FACOLTA’ di SCIENZE MOTORIE
Corso di
FISICA APPLICATA ed ELEMENTI DI ELABORAZIONE INFORMATICA
Appunti delle
Lezioni di FISICA
redatte da Paola Brocca, Laura Cantù e Mario Corti,
con l’aiuto di Domenica Garoffolo
PERCHE’ FISICA A SCIENZE MOTORIE ?
Atleti, dilettanti, bambini imparano “istintivamente” a spingere l’altalena da su, da giù o ad andare
in bicicletta, sanno che per andare senza mani bisogna essere veloci, ma imparano dal maestro a
curvare con gli sci! Imparano dal “preparatore atletico” i “giusti gesti” per ottimizzare il risultato,
che in realtà non sono altro che l’applicazione di varie leggi fisiche.
- Ginnasta alza le braccia prima del salto, non è puramente estetico.
- Cosa distingue il lancio “giusto” o “sbagliato” del giavellotto o del peso, a parte la potenza
dell’atleta?
- Perché i blocchi di partenza?
- Jumping si fa con l’elastico e non con una corda di acciaio o di canapa.
- Dove sono montati gli scalmi della barca a remi?
- Trottola del pattinatore?
- Salti mortali rannicchiati e non distesi
- Mal di schiena, tendiniti?
Tutte queste sono situazioni che richiamano temi di fisica ed in particolare di meccanica.
CINEMATICA
Cominciamo con cose semplici.
Movimenti di un punto materiale ( ad es. un punto rappresentativo di un corpo) che si sposta su di
un percorso
- Percorso → traiettoria
Es. percorso della maratona o di una corsa
- molti atleti si muovono nella stessa traiettoria in modi diversi ( uno vince, uno perde…)
cioè con leggi orarie diverse – Legge oraria è quella che mi dice ad ogni istante dove sono stato e
dove sarò lungo il percorso. In allenamento si prepara una legge oraria adatta alle caratteristiche
dell’atleta che poi verrà il più possibile mantenuta nella gara (CONDOTTA DI GARA).
“Forzare l’andatura”, “imporre l’andatura” significa che un atleta impone agli altri la sua legge
oraria, quella adatta alle sue caratteristiche, o comunque che lui riesce a reggere. O anche, un
gregario “lepre”, che ha una legge oraria che non può sopportare per tutta la corsa, fa “gioco di
squadra” per favorire il suo compagno e “spompare” gli avversari.
- Velocità media si misurerà a fine gara
- Velocità istantanea
- Accellerazione media e istantanea
- Unità di misura in MKS o SI ( 100m/10 s → 36 Km/h ) 10m/s x 3600 sec/h = 36000 m/h
Per definire la posizione di un corpo nello spazio è necessario introdurre un sistema di riferimento,
cioè una terna di assi mutualmente ortogonali uscenti da un punto O chiamato origine (sistema
cartesiano a tre dimensioni). Per il moto che si sviluppa in un piano, basta un sistema di riferimento
con due assi. Per il moto unidimensionale rettilineo, basta una retta orientata come sistema di
riferimento.
Moti semplici regolari
Per intraprendere lo studio del moto dei corpi nello spazio, riduciamo il problema complesso (moto
di roto-traslazione in uno spazio a tre dimensioni) ad un problema più semplice in grado di fornirci
però gli elementi necessari a comprendere le leggi che lo governano. In questo capitolo confiniamo
la nostra trattazione al moto di corpi puntiformi che avvengono lungo una retta.
Velocità e accelerazione.
Si definisce la grandezza fisica velocità media come lo spostamento realizzato durante il moto
diviso per il tempo impiegato a realizzare tale spostamento:
x - xi
v= f
t f − ti
s
Se si indica con s lo spostamento e con ∆t l’intervallo di tempo scrive v =
∆t
s
La velocità istantanea sarà definita come lim∆t→0
∆t
Si definisce accelerazione media la grandezza fisica
v f − vi
∆v
t − ti
∆t
che rappresenta la variazione della velocità nell’unità di tempo.
∆v
La accelerazione istantanea sarà definita come lim∆t→0
∆t
a=
anche scritta a =
Nel seguito considereremo sempre l’istante iniziale del moto ti uguale a zero, ti = 0, così che il
tempo impiegato per la realizzazione del moto che si studia sarà semplicemente indicato con t
invece che ∆t.
Moto rettilineo uniforme.
Consideriamo un moto che avviene lungo una traiettoria rettilinea a velocità costante.
L’equazione che lega lo spazio percorso al tempo trascorso dall’inizio del moto deriva direttamente
dalla definizione di velocità
Legge oraria:
s(t) = vi· t
dove
s(t) = x (t)-xi è lo spostamento
Esercizi :
1) – Se Carl Lewis mantenesse la sua velocità sui 100 m ( supponiamo che percorra 100m in 10
sec.) per una intera maratona (42 km) che tempo realizzerebbe (anziché 2h 10min) ?
v = 10 m/s (36 km/h)
t = s/v = 42 ·103m/10m/s = 4200 s = 3600s + 600s = h e 10 min.
2) – Ridotta la velocità limite in autostrada da 140 a 130 Km/h, quanto tempo si impiega in più a
percorrere i 560 Km da Milano a Roma ?
t1 = s/v1 = 560km/(140km/h) = 4h
t2 = s/v2 = 560 km/(130 km/h) = 4,308 h = 4h 18 min
∆t = t2 – t1 = 18 min
3) Un automobilista starnutisce per 0,5 s guidando a 90 km/h. Quanto spazio percorre mentre
starnutisce?
v = 90km/h = 90000m/3600s = 25m/s
s = vt = 25m/s ·0.5s = 12,5 m
E se stesse viaggiando su una Ferrari a 300km/h?
s = v⋅t = 83.3m/s · 0,5 = 41,7m.
Moto rettilineo uniformemente accelerato
Consideriamo un moto che avviene lungo una traiettoria rettilinea con accelerazione a costante
⇒ velocità varia continuamente in modo uniforme e ricaviamo la legge oraria:
a = cost ⇒ v = v(t) non è più costante ma varia in modo proporzionale all’accelerazione,
v(t) –vi= a · t , equazione che non è altro che la definizione di accelerazione media ( a =
v f − vi
t
)
applicata al caso a = cost
Lo spazio percorso è stabilito dalla seguente legge oraria del moto uniformemente accelerato:
1
s(t) = a⋅ t2 + vi⋅t
2
Cioè in ogni istante la posizione sarà data dalla somma della posizione iniziale e di tutti gli
incrementi dovuti alla velocità, che però non è costante perchè anch’essa subisce a sua volta
incrementi a causa dell’accelerazione.
Nota. La dipendenza quadratica nel tempo si comprende risolvendo il seguente sistema
v f − vi

 a=
t

v f − vi
1

⇒ s(t) = a⋅ t2
v media =
2
2

 s = v media ⋅ t


che è composto da equazioni semplici dove si usa il trucco per cui lo spostamento si calcola come
avvenuto ad una velocità costante pari al valor medio tra la viniziale e la vfinale del moto reale.
Esercizi
1. Prestazione di una vettura : da 0 a 100hm/h in 10 sec.
Cosa significa? Che la velocità della vettura può essere aumentata da 0 a 100 Km/h in 10 secondi,
quindi è una indicazione sulle sue capacità di accelerazione. Quanto vale l’accelerazione media in
quei 10 s?
a=
∆v v f − vi 100km / h
100000m / 3600 s
=
=
=
= 2,77m/s2
t
t
10 s
10 s
Come si confronta la “prestazione” della forza di gravità con quella del motore della macchina?
Se la macchina accelerasse con a = +9,8 m/s2 in quanto tempo raggiungerebbe i 100 km/h?
a=
∆v
t
t = ∆v
a
t=
100 ⋅ 10 3 1 ms 2
= 2,83s
3,6 ⋅ 10 3 9,8 sm
In 10 secondi, quanto spazio percorre nei due casi?
Devo utilizzare la legge oraria del moto uniformemente accelerato : s(t) = ½ a t2 +vi t
con partenza da ferma cioè vi = 0
s(10 s) = ½ at2 = ½ ⋅2,77 ⋅ 100 = 140m
e
s(10 s) = ½ ⋅9,8 ⋅ 100 = 490m
2. Un giocatore di pallacanestro salta verticalmente fino a 76 cm di quota. Per quanto tempo si
trattiene nella fascia di quota più elevata e ampia 15 cm (da 61 cm a 76 cm) e quanto nella fascia a
più bassa quota dai 15 cm a terra?
Fig.1
Ogni moto di volo verticale (salita e caduta) vicino alla superficie della terra soddisfa le leggi del
moto uniformemente accelerato con a = -9.8m/s2.
Il moto da studiare in questo esempio è il moto di volo dal decollo (istante iniziale) al
raggiungimento della quota massima (istante finale, t’) alla quale la velocità si annulla vf = 0.
Essendo soggetto alla stessa a, il moto di ri-discesa è assolutamente simmetrico a quello di salita.
Devo nuovamente applicare la legge oraria del moto uniformemente accelerato s(t) = ½ a t2 +vi t
che lega lo spostamento verticale al tempo. Non conosco però con quale velocità vi (velocità
iniziale) il giocatore è partito da terra (decollato) per sollevarsi di 76 cm = 0,76m.
Posso ricavarla risolvendo l’equazione della legge oraria nell’istante finale utilizzando il tempo di
v f − vi
volo di salita ricavato dall’equazione a =
che è la definizione stessa di accelerazione media,
t
e la metto a sistema con la legge oraria.
Si cerca il tempo t’ che il giocatore impiega ad arrivare all’altezza massima di 76cm, s = h=0,76 m,
con agravità = -9.8 m/s2
0 − vi
-9.8 m/s2 =
t'
t’ = vi/g ; d’ora in poi indicheremo con g l’intensità dell’accelerazione di gravità: g = 9,8m/s2
sostituendo
h = vi t’ – ½ gt’2
h = vi vi /g – ½ g (vi/g)2 ;
h = ½ vi2/g;
vi =
2 gh =
(2 ⋅ 9.8 ⋅ 0,76) m/s = 3,86m/s
Partendo con velocità iniziale vi , il giocatore arriva all’altezza di 61cm = 0,61m al tempo t- e poi,
passando per l’altezza massima, ripassa all’altezza di 0,61m al tempo t+ . Il tempo richiesto ∆t di
permanenza al di sopra di 0,61m è dato da
∆t = t+ - t- , dove t+ e t- sono le radici dell’equazione di secondo grado
3,86 ± 3,86 2 + 4 ⋅ 0,61 ⋅ 4,9
9,8
3,86 − 1,71
3,86 + 1,71
e quindi t+ =
= 0,568s e t- =
= 0,219s,
9,8
9,8
perciò ∆t = 0,568 – 0,219 = 0,349sec.
0,61 = 3,86 t - ½ 9.8 t2; 4,9t2 – 3,86t + 061 = 0; t± =
Si confronti questo tempo ∆t con il tempo t* che il giocatore impiega a percorrere gli ultimi 15 cm
prima di ritoccare il suolo dopo il salto:
(spazio da h al suolo) = 0,76m = ½ gt02;
t0 =
0,76 ⋅ 2
= 0,394 s
9,8
(spazio da h a 15cm dal suolo) = 0,61m = ½ gt2; t =
e
0,61 ⋅ 2
= 0,353 s, quindi
9,8
t* = t0 – t = 0,041s << di ∆t !! Il cestista trascorre 35 centesimi di secondo nel tratto alto e solo 4
centesimi nel tratto basso (15cm): I cestisti sembrano rimanere “appesi” al canestro!!
Descrizione vettoriale del movimento.
In questo capitolo estendiamo lo studio del moto dei corpi al moto di corpi sempre puntiformi
(trascuro le rotazioni) ma che si muovono in uno spazio a più dimensioni. In particolare sarà
sufficiente trattare il moto in due dimensioni.
Per descrivere i moti che avvengono su di un piano o nello spazio, dobbiamo considerare la natura
vettoriale delle grandezze fisiche spostamento, velocità ed accelerazione, che abbiamo introdotto.
Tali grandezze sono caratterizzate da modulo (o intensità), direzione e verso. Quando si usano le
relazioni e le leggi che coinvolgono le grandezze vettoriali bisogna calcolare somme e prodotti tra
vettori.
Consideriamo il caso particolare di vettori in due dimensioni, cioè in un piano. Per rappresentare un
vettore utilizzeremo le sue componenti in un piano cartesiano. Supponiamo che Soldini debba
comunicarci la sua posizione nell’oceano, cioè deve descrivere il suo vettore posizione. Egli può
dare la sua longitudine e latitudine rispetto al meridiano ( Greenwich) e parallelo (equatore) di
riferimento
ϑs
Fig. 2
S
Xs
Ys
longitudine di Soldini
latitudine di Soldini

→
Longitudine e latitudine dicono quali sono le componenti cartesiane del vettore orientato R
vettore posizione di Soldini.
Ys = Rs sin ϑ s dove ϑ s
Xs = Rs cos ϑ s
( sin e cos sono funzioni che variano tra –1 e 1 così che il massimo valore di Xs o Ys è Rs ,
giustamente)
s
,

→
e
| R s | = Rs = (X2s +Y2s )1/2
(Pitagora )
Operazioni con i vettori :
Somma, con regola del parallelogramma; spostare i vettori lungo la loro retta di applicazione
finchè si trovano coda contro coda e costruire il parallelogramma,
Fig.3
oppure con componenti cartesiane, si sommmano le componenti cartesiane corrispondenti, dopo
aver disposto i vettori in un insieme di riferimento cartesiano e calcolato le componenti con cos ϑ e
sin ϑ .

→
Prodotto per uno scalare c · a , tra un vettore ed uno scalare è un vettore che ha la stessa
direzione e il modulo moltiplicato per lo scalare.
In particolare, moltiplicando per –1 , si trova il vettore opposto. La somma di un vettore con
l’opposto di un altro equivale a fare la differenza fra i due vettori.

→

→
Prodotto scalare a · b , tra due vettori dà luogo ad uno scalare, si moltiplica l’intensità
dell’uno per la proiezione dell’altro nella direzione del primo ( o viceversa),

→

→

→

→

→

→

→

→
a · b = | a | · | b | cos ϑ = b · a
poiché cos ϑ è simmetrico rispetto a ϑ = 0, cos ϑ = cos- ϑ
(proprietà commutative del prodotto scalare)
a · b è

→

→
max quando cos ϑ = 1 ⇒ a e b equiversi e paralleli

→

→

→

→
=0 quando cos ϑ = 0 ⇒ a e b sono perpendicolari ( non c’è componente di b lungo a ).

→

→
Si userà ad esempio per il lavoro meccanico L = F · s

→
Prodotto vettoriale

→

→

→

→
a ^ b , tra due vettori, dà luogo ad un vettore di intensità

→

→

→
| a ^ b | = | a | · | b | sin ϑ = - | b ^ a |
non commutativo, sin ϑ è antisimmetrico rispetto a ϑ = 0: sin ϑ = - sin - ϑ .

→

→

→

→
Il vettore a ^ b è diretto perpendicolarmente al piano che contiene a e b e col verso dato

→

→
dalla regola della mano destra: se a ruota verso b
lungo l’angolo minore
Fig. 4

→

→
Il vettore prodotto a ^ b esce dal foglio. Questo tipo di prodotto si incontrerà ad esempio, nel
calcolo del momento di una forza, quando una forza genera rotazioni anziché traslazioni

→
r →
M = R ^ F
Esercizio :
disporre due vettori di intensità 3 e 4 (spostamenti di 3m e 4m) in modo che la somma sia 7m, 1m,
5m
a) consecutivi, nella stessa direzione, stesso verso
Fig. 5
b) consecutivi, nella stessa direzione, versi opposti
Fig. 6
c) Perpendicolari, Pitagora | 32 + 42 | = | 52 |
Fig. 7
Moto del proiettile
Descriviamo il moto di un punto materiale (rappresentativo di un corpo) che viene lanciato, e
dunque segue una traiettoria in due dimensioni lungo una delle quali (quella verticale) sperimenta
un’accelerazione diretta verso il basso agravità = -9.8 m/s2 (caduta libera) e nell’altra orizzontale no
(accelerazione orizzontale = 0).
→

→
La velocità iniziale vettoriale vi , e la successiva velocità v (t) sono considerate
opportunamente in un sistema di riferimento cartesiano, in cui un asse è diretto verticalmente e il
verso positivo è verso l’alto. Sia ϑ l’alzo, cioè l’angolo di emissione.
Fig. 8
L’esperienza insegna che il proiettile (oggetto lanciato) cade. Se lanciato verso l’alto sale fino ad

→
un’altezza massima e poi scende. In ogni istante t del moto la velocità v (t) sarà diretta come la
tangente alla traiettoria.

→
Le componenti di v (t) lungo gli assi di riferimento, vx(t) e vy(t), dipendono da tempo t , ma sono
fra loro indipendenti. Si può dunque separare il moto in due dimensioni in due moti
unidimensionali.
Verifica dell’indipendenza dei due moti è nel fatto che filmati stroboscopici di due palline una
lasciata cadere, l’altra lanciata orizzontalmente mostrano che dopo tempi uguali le due palline si
trovano alla stassa quota.
Vix
Viy=0
Fig. 9
Il moto orizzontale non influenza il moto verticale.
Esercizi
1. Problema della scimmia
Quando la scimmia si accorge che il cacciatore le spara, si lascia cadere.
Fig.10
Dove deve mirare il cacciatore per prenderla?
L’accelerazione è in generale un vettore. Nel moto su un piano, l’accelerazione è definita da due

→
componenti:
a ≡ (ax , ay )
- moto orizzontale – lungo l’asse orizzontale il corpo in moto non sperimenta alcuna accelerazione,
ax = 0, dunque la componente orizzontale della velocità è costante
→
se vi
aveva componente orizzontale non nulla vi x = vi ⋅cos ϑ , questa si mantiene e sarà
x(t) = vi x t + xi
x(t) – xi = ( vi cos ϑ )t
spostamento orizzontale
sx = ( vi cos ϑ )⋅t
-moto verticale – accelerazione costante agravità, dunque moto uniformemente accelerato, se c’era

→
una componente iniziale v0y della velocità v , allora
1
y(t) = (-g)t2 + viy ⋅t + yi
2
1
1
y(t)-yi = (vi sin ϑ )t- gt2 spostamento verticale sy=(vi sin ϑ )⋅t- gt2
2
2
Traiettoria del proiettile
Abbiamo visto le leggi orarie in x e y ma la traiettoria? è in due dimensioni, disegnamola in un
riferimento cartesiano, vedendo per ogni posizione in x quanto vale y, cioè ricavando y = y(x).
Mettiamo a sistema; supponiamo di partire da xi = 0 e yi = 0 , per semplicità:
x
x = ( vi cos ϑ )t ⇒ t =
vi cos ϑ
1
y =( vi sin ϑ )t - gt2
2
1
x
( x) 2
g
- g
= x tg ϑ x2
2
2
cos ϑ 2 (vi cos ϑ )
2(vi cos ϑ )
g
(tg ϑ è costante perché è l’alzo iniziale;
è costante perché g è costante, vi pure,
2(vi cos ϑ ) 2
ϑ pure).
Questa è l’equazione di una parabola, del tipo y = ax2 + bx . La traiettoria è dunque una parabola.
Ha importanza sapere la gittata orizzontale , cioè a quale distanza D il proiettile toccherà il suolo
(che misura farò nel lancio?)
D
D = x-xi = (vi cos ϑ )t ⇒ t =
vi cos ϑ
1
Suolo → 0 = y – yi = (vi sin ϑ )t - gt2
2
2
1
D
D
- g
0 = vi sin ϑ
vi cos ϑ 2 (vi cos ϑ ) 2
y = sin ϑ ·
dividendo per D
sin ϑ
1
D
- g
0=
cos ϑ
2 (vi cos ϑ ) 2
⇒
D=
sin ϑ
2vi2 cos 2 ϑ
cos ϑ
g
= sin ϑ cos ϑ
2vi2
g
↓
sin2 ϑ
(trigonometria! 2 sin ϑ cos ϑ = sin2 ϑ )
v2
D = i sin2 ϑ
g
Questa equazione mi dice che misura farò a partire dalla velocità iniziale che riesco ad imprimere
all’attrezzo e all’alzo del tiro.
La funzione sin ha un andamento a max e min ⇒ si avrà un max quando sin 2 ϑ =1 ⇒ 2 ϑ = 90°
ϑ = 45° .
L’alzo iniziale di 45° darà il risultato migliore (assenza di vento, assenza di attrito, problema
semplificato).
Attenzione sin 2 ϑ è simmetrico intorno a 2 ϑ = 90° e dunque si avranno gittate uguali per angoli
equidistanti da 2 ϑ = 90° ⇒ ϑ = 45° (osservazione di Galileo)
Fig. 11
Esercizi
1 – Copione di un film: cascatore deve saltare da un terrazzo sul terrazzo di un palazzo vicino
distante 6,2m e più basso di 4,8m; la sua velocità sul terrazzo può essere 4,5 m/sec.
Accetta la parte?
Fig.12
Per cadere di 4,8 m impiega un tempo tc tale che y(tc) – yi = -4,8m = tc =
1 2
gt c
2
(−4.8) ∗ (−2)
= 0,99sec
9.8
Nel tempo di caduta tc = 0,99s quale distanza potrà coprire con la velocità iniziale ( e poi costante)
vix =4,5 m/sec?
d = x-xi = vix t = 4,5 · 0,99 = 4,5m
d = 4,5m è meno dei 6,2m che separano i due palazzi.
Il cascatore farà bene a rifiutare la parte.
Quale velocità iniziale min dovrebbe avere per avere delle chances?
6,2
= 6,2 m/sec
Vix =
0,99
2 – Salto di Bob Beamon a città del Mexico nel 1968: salto in lungo di 8,90m. Supponendo che la
velocità del decollo sia stata 9,5 m/s come per un centometrista, quanto vicino arrivò alla gittata
max (per assenza di resistenza aria).
v02
Dmax =
per sin 2 ϑ 0 = 1
( ⇒ ϑ 0 = 45°)
g
(9,5) 2
=
= 9,228m
9,78
∆ D = 9,228 – 8,90 = 0,328m
3 – Cestista
Fig.15
Quale velocità iniziale v0 deve avere la palla affinchè il cestista possa fare canestro se l’alzo iniziale
è di 55° rispetto all’orizzontale (le varie distanze sono indicate in Figura)?
Definisco sistema di assi cartesiano con origine nel centro della palla e assi paralleli agli assi
originari. In questo sistema di riferimento, la posizione del canestro è
xc = 4,2 – 0,3 = 3,9m
yc = 3 – 2,1 = 0,9m
L’ equazione della traiettoria è
g
x2
y = x tg ϑ 0 2(v0 cosϑ0 ) 2
Introduco nell’equazione i valori di yc, xc, tg 55° = 1,428 e ricavo il valore dell’unica incognita v0
9,8
0,9 = 3,9 x 1,428 x (3,9)2
2(v0 x0,574) 2
74,53
0,9 = 5,569 (v0 x0,574) 2
(0,9 – 5,569) (v0 x 0,574)2 = -74,53
v0 =
1
74,53
= 6,96m/sec
0.574 4.669
Forze e moto
Quando un oggetto cambia il suo stato di moto (da fermo si muove, o si ferma se si stava
muovendo, accelera o frena, o curva) per esperienza sappiamo che è avvenuta un’interazione
dell’oggetto con un altro corpo dell’ambiente circostante, al contatto o a distanza.
Il concetto di interazione prevede sempre la presenza di due corpi: un’interazione viene scambiata
tra due corpi.
A questa interazione associamo il concetto di forza. Questa associazione non è solo qualitativa ma
viene quantificata tramite una legge che collega forze e cambiamenti dello stato di moto dei corpi,
rendendo la forza una grandezza derivata nel sistema SI. Ciò avviene introducendo una grandezza
fisica fondamentale chiamata massa (m) che è caratteristica di ogni corpo materiale e che esprime
l’inerzia al moto propria del corpo quando viene sottoposto alla sollecitazione di una forza. Diciamo
che due corpi hanno masse diverse se assumono accelerazioni diverse quando sottoposte all’azione
della medesima forza. Questa massa si dice anche inerziale. Si misura in kilogrammi (kg) ed è una
grandezza scalare positiva.
La teoria del moto è riassunta dalle tre leggi formulate da Isaac Newton fondate sulle basi del genio
di Galileo Galilei .
Prima legge del moto.
Ogni corpo rimane nel suo stato di quiete, o mantiene il suo stato di moto a velocità costante, se
nessuna forza agisce su di esso o se la risultante delle forze ad esso applicate è nulla.
Questa proprietà del moto è detta anche “principio di inerzia” o “primo principio della dinamica” .
Velocità costante significa che il vettore velocità è costante, cioè non variano modulo, direzione e
verso. Quindi l’unico moto possibile in assenza di forze applicate è quello rettilineo uniforme.
(Tale legge non può essere verificata se si prende in considerazione un sistema di riferimento che si
muove di moto accelerato. Per esempio se utilizzo un sistema di riferimento solidale con l’abitacolo
di un’automobile o di un aereo che stanno accelerando o frenando, i corpi possono scivolare,
l’acqua contenuta in un bicchiere vi si può rovesciare addosso, come soggetta ad una forza. In realtà
ciò avviene proprio perchè questi corpi tendono a mantenere il loro stato di moto e ‘disubbidiscono’
alla variazione di velocità che ciò che è solidale col sistema di riferimento sta subendo.
I sistemi di riferimento nei quali si verifica la prima legge della dinamica si chiamano sistemi di
riferimento inerziali e sono da essa implicitamente definiti).
Seconda legge del moto.
Questa legge, formulata inizialmente da Galileo e poi riproposta da Newton, è detta anche “legge
fondamentale della dinamica”

→

→
F =m a

→
La forza F

→
è un vettore dato dal prodotto del vettore accelerazione a
per uno scalare m ed è

→
diretto come a . Questa legge, come si vede, è una legge vettoriale. Se più forze agiscono sul
corpo di massa m la legge vale per il “vettore risultante” che è la somma vettoriale di tutte le forze
che agiscono sul corpo. L’accelerazione è diretta come il vettore risultante delle forze.

→
Si possono definire le componenti di F
moto vale componente per componente
Fx = max
Fy = may
lungo gli assi del sistema di riferimento e la legge del
Fz = maz
L’unità di misura della forza è il newton (N) 1N = 1Kg m/ s2
E la relazione dimensionale è [N ] = mlt −2
[
]
Se la forza (o la risultante delle forze) applicata al corpo è nulla, è anche nulla l’accelerazione e,
visto che l’accelerazione è definita come la variazione della velocità divisa per il tempo, la
variazione della velocità sarà anch’essa nulla. Ciò significa che la velocità si mantiene costante.
Quindi, in assenza di forze applicate, il corpo rimane fermo se inizialmente era fermo e continua a
muoversi con velocità costante se inizialmente si muoveva, come già affermato dalla prima legge.
Terza legge del moto.
Dal concetto di forza, che esprime l’interazione tra i corpi, deriva anche quello che viene
comunemente detto “il principio di azione e reazione” o “terzo principio della dinamica”: ad ogni
azione corrisponde sempre una reazione uguale e contraria, cioè se due corpi A e B interagiscono in

→
modo che il corpo A eserciti una forza
F sul corpo B, allora il corpo B esercita sul corpo A una
→
'

→

→
forza F = - F . Si noti che le due forze NON sono applicate allo stesso corpo, F agisce su
→
B e F ' agisce su A. L’applicazione di questo principio è molto importante quando si considerano
le forze che si realizzano al contatto tra due corpi e in particolare per le forze applicate da muscoli,
tendini, legamenti e ossa del corpo umano.
Forze particolari
Forza gravitazionale
Newton, nel descrivere il moto dei corpi celesti, ha stabilito la presenza di una forza di interazione a
distanza tra due corpi che chiamiamo forza di gravità e ha fornito l’espressione che la governa:
mG1 mG 2
( legge di attrazione universale)
R2
dove mG 1 e mG 2 sono le masse gravitazionali dei due corpi, R è la distanza tra le due masse
(considerate puntiformi) e G è una costante numerica che vale 6,67 x 10-11 Nm2/kg2. 1 Nm2/kg2 è
anche 1m3/kg s2. Il segno meno sta a indicare che la forza è attrattiva. La forza gravitazionale viene
rappresentata con un vettore il cui modulo è dato dalla legge di Newton e che ha la direzione della
congiungente i centri di massa delle due masse. La forza di attrazione ‘sentita’ dalla massa mG 2
dovuta a mG 1, ha il verso che punta su mG 1 e contemporaneamente la forza di attrazione misurata
dalla massa mG 1 dovuta a mG 2, ha il verso che punta su mG 2m (le due forze sono l’azione e la
reazione della terza legge della dinamica.
Perchè nell’esperienza comune non si osserva che una matita attiri un’altra matita su un tavolo? La
forza attrattiva gravitazionale esiste fra di loro, ma è molto piccola (la costante G è molto piccola!)
ed è contrastata completamente dalle forze di attrito (che discuteremo fra breve). La Terra su cui
viviamo ha invece una massa molto grande, M = 5,97 x 1024 kg, e quindi può esercitare una forza
più che apprezzabile su altre masse, anche se piccole, come quella della matita (la matita cade dal
tavolo!).
Chiamiamo forza peso la forza di gravità FG esercitata dalla Terra su ogni corpo ad essa vicino e
che origina dall’interazione gravitazionale per la quale tutti i corpi si attirano fra di loro. La forza
peso viene spesso indicata con P, che agisce su un corpo di massa mG vale
FG = -G
M GTerra mG
M
≡ - g mG
con g ≡ G GTerra
2
RT
RT2
Dove MG Terra è la massa della Terra ed RT è il raggio della Terra (RT = 6370km). Il valore di g
risulta
P = -G
g = 6,67 x 10-11
m3
5,97 x10 24 kg
= 9,8 m/s2 e ha le dimensioni di un’ accelerazione.
3 2
2
2
kgs (6379 x10 ) m
La forza di attrazione gravitazionale alla quale una massa mG è soggetta vicino alla superficie di un
altro pianeta è diversa. Infatti la massa e il raggio degli altri pianeti sono diversi da quelli della
Terra e quindi g assume un altro valore! Si può dire che il peso di un corpo cambia sui diversi
pianeti o sulla Luna, mentre la massa gravitazionale è la grandezza fisica fondamentale propria di
ogni corpo.
E’ molto importante ora applicare la seconda legge della dinamica, o legge fondamentale della
dinamica F = m a, ad un corpo soggetto alla sola forza peso sulla superficie della Terra, cioè
quando F è la forza peso P ora definita.
F =ma
P =ma
-g mG = m a
Abbiamo voluto lasciare indicato il pedice G perché in principio non c’è ragione perché la
grandezza con le dimensioni di una massa che compare nella legge di gravitazione sia uguale alla
massa implicitamente definita dalla relazione di proporzionalità tra la F applicata e l’accelerazione
subita da un corpo data dalla seconda legge della dinamica. Si è tuttavia dimostrato
sperimentalmente che la massa gravitazionale mG (introdotta nella legge di attrazione universale e
la massa m, che si dice massa inerziale ed è definita tramite la seconda legge della dinamica, sono
uguali: hanno lo stesso valore. Questo permette di semplificare le due masse nell’equazione e di
ottenere
-g = a
che significa che l’accelerazione di una corpo soggetto alla forza peso sulla superficie della
terra vale
a = –g ≡ -9,8 m/s2.
NB l’accelerazione vale 9,8 m/s2 per tutti i corpi di qualsiasi massa. Infatti sui corpi con massa
maggiore vengono esercitate forze maggiori in modo proporzionale alla loro massa (corpi con
massa maggiore ‘pesano di più’), così da produrre sempre la stessa accelerazione.
Si è soliti assumere che g sia costante e che non dipenda dalla quota h alla quale ci si trovi al di
sopra della superficie terrestre. Questa è un’approssimazione molto buona nei limiti in cui h<< RT.
Infatti g diminuisce con la quota: per esempio, se h = 8000m (circa sul monte Everest!),
l’accelerazione di gravità g si riduce a
(6370000) 2
x g = 0.99749 x g = 9.7754 m/ s2
(meno del 2,5 per mille!)
2
(6378000)
Forze di superficie
Forze di contatto
Alla superficie di contatto tra due corpi si realizzano le forze che chiamiamo appunto di superficie e
che si dividono in forze di contatto e forze di attrito. Le forze di contatto
→
La forza normale FN è la forza che un corpo sperimenta quando è appoggiato su di una superficie.
Si chiama normale perché è sempre diretta perpendicolarmente alla superficie.
Se la superficie è orizzontale
FN
Fc
Fig.16
Piano orizzontale.
Calcolare l’intensità della forza normale applicata ad un oggetto di massa m fermo su un tavolo
orizzontale .
Per il primo principio della dinamica (principio di inerzia) se un corpo e fermo la risultante delle
forze ad esso applicate è nulla, cioè

→
→
P + FN = 0

→
In questo caso la forza normale FN è un vettore che ha lo stesso modulo e la stessa direzione del

→

→

→
vettore forza peso P , ma ha verso opposto. Quindi, il modulo di FN vale: | FN | = mg
Piano inclinato.

→

→
Nel caso di un piano inclinato dovrò tenere conto che FN può compensare solo la parte di P
diretta normalmente al piano (infatti se non c’è attrito il corpo scivola lungo il piano inclinato). Se
ϑ è l’angolo che il piano inclinato forma con l’orizzontale, il piano inclinato fornisce al corpo una

→
forza normale che in modulo vale | FN | = m g cos ϑ .
FN
Fig. 17
F
4 – Salto con molleggio
Un uomo con massa m = 70kg salta da un’altezza L = 2m. Arrivando al suolo, molleggia sulle
ginocchia per un tratto l = 0.2 m. Si calcoli la forza di reazione che il suolo esercita sui piedi
durante il molleggio. Si consideri il molleggio come una frenata che avviene con accelerazione
(negativa) costante.
Fig. 18
Cadendo da un’altezza L, all’istante in cui il piede tocca il suolo, la velocità Vs è data dalla
risoluzione del sistema di equazioni cinematiche per il moto uniformemente accelerato, con t0 il
tempo di caduta:
Vs = gt0
L = ½ gt02
Vs = (2gL) ½
La forza di reazione che esercita il suolo sul piede durante il molleggio è quella che imprime
l’accelerazione (negativa) a di frenata (più il peso del corpo mg).Il corpo si ferma in un tratto l .
Questa frenata si tratta con le equazioni del moto uniformemente accelerato.
0 = Vs – at
l = Vs t – ½ at2
(essendo t il tempo di frenata)
dalla prima equazione t = Vs /a che, introdotto nella seconda equazione, permette di calcolare a:
a = ½ Vs2/l
e con Vs = (2gL) ½
si ottiene:
a = g (L/l) e quindi la forza di reazione Fr = mg + ma è data da:
Fr = mg (L/l + 1) = 70 x 9,8 x (2/0,2 + 1) N = 7546Newton
Si noti che al peso si aggiunge una forza che è il peso moltiplicato per un fattore (“fattore di
caduta”) dato dal rapporto tra l’ampiezza del salto e il tratto di molleggio. Questa forza si trasmette
dal piede all’articolazione delle ginocchia e così via!!
Tensione
Quando una corda è attaccata ad un corpo e viene tirata, si dice che la corda è sotto tensione.

→
La tensione T cui è sottoposta la corde in ogni sua parte è una forza pari alla forza che si applica
sia al corpo sia alla mano che lo tira, ai due estremi della corda, ed è sempre diretta lungo la corda.
Fig. 19
Anche con una carrucola, cioè con la corda che si curva intorno ad una rotella, la tensione ha
intensità T lungo la corda. Una corda è utile in questo caso per cambiare la direzione e il verso di
applicazione di una forza: la mano tira verso il basso ma la massa è sottoposta ad una forza verso
l’alto.
Fig.20
I tendini del corpo umano sono corde e vengono utilizzati anche per variare la direzione di
applicazione delle forze esercitate dai muscoli.
Forza di attrito
L’attrito fa parte dell’esperienza quotidiana, nel bene e nel male! Da una parte fa consumare
più benzina (20% per motore e trasmissione), ma anche la suola delle scarpe, il battistrada delle
gomme e i gomiti del maglione, dall’altra consente il movimento, i nodi tengono, i chiodi fissano,
etc.. Un libro che scivola su un tavolo orizzontale si fermerebbe se non mantenessi una forza
costante che contrasta l’attrito: su una superficie ruvida, il movimento genera lui stesso una forza
che decelera il moto. Per mantenere in moto rettilineo uniforme un corpo che scivola sopra un
piano, bisogna applicare al corpo una forza che serva a neutralizzare questa forza “spontanea”(detta
di attrito), in modo che la risultante delle forze applicate sia nulla . Anche l’inizio del moto è
contrastato dalla forza di attrito (statico) che assume un valore uguale e contrario a quello della
forza che applico, fino a raggiungere un valore massimo (valore limite). Il corpo non si muove,
resiste al moto. Oltre quel valore limite, cioè se applico una forza sufficientemente intensa, il corpo
inizia a muoversi.
Situazione :
FN
P

→
Fig. 21 Un blocco appoggiato sul piano orizzontale è fermo.
→
verso il basso e FN verso l’alto sono uguali in modulo.

→
Se applico una forza F per spostare il corpo verso destra insorge una forza di attrito statico
P
→
→
il cui modulo vale | Fatt _ s | = µ s | FN | ( µ s è il coefficiente di attrito statico, il suo valore dipende
dalla natura dei materiali a contatto) esercitata orizzontalmente dal piano che uguaglia in

→

→
intensità F ma di verso opposto in modo che il corpo non si muove. Se aumento F aumenta
→
anche Fatt _ s
.
FN
Fatt
F
P
Fig.22 Diagramma delle forze applicate al blocco

→
Raggiunto un certo valore di
F il corpo ha uno “strappo” e comincia a muoversi nella direzione

→
→
di F , verso destra, ostacolato dalla una forza di attrito dinamico Fatt _ d , generalmente inferiore al
→
valore max di Fatt _ s (è più facile mantenere un corpo in moto che muoverlo da fermo).
(Il passaggio da un regime all’altro è all’origine degli stridii da attrito – quello, ad esempio, del
gesso sulla lavagna - o anche del suono del violino).
-
Proprietà dell’attrito riassunte :
→

→
1 – Corpo fermo : la forza di attrito statica Fatt _ s e la componente di F parallela alla superficie
hanno uguale intensità e si annullano.
2 – limite di scivolamento: la massima forza di attrito per due materiali posti a contatto è
proporzionale alla forza normale tramite un coefficiente di attrito statico µ s
→
→
| Fatt _ s (max)| = µ s | FN |.
µ s è un coefficiente adimensionale che assume valori diversi per diverse coppie di materiali..
3 – il corpo inizia a muoversi, il valore della forza di attrito decresce rapidamente fino a
→
→
| Fatt _ k | = µ k | FN | proporzionale alla forza normale tramite un coefficiente di attrito dinamico µ k ,
adimensionale e dipendente dalla coppia di materiali in considerazione.
→

→
→
→
Attenzione, | Fatt _ s | e │ Fatt _ k | sono proporzionali non a | P | ma a | FN | , quindi nel caso di un

→
→
piano inclinato bisogna considerare la componente di P perpendicolare al piano. FN equilibra

→
solo la parte di P perpendicolare al piano.
→
→
Attenzione : le equazioni per | Fatt _ s | e | Fatt _ k | non sono vettoriali: le forze di attrito non sono
→
dirette come la forza normale FN , ma parallele al piano.
Durante una corsa : allo scatto si usano i blocchi di partenza per sfruttare la reazione del blocco alla
forza muscolare di spinta. Data l’inclinazione dei blocchi, la forza di reazione del blocco sul atleta
si massimizza nella direzione del moto.
⇒ si fa uso della “azione-reazione”
Fig. 23
Durante la corsa si sfrutta il coefficiente di attrito statico per mantenere un piede fermo a terra
mentre l’altro avanza. Per non superare il limite di scivolamento all’indietro del piede di appoggio
la forza che si esercita sul terreno deve avere una componente normale al terreno di intensità
opportunamente elevata. In ogni caso se µ s è basso, si ha l’effetto del camminare sul ghiaccio.
L’uso di scarpette chiodate non aumenta il valore di µ s , che è il coefficiente d’attrito tra due
superfici “lisce”, piuttosto hanno una funzione simile a quella di mini blocchi di partenza:
permettono di esercitare una forza sul tartan lungo la direzione del moto, cioè parallelamente alla
pista.
Resistenza del mezzo
Consideriamo un corpo che si muove in aria. Esso incontra una resistenza da parte dell’aria che
agisce in modo da opporsi al movimento del corpo, cioè ha la stessa direzione e verso opposto a
quella del moto.

→
D forza di resistenza del mezzo o forza aerodinamica (detta anche forza viscosa) si

→
1
| D |=
cρAv2
(limite di alte velocità e/o alte viscosità)
2
D è proporzionale al quadrato della velocità (termine v2 ). Inoltre D è proporzionale ad A, l’area
efficace della sezione trasversa. (l’area presentata dal corpo nella direzione del moto; vedi la
posizione a uovo dei discesisti di sci o dei ciclisti).
ρ è la densità del mezzo. E’ intuitivo che la resistenza D dipenda dalla densità del mezzo: infatti il
corpo, per procedere, deve “farsi strada” spostando le molecole del mezzo. Quindi più il mezzo è
rarefatto, più è facile “farsi strada” e inferiore è la resistenza D. Con c si indica il coefficiente di
penetrazione (il cosiddetto cx, che dipende dalla forma geometrica del corpo) . La forma (oltre che
l’area efficace A) influenza la resistenza opposta dal mezzo perché una ottimizzazione della forma
(affusolata, migliorare il Cx) porta a ridurre la formazione di turbolenze nell’aria intorno al corpo.
Casco dei ciclisti o discesisti con forma a punta posteriore :
non riduce la sezione trasversa A, ma
piuttosto migliora il Cx.
Fig. 24
Nel nuoto, lo sbattere i piedi serve soprattutto per mantenere il corpo orizzontale e quindi a ridurre
la sezione A. Il lavoro viene fatto per lo più dalle braccia (75%).
In acqua anche se la velocità v è bassa, D è significativa perché la viscosità del mezzo è grande.
Per ridurre le turbolenze negli sport di velocità diventa essenziale utilizzare accorgimenti quali:
nascondere dadi e cavi nelle biciclette, togliere cerchietti delle racchette da sci. Tagliare i capelli o
rasarsi le gambe sono sempre modi di ridurre anche le piccole turbolenze.
Velocità limite di caduta di un grave in aria.
→
La forza D di frenamento durante la caduta libera li un corpo in aria ha verso opposto a quello

→

→
della forza peso P che accelera il corpo verso il basso. Se P è costante, il corpo accelera con

→
accelerazione g , i.e. aumenta la velocità verso il basso, ma aumentando v, dunque v2, aumenta
→

→
D. Ciò prosegue finché D diventa di intensità uguale P con verso opposto : D = - P
→
→
A questo

→
punto, la risultante delle forze agenti sul corpo in caduta è nulla ( ∑ F = D + (- P ) e dalla
→
seconda legge (fondamentale) della dinamica si ha che l’accelerazione
a del corpo è nulla.
⇒
Il corpo non accelera più, e mantiene velocità costante massima. La velocità raggiunta, detta
velocità limite vlim , è tale da verificare l’uguaglianza
1
D = cρAvlim2 = mg = P
quindi ⇒
vlim = (2mg/ cρA) ½ .
2
La vlim raggiunta dai paracadutisti può essere variata modificando A tramite dei cambiamenti
dell’assetto in volo. Questo permette ai paracadutisti di raggiungersi per fare figure in aria.
L’apertura del paracadute fa aumentare di molto A rendendo la velocità limite molto più bassa.
Anche le gocce di pioggia raggiungono la velocità limite (v ≈ 7m/sec in 6m) nella loro caduta. Ad
esempio, cadendo da 1200m le gocce di pioggia raggiungono la terra con la velocità limite di circa
7m/sec e non con la velocità di 150m/sec che avrebbero, se non ci fosse l’azione di frenamento D
(dei veri proiettili!).
Senza D 
→ vfin = 150m/s
Con D 
→ vfin = vlim = 7m/s
Fig. 25
Forza elastica
La forza elastica è una forza non costante.
L lunghezza di riposo della molla
Fig. 26
Una massa m è vincolata ad una parete con una molla. Se tiro la massa, la molla si estende,
diciamo di un tratto x. La molla esercita una forza di richiamo proporzionale all’allungamento x
(più si allunga, maggiore è la forza F di richiamo).
F = -kx
“richiamo” cioè di verso opposto all’allungamento. Ecco la ragione del
segno (-)
Se, raggiunta una certa estensione la molla viene rilasciata, essa si ricomprimerà, ritornerà alla
lunghezza di riposo L, poi si schiaccerà di un tratto x dalla parte opposta e nuovamente agirà la
forza di richiamo (che è variabile in quanto varia con il variare di x). La massa oscilla attorno alla
posizione di riposo; k è la costante elastica della molla.
L’espressione della forza elastica vale per i respingenti del treno (k grande), come per la molla della
biro (k piccola), come per l’elastico del saltatore dal ponte.
Impulso di una forza
La legge fondamentale della dinamica F = ma può essere scritta esprimendo l’accelerazione con la
sua relazione definitoria (vf - vi)/t :
v f − vi
e quindi
portando il tempo t al primo membro
F=m
t
F ⋅ t = m ⋅ (v f − vi ) oppure F ⋅ t = m ⋅ ∆v
Si dice “impulso “ di una forza il prodotto della forza per il tempo durante il quale viene applicata,
F ⋅ t (se la forza non è costante, l’impulso è l’integrale della forza nel tempo in cui viene applicata).
Scritta in questo modo, l’equazione fondamentale della dinamica può essere letta così.
1) Supponiamo che un corpo vari la sua velocità di una quantità ∆v = vf - vi , tanto più lungo è il
tempo t durante il quale questa variazione avviene, tanto minore è la forza che deve essere
sviluppata per ottenere tale variazione della velocità. In questi termini si capisce ad esempio l’utilità
delle cinture di sicurezza che allungando i tempi durante i quali, in caso d’incidente, la velocità del
passeggero (che non è solidale con la vettura) passa da un valore vi iniziale a zero, determina una
riduzione della la forza cui il passeggero stesso è sottoposto durante il breve tempo dell’impatto (la
forza che le ossa e le articolazioni possono sopportare è limitata).
Si vede anche come funziona l’elastico del jumper, finchè l’elastico non è completamente svolto
(<L). la forza che agisce sul jumper è P (la forza peso), poi progressivamente la forza elastica di
richiamo contrasta P, quindi il jumper decelera progressivamente per un lungo intervallo di tempo e
lo ‘strappo’ (F applicata), necessario per contrastare P e fermare il jumper, applicato sulle sue
gambe, e a cascata su tutte le sue articolazioni (secondo il terzo principio), è di entità minore.
2)L’impulso totale prodotto F ⋅ t , nella direzione ottimale, è la grandezza fisica che stabilisce
l’efficacia di un gesto di spinta o di lancio, non la massima forza espressa o la durata dell’azione di
spinta!
Lavoro di una forza – lavoro meccanico

→
-
1° caso : Forza costante F .

→
Immaginiamo una forza F che agisce su un corpo durante il suo spostamento. Immaginiamo cosi
→
che il punto di applicazione di questa forza si sposti nello spazio di un tratto s . Viene detto

→
lavoro della forza F la quantità

→
→

→
L = F · s = F · s· cos ϑ
→
(prodotto scalare tra i due vettori)
s
Fig. 27
→
(prodotto scalare di F per s )
Il lavoro è una quantità scalare, cioè è descritta completamente da un numero, da un valore. Tale

→
→
valore può essere positivo o negativo a seconda che la componente di F lungo s sia equiversa o
→

→
→
di verso opposto a s . Se F e s hanno la stessa direzione e se lo spostamento avviene nel

→
senso di F diciamo che il lavoro è positivo (e viceversa, negativo). L’intensità del lavoro può
→

→
variare tra un valore massimo e uno minimo, per gli stessi valori del modulo di s e di F , a

→
seconda del valore di cos ϑ . Il lavoro è massimo per cos ϑ = 1 (cioè per ϑ = 0), ( F diretto come
→

→
→
s ). Il lavoro è minimo ( L = 0) per cos ϑ = 0, cioè per ϑ = 90°, ( F perpendicolare a s ).
Può darsi il caso che più forze agiscono sullo stesso punto. Allora, si può calcolare il lavoro totale è
la somma dei lavori di tutte le forze applicate

→ →
Ltot = ∑ Li = ∑ ( Fi ⋅ s )
Dimensioni di L :
[ L ]= [ F ][ s ] = m· l · t-2 · l = ml2 t-2
Unità di misura di L :
1 joule = 1N · 1m
( 1J )
Lavoro della forza peso durante la caduta di un grave.
Un grave cade vicino alla superficie della terra sotto l’azione della forza di gravità, cioè sottoposto
ala forza peso P diretta verso il basso percorrendo un dislivello h . Il lavoro compiuto dalla forza
peso si calcola come
→
→
LP = P · s = P· s· cos ϑ
notando che lo spostamento s (verso il basso) e la forza P sono paralleli con verso concorde,
pertanto ϑ = 0 e cos ϑ = 1, e che | P| = m· g, si ottiene
LP = m· g· h
per uno spostamento s = h (dislivello)
Lavoro meccanico nel sollevamento pesi.
Durante questo gesto, sul bilanciere oggetto dell’applicazione delle forze, si esercitano la forza peso
P e la forza muscolare dell’atleta. Naturalmente entrambe le forze lavorano ma i due lavori si
oppongono uno all’altro (ricorda che il lavoro può essere positivo o negativo). Il lavoro positivo
deve essere nel verso del moto quindi è quello della forza muscolare dell’atleta, il lavoro di P invece
è negativo e se il bilanciere si alza di una quota h si calcola facilmente seguendo il procedimento del
paragrafo precedente ottenendo LP = - m·g·h ( ϑ = π e cos ϑ = -1 ). Calcoliamo il lavoro della
forza musculare seguendo l’esempio qui proposto.
Esempio:
Un atleta solleva un bilanciere di peso 2500N all’altezza di 2m (sopra la sua testa)
Quanto lavoro meccanico compie la sua forza muscolare?
Supponiamo che il sollevamento avvenga a velocità costante, con accelerazione nulla, allora il per il

→
primo principio della dinamica le forze applicate al bilanciere devono essere tali che ∑ Fi = 0 .
Quindi la forza peso P = m· g deve essere controbilanciata dalla forza applicata dall’atleta Fm.
→
→
Quindi Fm = - P
con
Fm = 2500N
Il lavoro La fatto dall’atleta vale:
→
→
Lm = Fm · s = 2500 N · 2m · 1 = 5000 J (sollevamento verticale , quindi ϑ = 0 e cos ϑ = 1)
Quanto lavoro fa la forza peso?

→
→
Lp = P · s = 2500 · 2 · (-1) = -5000 J
(perché ϑ = π e cos ϑ = -1)
Quanto lavoro fa l’atleta mentre sostiene il peso fermo sopra la testa?
L = 0 perché non c’è spostamento.
Qui si parla di lavoro meccanico, non di lavoro fisiologico, diciamo che si fa fatica perché c’è da
mantenere integro” un corpo non rigido che è il corpo dell’atleta, quindi si il lavoro delle
contrazioni muscolari per mantenere l’equilibrio e “l’integrità” è la misura del lavoro fisiologico
necessario anche se il lavoro meccanico compiuto è nullo .
2° caso : Forza variabile
Nel caso in cui F è una forza variabile che dipende dalla posizione, ogni volta che avviene uno
spostamento ∆ x la forza cambia. Il lavoro totale sarà la somma dei lavori elementari fatti sui tratti
piccoli sui quali la forza può essere assunta costante
Ltot = ∑i F ( xi ) ⋅ ∆xi .
( Se si fa il limite per ∆ xi piccolo → 0 e la ∑ i è l’integrale Ltot = ∫
xtin
xin
F ( x) ⋅ d x )
Ad esempio la forza F può essere la forza di richiamo di una molla vincolata al muro.
L’intensità della forza elastica varia durante lo spostamento aumentando con l’allungamento (o la
compressione) della molla ed ha la direzione parallela allo spostamento, ma può avere verso
concorde o discorde, quindi con cos ϑ che vale o +1 o –1.
Immaginiamo di avere un blocco attaccato alla molla e di tirarlo da Xin a Xfin , allora
F(x) = - kx
Fig. 28
Il lavoro della forza elastica si calcola sommando i lavori infinitesimali compiuti per spostamenti
infinitesimi durante i quali la forza si assume costante. Ciò è rappresentato graficamente nel calcolo
l’area compresa al di sotto della curva del grafico di F (Fig 28/A). In figura si è cambiato il segno
della funzione forza per comodità di rappresentazione.
F= k⋅x
F
k⋅xfin
LAB= -area
k⋅xin
0
Xin
Xfin
x
Fig 28/A
Area = differenza aree dei due triangoli =
1
1
x B ⋅ kx B − x A ⋅ kx A
2
2
Ricordandoci del segno
1
1
Lin,fin = − kx 2fin + kxin2
2
2
1
e in generale L = kx 2
2
Se si calcola il lavoro della forza di richiamo durante un allungamento della molla si ha lavoro
negativo, mentre durante il ritorno alla posizione di equilibrio il lavoro è positivo (segno dello
spostamento x e della forza concordi)
Energia cinetica
Il termine “energia” indica la capacità di compiere lavoro. L’energia cinetica è la proprietà che
rende conto quantitativamente del legame fra il lavoro compiuto ed il moto generato.
Avevamo detto più o meno lo stesso parlando della seconda legge della dinamica riferendoci alle
forze. Qui, col lavoro, non è necessaria la descrizione dettagliata delle forze che agiscono sul
punto in considerazione. E’ sufficiente conoscere il loro lavoro totale.
1
L’energia cinetica: K = mv2 (> 0 perché m > 0 v2 > 0 ) (m e v sono la massa e la velocità del
2
corpo).
[
]
L’unità di misura e le dimensioni di K sono le stesse del lavoro : Joule ( J ) e [K ] = ml 2t −2 .
Teorema dell’energia cinetica
Se una forza F compie un lavoro L su un punto materiale di massa m, si ha una variazione
dell’energia cinetica pari al lavoro compiuto
L = Kfin – Kin = ∆ K.
Nel caso che più forze agiscono sul punto materiale, il teorema dell’energia cinetica si applica al
lavoro totale (equivalentemente al lavoro della risultante ).
E il caso dell’atleta che solleva il peso di 2500N ? Sappiamo che ha compiuto un lavoro di 5000J,
ma il bilanciare con i pesi era fermo all’inizio ed è fermo alla fine. Quindi Kin = 0 e Kfin = 0
perché vin = 0 e vfin = 0. Allora il teorema dell’energia cinetica?
Vale per il lavoro totale o lavoro della forza totale, e noi abbiamo visto che la forza netta totale = 0 (
Fa + P = 0 ) ed il lavoro totale è nullo, quindi giustamente si ha ∆ K = 0
1)Caso di una palla da tennis che cade :

→

→
la forza peso P compie un lavoro positivo con spostamento concorde a P ; si dovrebbe avere
∆ K > 0, infatti la velocità v aumenta.
2)Caso di una palla lanciata verso l’alto:

→
lo spostamento ha verso opposto a P . Il lavoro della forza peso è negativo e quindi ∆ K è
negativo: giusto! La velocità diminuisce.
NB. Durante il volo agisce solo la forza di gravità quindi il lavoro totale comiuto sul corpo è solo
quello della gravità.
3)Caso del moto circolare uniforme:
la forza che agisce è la forza centripeta che è perpendicolare allo spostamento. Quindi non compie
lavoro: deve essere ∆ K = 0. Iinfatti il moto è uniforme, cioè la velocità è in modulo costante.
Potenza
Si chiama potenza il lavoro che si è in grado di svolgere nell’unità di tempo.
L
P=
( potenza media )
∆t
∆L
( potenza istantanea)
∆t
Non è solo una stima del lavoro compiuto, ma anche della rapidità con cui si compie lavoro.
P = lim ∆t →0
Fig. 29
Per superare il muro ci vuole un certo lavoro che consiste nell’innalzare il proprio corpo di
un’altezza h. Sia l’atleta che lo supera in un sol balzo, sia il vecchietto che sale pian piano la
scalinata faranno lo stesso lavoro. Quel che è diverso è la potenza dei due personaggi.
Dimensioni e unità di misura della potenza:
[P] = [L] [t-1] = [ml2t-3]
1 watt = 1 joule / 1sec
(1w)
Energia Potenziale
K è energia connessa allo stato di moto di un sistema. C’è anche energia connessa alla posizione di
un corpo in un campo di forze (configurazione). Si chiama energia potenziale.
Nel caso dell’atleta di sollevamento pesi, il lavoro compiuto dall’atleta Lm non ha alterato l’energia
cinetica K dell’attrezzo, ma ha modificato la configurazione del sistema (terra-attrezzo) variandone
l’energia potenziale (W).
Il lavoro non è stato sprecato ma “immagazzinato” : l’attrezzo prima è a terra, poi è in alto nel
sistema che ora “potenzialmente” può compiere un lavoro, cedendo la sua “energia potenziale”.
Energia cinetica ed energia potenziale sono due parti dell’energia meccanica: possono trasformarsi
l’una nell’altra ed in lavoro.
Nell’esempio precedente, quando l’attrezzo è in alto si ha che K = 0 e W = WA . Quando cade, K
aumenta perché la velocità v aumenta e l’energia potenziale W diminuisce. In basso W = WB < WA
e K è massima. L’attrezzo cadendo può compiere lavoro. Se fosse un martello potrebbe far
avanzare un chiodo, ad esempio.
L’energia potenziale viene definita proprio a partire dal concetto di lavoro di forze conservative.
E’ conservativa una forza il cui lavoro per spostare il suo punto di applicazione da una posizione
(configurazione) ad un’altra dipende solo dalle due posizioni (configurazioni) iniziale e finale.
Equivalentemente si può definire la forza conservativa dicendo che il lavoro di tale forza è nullo se
le posizioni (configurazioni) iniziali e finali coincidono.
-Lavoro per passaggio dalla posizione A a B è lo stesso
lungo I o II
-Se da A vado a B e torno in A il lavoro totale è nullo.
Fig. 30
Posso allora definire una funzione della posizione W che assume i valori WA e WB in A e B e
tale per cui
LAB = WA – WB
( W energia potenziale)
WA, WB sono definiti a meno di una costante, tanto quello che interessa è la differenza fra loro.
Variazione di energia potenziale del passaggio da A a B :
WB – WA = ∆ W ,
allora LAB = - ∆ W
Con questa convenzione sui segni si rende conto del fatto che un lavoro positivo ( fatto dalle forze
conservative sul corpo) fa diminuire l’energia potenziale W ( L positivo 
→ ∆ W negativo 
→
→ ho usato energia potenziale) un lavoro negativo (subito) aumenta W (L
W B< W A 
negativo 
→ ∆ W positivo 
→ WB> WA 
→ ho guadagnato energia potenziale).
W si misura in Joule, come il lavoro e l’energia cinetica.
Qual è la Forma di W?
1
Mentre la forma dell’energia cinetica è sempre K = mv2 indipendentemente dal tipo di forze
2
che provocano il movimento, W dipende dal tipo di forza conservativa di cui si sta calcolando il
lavoro. Consideriamo due forze conservative :
a) Forza gravitazionale, forza peso
F(y) = -mg
Stato di riferimento y0 = 0 in cui W0 = 0
Fig.31
Abbiamo detto che
LAB = WA- WB
ma siccome
LAB = P ⋅ s = − mg ⋅ (− h AB ) dove hAB= yA-yB è la distanza tra A e B allora
⇒ WA = mgyA; WB = mgyB e in generale W(y) =mgy
1
Per la forza peso W(y) =mgy e l’energia totale meccanica (W+K) = mgy+ mv2=Etot
2
b) Forza elastica
Fig. 32
F(x) = -kx
Stato di riferimento x = 0, allungamento
nullo; la lunghezza della molla è la sua
lunghezza di riposo L ( W(0) = 0)
Immaginiamo che la configurazione della molla venga modificata passando dalla posizione xA alla
posizione xB. (Fig 32)
Il lavoro della forza elastica è calcolato come
1
1
LAB = − kx B2 + kx A2
2
2
Ricordando che
LAB = WA- WB
possiamo ricavare l’espressione per l’energia potenziale elastica
⇒ WA =
1 2
kx A ;
2
WB =
1 2
kx B
2
1
e in generale W(x) = kx 2
2
Energia totale meccanica – Conservazione dell’energia
In presenza di sole forze conservative la somma dell’energia cinetica e dell’energia potenziale
costituisce l’energia totale meccanica. Tale energia meccanica gode della proprietà importantissima
di conservarsi durante l’evoluzione del sistema. L’energia connessa al movimento e alla posizione
si scambiano: una diminuisce e l’altra cresce, ad esempio, ma la loro somma rimane costante.
-
Esempio delle montagne russe. Se non ci sono attriti (infatti il trucco è quello di rendere il
sistema privo di attriti), so già quale altezza massima potrò raggiungere (quella iniziale e non di
più), quale velocità massima potrò raggiungere (in fondo alla valle). Queste quantità sono fra
loro legate dal teorema della conservazione dell’ energia meccanica.
Fig. 33
-
Esempio del salto con l’asta. L’energia cinetica dell’atleta acquisita nella rincorsa viene
trasformata in energia potenziale gravitazionale, parte direttamente e parte attraverso l’energia
potenziale elastica dell’asta acquisita nella sua deformazione durante il salto. La flessibilità
dell’asta (costante elastica dell’asta) è legata all’energia che si può immagazzinare in una data
deformazione. Infatti, con aste rigide (alluminio, acciaio, bambù) il salto era più basso. Con
fibra di vetro il record è stato polverizzato!!
Fig. 34
Fig. 35
Fig. 36
Osserviamo che il teorema dell’energia cinetica ha validità generale, qualunque siano le
forze che agiscono, conservative o non conservative (le forze non conservative si dicono anche
“dissipative”)
Ltot = ∆K
L fc + L fnc = ∆K
e ricordando che
↓
Lfc = - ∆W( fc )
Si ottiene che
∆K + ∆W( fc ) = Lfnc
Si vede che nel caso in cui Lfnc sia nullo, cioè quando non ci sono forze dissipative, la somma
delle variazioni di energia cinetica e energia potenziale è uguale a zero, cioè l’energia totale
meccanica (somma dell’energia cinetica e potenziale) è costante. E questo corrisponde al teorema
della conservazione dell’energia meccanica.
Nel caso ci siano forze dissipative la somma delle energie non è costante, quindi al contrario del
teorema dell’energia cinetica il teorema della conservazione dell’energia meccanica non ha validità
generale (vale solo in assenza di attriti, ad esempio). Le forze non conservative di attrito, compiono
lavori solo negativi e fanno perdere quantità di energia non recuperabile. Parte di questa energia va
in generale in calore, quindi se ne può tenere conto considerando un’altra forma di energia:
l’energia termica ( ci sono anche altri fenomeni dissipativi, ad esempio le deformazioni permanenti
negli urti, o la propagazione di onde sonore).
L’ energia può dunque conservarsi o trasferirsi: proprietà caratterizzanti dell’energia!
Il lavoro rende conto del trasferimento di energia, della perdita di energia sotto una forma e del
guadagno sotto un’altra forma (cioè energia conservativa) o del passaggio dell’energia da un
sistema ad un altro.
Il teorema di conservazione dell’energia meccanica, quando è applicabile, può essere sfruttato per
risolvere facilmente problemi altrimenti complicati.
Esercizio
Una palla da tennis viene lanciata con velocità iniziale v0 (senza effetti strani, taglio, etc.) al di là
della rete. Con quale velocità arriva a terra?
Se durante il moto Etot si conserva
K+W = cost
Fig. 37
e W = mgh è solo energia potenziale gravitazionale, h = 0 alla fine come all’inizio, dunque
Kin = Kfin e
vfin = v0.
Se la palla è lanciata verso l’alto, non c’è componente orizzontale della velocità ma solo verticale,
al punto più alto di arresto h
K(h) = 0
W(h) = max = Kin , cioè
mgh = ½ mv02
, si può così calcolare facilmente l’altezza massima raggiunta
h = (½ v02)/g
e vicenversa si può calcolare il valore della velocità v0 che bisogna imprimere alla palla affinchè
raggiunga l’altezza h.
v0 =
2 gh
Esercizio
Una saltatrice di massa M = 61Kg salta da un ponte di altezza H = 45m agganciata ad una corda
elastica. La lunghezza di riposo della corda elastica è L = 25m e la sua costante elastica è k = 160
N/m. Nel punto più basso si arresta, prima di venire rimbalzata in alto. Qual’ è lquesta quota più
bassa h (a cui si trovano i suoi piedi ai quali è legato l’elastico)?
Fig. 38
Etot = Wgrav + Wel + K = cost
sono solo forze conservative, vale la conservazione
dell’energia
Nel punto A : K = 0 perché la saltatrice è ferma prima di lanciarsi
Wel = 0 perché l’elastico non è ancora svolto
Wgrav = MgH
Nel punto B :
K=0
perché la saltatrice è ferma prima di rimbalzare
Wel = ½ kd2
Wgrav = Mgh = Mg(H-(L+d))
Etot(A) = Etot (B)
MgH + 0 + 0 = Mg (H-(L+d)) + ½ kd2 + 0
MgH = MgH – MgL – Mgd +½ kd2
1
(160)d2 – (61)(9.8)d – (61)(9.8)(25) = 0
2
equazione di II° grado che dà per d il valore accettabile:
d = 17.9m
(l’altro è negativo e non è accettabile perchè non ha senso fisico; la
saltatrice va in giù, non in su!)
Allora :
h = H-(L+d) = 45 – (25+17.9) = 45 – 42.9 = 2.1m
quindi con la testa poco sopra l’acqua.
Sistemi di punti materiali e corpi rigidi – Centro di Massa
Un giocoliere o un ginnasta che lancia la clavette fa compiere all’attrezzo movimenti
complicati, tuttavia c’è un punto dell’attrezzo che si muove seguendo una traiettoria semplice, come
quella di un punto materiale: ad esempio, lanciato, segue una traiettoria parabolica.
Tale punto si chiama centro di massa dell’oggetto.
Il centro di massa può essere definito per un oggetto o per un insieme di punti materiali. E’
importante perché in generale il moto di un corpo esteso (o di un insieme di punti) si può studiare
separando il moto del centro di massa (moto traslatorio) e il moto del corpo attorno al centro di
massa (moto rotatorio).
Centro di Massa (CDM) di un sistema di punti
-
Consideriamo il caso semplice di due punti materiali di massa m1 , m2 posti sull’asse x in
posizione x1 , x2
Fig. 39
la posizione del centro di massa è definita xCDM =
m1 x1 + m2 x2
m1 + m2
a) xCDM è compreso fra x1 e x2
b) se m1 = m2 CDM è a metà strada fra m1 ed m2
c) xCDM è più prossimo alla massa maggiore.
-
Nel caso di più punti allineati, nelle posizioni xi ,detto M = ∑ mi allora
xCDM =
1
∑ mi xi
M

→
-
Nel caso di punti distribuiti nello spazio, detti

→

→
1
r CDM =
∑ i mi r i
M
r
i
i vettori che identificano le loro posizioni

→
dove
xCDM =
r
1
η
CDM
ha coordinate (xCDM, yCDM, zCDM) definite come
∑ mi xi
1
∑ mi yi
M
1
∑ mi z i
zCDM =
M
yCDM =
- Consideriamo un oggetto qualsiasi, questo è composto da un gran numero di particelle, ma
conviene considerarlo come un continuo di materia e per calcolare il centro di massa si prendono in
considerazione degli elementi infinitesimi di massa dm centrati intorno alle posizioni (x,y,z), allora
1
1
1
xCDM =
xdm ; yCDM =
ydm ; zCDM =
zdm
∫
∫
M
M
M∫
dm M
se si può considerare il corpo omogeneo (densità uniforme), allora
=
e allora si può fare il
dv V
calcolo considerando il volume V e gli elementi di volume dv anzichè la massa e gli elementi di
massa.
1
xdv etc.
V∫
In un oggetto solido (corpo rigido) i diversi punti materiali che lo compongono non cambiano la
loro posizione relativa (non come un corpo elastico!).
xCDM =
-
se un oggetto ha un elemento di simmetria, un asse od un piano, il CDM si trova su tale
elemento di simmetria (asse per cono, centro per sfera, piano per una banana, etc.)
Non è detto che il CDM di un oggetto appartenga all’oggetto, vedi uno pneumatico, un cerchio. Il
CDM è esterno all'oggetto.
Legge fondamentale della dinamica per un sistema di punti materiali
Caso della palla da bigliardo : urto fra due palle dopo il lancio di una, le due si muovono :
1) una è ferma (B), l’altra la lancio (A)
2) le due si urtano in qualunque modo
3) le due si muovono secondo traiettorie differenti, una possibilmente andrà in buca l’altra no.
Dopo il lancio, sulla palla A non agisce più nessuna forza, quindi la sua velocità v è costante. Va
bene, ma dopo l’urto? Il CDM delle due palle continua a muoversi con velocità costante, anche se
il centro di massa è un punto teorico che non appartiene a nessuna delle due palle. Tuttavia, al CDM
possiamo assegnare una massa (M totale del sistema), una velocità ed una accellerazione. Si ha:

→
∑ F

→
ext
=M a
( CDM )

→
a) ∑ F ext è la somma di tutte le forze esterne che agiscono sul sistema, non quelle interne (ad
esempio, nel caso del bigliardo non devo considerare le forze che si applicano fra le due palle
quando si urtano).
b) M è la massa totale del sistema. Si suppone che durante il moto M rimanga costante.
→
c)
a ( CDM ) è l’accelerazione del CDM. Dell’accellerazione di un altro punto, ad esempio, del
centro della palla A, non si dice nulla.
Cosideriamo alcuni esempi.
1) Bigliardo : {∑ Fext = 0; aCDM = 0; vCDM = cos t } prima dell’urto, nell’urto si verificano solo forze
interne. Quindi {∑ Fext = 0; aCDM = 0; vCDM = cos t } dopo l’urto e durante tutto il moto.
2) Sistema terra-luna: {∑ Fext = gravitazione del sole; aCDM è “centripeta”, accellerazione di una
forza che è diretta verso il sole (forza “centrale”) } è il CDM terra-luna che segue la traiettoria
dovuta all’attrazione gravitazionale del sole, poi terra e luna si muovono intorno al loro CDM.
3) Clavette lanciate: ∑ Fext = Mg, aCDM = g, il centro di massa si comporta come un punto
materiale nel lancio.
4) La ballerina nel “grand-fetè” fa seguire a testa e busto una traiettoria rettilinea perché modifica
l’assetto in modo da alzare il suo CDM. Nel corso del salto (alza le braccia e distende
orizzontalmente le gambe non appena lasciato il suolo) il suo CDM segue la traiettoria
parabolica del lancio di un corpo soggetto all’accelerazione di gravità g.

→
Quantità di moto P
-
Si definisce quantità di moto di una particella il vettore :

→

→
P =m v

→
con m massa della particella e v la sua velocità.

→

→
Si vede che P è diretto come v .
Newton, scrisse la legge fondamentale della dinamica in termini di quantità di moto (a differenza di
Galileo che la scrisse in termini di massa e di accelerazione) :
“la rapidità di variazione della quantità di moto di una particella è proporzionale alla forza netta che
agisce sulla particella ed è nella direzione di quella forza” cioè
→
∆ P
∑ F =
∆t

→
che è più generale della formulazione di Galileo perchè descrive bene anche il caso in cui variasse
la massa del corpo durante il moto (ad esempio un vettore spaziale).
Se la massa è costante, le due formulazioni sono identiche:
→
→
→
∆ P
∆(m v )
∆ v
∑ F =
=
=m
∆t
∆t
∆t

→

→

→
=m a

→

→

→
Ricordiamo che F è diretto come a (o la risultante R = ∑ F )
Per un sistema di punti materiali si definisce la quantità di moto totale :

→

→
P = P

→
m1 v

→
1+ P

→
2 + ……+ P

→
n
=

→

→
1 + m2 v
2 +………+ mn v n = M v CDM (si può dimostrare), dove M è la massa totale.

→

→

→

→

→

→
d
d
[essendo infatti M v CDM =
(M r CDM) =
(m1 r 1 + m2 r 2 +….) = m1 v 1 + m2 v 2 +
dt
dt
….]

→

→
quindi P = M v
CDM
per un sistema di particelle e

→

→

→
d P
d →
=M
v CDM = M a CDM = ∑ F ext
dt
dt
Conservazione delle quantità di moto

→
Per un sistema chiuso (M non varia) e isolato ( ∑ F
ext
= 0)
Allora
→

→

→

→
∆ P
=0 ;
P = cost ; P i = P f
∆t
che sono tre modi equivalenti per dire che la quantità di moto si conserva. Vale per un sistema nel
quale non agisca nessuna forza esterna netta. Il teorema di conservazione dell’energia meccanica e
la conservazione delle quantità di moto sono due concetti fisici importantissimi. Valgono sia per le
palle da bigliardo che per qualunque altro sistema, anche le galassie nell’universo.
Queste equazioni sono vettoriali. Ciò significa che rappresentano una terna di equazioni scalari,
ognuna valida sul proprio asse del sistema di riferimento (x ,y , z).
Può accadere, a seconda delle forze che agiscono nel sistema, che la quantità di moto si
conservi in una direzione, o in due e non in tutte e tre.

→
Ad esempio, se consideriamo una palla come un insieme di punti materiali, la F

→
sistema è m g
non su x e y.
ext che
agisce nel

→
diretta lungo z
, senza componenti su x e y, quindi P varia lungo z , ma
Perché “complicarci la vita” con questa storia del CDM, del sistema di particelle etc…, non
bastava il moto del punto rappresentativo materiale? Avevamo già considerato il punto
rappresentativo e avevamo svolto anche problemi sulla palla, sul bilanciere, e per altri oggetti.
Abbiamo sempre sbagliato? La questione è : se un corpo è rigido , cioè, se tutti i suoi punti si
muovono mantenendo le loro distanze relative, non c’è problema, abbiamo solo visto che il punto
materiale rappresentativo si chiama CDM ed abbiamo imparato a situarlo all’interno del corpo. Ma
se il corpo non è rigido, cioè se il suo CDM si sposta rispetto a lui stesso nel corso del moto, la
disposizione del corpo intorno al punto rappresentativo varia nel corso del tempo e le leggi di
conservazione valgono per il CDM.
- Consideriamo ad esempio il teorema dell’energia cinetica, che per un punto materiale si scrive
Ltot = Kfin-Kin = ∆ K
(qui, ovviamente, non c’è da specificare lavoro delle forze“esterne” perché essendo in un punto
materiale, che si assume infinitamente piccolo, non ci sono forze “interne”)
Per analogia, il teorema dell’energia cinetica si estende al caso di un insieme di punti materiali nel
seguente modo

→
→
Ltot forze ext= F ext· s CDM = ∆ KCDM
Dove s CDM è lo spostamento del centro di massa.
A titolo di esempio, risolviamo il problema:
un giocatore di hockey su ghiaccio di massa M = 110Kg si muove verso la balaustra a bordo campo
alla velocità di 3m/sec. Nell’arrestarsi, flettendo le braccia, il suo CDM si sposta in avanti di 30cm.
Qual è la ∆ K del suo CDM durante la manovra?
∆ KCDM =
= 0
Fig. 40
-
1 2
1
mv CDM fin − mv 2CDM in =
2
2
1
110 32 = -495 J
2

→

→
Sia L il lavoro delle forze esterne F ext (dirette come d x
L = - Fext . 0,3 = ∆ KCDM
quindi,
− 495
Fext =
= + 1650N
− 0,3
CDM
), allora:

→
( si considera la forza esterna F
ext
costante nell’intervallo dell’arresto, fatto che equivale a dire

→
che il giocatore si arresta con a
CDM
costante).
Dinamica e statica del corpo esteso
Finora abbiamo sempre discusso del moto di un punto materiale (punto rappresentativo, dicevamo
sempre). In particolare abbiamo sempre applicato le forze a quel punto materiale, quindi, se diverse
forze erano applicate, esse concorrevano in quel punto lì e, con le forze concorrenti, sapevamo
come calcolare la risultante, con il metodo grafico o con quello numerico delle coordinate
cartesiane. Una volta calcolata la risultante, applicata al punto, si otteneva un moto di pura
traslazione del punto (al massimo traslava lungo una traiettoria curva) senza rotazioni proprie del
punto, che non hanno neanche senso : un punto che ruota su se stesso? Come faccio ad accorgermi?
Un punto, per definizione, è infinitamente piccolo! (Dicevamo infine che il punto è in equilibrio

→
traslazionale se la risultante R delle forze applicate è nullo).
Consideriamo invece un corpo esteso. Prima osservazione : questo ha più punti (direi ∞ ) a

→
cui la forza può essere applicata. Prendiamo una racchetta da tennis ed una forza F applicata: il

→
moto che ne risulta dipende dal punto al quale viene applicata la forza F :
qui la racchetta trasla
Fig. 41
stessa forza
qui la racchetta ruota
Fig. 42
Seconda osservazione: C’è un caso in cui le forze non possono essere fatte concorrere in un punto,
ed è quando sono parallele ed hanno rette di applicazione distinte. Chiaramente non abbiamo mai
dovuto considerare questo caso per il punto materiale, perché per un punto non possono mai passare
due rette parallele. Ma per il corpo esteso? So benissimo che se sono ferma con la macchina in

→
panne e la sto spingendo applicando una forza F 1, sono contenta se qualcuno si affianca a me ed,

→
esercitando una forza F 2 lungo una direzione parallela a quella della mia, mi aiuta a spingere. In
particolare mi viene spontaneo dire che se F1 = F2 allora spingeremo con una forza doppia. Ci sarà
quindi un modo per sommare due forze non concorrenti in un punto, ma parallele e sarà
Ftot = F1+ F2. La retta di applicazione di Ftot divide il segmento congiungente i punti di applicazione
di F1 ed F2 in due segmenti inversamente proporzionali all’intensità delle forze F1 e F2.
Terza osservazione: se F1 = - F2 , sono uguali in intensità, ma di verso opposto, sempre lungo due
rette di applicazione parallele passanti per un corpo esteso, cosa succede? La loro somma Ftot
risultante sarà 0, ma io so che il corpo non sta fermo sotto l’azione di tali due forze, ma ruoterà.
Concludo che le nozioni che ho acquisito finora vanno riviste ed ampliate o corrette o specificate
per i corpi estesi ed inoltre che mi mancano totalmente i mezzi per descrivere le rotazioni dei corpi
estesi. Occorrono nuovi concetti, nuove quantità, la forza non basta.
Prendo l’esempio più semplice dell’altalena con due bambini in due bracci, uno più leggero, uno
più pesante.
Fig. 43
Qualitativamente so che perché l’altalena stia in equilibrio e non ruoti intorno al punto fisso non è
necessario che i due bambini abbiano lo stesso peso (ugual massa), occorre che il bambino più
leggero sieda più lontano rispetto al punto fisso (fulcro). La regola quantitativa dice che l’altalena è
in equilibrio se il prodotto del peso per la distanza del fulcro è uguale PB . dB = Pb. db .
Per generalizzare questa regola ai casi più complessi occorre definire una nuova quantità : il
momento di una forza.
Momento di una forza

→

→
Consideriamo una forza F applicata ad un punto P ed un punto O. Sia r

→

→

→
il vettore OP , allora il momento M di F rispetto ad O è:

→

→

→
M = r x F
e

→

→

→
| r | · | F | sin ϑ = | M |
Fig. 44

→

→
oppure anche, considerando la componente di F perpendicolare ad r

→
o di
r

→
perpendicolare a F ; r // e ┴ rispetto a F

→

→

→
| M |=| r || F

→
⊥|;

→
| M | =| r

→
⊥| | F |

→
In generale, si dice che il modulo del momento | M | è il prodotto delle intensità della forza per la
distanza dal punto della retta di applicazione della forza.

→

→

→
Come vettore, M è perpendicolare al piano che contiene F ed r ed ha verso calcolato con la

→

→
regola della mano destra (con r che si chiude su
F ).
La distanza r⊥ si chiama braccio della forza. Si vede che il momento è nullo quando il braccio è
nullo, cioè quando il punto O si trova sulla retta di applicazione di F.
Il momento della forza peso P è nullo rispetto al baricentro, che coincide con il centro di massa nel
caso (praticamente“sempre”!) in cui il corpo non sia abbastanza esteso perché diversi punti del
corpo risentano di una forza gravitazione differente. Praticamente si deve parlare di galassie perché
CDM e baricentro (BC) non coincidono. Quindi la condizione del momento nullo della forza peso
diventa un modo per definire il CDM come quel punto rispetto al quale la forza peso P ha momento
nullo.
Per un corpo “articolato” estendiamo il concetto di forza normale come forza di contatto
nell’articolazione utile, cioè la forza che l’articolazione che si sta considerando esercita su quello
che nell’articolazione si appoggia.
La forza peso P di un corpo esteso può immaginarsi applicata al CDM.
Principio di equilibrio di un corpo esteso :

→

→
se su un corpo esteso agiscono solo Peso e Normale , cioè se un corpo è appoggiato ad un piano
orizzontale, allora il corpo è in equilibrio se e solo se il baricentro si trova sopra la superficie di
appoggio.
Fig. 45

→
Finchè il baricentro è sopra il tavolo il libro non cade, perché P applicata a CDM può essere

→

→
controbilanciata da N . Se CDM si sposta in fuori N rimane nel tavolo e c’è momento non nullo,

→
non equilibrato da P che continua ad essere applicato nel CDM.
Il baricentro di una persona in posizione eretta si trova nell’area delimitata dei suoi piedi, 3cm
davanti all’articolazione della caviglia :
Fig. 46
Quando la persona si piega in avanti il baricentro esce dal corpo e per mantenere l’equilibrio è
necessario che le anche si spingono indietro perché il baricentro cade di nuovo in quella posizione.
Notiamo che anche in posizione eretta, essendo la forza peso e la forza di contatto non allineate
(quei 3cm!) (forza di contatto sull’articolazione della caviglia che regge il peso!!) occorre un
momento correttivo che impedisca la rotazione in avanti, mantenuto dal tendine di Achille che si
lega alla caviglia.
Altro esempio di spostamento del baricentro è l’atleta che assume una posizione ad L : chi regge il
peso è l’articolazione della spalla, quindi il CDM si sposta sotto la spalla (già era uscita dal corpo
per via delle gambe distese in avanti).
Nel camminare il baricentro continua a muoversi da sopra un piede a sopra un altro (quello
appoggiato, ovviamente). Si osservi l’ondeggiamento. Per assurdo l’ancheggiare delle indossatrici
serve a mantenere il baricentro il più possibile fermo rispetto alla direzione media del moto (porre
un piede esattamente davanti all’altro) rendendo più facile muoversi anche con tacchi altissimi.
Al contrario l’equilibrista che cammina sui trampoli sta fermo il meno possibile, perché è stando
fermo che il piccolo spostamento che fa uscire il baricentro (ALTO) dalla superficie d’appoggio
può verificarsi facilmente, preferisce il “non – equilibrio” o l’ ”equilibrio dinamico”
dell’ondeggiare continuamente fra due posizioni di equilibrio.
Ricordiamo che un equilibrio è detto stabile se quando una perturbazione lo altera, spontaneamente
il sistema lo ripristina. Viceversa un equilibrio è instabile se la più piccola perturbazione lo
distrugge.
L’equilibrio è molto stabile se il baricentro è basso ed il corpo ha una grande area d’appoggio : la
posizione accucciata del giocatore di football americano dà grande stabilità.
Ancor più grande stabilità si ha se il baricentro (CDM) si trova al di sotto della superficie
d’appoggio. E’ come se si fosse “appesi” anziché “appoggiati” alla superficie d’appoggio.
Proprio per questo motivo, l’equilibrista sul filo porta una lunga asta, che spesso si flette agli
estremi
Fig. 47
Gli uccelli, bipedi da 100.000.000 di anni, hanno sviluppato questo adattamento per cui sono appesi
alle anche, mentre gli uomini, bipedi da solo 1.000.000 di anni, fanno fatica con il CDM dalla parte
alta del corpo. E’ un equilibrio instabile “sopra” le anche che le reggono (65% del peso del corpo).
Modificazioni strutturali per reggere la posizione eretta:
1) Colonna vertebrale rastremata (più tozza in basso che in alto, perché più in basso vuol dire una
maggior forza di contatto).
2) Muscoli estensori della schiena
3) Gambe ed anche ingrossate
4) Ginocchio che blocca la gamba estesa
Ciononostante si ha spesso il mal di schiena.
Se una forza ha momento non nullo rispetto ad un punto allora il corpo può ruotare intorno a quel
punto sotto l’azione di quella forza. “Diciamo che se sostengo il corpo per quel punto, il corpo può
ruotare intorno a quel punto”. (Prendo in mano un foglio di carta per un estremo, per esempio).
La presenza di un momento non nullo è dunque la condizione che genera rotazione e viceversa.
L’assenza di un momento risultante è la condizione che genera l’equilibrio rotazionale di un corpo
esteso. Quindi la condizione di equilibrio per un corpo esteso è:

→
1)
R =0
risultante delle forze applicate = 0 (equilibrio traslazionale)

→
2) M = 0
momento risultante = 0
(equilibrio rotazionale).
Supponiamo di avere un corpo esteso al quale siano applicate delle forze che diano luogo ad un
momento non nullo, allora il corpo ruota. Per equilibrarlo dovrò applicare un altro momento tale
che la loro somma sia nulla.
Questo è il principio di funzionamento delle leve.
LEVE

→
Una leva è un corpo esteso al quale sono applicate delle forze con un momento risultante R ,

→
allora per portare il corpo in equilibrio applico un momento correttivo P in modo che il momento
totale sia nullo.
Si dice in genere: potenza (P) e resistenza (R) di una leva. Le leve sono macchine semplici. Servono
per applicare forze in punti scomodi o in direzioni particolari. Il fulcro è il punto nel quale la leva è
incernierata.
Si definisce il guadagno meccanico di una leva

→
GM =
F( R )

→
F( P )
cioè il rapporto fra la forza che genera il momento resistente e quella che genera il momento agente.
A seconda che GM sia <> 0, una leva si dice che è vantaggiosa o svantaggiosa, ma solo per quel che
riguarda le forze perché per quel che riguarda i lavori non si ha né vantaggio né svantaggio. Il
lavoro esercitato dalla forza che dà la “potenza” e quello esercitato dalla forza che dà la “resistenza”
sono sempre uguali. Infatti forze e spostamenti sono inversamente proporzionali.
Le leve si dicono di I II o III specie a seconda se il fulcro si trovi
I)
in mezzo fra R e P (leva indifferente GM dipende da caso a caso)
II)
dalla parte di R (leva vantaggiosa: il braccio di R è sempre minore del braccio di P, basta
quindi una P minore per equilibrare una R maggiore)
III)
dalla parte di P (leva svantaggiosa).
Classici esempi dei tre tipi di leve sono, i remi (I), lo schiaccianoci (II) e la pinzetta per francobolli
(III). Tuttavia vediamo degli esempi meno classici ma attinenti al campo della biologia e della
medicina. Criterio generale è che le leve vantaggiose consentono di essere molto potenti ma con
brevi spostamenti, mentre viceversa quelle svantaggiose fanno perdere in potenza ma consentono
grandi spostamenti : sarà difficile vedere un cavallo che con le lunghe zampe si scava la tana,
d’altronde una talpa scava bene la tana ma ha movimenti molto meno ampi che non le consentono
di correre veloce come un cavallo (compromesso fra forza e velocità del movimento!).
Se contiamo tutti i movimenti di rotazione che il corpo può compiere capiamo che siamo pieni di
leve di ogni tipo.
Sono classici :
a) il capo
fulcro (articolazione occipito-atlantoide)
Fig. 48
muscoli della nuca (Potenza)
peso del capo
(Resistenza)
b)
muscolo bicipide (Potenza)
Fig. 49
Peso dell’avambraccio (Resistenza)
Fulcro (articolazione del gomito)
Questa leva permette grandi spostamenti. Si vede che la forza operata dal muscolo bicipite è
massima quando l’avambraccio è orizzontale (la distanza dal fulcro è massima) ed è minima
quando l’avambraccio è verticale( con la distanza dal fulcro nulla).
Attenzione :
- la colonna vertebrale è costituita da 24 vertebre separate da dischi di liquido. Quando una
persona si piega, la schiena è una leva con GM molto piccolo. Quindi un piegamento completo
per raccogliere un oggetto anche leggero produce una forza molto intensa sul disco
lombosacrale che separa l’ultima vertebra dell’osso sacro. Se indebolito, questo disco può
rompersi o deformarsi comprimendo i nervi vicini e causando grande dolore. Vediamo un
modello che rende conto come mai questa forza è così grande.
Fig. 50
I muscoli della schiena esercitano T
Con un angolo α = 12°, quando la
schiena è piegata a 90°
Peso della parte superiore del corpo (circa il 65% del
peso totale)
Fulcro lombosacrale
(il fulcro produce R)
Essendo α piccolo la retta di azione, Τ passa vicino al fulcro e dunque la distanza r┴ , che
costituisce il suo braccio, è molto piccola. Al contrario il peso è perpendicolare alla colonna e il suo
punto di applicazione è molto più distante dal fulcro. Τ deve essere molto grande per equilibrare il
momento di P. Dunque, se T è grande, anche la sua componente orizzontale è grande e di
conseguenza, anche R, che costituisce la reazione dell’osso sacro, deve avere componente
orizzontale molto grande, per equilibrare Τ (uguale ed opposta alla componente orizzontale di Τ ).
Facendo i conti si ottengono numeri grandi :
per 75Kg di peso, T ed R sono equivalenti al peso di una massa di 220Kg!! Senza sollevare pesi,
solo piegandosi. Conviene piegare le ginocchia quando si sollevano pesi!!!.
- Nel corpo è difficile che il peso cada sulla verticale dell’articolazione che lo sostiene; è sempre
un po’ spostato e c’è un tendine con un muscolo che compensa il momento del peso.
- La contrazione muscolare è una successione di brevi contrazioni delle fibre muscolari stimolate
da impulsi che provengono dal sistema nervoso. Contrazioni sono molto ravvicinate e
avvengono in tempi differenti nelle diverse parti del muscolo così che il risultato apparente è
una lenta e progressiva contrazione. Se la frequenza degli impulsi aumenta, la tensione cresce
finchè si raggiunge la tensione massima (ricordare la tensione di un cavo). Un ulteriore aumento
della frequenza degli impulsi, a questo punto, non causa ulteriore aumento della tensione.
La tensione massima è proporzionale all’area della sezione trasversa del muscolo nel suo punto più
largo. La tensione massima dipende anche dalla lunghezza del muscolo che varia. Si ottiene
tensione massima quando il muscolo è solo di poco allungato rispetto alla sua lunghezza di riposo
di riposo ed è circa 30-40 N/cm2.
La tensione massima si riduce moltissimo se il muscolo è molto allungato o accorciato.
Dinamica Rotatoria
Fino ad ora abbiamo studiato moti traslatori ma il moto di un corpo rigido è in generale rototraslatorio. Naturalmente dobbiamo ridurre il problema complesso ad uno più semplice e per fare
ciò immaginiamo di posizionarci su un sistema di riferimento solidale al corpo rigido i moto:
immaginiamo cioè di “sederci” sul corpo rigido. In questo modo non saremo più sensibili al moto
traslatorio e guardando il corpo rigido osserveremo solo le sue rotazioni. Trattiamo allora il moto
generico scomponendo la parte traslatoria (già discussa ) da quella rotatoria.
Se si trascura la parte traslatoria del moto di un corpo rigido, quello che rimane da trattare è la sua
rotazione. Nel nostro corso consideriamo le rotazioni che avvengono su un piano; le rotazioni nello
spazio potranno essere trattate come composizione di rotazioni su un piano. Per le rotazioni su un
piano si identifica un asse di rotazione perpendicolare al piano di rotazione e passante per il centro
di rotazione. Le articolazioni del gomito e del ginocchio sono articolazioni libere di ruotare intorno
ad un asse, a differenza ad esempio di quella della spalla che può ruotare intorno a due assi.
Si definisce spostamento angolare la variazione di una posizione che è definita in modo completo
da una misura di angolo. Una rotazione di un intero corpo rigido è definita in modo completo da
uno spostamento angolare
θfin - θin= ∆θ e si misura in radianti
R
θfin
∆θ
S
θin
Fig 51
Dobbiamo definire anche un verso di rotazione: θ si incrementa per rotazioni antiorarie, positive, le
rotazioni in senso orario sono invece negative.
La velocità angolare si definisce, analogamente alla velocità lineare, come il rapporto tra lo
spostamento angolare e il tempo t impiegato per eseguire tale rotazione
ωm =
∆θ
e si misura in rad /s
∆t
Anche per w si definisce
ωist = lim ∆t→0
∆θ
∆t
Ancora, l’accelerazione angolare si definisce αm =
∆ω
∆t
e
αist = lim ∆t→0
∆ω
∆t
Anche la legge fondamentale della dinamica ha un analogo nel ambito dei moti rotatori. Si
stabilisce che se ad un corpo rigido è soggetto ad un momento torcente diverso da zero esso subisce
un’accelerazione angolare ad esso proporzionale. Nel caso delle rotazioni la resistenza al moto è
espressa dal momento di inerzia I associato al corpo rigido ,che gioca il ruolo della massa nei moti
traslatori. La legge della dinamica delle rotazioni è
M = I ·α
E sostituendo
M = I·
ω fin − ω in
∆ω
= I·
∆t
∆t
Il momento di inerzia I di un corpo rigido dipende dalla disposizione della massa del corpo rispetto
all’asse di rotazione: per una massa puntiforme m a distanza R dall’asse di rotazione I= m R2, per
un oggetto esteso sommerò il momento d’inerzia delle sue parti I = Σi mi Ri2.
Se si definisce momento angolare L il prodotto del momento d’inerzia per la velocità angolare
L=Iω
la legge della dinamica diventa
L fin − Lin
M=
.
∆t
Il momento angolare è la grandezza fisica che si conserva se non viene applicato momento torcente.
Tutti i gesti di volo, salti, lanci, tuffi… sono azioni nelle quali si conserva il momento angolare.
Infatti in volo agisce solo la forza di gravità che, essendo applicata al CDM, non genera momento
torcente.
Il corpo umano nei gesti di volo
Il corpo umano non è rigido e pertanto in volo agendo con i muscoli possiamo cambiare la
disposizione del nostro corpo intorno al centro di massa, che in volo coincide col centro di
rotazione. In questo modo si ottiene una variazione del momento di inerzia I, e di conseguenza la
velocità angolare deve compensare questa variazione in modo che si mantenga costante il momento
angolare L (grandezza che si conserva in assenza di momento torcente). E’ questo il principio che
spiega il realizzarsi delle trottole sul ghiaccio, dei salti mortali, tuffi con avvitamento e così via: in
posizione raccolta I diminuisce e ω aumenta!
Moto circolare e moto circolare uniforme
Per utilizzare le relazioni della cinematica e della dinamica lineare che abbiamo studiato è
interessante poter passare dalle variabili angolari alle variabili lineari, velocità e accelerazione, delle
masse in moto rotatorio. Se una massa si muove su una traiettoria curva la velocità tangenziale vt,
diretta come la tangente alla traiettoria, dipende dalla velocità angolare ω ( ωm= ϑ /t )e dal raggio di
curvatura della traiettoria. Se la traiettoria è una circonferenza di raggio R e se gli angoli sono
espressi in radianti, l’arco percorso per uno spostamento angolare ϑ
S = ϑ ⋅R e la velocità lineare tangente vt = S/t= ϑ ⋅R/t
è
risulta
vt = ω⋅R
Se la velocità angolare ω è costante il moto è detto circolare uniforme. La legge oraria è quella dei
moti uniformi: spostamenti angolari uguali in tempi uguali. ϑ(t) = ω t. Anche la velocità tangente
sarà di intensità costante se ω è costante (archi uguali per tempi uguali s(t) = vt (t) ), ma c’è una
accelerazione, normale, infatti la velocità anche se non cambia in modulo, cambia continuamente di
direzione. Questa accelerazione si dice centripeta, è diretta normalmente rispetto alla traiettoria,
verso il centro della circonferenza e vale in modulo
ac =
v2
R
Fig. 52
Essendo la velocità tangente vt = ωR
L’ accelerazione centripeta si può scrivere
ac =
v2
= ω2 R
R
Il tempo impiegato dal punto a muoversi sulla circonferenza è una costante (moto uniforme)
T periodo : in T viene percorso uno spazio 2 π R
2πR
v=
T
La frequenza f è invece il n° di giri al secondo
1
f=
T
Se si prendono punti diversi sul raggio della circonferenza, questi hanno la stessa velocità angolare
e velocità tangenziali crescenti al crescere del raggio.
Esempio carosello dei pattinatori.
Esercizi :
1- un velocista con una velocità di 10 m/s viaggia su una curva di raggio 25m – accelerazione?
v2
100
= 4 m/s2
a=
=
R
25
2 – un velocista con v = 9,2 m/s su una pista circolare con ac = 3,8 m/ s2 – Raggio della pista?
Tempo per percorrere un giro completo?
v2
v2
(9,2) 2
a=
⇒
R=
=
= 22,27m
R
a
3,8
2πR
2π ∗ 22,27
=
T=
= 15,2 sec
v
9,2
Forza centripeta, forza centrifuga
Una forza centripeta è una forza, di qualunque natura, che trattiene un corpo in moto su una
traiettoria curvilinea, ad esempio, circolare. In assenza di tale forza, il corpo proseguirebbe il suo
moto lungo una traiettoria rettilinea. Nel gesto del lancio del martello, ad esempio, il lanciatore che
esercita sul peso in cima all’attrezzo una forza, mediata dalla tensione dal cavo, che lo trattiene
nella traiettoria circolare. Quando il lanciatore lascia la maniglia il martello viene lanciato lungo la
direzione della tangente alla traiettoria nell’istante di rilascio. L’intensità della forza centripeta
necessaria a mantenere una massa m in moto con velocità tangente v lungo una traiettoria circolare
di raggio r, si può calcolare a partire dall’accellerazione centripeta secondo la legge fondamentale
della dinamica

→
→
v2
| Fc | = m | ac | = m
r
Tale forza è diretta come l’accelerazione centripeta e cioè verso il centro della circonferenza che
costituisce la traiettoria.
La forza centripeta è dunque una forza reale. Con ‘forza centrifuga’ invece non ci si riferisce ad un
forza che agisce su un corpo ma alla situazione apparente cui sembra sottoposto un corpo in moto
curvilineo. Esso pare tirato, o attirato, lontano dal centro di rotazione: pare ci sia una ‘forza’ che
vuole farlo sfuggire.
Quando viene lasciato, il martello si allontana dal centro di rotazione, perché si muove di moto
rettilineo uniforme, non essendo più soggetto a forze altre che la forza peso. L’acqua esce dal
cestello della lavatrice quando il cestello ruota velocemente (funzione centrifuga) perché l’acqua,
che non costituisce un corpo solo con il cestello bucato, non è soggetta alla forza centripeta e può
passare attraverso i buchi. I panni invece, pure non parte del cestello, sono troppo grandi per passare
dai buchi, si possono solo schiacciare contro le pareti; questo schiacciamento sembra il risultato di
una forza ma è invece il risultato dell’assenza di una forza, quella centripeta. Una volta là contro il
cestello fanno tutt’uno con le pareti di metallo che esercitano su di essi la forza centripeta (cioè con
direzione verso l’asse di rotazione) che li mantiene in rotazione.
Le parti di un corpo rigido esteso che si muove di moto rotatorio rispetto ad un asse, quale ad
esempio la gamba di un giocatore di calcio che calcia un pallone, sono soggette alla forza centripeta
che le mantiene sulla traiettoria curva. Tale forza viene trasmessa alle varie parti tramite le forze di
tensione che si sviluppano all’interno del corpo stesso, ad esempio il piede è soggetto alla forza
centrifuga tramite l’azione dei legamenti e tendini a livello della caviglia che vengono messi in
tensione per trattenere il piede stesso.