la crisi del - i nostri tempi supplementari

Il Trecento è in Europa, il secolo delle carestie e della peste, di violente
polemiche all'interno della Chiesa e di profondi conflitti sociali.
È il secolo in cui si formano i primi stati nazionali, quando l'impero perde
importanza e la Chiesa non pretende più di dominare politicamente il
mondo cristiano. Ma è anche il secolo in cui gli uomini di cultura comunicano in
modo nuovo i sentimenti del tempo: nuove esperienze fanno rinascere, cento
anni dopo, la fiducia nelle capacità dell'uomo.
Tra Trecento e Quattrocento si verificò l'Autunno del Medioevo, cioè il
tramonto dell'epoca che si manifestò nei diversi aspetti di crisi economicosociale e decadenza delle istituzioni politiche e religiose.
La crisi della vita economica e sociale
Diversi fattori determinarono la crisi dell'espansione economica e sociale
iniziata nel XI secolo:
-le carestie, dovute allo squilibrio fra la popolazione è la produttività agricola
aggravate dall'inasprimento del clima
-la peste che ebbe carattere ricorrente impedendo il recupero demografico
-le guerre che afflissero l'Europa in questo periodo causando incendi,
devastazioni e saccheggi sistematici
-la diminuzione del prezzo dei cereali, conseguenza del crollo demografico
-la scarsità di manodopera nelle campagne e quindi l'aumento dei prezzi
della manodopera
-la caduta dei redditi signorili e il conseguente inasprimento dei
rapporti di lavoro
-le rivolte contadine, tra le quali ricordiamo in particolare:
A)la Jaquerie francese (1358), ribellione di massa di alcune regioni della
Francia settentrionale contro le devastazioni provocate dalla guerra tra Francia
e Inghilterra
B)la rivolta dei contadini inglesi (1381) che si ribellavano a un'eccessiva
oppressione fiscale
C)la rivolta dei Ciompi (cardatori della lana) a Firenze (1378),
finalizzata al raggiungimento di miglioramenti salariali.
La crisi dell'istituzione imperiale
L'impero, che insieme alla Chiesa tanta importanza aveva avuto in epoca
medievale, dalla morte di Federico II (1250) in poi può essere considerato
vacante.
Fra il 1250 e il 1273 si verificò un periodo di anarchia chiamato il Grande
Interregno
Successivamente si susseguirono sul trono diversi imperatori che furono
soprattutto impegnati a dirimere le lotte feudali in Germania.
Dopo costoro fu eletto Enrico VII di Lussemburgo che si pose gli obiettivi di
affermare l'autorità imperiale e di perseguire principi di pace e giustizia.
Egli si propose di realizzare i suoi ideali non solo in Germania, ma anche in
Italia dove intervenne, su invito anche di papa Clemente V, appoggiato
inoltre dai ghibellini, per far valere i diritti imperiali. Tra i suoi sostenitori
vi fu Dante che nel Monarchia, affermò che il potere imperiale deriva
direttamente da Dio e che pertanto l'Impero è indipendente dal Papato.
Gli avversari guelfi, che avevano la loro roccaforte nel comune di Firenze,
capeggiati da Roberto d'Angiò, re di Napoli, gli opposero un'accanita
resistenza.
Dopo un vano assedio di Firenze, la spedizione di Enrico VII in Italia fallì.
Fu eletto poi Ludovico IV il Bavaro che proseguì la lotta contro il Papato e
scese in Italia nel 1327 facendosi incoronare imperatore in Campidoglio
dal popolo romano e insediò a Roma un antipapa, ma egli, osteggiato
dai guelfi e da Roberto d'Angiò, fu costretto a tornare in Germania.
A sostenere Ludovico si diffuse un ampio movimento di idee, che affermava la
derivazione del potere imperiale dalla volontà del popolo, sulla cui
sovranità anche la Chiesa si doveva fondare. Esponenti di questa corrente
ideologica furono Gugliemo di Occam, fautore di una riforma della Chiesa e
Marsilio da Padova che scrisse l'opera Defensor Paris.
A Ludovico successe Carlo IV di Boemia che abbandonò del tutto l'ideale
universalistico dell'Impero e si dedicò soprattutto all'organizzazione e
allo sviluppo dello stato di Boemia.
L'atto principale del suo governo fu la promulgazione della Bolla d'oro (1356)
per effetto della quale l'elezione dell'imperatore fu sottratta
completamente, anche sul piano formale, al Papa e fu affidata al voto di
sette grandi elettori di cui tre ecclesiastici e quattro laici.
Con questa legge l'Impero riuscì a sottrarsi alle ingerenze del Papato,
ma rinunciò al suo carattere universale in nome del particolarismo
feudale germanico.
Nel XV secolo l'Impero proseguì nel suo processo di decadenza: lo stato
germanico giunse al frazionamento in circa 400 fra grandi e piccoli stati,
comuni e città libere.
In seguito all'estinzione della Casa di Lussemburgo riprese il potere la
Casa d'Asburgo, che fondò su basi e prospettive politiche nuove la potenza
dell'Impero, puntando sull'elemento germanico e sulla propria forza
dinastica.
La decadenza del Papato
Contemporaneamente alla crisi dell'istituzione imperiale, si evidenziò, verso la
fine del secolo XIII, anche il processo di decadenza del Papato, che si
trovò a dover fronteggiare la nuova realtà politica delle grandi monarchie
nazionali.
I segni della crisi del Papato si manifestarono quando, alla morte di papa Nicolò
IV (1292), per oltre due anni non si raggiunse un accordo sull'elezione
del nuovo pontefice.
La situazione si aggravò quando il nuovo papà, Celestino V, eletto nel 1294
contro le sue inclinazioni naturali, trovandosi a disagio a contatto con la bella
vita della corte papale, dopo soli quattro mesi di pontificato, abdicò.
Gli successe Bonifacio VIII (fino al 1303) che volle affermare la
supremazia del papato ma dovette arrendersi di fronte al fallimento dei
suoi interventi e aprì la strada al buio periodo della Chiesa che venne definito
Cattività avignonese.
Gli atti principali dell'opera politica e religiosa di Bonifacio VIII in Italia furono i
seguenti:
-tenne prigioniero Celestino V fino alla morte (1296), per evitare il
pericolo di uno scismi da parte dei suoi sostenitori
-bandì una crociata contro la famiglia Colonna, che aveva ostacolato la sua
elezione
-istituì per la prima volta, allo scopo di riaffermare solennemente l'autorità
della Chiesa, il solenne Giubileo (1300), che vide affluire a Roma
numerosissimi fedeli da ogni parte del mondo
-intervenne nella politica interna di Firenze, appoggiando il partito dei
Neri contro i Bianchi e inviando in loro aiuto Carlo di Valois nel 1301.
-si intromise nelle vicende del Regno di Napoli e partecipò, parteggiando
per gli Angioini, alla guerra dei Vespri Siciliani, conclusasi con la pace di
Caltabellotta, che assegnò la Sicilia agli Aragonesi e l'Italia meridionale
ai Francesi.
L'oltraggio di Anagni
La serie di avvenimenti che decretò il fallimento della politica di Bonifacio
VIII fu causata dal contrasto con il re di Francia Filippo IV il Bello.
Convinto assertore del principio regalista della sovranità dello stato, spinto
anche dalla pressante necessità di mezzi finanziari, decise di imporre
decime agli ecclesiastici senza il preventivo assenso del Pontefice,
infrangendo i secolari privilegi della Chiesa.
Bonifacio VIII reagì invitando gli ecclesiastici a opporsi alla richiesta del
monarca ed emanando la bolla Unam Sanctam (1302), che proclamava la
supremazia del potere spirituale e la dipendenza dei sovrani dal Papa
anche sul piano del dominio temporale.
Si aprì in questo modo un contrasto che ricordava le tradizionali lotte fra
impero e Papato. Ma questa volta l'antagonista del pontefice non era un
imperatore alle prese con innumerevoli problemi e attorniato da troppi nemici
era il re di una monarchia forte e sostenuta dal consenso dei sudditi.
La differenza risultò già chiara quando Filippo convocò, per la prima volta
nella storia della Francia, gli Stati Generali (i rappresentanti della
nobiltà, del clero e dello stato, la borghesia). Gli Stati Generali
proclamarono che i poteri del sovrano discendevano direttamente da
Dio, senza la mediazione papale e decisero di sottoporre il pontefice a
giudizio di fronte ad un concilio generale.
Filippo IV mandò in Italia uno dei suoi consiglieri che, con l'appoggio della
famiglia Colonna, sorprese e catturò il pontefice nella sua residenza di
Anagni e poté rientrare a Roma, ma poco dopo morì (1303).
Il pontificato di Bonifacio VIII segnò la fine di un'epoca e l'inizio di un'altra.
L'episodio di Anagni non fu significativo soltanto per la sua drammaticità, ma
per i mutamenti profondi della realtà politica che esso esprimeva: il Papato
era ormai una potenza in declino, incapace di bloccare il rafforzamento
delle grandi monarchie.
Il papato avignonese
Concluso con la morte del pontefice il conflitto fra Bonifacio VIII e Filippo il
Bello, il Papato cercò di trovare un'intesa con la monarchia francese e il
tentativo culminò nell'elezione di un papa francese Clemente V.
Il nuovo pontefice rifiutò di recarsi a Roma per la consacrazione e,
successivamente, trasferì la sede papale ad Avignone (1309), allo sbocco
del Rodano, dando inizio a quel periodo di decadenza politica e corruzione
morale che fu definito cattività avignonese.
Ad Avignone, fino al 1376, si succedettero sette papi, tutti francesi: la
Chiesa trovò nella protezione del re di Francia la difesa dagli attacchi
dell'impero.
Ad Avignone il Papato rafforzò le sue già complesse strutture
amministrative e la Curia divenne un centro di affari. Le spese della
Curia toccarono livelli astronomici e la Chiesa inasprì la richiesta di
contributi e di decime in tutto il mondo cristiano. Tale politica, così
impopolare, provocò in molti paesi europei un distacco delle popolazioni
dalla Chiesa cattolica e fece dovunque decadere il prestigio
dell'istituzione papale.
Lo scisma d'Occidente (1378-1417)
Con Gregorio XI la sede pontificia ritornò a Roma (1377), ma subito dopo il
Papato fu sconvolto dalla crisi dello Scisma d'Occidente.
Il motivo principale della divisione fu il conflitto fra i cardinali francesi e
italiani.
Nel 1378 venne eletto un papa italiano Urbano IV, ma i cardinali francesi,
che costituivano la maggioranza del Collegio, ne invalidarono
l'elezione e nominarono un antipapa, Clemente VII, che stabilì la sua
sede ad Avignone.
La situazione si aggravò quando, dopo il Concilio di Pisa (1409), si giunse
alla contemporanea nomina di tre papi.
La Chiesa si trovò così soggetta a divisioni gerarchiche, sconvolta dalla
questione della preminenza del potere del Papa o del Concilio.
In questo periodo di decadenza dell'istituzione ecclesiastica nacquero e si
diffusero movimenti ereticali come quello di John Wycliff in Inghilterra
(movimento popolare dei Lollardi) e di Jan Hus in Boemia.
Per risolvere la crisi dello scisma d'Occidente venne convocato il Concilio di
Costanza (1411-1418): vennero in questa sede condannate le dottrine di
Wycliff e di Hus, furono deposti i tre papi ed eletto un nuovo pontefice
Martino V.
Il problema della supremazia dell'autorità papale o conciliare rimase ancora a
lungo aperto finché, dopo alterne vicende, che videro fra le altre l'elezione di
un nuovo antipapa e l'unione della chiesa greca alla latina, il papa
Niccolò V riuscì a porre fine allo scisma (1449), proclamando
definitivamente il principio della superiorità del papa su quella del
concilio.
Dal Comune alla Signoria
Il declino del Comune
Con la morte di Federico II e la successiva crisi dell'impero, era tramontata
in Italia la possibilità di dar vita a uno Stato unitario.
Alla crisi dell'impero erano seguite, nel corso della seconda metà del XIII e
per tutto il XIV secolo, quella del Papato e dei comuni, le due forze che
avevano ostacolato l'impero nel suo tentativo di estendere il suo dominio sulla
penisola.
Per quanto riguardava il Comune, gli elementi di debolezza che lo
caratterizzarono e che resero inevitabile il passaggio alla Signoria furono
numerosi:
-l'incapacità del Comune di allargare la partecipazione del popolo alla
vita politica
-l'eccessivo potere di gruppi di famiglie o di antica tradizione nobiliare
o più recenti affermatasi tramite un rapido successo economico
-le continue lotte tra fazioni che si esprimevano in guerre aperte e
alterne prese di potere che laceravano la vita delle città
-le tendenze espansionistiche di molti Comuni in ambito regionale.
La conflittualità radicata nella vita comunale portò a situazioni di vera e propria
ingovernabilità e rese naturale il passaggio alla forma di governo della
Signoria, in cui il potere era detenuto di fatto da un solo uomo, impostosi
generalmente per le sue doti personali.
Il passaggio dal Comune alla Signoria
L'evoluzione dal Comune alla Signoria avvenne generalmente secondo due
modalità:
-con il concorso della volontà popolare (nella maggior parte dei casi). In
questo caso si verificò uno dei seguenti avvenimenti:
A)i cittadini stremati dalle continue lotte interne affidavano il potere al
capo della fazione vittoriosa;
B)i cittadini riconoscevano signore un capo imparziale generalmente
un Podestà o un Capitano del Popolo che si era messo in luce per le
sue capacità personali in grado di promettere maggiore stabilità ed
equilibrio.
-Tramite una presa di potere violenta ad opera di qualche potente
feudatario o condottiero.
Il signore otteneva sempre, qualunque fosse il modo in cui si impadroniva del
potere, dagli organismi del Comune, una delega più o meno ampia: in altre
parole, veniva investito dal basso.
Caratteri della Signoria
Formalmente il Signore manteneva in vita i vecchi organismi del governo
comunale, Podestà, Capitano del Popolo, Consiglio Maggiore: venivano
salvate le apparenze della libertà comunale che, in sostanza, risultava
tuttavia annientata.
In pratica il Signore aveva nelle sue mani tutto il potere ed esercitava una
politica personale: l'origine di questo potere tuttavia, nato in genere da
situazioni di grave disordine politico e sociale, impegnava il signore a
presentarsi come un mediatore tra gli interessi contrapposti della
cittadinanza a imporre una giustizia più equa, a distribuire meglio e in
modo più equilibrato il carico fiscale.
Dalla Signoria al Principato
Per completare, dal punto di vista formale, la legittimazione del potere
signorile, alla delega dal basso si aggiungeva solitamente un solenne
riconoscimento dall'alto, da parte dell'imperatore o del Papa.
Il Signore assunse il titolo di vicario imperiale o papale, di conte,
marchese o duca. Il titolo divenne ereditario e il dominio personale si
trasformò in una dinastia stabile e duratura.
La Signoria venne così a mutarsi in un vero e proprio Principato, a
carattere dinastico e autoritario, ormai slegato completamente da ogni
base popolare.
Le principali Signorie e Principati che si imposero in Italia in questo periodo
furono: i Visconti a Milano, gli Scaligeri a Verona, gli Estensi a Ferrara, i
Gonzaga a Mantova, i Malatesta a Rimini, i Da Polenta a Ravenna, i
Monferrato, i Saluzzo e i Savoia in Piemonte.
Le compagnie di ventura
Fenomeno caratteristico dell'età delle Signorie e dei Principati fu
quello delle Compagnie di ventura, formazioni militari mercenarie
composte di soldati volontari al servizio di un condottiero.
Esse erano disponibili ad arruolarsi al servizio dei vari Signori a
seconda di chi offrisse un compenso più elevato.
I signori, per conservare il proprio potere nello stato in cui si erano
insediati, dovettero infatti sostituire le antiche milizie comunali e si servirono di
queste nuove formazioni mercenarie.
Dapprima le Compagnie di ventura furono composte quasi esclusivamente di
soldati stranieri. Successivamente si formarono anche Compagnie
italiane fra cui ricordiamo quella di Francesco da Bussone, conte di
Carmagnola.
Altri poi furono condottieri dell'epoca, le cui imprese audaci e violente
caratterizzarono la vita del secolo XV, tra i quali ricordiamo il figlio di Francesco
Sforza che divenne poi signore di Milano.