SABATO 11 GIUGNO 2011 LA SICILIA .25 LE DOMANDE DI VITA ggi • società • idee • cultura • spettacoli degli studenti universitari La fuga dei cervelli. «No al mito del Nord. Qui non siete ascoltati? Fate partire un gioioso movimento di protesta. La selezione delle classi dirigenti non passa più da qui perché nessuno valorizza le nostre risorse umane» MARIA AUSILIA BOEMI Q uattro studenti e un docente universitario in pensione, Pietro Barcellona, impegnato in prima linea a creare a Catania un polo di eccellenza per porre un argine alla fuga dei cervelli dalla Sicilia. Quattro studenti e tante domande in comune: come rendere lo studio un percorso di crescita della persona? Come superare la frammentazione del sapere, specchio e conseguenza della frammentazione dell’io? Come mettere a frutto gli anni di studio al Sud, terra di emigrazione per eccellenza? Istanze normali di studenti normali, che diventano comune emergenza nella esperienza di vita di Alessia, studentessa di Ostetricia; Silvia, una laurea triennale in Scienze delle comunicazioni e un lavoro, mentre continua a studiare, in un call center; Giuseppe, anche lui una laurea triennale in Scienze delle comunicazioni e una passione per la musica che ha portato il gruppo in cui suona alle finali del concorso nazionale «Lucio Battisti»; Giuseppe, studente in Medicina e l’impegno nel volontariato. Ed è nello studio del prof. Barcellona che le domande dei quattro studenti prendono forma, trovando alla fine la quadratura del cerchio. Così, semplicemente, nella ritrovata consapevolezza che la realizzazione di sé altro non è che un fatto affettivo, di relazioni positive con gli altri. La maggior parte dei colleghi – sottolinea Alessia – sono interessati solo a prendere 30 agli esami, finire le lezioni il più presto possibile, sbrigarsi a dare le materie. E mi preoccupa questa apatia a 20 anni: uno dovrebbe studiare per diventare uomo o donna, non per essere una macchina. Come fare a non farsi conformare a questa logica, come rimanere se stessi? Barcellona: «La scuola e l’università sono lo specchio di come vive una società. E oggi la società italiana non vive bene. Non penso che la scuola e l’università oggi aiutino i giovani a crescere, a formarsi una capacità di stare al mondo adeguata alle sfide attuali. Le tue considerazioni sono una conseguenza del fatto che gli studenti non sono stati resi curiosi, non sono entrati in un ordine di cose che li ha affascinati. Se non c’è una forte motivazione a capire cosa è il mondo, lo studio frantumato e asettico non può appassionare lo studente. Bisogna rovesciare il tema: perché università e scuola non sono più capaci di presentarsi come spazi di arricchimento, valorizzazione e benessere, ma solo come luogo di transito di masse di studenti anonimi? Sono stato sempre persuaso che lo studio sia un’apertura su una visione del mondo. E le visioni del mondo sono sintetiche, sono cioè l’espressione concentrata dello spirito dell’epoca in cui si vive. Quello che si studia è il rapporto col mondo. L’assenza di visione è un guaio ed è ciò che avviene oggi, in cui si organizzano i piani di studi solo in base ai crediti e non rispetto al fine che si vuole raggiungere. Lo studente di oggi esce quindi dall’università senza arricchimento, senza curiosità, dopo che è stata uccisa in lui la creatività, virtù innata fondamentale nei giovani». Di fronte a un mercato del lavoro in cui non conta la preparazione o il titolo di studio – rileva però Silvia, che lavora in un call center – cosa ci dovrebbe spingere a rimanere in Sicilia o cosa potremmo fare noi per cambiare la situazione? Barcellona: «Il fatto di andare via non risolve quasi alcun problema. Facciamo un esempio concreto: una persona che ha una motivazione si laurea, fa un master, poi un progetto di alta formazione e con ciò acquisisce ulteriori competenze rispetto a quelle scolastiche. Questa competenza ulteriore non viene però riutilizzata – e questa è la tragedia siciliana – nella riproduzione di questa terra perché c’è una domanda di lavoro non qualificata. Produciamo materiale umano sempre più qualificato, ma c’è un mercato del lavoro non qualitativo. Il punto è che facciamo riforme scolastiche puntiformi, senza progetto, ma non produciamo più competenze che portino avanti la qualità della vita sociale. SOPRA: ALESSIA, GIUSEPPE, SILVIA E GIUSEPPE DURANTE LA CHIACCHIERATA CON IL PROF. BARCELLONA. SOTTO, IL PROF. BARCELLONA [FOTO ORIETTA SCARDINO] «Giovani, le coop culturali possono offrire un futuro» Barcellona: «Ma la creatività è solo un frutto dell’essere voluti bene» I QUATTRO STUDENTI “ Alessia Torrisi, 20 anni, frequenta il 2° anno di Ostetricia. Gioca a pallavolo ed è volontaria dell’associazione Cappuccini. Hobby: decoupage e lettura Lo studio è un’apertura su una visione del mondo, espressione concentrata dello spirito dell’epoca in cui si vive. E oggi c’è un’assenza di visione: lo studente esce quindi dall’università senza arricchimento, senza curiosità Giuseppe Ciotta, 34 anni, di Agrigento. Laureato in Scienze della Comunicazione. Suona la chitarra. Ha vissuto all’estero facendo diversi lavori. Ama scrivere Silvia Gagliano, 26 anni, nel novembre 2010 si è laureata in Scienze della comunicazione. Da anni è impiegata nel call center di una compagnia telefonica Giuseppe Anile, 23 anni, frequenta il 4° anno di Medicina a Catania. E’ stato 3 anni fuori sede a Ragusa. E’ volontario nell’associazione Cappuccini Dovremmo invece avere la capacità di modificare l’offerta e la domanda sociale di lavoro. Se restiamo fermi al puro appiattimento, all’esistente, produciamo sempre meno qualità. Dal punto di vista dei ragazzi, poi, questi, specie al Sud, hanno difficoltà enormi a lavorare insieme. Il movimento cooperativo giovanile al Sud quasi non esiste o comincia a esistere solo oggi. Questo è invece il futuro. Il futuro non è essere assunti in modo stabile in una azienda o in un ente pubblico, ma costruire una organizzazione del sapere che può fornire progetti e servizi alla società. In particolare, culturali. Oggi abbiamo infatti una domanda culturale, ma non un’offerta di servizi culturali adeguata. Ad esempio, in Valle d’Aosta sui castelli c’è una forte attività imprenditoriale legata alla produzione culturale. In Sicilia, dove abbiamo i castelli normanni più belli d’Europa, questi sono invece quasi tutti chiusi. La produzione di progetti o eventi culturali venduti ai privati potrebbe essere una attività autonoma di giovani riuniti in cooperativa. Si potrebbero valorizzare gli eventi culturali con i giovani impren- ditori di loro stessi, in un’ottica che non è quella del grande guadagno, ma quella di fare un lavoro divertente e di entrare in un determinato circuito. Sicuramente turismo e cultura sono spazi in cui si potrebbe lavorare in Sicilia. Bisogna quindi lavorare sulla piccola aggregazione, creare magari un’agenzia che aiuti i giovani con finanziamenti iniziali e facilitazioni, occorre riorganizzare le forze giovanili e stimolarle a credere in loro stesse. Si devono sollecitare i giovani a diventare imprenditori di loro stessi, non nel senso di fare impresa economica, ma di avvalorare un progetto, da allargare ad altri. Questa è l’epoca dominata dal mito dell’analgesico, cioè che tutti i dolori possibili possono essere eliminati con le pillole. A volte, invece, il dolore aiuta a pensare: e talvolta trovar- I DIALOGHI D’ARAGONA Pietro Barcellona ha insegnato in diverse università italiane, fra cui Firenze e Catania. Parlamentare del Pci (1979-1983), è stato membro laico del Csm (1976-1979). Editorialista del nostro giornale, Barcellona ha avviato a Catania dal 2010 una scuola di Alta formazione: «I Dialoghi d’Aragona». Per due settimane 40 giovani laureati provenienti da tutt’Italia s’incontrano con intellettuali di fama. Quest’anno i Dialoghi prenderanno il via il 15 giugno (al Camplus d’Aragona) con Etsuro Sotoo (scultore della Sagrada familia di Barcellona) e col poeta Davide Rondoni. Il tema: «Lo spazio umano e le culture mediterranee». si nelle difficoltà può servire a mettersi alla prova. E poi occorre fare una battaglia culturale: non può essere che le tragedie greche siano l’unico evento culturale della regione». Il problema – rileva però Giuseppe il «musicista» – è che ci si ritrova di fronte a tante porte chiuse. E accade soprattutto al Sud, dove c’è un atteggiamento di supponenza, di sufficienza, ci sono le cricche e gli isolotti scollegati tra loro, non c’è sinergia di intenti come al Nord... Barcellona: «Bisogna evitare di avere questo mito del Nord. E’ vero: il Nord è più ricco e quindi offre più lavoro. Ma non è detto che, qualitativamente, il Nord sia meglio del Sud. Ad Aosta, dove c’è una qualità di vita straordinaria, c’è il più alto numero di suicidi giovanili d’Europa. Dobbiamo invece partire dalle cose positive nostre: sicuramente noi abbiamo una proiezione verso la vita meno cupa di chi vive al Nord. Voi giovani non siete ascoltati? Fate partire un movimento giovanile con un manifesto, promuovete forme di lotta nuove di ragazzi che gioiosamente, ad esempio, scendono in massa in bici in città, paralizzandola. Non bisogna pensare che il Nord sia il paradiso e noi l’inferno, ma che noi possiamo essere più paradiso del Nord. Certo, negli anni ’70 Catania viveva un grande fervore culturale: oggi è più difficile perché la selezione delle classi dirigenti non passa più da qui. Perché? Perché nessuno ha l’obiettivo di valorizzare le risorse umane. Noi non consideriamo il capitale umano come un capitale rilevantissimo. Ma se facciamo un corso di eccellenza per 15 persone e mettiamo la pulce nell’orecchio di questa città sul fatto che occorre impostare gli studi in altro modo, noi avremo una ricaduta, nel senso che molte di queste persone dovrebbero essere rioccupate all’interno di questo terziario avanzatissimo che deve produrre consulenza sociale in senso ampio. Perché tutto ciò è necessario? Perché stiamo vivendo una frantumazione senza precedenti del sapere e c’è una specializzazione che sta toccando il parossismo: siamo arrivati a una scomposizione del lavoro pazzesca e, se questa è utile per andare in profondità, rende però rigido il cervello sociale. E accade così che a un certo punto non si fa più una certa cosa e uno resta fuori dal mercato. Dovremmo invece avere una impostazione degli studi in cui si recupera la dimensione sintetica dell’essere umano, che non può essere una specie di prisma di tutte le parti possibili: l’errore è quello di avere preparato le persone ad avere una conoscenza sì specialistica, ma non un cervello globale capace di vedere l’insieme delle cose, in modo da potere essere spostati rapidamente al mutare delle esigenze del mercato. E in questo ambito, i giovani dovrebbero ripensarsi come agenti del cambiamento e riorganizzarsi». Prendendo spunto da questa frammentazione del sapere e dell’uomo – si chiede quindi Giuseppe, studente di Medicina –, come diventare grandi nella totalità della persona, senza perdere nulla né del mio studio né dei problemi che pone la società? Ho infatti un desiderio grande di essere qualcuno, ma non per affermare me stesso, ma per un desiderio di bene che ho per me e per la società. Barcellona: «Bisognerebbe analizzarlo bene questo desiderio di essere qualcuno: potrebbe portare per la tangente alla ricerca di una gratificazione esterna. In realtà, il bisogno che abbiamo tutti è quello di sentirci voluti bene. Abbiamo bisogno di essere voluti bene per essere creativi. Ciò che bisogna cominciare a comprendere è che la realizzazione di sé non è principalmente un fatto esteriore di successo e riconoscimento, ma è un fatto affettivo di intensità di relazione con le persone con le quali si sta. Non per costruire un esercito di altruisti, ma per avere persone più ricche di sé, più sicure e, quindi, meno invidiose e con meno ansia di successo. Sapendo che questa visione della necessità di recupero di interiorità e complessità si realizza tenendo insieme tutti i fili della propria vita con coerenza e compattezza».