Pianeta scienza MARTEDÌ 29 MAGGIO 2012 IL PICCOLO Domani la giornata mondiale contro la sclerosi multipla 63mila persone colpite in Italia Domani si celebra il World MS Day, Giornata Mondiale della sclerosi multipla. E fino al 3 giugno è in corso in Italia, e anche a Trieste, una settimana d’iniziative per sostenere la ricerca sulla sclerosi multipla, grave malattia del sistema nervoso centrale. Cronica, imprevedibile, invalidante, colpisce per lo più i giovani tra i 20 e i 30 anni e le donne: una diagnosi ogni 4 ore, 63.000 le persone colpite in Italia, 2 milioni e 200 mila il costo sociale annuo della malattia. La manifestazione, giunta alla tredicesima edizione, si svolge sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica con l’obiettivo di informare, sensibilizzare, sostenere la ricerca sulla sclerosi multipla. Ogni giorno un evento per fermare questa grave malattia. Sono state realizzate azioni e attività per chiunque voglia partecipare. A partire dall’Open Day nelle 99 sezioni Aism sparse sul territorio italiano, che resteranno aperte per tutta la manifestazione per accogliere chi vuole sapere di più sulla malattia o sulle attività della sezione. Nell’occasione la sezione pro- vinciale Aism di Trieste e la Fidapa (Federazione Italiana Donne Arti Professioni Affari), sezione storica di Trieste, hanno organizzato ieri alla Sala Baroncini la conferenza “Promesse e traguardi della ricerca in campo medico”, con John Nicholls, professore di neuroscienze cognitive e neurobiologia alla Sissa. Autore del libro “From neuron to brain”, tradotto in diverse lingue del mondo, John Nicholls affianca con passione l’attività didattica alla ricerca scientifica. Laureato in medicina a Londra, ha conseguito il dottorato in bio- fisica con sir Bernard Katz, premio Nobel per la fisiologia nel 1970, ha lavorato a Oxford, Harvard, Yale, Stanford, Basilea ed è membro della Royal Society. La sua principale attività di ricerca riguarda la rigenerazione del sistema nervoso centrale: indaga perché le fibre nervose non si rigenerano dopo lesione del midollo spinale. E di continuo viaggia per insegnare neuroscienze. Con l’International Brain Research Organization (Ibro) tiene corsi di neuroscienze dalle Filippine all’Uganda, dal Vietnam al Messico. Battere l’infarto, nuova frontiera Da domani esperti da tutto il mondo a Trieste per un convegno sulle terapie più innovative di Laura Strano Più di 17 milioni di decessi ogni anno, il 2% del prodotto interno lordo speso per le cure, nessun nuovo farmaco efficace sviluppato dopo gli anni ’90: questo il quadro allarmante delle malattie cardiovascolari, in gran parte dovute all’infarto del miocardio e allo scompenso cardiaco, che ormai rappresentano la principale causa di morte (circa un individuo su tre) in tutto il mondo, compresi i Paesi in via di sviluppo. Le terapie più innovative per contrastare queste malattie, basate sulla terapia genica o sull’utilizzo delle cellule staminali, saranno al centro del congresso “Frontiers in Cardiac and Vascular Regeneration” organizzato dal Centro di Ingegneria Genetica e Biotecnologie (Icgeb) da domani al 2 giugno alla Stazione Marittima, a Trieste. L’appuntamento vedrà riuniti i massimi esperti a livello internazionale nel campo della rigenerazione del cuore e dei vasi sanguigni, e spazierà dalla possibilità di indurre le cellule staminali embrionali a divenire cellule cardiache ai meccanismi della rigenerazione cardiaca in animali modello come il pesce zebra- Cuori trattati con la terapia genica: se ne parlerà domani al centro congressi della Stazione marittima fish, per giungere alla presentazione dei primi risultati di alcune sperimentazioni cliniche, ottenuti grazie all’inoculazione, nei pazienti con infarto, di diversi tipi di cellule staminali derivate dal cuore o dal midollo osseo. L’Icgeb contribuisce alla ricer- ca nel campo della rigenerazione cardiaca e vascolare con il laboratorio diretto da Mauro Giacca, organizzatore del convegno e direttore della sede di Trieste del Centro. Giacca presenterà una serie di nuovi risultati che indicano la possibilità di ottene- re la rigenerazione del cuore dopo infarto mediante l’inoculazione di alcuni piccoli Rna in grado di stimolare direttamente la replicazione delle cellule cardiache. Al congresso parteciperanno oltre 200 ricercatori da Europa, Africa, Asia, Medio Oriente e NordAmerica, tra cui diversi scienziati provenienti dagli oltre 60 Paesi che sostengono le attività dell’Icgeb, e saranno più di 30 i relatori di fama internazionale che presenteranno i loro studi. Tra le presentazioni di maggiore impatto, quelle di Kenneth Chien (Harvard University, Boston), che discuterà della possibilità di indurre le cellule staminali embrionali a divenire cellule cardiache trasferendo al loro interno alcuni specifici geni; di Juan Carlos Belmonte (Salk Institute, San Diego), che illustrerà i meccanismi della rigenerazione cardiaca in animali modello come zebrafish; di Roger Hajjar (Mount Sinai Medical Center, New York), che esporrà i risultati del primo studio di terapia genica del cuore nei pazienti con scompenso cardiaco. Il meeting sarà il primo di una serie di eventi annuali centrati sulle tematiche della Medicina Molecolare e dedicati alla memoria di Arturo Falaschi, compianto fondatore e direttore generale dell’Icgeb, scomparso due anni fa, che sarà ricordato domani alle alle 14.30 al Centro Congressi della Stazione Marittima. ©RIPRODUZIONE RISERVATA Tendere le cellule come fossero elastici Finanziato un progetto, fra l’Università di Trieste e quella del Colorado, per nuove terapie Cosa accadrebbe se alcune delle cellule muscolari presenti nelle braccia di Federica Pellegrini non funzionassero più? Con ogni probabilità non sarebbe più la campionessa che conosciamo. E che succederebbe se le fibre del nostro cuore si irrigidissero, non già per amore, ma per un’improvvisa alterazione della loro impalcatura interna di proteine? Se è vero che il processo di contrazione/distensione delle fibre muscolari è ben noto nelle sue grandi linee, altrettanto non si può dire delle conoscenze che i ricercatori hanno a livello mole- colare. Che cosa succede a livello di nanoscala quando una cellula muscolare si allunga e si contrae, quali sono i cambiamenti molecolari che si verificano tra una cellula in salute e una malata e come si potrebbe ripristinare, per esempio con la terapia genica, una condizione di pieno funzionamento sono gli obiettivi di un progetto internazionale chiamato Glass Mechanical Stretcher. Il progetto era stato presentato nell’ambito dell’accordo quadro Mise-Ice-Crui, un accordo che premia progetti presentati da università, in partenariato con imprese, volti a sviluppare collaborazioni all’estero nel campo della ricerca applicata, dell’innovazione e del trasferimento tecnologico. Tre i partner l’Università di Trieste con il suo Dipartimento di ingegneria industriale e dell’informazione guidato da Orfeo Sbaizero, il Cardiovascular institute dell’Università del Colorado dove opera il gruppo della triestina Luisa Mestroni e di Carlin Long, e il Kyoto Institute of Technology con il gruppo di Giuseppe Pezzotti, nonché un partner industriale (Genefinity). Galileo. Koch. Jenner. Pasteur. Marconi. Fleming... Precursori dell’odierna schiera di ricercatori che con impegno strenuo e generoso (e spesso oscuro) profondono ogni giorno scienza, intelletto e fatica imprimendo svolte decisive al vivere civile. Incoraggiare la ricerca significa optare in concreto per il progresso del benessere sociale. La Fondazione lo crede da sempre. Il progetto era stato accettato. Ma aveva subìto una sfortunata battuta d’arresto dovuta a cause contingenti legate al sistema Italia (l’Ice, uno dei tre partner, era stato cancellato dalla finanziaria). Recente il recupero del finanziamento del progetto e la partenza dello stesso, di qui a un paio di mesi. “Obiettivo principale – spiega Sbaizero – è costruire un microdispositivo elettromeccanico di vetro per tendere le cellule come se fossero elastici”. Il dispositivo, che sarà realizzato interamente in vetro per permettere in contemporanea studi di fluore- scenza, somiglia a due trampolini posti uno di fronte all’altro: sospesa nel vuoto, ma ancorata ai trampolini, è collocata una cellula muscolare che, dopo essere stata ancorata alle estremità, viene gradualmente stirata e subisce una sollecitazione meccanica quantificabile. “Dopo i primi esperimenti con cellule singole – precisa Sbaizero – cercheremo di utilizzare patch multicellulari, per mimare più precisamente quel che succede in natura”. Capire i danni cellulari è il primo passo per pensare a terapie future. Cristina Serra QUESTA PAGINA È REALIZZATA IN COLLABORAZIONE CON 33 AL MICROSCOPIO Dai test nucleari alla biologia di cuore e cervello di MAURO GIACCA Tra la metà degli anni ’50 e l’inizio degli anni ’60, le superpotenze si confrontarono nella produzione di ordigni nucleari sempre più potenti, che venivano sperimentati facendoli detonare nell’atmosfera. Fortunatamente, un trattato tra Stati Uniti, Regno Unito e Unione Sovietica, firmato a Mosca da Kennedy e Kruscev nell’estate ’63 e conosciuto come il “Limited Test Ban Treaty” pose fine a questa folle rincorsa, confinando lo scoppio degli ordigni nucleari nel sottosuolo. Ne parliamo in questa rubrica di scienza perchè quel periodo ha marcato una traccia importante anche negli esseri viventi: le esplosioni nucleari, infatti, rilasciarono nell’atmosfera tracce di isotopi radioattivi, che si sparsero sul pianeta. In particolare, i livelli di carbonio-14, l’isotopo che viene comunemente utilizzato per datare retrospettivamente i reperti archeologici, misurandone il suo decadimento radioattivo in periodi molto lunghi, ebbero una brusca impennata verso l’inizio degli anni ’60, per poi rapidamente diminuire. Dal momento che il carbonio atmosferico reagisce con l’ossigeno per generare anidride carbonica e che questa viene incorporata nelle piante mediante il processo di fotosintesi, anche la quantità di carbonio-14 nelle piante aumentò drasticamente. E, grazie all’alimentazione con piante e animali erbivori, aumentò anche il carbonio-14 nei tessuti umani. Misurare la quantità di questo isotopo ci offre quindi la possibilità di datare con molta precisione, oggi, quando le cellule dei vari organi di un individuo si sono venute a formare. Ad esempio, comparando i livelli di carbonio-14 nel Dna estratto dal cervello di un individuo nato all’inizio degli anni ’60 e comparandoli con quelli nel Dna estratto dal sangue, si trova che questi sono molto elevati nel primo caso e bassi nel secondo, indicando chiaramente che le cellule cerebrali, al contrario di quelle del sangue, hanno smesso di replicarsi subito dopo la nascita. Analoghi considerazioni sembrano valere anche per il cuore - dove la grande maggioranza dei cardiomiociti sono quelli con cui siamo nati -, lo smalto dei denti, il cristallino nell’occhio o, come dimostrato da una nuova ricerca pubblicata questa settimana, i neuroni deputati ad apprezzare gli odori. Questi studi, resi possibili da una circostanza eccezionale, rinforzano il concetto che nasciamo con una certa dotazione finita di cellule negli organi fondamentali per la nostra sopravvivenza, in particolare nel cervello e nel cuore. Oggi, tutto sembra indicare che l’invecchiamento, le malattie degenerative e alla fine la morte siano proprio dovute all’incapacità di questi organi di rigenerarsi nel corso della vita. ©RIPRODUZIONE RISERVATA