Through the following terminology:
and
β=
U
c
β1 =
V
c
,
β2 =
W
c
,
γ 1 = 1 1 − β12
, we have, for the Lorentz Transformations applied in succession:
,
γ 2 = 1 1 − β 22
,
U=
V +W
VW
1+ 2
c
x = γ 1 ( x '+Vt ' )
with
x' = γ 2 ( x' '+Wt ' ' )
with
β1
x' )
c
β
t ' = γ 2 (t ' '+ 2 x ' ' )
c
t = γ 1 (t '+
and
and, by substitution:
x = γ 1γ 2 ( x ' '+Wt ' '+Vt ' '+ β1β 2 x' ' ) = γ 1γ 2 [(1 + β1β 2 ) x' '+ (V + W )t ' ' ] =
V +W
t' ') = x
1 + β1β 2
1 V +W
t = γ 1γ 2 (1 + β1β 2 )(t ' '+ 2
x' ' ) ;
c (1 + β1β 2 )
(A.1.1)
= γ 1γ 2 (1 + β1β 2 )( x ' '+
and similarly:
(A.1.2)
Now, we see that:
γ 1γ 2 (1 + β1β 2 ) = 1
=1
(1 − β12 )(1 − β 22 ) (1 + β1β 2 ) 2 = 1
[1 + β12 β 22 + 2 β1β 2 − (β12 + β 22 + 2 β1β 2 )] (1 + β1β 2 ) 2 =
2
1 − [(β1 + β 2 ) (1 + β1β 2 )] = 1 1 − U 2 c 2 = γ , and so (A.1.1) and (A.1.2) can be rewritten like that:
x = γ ( x' '+Ut ' ' )
( γ 1 ,V and
t = γ (t ' '+
with
γ 2 ,W), you just make one, but using γ
U
β
x ' ' ) = γ (t ' '+ x' ' )
2
c
c
, so, instead of carrying out two Lorentz T.
and U.
Subapp. 2: Transversal (relativistic) Doppler Effect.
If we represent an electromagnetic wave propagating, through its electric field E:
r r
r 2π
r
2π
and ω =
so:
E = E0 e i (ωt − k ⋅r ) ; such a field propagates along r and we know that k =
λ
T
r
r
T ω r
(A.2.1)
k λ = ωT , that is: k = ω = = k ;
λ c
r r
I = ωt − k ⋅ r is evidently an invariant, but it can also be expressed as the product of two 4-vectors (invariants):
r
r
(position 4-vector and wave 4-vector) I = − r ( r , ct ) ⋅ k ( k , ω c) .
r ω
We know, now, that for (A.2.1), k =
and let’s take a light wave propagating in a system k’(V) over the plane x’, y’
c
r
and forming an angle θ’ with x’; the components of k ' will be:
k '1 = k ' cosθ ' = (ω ' c ) cosθ ' , k '2 = k ' sin θ ' = (ω ' c) sin θ ' , k '3 = 0 and k '4 = (ω ' c) = k ' .
For the Lorentz T. , we have, on the contrary, in a system k:
k1 = γ (k '1 + β k '4 ) , k2 = k '2
,
k3 = k '3
and
k4 = γ (k '4 + β k '1 ) ; now, as also k3=0, in the system k, too, the ray
propagates on x,y; so, we have:
ω
ω
ω
k = ( cosθ , sin θ ,0, ) ; now, we calculate ω and θ: on this purpose, from the transformation of k’4 , we have:
c
c
c
ω
ω'
ω'
= γ ( + β cosθ ' ) , or:
c
c
c
(1 + β cosθ ' )
ω = ω'
= ω ' γ (1 + β cosθ ' )
(A.2.2)
(1 − β 2 )
while from the transformation of k’1 , we have:
cosθ =
ω'
(cosθ '+ β )
γ (cosθ '+ β ) =
ω
(1 + β cosθ ' )
ω
ω'
ω'
cosθ = γ ( cosθ '+ β ) and
c
c
c
if we consider (A.2.2), we have:
(A.2.3)
Then, we notice that the transformation of k’2 and (A.2.2) yield:
(1 − β 2 )
sin θ '
ω'
sin θ = sin θ ' =
sin θ ' =
(1 + β cosθ ' )
γ (1 + β cosθ ' )
ω
sin θ
and from (A.2.3) and (A.2.4) we also have: sin θ ' =
γ (1 − β cosθ )
(A.2.4)
, which is, then, (A.2.4) with θ’ and θ swapped
and with (-β) in place of β; all this, for the relativity of the movement.
-----------------------Now, suppose a source ω’ is at rest in a system k’(θ’); then, from (A.2.3) we have:
cosθ ' =
(cosθ − β )
(1 − β cosθ )
(useful to get θ immediately, from θ’) (it’s the (A.2.3) with θ’ and θ swapped and with (-β) in
place of β), from which:
(1 − β 2 )
(1 + β cosθ ' ) =
1 − β cosθ
ω = ω'
and (A.2.4) becomes:
(1 − β 2 )
1 − β cosθ
(A.2.5)
Here ω’ is the ω of the moving source and
ω ' ≠ ω . Therefore, if in the system k you see the radiation under an angle
θ = π , this means that the radiation comes from right, from the system k’ which is getting farther along the x axis, and
cosθ = cos π = −1 and from (A.2.5)
(1 − β )
with the source getting farther ( θ = π ), we have: ω = ω '
(A.2.6)
(1 + β )
so we can talk about a Longitudinal Doppler Effect (Par. 3.5) and, in this case,
T = T'
>>>
ω = ω'
, whilst, when the system k’ getting closer (θ=0 >>> cos θ=1), we have:
(1 + β )
(1 − β )
T = T'
>>>
(1 + β )
(1 − β )
(1 − β )
(1 + β )
(A.2.7)
, just like in App.1-Par. 3.5.
Curio: by a series development on β (<<1), (A.2.6) and (A.2.7) give:
ω − ω ' ∆ω
=
= m β ; this
ω'
ω'
ω = 2πν and λν = c ).
ω ≅ ω ' (1 − β )
and
ω ≅ ω ' (1 + β )
so:
formula is very used in astrophysics and cosmology for the red shift (remember that
In order to go from the case of the moving emitter to that of the moving observer and vice versa, you just swap β with
– β (V with –V) and ω’ with ω. In any case, when there is an approaching (or a getting farther) situation, formulae for
the Longitudinal Relativistic Doppler Effect are the same, no matter who is approaching.
If, on the contraty, system k sees the radiation coming under
θ =π 2,
from the top, then we can talk about a
TRANSVERSAL Relativistic Doppler Effect; in this case you don’t have either a getting farther or an approaching
situation, but the only Doppler kind effect is just due to the time dilation; in fact, also from (A.2.5), with
have:
ω = ω ' (1 − β 2 )
. By developing, with β<<1, we have:
ω ≅ ω ' (1 −
β
)
2
θ = π 2 , we
2
(second degree in β, so, a lighter
effect, with respect to the longitudinal one). Such an effect was first observed by Ives in 1938 and this plainly proved
the theory. Moreover, the diversity between θ’ and θ also confirms the phenomenon of the light ABERRATION, according
to which, if you are moving, you see light coming to you under a different angle, something like when you are driving a
car in a rainy day and you see the rain falling askew on the windscreen. And from (A.2.3) and (A.2.4), we have:
tgθ =
sin θ ' (1 − β 2 )
(cosθ '+ β )
.
Subapp. 3: The Transformations of the four-velocity.
We have defined the velocity 4-vector in App.1-Par. 2.2:
v=(
r
dx1 dx2 dx3 dx4
dx
dx
dx
dx
,
,
,
) = (γ 1 , γ 2 , γ 3 , γ 4 ) = (γv x , γv y , γvz , γc) = (γv , γc) = (u1 , u 2 , u3 , u 4 )
dτ dτ dτ dτ
dt
dt
dt
dt
u '3 = u3 , u ' 4 = Γ(u 4 − β u1 ) ;
now, you can see that Γ is defined by the V of the moving system 0’ (and β=V/c), while γ is referred to the velocity v
had by a particle in 0, and γ ' is to v’ had by a particle in 0’. Now, by replacing the u by the relevant values:
γ ' v 'x = Γ(γvx − γV ) , γ ' v ' y = γv y , γ ' v' z = γv z , γ ' c = Γ(γc − γβv x ) ;
By applying the Lorentz T. , we have:
from the last one, we have:
u '1 = Γ(u1 − β u 4 ) , u ' 2 = u 2
γ
1
=
γ ' Γ(1 − V v )
x
c2
and if you put it in the first three ones:
v' x =
γ
γ
Γ( v x − V ) , v' y = v y
γ'
γ'
,
v' z =
γ
vz
γ'
,
,
(A.3.1)
, it yields the transformations of the velocities.
For the case of the inverse transformations, in place of the (A.3.1), we’ll have:
It follows from (A.3.1) that if the particle is at rest in 0 (v=0 >> γ
= 1 ), then
γ
V
= Γ (1 + 2 v x ) .
c
γ'
γ ' = Γ , from which v’=-V , that is, in 0’
the particle has a velocity –V (of course).
Subapp. 4: The transformations of the four-force.
At App.1-Par. 2.3 we have introduced the Minkowski Force, or 4-force:
According to the Lorentz T.:
F '1 = Γ( F1 − β F4 ) , F '2 = F2
,
F=
F '3 = F3
,
r γ r r
= (γf , ( f ⋅ v )) = ( F1 , F2 , F3 , F4 ) .
dτ
c
F '4 = Γ( F4 − β F1 ) .
dp
If now we introduce in such equations the components of the Minkowski Force, we have:
r r
r r
β r r
γ ( f ⋅ v )) , γ ' f ' y = γf y , γ ' f ' z = γf z , γ ' ( f '⋅v ' ) = Γ(γ ( f ⋅ v ) − Vγf x ) , from which:
c
r r
r r
γ
β r r
γ
γ
γ
f ' x = Γ( f x − ( f ⋅ v )) , f ' y = f y , f ' z = f z , ( f '⋅v ' ) = Γ(( f ⋅ v ) − Vf x ) , which, for (A.3.1),
γ'
γ'
c
γ'
γ'
γ ' f ' x = Γ(γf x −
becomes:
f 'x =
β r r
( f ⋅ v ))
c
V
1 − 2 vx
c
( fx −
,
f 1− β 2
f 'y = y
V
1 − 2 vx
c
,
f 1− β 2
f 'z = z
V
1 − 2 vx
c
,
r r
r r
( f ⋅ v ) − Vf x
( f '⋅v ' ) =
V
1 − 2 vx
c
which are the transformation equations of the 4-force.
Subapp. 5: The acceleration four-vector and the transformations of the acceleration.
Of course, the 4-vector acceleration can be defined as follows:
a=
d2x
d 2 x1 d 2 x2 d 2 x3 d 2 x4
dv
=
= (a1 , a2 , a3 , a 4 )
(
,
,
,
)=
2
2
2
2
2
dτ
dτ
dτ
dτ
dτ
dτ
For the first three (spatial) components, we have: ( α
= 1,2,3 )
d
dt
dγ
dv
v&
v (vv&)
aα = (γvα )
= γvα
+γ 2 α = α 2 + 2 α 2 2
dt
dτ
dt
dt 1 − β
c (1 − β )
, as:
γ& =
3
1
dγ d
3
& = γ vv& . About a4 :
= (
)
=
γ
β
β
dt dt (1 − β 2 )
c2
a4 =
d
dt
dγ c dγ 2
(vv&)
(γc)
= cγ
=
= cγ 4 β β& =
dt
dτ
dt 2 dt
c (1 − β 2 ) 2
a = (γ
and so:
d
c dγ 2
(vv&)
(γv ),
) = (γ 2 v& + γ 4 β β&v,
)
dt
2 dt
(1 − β 2 ) 2 ; notice that in the system where the particle is at rest, (v=0,
β=0) we have:
a1( 0 ) = v&x , a2( 0 ) = v& y
three-dimensional one. Moreover:
2
,
a3( 0 ) = v&z , a4( 0) = 0 , that is, the spatial part of a
a = v& 2 > 0
and, as
a
2
is equal to the common
is an invariant, the inequality is always true and so
a
is
space-type.
In order to get the transformation equations for the acceleration, know that:
dv
dv'
and v&'=
; moreover, vx = vx (t ) and v' x = v 'x (t ' ) (consistently). Then, let’s name:
dt
dt
v
v'
β x = x and β 'x = x ; so, we get from (A1.18) that:
c
c
dv' x
dv '
1 − β (β 'y
− β 'x )
1 − β ( β 'z x − β ' x )
dv y
dv ' y
dvx
1
dvz
dv' z
= 2
,
=
=
and
2
2
dv' x γ (1 + ββ ' x )
dv' z
γ (1 + ββ 'x )2
dv' y
γ (1 + ββ ' x )
v& =
Then, from them, we have:
dv' y − β (β ' y dv' x − β ' x dv' y )
γ (1 + ββ 'x ) 2
.
dv' z − β (β ' z dv' x − β 'x dv' z )
;
γ (1 + ββ 'x )2
β
if now we divide these equations by the following well known equation (of the Lorentz T.) dt = γ ( dt '+ dx' ) , we
c
dvx =
dv ' x
γ (1 + ββ ' x ) 2
2
,
dv y =
and
dvz =
have:
ax =
1
a 'x
3
γ (1 + ββ 'x )3
,
ay =
a ' y + β ( β ' x a' y − β ' y a 'x )
γ 2 (1 + ββ 'x )3
and
az =
a' z + β ( β 'x a 'z − β 'z a 'x )
γ 2 (1 + ββ ' x )3
which are the equations for the transformation of the accelerations, indeed.
At last, we notice those equations have got the velocity inside; therefore, if the three-dimension acceleration is constant,
in an inertial reference system, it will change with time in all others!
App. 2: As I see the Universe (Unification Gravity Electromagnetism).
Contents of App. 2:
-Contents of App. 2.
Page 26
-App. 2-Chapter 1: A new Universe, 100 times bigger, more massive and older.
App. 2-Par. 1.1: No dark matter!
App. 2-Par. 1.2: Cosmic acceleration aUniv.
App. 2-Par. 1.3: The new density of the Universe.
App. 2-Par. 1.4: Further considerations on the meaning of aUniv.
App. 2-Par. 1.5: Further confirmations and encouragements from other branches of physics.
App. 2-Par. 1.6: On discrepancies between calculated and observed rotation speeds of galaxies.
Page 26
Page 26
Page 27
Page 28
Page 29
Page 29
Page 31
-App. 2-Chapter 2: The unification of electromagnetic and gravitational forces (Rubino).
App. 2-Par. 2.1: The effects of MUniv on particles.
App. 2-Par. 2.2: The discovery of the common essence of gravity and electromagnetism.
App. 2-Par. 2.3: The oscillatory essence of the whole Universe and of its particles.
Page 32
Page 32
Page 33
Page 34
-App. 2-Chapter 3: The unification of magnetic and electric forces.
App. 2-Par. 3.1: Magnetic force is simply a Coulomb’s electric force(!).
Page 35
Page 35
-App. 2-Chapter 4: Justification of the equation
gravitational forces (Rubino).
App. 2-Par. 4.1: The equation
RUniv = N re
RUniv = N re
previously used for the unification of electric and
Page 38
(!).
Page 38
-App. 2-Chapter 5: “aUniv“ as absolute responsible of all forces.
App. 2-Par. 5.1: Everything from “aUniv“.
App. 2-Par. 5.2: Summarizing table of forces.
App. 2-Par. 5.3: Further considerations on composition of the Universe in pairs +/-.
App. 2-Par. 5.4: The Theory of Relativity is just an interpretation of the oscillating Universe just described
contracting with speed c and acceleration auniv.
App. 2-Par. 5.5: On “Relativity” of lost energies.
Page 39
Page 39
Page 39
Page 40
-App. 2-SUBAPPENDIXES.
App. 2-Subappendix 1: Physical constants.
Page 42
Page 42
Page 40
Page 41
App. 2-Chapter 1: A new Universe, 100 times bigger, more massive and older.
App. 2-Par. 1.1: No dark matter!
ON DISCREPANCIES BETWEEN CALCULATED AND OBSERVED DENSITIES ρUniv :
The search for 99% of matter in the Universe, after that it has been held invisible sounds somewhat strange. And it’s a
lot of matter, as dark matter should be much more than the visible one (from 10 to 100 times more).
Astrophysicists measure a ρ value of visible Universe which is around: ρ
≅ 2 ⋅ 10−30 kg / m 3 .
Prevailing cosmology nowadays gives the following value of ρ: (see also (A1.6)):
4
2
ρWrong = H local
/( πG ) ≅ 2 ⋅ 10− 26 kg / m3
3
(too high!) .
(A1.1)
Let’s use the following plausible value for Hlocal (local Hubble’s constant – see (A1.7) below):
m
H local ≅ 75km /( s ⋅ Mpc) ≅ 2,338 ⋅10−18 [( ) m]
s
(A1.2)
H local ≈ c / RUniverse −Old
(A1.3)
confirmed by many measurements on Coma cluster, for instance, (see (A1.7) below) and this also confirms that the
farthest objects ever observed are travelling away with a speed close to that of light:
, from which:
RUniv −Old ≈ c / H local ≈ 4000 Mpc ≈ 13,5 ⋅ 109 light _ year
Moreover, one can easily calculate the speed of a “gravitating” mass m at the edge of the visible Universe, by the
following equality between centrifugal and gravitational forces:
m⋅a = m⋅
c2
RUniv −Old
2
= G ⋅ m ⋅ M Univ − Old / RUniv
− Old
,
(A1.4)
from which, also considering (A1.3), we have:
M Univ − Old = c 3 /(G ⋅ H local ) ≅ 1,67 ⋅10 53 kg
(A1.5)
and so:
4
4
4 3
c 3
3
2
) ] = H local
/( πG ) ≅ 2 ⋅ 10 − 26 kg / m3
ρWrong = M Univ −Old /( πRUniv
− Old ) = (c GH local ) [ π (
3
3 H local
3
(A1.6)
i.e. (A1.1) indeed (too high value!)
Good…, sorry, bad; this value is ten thousand times higher than the observed density value, which has been measured
by astrophysicists. Moreover, galaxies are too “light” to spin so fast (see further on). As a consequence, they decided to
take up searching for dark matter, and a lot of, as it should be much more than the visible one (from 10 to 100 times
more).
On the contrary, astrophysicists detect a value for ρ around:
ρ ≅ 2 ⋅ 10−30 kg / m 3 .
Let’s try to understand which arbitrary choices, through decades, led to this discrepancy. From Hubble’s observations on,
we understood far galaxies and clusters got farther with speeds determined by measurements of the red shift. Not only;
the farthest ones have got higher speeds and it quite rightly seems there’s a law between the distance from us of such
objects and the speeds by which they get farther from us.
Fig. A1.1 below is a picture of the Coma cluster, about which hundreds of measurements are available; well, we know
the following data about it:
distance Δx=100 Mpc = 3,26 108 l.y. = 3,09 1024 m
speed Δv=6870 km/s=6,87 106 m/s.
Fig. A1.1: Coma cluster.
If we use data on Coma cluster to figure out the Hubble’s constant Hlocal, we get:
m
H local = ∆v ∆x ≅ 2,22 ⋅10 −18 [( ) m] ,
s
(A1.7)
That is a good value for “local” Hubble’s constant.
App. 2-Par. 1.2: The cosmic acceleration aUniv.
As a confirmation of all we just said, we also got the same Hlocal value from (A1.3) when we used data on the visible
9
Universe of 13,5 10 l.y. radius and ~c speed, instead of data on Coma cluster. By the same reasonings which led us so
far to get the Hlocal constant definition, we can also state that if galaxies increase their own speeds with going farther,
then they are accelerating with an acceleration we call aUniv , and, from physics, we know that:
∆x =
1
1
1
a ⋅ ∆t 2 = (a ⋅ ∆t ) ⋅ ∆t = ∆v ⋅ ∆t
2
2
2
, from which:
∆t =
acceleration aUniv , yields:
aUniv =
∆v
∆v
( ∆v ) 2
=
=
= aUniv ≅ 7,62 ⋅ 10−12 m / s 2 ,
⋅
∆
x
2
∆t
2 ⋅ ∆x
∆v
2 ⋅ ∆x
∆v
, which, if used in the definition of
cosmic acceleration (Wåhlin)
(A1.8)
after that we used data on Coma cluster.
This is the acceleration by which all our visible Universe is accelerating towards the center of mass of the whole
Universe.
YOU’LL SEE THIS SMALL ITEM WE’VE JUST CALCULATED (aUniv) IS AN OBJECT NOT WELL TAKEN INTO ACCOUNT AND
IT ALLOWS US TO SAY THE DENSITY CALCULATED FOR THE UNIVERSE IS THE SAME AS THE ONE MEASURED BY THE
ASTROPHYSICISTS AND IT WILL ALSO JUSTIFY THE HIGH ROTATION VELOCITIES OF GALAXIES, AGAIN WITHOUT
ANY SEARCHING FOR DARK MATTER
9
but, in this case, we have to accept to deal with living in a Universe whose radius is 100 times the 13,5 10 l.y.
supported nowadays, and whose mass is much higher than 1,67 1053 kg, calculated at page 157, still supported
nowadays and considered as the mass of the whole Universe, and not of that visible to us (see below).
Let’s Disentangle the Question:
Well then, let’s start from the discovery represented by (A1.8), according to which we are accelerating, and from (A1.4),
according to which:
aUniv =
c2
RUniv − New
RUniv − New
, and, as a new radius of the Universe:
c2
=
≅ 1,17908 ⋅10 28 m .
aUniv
(A1.9)
This value is 100 times the one previously calculated in (A1.3) and it should represent the radius between the center of
mass of the Universe and the place where we are now, place in which the speed of light is c.
((as we are not exactly on the edge of such a Universe, we can demonstrate the whole radius is larger by a factor
that is RUniv=1,667 1028m.))
2,
Anyway, we are dealing with linear dimensions 100 times those supported in the prevailing cosmology nowadays. We
can say that there is invisible matter, but it is beyond the range of our largest telescopes and not inside galaxies or
among them; the dark matter should upset laws of gravitations, but they hold very well.
Again, from (A1.4) we have:
2
m ⋅ aUniv = G ⋅ m ⋅ M Univ − New / RUniv
− New
, so:
2
55
M Univ − New = aUniv ⋅ RUniv
− New / G = 1,59486 ⋅ 10 kg
(A1.10)
This value, again, is a hundred times that of nowadays cosmology, in (A1.5) and it represents the mass within the radius
RUniv-New , while the one within the whole RUniv-Tot is unknown.
From (A1.9) and (A1.10) we also get:
c2 =
GM Univ
RUniv
(~Eddington).
(A1.11)
App. 2-Par. 1.3: The new density of the Universe.
NOW LET’S GO TO THE CALCULATION OF THE NEW DENSITY OF THE UNIVERSE:
4
3
− 30
ρ = M Univ − New /( π ⋅ RUniv
kg / m3 !!!
− New ) = 2.32273 ⋅ 10
3
very very close to that observed and measured by astrophysicists and already reported at page 158.
(A1.12)
Nature fortunately sends encouraging and convincing signs on the pursuit of a way, when confirmations on what one
has understood are coming from branches of physics very far from that in which one is investigating.
On the basis of that, let’s remind ourselves of the classic radius of an electron (“stable” and base particle in our
Universe!), which is defined by the equality of its energy E=mec2 ant its electrostatic one, imagined on its surface ( in a
classic sense):
me ⋅ c 2 =
re =
1 e2
4πε 0 re
, so:
e2
1
≅ 2,8179 ⋅ 10−15 m
2
4πε 0 me ⋅ c
(A1.13)
Now, still in a classic sense, if we imagine, for instance, to figure out the gravitational acceleration on an electron, as if it
were a small planet, we must easily conclude that:
ge = G
mx ⋅ ge = G
mx ⋅ me
re2
, so:
3 4
me
2 2 Gme c
=
8
π
ε
= aUniv = 7,62 ⋅10−12 m s 2 !!!
0
re2
e4
(A1.14)
that is the very value obtained in (A1.8) through different reasonings, macroscopic, and not microscopic, as it was for
(A1.14). All in all, why should gravitational behaviours of the Universe and of electrons (making it) be different?
App. 2-Par. 1.4: Further considerations on the meaning of aUniv.
Well, we have to admit that if matter shows mutual attraction as gravitation, then we are in a harmonic and oscillating
Universe in contraction towards a common point, that is the center of mass of all the Universe. As a matter of fact, the
acceleration towards the center of mass of the Universe and the gravitational attractive properties are two faces of the
same medal. Moreover, all the matter around us shows it want to collapse: if I have a pen in my hand and I leave it, it
drops, so showing me it wants to collapse; then, the Moon wants to collapse into the Earth, the Earth wants to collapse
into the Sun, the Sun into the centre of the Milky Way, the Milky Way into the centre of the cluster and so on; therefore,
all the Universe is collapsing. Isn’t it?
So why do we see far matter around us getting farther and not closer? Easy. If three parachutists jump in succession
from a certain altitude, all of them are falling towards the center of the Earth, where they would ideally meet, but if
parachutist n. 2, that is the middle one, looks ahead, he sees n. 1 getting farther, as he jumped earlier and so he has a
higher speed, and if he looks back at n. 3, he still sees him getting farther as n. 2, who is making observations, jumped
before n. 3 and so he has a higher speed. Therefore, although all the three are accelerating towards a common point,
they see each other getting farther. Hubble was somehow like parachutist n. 2 who is making observations here, but he
didn’t realize of the background acceleration g (aUniv).
At last, I remind you of the fact that recent measurements on Ia type supernovae in far galaxies, used as standard
candles, have shown an accelerating Universe; this fact is against the theory of our supposed current post Big Bang
expansion, as, after that an explosion has ceased its effect, chips spread out in expansion, ok, but they must obviously
do that without accelerating.
235
238
Moreover, on abundances of U
and U
we see now (trans-CNO elements created during the explosion of the
primary supernova, we see that (maybe) the Earth and the solar system are just (approximately) five or six billion years
old, but all this is not against all what just said on the real age of the Universe, as there could have been sub-cycles
from which galaxies and solar systems originated, whose duration is likely less than the age of the whole Universe.
About TUniv of the Universe, we know from physics that: v=ωR and
ω = 2π / T , and, for the whole Universe:
c=ωRUniv and
ω = 2π / TUniv
, from which:
2πRUniv
(7.840 billion years)
(A1.15)
= 2,47118 ⋅ 10 20 s
c
−20
About the angular frequency: ωUniv ≅ c / RUniverso − New = 2,54 ⋅ 10 rad / s , and it is a right parameter for a
reinterpretation of the global Hubble’s constant H global , whose value is H local only in the portion of Universe visible by
TUniv =
us ( ωUniv
= H Global ).
App. 2-Par. 1.5: Further confirmations and encouragements from other branches of physics.
1) Stephan-Boltzmann’s law:
ε = σT 4 [W/m2],
where
σ = 5,67 ⋅ 10−8 W (m 2 K 4 )
It’s very interesting to notice that if we imagine an electron (“stable” and base particle in our Universe!) irradiating all
energy it’s made of in time TUniv , we get a power which is exactly ½ of Planck’s constants, expressed in watt!
In fact:
Le =
me c 2 1
= hW = 3,316 ⋅ 10− 34 W
TUniv 2
(One must not be surprised by the coefficient ½; in fact, at fundamental energy levels, it’s always present, such as, for
instance, on the first orbit of the hydrogen atom, where the circumference of the orbit of the electron (2πr) really is
1
λDeBroglie of the electron. The photon, too, can be represented as if it were contained in a small cube whose side is
2
1
).
λ
2
photon
2) Moreover, we notice that an electron and the Universe have got the same luminosity-mass ratio:
in fact,
LUniv
M Univ
LUniv =
M Univc 2
= 5,80 ⋅1051W
TUniv
(by definition) and it’s so true that:
mec 2
M Univc 2
1
hW
2
2
c
c
L
T
T
= Univ =
= e = Univ =
=2
me
TUniv
me
M Univ
TUniv me
and, according to Stephan-Boltzmann’s law, we can
consider that both an “electron” and the Universe have got the same temperature, the cosmic microwave background
one:
1
h 1
1
1
1
L
L
L
L
4
Univ
e
2
4
4
4
= σT , so: T = (
) =(
) =(
) =(
) 4 = 2,73K
2
2
2
4πR 2
4πR 2σ
4πRUniv σ
4πre σ
4πre σ
!!!
And all this is no more true if we use data from the prevailing cosmology!
3) The Heisenberg Uncertainty Principle as a consequence of the essence of the macroscopic and
Universe:
according to this principle, the product Δx Δp must keep above
maximum, Δp must be at a minimum, and vice versa:
∆p ⋅ ∆x ≥ h / 2
Now, as
∆xmin
∆pmax
and
∆pmax ⋅ ∆xmin = h / 2
(h
= h / 2π
h/ 2,
aUniv
accelerating
and with the equal sign, when Δx is at a
)
we take, for the electron (“stable” and base particle in our Universe!),
∆pmax = (me ⋅ c )
and as
for the electron, as it is a harmonic of the Universe in which it is (just like a sound can be considered as made of
its harmonics), we have:
∆xmin = aUniv (2π )2 ,
which it is; in fact, from (A1.15),
2
RUniv = aUniv ωUniv
,
ωUniv = 2π TUniv = 2πν Univ , and as ωe
“ν Univ –th” part of ωUniv , that is:
ωe = ωUniv ν Univ
as a direct consequence of the characteristics of the Universe in
as we know from physics that
a = ω 2R ,
and then
of the electron (which is a harmonic of the Universe) we therefore take the
like if the electron of the electron-positron pairs can make oscillations similar to those of the
Universe, but through a speed-amplitude ratio which is not the (global) Hubble Constant, but through HGlobal divided by
2
ν Univ , and so, if for the whole Universe: RUniv = aUniv ωUniv
, then, for the electron:
a
aUniv
aUniv
a
∆xmin = Univ2 =
=
= Univ2 , from which:
2
2
(ωe )
( ωUniv ν Univ )
( H Global ν Univ )
(2π )
a
∆pmax ⋅ ∆xmin = mec Univ2 = 0,527 ⋅10−34 [Js] and such a number ( 0,527 ⋅10 −34 Js), as chance would have it, is
(2π )
really h / 2 !!
4) As we previously did, let’s remind ourselves of the classic radius of an electron (“stable” and base particle in our
Universe!), which is defined by the equality of its energy E=mec2 ant its electrostatic one, imagined on its surface ( in a
classic sense):
me ⋅ c 2 =
re =
1 e2
4πε 0 re
, so:
e2
1
≅ 2,8179 ⋅ 10−15 m
2
4πε 0 me ⋅ c
Now, still in a classic sense, if we imagine, for instance, to figure out the gravitational acceleration on an electron, as if it
were a small planet, we must easily conclude that:
ge = G
mx ⋅ ge = G
mx ⋅ me
re2
, so:
3 4
me
2 2 Gme c
=
8
π
ε
= aUniv = 7,62 ⋅10−12 m s 2 !!!
0
2
4
re
e
5) We know that
α=
the same value only if
clearly: ν Univ
=
1
TUniv
1
137
ν
is the value of the Fine structure Constant and the following formula
is the one of the Universe we just described, that is:
α=
1
Gme2
=
hν Univ
137
re
yields
, where,
(see (A1.15)) !!
6) If I suppose, out of simplicity, that the Universe is made of just harmonics, as electrons
their number will be:
Gme2
hν
re
N=
e−
(and/or positrons
M Univ
≅ 1,75 ⋅ 1085 (~Eddington); the square root of such a number is:
me
e + ),
N ≅ 4,13 ⋅ 1042
(~Weyl).
Now, we are surprised to notice that
( RUniv
N re ≅ 1,18 ⋅10 28 m
(!), that is, the very
RUniv
value we had in (A1.9)
= N re ≅ 1,18 ⋅10 28 m ) !!!
---------------------------------------------
App. 2-Par. 1.6: On discrepancies between calculated and observed rotation speeds of galaxies.
Andromeda galaxy (M31):
Distance: 740 kpc; RGal=30 kpc;
Visible Mass MGal = 3 1011MSun;
Suspect Mass (+Dark) M+Dark = 1,23 1012MSun;
MSun=2 1030 kg; 1 pc= 3,086 1016 m;
Fig. A1.2: Andromeda galaxy (M31).
By balancing centrifugal and gravitational forces for a star at the edge of a galaxy:
mstar
v2
m M
= G star 2 Gal
RGal
RGal
, from which:
v=
GM Gal
RGal
On the contrary, if we also consider the tidal contribution due to aUniv , i.e. the one due to all the Universe around, we
get:
v=
GM Gal
+ aUniv RGal
RGal
; let’s figure out, for instance, in M31, how many RGal (how many k times) far away from
the center of the galaxy the contribution from aUniv can save us from supposing the existence of dark matter:
GM + Dark
GM Gal
=
+ aUniv kRGal
kRGal
kRGal
, so:
G (M + Dark − M Gal )
≅4,
2
aUniv RGal
k=
therefore, at 4RGal far away, the
existence of aUniv makes us obtain the same high speeds observed, without any dark matter. Moreover, at 4R Gal far
away, the contribution due to aUniv is dominant.
At last, we notice that aUniv has no significant effect on objects as small as the solar system; in fact:
G
M Sun
REarth − Sun
≅ 8,92 ⋅108 >> aUniv REarth − Sun ≅ 1,14
.
All these considerations on the link between aUniv and the rotation speed of galaxies are widely open to further
speculations and the equation through which one can take into account the tidal effects of
aUniv
in the galaxies can
have a somewhat different and more difficult look, with respect to the above one, but the fact that practically all galaxies
have dimensions in a somewhat narrow range (3 – 4 RMilky Way or not so much more) doesn’t seem to be like that just by
chance, and, in any case, none of them have radii as big as tents or hundreds of R Milky Way , but rather by just some
times. In fact, the part due to the cosmic acceleration, by zeroing the centripetal acceleration in some phases of the
revolution of galaxies, would fringe the galaxies themselves, and, for instance, in M31, it equals the gravitational part at
a radius equal to:
GM M 31
= aUniv RGal − Max
RGal − Max
, from which:
RGal − Max =
GM M 31
≅ 2,5RM 31 ; in fact, maximum radii ever observed in
aUniv
galaxies are roughly this size.
--------------------------------------------App. 2-Chapter 2: The unification of electromagnetic and gravitational forces (Rubino).
App. 2-Par. 2.1: The effects of MUniv on particles.
We remind you that from the definition of
re
in (A1.13):
1 e2
⋅ = mec 2
4πε 0 re
and from the (A1.11):
c2 =
GM Univ
RUniv
(~Eddington), we get:
1 e 2 GM Univ me
⋅ =
4πε 0 re
RUniv
!!
(A2.1)
As an alternative, we know that the Fine structure Constant is 1 divided by 137 and it’s given by the following equation:
1 2
e
1
4πε 0
α=
=
h
137
c
2π
(Alonso-Finn), but we also see that
1
137
is given by the following equation, which can be
considered suitable, as well, as the Fine structure Constant:
Gme2
E
1
r
1
α=
= e = Box _ Min , where ν Univ =
. E Box _ Min is the smallest box of energy in the Universe (the
TUniv
137 hν Univ EEmanable
electron), while E Emanable is the smallest emanable energy, as ν Univ is the smallest frequency.
Besides, α is also given by the speed of an electron in a hydrogen atom and the speed of light ratio:
α = ve _ in _ H c = e 2 2ε 0 hc , or also as the ratio between Compton wavelenght of the electron (which is the
minimum λ of e- when it’s free and has the speed of light c) and the wavelength of e- indeed, on the first orbit of H:
α = λCompton λ1− H = (h mec) (h me ve _ in _ H ) . Moreover, α = re a0
, where
a0 = 0,529 Å is the Bohr’s radius.
So, we could set the following equation and deduce the relevant consequences (Rubino):
1 2
Gme2
e
1
4πε 0
r
)=
(α =
= e
h
137
hν Univ
c
2π
, from which:
Gme2
1 2
c Gme2
c Gme2
e =
=
= RUniv
re
4πε 0
2πνUniv re
H global re
after that (A1.15) has been used.
Therefore, we can write:
Gme2
1 e2
=
re
4πε 0 RUniv
(and this intermediate equation, too, shows a deep relationship
between electromagnetism and gravitation, but let’s go on…)
Now, if we temporarily imagine, out of simplicity, that the mass of the Universe is made of N electrons
positrons
e
+
and
, we could write:
M Univ = N ⋅ me
or also:
e−
GM Univ me
1 e2
=
4πε 0 RUniv
N N re
, from which:
1
e2
GM Univ me
⋅
=
4πε 0 ( RUniv N )
N re
If now we suppose that
RUniv = N re
,
.
(A2.2)
(see also (A4.2)), or, by the same token,
re = RUniv
N
, then (A2.2)
becomes:
1 e 2 GM Univ me
⋅ =
4πε 0 re
RUniv
!!
(Rubino) that is (A2.1) again.
Now, first of all we see that the supposition
RUniv = N re
is very right, as from the definition of N above given
(A1.10), we have:
N=
M Univ
≅ 1,75 ⋅ 1085 (~Eddington), from which:
me
N ≅ 4,13 ⋅ 1042
RUniv = N re ≅ 1,18 ⋅10 28 m , that is the very RUniv
(~Weyl) and
value obtained in (A1.9).
App. 2-Par. 2.2: The discovery of the common essence of gravity and electromagnetism.
Now, (A2.1) is of a paramount importance and has got a very clear meaning (Rubino) as it tells us that the electrostatic
energy of an electron in an electron-positron pair ( e
by the whole Universe
M Univ
at an
RUniv
+ −
e
adjacent) is exactly the gravitational energy given to this pair
distance! (and vice versa)
Therefore, an electron gravitationally cast by an enormous mass
travel
RUniv , gains a gravitationally originated kinetic energy
M Univ
for a very long time
TUniv
and through a long
so that, if later it has to release it all together, in a short
+ −
time, through a collision, for instance, and so through an oscillation of the e e pair - spring, it must transfer a so huge
gravitational energy indeed, stored in billion of years that if this energy were to be due just to the gravitational potential
energy of the so small mass of the electron itself, it should fall short by many orders of size. Therefore, the effect due to
the immediate release of a big stored energy, by
e − , which is known to be
GM Univ me
RUniv
, makes the electron “appear”,
in the very moment, and in a narrow range ( re ), to be able to release energies coming from forces stronger than the
gravitational one, or like if it were able to exert a special gravitational force, through a special Gravitational Universal
Constant G’, much bigger than G:
(
mm
e e me me
1
⋅
⋅ )⋅
= G '⋅ e e
re
re
4πε 0 me me
; it’s only that during the sudden release of energy by the electron, there is a
run taking effect due to its eternal free (gravitational) falling in the Universe. And, at the same time, gravitation is an
effect coming from the composition of many small electric forces.
I also remark here, that the energy represented by (A2.1), as chance would have it, is really
me c 2
!!!, that is a sort of
run taking kinetic energy, had by the free falling electron-positron pair , and that Einstein assigned to the rest matter,
unfortunately without telling us that such a matter is never at rest with respect to the center of mass of the Universe,
as we all are inexorably free falling, even though we see one another at rest; from which is its essence of gravitationally
originated kinetic energy
mec 2 =
mec 2 :
1 e 2 GM Univ me
⋅ =
4πε 0 re
RUniv
.
App. 2-Par. 2.3: The oscillatory essence of the whole Universe and of its particles.
We’re talking about oscillations as this is the way the energy is transferred, and also in collisions, such as those among
billiards balls, where there do are oscillations in the contact point, and how, even though we cannot directly see them
(those of peripheral electrons, of molecules, of atoms etc, in the contact point).
So, we’re properly talking about oscillations also because, for instance, a Sun/planet system or a single hydrogen atom,
+ −
or a e e pair, which are ruled by laws of electromagnetism, behave as real springs: in fact, in polar coordinates, for an
electron orbiting around a proton, there is a balancing between the electrostatic attraction and the centrifugal force:
Fr = −
1 e2
dϕ 2
1 e2
p2
+
m
(
)
r
=
−
+
e
4πε 0 r 2
dt
4πε 0 r 2 me r 3
, where
dϕ
=ω
dt
and
p = me v ⋅ r = meωrr = meωr 2
Let’s figure out the corresponding energy by integrating such a force over the space:
U = − ∫ Fr dr = −
1 e2
p2
+
4πε 0 r
2me r 2
.
(A2.3)
U
U
p2
2me r 2
U Parab = k (r − r0 )2 + U 0
r0
r
−
Uo
U 0 = −(
1 2 me e 4
)
4πε 0 2 p 2
1 e2
4πε 0 r
Fig. A2.1: Graph of the energy.
The point of minimum in (r0,U0) is a balance and stability point (Fr=0) and can be calculated by zeroing the first
derivative of (A2.3) (i.e. setting Fr=0 indeed).
Moreover, around r0, the curve for U is visibly replaceable by a parabola UParab, so, in that neighbourhood, we can write:
U Parab = k (r − r0 )2 + U 0
, and the relevant force is:
Which is, as chance would have it, an elastic force ( F
Fr = − ∂U Parab ∂r = −2k (r − r0 )
= − kx
- Hooke’s Law).
Moreover, the gravitational law which is followed by the Universe is a force which changes with the square value of the
distance, just like the electric one, so the gravitational force, too, leads to the Hooke’s law for the Universe.
--------------------------------------------By means of (A2.1) and of its interpretation, we have turned the essence of the electric force into that of the
gravitational one; now we do the same between the electric and magnetic force, so accomplishing the unification of
electromagnetic and gravitational fields. At last, all these fields are traced back to aUniv , as gravitation does.
App. 2-Chapter 3: The unification of magnetic and electric forces.
App. 6-Par. 3.1: Magnetic force is simply a Coulomb’s electric force(!).
Concerning this, let’s examine the following situation, where we have a wire, of course made of positive nuclei and
electrons, and also a cathode ray (of electrons) flowing parallel to the wire:
Cathode ray
e
-
e
-
e
-
F
e
-
e
y’
-
-
e
F
-
e
-
I’
Direction of the cathode ray (v)
z’
e
-
x’
e
-
+
e
-
Wire
e-
e-
e-
e-
e-
e-
e-
e-
e-
e-
p+
p+
p+
p+
p+
p+
p+
p+
p+
p+
Fig. A3.1: Wire not flown by any current, seen from the cathode ray steady ref. system I’ (x’, y’, z’).
We know from magnetism that the cathode ray will not be bent towards the wire, as there isn’t any current in it. This is
the interpretation of the phenomenon on a magnetic basis; on an electric basis, we can say that every single electron in
the ray is rejected away from the electrons in the wire, through a force F- identical to that F+ through which it’s attracted
from positive nuclei in the wire.
Now, let’s examine the situation in which we have a current in the wire (e- with speed u)
Cathode ray
e-
e-
F
e-
e-
e
-
e
F
e-
ep+
p+
e-
-
e
-
I’
e
Direction of the ray (v)
z’
-
x’
e
-
e
-
Wire
+
ep+
p+
y’
-
e-
p+
p+
p+
ep+
Direction of the current I,
whose e speed is u
ep+
p+
Fig. A3.2: Wire flown by a current (with e- speed=u), seen from the cathode ray steady ref. system I’ (x’, y’, z’).
In this case we know from magnetism that the cathode ray must bend towards the wire, as we are in the well known
case of parallel currents in the same direction, which must attract each other.
This is the interpretation of this phenomenon on a magnetic basis; on an electric basis, we can say that as the electrons
in the wire follow those in the ray, they will have a speed lower than that of the positive nuclei, in the system I’, as such
nuclei are still in the wire. As a consequence of that, spaces among the electrons in the wire will undergo a lighter
relativistic Lorentz contraction, if compared to that of the nuclei’s, so there will be a lower negative charge density, if
compared to the positive one, so electrons in the ray will be electrically attracted by the wire.
This is the interpretation of the magnetic field on an electric basis. Now, although the speed of electrons in an electric
current is very low (centimeters per second), if compared to the relativistic speed of light, we must also acknowledge
that the electrons are billions and billions…., so a small Lorentz contraction on so many spaces among charges, makes a
substantial magnetic force to appear.
But now let’s see if mathematics can prove we’re quantitatively right on what asserted so far, by showing that the
magnetic force is an electric one itself, but seen on a relativistic basis.
On the basis of that, let’s consider a simplified situation in which an electron e- , whose charge is q, moves with speed v
and parallel to a nuclei current whose charge is Q+ each (and speed u):
y’
y
I’
r
Q+
I
Q+
z
z’
q-
x’
v
F
Q+
Q+
Q+
Q+
u
d = d 0 1 − u 2 c2
x
Fig. A3.3: Current of positive charge (speed u) and an electron whose speed is v, in the reader’s steady system I.
a) Evaluation of F on an electromagnetic basis, in the system I :
First of all, we remind ourselves of the fact that if we have N charges Q in line and d spaced (as per Fig. A3.3), then the
linear charge density λ will be:
λ = N ⋅Q N ⋅ d = Q d
.
Now, still with reference to Fig. A3.3, in the system I, for the electromagnetics the electron will undergo the Lorentz
Fl = q ( E + v × B) which is made of an originally electrical component and of a magnetic one:
1 λ
1 Q d
Fel = E ⋅ q = (
)q = (
)q due to the electric attraction from a linear distribution of charges Q, and:
ε 0 2πr
ε 0 2πr
force
Fmagn = µ0
So:
Fl = q (
I
Q t
Q (d u )
uQ d
= µ0
= µ0
= µ0
2πr
2πr
2πr
2πr
(Biot and Savart).
1
1 Q d
Q d0 1
uQ d
)=q
( − µ0 uv )
− vµ0
2πr
2πr ε 0
ε 0 2πr
1 − u 2 c2
,
(A3.1)
where the negative sign tells us the magnetic force is repulsive, in that case, because of the real directions of those
currents, and where the steady distance d0 is contracted to d, according to Lorentz, in the system I where charges Q
have got speed u ( d
= d0 1 − u 2 c 2
).
b) Evaluation of F on an electric base, in the steady system I’ of q:
in the system I’ the charge q is still and so it doesn’t represent any electric current, and so there will be only a Coulomb
electric force towards charges Q:
F 'el = E '⋅q = (
1
1 Q d0
1 Q d'
1 λ'
)
) q = q(
)q = (
ε 0 2πr
ε 0 2πr
ε 0 2πr
1 − u '2 c 2
,
(A3.2)
where u’ is the speed of the charge distribution Q in the system I’, which is due to u and v by means of the well known
relativistic theorem of composition of speeds:
u ' = (u − v) (1 − uv c 2 )
,
(A3.3)
and d0, this time, is contracted indeed, according to u’:
d ' = d 0 1 − u '2 c 2
.
We now note that, through some algebraic calculations, the following equality holds (see (A3.3)):
1 − u '2 c 2 =
(1 − u 2 c 2 )(1 − v 2 c 2 )
(1 − uv c 2 ) 2
F 'el = E '⋅q = (
, which, if replacing the radicand in (A3.2), yields:
1 λ'
1 Q d'
1 Q d0
(1 − uv c 2 )
)q = (
) q = q(
)
ε 0 2πr
ε 0 2πr
ε 0 2πr
1 − u 2 c2 1 − v 2 c2
(A3.4)
We now want to compare (A3.1) with (A3.4), but we still cannot, as one is about I and the other is about I’; so, let’s
scale
F 'el
in (A3.4), to I, too, and in order to do that, we see that, by definition of the force itself, in I’:
F 'el (in _ I ' ) =
∆p I '
∆pI
F (in _ I )
=
= el 2 2
2
2
∆t I ' ∆t I 1 − v c
1− v c
, where
∆pI ' = ∆pI ,
as
∆p
extends along y, and not
along the direction of the relative motion, so, according to the Lorentz transformations, it doesn’t change, while
course, does. So:
1 Q d0
(1 − uv c 2 )
Fel (in _ I ) = F 'el (in _ I ' ) 1 − v c = q (
)
1 − v 2 c2
2
2
2
2
ε 0 2πr
1− u c 1− v c
2
= q(
2
1 Q d 0 (1 − uv c 2 )
)
= Fel (in _ I )
ε 0 2πr
1 − u 2 c2
Now we can compare (A3.1) with (A3.5), as now both are related to the I system.
Let’s write them one over another:
Fl (in _ I ) = q (
1 Q d
uQ d
Q d0 1
1
− vµ0
)=q
( − µ0 uv)
ε 0 2πr
2πr
2πr ε 0
1 − u 2 c2
Fel (in _ I ) = q (
1 Q d 0 (1 − uv c 2 )
Q d0 1
uv
1
)
=q
( −
)
2
ε 0 2πr
2πr ε 0 ε 0 c
1 − u 2 c2
1− u2 c2
∆t , of
=
(A3.5)
Therefore we can state that these two equations are identical if the following identity holds:
c =1
ε 0µ0
, and this
identity is known since 1856. As these two equations are identical, the magnetic force has been traced back to the
Coulomb’s electric force, so the unification of electric and magnetic fields has been accomplished!!
--------------------------------------------App. 2-Chapter 4: Justification of the equation
and gravitational forces (Rubino).
App. 2-Par. 4.1: The equation
RUniv = N re
RUniv = N re
previously used for the unification of electric
(!).
First of all, we have already checked the validity of the equation
RUniv = N re , used in (A2.2), as it has proved to be
numerically correct.
And it’s also justified on an oscillatory basis and now we see how; such an equation tells us the radius of the Universe is
equal to the classic radius of the electron multiplied by the square root of the number of electrons (and positrons) N in
which the Universe can be thought as made of. (We know that in reality almost all the matter in the Universe is not
made of e+e- pairs, but rather of p+e- pairs of hydrogen atoms H, but we are now interested in considering the Universe
as made of basic bricks, or in fundamental harmonics, if you like, and we know that electrons and positrons are basic
bricks, as they are stable, while the proton doesn’t seem so, and then it’s neither a fundamental harmonic, and so nor a
basic brick).
Suppose that every pair e+e- (or, for the moment, also p+e- (H), if you like) is a small spring (this fact has been already
supported by reasonings made around (A2.3)), and that the Universe is a big oscillating spring (now contracting towards
its center of mass) with an oscillation amplitude obviously equal to RUniv , which is made of all microoscillations of e+epairs.
And, at last, we confirm that those micro springs are all randomly spread out in the Universe, as it must be; therefore,
one is oscillating to the right, another to the left, another one upwards and another downwards, and so on.
Moreover e+ and e- components of each pair are not fixed, so we will not consider N/2 pairs oscillating with an amplitude
2re, but N electrons/positrons oscillating with an amplitude re.
re
RUniv
Fig. A4.1: The Universe represented as a set of many (N) small springs, oscillating on random directions, or as a single
big oscillating spring.
Now, as those micro oscillations are randomly oriented, their random composition can be shown as in Fig. A4.2.
rN
RUniv
y
r
re
r
re
r
re
r
re
r
re
r
re
r
re
Fig. A4.2: Composition of N micro oscillations
r
re
r
re
z
r
re
r
re
x
randomly spread out, so forming the global oscillation RUniv.
rN
r N −1 r
rN
RUniv
= RUniv
+ re and the scalar product RUniv
with itself yields:
rN rN
r
N
N −1 2
N −1 r
RUniv ⋅ RUniv = ( RUniv
) 2 = ( RUniv
) + 2 RUniv
⋅ re + re2 ; we now take the mean value:
r N −1 r
N
N −1 2
N −1 2
(A4.1)
( RUniv
) 2 = ( RUniv
) + 2 RUniv
⋅ re + re2 = ( RUniv
) + re2 ,
r N −1 r
r
as 2 RUniv ⋅ re = 0 , because re can be oriented randomly over 360° (or over 4π sr, if you like), so a vector averaging
We
can
obviously
write
that:
with it, as in the previous equation, yields zero.
We so rewrite (A4.1):
N
N −1 2
( RUniv
) 2 = ( RUniv
) + re2
and proceeding, on it, by induction:
(by replacing N with N-1 and so on):
N −1 2
N −2 2
( RUniv
) = ( RUniv
) + re2
, and then:
N −2 2
N −3 2
( RUniv
) = ( RUniv
) + re2
etc, we get:
N
N −1 2
N −2 2
( RUniv
) 2 = ( RUniv
) + re2 = ( RUniv
) + 2 re2 = .......... = 0 + N re2 = N re2
N
( RUniv
) 2 = N re2
, from which, by taking the square roots of both sides:
N
( RUniv
) 2 = RUniv = N
RUniv = N ⋅ re
!!!
, that is:
re2 = N ⋅ re
, that is:
(Rubino)
(A4.2)
Anyway, it’s well known that, in physics, for instance, the walk R made over N successive steps r, and taken in random
directions, is really the square root of N by r (see, for instance, studies on Brownian movement).
--------------------------------------------App. 2-Chapter 5: “aUniv“as absolute responsible of all forces.
App. 2-Par. 5.1: Everything from “aUniv“.
Still in agreement with what has been said so far, the cosmic acceleration itself aUniv is responsible for gravity all, and so
for the terrestrial one, too. In fact, just because the Earth is dense enough, it’s got a gravitational acceleration on its
surface g=9,81 m/s2, while if today we could consider it as composed of electrons randomly spread, just like in Fig. A4.1
for the Universe, then it would have a radius
M Earth
⋅ re = N Earth ⋅ re ,
me
and the gravitational acceleration on its
surface would be:
g New = G
M Earth
= aUniv = 7,62 ⋅ 10−12 m / s 2
2
( N Earth ⋅ re )
!!!
Therefore, once again we can say that the gravitational force is due to the collapsing of the Universe by aUniv, and all
gravitational accelerations we meet, time after time, for every celestial object, are different from aUniv according to how
much such objects are compressed.
--------------------------------------------App. 2-Par. 5.2: Summarizing table of forces.
aUniv
causes
GRAVITY
causes
ELECTRICITY
WEAK FORCE
(Rubino)
causes (Einstein)
(Maxwell)
STRONG FORCE
MAGNETISM
Fig. A5.1: Summarizing table of forces.
(my works in progress)
(through meson exchanges?)
App. 2-Par. 5.3: Further considerations on composition of the Universe in pairs +/-.
The full releasing of every single small spring which stands for the electron-positron pair, is nothing but the annihilation,
with turning into photons of those two particles. In such a way, that pair wouldn’t be represented anymore by a pointed
sin( x − vt ) ( x − vt ) , or the similar δ ( x − vt ) of Dirac), where
spring, but it will be represented by a function like sin( x − ct ) ,
wave, pointed in certain place and time, (for instance
the pointed part would stand for the charge of the
omogeneous along all its trajectory, and this is what a photon is. This will happen when the collapsing of the Universe in
its center of mass will be accomplished.
Moreover, the essence of the pairs e+e-, or, in this era, of e-p+, is necessary in order not to violate Principle of
Conservation of Energy. In fact, the Universe seems to vanish towards a singularity, after its collapsing, or taking place
from nothing, during its inverse Big Bang-like process, and so doing, it would be a violation of such a conservation
principle, if not supported by the Indetermination Principle, according to which an energy ΔE is legitimated to appear
anyhow, unless it lasts less than Δt, in such a way that
∆E ⋅ ∆t ≤ h 2 ; in other words, it can appear provided that the
observer doesn’t have enough time, in comparison to his means of measure, to figure it out, so coming to the
ascertainment of a violation. And, by the same token, the whole Universe, which is made of pairs +/-, has this property.
And the appearing of a ΔE made of a pair of particles, shows the particles to reject each other first, so showing the same
charge, while the successive annihilation after Δt shows a successive attraction, showing now opposite charges. So, the
appearing and the annihilation correspond to the expansion and collapsing of the Universe. Therefore, if we were in an
expanding Universe, we wouldn’t have any gravitational force, or it were opposite to how it is now, and it’s not true that
just the electric force can be repulsive, but the gravitational force, too, can be so (in an expanding Universe); now it’s
not so, but it was!
The most immediate philosophical consideration which could be made, in such a scenario, is that, how to say, anything
can be born (can appear), provided that it dies, and quick enough; so the violation is avoided, or better, it’s not
proved/provable, and the Principle of Conservation of Energy is so preserved, and the contradiction due to the appearing
of energy from nothing is gone around, or better, it is contradicted it itself.
The proton, then, plays the role of a positron, with respect to the electron and it’s heavier than it because of the
possibility to exist that the fate couldn’t deny to it, around the Anthropical Cosmological Principle, as such a proton
brings to atoms and cells for life which investigates over it.
When the collapse of the Universe will happen, the proton will irradiate all its mass and become a positron, ready to
annihilate with the electron. And through all this, we also answer the question on the unexplained prevailing of matter
over the antimatter: in fact, that’s not true; if we consider the proton, that is a future and ex positron, as the antimatter
of the electron, and vice versa, the balance is perfect.
App. 2-Par. 5.4: The Theory of Relativity is just an interpretation of the oscillating Universe just described,
contracting with speed c and acceleration auniv.
On composition of speeds:
1) Case of a body whose mass is m. If in our reference system I, where we (the observers) are at rest, there is a body
whose mass is m and it’s at rest, we can say:
v1 = 0
and
E1 =
1 2
mv1 = 0
2
. If now I give kinetic energy to it, it will
1 2
mv2 and its delta energy of GAINED energy ∆ ↑ E (delta up) is:
2
1
1
1
∆↑ E = E2 − E1 = mv22 − 0 = m(v2 − 0)2 = m(∆v) 2 , with ∆v = v2 − v1 .
2
2
2
Now, we’ve obtained a ∆v which is simply v2 − v1 , but this is a PARTICULAR situation and it’s true only when it starts
jump to speed v2, so that, obviously:
E2 =
from rest, that is, when v1 = 0.
On the contrary:
∆↑ E = E2 − E1 =
∆V v = (v22 − v12 )
1 2 1 2 1
1
mv2 − mv1 = m(v22 − v12 ) = m(∆V v )2 , where ∆V
2
2
2
2
is a vectorial delta:
; therefore, we can say that, apart from the particular case when we start from rest (v1 = 0), if we
are still moving, we won’t have a simple delta, but a vectorial one; this is simple base physics.
2) Case of the Earth. In our reference system I, in which we (the observers) are at rest, the Earth (E-Earth) rotates
around the Sun with a total energy:
ETot =
∆↑ E
1
M m
mE vE2 − G Sun E
2
RE − S
, and with a kinetic energy
EK =
1
m E v E2
2
. If now we give the Earth a delta up
of kinetic energy in order to make it jump from its orbit to that of Mars (M-Mars), then, just like in the previous
point 1, we have:
1
1
1
1
mE vE2 − mE vM2 = mE (vE2 − vM2 ) = mE (∆V v )2
2
2
2
2
speed deltas are vectorial-like ( ∆V ).
∆↑ E =
, with
∆V v = (vE2 − vM2 )
, and so also here the
3) Case of the Universe. In our reference system I, where we (the observers) are at rest, if we want to make a body,
whose mass is m0 and originally at rest, get speed V, we have to give it a delta v indeed, but for all what has been said
so far, as we are already moving in the Universe, (and with speed c), as for above points 1 and 2, such a delta v must
withstand the following (vectorial) equality:
2
V = ∆V v = (c 2 − v New
− Abs −Univ − Speed ) ,
where
vNew − Abs −Univ − Speed
(A5.1)
is the new absolute speed the body (m0) looks to have, not with respect to us, but with
respect to the Universe and its center of mass.
As a matter of fact, a body is inexorably linked to the Universe where it is, in which, as chance would have it, it already
moves with speed c and therefore has got an intrinsic energy
m0c 2 .
In more details, as we want to give the body (m0) a kinetic energy Ek , in order to make it gain speed V (with respect to
us), and considering that, for instance, in a spring which has a mass on one of its ends, for the harmonic motion law,
the speed follows a harmonic law like:
v = (ωX Max ) sin α = VMax sin α
( vNew − Abs −Univ − Speed
= c sin α , in our case),
and for the harmonic energy we have a harmonic law like:
E = E Max sin α ( m0c 2 = (m0c 2 + EK ) sin α , in our case),
we get sin α from the two previous equations and equal them, so getting:
m0c 2
,
vNew − Abs −Univ − Speed = c
m0c 2 + EK
now we put this expression for
vNew − Abs −Univ − Speed
in (A5.1) and get:
2
2
V = ∆V v = (c 2 − vNew
− Abs −Univ − Speed ) = [c − (c
V = [c 2 − (c
m0 c 2
) 2 ] = V , and we report it below:
2
m0 c + EK
m0c 2
)2 ]
2
m0c + EK
(A5.2)
If now we get EK from (A5.2), we have:
EK = m0c 2 (
1
V2
1− 2
c
− 1)
!!! which is exactly the Einstein’s relativistic kinetic energy!
If now we add to EK such an intrinsic kinetic energy of m0 (which also stands “at rest” – rest with respect to us, not with
respect to the center of mass of the Universe), we get the total energy:
E = EK + m0c 2 = m0c 2 + m0c 2 (
E = γ ⋅ m0 c 2
1
2
− 1) =
V
1− 2
c
1
2
V
1− 2
c
m0c 2 = γ ⋅ m0c 2
, that is the well known
(of the Special Theory of Relativity).
(A5.3)
All this after that we supposed to bring kinetic energy to a body at rest (with respect to us). Equation (A5.3) works wery
well on particle accelerators, where particles gain energy, but there are cases (collapsing Universe and Atomic Physics)
where masses lose energy and radiate, instead of gaining it, and in such cases (A5.3) is completely inapplicable, as it’s in
charge for added energies, not for lost ones.
App. 2-Par. 5.5: On “Relativity” of lost energies.
In case of lost energies (further phase of the harmonic motion), the following one must be used:
E=
1
⋅ m0 c 2
γ
(Rubino)
(A5.4)
which is intuitive just for the simple reason that, with the increase of the speed, the coefficient
1γ
lowers m0 in favour
of the radiation, that is of the lost of energy; unfortunately, this is not provided for by the Theory of Relativity, like in
(A5.4).
For a convincing proof of (A5.4) and of some of its implications, I have further files about.
By using (A5.4) in Atomic Physics in order to figure out the ionization energies
∆ ↓ EZ
of atoms with just one electron,
but with a generic Z, we come to the following equation, for instance, which matches very well the experimental data:
∆↓ EZ = mec 2[1 − 1 − (
Ze2 2
) ]
2ε 0 hc
(A5.5)
and for atoms with a generic quantum number n and generic orbits:
∆ ↓ EZ − n
Ze 2 2
= mec [1 − 1 − (
) ]
4nε 0 hc
2
(Wåhlin)
Orbit (n)
Energy (J)
Orbit (n)
1
2,1787 10-18
5
2
5,4467 10-19
6
3
2,4207 10-19
7
4
1,3616 10-19
8
Tab. A5.1: Energy levels in the hydrogen atom H (Z=1), as per (A5.6).
(A5.6)
Energy (J)
8,7147 10-20
6,0518 10-20
4,4462 10-20
3,4041 10-20
On the contrary, the use of the here unsuitable (A5.3) doesn’t match the experimental data, but brings to complex
corrections and correction equations (Fock-Dirac etc), which tries to “correct”, indeed, an unsuitable use.
Again, in order to have clear proofs of (A5.5) and (A5.6), I have further files about.
--------------------------------------------App. 2-SUBAPPENDIXES.
App. 2-Subppendix 1: Physical constants.
1,38 ⋅ 10−23 J / K
−12
2
Cosmic Acceleration aUniv: 7,62 ⋅ 10 m / s
11
Distance Earth-Sun AU: 1, 496 ⋅ 10 m
24
Mass of the Earth MEarth: 5,96 ⋅ 10 kg
6
Radius of the Earth REarth: 6,371 ⋅ 10 m
−19
Charge of the electron e: − 1,6 ⋅ 10 C
Boltzmann’s Constant k:
Number of electrons equivalent of the Universe N:
1,75 ⋅ 1085
2,818 ⋅10−15 m
−31
Mass of the electron me: 9,1 ⋅ 10 kg
−3
Fine structure Constant α (≅ 1 137) : 7,30 ⋅ 10
−21
Frequency of the Universe ν Univ : 4,05 ⋅ 10 Hz
Classic radius of the electron re:
Pulsation of the Universe
ωUniv (= H global ) : 2,54 ⋅ 10−20 rad s
6,67 ⋅10−11 Nm 2 / kg 2
2,47 ⋅1020 s
Universal Gravitational Constant G:
Period of the Universe
Light Year l.y.:
TUniv :
9, 46 ⋅ 1015 m
3,26 _ a.l. = 3,08 ⋅1016 m
−30
3
Density of the Universe ρUniv: 2,32 ⋅ 10 kg / m
Parsec pc:
Microwave Cosmic Radiation Background Temp. T:
2,73K
Magnetic Permeability of vacuum μ0: 1, 26 ⋅ 10 H / m
−12
Electric Permittivity of vacuum ε0: 8,85 ⋅ 10 F / m
−34
Planck’s Constant h: 6,625 ⋅ 10 J ⋅ s
−27
Mass of the proton mp: 1,67 ⋅ 10 kg
30
Mass of the Sun MSun: 1,989 ⋅ 10 kg
8
Radius of the Sun RSun: 6,96 ⋅ 10 m
8
Speed of light in vacuum c: 2,99792458 ⋅ 10 m / s
−8
2 4
Stephan-Boltzmann’s Constant σ: 5,67 ⋅ 10 W / m K
28
Radius of the Universe (from the centre to us) RUniv: 1,18 ⋅ 10 m
55
Mass of the Universe (within RUniv) MUniv: 1,59 ⋅ 10 kg
−6
Thank you for your attention.
Leonardo RUBINO
[email protected]
--------------------------------------------------------------Bibliography:
1) (M.M. Lipschutz) DIFFERENTIAL GEOMETRY, Schaum.
2) (Steven Weinberg) GRAVITATION AND COSMOLOGY(Principles and Applications of the General Theory of
Relativity), John Wiley & Sons.
3) (S. Greco e P. Valabrega) LEZIONI DI MATEMATICA, Vol. 2- Geometria Analitica e Differenziale, Levrotto & Bella.
4) (F.W.K. Firk) ESSENTIAL PHYSICS - Part 1-Relativity, Gravitation etc – F. Yale University.
5) (L. Wåhlin) THE DEADBEAT UNIVERSE, 2nd Ed. Rev., Colutron Research.
6) (R. Feynman) LA FISICA DI FEYNMAN I-II e III – Zanichelli.
7) (Lionel Lovitch-Sergio Rosati) FISICA GENERALE, Elettricità, Magnetismo, Elettromagnetismo
Relatività Ristretta, Ottica, Meccanica Quantistica , 3^ Edizione; Casa Editrice Ambrosiana-Milano.
8) (C. Mencuccini e S. Silvestrini) FISICA I – Meccanica-Termodinamica, Liguori.
9) (C. Mencuccini e S. Silvestrini) FISICA II – Elettromagnetismo-Ottica, Liguori.
10) (R. Sexl & H.K. Schmidt) SPAZIOTEMPO – Vol. 1, Boringhieri.
11) (V.A. Ugarov) TEORIA DELLA RELATIVITA' RISTRETTA, Edizioni Mir.
12) (A. Liddle) AN INTRODUCTION TO MODERN COSMOLOGY, 2nd Ed., Wiley.
13) (A. S. Eddington) THE EXPANDING UNIVERSE, Cambridge Science Classics.
14) ENCYCLOPEDIA OF ASTRONOMY AND ASTROPHYSICS, Nature Publishing Group & Institute of Physics Publishing.
15) (Keplero) THE HARMONY OF THE WORLD.
16) (H. Bradt) ASTROPHYSICS PROCESSES, Cambridge University Press.
--------------------------------------------------------------