Dipartimento di Scienze Economico-Aziendali, Giuridiche, Merceologiche e Geografiche Università degli Studi di Foggia ___________________________________________________________ a La tassazione dei redditi di lavoro autonomo Elena Lombardi Quaderno n. 3/2011 Quaderno realizzato presso il Dipartimento di Scienze Economico-Aziendali, Giuridiche, Merceologiche e Geografiche nel mese di Febbraio e depositato ai sensi di legge Authors only are responsible for the content of this preprint. ______________________________________________________________________ _______ Dipartimento di Scienze Economico-Aziendali, Giuridiche, Merceologiche e Geografiche Via R. Caggese, 1, 71100 Foggia (Italy), Phone +39 0881-781.721 /781.742 -Fax 0881-568244 Esemplare fuori commercio per il deposito legale agli effetti della legge 15 aprile 2004 n. 106 Il presente contributo è disponibile al seguente indirizzo: http://www.dseagmeg.unifg.it/pubblicazioni/quaderni.asp 1 Un sentito ringraziamento per l’opportunità concessami va al prof. Pietro Boria autorevole e illuminato studioso e al prof. Mario Cardillo instancabile e costante guida di questo percorso di ricerca La mia stima per la sua persona è dovuta, oltre che alla sua profonda esperienza e conoscenza del Diritto Tributario, alla grande umanità, all’entusiamo e all’impegno con il quale ha saputo incoraggiarmi in tutti i momenti di difficoltà a dimostrazione della grande fiducia riposta nella mia persona nella speranza di non deluderla. . 2 Capitolo primo IL REDDITO DI LAVORO AUTONOMO SOMMARIO: 1. 1. Premessa- La disciplina civilistica del lavoro autonomo: differenza tra lavoro autonomo e lavoro dipendente. - 1.2. La differenza tra lavoro autonomo e impresa e piccola impresa – 1.3. L’evoluzione normativa della definizione del reddito di lavoro autonomo - 1.4. Reddito di lavoro autonomo. – 1.5. Il requisito della professionalità abitualità - 1.6. Redditi di lavoro autonomo e reddito di lavoro dipendente – 1.7. Gli elementi distintivi del rapporto di lavoro autonomo 1.1. Premessa - La disciplina civilistica del lavoro autonomo: differenza tra lavoro autonomo e lavoro dipendente Rappresentativo di un universo indistinto di attività economica-produttive e professionali, svolte senza vincolo di subordinazione e con lavoro prevalentemente proprio, il lavoro autonomo è definito dall’art. 2222 del codice civile, che indica quale lavoratore autonomo colui che si obbliga a compiere verso un corrispettivo un’opera o un servizio, con lavoro prevalentemente proprio e senza vincolo di subordinazione nei confronti del committente. Dal punto di vista civilistico, quindi, il lavoro autonomo è inquadrabile nella categoria dei contratti d’opera, che è un contratto sinallagmatico, non formale, a titolo oneroso per la cui realizzazione è sempre dovuto un facere1. Dall’analisi dell’art. 2222 codice civile si pongono in rilievo due sostanziali differenziazioni2: lavoro autonomo e lavoro subordinato, lavoro autonomo e impresa e piccole imprese. Per quanto riguarda la prima differenziazione, siamo di fronte prima ancora che ad una dicotomia giuridica, a due diversi atteggiamenti economici, comportamentali e culturali: da un lato, il lavoro autonomo con iniziativa e rischio proprio; dall’altro, il lavoro subordinato, meno rischioso e con la sicurezza di un compenso, proprio per questa ragione solitamente assai modesto3. Questi due istituti, lavoro autonomo e lavoro subordinato, sono due schemi giuridici che il nostro ordinamento ha predisposto per rispondere ad esigenze individuali e, per regolare situazioni di lavoro che dal loro comportamento si generano. Vi sono individui che hanno un’attitudine al 1 2 Le imposte sui redditi nel Testo Unico, Maurizio Leo, Giuuffrè editore 2006 Manuale del lavoro autonomo, Renato e Salvatore Dammacco, De Lillo editore 1994 3 rischio e sono in grado di svolgere funzioni imprenditoriali di micro imprenditorialità, rinunciando alla sicurezza stabile di un’organizzazione produttiva; altri, invece, necessitano di essere inquadrati in una struttura e si sentono più a loro agio nella tendenziale stabilità dell’area protettiva che in tal modo si crea. Ci si trova, dunque, di fronte ad una grande distinzione tra forma di organizzazione delle attività umane nell’interesse d’altri: il modello del lavoro spazialmente e temporalmente diretto e il modello del lavoro organizzato in modo essenzialmente libero. Nel rapporto di lavoro autonomo, infatti, vi è una totale assenza di vincoli di subordinazione, il lavoratore nel compimento dell’opera o del servizio si da un’autonoma organizzazione della propria attività per il raggiungimento di quel determinato risultato. Il committente può dare istruzioni per l’opera o il servizio che desidera veder realizzato, può controllare che queste direttive siano eseguite con sua soddisfazione, ma nonostante ciò, il lavoratore resta libero di organizzare le modalità di lavoro che preferisce, acquisendo, come crede, eventuali fattori produttivi e impiegando, ad esempio, come più gli aggrada, le ore diurne, notturne o festive. Tuttavia il criterio costitutivo del vincolo di subordinazione non è stato sempre ritenuto il più significativo per stabilire la distinzione tra le due categorie di lavoratori. La Giurisprudenza individua altri criteri distintivi sopratutto quando l’esistenza o meno del vincolo di subordinazione non risulti agevolmente apprezzabile a causa del concreto atteggiarsi del rapporto. In particolare, vengono evidenziati i seguenti criteri guida: 1) precisa individuazione dell’oggetto della prestazione, che, nel senso del concetto d’opera è rappresentativo del risultato dell’attività organizzata dal prestatore d’opera (opus), mentre nel concetto di lavoro subordinato, delle energie lavorative (opere) applicata secondo le direttive, la vigilanza e il controllo dell’altra parte. Di conseguenza, mettendo l’accento sull’oggetto della prestazione4, si può affermare che l’obbligazione di lavoro dipendente è un’obbligazione di fare o di mezzi, mentre l’obbligazione di lavoro autonomo si tradurrebbe in una prestazione di dare o di risultato o di comportamento5; 2) accertamento concreto dell’esistenza di un’organizzazione di impresa; 3) la valutazione dell’incidenza soggettiva del rischio all’esercizio dell’impresa che grava sul lavoro autonomo. L’autonomia ha come conseguenza il rischio inerente al risultato che 3 Il lavoro dipendente nel sistema delle imposte sui redditi, Francesco Crovato, Cedam editore La progettazione giuridica del reddito, Vol. III, Padova, 1975, Nicola D’Amati. 5 Nel contratto di lavoro autonomo, la prestazione continuativa di fare, pur seguitando a caratterizzare l’obbligazione assunta dal lavoratore, viene formalmente considerata in funzione di un determinato risultato di cui il lavoratore stesso ha personalmente assunto l’impegno secondo modalità prestabilite, tanto che l’adempimento finale di regola si traduce in una prestazione istantanea di dare. In tal senso Riva Severino, Rivista di diritto del lavoro, 19587, II, 535 4 4 il lavoratore deve sopportare. Non a caso e come riflesso di ciò, sul piano giuridico, l’origine del rapporto di lavoro autonomo è sempre stata considerata come una situazione di derivazione esclusivamente contrattuale, diversa da quanto avviene per il rapporto di lavoro dipendente. 4) potere di determinare soggettivamente il corrispettivo6 sulla base delle spese e dei rischi che il lavoratore autonomo sopporta7; 5) Personalità: autonomia e personalità sono state sempre ritenute termini equivalenti per distinguere il lavoro autonomo, ma le personalità più dell’autonomia è stata vista come il connotato più specifico, atteso che l’autonomia è caratteristica di cui partecipa anche l’imprenditore8. 1.2. La differenza tra lavoro autonomo e impresa e piccola impresa Per comprendere, invece, la portata della seconda differenziazione (lavoro autonomo e impresa e piccola impresa) è necessario ricordare che nel codice civile non esiste la definizione di impresa, bensì, quella di imprenditore, che delinea, tuttavia, a sommi capi il concetto d’impresa “ è imprenditore chi esercita professionalmente un’attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o servizi” art. 2082 c.c. La distinzione tra il reddito di lavoro autonomo ed il reddito d’impresa9 si pone, in particolare, nei confronti delle prestazioni di servizi rese a terzi, non ricomprese nell’elenco delle attività tipicamente commerciali contenute nell’art. 2195c.c. La questione, infatti, si pone per le attività diverse da quelle indicate dall’art. 2195 c.c. rubricato “Imprenditori soggetti a registrazione”. Infatti, le attività elencate in tale articolo debbono ipso iure considerarsi d’impresa, e, pertanto, non possono in nessun caso classificarsi come di lavoro autonomo, e conseguentemente, non si pone alcuna necessità di identificare un criterio 6 Sull’elemento dell’onerosità nel lavoro subordinato, cfr. TREU, Onerosità e corrispettività nel rapporto di lavoro, Milano 1996. Il compenso del prestatore d’opera intellettuale è regolato da una norma specifica, l’art. 2233 c.c. a tenore del quale “il compenso può essere convenuto dalle parti….” Oppure, in caso in cui ciò non sia fatto e non possa essere stato determinato secondo le tariffe e gli usi, è determinato dal giudice, sentito il parere dell’associazione professionale a cui il professionista appartiene. 7 Cassazione 12 settembre 1970, n, 1413, Rivista di diritto del lavoro 1972, III, 302 8 La personalità si rivela in un altro aspetto della prestazione: nella sua infungibilità, nel fatto cioè che di norma e salvo specifiche riserva il lavoratore non può farsi sostituire da altri perché ciò costituirebbe addirittura alterazione del sinallagma contrattuale professionista-cliente. La persona del professionista è elemento essenziale del contratto e l’errore su questo elemento (intuitus personae) costituisce vizio di conoscenza e determina l’annullamento del contratto. Si dice, infatti, che correlativo della personalità nel lavoro autonomo sarebbe il carattere fiduciario, in quanto per il committente sarebbe traslare la fiducia nella capacità tecniche e professionali del lavoratore 9 Il sistema tributario, di Pietro Boria, UTET 5 distintivo atteso che, generano sempre e comunque, indipendentemente dalla forma di organizzazione, reddito d’impresa. Invece, nelle attività diverse da quelle indicate dall’art. 2195 c.c., bisogna stabilire se l’elemento patrimoniale venga utilizzato in misura preponderante, e, quindi, con funzione servente rispetto all’apparato personale dell’agente, o, se, invece, l’elemento patrimoniale prevalga su quello personale10. Per aversi lavoro autonomo, è infatti, necessario che l’elemento personale prevalga su quello patrimoniale11. La prevalenza deve essere analizzata dal punto di vista qualitativo, ben potendo continuare a sussistere la natura personale del servizio anche in presenza di rilevante impiego di risorse. Vi possono essere situazioni in cui l’elemento patrimoniale, pur prelevando rispetto a quello personale, non connota i redditi derivanti dall’attività svolta quale redditi di impresa. E’, infatti, necessario considerare la relazione tra i due elementi: determinate attività (resta sempre che siano diverse da quelle indicate dall’art. 2195 c.c., perché quelle indicate in detto articolo generano sempre reddito d’impresa) possono essere assoggettate nell’ambito di quello produttivo di reddito d’impresa se la prestazione non è riconducibile ad un rapporto fiduciario (fondato sull’intuitus personae) ma è attribuibile, in modo esclusivo o prevalente, alla struttura12 oggettivamente considerata, cioè organizzata di beni e persone. L’elemento qualificante del lavoro autonomo13 può essere, dunque, individuato nel carattere strettamente personale ed intellettuale dell’attività svolta; il soggetto, può ovviamente, avvalersi, per l’esercizio della propria attività di un complesso di beni strumentali, anche di ingenti dimensioni e valore14 ma, nel lavoro autonomo questo complesso di beni continua a mantenere una funzione strumentale, secondaria, rispetto alla principale, quindi l’apporto personale diventa insostituibile, possiamo così parlare di autorganizzazione 15. Nel caso in cui tale complesso di beni, al contrario, assuma carattere preminente e l’apporto personale del soggetto diventi esso stesso un fattore secondario, nell’ambito di una struttura organizzata per la produzione di servizi dotata di una propria autonomia, il reddito derivante dall’attività svolta andrà classificato tra quelli d’impresa16 e possiamo così parlare di etero 10 Corso di diritto tributario, di Augusto Fantozzi, UTET Maurizio Leo in Le imposte sui redditi nel Testo Unico afferma, invece che, il maggiore o minore investimento di capitali nell’attività è un criterio generale ma residuale. 12 Fondato sull’intuitus personaee 13 Manuale di diritto tributario, Gaspare Falsitta 14 Si pensi alle attrezzature necessarie per svolgere la professione dentistica 15 Il sistema tributario, di Pietro Boria, UTET 16 Per un approfondimento di questa problematica G. Tabet, Interrogativi sulla qualificazione del reddito derivante dall’esercizio cosiddetta professione impresa 11 6 organizzazione, con un assetto organizzativo che sia esternamente percepibile come una combinazione di fattori produttivi funzionale allo svolgimento dell’attività economica. La distinzione tra lavoro autonomo e esercizio d’impresa risiede, anche, nella diversa modalità di determinazione del reddito. Ai fini delle imposte dirette (IRPEF e IRAP) il reddito di lavoro autonomo è data dalla differenza tra i compensi in denaro e natura percepiti nel periodo d’imposta e spese inerenti l’esercizio dell’attività sostenute nello stesso periodo (art. 53 del D.P.R. 917/86). Nel primo comma dell’art. 53 del Tuir è dunque enunciato il principio di imputazione per cassa, che costituisce il principale elemento di diversità rispetto alla determinazione del reddito d’impresa. L’imputazione secondo il principio di cassa implica che ai fini della determinazione delle imposte dirette rilevano i compensi e i costi effettivamente percepiti e sostenuti nell’esercizio, salvo qualche piccola eccezione relativamente ad alcuni costi che si imputano per competenza (ammortamento beni materiali e immateriali, maxicanone leasing, etc.). Invece, ai sensi dell’art. 55 del Tuir i redditi di impresa sono quelli che derivano dall’esercizio di imprese commerciali, ossia dall’esercizio per professione abituale, ancorché non esclusiva, delle seguenti attività: industriale diretta alla produzione di beni o servizi; intermediaria nella circolazione dei beni; di trasporto per terra, per acqua o per aria; bancaria o assicurativa; altre attività ausiliare delle precedenti. Per la determinazione del reddito di impresa occorre rifarsi, in linea generale, alle disposizioni emanate in materia Ires, salvo quanto appositamente stabilito per le persone fisiche al capo Vi, titolo I del nuovo Tuir (articoli 55-66). E’ opportuno, inoltre, ricordare che, dal punto di vista civilistico, la redazione del bilancio è prescritta obbligatoriamente soltanto per le società di capitali, mentre dal punto di vista fiscale la predisposizione anche di una situazione patrimoniale è indispensabile per la determinazione del reddito di tutti i soggetti in contabilità ordinaria, siano essi persone fisiche o società di persona. Tale obbligo non sussiste per le imprese ammesse a regimi contabili semplificati, non essendo previsto per essi l’indicazione dei dati patrimoniali nel modello unificato di dichiarazione dei redditi. Nella determinazione del redito d’impresa, a differenza di quanto previsto per i professionisti, l’imputazione dei costi avviene secondo il principio di competenza economica; l’effetto delle operazioni e degli altri eventi deve essere rilevato contabilmente e attribuito all’esercizio al quale tali operazioni ed eventi si riferiscono e non a quello in cui si concretizzano i 7 relativi movimenti di numerario (incassi e pagamenti). La diretta conseguenza dell’applicazione del principio di competenza è che, alla data di chiusura dell’esercizio, i componenti di reddito devono essere certi nell’esistenza e determinati o oggettivamente determinabili nell’ammontare. All’art. 109 del Tuir è chiarito che le spese e gli altri componenti di cui alla chiusura dell’esercizio di competenza non sia ancora certa l’esistenza o di cui non sia determinabile in modo obiettivo l’ammontare, concorrono a formarlo nell’esercizio in cui si verificano tali condizioni Infine, la distinzione tra redito d’impresa e reddito di lavoro autonomo ha assunto in passato particolare importanza per quanto riguarda l’imposizione ai fini IRPEF e ILOR (ormai soppressa), in quanto il reddito di lavoro autonomo non era soggetto all’ILOR, contrariamente al reddito d’impresa. La Giurisprudenza e l’Amministrazione Finanziaria, chiamate più volte a decidere in merito alla distinzione tra le due diverse categorie di reddito ha stabilito che genera reddito di lavoro autonomo l’attività svolta: dagli agronomi; dagli agenti SIAE; dai portabagagli presso gli scali ferroviari; dai commercianti ambulanti; dai soggetti che effettuano servizi di pulizia e vigilanza; dagli analisti; da una società semplice che ha per oggetto della propria attività la cura di antologie musicali per conto di terzi; dai calciatori professionisti che giocano in “Nazionale” sia nell’ambito di una singola manifestazione sportiva o più manifestazioni tra loro collegate in un breve periodo di tempo; dai medici radiologi, anche se si tratta di un’attività esercitata in più ambulatori nei confronti di un numero elevato di pazienti, con l’utilizzazione di beni strumentali di rilevante valore economico e con la collaborazione di personale infermieristico; dai “pony express”; dai chiromanti-cartomanti e dei medium o sensitivi, quando è attività praticata a fine lucro, costituisce attività professionale il cui reddito è, pertanto, di lavoro autonomo; dai mediatori agricoli (in quanto svolgente attività diversa da quella di cui all’art. 2195 c.c.). Invece, sempre la giurisprudenza, ha considerato reddito d’impresa quelli realizzati: dagli esattori; dagli autotrasportatori; dal professionista intellettuale che assume la qualità di imprenditore commerciale quando esercita la professione (prestazione a terzi di servizi topografici ed aerofotogrammetrici) nell’ambito di un’attività organizzata in forma di impresa). E’ opportuno citare, anche, alcune tra le più importanti risoluzione emanate dal Ministro delle Finanze che hanno chiarito che i redditi conseguiti nell’esercizio di talune attività sono inquadrabili tra quelli di lavoro autonomo: con R.M. 10/148 del 27 marzo 1974, si è affermato che i redditi delle guide turistiche, poiché l’attività da cui conseguono è caratterizzata da prestazioni di carattere intellettuale o tecnico, non sono redditi d’impresa bensì di lavoro autonomo; con R.M. n. 8/883 del 26 luglio 1976 sono stati inquadrati tra i lavoratori autonomi gli artisti lirici; con cir. N. 12/9/2774 del 12 aprile 1983, si è chiarito, superando l’orientamento precedentemente espresso 8 con R.M. n. 15/2092 del 23 marzo 1982 , che i redditi derivanti dall’esercizio di laboratori di analisi mediche sono qualificabili come redditi di lavoro autonomo a meno che, ai sensi dell’art. 51, terzo comma, del D.P.R. n. 597, non vi sia un’organizzazione di tipo imprenditoriale che fa perdere ogni rilevanza e significato alla figura del medico; con R.M. n. 9/1470 del 27 settembre 1980 si è precisato che il reddito percepito da orchestre o complessi musicali costituiti in forma di società in nome collettivo, pur essendo astrattamente configurabile come reddito di lavoro autonomo, rientra, ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 51 del D.P.R. n. 597/1973, tra i redditi d’impresa; con R.M. n. 8/1249 del 28 dicembre 1978, si è affermato che rientrano tra i redditi di lavoro autonomo quelli percepiti dai consulenti di infortunistica stradale; con R.M. n. 10/712 del 27 giugno 1975, è stato chiarito che le somme corrisposte per il servizio religioso degli invalidi di guerra anziani, ricoverati presso una casa di riposo, danno luogo a reddito di lavoro autonomo; con R.M. 8/173 del 15 marzo 1980 è stato precisato che per l’assegno giornaliero di frequenza corrisposto per la frequenza di corsi di formazione professionale non può escludersi la natura reddituale, tenuto conto del disposto del comma 4 dell’art. 34 del D.P.R.601 del 1973 che ne prevede l’esenzione ai soli fini dell’ILOR e per quanto riguarda la categoria di reddito nella quale classificare gli importi in parola, esclusa la possibilità di includersi nel reddito di lavoro dipendete per la mancanza dei relativi requisiti, devono farsi rientrare fra i redditi di lavoro autonomo; con R.M. n. 8/873 del 1 dicembre 1980, si è affermato che gli onorari corrisposti agli eredi del notaio sono considerati reddito di lavoro autonomo, in quanto, analogamente a quanto avviene in sede civilistica, con l’istituzione di eredi, un soggetto, per effetto della successione mortis causa, subentra nei rapporti giuridico-patrimoniali del de cuius, lasciandoli inalterati (con l’introduzione del T.U. in tale caso si applica la tassazione separata); con circolare n. 22 del 7 settembre 1988 è stato precisato che lo spedizioniere doganale esercita una professione qualificata ed è inquadrabile come prestatore d’opera intellettuale (art. 2229 c.c.) , da non confondere con lo spedizioniere ordinario di cui all’art. 1737 c.c.; con risoluzione n. 129/E, del 17 luglio 1996, è stato precisato che l’attività di fotografo può essere considerata quale attività rientrante nell’esercizio d’arti e professioni di cui al citato art. 49 (ora art. 53) del T.U.I.R., ovvero attività di impresa, rientrante nell’ art. 51 (ora 55) del T.U.I.R. stesso, a seconda delle modalità effettive con cui essa viene svolta. In particolare, essa si configura quale attività di lavoro autonomo allorché la prestazione assume gli elementi tipici dell’attività professionale, intellettuale di cui all’art. 2229 c.c., ancorché la legge, per la professione di cui trattasi non preveda alcuna iscrizione in appositi albi o elenchi. Tali elementi si ravvisano sia nell’impegno assunto dal professionista nei confronti del cliente a prestare la propria opera intellettuale per il raggiungimento del risultato sperato relativo al servizio fotografico reso, senza alcun obbligo di conseguirlo, sia per il fatto che il rapporto tra le parti, 9 basandosi su un rapporto fiduciario, è fondato sull’intuitus personae. L’attività fotografica, si viene a qualificare, invece, come esercizio di impresa commerciale, quando in tale attività l’apporto del professionista non è più connesso ad una prestazione d’opera intellettuale, ma involge una prevalente opera di organizzazione di vari fattori produttivi e laddove la struttura dell’impresa così organizzata, e non la figura del professionista, assume nei confronti della cliente una rilevante importanza. 1.3. L’evoluzione normativa della definizione del Reddito di lavoro autonomo. La nozione di reddito di lavoro autonomo dal punto di vista tributario, trova un preciso riferimento nella formula definitoria contenuta nell’art. 53 del TUIR. Prima dell’entrata in vigore della riforma tributaria, i redditi di lavoro autonomo erano disciplinati dall’art. 85 del T.U. delle leggi sulle imposte dirette approvato con il D.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645, secondo cui erano considerati redditi di lavoro autonomo oltre quelli prodotti nell’esercizio di arti e professioni anche quelli realizzati da impresa organizzata prevalentemente con il lavoro proprio del contribuente e dei componenti della famiglia. Pertanto, nell’ambito del reddito di lavoro autonomo erano compresi tanto i redditi derivanti dall’esercizio di attività artistiche e professionali, quanto quelli derivanti dall’esercizio di piccole e medie imprese17. Con la riforma tributaria, invece, si è cercato di creare una netta separazione tra redditi di lavoro autonomo e redditi d’impresa, includendo in quest’ultima categoria anche quelli realizzati dai piccoli imprenditori. L’art. 1, n.18, della Legge 9 ottobre 1971, n. 825, concernente la Delega Legislativa al Governo per la riforma tributaria, estendeva i principi relativi alla determinazione del reddito in base alle scritture contabili a tutti i redditi derivanti dall’esercizio di imprese commerciali e dell’esercizio di arti e professioni. La volontà del Legislatore era quella di tenere nettamente separati i redditi di lavoro autonomo da quelli d’impresa. I citati criteri direttivi fissati nella legge delega trovarono attuazione, prima negli artt. 49 e 50 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, concernente l’imposta sul reddito delle persone fisiche, e, poi, negli artt. 53 e 54, contenuti nel T.U.I.R., approvato con il D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917. Il vecchio testo normativo stabiliva che “il reddito di lavoro autonomo era quello derivante dall’esercizio di arti e professioni, compreso l’esercizio in forma associata di cui alla lettera c) del comma 3 dell’art. 5. Per esercizio di arti e professioni si intende l’esercizio per professione 17 Le imposte sui redditi nel Testo Unico, Maurizio Leo, Giuuffrè editore 2006 10 abituale, ancorché non esclusiva, senza vincolo di subordinazione, di attività diverse da quelle considerate nei Titoli II e V. Nell’attuale testo normativo, invece, art. 53 del TUIR, nel comma 1 è contenuta la nozione di redditi di lavoro autonomo, intesi come quelli che deriva dall’esercizio di arti e professione abituale ancorché non esclusiva, di attività di lavoro autonomo diverse da quelle considerate nel Capo VI, compreso l’esercizio in forma associata di cui alla lettera c) del comma 3 dell’art. 5. Dal confronto fra la vecchia e nuova normativa, emergono le seguenti differenze: è stata soppressa la locuzione “senza vincolo di subordinazione”, poichè, è chiaro che l’attività di lavoro autonomo è caratterizzata dalla non dipendenza da altri ed inoltre nell’art. 6 del T.U.I.R è stata operata la distinzione tra la categoria di lavoro dipendente e quella di redditi di lavoro autonomo; il nuovo testo normativo fa riferimento alle “attività di lavoro autonomo” invece che “alle attività diverse da quelle considerate nei Titoli II e V”. Questa modifica deriva dalla volontà del legislatore di non dare una configurazione “residuale” alla categoria dei redditi di lavoro autonomo; la soppressione del riferimento al Titolo II (redditi fondiari). 1.4 Reddito di lavoro autonomo Alla stregua dell’art. 53 del TUIR “sono redditi di lavoro autonomo quelli che derivano dall’esercizio di arti e professioni. Per esercizio di arti e professioni si intende l’esercizio per professione abituale, ancorché non esclusiva, di attività di lavoro autonomo diverse da quelle considerate nel capo VI (redditi d’impresa)”. Il secondo comma indica, invece, le fattispecie “assimilate” a quelle di lavoro autonomo per le quali diviene del tutto irrilevante la ricorrenza dei requisiti della abitualità, della prevalenza e dell’occasionalità. Pertanto sono, inoltre, redditi di lavoro autonomo a) abrogata dall’art. 24, comma 1, lett. D) della legge 21 novembre 2000, n. 342; b) i redditi derivanti dalla utilizzazione economica, da parte dell’autore o inventore, di opere dell’ingegno, di brevetti industriali e di processi, formule o informazioni relativi ad esperienze acquisite del campo industriale, commerciale o scientifico, se non sono conseguiti nell’esercizio di impresa commerciale, c) le partecipazioni agli utili di cui alla lettera f) del comma 1 dell’articolo 41 quando l’apporto è costituito esclusivamente dalla prestazione di lavoro; 11 d) le partecipazioni agli utili spettanti ai promotori e ai soci fondatori di società per azioni, in accomandita per azioni e a responsabilità limitata; e) le indennità per la cessazione di rapporti di agenzia; f) i redditi derivanti dall’attività di levata dei protesti esercitata dai segretari comunali ai sensi della legge 12 giugno 1973, n. 349 Prendendo le mosse da questa definizione legislativa, una parte della dottrina18 ha sottolineato il carattere sostanzialmente residuale della nozione, evidenziando in particolare come il reddito di lavoro autonomo non sarebbe definito in positivo, quanto piuttosto in negativo come quello scaturente da attività diversa da quella che origina reddito d’impresa. Un’altra parte della dottrina19è dell’opinione che con il T.U. si è compiuta l’elaborazione di un concetto di lavoro autonomo prevalentemente distinto da quello d’impresa per le sue caratteristiche e pertanto il lavoro autonomo non può ritenersi una categoria residuale. Pertanto il concetto di reddito di lavoro autonomo può essere ricostruito sia in negativo che in positivo: a) in positivo: definendo il concetto di arte e professione quale attività economica liberale nella quale la prestazione è caratterizzata dal requisito d’originalità e della personalità; b) in negativo: ovvero in via residuale, quale attività economica che non coincida con quella del reddito d’impresa. Dalla lettura dell’art. 53 del TUIR, inoltre, si evince la distinzione del reddito di lavoro autonomo in due grandi categorie: a) redditi derivanti dall’esercizio di arti e professioni svolta per professione abituale, ancorchè non esclusiva e senza vincolo di subordinazione (comma 1); b) altri redditi tassativamente indicati (commi 2 e 3)20. 1.5 Il requisito della professionalità abituale Gli elementi che caratterizzano positivamente la nozione di reddito di lavoro autonomo sono i requisiti della “professionalità e “abitualità21”, i quali richiedono che l’attività venga svolta in modo regolare, stabile e, non occasionale.22 18 Della stessa opinione è Pasquale Russo in Manuale di Diritto Tributario – Parte speciale e Claudio Sacchetto in I Redditi di lavoro autonomo 19 Istituzioni di Diritto Tributario, Nicola De Mita, Cacucci Editore 20 La distinzione fondamentale tra i redditi derivanti dall’esercizio di arti e professioni e le fattispecie assimilate a quelle di lavoro autonomo, è che il reddito dei lavoratori autonomi, che svolgono la professione in modo abituale è determinato in base alle scritture contabili, mentre i soggetti possessori di redditi assimilati, derivanti da un’attività non abituale, sono esonerati dall’obbligo della contabilità ed il reddito si determina altrimenti, cfr. Santamaria in Lineamenti. 12 La professionalità 23 è intesa come un indice di un’attività con contenuto economico potenzialmente rivolto all’esterno, consistente in una serie di atti economici non mediati dall’organizzazione del committente. La caratteristica, infatti, di essere attività costante, proiettata all’esterno o più genericamente verso il mercato costituisce il nucleo in cui consiste la professionalità24. Pertanto, si ha attività professionale25 quando ci sono dei comportamenti da parte del soggetto la cui manifestazione ed il cui ripetersi vengono inequivocabilmente intesi dai terzi come segno di uno status corrispondenti all’attività26. Un’attività professionale sarà poi, anche per definizione un’attività economica, e poiché, si rivela e si esprime in una serie di atti e di comportamenti, la dottrina ha legittimamente affermato che la professionalità va riferita, più che al soggetto, al modo come si presenta l’attività da lui svolta27. La professionalità, inoltre, è considerata anche il rovescio della modalità della subordinazione. Con la subordinazione il prestatore di lavoro non può rivolgere il proprio lavoro direttamente al mercato, inoltre, non è richiesto neanche una componente patrimoniale28, il lavoratore deve solo mettere a disposizione del datore di lavoro le sue energie lavorative all’organizzazione in cui risulta inserito. Il requisito dell’abitualità, inoltre, è anche un elemento che caratterizza positivamente la nozione di reddito di lavoro autonomo, ossia la reiterazione nel tempo dell’attività che deve essere 21 La professionalità e l’abitualità sono considerati anche gli elementi che differenziano le categorie di redditi di lavoro autonomo da quelli degli altri redditi tassativamente indicati nei commi 2 e 3 , da Le imposte sui redditi nel Testo Unico Maurizio Leo, Giuuffrè editore 2006 22 I redditi, invece, derivanti da attività di lavoro autonomo non esercitate abitualmente trovano la loro collocazione all’interno della categoria dei redditi diversi (art. 81, comma 1, lett. 1 del T.U.) 23 Il lavoro dipendente nel sistema delle imposte sui redditi, cfr. Francesco Crovato, CEDAM 24 In tale senso il Casanova in Impresa ed azienda, Torino 1974, afferma che essenziale al concetto di professionalità e la destinazione dell’attività a soddisfare bisogni altrui, al di fuori dell’ambito personale o familiare. Ancora “occorre che i beni siano prodotti per lo scambio, che l’imprenditore lavori per il mercato”. 25 Le imprese sui redditi nel Testo Unico, Maurizio Leo. Maurizio Leo, Giuuffrè editore 2006 26 La nozione di attività qualificata, in senso giuridico, è un insieme di atti di diritto privato coordinati o unificati sul piano funzionale dalle unicità dello scopo, Auletta , Voce “Attività” in Enciclopedia Dir. III Milano 1958. Secondo il Polano in Esercizio di impresa e di attività commerciale nell’Irpef. Profili generali, Sassari 1979, la definisce di attività va precisata e chiarita nel contesto normativa tributaria “l’attività tenuta presente dal legislatore tributario in tema di tassazione diretta, è nella realtà qualcosa che va oltre la suddetta definizione, poiché l’attività va intesa non solo come insieme di atti coordinati o unificati funzionalmente dalla unicità dello scopo, ma come ripetizione sistematica degli stessi atti o sequenza, considerabili unitariamente sia in relazione alla loro tipologia che in rapporto al soggetto agente, accezione questa che apre il discorso sulla professionalità e sull’organizzazione. 27 Anche secondo Fantozzi in Imprenditore ed impresa, il riferimento costante da parte del legislatore tributario della disciplina normativa all’esercizio dell’impresa commerciale quale si desume dal titolo e dalla formulazione degli art. 4 IVA e 51 IRPEF, svela il suo preminente interesse per l’aspetto oggettivo dell’attività più che quello soggettivo della forma giuridica in cui l’attività viene svolta. 28 Gli elementi patrimoniali e organizzativi sono a carico del datore di lavoro. 13 posta in essere con regolarità, stabilità e sistematicità. In difetto di questo elemento il reddito in esame costituirà un reddito diverso. Infatti l’art. 67, comma 1, lett.1, TUIR29, traccia la distinzione tra reddito di lavoro autonomo e reddito diverso in parola, proprio sulla base dell’elemento dell’abitualità. Il requisito dell’abitualità assume notevole importanza anche in relazione alla sottoposizione degli adempimenti previsti dalla disciplina dell’IVA. Infatti, l’abitualità è condizione necessaria per la qualificazione del requisito soggettivo di cui all’art. 5 del D.P.R. 633/72, ovvero vi è coincidenza tra la definizione di attività di lavoro autonomo ai fini delle imposte dirette e imposta sul valore aggiunto. Conseguentemente il lavoro autonomo occasionale non configurerà il presupposto impositivo ai fini dell’IVA. Possiamo, pertanto, concludere che il requisito dell’abitualità, forse più della professionalità, vale a distinguere nella legge tributaria i redditi di lavoro autonomo e d’impresa da quelli derivanti da attività aventi identico contenuto materiale ma occasionale. Nel contesto dell’art. 53 del D.P.R. n. 917 il termine abitualità assume sostanzialmente lo stesso significato di professionalità, poichè tale termine sta a significare che l’attività deve essere posta in essere con regolarità, stabilita e sistematicità30, questo porta ad affermare che l’utilizzazione da parte del legislatore tributario dell’aggettivo “abituale” con riferimento all’attività professionale, deve essere considerata un’endiadi rafforzativa. La necessità, però, di tenere distinte le due nozioni di abitualità e professionalità trova la sua giustificazione se si ha riguardo agli altri redditi di lavoro autonomo espressamente indicati nei commi 2 e 3 dell’art. 53 del D.P.R. n. 917. Pertanto, per i redditi tassativamente indicati nei commi 2 e 3 sembra illogico parlare di professionalità, mentre è innegabile che gli stessi debbano essere caratterizzati da un’attività posta in essere abitualmente. Possiamo concludere, quindi, che la professionalità implica necessariamente abitualità, mentre non è sempre vero il contrario. Tutte queste considerazioni ci aiutano a comprendere la distinzione che esiste tra redditi di lavoro autonomo abituale di cui all’art. 53 del D.P.R. n.917 e redditi di lavoro autonomo occasionali, disciplinati nell’art. 67 31 dello stesso decreto n. 917 alla lett. f. 29 “…..sono redditi diversi se non costituiscono redditi di capitale ovvero se non conseguiti nell’esercizio di arti e professioni o di impresa commerciale o da società in nome collettivo o in accomandita semplice, né in relazione alla qualità di lavoratore dipendente: i redditi derivanti da attività di lavoro autonomo non esercitate abitualmente o dalle assunzioni di obblighi di fare, non fare o permettere” comma 1, lett. 1, art. 67 del TUIR. 30 Le imposte sui redditi nel Testo Unico, Maurizio Leo Maurizio Leo, Giuuffrè editore 2006 31 Art. 67 del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917: “ sono redditi diversi se non costituiscono redditi di capitale ovvero se non sono conseguiti nell’esercizio di arti e professioni o di imprese commerciali o da 14 Inoltre, mentre l’abitualità, richiama e implica uno status e un comportamento costante, una situazione che non è estranea alla volontà del soggetto che svolge un’attività definita come abituale, l’occasionalità implica che la volontà esiste solo nel momento in cui il soggetto vuole che si produca un evento, la cui causa egli non ha provveduto a determinare. 1.6 Reddito di lavoro autonomo occasionale e reddito di lavoro autonomo abituale. Si definisce lavoro autonomo occasionale qualsiasi attività di lavoro caratterizzata dall'assenza di abitualità, professionalità, continuità e coordinazione. La disciplina del lavoro autonomo occasionale trova la propria regolamentazione generale nell'articolo 2222 del Codice civile. Ma, negli ultimi anni, si sono succeduti degli apporti normativi che hanno individuato delle fattispecie inquadrabili nel rapporto di lavoro autonomo occasionale: la Legge 14/02/2003 n. 30, il D. Lgs. n. 276/2003 attuativo della Legge Biagi, la circolare del Ministero del Lavoro n. 1 dell'8/01/2004 e le circolari Inps n. 9 del 22/01/2004 e n. 103 del 6/07/2004. Il lavoratore autonomo occasionale non è vincolato dal committente ad orari rigidi e predeterminati,come tutti i lavoratori autonomi e la sua attività va intesa non come strutturale all'interno del ciclo produttivo, ma solo come di supporto al raggiungimento di obiettivi momentanei del committente. Il lavoro autonomo occasionale non prevede obbligatoriamente un contratto scritto, nè il committente ha l'obbligo di applicare le regole sulla prevenzione degli infortuni o altre norme previste per gli altri lavoratori. Possiamo sintetizzare così le caratteristiche proprie del lavoro autonomo occasionale: autonomia del lavoratore circa il tempo e le modalità di esecuzione della prestazione; mancanza di un coordinamento con l'attività del committente, in quanto il lavoratore, non dovendo operare all'interno del ciclo produttivo dell'azienda, non deve necessariamente coordinare la propria prestazione con le esigenze organizzative del committente; carattere episodico dell'attività; società in nome collettivo e in accomandita semplice, né in relazione alla qualità di lavoratore dipendente…………” 15 mancanza dell'inserimento funzionale del lavoratore nell'organizzazione aziendale; mancanza del vincolo di subordinazione nei confronti del committente. 13 Il fondamento della distinzione e contrapposizione tra redditi di lavoro autonomo abituale, che viene definito professionale, e redditi di lavoro autonomo occasionale si trova nella legge, infatti: l'art. 77 IRPEF al primo comma statuisce che “ I redditi derivanti da attività commerciali o di lavoro autonomo non esercitabile abitualmente concorrono a formare il reddito complessivo per il periodo d'imposta in cui sono stati percepiti, al netto delle spese specificatamente inerenti alla loro produzione ”. Trattasi, quindi, di attività di lavoro che potrebbero essere svolte con continuità, ma per interesse di entrambe le parti (committente e prestatori di lavoro) vengono organizzate con episodicità e senza le modalità e garanzie che sono tipiche dei lavori svolti con continuità. Esempio ricorrente è quello dell'aggiustatore che provvede a svolgere attività di bricolage, come secondo lavoro; lo stesso si potrebbe dire degli studenti che si prestano a svolgere attività di procacciatori di vendita di libri per case editrici, i c. d. “dealers”, venditori casa per casa ecc. L'articolo suddetto, tratta una definizione estremamente sintetica, che in solo periodo racchiude sia l'individuazione degli elementi costitutivi della categoria o se si preferisce gli elementi della fonte produttiva del reddito, sia le regole di determinazione della base imponibile dei redditi appartenenti alla categoria stessa. Si deve supporre che il legislatore tributario non abbia sentito la necessità di fornire più precise indicazioni ai fini della individuazione della categoria di tali redditi, delimitati dal comune connotato di essere svolti in modo non abituale, dando altresì per scontata la loro natura reddituale coerentemente alla definizione di presupposto accolta per l'imposta sul reddito delle persone fisiche, qualunque accezione si voglia poi attribuire alla nozione di reddito accolta dall'art. 1 IRPEF(Reddito prodotto o reddito entrata ). L'art.1 IRPEF infatti testualmente sancisce che: “Presupposto della imposta sul reddito delle persone fisiche è il possesso di redditi, in denaro o in natura, continuativi od occasionali, provenienti da qualsiasi fonte”. Aggiungasi che, come per la categoria dei redditi di lavoro autonomo di cui al primo e al secondo comma dell'art. 53, anche per i redditi di lavoro autonomo occasionale, il legislatore ha dato una definizione in negativo. Da un punto di vista formale è inoltre facile constatare che rispetto alla formula che definisce i redditi di lavoro autonomo di cui all'art. 53, secondo comma, nell'art. 77 non è più menzionato il requisito della professionalità, che costituisce il criterio distintivo tra i due tipi di reddito. Dottrina e giurisprudenza, in passato prospettavano il problema dei redditi occasionali in una visuale molto 16 specifica, connessa con la possibilità di attribuire loro natura di reddito, dato che tale qualifica si poneva a volte di problematica attribuzione, proprio per le caratteristiche di episodicità e di istantaneità di tali fattispecie occasionali, i cui redditi sono sempre stati visti come ipotesi di reddito “residuali” ossia scaturenti da fonti di reddito minimali o riduttive dal punto di vista economico. Le attività produttive di reddito “occasionale” erano pertanto esaminate in passato più sotto il profilo della loro potenziale attitudine a creare nuova ricchezza e quindi reddito, piuttosto che essere esaminate per gli aspetti o problemi relativi alle modalità del loro manifestarsi, per il fatto che il reddito nel caso di specie fosse stato prodotto in modo occasionale. Con la riforma tributaria si è recepito più nettamente la distinzione, un problema è attribuire natura reddituale ad un provento, altro è, attribuire ad una determinata attività produttiva di reddito la qualità di occasionale in ragione di caratteri empirici come quello della abitualità, episodicità, che, trova riscontro proprio nei termini della formula definitoria di cui all'art. 1 IRPEF che definisce il presupposto dell'imposta. Il primo effetto di questa riorganizzazione della materia sarà, che i redditi occasionali in senso proprio, saranno solamente quei redditi che derivano da attività commerciali o di lavoro autonomo non esercitate abitualmente di cui all'art. 77, primo e secondo comma. Si ha motivo di ritenere che il fenomeno della produzione dei c.d. “redditi occasionali” rivesta ormai una importanza non “residuale” se collocato nell'ambito dell'intero prodotto nazionale lordo, e che tale fenomeno sia destinato ad espandersi essendo da un lato l'esito dell'attività di alcuni soggetti costretti ad assicurarsi il c.d. doppio lavoro, dall'altro lato essendo il risultato della condizione lavorativa di soggetti, i quali superata la soglia di reddito ritenuta soddisfacente, tenendo a liberare le proprie energie in altre attività, che pure sono produttive di reddito e quindi rilevanti sul piano tributario. Infine, la diversità tra la categoria dei redditi di lavoro autonomo occasionale e quella di redditi professionali trova riscontro anche sotto altro profilo, ossia le regole che presiedono alla determinazione della base imponibile e dell'accertamento. Salvo che per il principio di cassa che costituisce l'unico punto di contatto tra i due tipi di reddito, l'identità viene subito meno per quanto riguarda le spese da portare in deduzione. 17 1.7 Gli elementi distintivi del rapporto di lavoro autonomo Al termine di questo primo capitolo, e sulla base di quanto già esposti, possiamo, brevemente, delineare gli elementi distintivi del lavoro autonomo ai fini fiscali, che segnano il confine tra l’attività di lavoro autonomo, quella di lavoro subordinato e quella d’impresa: Autonomia: il soggetto svolge la propria attività senza alcun vincolo di subordinazione nei confronti del committente, avvalendosi di una propria organizzazione di lavoro e decidendone i tempi,l le modalità e i mezzi necessari per il compimento dell’opera; tale aspetto lo differenzia dal lavoro subordinato e parasubordinato; Professionalità e abitualità: si concretizzano quando il soggetto pone in essere atti e comportamenti coordinati tra loro, finalizzati verso uno scopo prestabilito, con sistematicità; tali caratteristiche lo differenziano dal lavoro autonomo occasionale; Non imprenditorialità: tale aspetto sussiste se prevale l’elemento personale rispetto al capitale e se l’attività svolta non può essere qualificata come attività d’impresa. 18 Capitolo secondo LA DETERMINAZIONE DEL REDDITO DI LAVORO AUTONOMO SOMMARIO: 2.1 La determinazione dei redditi di lavoro autonomo – 2.2 Il regime dei minimi – 2.3. I componenti positivi: i compensi – 2.4 I componenti negativi: le spese – 2.5 Le eccezioni al principio di cassa e inerenza – 2.6. La rilevanza delle plusvalenze e minusvalenze – 2.7 La cessione della clientela – 2.8 Le novità contenute nel Decreto Bersani - 2.9 Le novità contenute nella Finanziaria 2008 - 2.10 Ritenuta d’acconto – 2.11 Le scritture contabili - 2.12 Redditi di lavoro autonomo e IVA. – 2.13 Gli studi di settore per i lavoratori autonomi 2.1 La determinazione dei redditi di lavoro autonomo Il criterio generale per la determinazione del reddito di lavoro autonomo derivante dall’esercizio di arti e professioni è basato sul calcolo della differenza tra elementi attivi (costituiti dai compensi in denaro o in natura percepiti nel periodo d’imposta, anche sottoforma di partecipazioni agli utili) ed elementi passivi (costituiti dalle spese nello stesso periodo per l’esercizio dell’attività ), art. 54 del TUIR. In base a tale criterio un compenso e una spesa diventano, rispettivamente componenti positivo e negativo di un reddito in un determinato periodo, solo se il compenso è stato effettivamente incassato e la spesa realmente pagato in tale periodo. Questo articolo è stato integrato con i commi 1-bis, 1 ter e 1 quarter dal D.L. 223/06 (Decreto Bersani) ed è in vigore dal 4 luglio 2006. La Legge Finanziaria 2007 ( L. n. 296/2006), ha altresì, introdotto il comma 1 bis 1 in materia di rilevanza delle minusvalenze. In particolare, i commi da 1 a 6 bis, si occupano della determinazione dei redditi di lavoro autonomo “strictu sensu”, mentre il comma 8 si occupa della determinazione dei redditi della fattispecie assimilate. I termini utilizzati (compensi percepiti, spese sostenute) evidenziano che per la determinazione di questa categoria di reddito vale il principio di cassa32, che ha sostituito il 32 anche se si registrano alcune deroghe tra le quali si segnalano le deducibilità degli ammortamenti, dei canoni di leasing immobiliare nonché degli accantonamenti per trattamento di fine rapporto del personale dipendente 19 criterio d’imputazione per competenza dei redditi in questione affermato, prima della riforma tributaria, nell’art. 115 del T.U. 29 gennaio 1958, n. 64533. L’adozione a partire dal I gennaio 1974, del principio di cassa è stata criticata a causa di un presunto effetto distorsivo nella ipotesi di percezione del reddito con ritardo rispetto alla sua maturazione e degli scompensi dovuti al diverso peso fiscale subito dal reddito in relazione all’applicazione delle aliquota progressiva34. Infine, va ricordato che, in base al disposto dell’art. 8 del TUIR, qualora in un anno vengono sostenuti solo costi, quindi le spese sono superiori agli elementi attivi, il risultato negativo ha rilievo solo nella misura in cui trovi compensazione, nell’ambito del reddito complessivo, con i redditi di altre categorie eventualmente posseduti dal soggetto, ma eventuale eccedenza negativa che supera il reddito complessivo del periodo non può essere riportata in diminuzione del reddito nei periodo d’imposta successivo. Correlativamente, allorchè, saranno conseguiti i compensi, questi parteciperanno nella loro interezza a formare il reddito di lavoro autonomo del periodo d’imposta della percezione anche se i relativi costi non abbiano trovato deduzione in precedenza per incapienza in sede di determinazione del reddito di lavoro autonomo o in sede di compensazione nell’ambito del reddito complessivo dell’anno del loro sostenimento35 . Tuttavia, secondo alcuni Autori, il principio di cassa, può essere, derogato in particolari ipotesi, e precisamente: a) nella deduzione per quote del costo dei beni strumentali e delle spese di ammodernamento, ristrutturazione e manutenzione straordinaria degli immobili utilizzati nell’esercizio dell’arte e professione36; b) nella deduzione per competenza e non per cassa di canoni di locazione finanziaria pagata dall’esercente arti e professioni; c) nella deduzione delle indennità di fine rapporto del dipendente professionista in base alla quota maturata nell’anno, anche se non corrisposta, così come stabilisce l’art. 53, comma 6 del TUIR; 33 In tal senso: Manuale di Diritto Tributario, Gaspare Falsitta Le imposte sui redditi del Testo Unico, Maurizio Leo, Giuffrè Editore, Il sistema tributario italiano, Luigi Ferlazzo Natoli, Editore G. Giappichelli 34 A tal riguardo si ripete quanto affermato nella relazione ministeriale al D.P.R. n. 597 35 Le imposte sui redditi nel Testo Unico, Maurizio Leo, Il sistema tributario in Lineamenti di Diritto Tributario, Luigi Ferlazzo Natoli 36 Viene così rispettato il principio di competenza proprio delle imprese e non si deduce in base al corrispettivo pagato. 20 d) nella deduzione in base alla quota maturata nell’anno di indennità per cessazione di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa eventualmente intrattenuti con il professionista, così come stabilisce l’art. 53 comma 6 del TUIR.37 2.2. Il regime dei minimi Rientrano nel regime dei contribuenti minimi i lavoratori autonomi e le persone fisiche residenti nel territorio dello Stato che nell’anno solare precedente hanno conseguito compensi in misura non superiore a 30.000 euro. Il regime fiscale agevolato per i contribuenti cosiddetti “minimi”, introdotto a partire dal 1° gennaio 2008, in linea massima, prevede l’applicazione una imposta sostitutiva dell’imposta sui redditi e delle addizionali regionali e comunali pari al 20%. I contribuenti che iniziano una attività di lavoro autonomo e presumono di rispettare i requisiti previsti per l’applicazione del regime in esame, devono comunicarlo nella dichiarazione di inizio attività (modello AA9/9), barrando l’apposita casella nel quadro B. In caso di inizio attività in corso d’anno, il limite di 30.000 euro di ricavi o compensi deve essere ragguagliato all’anno. Sono esclusi i soggetti non residenti che svolgono l’attività nel territorio dello Stato e coloro che si avvalgono di regimi speciali di determinazione dell’Iva. I compensi rilevanti sono quelli richiamati nei precedenti paragrafi in riferimento al regime ordinario. Riguardo agli acquisti di beni strumentali, il limite va riferito all’intero triennio precedente e non ragguagliato ad anno. All’importo di 15.000 euro occorre far riferimento, pertanto, anche nell’eventualità che l’attività sia iniziata da meno di tre anni. Il valore dei beni strumentali cui far riferimento è costituito dall’ammontare dei corrispettivi relativi alle operazioni di acquisto effettuate anche presso soggetti non titolati di partita Iva. 2.3 I componenti positivi: i compensi Il reddito di lavoro autonomo si determina effettuando la differenza tra i componenti positivi (o elementi attivi) e le spese inerenti l’esercizio dell’attività38 ( o elementi passivi). Per componenti positivi (o elementi attivi ) si fa riferimento alle somme corrisposte dal committente all’artista o professionista per la sua prestazione di lavoro (usualmente denominati come onorari, tariffe, compensi, ecc.) al netto dell’Iva. In particolare, sono compresi i compensi in 37 38 Le imposte sui redditi del Testo Unico, Maurizio Leo, Giuffrè Editore Il criterio di valutazione dei compensi in natura è quello del “valore normale” di cui all’art. 9 del T.U. 21 denaro39, in natura ( per i quali si applicherà il criterio generale di cui all’art. 9 del TUIR), le partecipazioni agli utili, i compensi derivanti da rapporti di collaborazione coordinata e continuativa che imputano lo svolgimento di attività rientranti nell’oggetto proprio dell’attività professionale o artistica esercitata40. Sono da considerarsi, inoltre, inclusi nel reddito di lavoro autonomo, in applicazione del principio generale formulato nell’art. 6 del TUIR, i proventi ottenuti in sostituzione dei compensi professionali, sia in ragione della cessione a terzi dei relativi crediti, sia per le indennità risarcitorie anche di carattere assicurativo41. Sotto tale profilo, assume dunque, rilevanza reddituale anche il risarcimento del lucro cessante conseguentemente alla eventuale perdita di un reddito professionale e/o degli interessi moratori o delle rivalutazioni monetarie42. I compensi sono computati al netto dei contributi previdenziali e assistenziali integrativi che vengono addebitati dal professionista al cliente. Pertanto, sul loro ammontare, non va effettuata nessuna ritenuta, né concorrono alla formazione del reddito di lavoro autonomo in quanto vengono considerati dalla legge come ipotesi di rimborso43. Con riferimento ai rimborsi spese è necessario puntualizzar eche esistono due diverse tipologie di rimborsi spese: 1. i rimborsi spese propriamente detti, ad esempio rimborso delle spese di viaggio, che rientrano nel reddito professionale e vengono considerati alla stregua di compensi; 2. i rimborsi spese anticipate in nome e per conto del cliente e indicati separatamente in fattura, ad esempio imposte pagate dal professionista per conto del cliente che non entrano a far parte del reddito del professionista che ha effettuato l’anticipazione e quindi su tali rimborsi non deve essere applicata l’Iva, né deve essere operata la ritenuta d’acconto. 2.4 I componenti negativi: le spese Quanto alle componenti negative, il primo requisito generale è quello dell’inerenza, cioè la spesa deve essere effettuata nell’esercizio dell’arte e delle professione; il secondo requisito e la deducibilità della spesa sostenuta sempre nell’esercizio dell’arte professione secondo il principio di 39 Con esclusione dei rimborsi relativi a spese, analiticamente documentate, anticipate per conto del cliente, come ad esempio i rimborsi dei pagamenti di tasse, carte bollate, diritti di cancellazione,ecc.. 40 Cfr. Il Diritto Tributario, di Augusto Fantozzi, Edizione UTET, Diritto Tributario, di Raffele Lupi, Manuale di Diritto Tributario, di Pasquale Russo,Giuffrè Editore 41 Il sistema tributario, di Pietro Boria, Edizione UTET 42 Cfr. Cass. 4.2.1998 n. 1118, in Rivista di diritto tributario, 1998, II 733, con nota di Ficari, A proposito della tassazione degli interessi e delle rivalutazioni monetarie nella collaborazione coordinata e continuativa. 43 Le imposte sui redditi nel Testo Unico, Maurizio Leo, Giuffrè editore 2006 22 cassa, ossia nel periodo d’imposta in cui avviene il pagamento e infine, deve essere “documentata” in modo tale da essere esattamente riferibile al lavoratore che l’ha sostenuta.44. Ne consegue, quindi, che le spese, invece, riconducibili alla sfera privata o familiare del lavoratore autonomo non sono computabili in diminuzione del reddito. Pertanto, è necessario individuare la linea di confine tra le spese di carattere personale e le spese sostenute per lo svolgimento dell’attività professionale. Si tratta di un analisi che spesso è affidata a parametri labili di giudizio, così al fine di limitare complesse controversie sull’inerenza delle spese, al comma 3 dell’art. 54 del TUIR si è previsto che i costi relativi a beni e servizi adibiti promiscuamente all’uso professionale e personale siano deducibili nella misura del 50%. 2.5 Le eccezioni al principio di cassa e di inerenza Dalla lettura dell’art. 54 si rileva il principio secondo cui i componenti di reddito che ricadono sotto il concetto di spesa si determinano con il principio di cassa, mentre per i costi di acquisto dei beni strumentali la deducibilità è regolata dal principio di competenza. Allo scopo di meglio individuare il reddito da tassare, il legislatore ha previsto diversi criteri di deducibilità a secondo che i beni impiegati siano utilizzati esclusivamente nell’esercizio di arte o professione o siano usati promiscuamente. Nei commi da 2 a 6 dell’art. 54 del TUIR sono poste alcune eccezioni al principio di cassa e al principio di inerenza che abbiamo visto essere i canoni generali per la determinazione del reddito “de quo”.Pertanto dopo aver descritto i criteri generali per la deducibilità delle spese, procediamo all’analisi delle limitazioni e delle deroghe disciplinate dall’articolo 54 del Testo Unico delle Imposte sui Redditi: a) per i costi pluriennali, vige il principio di competenza. Il costo dei beni mobili e dei beni immateriali45 è deducibile mediante quote annuali di ammortamento46, con l’applicazione degli stessi coefficienti previsti per l’ammortamento ordinario dei beni delle imprese. b) Un’altra particolare regola riguarda il leasing di beni mobili strumentali (ad esempio automobile) i canoni sono ammessi in deduzione nell’anno in cui maturano secondo il principio di competenza economica, ed a condizione che la durata del contratto non sia inferiore alla metà del periodo di ammortamento e comunque non inferiore a otto anni e non superiore a quindici. 44 Secondo Benedetto Santacroce, in Lineamenti. 45 Ad esempio, computer , softwear, arredamento 46 Prescindendo quindi, dal momento in cui viene pagato l’acquisto 23 c) I compensi corrisposti ai familiari in base a prestazioni di lavoro autonomo o occasionali sono considerati costi non deducibili, con una tipica disposizione di contenuto antielusivo, poiché si ritiene che tali prestazioni possono servire a dissimulare un’attività inesistenti al fine di spostare la tassazione su soggetti con aliquote progressive inferiori47. Tali compensi, per simmetria fiscale, non costituiscono reddito per chi li percepisce. d) Particolare importanza riveste il 3° comma, in base al quale le spese relative all’acquisto di beni mobili, diversi da quelli indicati nel 2° comma, adibiti promiscuamente all’esercizio dell’arte e professione e all’uso personale o familiare del contribuente sono ammortizzabili o deducibili, se il costo unitario non è inferiore al euro 516,16, nella misura del 50%; nella stessa misura sono deducibili i canoni di locazione, anche finanziaria, e di noleggio e le spese relative all’impiego di tali beni. e) Contributi previdenziali: l’ammontare dei contributi previdenziali ed assistenziali previsti per legge a carico del cliente non costituisce reddito per il professionista; non andrà quindi compreso nei compensi annuali percepiti. f) Telefonia mobile e fissa. g) Autoveicoli. h) Spese per alberghi e ristoranti: sono costituite da fatture e ricevute fiscali per soggiorni in albergo e somministrazione di alimenti e bevande nei pubblici esercizi. Tali spese sono deducibili per un importo non superiore al 2% dei compensi percepiti nel periodo d’imposta (art. 54, comma 5 D.P.R. 917/86). Il professionista con compensi annuali pari a 30.000 euro può dedurre fino ad un massimo di 600,00 euro per alberghi e ristoranti. A partire dal 1 settembre 2008 (circolare Agenzia delle Entrate 53E del 05.09.2008) è stata ammessa la detraibilità integrale dell’Iva su servizi alberghieri e di ristorazione, risulta quindi soppressa la limitazione al diritto di detrazione dell’Iva (art. 19 bis 1, comma 1, lettera e del D.P.R. 633/1972). Pertanto, una volta verificata la sussistenza dell’inerenza della spesa, l’imposta assolta sulle prestazioni alberghiere e sulle somministrazioni di alimenti e bevande diviene detraibile senza le precedenti limitazioni. Dal 1 gennaio 2009 però sarà ammessa deducibilità parziale dei costi sostenuti per servizi alberghi e ristorazione relativamente alle imposte sui redditi. La modifica adegua la normativa nazionale a quella comunitaria, dopo che la Commissione Ue ha avviato nei confronti dell’Italia 47 Cfr. Lollio, La rilevanza fiscale della collaborazione del coniuge ai fini dell’imposizione diretta, in Rivista tributaria, 1994, II, 193 ss. 24 una procedura di infrazione, per tentare dia arginare la perdita di gettito, il diritto alla detrazione Iva è stato accompagnato dalla riduzione della deducibilità di costi relativi alle prestazioni di vitto e alloggio ai fini delle imposte dirette, previsto ora nella misura del 75%. i) Spese di rappresentanza: è difficile dare una corretta definizione del termine spese di rappresentanza. Secondo l’Associazione Dottori Commercialisti di Milano le spese di rappresentanza hanno la stessa natura delle spese di pubblicità e di propaganda, spese promozionali, ma possiedono anche caratteristiche, più o meno marcate, di liberalità o di autoconsumo. Le spese di rappresentanza sono deducibili per un importo non superiore all’1% dell’ammontare dei compensi percepiti nel periodo d’imposta(art. 54, comma 5 del D.P.R. 917/86). Il professionista con compensi annuali pari al 30.000 euro può dedurre fino ad un massimo di 300,00 euro per spese di rappresentanza. l) spese per convegni, congressi, corsi di aggiornamento professionale; tali spese sono deducibili nella misura del 50% del loro ammontare. Si includono anche le spese sostenute per viaggio e soggiorno. 2.6. La rilevanza delle plusvalenze e minusvalenze Al comma 1 ter, dell’art. 54, (aggiunto dal D.L. 223/06) si specifica che, così come previsto per le imprese, si considerano plusvalenze o minusvalenze la differenza, positiva o negativa, tra il corrispettivo o l’indennità percepiti e il costo non ammortizzato ovvero in assenza di corrispettivo, la differenza tra il valore normale del bene e il costo non ammortizzato. Con il D.L. 223/2006 è stato inserito il comma 1 bis all’art. 54, poi modificato dalla Finanziaria 2007 (L. 296/2006), che estende anche ai professionisti alcune regole proprie del reddito d’impresa, stabilendo che “concorrono a formare il reddito le plusvalenze (vicende incrementative) le minusvalenze (vicende diminutive) dei beni strumentali, esclusi sia gli oggetti d’arte, che quelli di antiquariato o da collezione48 se: a) sono realizzate mediante cessione a titolo oneroso; b) sono realizzate mediante il risarcimento, anche in forma assicurativa, per la perdita o il danneggiamento di beni; 48 Per la definizione di oggetti d’arte, di antiquariato o da collezione, occorre riferirsi al D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, ed in particolare alla tabella allegata al D.L. 23 febbraio 1995, n. 41, conv. Con modif. con L. 22 marzo 1995, n. 85, che, all’art. 36, disciplina il regime del margine sui beni usati. 25 c) i beni vengono destinati al consumo personale o familiare dell’esercente l’arte e l professione o a finalità estranee all’arte o professione49 (generano solo plusvalenze non minusvalenze). Con la finanziaria 2007 ( L. 296/2006), che ha introdotto il comma 1 bis 1 all’art. 54 TUIR, le minusvalenze dei beni strumentali sono deducibili solo se realizzate mediante cessione a titolo oneroso o mediante risarcimento, anche in forma assicurativa, per la perdita o il danneggiamento dei beni. Conseguentemente, non rileveremo le minusvalenze derivanti dai beni strumentali destinati al consumo personale o a finalità estranee all’arte o alle professione. Evidente asimmetria nella disciplina fiscale delle minusvalenze dei beni strumentali rispetto a quelle delle plusvalenze, giacchè le plusvalenze sono tassate anche in caso di autoconsumo, mentre le minusvalenze sono, in ipotesi di autoconsumo o destinazione a finalità estranee all’esercizio dell’arte o professione, fiscalmente irrilevanti. La nuova disposizione sulla rilevanza delle minusvalenze entra in vigore il 1 gennaio 2007 ( art. 1, comma 1364, L.F. 2007). Prima della modifica della legge finanziaria 2007 la circolare dell’Agenzia delle Entrate 4 agosto 2006, n. 28/e considerava non rilevante le plusvalenze e le minusvalenze derivanti dal realizzo di beni il cui costo d’acquisto non è ammortizzabile, quali gli immobili e gli oggetti d’arte, di antiquariato o da collezione. La norma che disciplina la rilevanza delle plusvalenze e delle minusvalenze non esclude gli immobili ma solo gli oggetti d’arte, di antiquariato o da collezione, pertanto deve escludersi per la rilevanza degli immobili ai fini del calcolo delle plusvalenze o minusvalenze. E’ opportuno ricordare, infatti, che per tutti gli immobili strumentali all’esercizio dell’arte o professione50 il 2° comma dell’art. 54 del TUIR esclude espressamente la possibilità di un ammortamento del loro costo d’acquisto51, consentendo, soltanto per gli immobili strumentali 49 In tutte queste ipotesi si verificano, difatti, una fuori uscita del bene strumentale dall’ambito dell’attività di lavoro autonomo, dopo che proprio il suo ingresso in tale ambito ne ha consentito la deduzione fiscale del relativo costo 50 Ai sensi dell’art. 43 del TUIR “non si considerano produttivi di reddito fondiario gli immobili(…) che costituiscono beni strumentali per l’esercizio di arti e professioni” e che, in forza del 2° comma del medesimo articolo “ai fini delle imposte sui redditi si considerano strumentali gli immobili utilizzati esclusivamente per l’esercizio dell’arte o professione(…)”. 51 “Tale esclusione - secondo F. Crovato in Il nuovo regime degli immobili professionali tra strumentalità e utilizzazione prevista - è giustificata dal fatto che “gli immobili strumentali dei professionisti sono difficilmente sottoposti a quel logorio e a quel deprezzamento che giustifica la deduzione di quote di ammortamento. Consente, perciò, di un bene che di solito non si deprezza affatto, senza tassare le plusvalenze, vorrebbe dire scomputare dal reddito di lavoro autonomo il costo di un investimento personale. L’immobile non costituisce, infatti, solo un bene strumentale per l’esercizio della professione, ma anche una forma di investimento patrimoniale. Deducendo l’ammortamento di un immobile, il professionista metterebbe quindi a carico dello Stato un futuro incremento del suo patrimonio personale. 26 utilizzati in base ad un contratto di locazione finanziaria, la deduzione di un importo comunque pari alla rendita catastale. Il Legislatore, però, non si è preoccupato di prevedere la decorrenza di questa nuova disciplina e, in particolare,se la stessa fosse applicabile anche ai beni ammortizzabili già in possesso dei lavoratori autonomi al momento dell’entrata in vigore della norma. In altri termini, sussiste il dubbio se i beni ammortizzabili nei periodi di imposta precedenti al 2006 siano o meno plusvalenti 2.7 La cessione della clientela Nell’ultimo dei commi aggiunti all’art. 54 del TUIR del D.L. Bersani, ovvero l’1 quarter, stabilisce anche alcune nuove disposizioni in materia di cessione della clientela da parte dei professionisti. Concorrono a formare il reddito i corrispettivi percepiti a seguito delle cessioni della clientela o di elementi immateriali (come ad esempio il marchio) comunque riferibili all’attività artistica o professionale. Precedentemente si riteneva, in assenza di una disposizione espressa, che la cessione di clientela da parte del professionista configurerebbe una fattispecie contrattuale atipica che non poteva essere assimilata ad una cessione di un bene immateriale di natura patrimoniale, alla stregua di quanto avveniva per l’avviamento commerciale nell’ipotesi di cessione di azienda. L’Agenzia delle Entrate, con la Risoluzione del 29 marzo 2002 n. 108, aveva affrontato il caso della cessione di clientela con impegno da parte del cedente a favorire la prosecuzione del rapporto tra i suoi vecchi clienti e l’acquirente. L’Agenzia aveva precisato che il corrispettivo percepito dal professionista: - costituiva reddito tassabile ai sensi dell’art. 67, comma 1, lett. 1) del TUIR , in quanto derivante dall’assunzione di obblighi di fare, non fare o permettere di fare; - doveva essere tassato sulla base delle aliquote per scaglioni di cui all’art. 13 del TUIR; - rientrava nell’ambito di applicazione dell’IVA, ai sensi dell’art. 3 del D.P.R. n. 633/1972. Il soggetto subentrante, a sua volta, poteva dedurre dal proprio reddito imponibile il costo sostenuto per l’acquisizione della nuova clientela, in quanto inerente all’esercizio dell’attività professionale. Anche in quest’ambito il D.L. 223/06 ha inserito rilevanti novità. Infatti, per effetto delle citate modifiche, i corrispettivi percepiti per la cessione della clientela concorrono a formare il reddito dal professionista. Altresì, con l’introduzione della nuova lettera g-ter, del comma 1, 27 dell’art. 17 del TUIR, inserita dal sopra citato comma 29, si prevede la possibilità per il contribuente di assoggettare tali importi a tassazione separata, se detti corrispettivi vengono percepiti in un’unica soluzione52.L’aggiunta di questo comma risolve l’ennesima disputa relativa all’inquadramento tributario della somma corrisposta al professionista per la cessione dello studio professionale. Con questa espressione si fa riferimento a tutte le fattispecie che nel caso concreto possono verificarsi, quindi non solo all’ipotesi in cui la cessione riguardi effettivamente l’intero studio professionale53 con cessione dell’attività e chiusura della partiva IVA, ma anche nell’optesi di cessione di un ramo dell’attività professionale svolta e della relativa clientela, come proseguimento dell’attività professionale da parte del cedente di un altro settore o in un altro luogo e con altri clienti. Rientra anche la cessione del marchio attraverso cui un professionista, chiaramente affermato e rinomato, si obbliga a permettere ad un altro professionista l’utilizzo del proprio marchio, del proprio nome, del segno grafico identificativo, affinché lo studio del professionista acquirente possa apparire, nei confronti dei clienti, come uno studio associato o, in ogni caso, collegato allo studio del professionista, titolare del marchio, fruendo, in tal modo del buon nome di quest’ultimo con possibilità, così, di accrescere la propria capacità reddittuale. 2.8 Le novità contenute nel Decreto Bersani. La disciplina fiscale del reddito di lavoro autonomo, dopo le ultime modifiche normative, precedentemente menzionate, tende ad avvicinarsi sempre più a quella del reddito d'impresa. Le principali novità in tema di determinazione del reddito di lavoro autonomo, sono state introdotte nell'estate 2006 dal Decreto Bersani, ovvero il D. L. 4 luglio 2006, n. 223, modificato con L. 4 agosto 2006, n. 248, che è intervenuto sui seguenti aspetti: - la concorrenza di plusvalenze e minusvalenze <<realizzate>> alla determinazione del reddito di artisti e professionisti, elemento di reddito, questo, mai contemplato dal Legislatore nell'ambito del reddito di lavoro autonomo sin dalla riforma del 1971; - la facoltà di dedurre oneri inerenti agli immobili utilizzati nell'esercizio di arte e professione- ammortamenti o canoni di leasing- a condizione di acquisire i predetti nel triennio 2007 – 2009; 52 Il sistema tributario, di Pietro Boria, edizione UTET Quale insieme di mezzi strumentali, dei rapporti giuridici di cui è titolare il professionista e dei rapporti non giuridici con la clientela. 53 28 - la sussistenza di un limite percentuale per la deduzione delle spese di manutenzione degli immobili che non siano state portate ad incremento del costo dei medesimi; - la sussistenza di presupposto d'imposta per il reddito derivante dalla cessione della clientela del lavoratore autonomo; - una nuova modalità di addebito dei rimborsi di spese ai committenti dell' artista o professionista. Una linea comune che contraddistingue le predette novità è quella che porta, sempre più, la determinazione del reddito di lavoro autonomo ad avvicinarsi a quella del reddito d'impresa, facendo concorrere alla formazione del reddito anche elementi che nulla hanno a che fare con l'esercizio di arti o professioni – le plusvalenze e le minusvalenze – e di utilizzare sempre più il criterio di competenza in luogo di quello di “cassa” che contraddistingue appunto questa categoria di reddito. Inoltre, seguendo questo percorso, il Legislatore ha notevolmente ampliato la portata della norma che disciplina la determinazione del reddito di lavoro – art. 54, TUIRrendendo la stessa di più difficile interpretazione rispetto al previgente art. 50. L'impressione che se ne ritrae è quella di un Legislatore che, particolarmente attento alla disciplina del reddito de quo inserendo in maniera frammentaria nuove disposizioni senza procedere ad un coordinamento delle stesse. 2.9 Le novità contenute nella finanziaria 2008 La Finanziaria 2008 non prevede particolari novità nel criterio di determinazione del reddito di lavoro autonomo, salvo per quanto concerne la disciplina delle perdite. I co. 29 e 30, art. 1, Finanziaria 2008, riportano, dal 1° gennaio 2008, il regime della compensabiltà delle perdite fiscali al sistema previgente, ovverosia la recuperabilità delle stesse dalle altre categorie di reddito. Nel periodo 2006 e 2007, succedeva che,in caso di incapienza nell'ambito del periodo d'imposta, era consentito il riporto a nuovo quinquennale, da utilizzarsi sempre all'interno della stessa categoria di reddito. Il problema che oggi si pone, attiene alla sorte delle perdite 2006 e 2007 rinviate e non ancora riassorbite54. 29 2.10 Ritenuta d’acconto Per i redditi di lavoro autonomo l’art. 25 del D.P.R. 600/1973 prevede una ritenuta alla fonte a titolo d’acconto. La ratio di questa applicazione risponde alle esigenze di anticipazione del prelievo fiscale agevolmente perseguibile attraverso lo strumento della ritenuta fiscale, considerata la tendenziale capienza dei proventi incassati rispetto al reddito imponibile. Da questo punto di vista possiamo rilevare l’assonanza concettuale dei redditi di lavoro autonomo con i redditi di lavoro dipendente, diversamente da quanto accade per i redditi d’impresa. Affinché si verifichino i presupposti per l’applicazione di tale ritenuta devono sussistere tre condizioni, due soggettive ed una oggettiva: dal punto di vista soggettivo è importante la veste giuridica del soggetto erogante e di quello percepiente, mentre dal punto di vista oggettivo assume importanza il tipo di compenso percepito. Le somme trattenute possono costituire l’imposta definitiva per certi redditi (ritenute sugli interessi del conto corrente bancario) mentre per altri, come nel caso dei lavoratori autonomi, possono rappresentare un acconto rispetto alle imposte che verranno pagate successivamente secondo altre modalità. Il professionista nell’esercizio della sua attività può trovarsi ad assumere contemporaneamente la veste di soggetto obbligato ad effettuare la ritenuta e di soggetto che subisce la ritenuta. Ritenute subite: i compensi di lavoro autonomo o professionali sono fra quelli che la legge assoggetta a ritenuta, se e quando derivano da prestazioni rese a favore di determinati soggetti (sostituto d’imposta). L’elemento soggettivo è determinante in quanto è la legge stessa che indica le persone e gli enti obbligati a trattenere una somma a titolo di ritenuta. Ad esempio il professionista che annovera fra la sua clientela esclusivamente persone fisiche che provvedono direttamente al pagamento, non subisce dalle stesse alcuna ritenuta in quanto queste non rivestono mai la qualifica di sostituti di imposta. L’aliquota della ritenuta di acconto da effettuare nei confronti dei professionisti è apri al 20%, tale percentuale viene calcolata sull’importo dell’onorario ed evidenziata nella parcella. Il professionista riceverà dal sostituto d’imposta, entro il 28 febbraio dell’anno successivo a quello del pagamento della prestazione, un documento denominato “Certificazione dei compensi assoggettati a ritenuta d’acconto” nel quale verranno riepilogate le somme assoggettate a ritenuta e le ritenute effettuate e versate. Il totale delle ritenute d’acconto subite costituisce l’ammontare di Irpef già pagata dal professionista. Ritenute effettuate: il professionista oltre ad essere soggetto a ritenuta da parte di alcune categorie di clienti, assume la qualifica di sostituto di imposta e quindi di soggetto obbligato a trattenere somme a titolo di imposta, nei confronti dei lavoratori autonomi che gli hanno reso una 54 Guida alla Contabilità & Bilancio, n. 10 del 27 maggio 2008 30 prestazione. Gli adempimenti che seguono a tale obbligo sono essenzialmente tre: il versamento della ritenuta, la certificazione e infine la dichiarazione riepilogativa (770) da inviare all’Amministrazione Finanziaria. Il versamento deve avvenire entro il 16 del mese successivo al pagamento della fattura, mediante il modello F24. La certificazione, o più precisamente la “Certificazione dei redditi soggetti a ritenuta”, rappresenta il documento con il quale il sostituto d’imposta certifica i compensi erogati e le ritenute effettuate in capo ad un soggetto per l’intero anno. Tale documento va consegnato al soggetto interessato entro il 28 febbraio dell’anno successivo al quale i compensi e le ritenute si riferiscono. La dichiarazione riepilogativa dei sostituiti d’imposta o modello 770, va presentata all’Amministrazione Finanziaria entro il 31 marzo dell’anno successivo al quale i compensi e le ritenute si riferiscono nel caso del modello semplificato ed entro il 31 luglio nel caso di modello ordinario. I contribuenti, invece, rientranti nel regime delle nuove iniziative imprenditoriali sono esonerati dalla ritenuta d’acconto. Il professionista agevolato dovrà rilasciare al sostituto apposita dichiarazione da cui risulti che i redditi sono soggetti all’imposta sostitutiva del 10% e all’interno delle fatture emesse dovrà riportare la dicitura “non soggetto a ritenuta di acconto ai sensi dell’art.13 della 2000.Leffe 388. Chi deve effettuare le ritenute: i soggetti obbligati all’applicazione delle ritenute sui redditi di lavoro autonomo corrisposti sono: le società di capitali residenti nel territorio dello Stato, gli enti pubblici e privati diversi dalle società, che abbiano o meno per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciale, compresi i consorzi, le associazioni non riconosciute, le società di persone e gli enti equiparati; le persone fisiche che esercitano attività d’impresa o arte e professione; i Gruppi Europei di Interesse Economico; le società ed enti di qualsiasi tipo, con o senza personalità giuridica, non residenti nel territorio dello Stato; le imprese agricole; il condominio; i curatori fallimentari; le amministrazioni dello Stato e gli enti pubblici; i trust; le aziende coniugali. Redditi soggetti a ritenuta: sono soggetti alla ritenuta i compensi per prestazioni di lavoro autonomo corrisposti a qualunque titolo: per prestazioni di lavoro autonomo anche occasionale, ed anche sottoforma di partecipazioni agli utili; per l’assunzione di obblighi di fare, non fare o permettere di fare; 31 sugli utili derivanti da contratti di associazione in partecipazione, quando l’apporto dell’associato è costituito esclusivamente dalle prestazione di lavoro; sugli utili spettanti ai promotori e ai soci fondatori di società per azioni, in accomandita per azioni e a responsabilità limitata; sui redditi derivanti dalla cessione di diritti d’autore da parte dello stesso autore; sui diritti d’autore per opere d’ingegno, ceduti da persone fisiche non imprenditori o professionisti che le hanno acquistate. Sono esclusi dall’applicazione della ritenuta i compensi di importo inferiore a 25,82 euro corrisposti dagli enti pubblici e privati, non aventi ad oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciale, per prestazioni di lavoro autonomo occasionale. 2.11 Le scritture contabili L’art. 19 del D.P.R. 600/1073 stabilisce che per la determinazione del reddito di lavoro autonomo il soggetto passivo è obbligato alla tenuta di una contabilità, dalla quale devono risultare i compensi ricevuti e le spese sostenute nell’esercizio dell’attività55. Le singole operazioni devono essere annotate su appositi registri, sui quali occorre annotare le generalità del cliente o del fornitore e l’importo della ritenuta d’acconto subita.. A questo fine e in linea di principio vengono adottati i registri prescritti dalla normativa IVA, ossia registro degli acquisti e registro delle vendite o dei compensi. Tuttavia, al professionista è consentito, in sostituzione dei registri delle operazioni attive e passive ai fini IVA, l’adozione di registri distinti per incassi e per pagamenti, purchè questi abbiano gli stessi requisiti di forma e sostanza previsti per entrambi i tributi. Sarà necessario, però, annotare se gli importi sono imputabili ad un periodo diverso da quello in cui si è fatta l’annotazione ai fini IVA, considerando che la determinazione del reddito di lavoro autonomo avviene secondo il principio di cassa ( non sempre coincidente con il momento di rilevanza temporale delle operazioni IVA). 2.12 Redditi di lavoro autonomo e IVA L’Iva è un’imposta sui consumi in quanto colpisce l’utilizzazione finale di un bene o di un servizio, si applica, infatti, alla cessione di beni e prestazioni di servizi effettuate nel territorio dello Stato, nell’esercizio d’impresa, arte o professione e sulle importazioni da chiunque effettuate. Da ciò nasce anche la definizione di “valore aggiunto”; infatti per un professionista vi è la possibilità 55 Questo obbligo è previsto solo dalla disciplina fiscale e non quella civilistica. 32 di dedurre, dall’Iva incassata dai propri clienti, quella versata ai propri fornitori e pertanto solo sulla differenza di valore viene versata imposta allo Stato. Con riferimento alle specifiche modalità di espletamento, l’attività è rilevante se svolta per professione56 abituale anche se non esclusiva, il riferimento è a una delle attività indicate negli articoli 2195 e 2135 del c.c., posto che tale attribuzione al soggetto della qualifica relativa al tipo di prestazioni rese implica la sussistenza nell’attività dei requisiti dell’effettività e della durata, intendendosi quest’ultima non come continuità ma come reperibilità nel tempo, anche se ad intervalli, di prestazioni del medesimo tipo. Restano, quindi, estranee alla sfera di applicabilità del tributo quelle prestazioni che: non costituiscono estrinsecazioni dell’attività esercitata, ma si ritiene che il professionista e l’artista possano essere assoggettati ad imposta anche per qualsiasi altra attività di lavoro autonomo prestata occasionalmente anche se questa non rientra nell’attività artistica o professionale svolta normalmente57; le prestazioni afferenti i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, m ala circolare n. 207/E del 16 novembre , ha chiarito che sono soggette ad Iva, soltanto quelle prestazioni di collaborazione che rientrano nell’oggetto dell’attività svolta per professione abituale (ad esempio il commercialista che svolge l’attività di revisore in una società commerciale58). I professionisti, ad eccezione dei contribuenti minimi, devono applicare l’Iva (con un aliquota stabilita nella misura ordinaria del 20% dall’art. 16, comma 1 del D.P.R. 633/72 e non esistono riduzioni o particolari agevolazioni, salvo che per i casi soggetti esenti) sulle fatture emesse ai propri clienti e possono portare in deduzione l’Iva versata ai propri fornitori. Tutto ciò in quanto il meccanismo dell’Iva è tale da obbligare un soggetto all’adempimento di alcune formalità che l’Amministrazione Finanziaria dello Stato utilizza come sistema di controllo per la dichiarazione dei redditi. In via generale, i compensi erogati dai committenti in esercizio di impresa o arti e professioni per le prestazioni di tipo professionale sono soggetti sia all’Iva. L’iva è dovuta perché l’obbligo di applicare l’imposta sui compensi è stabilito dall’art. 3 del D.P.R. 633/72. In relazione all’obbligo della fatturazione della prestazione l’art. 5, comma 7, del D.Lgs. 471/97 prescrive la responsabilità in solido tra il soggetto obbligato ad emettere la fattura ed il soggetto che deve riceverla. Il committente, quindi, deve verificare la correttezza degli addebiti ricevuti perche nei 56 Nel senso che la professionalità resta un punto fermo nel settore dell’Iva, Polano M. in Attività commerciali e impresa, Alberto Comelli in Iva Comunitaria e Iva Nazionale, Serie I, Volume XCI, Cedam 2000 57 Valore aggiunto, Filippi Piera, cit. 141 58 Circolare n. 58/E del 18 giugno 2001 33 suoi confronti trovano applicazione le sanzioni poste a carico del committente per l’eventuale omessa o irregolare fatturazione da parte del lavoratore autonomo. 2.13 Gli studi di settore per i lavoratori autonomi Gli studi di settore sono uno strumento che il Fisco utilizza per rilevare i parametri fondamentali di liberi professionisti, lavoratori autonomi e imprese. La parte principale consiste nella raccolta sistematica dei dati che caratterizzano l’attività e il contesto economico in cui opera l’impresa, allo scopo di valutare la sua capacità reale di produrre reddito e sono impiegati per l’accertamento induttivo degli esercenti arti e professioni e imprese. L’introduzione degli studi di settore in Italia è iniziata ilo 30 agosto 1993, e si è di anno in anno arricchita di nuove tabelle relative alla grande maggioranza dei settori di attività. A partire dal 1998 tutti gli studi relativi ai lavoratori autonomi sono stati definiti “sperimentali” e per diventare definitivi necessitano della revisione. L’effetto è che chi, non si è adeguato ai ricavi richiesti non può subire accertamento da studi, ma entra nelle liste selettive dalle quali possono scaturire comunque accertamenti sull’attività svolta. Dal 2004 molti studi sono stati monitorati, ciò significa che diventano definitivi alla scadenza prevista per ogni singola attività sulla base del decreto di attuazione, e dal 2006 per molte attività è cessato il periodo di monitoraggio. Le novità degli studi di settore, riguarda l’eliminazione della regola dei 2 e 3, ossia, a decorrere dal periodo d’imposta 2005 è irrilevante il tipo di contabilità, sono accertabili in base agli studi anche gli esercenti arti e professioni in contabilità aridnaria7semplificata che non risultano congrui per un solo periodo d’imposta. Infine, la normativa prevede che, per il primo anno sarà possibile adeguare il proprio reddito ai valori degli studi direttamente son la dichiarazione dei redditi, senza alcuna sanzione, ovviamente se i valori sono più alti si pagano più tasse. Per gli anni successivi, invece, i redditi risultanti dalla contabilità devono rispettare i valori minimi degli studi di settore ma, anche in questo caso, è possibile adeguarsi utilizzando lo strumento del ravvedimento operoso che prevede, per chi corregge i propri entro un anno, sanzioni ridotte. 34 CAPITOLO TERZO ALCUNI PARTICOLARI REDDITI DI LAVORO AUTONOMO SOMMARIO: 3.1. Gli altri redditi di lavoro autonomo – 3.2. Le opere d’ingegno nel diritto d’autore – 3.3. Diritto d’autore- 3.4 Opere d’ingegno di carattere creativo – 3.5 Tassazione dei diritti d’autore – 3.6 Diritto d’autore e normativa fiscale ai fini IVA – 3.7 Casi specifici: A ) La tassazione Royalties registrazioni musicali; B) Tasse sui diritti d’autore estese in Italia a computer, telefonici e MP3. 3.1 Gli altri redditi di lavoro autonomo Nei commi 2 e 3 dell’art. 53 del TUIR è contenuta l’elencazione tassativa degli altri redditi di lavoro autonomo diversi da quelli derivanti dall’esercizio di arti e professioni. Tali redditi, si diversificano dal punto di vista del regime impositivo per le regole di determinazione forfetarie (piuttosto che analitica) dell’imponibile e la mancanza dell’obbligo di tenuta della contabilità. 2 comma, art. 53 del TUIR : sono inoltre redditi di lavoro autonomo: a) (lettera soppressa); b) i redditi derivanti dalla utilizzazione economica, da parte dell'autore o inventore, di opere dell'ingegno, di brevetti industriali e di processi, formule o informazioni relativi ad esperienze acquisite in campo industriale, commerciale o scientifico, se non sono conseguiti nell'esercizio di imprese commerciali; c) le partecipazioni agli utili di cui alla lettera f) del comma 1 dell'articolo 44 quando l'apporto e' costituito esclusivamente dalla prestazione di lavoro; d) le partecipazioni agli utili spettanti ai promotori e ai soci fondatori di società per azioni, in accomandita per azioni e a responsabilità limitata; e) le indennità per la cessazione di rapporti di agenzia; f) i redditi derivanti dall'attività di levata dei protesti esercitata dai segretari comunali ai sensi della legge 12 giugno 1973, n. 349. 35 3 comma: per i redditi derivanti dalle prestazioni sportive oggetto di contratto di lavoro autonomo, di cui alla legge 23 marzo 1981, n. 91, si applicano le disposizioni relative ai redditi indicati alla lettera a) del comma 2. 3.2 Le opere dell’ingegno nel diritto d’autore I diritti di utilizzazione delle opere dell’ingegno sono disciplinati dagli articoli 2575-2583 del codice civile. In particolare, a norma dell’art. 2575 c.c. formano oggetto del diritto d’autore le opere dell’ingegno di carattere creativo che appartengono alle scienze, alla letteratura, alla musica, alle arti figurative, all’architettura, al teatro e alla cinematografia, qualunque ne sia il modo o la forma di espressione. La normativa di riferimento muove dalla Legge 22 aprile 1941 n. 633 l’art. 2575 del c.c., poi ripreso dall’art. 1 della Legge 22 aprile 1941 n. 63359 (legge sul diritto d’autore) e individua, come nucleo del Diritto d’Autore, tutte le opere dell’ingegno di carattere creativo che appartengono alla scienza, alla letteratura, alla musica, alle arti figurative, all’architettura, al teatro e alla cinematografia, qualunque ne sia il modo o la forma di espressione. Come si evince manca una definizione legale, mentre sono individuati gli elementi essenziali. Pertanto, affinché un’opera dell’ingegno riceva protezione dall’ordinamento deve possedere i seguenti elementi: a) carattere creativo; b) appartenenza alla scienza ed alle arti in genere; c) una forma espressiva. E’ opportuno specificare che, per creatività si intende non solo il risultato dell’attività intellettiva umana ma anche la novità e l’originalità di quel risultato. Dove il grado di originalità può anche essere minimo purchè in grado di mostrare l’apporto personale del suo autore e comunque è opportuno ricordare che “la creatività non può essere esclusa soltanto perché l’opera consiste in idee e nozioni semplici60”. Ancora la richiesta di originalità dell’opera attiene alla forma dell’esposizione, e non al contenuto esposto, così che anche nozioni di dominio pubblico possono confluire in un opera dell’ingegno quando “esse sono espresse in una forma che rechi, in qualsiasi modo, l’imposta di una elaborazione personale dell’autore61 “. Per novità, invece, si intende le somme di tutti gli elementi che compongono l’opera dell’ingegno e che nel loro insieme determinano un sufficiente grado di distinzione dell’opera rispetto ad altre analoghe e preesistenti. 59 Modificata dalla legge 18 agosto 2000, n. 248 e poi del decreto legislativo 9 aprile, n. 68 Cassazione Sez. Civ. 12 marzo 2004 n. 5089 61 Cassazione I Sezione Civile 19 luglio 1990 n. 7397 60 36 Riguardo all’appartenenza alle scienze ed alle arti in genere si discute in dottrina e giurisprudenza se l’elenco delle categorie di opere contenute nella norma in esame abbia carattere tassativo o esemplificato. La questione non ha grande rilevanza pratica, in quanto le categorie suddette sono assai ampie e generiche e devono essere intese tenendo conto dell’evoluzione delle concezioni sociale. Una delle ultime modifiche alla legge 633/41, e precisamente il D.Lgs. 581/96 di attuazione delle direttive 93/83, ha introdotto la tutela per la diffusione di opere intellettuali via satellite e via cavo. Infine, l’opera deve possedere almeno una forma espressiva concreta, ossia, un vestito in grado di rappresentare l’idea e di renderla fruibile ai terzi. Per concretezza, non necessariamente si intende una forma materiale, potendo costituire espressione anche quella resa verbale. La forma espressiva in quanto abito, rende tutelabile l’opera e non sono dunque i contenuti a determinare un diritto all’esclusività bensì il modo in cui i contenuti sono proposti62. 3.3 Diritto d’autore Premesse le definizioni di opere d’ingegno e brevetti industriali, possiamo proseguire la trattazione soffermandoci sul diritto d’autore. Il diritto d’autore nasce al momento della creazione dell’opera, che il codice civile italiano63 identifica in una “particolare espressione del lavoro intellettuale”. Quindi è dall’atto creativo che, incondizionatamente, il diritto si origina; non vi è pertanto alcun obbligo di deposito, di registrazione o di pubblicazione dell’opera64. La protezione offerta dalla normativa di riferimento65 esplica la sua efficacia nei confronti di un bene immateriale, distinto dal supporto (cartaceo, fisico, meccanico, magnetico, digitale) attraverso il quale si concretizza ed esprime. Detto diritto sorge per effetto della creazione di un’opera letteraria, musicale, figurativa, teatrale, architettonica e cinematografica. Può avere ad oggetto anche i programmi per elaboratore (cosiddetti software), nonché le banche dati e le opere del disegno industriale. Gli artt. 1-5 della legge n. 633/1941 individuano le opere protette del diritto d’autore. Nella tutela rientrano tutte le opere dell’ingegno aventi carattere creativo, qualunque sia il modo o la forma di espressione. L’art. 2 della legge fornisce un elenco, esemplificativo e non esecutivo, di opere protette, e cioè opere appartenenti: a) alla letteratura: opere letteraria, drammatiche, scientifiche, didattiche e religiose, sia in forma scritta che orale; 62 Le opere dell’ingegno nel diritto d’autore, Aut. Avv. Hermans Joseph Iezzoni, 14 luglio 2007 Art. 2576, Libro Quinto, Titolo IX 64 A differenza del brevetto industriale e dei modelli e disegni di utilità che vengono registrati con efficacia costitutiva 63 37 b) alla musica: opere a composizione musicali con o senza parole, opere grammaticalemusicali e variazioni musicali purchè costituiscono un’opera originale in sé; c) alle arti figurative: opere di sculture, pittura, disegni, incisioni o appartenenti ad arti figurative similari, comprese la scenografia; d) all’architettura: i disegni e le opere dell’architettura, le opere del disegno industriale che presentino carattere creativo e valore artistico; e) al teatro: opere coreografiche e pantomimiale (con o senza traccia scritta) f) alla cinematografia: opere cinematografiche, mute o con sonoro, fotografiche. La tutela offerta dalla normativa italiana è concreta ed operativa solo nei confronti di opere connotate da un certo grado di originalità . In altri termini, anche se non è strettamente necessario che l’opera consista in una novità assoluta, è indispensabile che la stessa sia il frutto di un’attività creativa del suo autore. Detto requisito è imprescrittibile al fine di distinguere l’opera in questione dalle altre. Sul punto, la stessa Suprema Corte ha più volte precisato che la creatività richiesta non deve necessariamente essere costituita dall’idea in quanto tale, ma piuttosto della forma della sua espressione, o della sua soggettività, intesa quale concreto apporto personale soggettivo66.Inoltre sono protette anche le cosiddette “elaborazioni di carattere creativo” come ad esempio le traduzioni in un'altra lingua, le trasformazioni da una forma letteraria o artistica in un’altra, gli adattamenti, le riduzioni ecc.. A seguito del recepimento della direttiva 96/9/CE e 91/250/CEE, inoltre, sono ricompresi nell’elenco: i programmi per elaboratore le banche dati. La creazione delle opere citate dianzi determinano il sorgere, in capo al suo autore, di due forme di tutela giuridica previste a favore degli autori, diritto morale e diritto di sfruttamento economico, che riguardano due aspetti e momenti differenti nella creazione dell’opera; il corpus mysticum e il corpus mechanicum. Il corpus mysticum, che riguarda la sfera del diritto morale, è essenzialmente l’idea alla base dell’opera, idea considerata nella sua immaterialità e che va poi ad incarnarsi nel suo supporto (corpus mechanicum). Il diritto morale d’autore, che mira a tutelare la personalità dell’autore, il suo onore e la sua reputazione con una corretta comunicazione agli altri della sua opera, è imprescrittibile, irrinunciabili, inalienabili e è illimitato nel tempo ( può essere tutelato anche dagli eredi). Difatti 65 Legge 22 aprile 1941 n. 633 e successive modifiche 66 Cassazione Civile, 11 agosto 2004, n. 15496 38 l’autore può, in ogni momento, rivendicare la paternità dell’opera, che consegue, come dinanzi detto, già al momento della creazione. Inoltre essa, proprio per il suo carattere imprescrittibile, può essere fatto valere anche dagli eredi dopo la morte dell’autore senza limiti di tempo. Dall’altro lato, si ha il diritto patrimoniale d’autore, detto anche diritto di utilizzazione economica, che è regolato dalla legge sul diritto d’autore. La norma che stabilisce cosa sono i diritti patrimoniali è l’art. 12 legge 22 aprile 1941 n. 633; secondo tale articolo, l’utilizzo economico dell’opera può avvenire in ogni forma e modo. Inoltre la prima forma di pubblicazione viene considerata come prima forma di esercizio di un diritto di utilizzazione. Questi diritti durano tutta la vita dell’autore e fino a 70 anni dopo la morte di quest’ultimo (art. 25 L. 633/41). Tale durata, però, non vale in tutto il mondo ed è stata introdotta in Italia nel 1996. I diritti di utilizzazione economica, a differenza dei diritti morali, possono essere trasferiti, oppure, in taluni casi degradati a diritti a compenso in caso di utilizzazione dell’opera da parte dei terzi. L’autore ha il diritto esclusivo di pubblicare l’opera e di utilizzare economicamente l’opera in ogni forma e modo, originale o derivato. 3.4 Opere dell’ingegno di carattere creativo Le opere d’ingegno possono essere così classificate: Opere originarie, già indicate all’art. 2 della Legge n. 633/1941; Opere derivate, che a loro volta si suddividono in: opere collettive (raccolta di contributi creativi o coordinamento di più autori, quali enciclopedie, antologie, giornali) ;opere elaborate (elaborazioni di opere originali, quali traduzioni, trasformazioni letterarie, rifacimento, adattamenti); Opere create su commissione, diritti morali all’autore, diritti patrimoniali al committente; Opere create dal dipendente, diritti morali all’autore, diritti patrimoniali al datore di lavoro; Opere anonime o pseudonime, è considerato autore chi ha rappresentato, eseguito o pubblicato l’opera; Opere multimediali, non considerate dalla legge come categoria. L’autore di opera collettiva è colui che organizza e coordina la creazione di un’opera collettiva in qualità di direttore dell’opera nel suo complesso. Ad esempio, la Risoluzione n. 240943 del 5 gennaio 1984 ha riconosciuto il carattere di “opera collettiva” a un rapporto di fattibilità tecnica avente a base conoscenze di geofisica, chimica, ingegneria, geosismica ecc. in 39 quanto risultato di numerosi complessi studi di ricerche svolti da autori. In questo caso, secondo quanto disposto dall’art. 7 Legge 633/1941, autore dell’opera collettiva è da considerarsi la società che ha provveduto ad indirizzare, coordinare e riunire in un’unica opera gli studi specifici compiuti da numerosi specialisti. L’autore di opera in collaborazione si ha quando ogni autore partecipa alla creazione di un’opera composita con contributo inscindibile e indistinguibile: in questo caso, il diritto d’autore è comune e tutti i contributi sono considerati alla pari. Ciascun coautore, pertanto, può esercitare i diritti morali, quando invece per la pubblicazione è necessario che tutti i coautori siano concordi su questa modalità di diffusione 3.5 Tassazione dei diritti d'autore. Delineato il concetto di utilizzazione economica del diritto d’autore, possiamo adesso esaminare la disciplina fiscale applicabile all’opera dell’ingegno tutelato della legge n. 633/1941. La tassazione dei diritti d'autore segue regole diverse in relazione della tipologia di reddito dove vengono collocati dalla legislazione fiscale. L’elaborazione dottrinale è giurisprudenziale ha chiarito che i caratteri fondamentali per una qualificazione di questo tipo risiedono nell’originalità, nella creatività o novità e nella concretezza: l’opera, cioè deve essere dotata di una propria autonomia e deve essere divulgabile e riproducibile67. Il comma 2°, lett. b), dell’art. 53 del TUIR, stabilisce che sono, inoltre, redditi di lavoro autonomo quelli derivanti dall’utilizzazione economica da parte dell’autore inventore, di opere dell’ingegno, brevetti industriali e di processi, formule o informazioni relativi ad esperienze acquisite in campo industriale commerciale o scientifico, se non conseguiti nell’esercizio di imprese commerciali. Da ciò emerge che per l’utilizzazione economica di opere dell’ingegno la configurabilità del reddito di lavoro autonomo è subordinata al fatto che l’utilizzazione stessa sia effettuata da parte dell’autore o inventore; pertanto, se l’utilizzazione è effettuata da altri soggetti (eredi, legatari o cessionari) si è in presenza, per questi ultimi, di un reddito diverso ai sensi dell’art. 67, lett.g) del TUIR. Pertanto da luogo a reddito di lavoro autonomo68 l’utilizzazione economica, da parte dell’autore o dell’inventore, di brevetti industriali, processi, formule o 67 A tal proposito è utile ricordare quanto chiarito nella Circolare n. 108/E del 3 maggio 1996 che, al punto 7.1, precisa che la qualificazione del reddito prodotto è in funzione dell’attività effettivamente esercitata. In particolare, in materia di attività di collaborazione a giornali o riviste, la circolare ha introdotto un’importante distinzione: se la redazione di articoli è svolta in autonomia, essa è tutelata dalla legge sul diritto d’autore e quindi ad essa si applicherà la disciplina fiscale propria della cessione di un’opera d’ingegno; viceversa, se l’attività consiste in semplice correzione di bozze o nella mera predisposizione di notizie utili alla redazione di articoli, si rientra nell’ambito dei rapporti di collaborazione, con conseguenti riflessi sostanziali sulla diversa disciplina fiscale applicabile al rapporto. 40 informazioni relativi ad esperienze acquisite in campo industriale, commerciale o scientifico. Il contenuto della lett. b) dell’art. 53 è un elenco di diritti relativi a beni immateriali della cui cessione o concessione derivano al titolare redditi lavoro autonomo. In conclusione, i diritti di autore vengono classificati come redditi di lavoro autonomo quando conseguiti direttamente dagli autori, come redditi diversi quando sono stati acquisiti a titolo gratuito o oneroso, come redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente quando conseguiti nell’ambito di un rapporto di collaborazione coordinata e continuativa, oppure come redditi di impresa se conseguiti nell’esercizio di un’attività commerciale. Inoltre, il diritto d’autore non è soggetto al meccanismo del fisco dell’attrazione69 poiché sia civilisticamente sia fiscalmente viene riconosciuto al diritto d’autore il suo essere originato non già da un professionista organizzato in impresa, ma da un atto di acume che sfugge alle normali classificazioni economiche. Ancora affinché si possa parlare di reddito di lavoro autonomo ai sensi del 2° comma della lett. b) art. 53, occorre che non ci sia cessione di un bene che costituisca oggetto dell’esercizio abituale di un’attività artistica, poiché in questo caso il reddito derivante sarebbe reddito di lavoro autonomo ai sensi del 1° comma dell’art. 53, pertanto la sua determinazione sarebbe analitica e non forfetaria. Particolarmente articolata si configura l’imputazione soggettiva del reddito. Nei limiti consentiti dalla normativa civilistica sul diritto d’autore, possono essere titolari del reddito a titolo originario, derivativo a secondo dei casi: le persone fisiche residenti e non, anche in comunione70 ; le società semplici o la società di fatto che non abbiano per oggetto l’esercizio di attività commerciali; gli enti non commerciali di ogni tipo. In caso di eredità giacente, il reddito prodotto dal cespite ereditario, a norma dell’art. 131 del T.U. è soggetto a tassazione in via provvisoria in capo al chiamato, secondo le modalità previste dalla norma ora citata e, dopo l’accettazione, concorre a formare il reddito complessivo dell’erede per ciascun periodo 71 d’imposta, dando luogo ad una riliquidazione della relativa imposta I compensi derivanti dall'utilizzazione economica di opere dell'ingegno, di brevetti industriali e di processi, formule o informazioni relativi ad esperienze acquisite in campo industriale, commerciale o scientifico, rientrano tra i redditi assimilati a quelli di lavoro autonomo, se non sono conseguiti dall'autore o inventore nell'esercizio di imprese commerciali, pertanto, se i diritti di autore sono considerati redditi di lavoro autonomo usufruiscono di un abbattimento 68 Cos’ come contenuto nelle istruzioni dei modelli di dichiarazione dei redditi. Meccanismo per cui un’attività non soggetta ad Iva viene “attratta” nel regime contabile di un soggetto possessore di partita Iva. 70 Esempio eredi quando non vi sia un’utilizzazione diretta nell’ambito dell’attività imprenditoriale 71 Diritto d’autore nel diritto tributario, Giuliano Tabet, in Digesto. 69 41 forfettario a titolo di deduzione forfettaria delle spese pari al 25% che viene elevata al 40% se il percettore ha un’età inferiore a 35 anni; inoltre, i redditi indicati alla lett. b) del comma 2 dell'art. 53, sono costituiti dall'ammontare dei proventi in denaro o in natura percepiti nel periodo d'imposta, anche sotto forma di partecipazione agli utili. La ratio di tale deduzione forfetaria è stata rintracciata nelle obiettive difficoltà di determinazione analitica dei redditi prodotti dalla realizzazione di un “forma espressiva della manifestazione di un concetto, di un’idea” che, ovviamente, non lascia spazio per la possibilità di una determinazione analitica delle spese sostenute per realizzarlo. La deduzione analitica delle spese non è consentita neppure quando sia possibile dimostrare che i costi e gli oneri sono di entità superiore alla deduzione fissa72. Tali redditi, inoltre, non sono soggetti ad alcuna contribuzione previdenziale. Tuttavia l’Agenzia delle Entrate, con la ris. N. 145 del 28 giugno 2007, ha chiarito che, se lo sfruttamento del diritto d’autore avviene da parte di un autore nell’esercizio di un’arte o una professione abituale, ai sensi dell’art. 53, comma 1 del TUIR 917/1986, il compenso medesimo è riconducibile all’attività di lavro autonomo, con la conseguenza che deve essere regolarmente registrato nelle scritture contabili e dichiarato nel quadro RE, rigo RE2 – compensi derivanti dall’attività professionale o artistica. Invece, laddove i diritti d’autore dovessero far parte del patrimonio di un soggetto imprenditore, i proventi derivanti dalla loro utilizzazione economica costituiscono componenti positivi di reddito d’impresa. Nel caso in cui l’opera dell’ingegno venga creata dal lavoratore dipendente nell’esecuzione delle sue mansioni, il titolare del diritto esclusivo di utilizzare economicamente l’opera, salvo patto contrario, è il datore di lavoro, ex art. 12 bis della L. n. 633 del 1941. La titolarità riguarda, tuttavia, solo il diritto di utilizzazione economica (salvo che le parti non abbiano assunto accordi contrari), mentre i diritti morali (paternità dell’opera) spettano alla persona fisica che ha creato l’opera. Può accadere che l’autore o l’inventore decida di vendere la propria opera personalmente. Sul punto è intervenuta l’Agenzia delle Entrare73 la quale ha fatto presente che l’attività di vendita (nel caso di specie, libri) non è attività svolta abitualmente dall’autore, ma da un editore nell’esercizio di attività d’impresa. Pertanto, la vendita diretta, configurandosi come un’attività editoriale- commerciale, genera proventi qualificati come redditi d’impresa, di cui all’art. 55 del TUIR, e non redditi di lavoro autonomo. 72 73 Risoluzione Agenzia delle Entrate del 23 dicembre 1977, prot. 8/1207. Risoluzione n. 132 del 15 novembre 2004 42 Quanto ai compensi per diritti percepiti da non autori, va ribadito che la titolarità del diritto d’autore è sempre della persona fisica (autore) mentre lo sfruttamento economico del medesimo può anche essere di pertinenza di altri. Tanto premesso, la lett. g) dell’art. 67 del TUIR prevede che i redditi derivanti dall’utilizzazione economica di opere d’ingegno, di brevetti industriali e di processi, formule informazioni relativi ad esperienze acquisite in campo industriale, commerciale o scientifico, fanno parte della categoria dei redditi diversi. L’ipotesi in esame è quella della cessione dei diritti d’autore o d’invenzioni effettuata non dall’autore o inventore medesimo, bensì da soggetti non imprenditori che hanno acquisito a titolo oneroso il diritto di sfruttare economicamente tale diritto ovvero nell’ipotesi in cui tale diritto di sfruttamento sia pervenuto loro a titolo gratuito74 . Sui redditi in esame è applicabile75 la ritenuta d’acconto del 20%, sull’imponibile ridotto al 75% nella sola ipotesi in cui il diritto sia stato acquistato a titolo oneroso, diversamente la ritenuta del 20% va fatta sull’intero importo. Laddove l’utilizzazione economica avvenga ad opera di un non residente, la ritenuta è del 30% a titolo d’imposta sull’intero importo imponibile, salvo diversi accordi convenzionali. Circa i diritti percepiti da eredi occorre sottolineare che l’ipotesi in esame è quella di diritti maturati post morte. Anche la tassazione dei redditi in argomento avviene secondo il criterio di cassa76. Rispetto ai diritti maturati in capo al de cuius ma pecepiti da eredi, l’art. 21 del TUIR al comma 3 prevede che, nell’ipotesi di cui al comma 3 dell’art. 7 del medesimo TU, si procede alla tassazione separata nei confronti degli eredi e dei legatari. Si tratta di diritti maturati in capo all’autore o inventore in vita, ma non ancora riscossi al momento del percepito, diminuito della quota dell’imposta sulle successioni proporzionali al credito indicato nella relativa dichiarazione, l’aliquota corrispondente alla metà del suo reddito complessivo netto nel biennio anteriore all’anno in cui si è aperta la successione. Se in uno dei due anni anteriori non vi è stato reddito imponibile, si applica l’aliquota corrispondente alla metà del reddito complessivo netto dell’altro anno; se non vi è stato reddito imponibile in alcuno dei due anni, si applica l’aliquota stabilita all’art. 13 per il primo scaglione di reddito. Gli eredi dell’autore, se intendono fruire della tassazione separata, devono indicare, ognuno per la quota di propria competenza, i redditi percepiti nella dichiarazione dei redditi relativa all’anno in cui è avvenuta la percezione. L’imposta è liquidata dal Centro di servizio o dall’ufficio delle imposte competente per territorio e, pertanto, nullo è dovuto dall’erede all’atto della presentazione della dichiarazione dei redditi. Nel caso in cui l’erede intenda, invece, optare per il 74 75 Successione ereditaria o donazione Ex Art. 25 del DPR n. 600/1973. 76 Modello Unico PF – rigo RL13 43 regime della tassazione ordinaria, l’interessato deve barrare l’apposita casella nel Modello Unico PF – rigo RM10. In questo modo, si fa concorrere il reddito alla formazione del reddito complessivo sul quale è dovuta la relativa imposta nei modi ordinari ( RM n. 5/1001 del 3 gennaio 1994). La circostanza che l’erede possa detrarre, dal reddito percepito, l’imposta di successione proporzionalmente riferibile al credito indicato nella dichiarazione di successione rappresentato dal reddito non ancora incassato, deriva dall’esigenza di non assoggettare due volte lo stesso reddito a tassazione. 3.6 Diritto d'autore e normativa fiscale ai fini Iva. Nei diritti d’autore, il trattamento fiscale ai fini dell'imposta sul valore aggiunto del diritto di autore, va applicato in base alle tipologie di prestazioni. Il D.P.R. 633/72, decreto istitutivo dell’Iva, individua come requisito oggettivo, ai fini dell’imposta, le cessioni di beni e le prestazioni di servizi. Il comma 2 dell’art. 3 del citato decreto considera “prestazioni di servizi, se effettuate verso corrispettivo”, tra l’altro, “le cessioni, concessioni, licenze e simili relative a diritti d’autore, quelle relative ad invenzioni industriali, modelli, disegni, processi, formule e simili…”. Le seguenti tipologie di prestazioni, sono soggette ad Iva e vanno incluse tra le prestazioni di servizi, purchè effettuate in cambio di un corrispettivo: 1. le cessioni, le concessioni, le licenze e simili relativi a diritti d'autore, quando non sono effettuate dall'autore e dai suoi eredi o legatari; 2. le cessioni, le concessioni, le licenze e simili relativi a diritti d'autore che si riferiscono ad opere dell'architettura e dell'arte cinematografica e ad opere di ogni genere di cui si avvalgono le imprese per scopi di pubblicità commerciale, anche se sono effettuate dall'autore e dai suoi eredi o legatari; 3. le prestazioni di mandato e di mediazione concernenti opere dell'architettura, dell'arte cinematografica e quelle di cui si servono le imprese per finalità pubblicità commerciale. 44 Pertanto, le suddette operazioni che hanno per oggetto diritti connessi al diritto d'autore, sono imponibili ai fini Iva, in quanto esprimono delle obbligazioni di permettere ad altri in cambio di un corrispettivo, nello sfruttamento o nella riproduzione della propria esecuzione. Tuttavia, il successivo comma 4, lettera a), stabilisce che non sono da considerarsi prestazioni di servizi “le cessioni, concessioni, licenze e simili relative a diritti d’autore effettuate dagli autori e loro eredi o legatari, tranne quelle relative alle opere di cui ai n.n. 5) e 6) dell’art. 2 della L. 22 aprile 1941, n. 633, e alle opere di ogni genere utilizzate da imprese a fini di pubblicità commerciale”. Tale comma esclude dunque dal campo di applicazione dell’imposta le operazioni connesse al diritto d’autore o diritti simili se effettuate dall’autore stesso, dai suoi eredi o dagli eventuali legatari (soggetti subentrati nello specifico rapporto patrimoniale che in precedenza faceva capo al de cuius). L’esclusione non si applica ai disegni e alle opere dell’architettura, né alle opere dell’arte cinematografica, muta o sonora. In ogni caso l’esclusione non è applicabile nell’ipotese in cui le opere siano utilizzate da imprese a fini di pubblicità commerciale. La Risoluzione n. 94 del 30 aprile1997 ha precisato che questa esclusione deve intendersi riferita ai “diritti esclusi di utilizzazione delle opere dell’ingegno”, con riferimento a quanto espressamente indicato nell’art. 2 della Legge n. 633/1941, in cui sono individuate le opere protette dal diritto d’autore. In base a ciò non godono della esclusione , per esempio, le cessioni di “semplici immagini fotografiche”, a differenza delle “opere fotografiche”, individuate nel numero 7 dell’articolo 2 della legge 633/1941. La ratio dell’esclusione dall’Iva dei diritti d’autore di cui all’art. 3, comma 4, va cercata77 nella estrema incertezza nell’individuare l’esercizio concreto di un’attività professionale nel campo delle opere dell’ingegno, riaffermando invece la piena imponibilità quando può ragionevolmente presumersi che questa difficoltà non sussista (come, appunto, per i diritti d’autore sui disegni e opere di architettura e sulle opere cinematografiche, oltre che per i diritti d’autore relativi ad opere di ogni genere utilizzate da imprese a fini di pubblicità commerciale). Va, altresì, ricordato che la risoluzione 362751 del 07.09.1979 aveva già considerato non imponibili anche i compensi spettanti agli autori della musica, delle composizioni musicali e delle parole che accompagnano la musica, quando vengono inserite nella colonna sonora dell’opera cinematografica. Questo perché, anche il questo caso, può ravvisarsi quanto previsto nel comma 4 dell’articolo 3 del DPR 633/72 “in quanto la legittimazione alla pubblica esecuzione della musica inserita nella pellicola non origina da uno specifico atto di cessione o concessione del diritto, ma dalla implicita 77 Come rilevato nella Relazione governativa allo schema di decreto che ha introdotto detta disciplina. 45 autorizzazione data dal suo autore attraverso la incorporazione del commento musicale nell’opera cinematografica” risoluzione 381805/1980. La lettera e) del medesimo comma 4, inoltre, esclude dal campo di applicazione dell’imposta le prestazioni di mandato e di mediazione relative ai diritti d’autore e le prestazioni relative alla protezione dei diritti d’autore di ogni genere, “comprese quelle di intermediazione nella riscossione dei proventi”. Tale sclusione non si applica alle prestazioni di mandato e di mediazione relative ai diritti d’autore connessi a disegni e opere dell’architettura, nonché alle opere dell’arte cinematografica, muta e sonora. In relazione a questa specifica esclusione va ricordato come gli articoli 171-bis e ter della legge 633/41 stabiliscano una particolare protezione per i prodotti informatici e audiovisivi. Inoltre, l’articolo 181 assegna alla Siae il compito di apporre un apposito contrassegno sui prodotti in questione, quale “segno distintivo di opera dell’ingegno”. A fronte di questa prestazione viene riconosciuto alla Siae un rimborso forfettario, per le spese sostenute. Ciò premesso, la risoluzione 381 del 05/12/2001 ha riconosciuto che la Siae “svolge un’attività, analiticamente disciplinata dalle norme innanzi richiamate, tendente a tutelare ed a proteggere da eventuali illecite riproduzioni i supporti che contengono opere o parti di opere di cui all’articolo 1 della citata legge n. 633 del 1941 (opere dell’ingegno di carattere creativo che appartengono alla letteratura, alla musica, alle arti figurative, all’architettura, al teatro ed alla cinematografia, nonché i programmi per elaboratore come opere letterarie e le banche di dati che costituiscono una creazione intellettuale d’autore. Pertanto, l’attività della Siae si configura alla stregua di un’operazione rientrante tra quelle previste dal suddetto articolo 3, quarto comma, del D.P.R. n. 633 del 1972 e più specificatamente tra “le prestazioni relative alla protezione dei diritti d’autore”. Ovviamente, l’esclusione dal tributo risulta limitata all’attività di apposizione del contrassegno, ai fini della tutela dei diritti d’autore, sui supporti contenenti opere o programmi, espressamente indicati dal comma 1 del citato articolo 181 bis della legge n. 633 del 1941. 3.7 Casi specifici : A ) La tassazione delle Royalties delle registrazioni musicali Una recente sentenza della Corte di cassazione, la n. 21220 del 29 settembre 2006, in materia di tassazioni, ha respinto la richiesta effettuata da parte di una società di capitali italiana di applicare la tassazione ridotta pari al 5%, in luogo di quella ordinaria del 10%. 46 Il caso di specie prende le mosse da una società nazionale di capitali operante in materia di registrazioni musicali, la quale richiamando le normative in materia di convenzioni contro le doppie imposizioni (in particolare la Convenzione Italia – Usa), asseriva che dal momento che nella citata convenzione non trovano specifica collocazione i diritti inerenti i prodotti fonografici, gli stessi dovevano essere fatti rientrare nella categoria dei diritti d’autore e diritti connessi, o in subordine nella residuale categoria degli altri analoghi diritti o beni. La conseguenza sarebbe l’applicazione del regime previsto per lo sfruttamento dei diritti d’autore, relativamente al pagamento delle royalties per lo sfruttamento delle registrazioni musicali (ovvero una tassazione del 5%). La Convenzione Italia – Usa contro le doppie imposizioni, adottata a Washington il 30.03.1955 e ratificata nel nostro Paese con la legge n. 943 del 19.07.1956, all’art. 12 prevede che in materia di royalties venga applicata, in ipotesi di concessione di uso del diritto d’autore su opere letterarie, artistiche o scientifiche una ritenuta del 5%; per la concessione in uso di pellicole cinematografiche e di altri mezzi di registrazione per trasmissioni radiofoniche o televisive una ritenuta del 8%; una ritenuta del 10% in tutti gli altri casi. La Corte non ha reputato rientrasse il caso di specie nel concetto di diritto d’autore in senso stretto: pur trattando sui di categorie molto simili, secondo la Corte non si può estendere il regime di imponibilità fiscale agevolato e convenzionale delle royalties a diritti che appartengono a categorie distinte da quella del diritto d’autore, anche in ipotesi di presenza di un collegamento oggettivo; sarà la normativa dello stato alla fonte a decidere. Per l’Italia è del 10%. B ) Tasse sui diritti d’autore estese in Italia a computer, telefonici e MP3 Anche in Italia è stata estesa la tassa sui diritti d’autore e copyright, che interessava solo prodotti di registrazione come CD, DVD e penne USB, ai principali nuovi mezzi di riproduzione come computer, telefonini e riproduttori di MP3 . Già dalla loro introduzione nel 2003, si prevedeva una futura revisione delle leggi sulla registrazione privata, che disponevano una validità dei diritti di tre anni. Un’ulteriore revisione si avrà nel 2010. Mentre ci si aspettava un incremento di tali tasse, la loro estensione non era stata prevista. Prima dell’introduzione del concetto di registrazione privata, nella maggior parte dell’unione Europea, non era possibile registrare copie di un lavoro protetto da diritti d’autore. In Italia questo è ora possibile, a patto che le copie siano soggette ad uso privato ed effettuando il pagamento di una tassa appropriata alla Società italiana degli Autori e degli Editori (SIAE). 47 E’ stato stimato che, con l’estensione della legge, le tasse raccolte dalla SIAE saliranno da 70 milioni di Euro annuali a 300 milioni di Euro nel 2010. Il decreto ministeriale che rende effettive le nuove tasse, contiene anche la specificazione per ogni particolare prodotto. Nella maggior parte dei casi, la tassa è più alta a seconda del Gigabyte di capacità che ad esempio un hard disk o una penna usb possiedono. Poiché la capacità di molti prodotti sul mercato è stata ampliata e continuerà ad assumere incrementata, anche l’imponibile dalla SIAE salirà. La SIAE ha puntualizzato che tali tasse, anche dopo l’incremento, rimangono comunque introno sl 50% di quelle applicate in altri paesi come la Francia. L’industria elettronica ha criticato tali disposizioni, chiedendosi perché siano stati inclusi prodotti come telefonini, computer e console di gioco, al cui funzione principale non ha nulla a che vedere con la registrazione digitale. Si è fatto notare che nell’UE, solo quattro stati prevdenono tasse sui diritti d’autore per il telefonini, i computer sono tassati solo in uno stato e nessun altro invece tassa le console di gioco. Il comma 2°, lett. b), dell’art. 53 del TUIR, stabilisce che sono, inoltre, redditi di lavoro autonomo quelli derivanti dall’utilizzazione economica da parte dell’autore inventore, di opere dell’ingegno, brevetti industriali e di processi, formule o informazioni relativi ad esperienze acquisite in campo industriale commerciale o scientifico, se non conseguiti nell’esercizio di imprese commerciali. Da ciò emerge che per l’utilizzazione economica di opere dell’ingegno la configurabilità del reddito di lavoro autonomo è subordinata al fatto che l’utilizzazione stessa sia effettuata da parte dell’autore o inventore; pertanto, se l’utilizzazione è effettuata da altri soggetti (eredi, legatari o cessionari) si è in presenza, per questi ultimi, di un reddito diverso ai sensi dell’art. 67, lett.g) del TUIR. Pertanto da luogo a reddito di lavoro autonomo78 l’utilizzazione economica, da parte dell’autore o dell’inventore, di brevetti industriali, processi, formule o informazioni relativi ad esperienze acquisite in campo industriale, commerciale o scientifico. Il contenuto della lett. b) dell’art. 53 è un elenco di diritti relativi a beni immateriali della cui cessione o concessione derivano al titolare redditi lavoro autonomo. 78 Cos’ come contenuto nelle istruzioni dei modelli di dichiarazione dei redditi. 48 Conclusioni Il lavoro, dopo aver brevemente ripercorso l’excursus storico a partire dal DPR n. 645 del 29 gennaio 1958, che ha contribuito all’evoluzione normativa dei redditi di lavoro autonomo fino ai giorni nostri, si focalizza sul regime di determinazione del reddito derivante dall’esercizio di arti e professioni che dopo le modifiche, le innovazioni e le integrazioni introdotte con le c.d. manovre fiscali dell’estate, dall’autunno e dell’inverno 2006 risulta profondamente mutato, in quanto stabilisce nuove e differenti regole in ordine a taluni profili relativi alla menzionata determinazione del reddito che tendono sempre più a conformare la tassazione dei redditi de quibus alla disciplina del reddito d’impresa, mediante il trasporto sostanziale di norme dal capo VI del TUIR al Capo V del Titolo I dello stesso TUIR. In effetto, in base alla novella in vigore dal 2007, il legislatore ha attribuito rilevanza, anche per i redditi di lavoro autonomo, alle plusvalenze (e minusvalenze) per beni strumentali impiegati nell’attività; queste fino al 2006 (cioè anno di entrata in vigore del decreto c.d. Bersani-Visco) erano assolutamente irrilevanti dal punto di vista tributario. Allo stesso modo la manovra finanziara radicalmente inciso su altri tre aspetti determinanti ai fini del computo dei redditi in parola, vale a dire il regime fiscale degli immobili impiegati nell’attività (incluso quello relativo alle spese di ammodernamento, ristrutturazione e manutenzione degli stessi) nel caso, e da ultimo il regime fiscale della cessione della clientela. Nel caso di cessione a titolo oneroso dello studio già avviato ad altro professionista. Dopo l’analisi delle varie tipologie di redditi di lavoro autonomo ex art. 53, commi 2 e 3 del TUIR ci si è soffermati sul regime impositivo di alcuni particolari redditi di lavoro autonomo: le opere d’ingegno nel diritto d’autore. I diritti di utilizzazione delle opere dell’ingegno sono disciplinati dagli articoli 2575-2583 del codice civile. In particolare, a norma dell’art. 2575 c.c. formano oggetto del diritto d’autore le opere dell’ingegno di carattere creativo che appartengono alle scienze, alla letteratura, alla musica, alle arti figurative, all’architettura, al teatro e alla cinematografia, qualunque ne sia il modo o la forma di espressione. Delineato il concetto di utilizzazione economica del diritto d’autore, il lavoro è proseguito con la disamina della disciplina fiscale applicabile all’opera dell’ingegno tutelato della legge n. 633/1941. La tassazione dei diritti d'autore segue regole diverse in relazione della tipologia di reddito dove vengono collocati dalla legislazione fiscale. L’elaborazione dottrinale è giurisprudenziale ha chiarito che i caratteri fondamentali per una qualificazione di questo tipo 49 risiedono nell’originalità, nella creatività o novità e nella concretezza: l’opera, cioè deve essere dotata di una propria autonomia e deve essere divulgabile e riproducibile. Tali redditi, si diversificano dal punto di vista del regime impositivo per le regole di determinazione forfetarie (piuttosto che analitica) dell’imponibile e la mancanza dell’obbligo di tenuta della contabilità. La ratio di tale deduzione forfetaria è stata rintracciata nelle obiettive difficoltà di determinazione analitica dei redditi prodotti dalla realizzazione di un “forma espressiva della manifestazione di un concetto, di un’idea” che, ovviamente, non lascia spazio per la possibilità di una determinazione analitica delle spese sostenute per realizzarlo. La deduzione analitica delle spese non è consentita neppure quando sia possibile dimostrare che i costi e gli oneri sono di entità superiore alla deduzione fissa. 50