200 ANNI
1816-2016
GUIDA AI PARCHI CITTADINI
02 PARCO DI
VILLA TOEPLITZ
ASSESSORATO ALL’AMBIENTE E VERDE URBANO.
Area XI Attività Verde Pubblico
La presente collana è stata curata dai tecnici dell’Attività Verde Pubblico del Comune di Varese Dott.
For. Chiara Barolo, Arch. Lorenza Castelli, Dott. Agr. Ilaria Merico, Dott. For. Pietro Cardani.
Si ringrazia Silvia Motta per l’attività di ricerca bibliografica riguardante la mitologia degli alberi svolta
durante il periodo di servizio di leva civica regionale.
PRESENTAZIONE
Cari Varesini e cari turisti,
Un ringraziamento al Geom. Michele Giudici dell’Area IX - Ufficio Sistema Informativo Territoriale.
Riferimenti bibliografici
• Botanica Forestale – Volume Primo e secondo – Romano Gellini e Paolo Grassoni – Cedam Padova
1997;
• Cottini P. - “I Giardini della Città Giardino” – Edizione Lativa – dicembre 2004;
• Sulla Condizione dei Parchi Pubblici della Città di Varese – Tomo I-II-III-IV a cura del Prof. Salvatore
Furia – 1978- Atti in possesso del Comune di Varese - Attività Verde pubblico .
• Mitologia degli alberi – Dal giardino dell’Eden al legno della Croce, Jacques Brosse – BUR Rizzoli
Saggi, 1991 R.C.S. Libri & Grandi Opere S.p.A. Milano;
• La Natura ed i suoi simboli – Piante, fiori e animali – Lucia Impelluso - Dizionari dell’Arte Edizioni
Varese è la nostra città-giardino. E come poterla scoprire meglio se non con
queste guide e mappe, molto comode e pratiche?
I parchi sono un bene prezioso che negli ultimi anni abbiamo preservato e
cercato di migliorare, anche ampliandone gli spazi verdi.
Varesini e turisti hanno la possibilità di scoprirne la ricchezza, dal patrimonio
arboreo e botanico alle peculiarità architettoniche presenti nei giardini principali.
Non mancano le info turistiche per raggiungere i sei parchi cittadini.
Palazzo Estense e Villa Mirabello, Villa Toeplitz, Villa Augusta, Castello di Masnago,
Villa Baragiola e Villa Mylius: le guide passano dai cenni storico-artistici alla
descrizione e al posizionamento, con le mappe, degli alberi monumentali.
Grazie al lavoro attento dell’assessorato al Verde pubblico, le guide sono state
ampliate e ristampate.
Non mi resta che augurarVi un buon giro all’aria aperta accompagnato da
un’ottima lettura.
Il Sindaco di Varese
Attilio Fontana
Cari tutti,
Della stessa collana
Giardini Estensi e Parco di Villa Mirabello
Parco di Villa Torelli Mylius “Achille Cattaneo”
Parco di Villa Augusta
Parco del Castello di Masnago (Mantegazza)
Parco di Villa Baragiola
Progetto grafico e impaginazione: Magoot Comunicazione Costruttiva - www.magoot.com
Stampa: Bosetti Group S.r.l. - Gorla Maggiore (VA) - Maggio 2016
In questo 2016, anno del Bicentenario dell’elevazione di Varese a Città, è un
piacere avere l’opportunità di presentare al pubblico i libretti della collana,
“Guide ai Parchi Cittadini” quale contributo per testimoniare la bellezza e la
ricchezza della Città Giardino.
Nelle guide si trovano aneddoti e cenni della storia delle famiglie che hanno
creato questi parchi meravigliosi, che li hanno vissuti e che ce li hanno tramandati.
Si trovano le descrizioni degli alberi autoctoni, di quelli esotici, dei più rari e più
preziosi, oltre ai bellissimi alberi monumentali, tanto amati dalla Città, e alcuni
vero e proprio simbolo Bosino.
I Giardini sono Storia e Cultura insieme; rappresentano l’essenza della capacità e sensibilità degli uomini di plasmare il territorio nel rispetto della Natura
dei luoghi, con l’obiettivo di poter godere appieno delle meraviglie che offre.
Sono parchi pubblici, sono di tutti: ad ognuno di noi, quindi, il diritto di goderne
appieno delle bellezze che offrono, ma anche il dovere di rispettarli e averne
cura, per il presente, per il futuro.
L’Assessore al Verde Pubblico e Tutela Ambientale
Riccardo Santinon
CENNI STORICI
Il Parco di Villa Toeplitz, situato in località
Sant’Ambrogio ai piedi del Sacro Monte, è stato acquisito il 21 dicembre 1972, insieme alla
Villa, dall’Amministrazione Comunale di Varese. La Villa deve il proprio nome a Giuseppe
Toeplitz, banchiere di origine polacca e finanziatore, nel 1920, del progetto dell’autostrada
Milano-Laghi. Egli l’acquistò nel 1914, ma poté
goderne solo più tardi, dopo il 1915, dal momento che, scoppiata la Grande guerra, l’immobile fu requisito e occupato dai Carabinieri.
Prima di allora, costituiva la modesta residenza di campagna della famiglia tedesca Hannesen. Il Toeplitz ampliò gli edifici allora presenti
e portò sensibili miglioramenti al parco affidandone la progettazione, nel 1927, allo studio
parigino L. Collin – A. Adam & C., (Architectes
Paysagistes - Rue Eugène Manuel, 8 - Paris),
che ridisegnò il giardino, ampliatosi fino a raggiungere l’estensione di quasi otto ettari. Interessante notare che nel progetto originale parigino del 1927 non compaiono le catene
d’acqua, inserite successivamente con opere
idrauliche volte a incanalare l’acqua proveniente dal vicino Monte Martica su progettazione
del varesino Rinaldo Frattini. Il parco Toeplitz
ha una superficie di circa 7 ettari e comprende
vari immobili: vi si trovano la villa padronale, la
villa residenziale (dépendance), la portineria. Il
Parco vero e proprio, come nella più parte dei
giardini, era suddiviso funzionalmente in diverse componenti: il frutteto, scomparso a seguito dell’ampliamento del confinante cimitero di
Sant’Ambrogio ove riposano le spoglie dei coniugi Toeplitz, una parte a prato, viabilità di accesso alla Villa, macchie di arbusti e gruppi di
alberi, un “bosco” di conifere anche esotiche
posto intorno al belvedere e alla cappelletta
sulla parte alta della proprietà, un roccolo di
carpino, il campo da bocce, il campo da tennis,
il jeu de croquet, il giardino dei fiori, la piscina
(oggi laghetto), un bosco ceduo invecchiato di
castagno. Vi erano serre (attualmente in abbandono), alcune piccole stalle. Nel 2010, in
seguito alla demolizione di vecchie stalle per
bovini e di una sala di derivazione della acque
non più funzionante, è stata recuperata una
porzione percorribile al pubblico a poche decine di metri a monte del laghetto. Il parco è in
stile eclettico mostrando scorci di differente
ispirazione progettuale. Classica presenza di
un giardino all’Italiana, troviamo l’esedra a
monte della fontana centrale circolare e il Belvedere con balaustra in cima al colle, oltre a
diversi esempi di architetture vegetali simmetriche: siepi e palloni in bosso, nella zona attorno ai parterre, siepi e ombrelli in tasso, i simmetrici castelli di cipresso, posti a cavallo della
cascata, arabeschi in bosso nano, labirinti di
bosso e palloni di edera. A metà del percorso,
le balze in pietra s’interrompono: l’acqua sgorga dalle fauci di un leone alimentando il movimento di canaletti e fontanelle accuratamente
rivestite con piastrelline vetrose azzurre provenienti dal Kashmir. La disposizione prospettico-scenografica, la simmetria del tutto, fu par-
ticolarmente curata dalla moglie del Toeplitz,
Edvige Mrozowska; donna di grande cultura ed
instancabile viaggiatrice. Durante un viaggio
nel Kashmir, rimase colpita dai giardini dell’imperatore mongolo Babar, detto “padre dei giardini” e ne fu ispirata. All’impero Moghul, all’apice fra il 1526 ed il 1707 in India, si devono
giardini realizzati secondo i canoni dell’architettura islamica. Caratterizzante per queste
realizzazioni è la presenza di stagni, fontane e
canali a raso dei camminamenti. Infatti nel Corano vi è scritto: “….la descrizione del giardino
che è stato promesso ai timorati di Dio è così: vi
saranno fiumi di acqua incorruttibile, e fiumi di
latte dal gusto immutabile, e fiumi di vino delizioso a chi beve, e fiumi di miele purissimo. Ed
ivi essi godranno di ogni frutto, e del perdono
ancora del Signore.” Nei territori corrispondenti
agli attuali Pakistan, India e Bangladesh sorsero una grande quantità di giardini di questa tipologia. I canaletti turchesi confluiscono armoniosamente in una grande fontana centrale di
forma circolare, ricca di zampillanti getti e d’illuminazione anch’essa celestina. Le catene
d’acqua, di secentesca ispirazione, sono composte da vasche in pietra di porfido di Cuasso
al Monte poste a balze dal belvedere fino alla
strada di accesso alla Villa. Le vasche sono
affiancate sui lati da un’imponente gradinata
in acciottolato di Lavagna nero. Anche nei pressi della Villa padronale, in una piccola porzione
di giardino all’italiana, vi è una fontana di forma quadrangolare, anch’essa rivestita con mosaico celestino, alimentata dalle medesime
acque provenienti dalle precedenti balze. Essa
era caratterizzata un tempo da zampilli emessi
da quattro grandi rane di bronzo, rimosse dal
proprietario successivo al Toeplitz. L’alimentazione delle vasche e fontane, come è detto sopra, avveniva tramite tubazioni di ferro che conducevano, per caduta e risalita lungo un tragitto
di 2,8 km, l’acqua del torrente Pissabò, sul
Monte Martica, ad una ancor funzionante cisterna di accumulo di 160 mc sita sul Belvedere del Parco. Dalla “Martica”, oggi non giunge
più alcun litro d’acqua. Non giungono più i 3
litri al secondo (oltre 10 mc/ora) ancora registrati in caduta ed in entrata nella cisterna nel
lontano 1969 dal Geom. Cottini per conto della
proprietà Mocchetti. Fin dal 1936, in zona po-
maia, fu ricavata un’altra cisterna sussidiaria
con pompa di sollevamento dell’acqua fino alla
cima del Belvedere, a dar notizia del cronico
problema idraulico della appena costruita sistemazione paesaggistica. In origine l’acqua,
emunta dal Monte Martica, attraversato il parco attraverso cascate di preziosissimo effetto
scenografico, veniva restituita all’Olona attraverso la valletta posta in via Mulini Grassi.
Oggi il funzionamento è affidato ad un riciclo
interno al parco: dal laghetto, posto ad una
quota inferiore di 40 metri e ad una distanza di
200 metri dalla suddetta cisterna di accumulo,
una pompa spinge l’acqua sulla parte più alta
del parco per poi ridiscendere al punto di partenza. Nel 2010 è stato sostituito il fitto reticolo, interno al parco, di tubi di ferro arrugginiti
con nuovi materiali. Un nuovo pozzo è stato ricavato presso via Mulini Grassi, zona serre,
per il riempimento del laghetto necessario per
il ricircolo suddetto. Purtroppo la portata è di
appena 10 lt /min (600 lt/ora), meno di un
decimo della portata iniziale. Si riporta quanto
disse nel 2010 il Sig. Quinto Brilli, classe
1915, cent’anni festeggiati il 5 dicembre
2015, storico giardiniere del Parco Toeplitz dal
1933 al 1938: «L’acqua quando veniva fuori
dalla Martica era di più, e tutte le distese che
adesso hanno il prato o la ghiaia, prima erano
piene di fiori, che davano un’impressione stupenda… però che sia tornata l’acqua è bello».
Nato a Chianciano Terme, quinto di otto fratelli,
nel 1930 conosce l’agronomo milanese Ingegnoli, proprietario di terre in Toscana, alcune
da sistemare: «Ti, fioeu, ven chi a tener la
bindèla (il metro)» gli chiede l’agronomo. Parte
apprendista per Milano. Dopo tre anni nelle
serre degli Ingegnoli, incontra l’agronomo romano Ferraguti, che lo porta alla Malpensa nella zona della Caproni, vicino a Volandia, dove il
governo di Mussolini aveva creato un campo
sperimentale di ben duecentotrentamila alberi
da frutto: una tremenda gelata nel 1941 rovinò
tutto. Grazie a Ferraguti, molto amico della signora Edvige, a diciotto anni gli è affidato il frutteto del Parco Toeplitz, oggi sostituito dal’ampliamento del cimitero di Sant’Ambrogio. «Ho
messo 106 piante, soprattutto peri e meli» (con
lui al lavoro c’erano ben trenta persone): «C’era
una persona che curava l’amministrazione, una
che badava a fare andare avanti la casa, quattro
camerieri, il cameriere per lui e quello per lei,…
erano in tanti a lavorare qui». «Una volta venne
un grande musicista che doveva suonare alla
Scala. È rimasto più di una settimana a provare
qui. Di artisti in casa ce n’erano spesso, perché
anche la signora era un’artista, anche se quando aveva sposato suo marito aveva smesso di
lavorare. Nella biblioteca c’erano ancora le sue
locandine. Toeplitz era presidente di tutti i Wagon Lits d’Europa, e aveva messo in piedi la banca Commerciale di qui. Nella villa passavano
molte persone importanti. C’erano quattro o
cinque telefoni sparsi per il parco, così il signore
poteva ricevere le telefonate, uno dove c’era la
fontana con i pesci, lo zampillo dell’acqua e un
grande divano pieno di cuscini» (al Belvedere,
sotto la balaustra, in un piccolo locale da mille
ed una notte a forma circolare). Il parco e il
frutteto a poco a poco andarono prendendo
vita e vennero poi curati con scrupolosità accanita. La signora Edvige Toeplitz curava soprattutto il frutteto in cui vi era una maggioranza di
meli, peschi e peri. Nelle notti di tempesta correva fuori all’impazzata a salvare peri e meli
dalla furia della natura. Un suo passatempo di
origine polacca consisteva nell’applicare figurine di carta di cui il sole si incaricava di stampare poi la sagoma sulla buccia, come una decalcomania. “Una cosa che mi incuriosisce è il
modo in cui segnavano le pere. Applicavano dei
foglietti a forma di T sul frutto sull’albero, in
modo che una volta giunto il momento di raccoglierle, non avendo ricevuto la luce del sole, rimaneva impressa in maniera naturale la T dei
Toeplitz. Non come le etichette di oggi”. Nel dopoguerra il Signor Quinto Brilli, si trasferisce a
Travedona Monate in qualità di esperto di piante da frutto, in particolar modo delle celebri
pesche locali. Diviene, quindi, responsabile
dell’orto del Parco di Villa Torelli Mylius, oggi
Parco “Achille Cattaneo”, poi presso i Giardini
Estensi e il Parco Ponti. Alla morte di Giuseppe
Toeplitz, avvenuta nel 1938, la villa e il parco
furono ereditati dalla moglie e dal figlio Ludovico. Questi la cedette nel 1945 ai fratelli Mocchetti che mantennero il nome Toeplitz alla
proprietà, ma la lasciarono avviare verso un
certo declino, fino all’acquisto da parte del Comune di Varese nel 1972. Per quanto riguarda
il patrimonio arboreo sono da segnalare esemplari monumentali di faggio in varietà, in fase di
sostituzione con analoghi esemplari giovani,
un relittuale castagno di quella che fu una selva castanile, un grosso cedro d’Atlante azzurro
e purtroppo solo il ceppo di una maestosa sequoia gigante. Il collezionismo botanico trae
ispirazione dai giardini paesistici. Il Parco presenta una ricca componente vegetale, costituita da conifere arboree di diverse specie, perlopiù esotiche e ornamentali (generi Picea, Abies,
Pinus, Cedrus), sulla collina, frammiste a latifoglie, in parte spontanee (castagno, betulla,
frassino maggiore) nell’area attorno alla cappella sulla sommità della collina stessa: qui
l’impianto si presenta fitto, a guisa di bosco.
Lungo la viabilità vi sono ombreggianti filari di
tiglio potati a candelabro. Al confine con le limitrofe selve a nord si percorre un bosco di castagno ceduo invecchiato nato da ceppaie di
selva castanile tagliata per noti motivi fitosanitari a metà anni ‘60. Il bosco ospita una discreta fauna selvatica, che vive indisturbata grazie
al fatto che il bosco è quasi per nulla frequentato.
DESCRIZIONE BOTANICA
1. ABETE BIANCO
*Fam. Pinaceae
Abies alba Mill.
Grande albero alto sino a 30-40 m con diametri fino a 3 m; è longevo (fino a 300 anni). La
corteccia è grigio chiara; chioma inizialmente
piramidale, a maturità assume forma tabulare;
gli aghi, appiattiti, lunghi 2-3 cm, disposti su
un piano (distici), sono verde scuro superiormente, con due bande chiare (le linee stomatifere) inferiormente che conferiscono riflessi
argentei alla chioma; i fiori maschili sono gialli
e riuniti in amenti ovoidi, i femminili, simili a
piccole pigne, sono di colore violetto; i coni, o
strobili, eretti, lunghi 10-15 cm, di colore bruno-rossastro, spesso ricoperti di resina, quando raggiungono la maturità si disarticolano e
le squame cadono insieme ai semi, lasciando
sulla pianta solo l’asse (rachide). Resiste assai bene al vento grazie all’apparato radicale
fittonante. L’areale comprende un nucleo alpino e centro europeo, e nuclei isolati in Normandia, Pirenei, Appennini e Corsica. Cresce bene
in climi con alta piovosità e a limitata escursione termica (climi oceanici). Il suo legno era
usato fin dall’antichità per la costruzione di
alberi di navi e di remi. Troviamo quest’abete
protagonista in un racconto delle Metamorfosi
di Ovidio dove si narra la storia della ninfa Cenide. Quest’ultima venne tramutata da Poseidone (divinità del frassino cosmico, oltre che
del mare) nell’invincibile Ceneo, guerriero che
combatté coi Lapiti, che lo fecero loro re. Esal-
tato dal successo, Ceneo piantò la sua lancia
(l’abete) nel centro della capitale, imponendone al popolo l’adorazione. Zeus, indispettito
dall’affronto, inviò i centauri, nemici dei Lapiti, con l’ordine di uccidere il re, ma il forte
Ceneo, protetto da un incantesimo, riuscì a
sconfiggerli. Sotto ispirazione di Zeus, dunque,
i centauri, comprendendo che il re lapita poteva morire solo mediante gli alberi, sradicarono
degli abeti e proprio lì sotto lo seppellirono.
Nel momento in cui vennero a dargli sepoltura
si accorsero che si era tramutato nuovamente
in Cenide. Per i popoli germanici l’abete bianco è il re della montagna, in contrapposizione
con la quercia, che regna invece in pianura. In
Svizzera e in Tirolo si narrava che il genio della
foresta, portatore di prosperità nelle fattorie e
protettore del bestiame, abitasse in un vecchio
abete il quale, ogni qualvolta fosse minacciato
dal taglio dei boscaioli, li supplicava di risparmiarlo. Proprio per questo i vecchi abeti godevano di grande rispetto.
2. ABETE BIANCO DEL CAUCASO o DI
NORDMAN
*Fam. Pinaceae
Abies nordmanniana (Stev.) Spach
Specie molto decorativa, originaria del Caucaso e dell’Armenia, ove vegeta fra i 400 e i
2000 m s.l.m.formando foreste pure; raggiunge i 40 m di altezza e i 3 m di circonferenza,
ha chioma piramidale meno espansa di quella
dell’abete bianco, ma con rami molto fitti; gli
aghi, lunghi 2-3 cm, sono disposti a spazzola,
di colore verde brillante superiormente e argentati inferiormente grazie alle 2 larghe linee
stomatifere; i coni sono molto resinosi, bruno
scuri, lunghi 10-12 cm con lunghe brattee sporgenti dalle squame. Esistono diverse varietà
coltivate a scopo ornamentale; è più resistente alla siccità rispetto all’abete bianco. Deve il
suo nome al botanico finlandese Nordman che
introdusse i semi in Europa nel 1838.
3. ACERO GIAPPONESE
*Fam. Aceraceae
Acer palmatum Thunb.
Acero originario del Giappone, molto diffuso
come pianta ornamentale, grazie soprattutto
alle foglie a 7 lobi molto incisi con margine
seghettato, che assumono, prima di cadere,
colorazione rosso intensa in autunno. Raggiunge i 4-5 m di altezza; ne esistono più di 300
cultivar: dagli esemplari nani adatti ai giardini
rocciosi agli alberi più o meno grandi con chioma allargata, con una grande varietà di forme
e colori per quanto riguarda le foglie.
4. AGRIFOGLIO
*Fam. Aquifoliaceae
Ilex aquifolium L.
Albero di medio-piccole dimensioni (non supera
gli 8 m) con foglie sempreverdi, coriacee, lucide con margine diritto o, più spesso, spinoso.
Questa pianta ha un accrescimento molto lento, produce legno duro adatto per lavori di ebanisteria, sculture, manici di ombrelli e attrezzi.
Il frutto è una drupa lucida rossa, il suo consumo è sconsigliato perché è purgativa e provoca
intossicazione. Simbolo della persistenza della
vita vegetale, dovuto al verde brillante del fogliame e alla presenza dei frutti rossi in pieno
inverno, per gli antichi Romani piantarne uno in
casa serviva ad allontanare i malefici. Per i popoli germanici svolgeva il medesimo compito:
appeso nelle case e nelle stalle teneva lontani
i sortilegi, ma i rami d’agrifoglio, completi di
bacche, venivano anche utilizzati nella decorazione delle dimore per rendere onore agli spiriti
della foresta (usanza che viene ancora mantenuta in molte regioni francesi, in Svizzera e
in Germania). Si capisce dunque che l’azione
dell’agrifoglio è duplice: da una parte raffigura la sopravvivenza dei vegetali e la speranza
della loro rinascita, dall’altra, grazie alle spine,
caccia gli spiriti maligni.
5. BIANCOSPINO
*Fam. Rosaceae
Crataegus monogyna Jacq.
Arbusto o talvolta alberello spinoso di forma
variabile, che raramente raggiunge i 10 m di altezza. Foglie caduche, alterne con lamina ovoidale a 3-7 lobi acuti e base tronca o cuneata.
I fiori sono ermafroditi, biancastri e a 5 petali;
compaiono in aprile-maggio. I frutti, costituiti
da piccoli pomi ovoidali con diametro di circa 1
cm, diventano rossi a fine estate e contengono
un solo seme. Comune nelle macchie ai margini dei boschi di latifoglie; presente in tutta la
penisola, dalle zone pianeggianti fino ai 1500
m di quota. Il suo nome deriva dal greco kràtaigos, che significa “forza e robustezza” a causa
della durezza del suo legno. Arbusto sacro per
Celti, Greci e Romani è considerato simbolo
di giustizia; il biancospino è sovrano contro
l’Inferno e i suoi accoliti e per nessun motivo
poteva essere offeso o utilizzato a fini profani,
pena una sventura. Ancora al giorno d’oggi, in
Irlanda e nel Galles, se la municipalità vuole
scalzare un biancospino che intralcia, la popolazione si oppone in sua difesa. Di biancospino
era fatto il bastone che Giuseppe d’Arimatea
piantò in terra a Wearyall Hill, appena sopra
Glastonbury, da cui crebbe un miracoloso albero che puntualmente rifioriva tutti gli anni,
la vigilia del giorno della nascita di Cristo. Albero di aprile, è consacrato all’inquietante dea
Maia, madre di Ermes. In questo mese ci si
preparava alla festa del solstizio d’estate con
ogni sorta di purificazione; per esempio, fino
a quel momento, s’indossavano vecchie vesti
che potevano essere cambiate solo al termine delle celebrazioni. Ecco l’origine del detto
“Aprile non ti scoprire”.
6. BOSSO
*Fam. Buxaceae
Buxus sempervirens L.
Arbusto o piccolo albero sempreverde che
può raggiungere anche i 10 m di altezza; ha
crescita lenta ed elevata longevità, potendo
arrivare fino a 600 anni di età. Ha foglie opposte, piccole (10-25 mm), a margine intero e
leggermente ricurvo verso la pagina inferiore,
di colore verde scuro lucente sulla pagina superiore e più chiaro su quella inferiore. Viene
molto utilizzato allo stato arbustivo per la creazione di siepi e in “ars topiaria”. Il suo areale
comprende le regioni del Caucaso fino a tutta
l’Europa meridionale, spingendosi, lungo le
coste atlantiche, fino all’Inghilterra; allo stato
spontaneo lo si trova, sporadicamente, nei boschi di querce, più frequentemente di roverella.
Emblema della castità per la sua caratteristica
di autofecondarsi con notevole discrezione,
era opposto al mirto, le cui foglie somigliano a
quelle del bosso, che era invece consacrato ad
Afrodite. Agli uomini era quindi vietato deporre
i suoi rametti sugli altari della dea dell’amore,
pena la perdita della virilità. Il suo legno durissimo rappresentava per gli antichi la fermezza
e la perseveranza e, per questo motivo, ancora oggi viene utilizzato nella fattura di martelli
nelle logge massoniche. Era inoltre oggetto di
un culto arcaico dell’albero, dedicato ad Ade,
dio degli Inferi, e soprattutto alla dea Cibele
che, nel pantheon greco, incarnava la potenza
selvaggia della vegetazione scaturita dalle profondità sotterranee.
7. CACO
*Fam. Ebenaceae
Diospyros kaki L.
Albero con fogliame deciduo alto sino a 10-12
m con chioma globosa, densa, di colore verde cupo; foglie da ovate a obovate con apice
acuminato e margine liscio. Pianta dioica con
fiori portati su piante diverse. Fiorisce in maggio-luglio. I frutti sono bacche con polpa molle
grandi fino a 10 cm di diametro, di colore giallo-aranciato o rosso, commestibili e dolcissimi
quando maturi, che permangono sulla pianta
anche dopo la caduta delle foglie. Originaria
della Cina, la pianta è stata coltivata per secoli
in Giappone prima di essere introdotta in Occidente nel XVIII secolo.
8. CALOCEDRO o LIBOCEDRO
*Fam. Cupressaceae
Calocedrus decurrens (Torr.) Florin (= Libocedrus decurrens Torr.)
Albero originario dell’America nord-occidentale
dove viene chiamato “incense cedar” per il profumo che emana. Può arrivare a 50 m di altezza
nel suo areale di origine e a 3 m di diametro.
Ha fusto assai rastremato e chioma spesso
colonnare, con rami corti, in vecchie piante più
conica; foglie squamiformi disposte a 4 molto
appressate al rametto, di colore verde cupo;
gli strobili sono solitari, penduli, lunghi 2-3 cm,
rosso-bruni a maturità con squame più basse
triangolari e riflesse. Nelle regioni d’origine si
trova associato a varie specie di pini (ad esem-
11. CEDRO DELL’HIMALAYA
pio Pinus ponderosa, Pinus monticola), all’Abies
concolor e alla Pseudotsuga. Coltivato in Europa per scopi decorativi fin dal 1853, è diffuso
in Italia soprattutto nelle regioni dei laghi.
9. CASTAGNO
*Fam. Fagaceae
Castanea sativa Mill.
Albero che assume portamento maestoso, con
chioma espansa e rotondeggiante quando ha
molto spazio libero intorno, alto mediamente 15-20 m, talora anche 30 m con 6-8 m di
diametro; è anche assai longevo potendo raggiungere e superare i 400-500 anni di età. Le
foglie, decidue, lunghe 12-20 cm, dai margini
dentati, sono ellittico-lanceolate con apice brevemente acuminato, di consistenza coriacea e
di colore verde intenso; i fiori sono portati in
lunghi amenti, dal caratteristico e penetrante
odore emanato da quelli maschili. Il frutto è
racchiuso nel caratteristico riccio. L’areale originario è di difficile determinazione, in quanto il
castagno è stato coltivato fin dall’antichità, per
l’utilizzo del legno e del frutto: allo stato spontaneo lo si trova in un’ampia area gravitante
sul Mar Mediterraneo orientale, con limite settentrionale costituito dai Pirenei, dalle Alpi e
dal Caucaso. Se ne può ammirare uno monumentale sulle pendici dell’Etna, nel comune di
Sant’Alfio (Catania), a 700 m s.l.m. Nel tronco cavo di questo albero millenario era stata
ricavata una rientranza in cui, nel XVI secolo,
Giovanna d’Aragona, per sfuggire ad un tempo-
rale, si rifugiò sotto le sue immense fronde con
tutto il seguito e da allora prese il nome di “castagno dai cento cavalli”. Successivamente,
al suo interno, venne costruita una casettina
con un forno, alimentato coi pezzi della pianta stessa, per cuocerne i frutti; alla lunga un
simile trattamento lo danneggiò al punto che
l’enorme tronco si divise in tre.
10. CEDRO DELL’ATLANTE
*Fam. Pinaceae
Cedrus atlantica Manetti
Originario delle montagne dell’Atlante (Algeria
e Marocco), introdotto in Europa presumibilmente nel 1839 e in Italia nel 1842; raggiunge
grandi dimensioni: altezze fino a 40 m e diametri superiori ai 150 cm, pertanto ha bisogno di
molto spazio; ha forma più slanciata del cedro
del Libano e cima nettamente eretta anche
nelle piante adulte, oltre che rami ascendenti;
aghi di 15-20 mm, piuttosto rigidi, glaucescenti, riuniti in ciuffi sui rami corti, singoli su quelli
di accrescimento; gli amenti maschili, numerosissimi, compaiono in estate, ma il polline
matura in autunno, liberandosi in nuvole gialle
al vento; i coni, eretti, lunghi 5-7 cm, nettamente incavati all’apice, sono costituiti da squame
strettamente appressate che, a maturazione
avvenuta (dopo 2 anni dall’impollinazione), si
disarticolano e cadono a terra insieme ai semi.
Molto utilizzato come pianta ornamentale, soprattutto nella varietà “glauca”, tollera l’inquinamento urbano.
*Fam. Pinaceae
Cedrus deodara (Roxb.) G. Don
Cedro proveniente dall’Himalaya dove può raggiungere anche i 50 m di altezza; nel proprio
areale vive tra i 1000 e i 2800 metri di quota,
ma trova, all’interno dei parchi cittadini un terreno fertile per il suo sviluppo. Questa pianta
ha, di solito, la punta piegata verso il basso,
e spesso anche le estremità dei rami sono
incurvate; si distingue dagli altri per gli aghi
lunghi 30-50 mm, piuttosto molli. Nell’idioma
locale è chiamato “deva-darà”, letteralmente
“l’albero degli dèi”, infatti è considerato sacro
nelle regioni di origine (Himalaya, Afghanistan
e Belucistan).
12. CILIEGIO SELVATICO
* Fam. Rosaceae
Prunus avium L.
Il ciliegio è la rosacea europea di maggiori dimensioni e di maggiore interesse per il legno.
Può raggiungere i 25 m di altezza e i 100 anni
di età, ha corteccia bruno rossiccia che si sfoglia orizzontalmente, foglie caduche grandi,
pendule e dentate; la fioritura avviene prima
dell’emissione delle foglie, per cui i ciliegi appaiono come nuvole bianche in mezzo ai boschi ancora spogli, dove è comune incontrarlo, dal piano submontano a quello montano.
Presente in tutta Europa fino ai Pirenei e alla
Spagna atlantica, alla Gran Bretagna e al sud
della Scandinavia; assente in Sicilia. Da esso
derivano numerose varietà da frutto. Il ciliegio
selvatico, a quanto pare, non è una specie
indigena: è assai probabile che il suo areale
d’origine si situi intorno al mar Caspio; furono
gli uomini e, in parte anche gli uccelli, in tempi
preistorici, a propagarlo nell’Europa occidentale. Il vero ciliegio (Prunus cerasus L. o Prunus acida Gaertn.), invece, ha origine in Asia
anteriore, dove era coltivato da tempo, ma in
data più recente. Secondo Plinio il Vecchio, a
portarlo a Roma nel 73 a.C. fu Lucio Licinio Lucullo che, allora console, vinse Mitridate (re del
Ponto, regione storica che si estendeva nella
zona nordorientale dell’Asia Minore) e il suo regno, dove il ciliegio era coltivato maggiormente
nella regione di Cerasunte, sul mar Nero. È as-
sai probabile che la specie abbia tratto il suo
nome latino da quello della città, infatti la parola cerasus indica l’una e l’altra. Pare tuttavia
che i Greci lo conoscessero da molto tempo:
Aristotele e Teofrasto lo citavano già nel secolo IV a.C., cosa che non sorprende affatto,
dal momento che Cerasunte era stata colonia
greca. Assai rare nel nostro folclore sono le
credenze relative a questo albero. Un tempo i
contadini usavano cingere i ciliegi con un cordone di paglia intrecciata, durante il solstizio
d’inverno, per minacciare quegli alberi che non
avevano fruttificato abbastanza di badare bene
a farlo l’anno seguente, pena l’abbattimento.
La minaccia magica, che presuppone che gli alberi siano provvisti di una coscienza, ha origini
preistoriche. Nel folclore germanico e slavo lo
si credeva visitato da creature malvagie, come
il demone Kirnis, in Lituania, che impedivano di
avvicinarglisi. Probabilmente si tratta di una variante dell’universale motivo del frutto proibito,
custodito spesso da serpenti. Al contrario, in
Giappone, il ciliegio è oggetto di un vero e proprio culto, lo shintoismo, religione della natura.
In questo caso si tratta di specie dai frutti non
commestibili, selezionate in base alla bellezza
dei fiori. Lo sbocciare di questi, dopo l’equinozio di primavera, è occasione di festeggiamenti
e cerimonie religiose in cui si rende grazie agli
dèi per la promessa di una beatitudine eterna. La figura del ciliegio, fragile ed effimera,
simboleggia anche la precarietà dell’esistenza
terrestre; la ciliegia rosso sangue è diventata
l’emblema del samurai, pronto in ogni istante
a sacrificare la propria vita.
13. CIPRESSO
*Fam. Cupressaceae
Cupressus sempervirens L.
Il nome deriva dal greco cuparissos, termine
a sua volta di origine preellenica; si tratta di
una parola cretese ed è proprio dall’isola di
Creta che Greci e Romani pensavano avesse le sue origini; sul monte Ida ne crescono
effettivamente di bellissimi. Il cipresso viene
citato nel poema epico di Ovidio il cui protagonista è un ragazzo, Ciparisso; egli fu la causa
involontaria della morte dell’amato cervo addomesticato, sacro alle ninfe, col quale viveva.
Profondamente addolorato deliberò di morire e
a ben poco servirono i tentativi di consolazione
da parte di Febo Apollo, che aveva a cuore il
ragazzo. Ciparisso implorò gli dei di piangere
per sempre e, spontaneamente, si tramutò in
cipresso. Divenuto simbolo del lutto eterno,
questo albero sempreverde, piantato ancora
oggi presso le tombe, fu consacrato ad Ade.
Alcuni cipressi crescevano anche nell’isola di
Ortigia, presso la grotta di Calipso, ninfa delle
acque profonde e della morte. Per via della forma veniva considerato anche un albero fallico,
infatti secondo alcuni autori la freccia dell’arco
di Eros e lo scettro di Zeus erano fatti del suo
legno. Il suo utilizzo era soprattutto destinato
alla manifattura di priapi, simbolo dell’istinto
sessuale e della forza generativa maschile,
che avevano il compito di custodire i campi, i
giardini e le vigne. Albero alto fino a 20 m ma
con diametro al massimo di 50 cm, dalla chioma inconfondibilmente piramidale più o meno
espansa a seconda della varietà (horizontalis o
stricta) e di colore verde cupo; ha longevità elevata (plurisecolare). Le foglie sono squamiformi, appressate al rametto, gli amenti maschili gialli e i femminili globosi grigio-verdi sono
portati sulla stessa pianta e sono seguiti da
galbule legnose a maturità, ovali o globose, di
2-4 cm, in cui ogni squama contiene numerosi
semi. L’apparato radicale è sempre piuttosto
superficiale. Allo stato spontaneo lo si trova
nelle regioni orientali del Mediterraneo, dalla
Grecia alla Giordania, ma è coltivato ovunque
da millenni; in Italia per alcuni è stato importato dagli Etruschi, per altri dai Fenici; già al tempo dei Romani era considerato albero funebre.
14. CIPRESSO DELL’ARIZONA
*Fam. Cupressaceae
Cupressus arizonica Greene
Originario dei territori sud-occidentali degli
Stati Uniti e del Messico settentrionale, viene coltivato come essenza ornamentale nei
grandi giardini e nelle collezioni dendrologiche.
Può raggiungere i 23 m di altezza. Le infiorescenze sono su rami separati: quelle maschili
rilasciano il polline in febbraio, mentre quelle
femminili generano coni di circa 1,8 cm, formati da 6-8 squame con robuste protuberanze
appuntite. La corteccia, negli alberi giovani è
fibrosa e di colore bruno, si spacca in scaglie e
diventa grigia negli esemplari adulti. Fu importato in Europa nel secolo scorso come pianta
ornamentale e per rimboschimento di alcune
zone degli Appennini.
15. CIPRESSO GIAPPONESE
*Fam. Cupressaceae
Chamaecyparis pisifera (Sieb. e Zucc.) Endl.
Nel suo paese d’origine, il Giappone, dove era
uno dei 5 alberi sacri, la C. pisifera può superare i 40 m di altezza; in Europa è coltivata
sotto forma di numerose varietà, in genere di
dimensioni inferiori: il gruppo delle “Plumosa”,
presente nel parco di Villa Augusta, comprende molte cultivar nane. Le piccole foglie sono
aghiformi quando la pianta è giovane, appuntite squamiformi in seguito, e formano rametti
compatti, che in questa varietà conferiscono
alla pianta un aspetto piumoso. Nel parco di
Villa Toeplitz è presente la varietà “Aurea”, dalle foglie variegate di giallo.
16. CORNIOLO
*Fam. Cornaceae
Cornus mas L.
Albero dal passato glorioso, ne esisteva un bosco consacrato ad Apollo Karneios (da karneia,
il corniolo) sul monte Ida, altura che domina la
piana di Troia. Fu proprio con quegli alberi che,
pare, i Greci costruirono il cavallo di Troia destando l’ira del dio a cui, in espiazione, offrirono
le Karneia (Carnee), feste che duravano nove
giorni, durante le quali veniva sospesa ogni attività bellica. Nell’Odissea Omero racconta che la
maga Circe nutriva gli uomini, da lei trasformati
in porci, con frutti di corniolo. Il corniolo è anche
protagonista nella vicenda della trasformazione
di Polidoro, figlio di Priamo, che ucciso da Achille si trasformò in albero. Da allora non si può
recidere un suo ramo senza farlo sanguinare.
Proprio l’affinità col sangue e la durezza del suo
legno lo rendevano adatto alla fabbricazione di
lance e archi; l’asta scagliata da Romolo sul
colle Palatino per prenderne possesso era di
corniolo.
17. LAGERSTREMIA o ALBERO DI S.
BARTOLOMEO
*Fam. Lythraceae
Lagerstroemia indica L.
Arbusto o alberetto originario dell’Asia orientale (zona temperata della Cina), non supera gli
8 metri d’altezza. Presenta chioma arrotondata
e leggera, tronco più largo alla base, rivestito di
una scorza sottile bianco-giallognola. Le foglie,
lunghe fino a 7 cm, sono decidue, opposte, la
pagina superiore è lucida, verde scuro, mentre
quella inferiore è più chiara e opaca. Fiorisce in
estate: il colore dei fiori varia dal rosso porpora
al bianco.
Il grande naturalista Linneo chiamò questa
pianta Lagerstroemia indica in onore del suo
amico Hans Magnus Lagerstroem, morto nel
1759, che era il direttore della Compagnia
Svedese delle Indie Orientali. L’esemplare dei
Giardini Estensi ha una dimensione ragguardevole tanto da far supporre un’età prossima al
secolo di vita.
18. LARICE GIAPPONESE
*Fam. Pinaceae
Larix kaempferi (Lamb.) Carr.
Albero caducifoglio originario del Giappone,
anch’esso raggiunge i 30 m di altezza; ha crescita rapida ma bassa longevità; la chioma appare meno leggera rispetto al larice europeo,
con rami disposti orizzontalmente e più tozzi
e rametti giovani di colore aranciato; gli aghi
sono più scuri, con 2 strie grigie sulla pagina
inferiore; la corteccia è meno fessurata ed è
più fulva; i fiori maschili sono simili e quelli
femminili sono di colore verdognolo, talvolta
rosato; i coni, globosi, di 2,5 cm di diametro,
hanno squame rivolte verso l’esterno le quali conferiscono loro l’aspetto di una rosellina.
Utilizzato come pianta ornamentale, in Gran
Bretagna anche come albero forestale, ma il
suo legno ha minor valore di quello del larice
europeo; ha bisogno di elevata umidità atmosferica.
19. LIRIODENDRO o ALBERO DEI TULIPANI
*Fam. Magnoliaceae
Liriodendron tulipifera L.
Albero deciduo originario dell’America Settentrionale, viene coltivato a scopi ornamentali.
Può raggiungere un’altezza di circa 50 m. Le
foglie presentano 4 lobi caratteristici e diventano di colore giallo-arancione in autunno. I fiori
hanno petali lunghi da 3 a 7 cm e sbocciano
tra giugno e luglio. Il frutto, di circa 5 cm, volge
dal verde al bruno durante la maturazione verso settembre.
20. NOCCIOLO
*Fam. Betulaceae
Corylus avellana L.
Il suo nome scientifico deriva dal greco Kerys
(= casco), dalla cupola che ricopre il frutto, e
da Abella (= Avellino, dove il nocciolo è stato
coltivato fin dall’antichità). Arbusto deciduo,
alto fino a 4-7 m, con elevata capacità pollonifera, ramificato sin dalla base, raggiunge i 6070 anni di età. Le foglie hanno margini grossolanamente dentati; i fiori compaiono in pieno
inverno: quelli maschili sono portati in lunghi
amenti gialli penduli, mentre quelli femminili
sono costituiti da una gemma globosa da cui
fuoriescono corti stimmi rossi. Allo stato spontaneo è pianta comunissima in tutti i boschi
cedui, diffuso dalla pianura alle montagne; il
suo areale comprende quasi tutta l’Europa,
arrivando fino all’Asia Minore e all’Algeria.
Estesamente coltivato in Campania, Sicilia e
Piemonte. Albero sacro per i Celti, il suo frutto,
la nocciola, era simbolo della saggezza interiore; così si diceva che mangiare nocciole procurasse la conoscenza delle arti e delle scienze
segrete. I druidi e i bardi usavano, come supporto d’ispirazione, delle tavolette divinatorie
in legno di nocciolo ove vi incidevano gli ogam,
le lettere magiche. Il rametto biforcuto di nocciolo, usato dai rabdomanti ancora oggi, è da
sempre servito come bacchetta magica: non
consentiva solo di scoprire l’acqua, i minerali e
i tesori nascosti sotto terra, ma anche i criminali e i ladri e chi l’adoperava aveva la facoltà
di divenire invisibile.
21. ONTANO NERO
*Fam. Betulaceae
Alnus glutinosa Desf.
Il nome Alnus deriva dal celtico “al” e “han”,
che significa “vicino alle acque”, alludendo al
suo habitat tipico. Albero deciduo di 20-25 m
di altezza con diametro fino a 50 cm, poco longevo (60-100 anni). Ha foglie simili a quelle del
pero, ma più grandi, di forma più o meno ovale,
cordate alla base, con margini a piccoli denti,
verde scuro lucido sulla pagina superiore, più
chiare su quella inferiore; i frutti sono costituiti
da piccoli coni legnosi, che in autunno liberano
i semi, provvisti di una piccola ala, che si disperdono grazie al vento. Considerato fin dalla
più remota antichità l’albero della vita dopo la
morte, nell’Odissea è il primo ad essere nominato dei tre alberi di resurrezione che, nell’isola di Ortigia, formavano un folto bosco intorno
alla grotta della ninfa Calipso; inoltre s’innalzava come una promessa di salvezza nell’isola
di Eea, luogo in cui la maga Circe praticava i
suoi malefici. Nell’antica Grecia l’ontano sacro
si identificava con l’eroe Foroneo, figlio del dio
fluviale Inaco e di Melia, ninfa del frassino, e, si
pensa, fondatore di una comunità umana. Foroneo pare essere stato il primo ad usare sulla
terra il fuoco di Prometeo, se non addirittura
l’inventore. Egli governava tutto il Peloponneso e regnava ad Argo, città di sua fondazione,
dove il suo culto sopravvisse a lungo. Probabilmente un tempo, in Grecia, esisteva quindi un
culto dell’ontano, sopravvissuto solo ad Argo,
di cui, tuttavia, si troverebbe traccia fin nell’Europa celtica: in Irlanda, per citare un esempio,
il taglio di un ontano sacro veniva punito severamente. Albero di carattere funesto, a volte
quasi diabolico, nella celebre leggenda celtica
chiamata Lotta degli alberi, i Bretoni (della Gran
Bretagna) ottennero la vittoria solo dopo esser
stati trasformati in ontani. In alcune vecchie
storie tedesche quest’albero, quando minacciato di essere abbattuto, piangeva e versava
gocce di sangue, oltre a consentire alle maghe
di resuscitare i morti. Grazie alla resistenza
del suo legno immerso in acqua, fu usato fin
dall’antichità per fabbricare pali di fondazione
e palafitte a Venezia. Un tempo se ne ricavavano tre tinture: il verde dai fiori, il bruno dai rami
e il rosso dalla corteccia. Così, per gli antichi,
i suoi fiori, i rami e la corteccia simboleggiavano rispettivamente l’acqua, la terra e il fuoco;
mentre coi suoi ramoscelli verdi, svuotati, si
facevano dei fischietti, richiamando un’affinità
col quarto elemento, l’aria.Nelle tradizioni del
Nord Europa l’ontano è l’albero nero e malefico
delle acque morte, allo stesso modo in cui il
salice è l’albero verde e benefico delle acque
sorgive. L’ontano delle paludi evoca le pianure
brumose e le terre mobili del Nord.
I PINI
*Fam. Pinaceae
Gen. Pinus L.
Alberi indizio di morte, perché una volta tagliati
non ributtano mai più, ma anche promessa di
immortalità grazie all’estrema resistenza che
permette loro di prosperare negli ambienti
meno favorevoli, rappresentano il vigore e la
permanenza della vita vegetativa. Oltre alla
pianta stessa, nell’antichità anche la pigna
assumeva più significati: chiusa rappresentava
l’emblema della castità, mentre aperta indicava l’esaltazione della potenza vitale e la glorificazione dell’invincibile fecondità. Per gli antichi
il pino era un albero divino, se non addirittura
un dio. Attis, il pino sacro (in specifico il pino
da pinoli o parasole), moriva e resuscitava sacrificando sé stesso. Se la pigna evocava di
per sé il fallo in erezione, quella del pino da
pinoli, che era di gran lunga la più suggestiva per via del caratteristico colore rossastro
e lucido, raffigurava l’organo che il dio si re-
cideva da sé. Questo sacrificio corrispondeva
soprattutto al salasso dell’albero, ovvero alla
raccolta della resina definita resinatura a morte, operazione che veniva praticata nel periodo
in cui si celebravano le feste di Attis. Durante
queste celebrazioni il sommo sacerdote si incideva il braccio e presentava il suo sangue
come offerta, mentre gli altri sacerdoti si scatenavano in danze sfrenate, flagellandosi fino
a sanguinare, lacerandosi con coltelli. Alcuni
neofiti, al colmo dell’eccitazione, si amputavano l’organo virile e lo lanciavano come oblazione alla statua di Cibele, dea asiatica e madre
degli déi in Frigia che i Romani assimilarono a
Rea. Quei ricettacoli di fecondità venivano in
seguito rispettosamente avvolti e sotterrati o
posti in camere sotterranee dedicate alla dea.
Il rito rianimava il dio morto e con lui tutta la
natura che germogliava nel sole primaverile.
Nell’antica Grecia era l’albero favorito di Rea,
la Terra Divinizzata, ma in seguito, in quanto
emblema sessuale, fu messo in rapporto con
Pan, il dio della sessualità selvaggia. È proprio
per sfuggire alla lubricità di Pan che la ninfa Piti
si mutò in pino nero, anche se un’altra leggenda vuole che la ninfa preferisse Pan a Borea, il
vento del nord che, indispettito, si vendicò col
suo soffio violento e la fece precipitare giù da
una scarpata. Fu Pan a scoprirla e a tramutarla
immediatamente in un pino (o in un abete). Si
dice che, quando in autunno soffia la Borea, la
ninfa pianga: lo testimoniano le gocce di resina che lacrimano dalle pigne.
22. PINO DELL’HIMALAYA
*Fam. Pinaceae
Pinus wallichiana A. B. Jacks
Albero sempreverde, simile al pino strobo col
quale può a volte essere confuso, alto fino a
30 m, con chioma a forma di cono stretto; aghi
riuniti in mazzetti di 5, sottili e flessuosi, lunghi
12-18 cm, verde scuro sulla pagina superiore,
bluastri su quella inferiore. Pigne pendule, cilindriche, affusolate, lunghe fino a 35 cm, molto leggere, generalmente ricurve e ricoperte di
resina. Originario dell’Himalaya, ma diffuso in
Europa fin dal Settecento in parchi e giardini e
per rimboschimenti, in alcune zone si è naturalizzato.
23. PINO NERO D’AUSTRIA
*Fam. Pinaceae
Pinus nigra Arnold
Albero che può raggiungere i 30 m di altezza,
a fusto meno slanciato del pino laricio, con
aghi riuniti in fascetti di 2, lunghi 12-15 cm di
colore verde scuro, rigidi; coni lunghi 4-8 cm,
eretti su un peduncolo, contenenti semi alati.
È una conifera che vive in montagna tra i 250
e i 1800 m. Presente in Austria, Italia (sono
presenti pinete naturali in provincia di Belluno,
in Abruzzo, in Calabria e in Sicilia), regioni della
ex Iugoslavia e Grecia. È stato molto utilizzato
nel secolo scorso per estesi rimboschimenti
nell’Appennino, riportando l’ambiente naturale
al suo aspetto primitivo.
24. PINO SILVESTRE
*Fam. Pinaceae
Pinus sylvestris L.
Si riconosce facilmente per la corteccia arancione o bruno rossastra, la chioma rada verde
grigia, che nelle piante adulte tende a limitarsi
alla parte superiore del fusto per potatura naturale. Può raggiungere 35-40 m di altezza, e
diametri max di 1 m, in montagna può vivere
fino a 200 anni; gli aghi, a 2 a 2, sono corti
(5-7 cm), ritorti, a sezione semicircolare, rigidi
e brevemente appuntiti, di colore verde glauco;
i fiori maschili, riuniti all’ascella delle foglie in
gruppi compatti, sono di colore giallo, mentre
quelli femminili sono rossi e in posizione terminale; i coni raggiungono in 2 anni i 3-5 cm
di lunghezza e i 2-3 di larghezza, contengono
piccoli semi alati. Ha un areale molto vasto, in
cui si distingue in varie razze dal portamento
molto variabile, dall’Europa centrale e nordoccidentale all’Asia nordoccidentale, con nuclei
disgiunti in Scozia, Germania occid., Spagna
settentr.; in Italia si trova solo su Alpi e Prealpi, oltre ad alcune stazioni dell’Appennino
ligure-emiliano. Sopporta bene il freddo e le
forti escursioni termiche, ma anche l’aridità e
le estati calde e lunghe.
25. PINO STROBO
*Fam. Pinaceae
Pinus strobus L.
Albero proveniente dall’America nordorientale, che può raggiungere i 25-30 m di altezza e
60-100 cm di diametro. Ha chioma largamente conica, con rami sottili, di colore verdastro
da giovani; gli aghi sono riuniti in fascetti di 5,
lunghi fino a 14 cm, flessibili e di colore verdebluastro; i coni, lunghi fino a 20 cm e larghi
3-4 cm, diritti o incurvati, si aprono liberando i
semi alati in autunno, per poi cadere in inverno
o alla primavera successiva. Sopporta maggiormente degli altri pini l’ombreggiamento.
È di rapido accrescimento ed è stato piantato
per la produzione di legno per cellulosa e carta; si trova comunque spesso nei parchi come
specie ornamentale. È soggetto alla ruggine
vescicolosa del pino (Cronartium ribicola), una
malattia fungina che dall’Europa arrivò in America nel 1892, provocando gravissimi danni ai
popolamenti di strobi americani, laddove era
presente anche il ribes, pianta su cui il fungo
compie parte del ciclo vitale.
26. PIOPPO CIPRESSINO
*Fam. Salicaceae
Populus nigra L. “Italica”
Viene così chiamato per il portamento fastigiato e affusolato, dato dai rami appressati
al fusto; la pianta può raggiungere i 30 m di
altezza; le foglie sono come quelle del pioppo
nero, romboidali o triangolari verdi lucenti, i fiori sono riuniti in amenti, quelli maschili sono
rossastri (tutte le piante appartenenti alla famiglia delle Salicacee sono dioiche, cioè i fiori
femminili e quelli maschili sono portati su individui separati); sembra si sia originato sponta-
neamente per mutazione del pioppo nero nell’Italia settentrionale e che sia stato propagato
successivamente per talea, quindi solo per via
vegetativa, in quanto si tratta esclusivamente
di esemplari maschili. È noto come Lombardy
poplar nel mondo anglosassone.
27. QUERCIA ROSSA
*Fam. Fagaceae
Quercus rubra L.
Albero alto fino a 25 m con chioma globosa,
di colore verde opaco, in autunno prima gialla,
infine rosso-brunastra; tronco robusto, presto
diviso in branche con rami giovani rossicci;
corteccia grigio chiara, dapprima liscia, poi solcata e reticolata. Foglie caduche da ellittiche
a obovate, grandi sino a 15x20 cm, divise in
7-11 lobi profondi sino a metà della lamina,
dentellati sul bordo, con lungo mucrone (punta) all’apice dei denti; verdi scure sulla pagina
superiore, più chiare sotto. Infiorescenze maschili in amenti gialli penduli, femminili rossastre all’ascella delle foglie, sulla stessa pianta. Fiorisce in aprile-maggio. Grosse ghiande
ovali lunghe 2-3 cm, con cupola quasi piatta.
Originario delle regioni orientali del Nordamerica è coltivato per rimboschimenti nell’Italia
settentrionale. Molto simile è la QUERCIA
PALUSTRE *Fam. Fagaceae - Quercus palustris Muenchh., con la quale condivide anche i
luoghi di origine. La palustre si differenzia per
le foglie mediamente più piccole, al massimo
15 cm e più profondamente incise e per i rami
terminali più esili e penduli. Le ghiande sono
mediamente più piccole, sferiche, avvolte quasi completamente dalla cupola.
28. SAMBUCO
*Fam. Caprifoliaceae
Sambucus nigra L.
Arbusto che raggiunge al massimo i 10 m di
altezza, ha un tronco piuttosto corto, nodoso e
irregolare con scorza bruno-grigiastra, rugosa e
solcata in senso verticale. Ha chioma espansa, densa e globosa; i fusti sono retti e molto
ramificati, con rami ad andamento arcuato e
ricadente. Le foglie, opposte, decidue, picciolate, sono lunghe 20-30 cm e provviste di stipole
ovate o tondeggianti, acute all’apice, ed emanano odore sgradevole. La lamina è imparipennata, composta da 5-7 segmenti ovati ad apice
acuminato e margine seghettato. I fiori, di colore bianco crema, compaiono in aprile-giugno
e sono riuniti in corimbi ombrelliformi; i frutti
sono drupe globose, succose a maturità, violanerastre. È originario dell’Europa e del Caucaso e al giorno d’oggi è diffuso in tutte le aree
temperate dei continenti. In Italia è presente
in tutte le regioni, dal piano ai 1400 m circa di
quota. Dai suoi nomi greci (actè e dendrôdès)
possiamo intuire il suo passato glorioso, difatti
actè designava il “nutrimento di Demetra”, il
grano, parola derivata probabilmente dall’antico radicale indoeuropeo che ha dato il sanscrito açnati, cioè mangiare; questi indizi lasciano
pensare che il sambuco sia stato nutrimento
per gli uomini dell’età dell’oro che, conoscendo poco i cereali, traevano nutrimento dagli
alberi. Ancora prima, i frutti di questo arbusto
venivano raccolti e consumati dalle popolazioni neolitiche. Dendrôdès invece significa “della
natura degli alberi”, nome riferito soprattutto
alle loro ninfe, in particolare alle Amadriadi; ciò
fa pensare che in un passato assai remoto il
sambuco fosse considerato un dono degli dèi,
se non addirittura divino lui stesso. Il latino sabucus o sambucus designa anche la sambuca,
una sorta di arpa triangolare, ma anche una
macchina da guerra, un ponte volante di cui
ci si servì durante gli assedi fino nel Medioevo. Anche il greco sambuké aveva lo stesso
doppio significato, pare infatti che la parola designasse la presunta erede di uno strumento
fenicio chiamato sabka. La parola sambucus
indicava anche un piccolo flauto, citato spesso col nome di “flauto magico” nelle leggende germaniche. I suoni di questo strumento
avevano il potere di proteggere dai sortilegi.
Albero capace di dare protezione, in Bretagna
allontanava i malefici dalle case presso le quali
veniva posto a dimora, oltre a tenerne lontani
i serpenti. In Danimarca era considerato protettore della famiglia, mentre in Russia cacciava gli spiriti maligni. Era talmente potente che
nel secolo XVII gli stregoni temevano di essere
battuti con un bastone di sambuco. Tuttavia si
trattava di una pianta molto ambigua: se da un
lato teneva lontani i demoni, dall’altro poteva
attirarli tanto che nel folclore inglese bruciare il
suo legno pareva che potesse attirare i diavoli.
Nel tempo fu anche oggetto di esecrazione a
causa di una credenza contadina secondo la
quale Giuda si impiccò ad esso. In Bretagna si
diceva infatti che le bacche di sambuco, una
volta buonissime, diventarono talmente amare da essere immangiabili. Pare inoltre che il
forte odore dei fiori e delle foglie potesse provocare la morte. Il potere nefasto del sambuco
forse derivava dal fatto che questa essenza,
nel Calendario degli alberi, contrassegnava il
tredicesimo mese lunare, o forse è anche possibile il contrario, ovvero che sia stato l’albero,
in correlazione con Giuda, a rendere malefica
la cifra tredici.
29. SEQUOIA GIGANTE o WELLINGTONIA
SEQUOIA DELLA CALIFORNIA
*Fam. Cupressaceae
Sequoiadendron giganteum (Lindl.) Buchholz
In America, questi alberi imperiosi sono chiamati “Sentinelle della Sierra”. Sono considerati tra gli organismi più grandi e antichi, originari
della Sierra Nevada (catena montuosa che si
estende nello Stato della California, dalla parte
ad Est, e in quello del Nevada, dalla parte ad
Ovest). Raggiungono altezze tra gli 80 e i 100
m e diametri superiori a 3 m; alcune possono
raggiungere i 10 m di diametro. Il “Generale
Shermann”, all’interno del “Sequoia National Park”, ha un diametro alla base di 11 m
e un’altezza di 83 m; a circa 40 m dal suolo
ha un ramo di oltre 2 m di diametro; si stima
che abbia un volume di circa 1770 m3 e circa
3500 anni. Questi esemplari hanno una corteccia fibrosa, fessurata in profondità, di un colore rosso brillante. Le infiorescenze maschili e
femminili fioriscono sullo stesso albero: quelle
maschili compaiono in ottobre, diventano gialle
e liberano il polline in marzo; quelle femminili
sono costituite da coni verdi, formati da scaglie dalla punta spinescente e lunghi circa 1,2
cm. I coni maturano nel giro di due anni e raggiungono una lunghezza di 7,5 cm; cambiano
dal verde al bruno scuro e possono persistere
sull’albero per circa 20 anni. I semi sono alati.
Fuori dalla California viene coltivata come pianta ornamentale. Venne introdotta in Europa
verso la metà del XIX secolo e si contano già
esemplari che raggiungono i 50 m di altezza.
30. I SORBI
*Fam Rosaceae
Gen. Sorbus L.
Piccoli alberi o arbusti il cui legno è utilizzato
per lavori di ebanisteria, tornitura, intaglio e per
strumenti musicali, è inoltre un buon combustibile. Le foglie sono alterne, decidue, semplici o
composte (imparipennate); i fiori sono riuniti in
corimbi composti ed eretti; i frutti sono piccole
bacche rosso corallo che rimangono sui rami
fino all’inverno. In natura la disseminazione,
ma anche la stessa germinazione, sono favorite dagli uccelli frugivori. Dispongono di una notevole ampiezza ecologica che permette loro di
vivere in ambienti molto dissimili: il loro limite
è rappresentato dalle elevate esigenze in luce,
perché, non possedendo un’adeguata velocità
di crescita, subiscono facilmente la concorrenza delle altre piante. Albero del secondo mese,
per il calendario celtico, il sorbo indicava la rinascita della luce. Ritenuto sacro da Greci e
Germani, vantava poteri contro i demoni e i loro
rappresentanti sulla terra, gli stregoni. I druidi
ne usavano ramoscelli sparsi su pelli di toro
scuoiate di fresco per costringere i demoni a rispondere alle domande difficili; inoltre col suo
legno venivano costruite le “mani di strega”,
oggetti che venivano adoperati per scoprire i
metalli. Oltre a proteggere gli uomini dalle temibili potenze invisibili, serviva da talismano
contro fulmini e sortilegi, così i cavalli ritenuti
stregati potevano essere domati soltanto con
una frusta di sorbo. In Scozia e in Scandinavia
i rami di sorbo tenevano lontane le streghe. In
tutti i paesi nordici era considerato protettore
del bestiame, infatti, presso i Finni, l’albero era
abitato dalla ninfa Pihlajatar, che esercitava
questa funzione e in Estonia i pastori piantavano un bastone di sorbo in mezzo al gregge per
tenere lontani i malefici.
31. TIGLIO CORDATO o SELVATICO
*Fam. Tiliaceae
Tilia cordata Mill.
Albero alto fino a 30 m, con foglie cuoriformi
alterne lunghe da 3 a 9 cm. Tipico dei boschi
della fascia collinare e montana, vive spesso
in associazione con betulla, faggio, rovere e
pioppo. I Greci e i Romani lo usavano come albero da ombra, e il suo legno tenero e facile da
lavorare era impiegato in sculture e oggetti da
intaglio. Questa specie è tipicamente utilizzata come pianta ornamentale. Albero femminile
per eccellenza in tutte le mitologie, ne troviamo
menzione nelle parole di Erodoto che riferisce
di certi “uomini-donna” presso gli sciiti che
profetizzavano arrotolando e srotolando strisce
di corteccia. Questi, gli enarei, non erano altro
che sciamani ai quali l’Afrodite celeste aveva
fatto perdere la virilità, la cui effeminatezza li
metteva in stretto rapporto col tiglio. Soggetto
a diversi impieghi (alimentazione umana e del
bestiame, scultura, fabbricazione di corde, utilizzato come calmante) fu venerato ovunque e,
viste le sue origini divine, nella più remota antichità fu considerato oracolare. Il tiglio è pro-
tagonista di due metamorfosi. La prima narra
di Crono che, sorpreso da Era durante l’unione
con la ninfa Filira, si trasformò in stallone e fuggì al galoppo. Accadde così che la ninfa, figlia
di Oceano, concepì un bambino metà uomo e
metà cavallo. Resasi conto che il divino neonato era un mostro, cadde preda della vergogna e supplicò Oceano d’essere tramutata in
tiglio, che da allora porta il suo nome. Il figlio, il
centauro Chirone, divenne un illustre guaritore,
potere che gli veniva dalla madre, infatti il tiglio
è uno dei più antichi rimedi conosciuti: i Greci
conoscevano le proprietà calmanti dei fiori e ne
facevano risalire l’uso ai tempi di Cronos. La
seconda trasformazione deriva da una storia
greca che racconta di una coppia di sposi: Filemone e Bauci. Essi avevano nutrito l’uno per
l’altra un amore senza nubi. Un giorno, Giove
e Mercurio, sotto sembianze umane, dopo essere stati dappertutto respinti, trovarono accoglienza presso i coniugi e, volendoli ricompensare per il gesto caritatevole, chiesero loro se
ci fosse qualche cosa che desiderassero. Essi
chiesero di poter diventare sacerdoti e custodi
del tempio dedicato alle due divinità e, avendo
passato la vita in perfetta unione, desiderarono di essere “portati via” insieme, quando fosse arrivato il tempo. Fu così che un giorno, nel
luogo sacro da loro custodito, Filemone vide
Bauci ricoprirsi di fronde e la moglie ricoprirsi
il marito. Filemone fu trasformato in quercia,
l’albero di Zeus, mentre Bauci divenne un tiglio, ovvero un albero che guarisce. Nei paesi
scandinavi il tiglio era considerato l’antenato
di un clan, così era per la famiglia di Linneo,
l’illustre naturalista. Questa si divideva in tre
rami, tutti col nome del tiglio: Linneo, Lindelius
e Tillander. Il nome, inizialmente Lindelius o Tillander - Tiliander, si trasformò sino a divenire
quello celebre, Linnaeus. Linneo fu chiamato
così dal padre in ricordo del tiglio secolare che
si trovava in un terreno di proprietà della famiglia. Sembra che quando le tre famiglie si
estinsero il tiglio eponimo morì, ma ne fu conservato il tronco.
32. TUIA OCCIDENTALE
*Fam. Cupressaceae
Thuja occidentalis L.
Originaria delle regioni occidentali acquitrinose
del Nord America, la tuia occidentale raggiunge
di solito altezze di 20 m e diametri di 50-60
cm, con chioma stretta piramidale in gioventù
e in seguito irregolare; è di lento accrescimento e spesso il fusto si ramifica a poca distanza
dal suolo; ha corteccia rosso-bruna fibrosa e
rami orizzontali incurvati verso l’apice con rametti penduli e appiattiti, con foglie squamiformi emananti odore di mela, di colore verde
opaco (nelle piante giovani sono aghiformi); gli
strobili, lunghi 8-12 mm sono costituiti da 5 o
6 paia di squame, dapprima eretti e poi penduli. In Europa è coltivata come pianta ornamentale e fu la prima conifera americana a esservi
importata, nel 1566. Il nome Thuja deriva dal
greco e significa “albero resinoso”.
Il Parco di Villa Toeplitz si trova in località
Sant’Ambrogio, ai piedi del Sacro Monte, nella
zona Nord di Varese.
INFORMAZIONI TURISTICHE
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Linee urbane
Orari di apertura al pubblico
C-Z
primavera/estate
8.00 - 20.00
autunno/inverno
8.00 - 18.00
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