FACOLTA’ di SCIENZE MOTORIE Corso di FISICA APPLICATA ed ELEMENTI DI ELABORAZIONE INFORMATICA Appunti delle Lezioni di FISICA redatte da Paola Brocca, Laura Cantù e Mario Corti, con l’aiuto di Domenica Garoffolo PERCHE’ FISICA A SCIENZE MOTORIE ? Atleti, dilettanti, bambini imparano “istintivamente” a spingere l’altalena da su, da giù o ad andare in bicicletta, sanno che per andare senza mani bisogna essere veloci, ma imparano dal maestro a curvare con gli sci! Imparano dal “preparatore atletico” i “giusti gesti” per ottimizzare il risultato, che in realtà non sono altro che l’applicazione di varie leggi fisiche. - Ginnasta alza le braccia prima del salto, non è puramente estetico. - Cosa distingue il lancio “giusto” o “sbagliato” del giavellotto o del peso, a parte la potenza dell’atleta? - Perché i blocchi di partenza? - Jumping si fa con l’elastico e non con una corda di acciaio o di canapa. - Dove sono montati gli scalmi della barca a remi? - Trottola del pattinatore? - Salti mortali rannicchiati e non distesi - Mal di schiena, tendiniti? Tutte queste sono situazioni che richiamano temi di fisica ed in particolare di meccanica. CINEMATICA Cominciamo con cose semplici. Movimenti di un punto materiale ( ad es. un punto rappresentativo di un corpo) che si sposta su di un percorso - Percorso → traiettoria Es. percorso della maratona o di una corsa - molti atleti si muovono nella stessa traiettoria in modi diversi ( uno vince, uno perde…) cioè con leggi orarie diverse – Legge oraria è quella che mi dice ad ogni istante dove sono stato e dove sarò lungo il percorso. In allenamento si prepara una legge oraria adatta alle caratteristiche dell’atleta che poi verrà il più possibile mantenuta nella gara (CONDOTTA DI GARA). “Forzare l’andatura”, “imporre l’andatura” significa che un atleta impone agli altri la sua legge oraria, quella adatta alle sue caratteristiche, o comunque che lui riesce a reggere. O anche, un gregario “lepre”, che ha una legge oraria che non può sopportare per tutta la corsa, fa “gioco di squadra” per favorire il suo compagno e “spompare” gli avversari. - Velocità media si misurerà a fine gara - Velocità istantanea - Accellerazione media e istantanea - Unità di misura in MKS o SI ( 100m/10 s → 36 Km/h ) 10m/s x 3600 sec/h = 36000 m/h Per definire la posizione di un corpo nello spazio è necessario introdurre un sistema di riferimento, cioè una terna di assi mutualmente ortogonali uscenti da un punto O chiamato origine (sistema cartesiano a tre dimensioni). Per il moto che si sviluppa in un piano, basta un sistema di riferimento con due assi. Per il moto unidimensionale rettilineo, basta una retta orientata come sistema di riferimento. Moti semplici regolari Per intraprendere lo studio del moto dei corpi nello spazio, riduciamo il problema complesso (moto di roto-traslazione in uno spazio a tre dimensioni) ad un problema più semplice in grado di fornirci però gli elementi necessari a comprendere le leggi che lo governano. In questo capitolo confiniamo la nostra trattazione al moto di corpi puntiformi che avvengono lungo una retta. Velocità e accelerazione. Si definisce la grandezza fisica velocità media come lo spostamento realizzato durante il moto diviso per il tempo impiegato a realizzare tale spostamento: x - xi v= f t f − ti s Se si indica con s lo spostamento e con ∆t l’intervallo di tempo scrive v = ∆t s La velocità istantanea sarà definita come lim∆t→0 ∆t Si definisce accelerazione media la grandezza fisica v f − vi ∆v t − ti ∆t che rappresenta la variazione della velocità nell’unità di tempo. ∆v La accelerazione istantanea sarà definita come lim∆t→0 ∆t a= anche scritta a = Nel seguito considereremo sempre l’istante iniziale del moto ti uguale a zero, ti = 0, così che il tempo impiegato per la realizzazione del moto che si studia sarà semplicemente indicato con t invece che ∆t. Moto rettilineo uniforme. Consideriamo un moto che avviene lungo una traiettoria rettilinea a velocità costante. L’equazione che lega lo spazio percorso al tempo trascorso dall’inizio del moto deriva direttamente dalla definizione di velocità Legge oraria: s(t) = vi· t dove s(t) = x (t)-xi è lo spostamento Esercizi : 1) – Se Carl Lewis mantenesse la sua velocità sui 100 m ( supponiamo che percorra 100m in 10 sec.) per una intera maratona (42 km) che tempo realizzerebbe (anziché 2h 10min) ? v = 10 m/s (36 km/h) t = s/v = 42 ·103m/10m/s = 4200 s = 3600s + 600s = h e 10 min. 2) – Ridotta la velocità limite in autostrada da 140 a 130 Km/h, quanto tempo si impiega in più a percorrere i 560 Km da Milano a Roma ? t1 = s/v1 = 560km/(140km/h) = 4h t2 = s/v2 = 560 km/(130 km/h) = 4,308 h = 4h 18 min ∆t = t2 – t1 = 18 min 3) Un automobilista starnutisce per 0,5 s guidando a 90 km/h. Quanto spazio percorre mentre starnutisce? v = 90km/h = 90000m/3600s = 25m/s s = vt = 25m/s ·0.5s = 12,5 m E se stesse viaggiando su una Ferrari a 300km/h? s = v⋅t = 83.3m/s · 0,5 = 41,7m. Moto rettilineo uniformemente accelerato Consideriamo un moto che avviene lungo una traiettoria rettilinea con accelerazione a costante ⇒ velocità varia continuamente in modo uniforme e ricaviamo la legge oraria: a = cost ⇒ v = v(t) non è più costante ma varia in modo proporzionale all’accelerazione, v(t) –vi= a · t , equazione che non è altro che la definizione di accelerazione media ( a = v f − vi t ) applicata al caso a = cost Lo spazio percorso è stabilito dalla seguente legge oraria del moto uniformemente accelerato: 1 s(t) = a⋅ t2 + vi⋅t 2 Cioè in ogni istante la posizione sarà data dalla somma della posizione iniziale e di tutti gli incrementi dovuti alla velocità, che però non è costante perchè anch’essa subisce a sua volta incrementi a causa dell’accelerazione. Nota. La dipendenza quadratica nel tempo si comprende risolvendo il seguente sistema v f − vi a= t v f − vi 1 ⇒ s(t) = a⋅ t2 v media = 2 2 s = v media ⋅ t che è composto da equazioni semplici dove si usa il trucco per cui lo spostamento si calcola come avvenuto ad una velocità costante pari al valor medio tra la viniziale e la vfinale del moto reale. Esercizi 1. Prestazione di una vettura : da 0 a 100hm/h in 10 sec. Cosa significa? Che la velocità della vettura può essere aumentata da 0 a 100 Km/h in 10 secondi, quindi è una indicazione sulle sue capacità di accelerazione. Quanto vale l’accelerazione media in quei 10 s? a= ∆v v f − vi 100km / h 100000m / 3600 s = = = = 2,77m/s2 t t 10 s 10 s Come si confronta la “prestazione” della forza di gravità con quella del motore della macchina? Se la macchina accelerasse con a = +9,8 m/s2 in quanto tempo raggiungerebbe i 100 km/h? a= ∆v t t = ∆v a t= 100 ⋅ 10 3 1 ms 2 = 2,83s 3,6 ⋅ 10 3 9,8 sm In 10 secondi, quanto spazio percorre nei due casi? Devo utilizzare la legge oraria del moto uniformemente accelerato : s(t) = ½ a t2 +vi t con partenza da ferma cioè vi = 0 s(10 s) = ½ at2 = ½ ⋅2,77 ⋅ 100 = 140m e s(10 s) = ½ ⋅9,8 ⋅ 100 = 490m 2. Un giocatore di pallacanestro salta verticalmente fino a 76 cm di quota. Per quanto tempo si trattiene nella fascia di quota più elevata e ampia 15 cm (da 61 cm a 76 cm) e quanto nella fascia a più bassa quota dai 15 cm a terra? Fig.1 Ogni moto di volo verticale (salita e caduta) vicino alla superficie della terra soddisfa le leggi del moto uniformemente accelerato con a = -9.8m/s2. Il moto da studiare in questo esempio è il moto di volo dal decollo (istante iniziale) al raggiungimento della quota massima (istante finale, t’) alla quale la velocità si annulla vf = 0. Essendo soggetto alla stessa a, il moto di ri-discesa è assolutamente simmetrico a quello di salita. Devo nuovamente applicare la legge oraria del moto uniformemente accelerato s(t) = ½ a t2 +vi t che lega lo spostamento verticale al tempo. Non conosco però con quale velocità vi (velocità iniziale) il giocatore è partito da terra (decollato) per sollevarsi di 76 cm = 0,76m. Posso ricavarla risolvendo l’equazione della legge oraria nell’istante finale utilizzando il tempo di v f − vi volo di salita ricavato dall’equazione a = che è la definizione stessa di accelerazione media, t e la metto a sistema con la legge oraria. Si cerca il tempo t’ che il giocatore impiega ad arrivare all’altezza massima di 76cm, s = h=0,76 m, con agravità = -9.8 m/s2 0 − vi -9.8 m/s2 = t' t’ = vi/g ; d’ora in poi indicheremo con g l’intensità dell’accelerazione di gravità: g = 9,8m/s2 sostituendo h = vi t’ – ½ gt’2 h = vi vi /g – ½ g (vi/g)2 ; h = ½ vi2/g; vi = 2 gh = (2 ⋅ 9.8 ⋅ 0,76) m/s = 3,86m/s Partendo con velocità iniziale vi , il giocatore arriva all’altezza di 61cm = 0,61m al tempo t- e poi, passando per l’altezza massima, ripassa all’altezza di 0,61m al tempo t+ . Il tempo richiesto ∆t di permanenza al di sopra di 0,61m è dato da ∆t = t+ - t- , dove t+ e t- sono le radici dell’equazione di secondo grado 3,86 ± 3,86 2 + 4 ⋅ 0,61 ⋅ 4,9 9,8 3,86 − 1,71 3,86 + 1,71 e quindi t+ = = 0,568s e t- = = 0,219s, 9,8 9,8 perciò ∆t = 0,568 – 0,219 = 0,349sec. 0,61 = 3,86 t - ½ 9.8 t2; 4,9t2 – 3,86t + 061 = 0; t± = Si confronti questo tempo ∆t con il tempo t* che il giocatore impiega a percorrere gli ultimi 15 cm prima di ritoccare il suolo dopo il salto: (spazio da h al suolo) = 0,76m = ½ gt02; t0 = 0,76 ⋅ 2 = 0,394 s 9,8 (spazio da h a 15cm dal suolo) = 0,61m = ½ gt2; t = e 0,61 ⋅ 2 = 0,353 s, quindi 9,8 t* = t0 – t = 0,041s << di ∆t !! Il cestista trascorre 35 centesimi di secondo nel tratto alto e solo 4 centesimi nel tratto basso (15cm): I cestisti sembrano rimanere “appesi” al canestro!! Descrizione vettoriale del movimento. In questo capitolo estendiamo lo studio del moto dei corpi al moto di corpi sempre puntiformi (trascuro le rotazioni) ma che si muovono in uno spazio a più dimensioni. In particolare sarà sufficiente trattare il moto in due dimensioni. Per descrivere i moti che avvengono su di un piano o nello spazio, dobbiamo considerare la natura vettoriale delle grandezze fisiche spostamento, velocità ed accelerazione, che abbiamo introdotto. Tali grandezze sono caratterizzate da modulo (o intensità), direzione e verso. Quando si usano le relazioni e le leggi che coinvolgono le grandezze vettoriali bisogna calcolare somme e prodotti tra vettori. Consideriamo il caso particolare di vettori in due dimensioni, cioè in un piano. Per rappresentare un vettore utilizzeremo le sue componenti in un piano cartesiano. Supponiamo che Soldini debba comunicarci la sua posizione nell’oceano, cioè deve descrivere il suo vettore posizione. Egli può dare la sua longitudine e latitudine rispetto al meridiano ( Greenwich) e parallelo (equatore) di riferimento ϑs Fig. 2 S Xs Ys longitudine di Soldini latitudine di Soldini → Longitudine e latitudine dicono quali sono le componenti cartesiane del vettore orientato R vettore posizione di Soldini. Ys = Rs sin ϑ s dove ϑ s Xs = Rs cos ϑ s ( sin e cos sono funzioni che variano tra –1 e 1 così che il massimo valore di Xs o Ys è Rs , giustamente) s , → e | R s | = Rs = (X2s +Y2s )1/2 (Pitagora ) Operazioni con i vettori : Somma, con regola del parallelogramma; spostare i vettori lungo la loro retta di applicazione finchè si trovano coda contro coda e costruire il parallelogramma, Fig.3 oppure con componenti cartesiane, si sommmano le componenti cartesiane corrispondenti, dopo aver disposto i vettori in un insieme di riferimento cartesiano e calcolato le componenti con cos ϑ e sin ϑ . → Prodotto per uno scalare c · a , tra un vettore ed uno scalare è un vettore che ha la stessa direzione e il modulo moltiplicato per lo scalare. In particolare, moltiplicando per –1 , si trova il vettore opposto. La somma di un vettore con l’opposto di un altro equivale a fare la differenza fra i due vettori. → → Prodotto scalare a · b , tra due vettori dà luogo ad uno scalare, si moltiplica l’intensità dell’uno per la proiezione dell’altro nella direzione del primo ( o viceversa), → → → → → → → → a · b = | a | · | b | cos ϑ = b · a poiché cos ϑ è simmetrico rispetto a ϑ = 0, cos ϑ = cos- ϑ (proprietà commutative del prodotto scalare) a · b è → → max quando cos ϑ = 1 ⇒ a e b equiversi e paralleli → → → → =0 quando cos ϑ = 0 ⇒ a e b sono perpendicolari ( non c’è componente di b lungo a ). → → Si userà ad esempio per il lavoro meccanico L = F · s → Prodotto vettoriale → → → → a ^ b , tra due vettori, dà luogo ad un vettore di intensità → → → | a ^ b | = | a | · | b | sin ϑ = - | b ^ a | non commutativo, sin ϑ è antisimmetrico rispetto a ϑ = 0: sin ϑ = - sin - ϑ . → → → → Il vettore a ^ b è diretto perpendicolarmente al piano che contiene a e b e col verso dato → → dalla regola della mano destra: se a ruota verso b lungo l’angolo minore Fig. 4 → → Il vettore prodotto a ^ b esce dal foglio. Questo tipo di prodotto si incontrerà ad esempio, nel calcolo del momento di una forza, quando una forza genera rotazioni anziché traslazioni → r → M = R ^ F Esercizio : disporre due vettori di intensità 3 e 4 (spostamenti di 3m e 4m) in modo che la somma sia 7m, 1m, 5m a) consecutivi, nella stessa direzione, stesso verso Fig. 5 b) consecutivi, nella stessa direzione, versi opposti Fig. 6 c) Perpendicolari, Pitagora | 32 + 42 | = | 52 | Fig. 7 Moto del proiettile Descriviamo il moto di un punto materiale (rappresentativo di un corpo) che viene lanciato, e dunque segue una traiettoria in due dimensioni lungo una delle quali (quella verticale) sperimenta un’accelerazione diretta verso il basso agravità = -9.8 m/s2 (caduta libera) e nell’altra orizzontale no (accelerazione orizzontale = 0). → → La velocità iniziale vettoriale vi , e la successiva velocità v (t) sono considerate opportunamente in un sistema di riferimento cartesiano, in cui un asse è diretto verticalmente e il verso positivo è verso l’alto. Sia ϑ l’alzo, cioè l’angolo di emissione. Fig. 8 L’esperienza insegna che il proiettile (oggetto lanciato) cade. Se lanciato verso l’alto sale fino ad → un’altezza massima e poi scende. In ogni istante t del moto la velocità v (t) sarà diretta come la tangente alla traiettoria. → Le componenti di v (t) lungo gli assi di riferimento, vx(t) e vy(t), dipendono da tempo t , ma sono fra loro indipendenti. Si può dunque separare il moto in due dimensioni in due moti unidimensionali. Verifica dell’indipendenza dei due moti è nel fatto che filmati stroboscopici di due palline una lasciata cadere, l’altra lanciata orizzontalmente mostrano che dopo tempi uguali le due palline si trovano alla stassa quota. Vix Viy=0 Fig. 9 Il moto orizzontale non influenza il moto verticale. Esercizi 1. Problema della scimmia Quando la scimmia si accorge che il cacciatore le spara, si lascia cadere. Fig.10 Dove deve mirare il cacciatore per prenderla? L’accelerazione è in generale un vettore. Nel moto su un piano, l’accelerazione è definita da due → componenti: a ≡ (ax , ay ) - moto orizzontale – lungo l’asse orizzontale il corpo in moto non sperimenta alcuna accelerazione, ax = 0, dunque la componente orizzontale della velocità è costante → se vi aveva componente orizzontale non nulla vi x = vi ⋅cos ϑ , questa si mantiene e sarà x(t) = vi x t + xi x(t) – xi = ( vi cos ϑ )t spostamento orizzontale sx = ( vi cos ϑ )⋅t -moto verticale – accelerazione costante agravità, dunque moto uniformemente accelerato, se c’era → una componente iniziale v0y della velocità v , allora 1 y(t) = (-g)t2 + viy ⋅t + yi 2 1 1 y(t)-yi = (vi sin ϑ )t- gt2 spostamento verticale sy=(vi sin ϑ )⋅t- gt2 2 2 Traiettoria del proiettile Abbiamo visto le leggi orarie in x e y ma la traiettoria? è in due dimensioni, disegnamola in un riferimento cartesiano, vedendo per ogni posizione in x quanto vale y, cioè ricavando y = y(x). Mettiamo a sistema; supponiamo di partire da xi = 0 e yi = 0 , per semplicità: x x = ( vi cos ϑ )t ⇒ t = vi cos ϑ 1 y =( vi sin ϑ )t - gt2 2 1 x ( x) 2 g - g = x tg ϑ x2 2 2 cos ϑ 2 (vi cos ϑ ) 2(vi cos ϑ ) g (tg ϑ è costante perché è l’alzo iniziale; è costante perché g è costante, vi pure, 2(vi cos ϑ ) 2 ϑ pure). Questa è l’equazione di una parabola, del tipo y = ax2 + bx . La traiettoria è dunque una parabola. Ha importanza sapere la gittata orizzontale , cioè a quale distanza D il proiettile toccherà il suolo (che misura farò nel lancio?) D D = x-xi = (vi cos ϑ )t ⇒ t = vi cos ϑ 1 Suolo → 0 = y – yi = (vi sin ϑ )t - gt2 2 2 1 D D - g 0 = vi sin ϑ vi cos ϑ 2 (vi cos ϑ ) 2 y = sin ϑ · dividendo per D sin ϑ 1 D - g 0= cos ϑ 2 (vi cos ϑ ) 2 ⇒ D= sin ϑ 2vi2 cos 2 ϑ cos ϑ g = sin ϑ cos ϑ 2vi2 g ↓ sin2 ϑ (trigonometria! 2 sin ϑ cos ϑ = sin2 ϑ ) v2 D = i sin2 ϑ g Questa equazione mi dice che misura farò a partire dalla velocità iniziale che riesco ad imprimere all’attrezzo e all’alzo del tiro. La funzione sin ha un andamento a max e min ⇒ si avrà un max quando sin 2 ϑ =1 ⇒ 2 ϑ = 90° ϑ = 45° . L’alzo iniziale di 45° darà il risultato migliore (assenza di vento, assenza di attrito, problema semplificato). Attenzione sin 2 ϑ è simmetrico intorno a 2 ϑ = 90° e dunque si avranno gittate uguali per angoli equidistanti da 2 ϑ = 90° ⇒ ϑ = 45° (osservazione di Galileo) Fig. 11 Esercizi 1 – Copione di un film: cascatore deve saltare da un terrazzo sul terrazzo di un palazzo vicino distante 6,2m e più basso di 4,8m; la sua velocità sul terrazzo può essere 4,5 m/sec. Accetta la parte? Fig.12 Per cadere di 4,8 m impiega un tempo tc tale che y(tc) – yi = -4,8m = tc = 1 2 gt c 2 (−4.8) ∗ (−2) = 0,99sec 9.8 Nel tempo di caduta tc = 0,99s quale distanza potrà coprire con la velocità iniziale ( e poi costante) vix =4,5 m/sec? d = x-xi = vix t = 4,5 · 0,99 = 4,5m d = 4,5m è meno dei 6,2m che separano i due palazzi. Il cascatore farà bene a rifiutare la parte. Quale velocità iniziale min dovrebbe avere per avere delle chances? 6,2 = 6,2 m/sec Vix = 0,99 2 – Salto di Bob Beamon a città del Mexico nel 1968: salto in lungo di 8,90m. Supponendo che la velocità del decollo sia stata 9,5 m/s come per un centometrista, quanto vicino arrivò alla gittata max (per assenza di resistenza aria). v02 Dmax = per sin 2 ϑ 0 = 1 ( ⇒ ϑ 0 = 45°) g (9,5) 2 = = 9,228m 9,78 ∆ D = 9,228 – 8,90 = 0,328m 3 – Cestista Fig.15 Quale velocità iniziale v0 deve avere la palla affinchè il cestista possa fare canestro se l’alzo iniziale è di 55° rispetto all’orizzontale (le varie distanze sono indicate in Figura)? Definisco sistema di assi cartesiano con origine nel centro della palla e assi paralleli agli assi originari. In questo sistema di riferimento, la posizione del canestro è xc = 4,2 – 0,3 = 3,9m yc = 3 – 2,1 = 0,9m L’ equazione della traiettoria è g x2 y = x tg ϑ 0 2(v0 cosϑ0 ) 2 Introduco nell’equazione i valori di yc, xc, tg 55° = 1,428 e ricavo il valore dell’unica incognita v0 9,8 0,9 = 3,9 x 1,428 x (3,9)2 2(v0 x0,574) 2 74,53 0,9 = 5,569 (v0 x0,574) 2 (0,9 – 5,569) (v0 x 0,574)2 = -74,53 v0 = 1 74,53 = 6,96m/sec 0.574 4.669 Forze e moto Quando un oggetto cambia il suo stato di moto (da fermo si muove, o si ferma se si stava muovendo, accelera o frena, o curva) per esperienza sappiamo che è avvenuta un’interazione dell’oggetto con un altro corpo dell’ambiente circostante, al contatto o a distanza. Il concetto di interazione prevede sempre la presenza di due corpi: un’interazione viene scambiata tra due corpi. A questa interazione associamo il concetto di forza. Questa associazione non è solo qualitativa ma viene quantificata tramite una legge che collega forze e cambiamenti dello stato di moto dei corpi, rendendo la forza una grandezza derivata nel sistema SI. Ciò avviene introducendo una grandezza fisica fondamentale chiamata massa (m) che è caratteristica di ogni corpo materiale e che esprime l’inerzia al moto propria del corpo quando viene sottoposto alla sollecitazione di una forza. Diciamo che due corpi hanno masse diverse se assumono accelerazioni diverse quando sottoposte all’azione della medesima forza. Questa massa si dice anche inerziale. Si misura in kilogrammi (kg) ed è una grandezza scalare positiva. La teoria del moto è riassunta dalle tre leggi formulate da Isaac Newton fondate sulle basi del genio di Galileo Galilei . Prima legge del moto. Ogni corpo rimane nel suo stato di quiete, o mantiene il suo stato di moto a velocità costante, se nessuna forza agisce su di esso o se la risultante delle forze ad esso applicate è nulla. Questa proprietà del moto è detta anche “principio di inerzia” o “primo principio della dinamica” . Velocità costante significa che il vettore velocità è costante, cioè non variano modulo, direzione e verso. Quindi l’unico moto possibile in assenza di forze applicate è quello rettilineo uniforme. (Tale legge non può essere verificata se si prende in considerazione un sistema di riferimento che si muove di moto accelerato. Per esempio se utilizzo un sistema di riferimento solidale con l’abitacolo di un’automobile o di un aereo che stanno accelerando o frenando, i corpi possono scivolare, l’acqua contenuta in un bicchiere vi si può rovesciare addosso, come soggetta ad una forza. In realtà ciò avviene proprio perchè questi corpi tendono a mantenere il loro stato di moto e ‘disubbidiscono’ alla variazione di velocità che ciò che è solidale col sistema di riferimento sta subendo. I sistemi di riferimento nei quali si verifica la prima legge della dinamica si chiamano sistemi di riferimento inerziali e sono da essa implicitamente definiti). Seconda legge del moto. Questa legge, formulata inizialmente da Galileo e poi riproposta da Newton, è detta anche “legge fondamentale della dinamica” → → F =m a → La forza F → è un vettore dato dal prodotto del vettore accelerazione a per uno scalare m ed è → diretto come a . Questa legge, come si vede, è una legge vettoriale. Se più forze agiscono sul corpo di massa m la legge vale per il “vettore risultante” che è la somma vettoriale di tutte le forze che agiscono sul corpo. L’accelerazione è diretta come il vettore risultante delle forze. → Si possono definire le componenti di F moto vale componente per componente Fx = max Fy = may lungo gli assi del sistema di riferimento e la legge del Fz = maz L’unità di misura della forza è il newton (N) 1N = 1Kg m/ s2 E la relazione dimensionale è [N ] = mlt −2 [ ] Se la forza (o la risultante delle forze) applicata al corpo è nulla, è anche nulla l’accelerazione e, visto che l’accelerazione è definita come la variazione della velocità divisa per il tempo, la variazione della velocità sarà anch’essa nulla. Ciò significa che la velocità si mantiene costante. Quindi, in assenza di forze applicate, il corpo rimane fermo se inizialmente era fermo e continua a muoversi con velocità costante se inizialmente si muoveva, come già affermato dalla prima legge. Terza legge del moto. Dal concetto di forza, che esprime l’interazione tra i corpi, deriva anche quello che viene comunemente detto “il principio di azione e reazione” o “terzo principio della dinamica”: ad ogni azione corrisponde sempre una reazione uguale e contraria, cioè se due corpi A e B interagiscono in → modo che il corpo A eserciti una forza F sul corpo B, allora il corpo B esercita sul corpo A una → ' → → forza F = - F . Si noti che le due forze NON sono applicate allo stesso corpo, F agisce su → B e F ' agisce su A. L’applicazione di questo principio è molto importante quando si considerano le forze che si realizzano al contatto tra due corpi e in particolare per le forze applicate da muscoli, tendini, legamenti e ossa del corpo umano. Forze particolari Forza gravitazionale Newton, nel descrivere il moto dei corpi celesti, ha stabilito la presenza di una forza di interazione a distanza tra due corpi che chiamiamo forza di gravità e ha fornito l’espressione che la governa: mG1 mG 2 ( legge di attrazione universale) R2 dove mG 1 e mG 2 sono le masse gravitazionali dei due corpi, R è la distanza tra le due masse (considerate puntiformi) e G è una costante numerica che vale 6,67 x 10-11 Nm2/kg2. 1 Nm2/kg2 è anche 1m3/kg s2. Il segno meno sta a indicare che la forza è attrattiva. La forza gravitazionale viene rappresentata con un vettore il cui modulo è dato dalla legge di Newton e che ha la direzione della congiungente i centri di massa delle due masse. La forza di attrazione ‘sentita’ dalla massa mG 2 dovuta a mG 1, ha il verso che punta su mG 1 e contemporaneamente la forza di attrazione misurata dalla massa mG 1 dovuta a mG 2, ha il verso che punta su mG 2m (le due forze sono l’azione e la reazione della terza legge della dinamica. Perchè nell’esperienza comune non si osserva che una matita attiri un’altra matita su un tavolo? La forza attrattiva gravitazionale esiste fra di loro, ma è molto piccola (la costante G è molto piccola!) ed è contrastata completamente dalle forze di attrito (che discuteremo fra breve). La Terra su cui viviamo ha invece una massa molto grande, M = 5,97 x 1024 kg, e quindi può esercitare una forza più che apprezzabile su altre masse, anche se piccole, come quella della matita (la matita cade dal tavolo!). Chiamiamo forza peso la forza di gravità FG esercitata dalla Terra su ogni corpo ad essa vicino e che origina dall’interazione gravitazionale per la quale tutti i corpi si attirano fra di loro. La forza peso viene spesso indicata con P, che agisce su un corpo di massa mG vale FG = -G M GTerra mG M ≡ - g mG con g ≡ G GTerra 2 RT RT2 Dove MG Terra è la massa della Terra ed RT è il raggio della Terra (RT = 6370km). Il valore di g risulta P = -G g = 6,67 x 10-11 m3 5,97 x10 24 kg = 9,8 m/s2 e ha le dimensioni di un’ accelerazione. 3 2 2 2 kgs (6379 x10 ) m La forza di attrazione gravitazionale alla quale una massa mG è soggetta vicino alla superficie di un altro pianeta è diversa. Infatti la massa e il raggio degli altri pianeti sono diversi da quelli della Terra e quindi g assume un altro valore! Si può dire che il peso di un corpo cambia sui diversi pianeti o sulla Luna, mentre la massa gravitazionale è la grandezza fisica fondamentale propria di ogni corpo. E’ molto importante ora applicare la seconda legge della dinamica, o legge fondamentale della dinamica F = m a, ad un corpo soggetto alla sola forza peso sulla superficie della Terra, cioè quando F è la forza peso P ora definita. F =ma P =ma -g mG = m a Abbiamo voluto lasciare indicato il pedice G perché in principio non c’è ragione perché la grandezza con le dimensioni di una massa che compare nella legge di gravitazione sia uguale alla massa implicitamente definita dalla relazione di proporzionalità tra la F applicata e l’accelerazione subita da un corpo data dalla seconda legge della dinamica. Si è tuttavia dimostrato sperimentalmente che la massa gravitazionale mG (introdotta nella legge di attrazione universale e la massa m, che si dice massa inerziale ed è definita tramite la seconda legge della dinamica, sono uguali: hanno lo stesso valore. Questo permette di semplificare le due masse nell’equazione e di ottenere -g = a che significa che l’accelerazione di una corpo soggetto alla forza peso sulla superficie della terra vale a = –g ≡ -9,8 m/s2. NB l’accelerazione vale 9,8 m/s2 per tutti i corpi di qualsiasi massa. Infatti sui corpi con massa maggiore vengono esercitate forze maggiori in modo proporzionale alla loro massa (corpi con massa maggiore ‘pesano di più’), così da produrre sempre la stessa accelerazione. Si è soliti assumere che g sia costante e che non dipenda dalla quota h alla quale ci si trovi al di sopra della superficie terrestre. Questa è un’approssimazione molto buona nei limiti in cui h<< RT. Infatti g diminuisce con la quota: per esempio, se h = 8000m (circa sul monte Everest!), l’accelerazione di gravità g si riduce a (6370000) 2 x g = 0.99749 x g = 9.7754 m/ s2 (meno del 2,5 per mille!) 2 (6378000) Forze di superficie Forze di contatto Alla superficie di contatto tra due corpi si realizzano le forze che chiamiamo appunto di superficie e che si dividono in forze di contatto e forze di attrito. Le forze di contatto → La forza normale FN è la forza che un corpo sperimenta quando è appoggiato su di una superficie. Si chiama normale perché è sempre diretta perpendicolarmente alla superficie. Se la superficie è orizzontale FN Fc Fig.16 Piano orizzontale. Calcolare l’intensità della forza normale applicata ad un oggetto di massa m fermo su un tavolo orizzontale . Per il primo principio della dinamica (principio di inerzia) se un corpo e fermo la risultante delle forze ad esso applicate è nulla, cioè → → P + FN = 0 → In questo caso la forza normale FN è un vettore che ha lo stesso modulo e la stessa direzione del → → → vettore forza peso P , ma ha verso opposto. Quindi, il modulo di FN vale: | FN | = mg Piano inclinato. → → Nel caso di un piano inclinato dovrò tenere conto che FN può compensare solo la parte di P diretta normalmente al piano (infatti se non c’è attrito il corpo scivola lungo il piano inclinato). Se ϑ è l’angolo che il piano inclinato forma con l’orizzontale, il piano inclinato fornisce al corpo una → forza normale che in modulo vale | FN | = m g cos ϑ . FN Fig. 17 F 4 – Salto con molleggio Un uomo con massa m = 70kg salta da un’altezza L = 2m. Arrivando al suolo, molleggia sulle ginocchia per un tratto l = 0.2 m. Si calcoli la forza di reazione che il suolo esercita sui piedi durante il molleggio. Si consideri il molleggio come una frenata che avviene con accelerazione (negativa) costante. Fig. 18 Cadendo da un’altezza L, all’istante in cui il piede tocca il suolo, la velocità Vs è data dalla risoluzione del sistema di equazioni cinematiche per il moto uniformemente accelerato, con t0 il tempo di caduta: Vs = gt0 L = ½ gt02 Vs = (2gL) ½ La forza di reazione che esercita il suolo sul piede durante il molleggio è quella che imprime l’accelerazione (negativa) a di frenata (più il peso del corpo mg).Il corpo si ferma in un tratto l . Questa frenata si tratta con le equazioni del moto uniformemente accelerato. 0 = Vs – at l = Vs t – ½ at2 (essendo t il tempo di frenata) dalla prima equazione t = Vs /a che, introdotto nella seconda equazione, permette di calcolare a: a = ½ Vs2/l e con Vs = (2gL) ½ si ottiene: a = g (L/l) e quindi la forza di reazione Fr = mg + ma è data da: Fr = mg (L/l + 1) = 70 x 9,8 x (2/0,2 + 1) N = 7546Newton Si noti che al peso si aggiunge una forza che è il peso moltiplicato per un fattore (“fattore di caduta”) dato dal rapporto tra l’ampiezza del salto e il tratto di molleggio. Questa forza si trasmette dal piede all’articolazione delle ginocchia e così via!! Tensione Quando una corda è attaccata ad un corpo e viene tirata, si dice che la corda è sotto tensione. → La tensione T cui è sottoposta la corde in ogni sua parte è una forza pari alla forza che si applica sia al corpo sia alla mano che lo tira, ai due estremi della corda, ed è sempre diretta lungo la corda. Fig. 19 Anche con una carrucola, cioè con la corda che si curva intorno ad una rotella, la tensione ha intensità T lungo la corda. Una corda è utile in questo caso per cambiare la direzione e il verso di applicazione di una forza: la mano tira verso il basso ma la massa è sottoposta ad una forza verso l’alto. Fig.20 I tendini del corpo umano sono corde e vengono utilizzati anche per variare la direzione di applicazione delle forze esercitate dai muscoli. Forza di attrito L’attrito fa parte dell’esperienza quotidiana, nel bene e nel male! Da una parte fa consumare più benzina (20% per motore e trasmissione), ma anche la suola delle scarpe, il battistrada delle gomme e i gomiti del maglione, dall’altra consente il movimento, i nodi tengono, i chiodi fissano, etc.. Un libro che scivola su un tavolo orizzontale si fermerebbe se non mantenessi una forza costante che contrasta l’attrito: su una superficie ruvida, il movimento genera lui stesso una forza che decelera il moto. Per mantenere in moto rettilineo uniforme un corpo che scivola sopra un piano, bisogna applicare al corpo una forza che serva a neutralizzare questa forza “spontanea”(detta di attrito), in modo che la risultante delle forze applicate sia nulla . Anche l’inizio del moto è contrastato dalla forza di attrito (statico) che assume un valore uguale e contrario a quello della forza che applico, fino a raggiungere un valore massimo (valore limite). Il corpo non si muove, resiste al moto. Oltre quel valore limite, cioè se applico una forza sufficientemente intensa, il corpo inizia a muoversi. Situazione : FN P → Fig. 21 Un blocco appoggiato sul piano orizzontale è fermo. → verso il basso e FN verso l’alto sono uguali in modulo. → Se applico una forza F per spostare il corpo verso destra insorge una forza di attrito statico P → → il cui modulo vale | Fatt _ s | = µ s | FN | ( µ s è il coefficiente di attrito statico, il suo valore dipende dalla natura dei materiali a contatto) esercitata orizzontalmente dal piano che uguaglia in → → intensità F ma di verso opposto in modo che il corpo non si muove. Se aumento F aumenta → anche Fatt _ s . FN Fatt F P Fig.22 Diagramma delle forze applicate al blocco → Raggiunto un certo valore di F il corpo ha uno “strappo” e comincia a muoversi nella direzione → → di F , verso destra, ostacolato dalla una forza di attrito dinamico Fatt _ d , generalmente inferiore al → valore max di Fatt _ s (è più facile mantenere un corpo in moto che muoverlo da fermo). (Il passaggio da un regime all’altro è all’origine degli stridii da attrito – quello, ad esempio, del gesso sulla lavagna - o anche del suono del violino). - Proprietà dell’attrito riassunte : → → 1 – Corpo fermo : la forza di attrito statica Fatt _ s e la componente di F parallela alla superficie hanno uguale intensità e si annullano. 2 – limite di scivolamento: la massima forza di attrito per due materiali posti a contatto è proporzionale alla forza normale tramite un coefficiente di attrito statico µ s → → | Fatt _ s (max)| = µ s | FN |. µ s è un coefficiente adimensionale che assume valori diversi per diverse coppie di materiali.. 3 – il corpo inizia a muoversi, il valore della forza di attrito decresce rapidamente fino a → → | Fatt _ k | = µ k | FN | proporzionale alla forza normale tramite un coefficiente di attrito dinamico µ k , adimensionale e dipendente dalla coppia di materiali in considerazione. → → → → Attenzione, | Fatt _ s | e │ Fatt _ k | sono proporzionali non a | P | ma a | FN | , quindi nel caso di un → → piano inclinato bisogna considerare la componente di P perpendicolare al piano. FN equilibra → solo la parte di P perpendicolare al piano. → → Attenzione : le equazioni per | Fatt _ s | e | Fatt _ k | non sono vettoriali: le forze di attrito non sono → dirette come la forza normale FN , ma parallele al piano. Durante una corsa : allo scatto si usano i blocchi di partenza per sfruttare la reazione del blocco alla forza muscolare di spinta. Data l’inclinazione dei blocchi, la forza di reazione del blocco sul atleta si massimizza nella direzione del moto. ⇒ si fa uso della “azione-reazione” Fig. 23 Durante la corsa si sfrutta il coefficiente di attrito statico per mantenere un piede fermo a terra mentre l’altro avanza. Per non superare il limite di scivolamento all’indietro del piede di appoggio la forza che si esercita sul terreno deve avere una componente normale al terreno di intensità opportunamente elevata. In ogni caso se µ s è basso, si ha l’effetto del camminare sul ghiaccio. L’uso di scarpette chiodate non aumenta il valore di µ s , che è il coefficiente d’attrito tra due superfici “lisce”, piuttosto hanno una funzione simile a quella di mini blocchi di partenza: permettono di esercitare una forza sul tartan lungo la direzione del moto, cioè parallelamente alla pista. Resistenza del mezzo Consideriamo un corpo che si muove in aria. Esso incontra una resistenza da parte dell’aria che agisce in modo da opporsi al movimento del corpo, cioè ha la stessa direzione e verso opposto a quella del moto. → D forza di resistenza del mezzo o forza aerodinamica (detta anche forza viscosa) si → 1 | D |= cρAv2 (limite di alte velocità e/o alte viscosità) 2 D è proporzionale al quadrato della velocità (termine v2 ). Inoltre D è proporzionale ad A, l’area efficace della sezione trasversa. (l’area presentata dal corpo nella direzione del moto; vedi la posizione a uovo dei discesisti di sci o dei ciclisti). ρ è la densità del mezzo. E’ intuitivo che la resistenza D dipenda dalla densità del mezzo: infatti il corpo, per procedere, deve “farsi strada” spostando le molecole del mezzo. Quindi più il mezzo è rarefatto, più è facile “farsi strada” e inferiore è la resistenza D. Con c si indica il coefficiente di penetrazione (il cosiddetto cx, che dipende dalla forma geometrica del corpo) . La forma (oltre che l’area efficace A) influenza la resistenza opposta dal mezzo perché una ottimizzazione della forma (affusolata, migliorare il Cx) porta a ridurre la formazione di turbolenze nell’aria intorno al corpo. Casco dei ciclisti o discesisti con forma a punta posteriore : non riduce la sezione trasversa A, ma piuttosto migliora il Cx. Fig. 24 Nel nuoto, lo sbattere i piedi serve soprattutto per mantenere il corpo orizzontale e quindi a ridurre la sezione A. Il lavoro viene fatto per lo più dalle braccia (75%). In acqua anche se la velocità v è bassa, D è significativa perché la viscosità del mezzo è grande. Per ridurre le turbolenze negli sport di velocità diventa essenziale utilizzare accorgimenti quali: nascondere dadi e cavi nelle biciclette, togliere cerchietti delle racchette da sci. Tagliare i capelli o rasarsi le gambe sono sempre modi di ridurre anche le piccole turbolenze. Velocità limite di caduta di un grave in aria. → La forza D di frenamento durante la caduta libera li un corpo in aria ha verso opposto a quello → → della forza peso P che accelera il corpo verso il basso. Se P è costante, il corpo accelera con → accelerazione g , i.e. aumenta la velocità verso il basso, ma aumentando v, dunque v2, aumenta → → D. Ciò prosegue finché D diventa di intensità uguale P con verso opposto : D = - P → → A questo → punto, la risultante delle forze agenti sul corpo in caduta è nulla ( ∑ F = D + (- P ) e dalla → seconda legge (fondamentale) della dinamica si ha che l’accelerazione a del corpo è nulla. ⇒ Il corpo non accelera più, e mantiene velocità costante massima. La velocità raggiunta, detta velocità limite vlim , è tale da verificare l’uguaglianza 1 D = cρAvlim2 = mg = P quindi ⇒ vlim = (2mg/ cρA) ½ . 2 La vlim raggiunta dai paracadutisti può essere variata modificando A tramite dei cambiamenti dell’assetto in volo. Questo permette ai paracadutisti di raggiungersi per fare figure in aria. L’apertura del paracadute fa aumentare di molto A rendendo la velocità limite molto più bassa. Anche le gocce di pioggia raggiungono la velocità limite (v ≈ 7m/sec in 6m) nella loro caduta. Ad esempio, cadendo da 1200m le gocce di pioggia raggiungono la terra con la velocità limite di circa 7m/sec e non con la velocità di 150m/sec che avrebbero, se non ci fosse l’azione di frenamento D (dei veri proiettili!). Senza D → vfin = 150m/s Con D → vfin = vlim = 7m/s Fig. 25 Forza elastica La forza elastica è una forza non costante. L lunghezza di riposo della molla Fig. 26 Una massa m è vincolata ad una parete con una molla. Se tiro la massa, la molla si estende, diciamo di un tratto x. La molla esercita una forza di richiamo proporzionale all’allungamento x (più si allunga, maggiore è la forza F di richiamo). F = -kx “richiamo” cioè di verso opposto all’allungamento. Ecco la ragione del segno (-) Se, raggiunta una certa estensione la molla viene rilasciata, essa si ricomprimerà, ritornerà alla lunghezza di riposo L, poi si schiaccerà di un tratto x dalla parte opposta e nuovamente agirà la forza di richiamo (che è variabile in quanto varia con il variare di x). La massa oscilla attorno alla posizione di riposo; k è la costante elastica della molla. L’espressione della forza elastica vale per i respingenti del treno (k grande), come per la molla della biro (k piccola), come per l’elastico del saltatore dal ponte. Impulso di una forza La legge fondamentale della dinamica F = ma può essere scritta esprimendo l’accelerazione con la sua relazione definitoria (vf - vi)/t : v f − vi e quindi portando il tempo t al primo membro F=m t F ⋅ t = m ⋅ (v f − vi ) oppure F ⋅ t = m ⋅ ∆v Si dice “impulso “ di una forza il prodotto della forza per il tempo durante il quale viene applicata, F ⋅ t (se la forza non è costante, l’impulso è l’integrale della forza nel tempo in cui viene applicata). Scritta in questo modo, l’equazione fondamentale della dinamica può essere letta così. 1) Supponiamo che un corpo vari la sua velocità di una quantità ∆v = vf - vi , tanto più lungo è il tempo t durante il quale questa variazione avviene, tanto minore è la forza che deve essere sviluppata per ottenere tale variazione della velocità. In questi termini si capisce ad esempio l’utilità delle cinture di sicurezza che allungando i tempi durante i quali, in caso d’incidente, la velocità del passeggero (che non è solidale con la vettura) passa da un valore vi iniziale a zero, determina una riduzione della la forza cui il passeggero stesso è sottoposto durante il breve tempo dell’impatto (la forza che le ossa e le articolazioni possono sopportare è limitata). Si vede anche come funziona l’elastico del jumper, finchè l’elastico non è completamente svolto (<L). la forza che agisce sul jumper è P (la forza peso), poi progressivamente la forza elastica di richiamo contrasta P, quindi il jumper decelera progressivamente per un lungo intervallo di tempo e lo ‘strappo’ (F applicata), necessario per contrastare P e fermare il jumper, applicato sulle sue gambe, e a cascata su tutte le sue articolazioni (secondo il terzo principio), è di entità minore. 2)L’impulso totale prodotto F ⋅ t , nella direzione ottimale, è la grandezza fisica che stabilisce l’efficacia di un gesto di spinta o di lancio, non la massima forza espressa o la durata dell’azione di spinta! Lavoro di una forza – lavoro meccanico → - 1° caso : Forza costante F . → Immaginiamo una forza F che agisce su un corpo durante il suo spostamento. Immaginiamo cosi → che il punto di applicazione di questa forza si sposti nello spazio di un tratto s . Viene detto → lavoro della forza F la quantità → → → L = F · s = F · s· cos ϑ → (prodotto scalare tra i due vettori) s Fig. 27 → (prodotto scalare di F per s ) Il lavoro è una quantità scalare, cioè è descritta completamente da un numero, da un valore. Tale → → valore può essere positivo o negativo a seconda che la componente di F lungo s sia equiversa o → → → di verso opposto a s . Se F e s hanno la stessa direzione e se lo spostamento avviene nel → senso di F diciamo che il lavoro è positivo (e viceversa, negativo). L’intensità del lavoro può → → variare tra un valore massimo e uno minimo, per gli stessi valori del modulo di s e di F , a → seconda del valore di cos ϑ . Il lavoro è massimo per cos ϑ = 1 (cioè per ϑ = 0), ( F diretto come → → → s ). Il lavoro è minimo ( L = 0) per cos ϑ = 0, cioè per ϑ = 90°, ( F perpendicolare a s ). Può darsi il caso che più forze agiscono sullo stesso punto. Allora, si può calcolare il lavoro totale è la somma dei lavori di tutte le forze applicate → → Ltot = ∑ Li = ∑ ( Fi ⋅ s ) Dimensioni di L : [ L ]= [ F ][ s ] = m· l · t-2 · l = ml2 t-2 Unità di misura di L : 1 joule = 1N · 1m ( 1J ) Lavoro della forza peso durante la caduta di un grave. Un grave cade vicino alla superficie della terra sotto l’azione della forza di gravità, cioè sottoposto ala forza peso P diretta verso il basso percorrendo un dislivello h . Il lavoro compiuto dalla forza peso si calcola come → → LP = P · s = P· s· cos ϑ notando che lo spostamento s (verso il basso) e la forza P sono paralleli con verso concorde, pertanto ϑ = 0 e cos ϑ = 1, e che | P| = m· g, si ottiene LP = m· g· h per uno spostamento s = h (dislivello) Lavoro meccanico nel sollevamento pesi. Durante questo gesto, sul bilanciere oggetto dell’applicazione delle forze, si esercitano la forza peso P e la forza muscolare dell’atleta. Naturalmente entrambe le forze lavorano ma i due lavori si oppongono uno all’altro (ricorda che il lavoro può essere positivo o negativo). Il lavoro positivo deve essere nel verso del moto quindi è quello della forza muscolare dell’atleta, il lavoro di P invece è negativo e se il bilanciere si alza di una quota h si calcola facilmente seguendo il procedimento del paragrafo precedente ottenendo LP = - m·g·h ( ϑ = π e cos ϑ = -1 ). Calcoliamo il lavoro della forza musculare seguendo l’esempio qui proposto. Esempio: Un atleta solleva un bilanciere di peso 2500N all’altezza di 2m (sopra la sua testa) Quanto lavoro meccanico compie la sua forza muscolare? Supponiamo che il sollevamento avvenga a velocità costante, con accelerazione nulla, allora il per il → primo principio della dinamica le forze applicate al bilanciere devono essere tali che ∑ Fi = 0 . Quindi la forza peso P = m· g deve essere controbilanciata dalla forza applicata dall’atleta Fm. → → Quindi Fm = - P con Fm = 2500N Il lavoro La fatto dall’atleta vale: → → Lm = Fm · s = 2500 N · 2m · 1 = 5000 J (sollevamento verticale , quindi ϑ = 0 e cos ϑ = 1) Quanto lavoro fa la forza peso? → → Lp = P · s = 2500 · 2 · (-1) = -5000 J (perché ϑ = π e cos ϑ = -1) Quanto lavoro fa l’atleta mentre sostiene il peso fermo sopra la testa? L = 0 perché non c’è spostamento. Qui si parla di lavoro meccanico, non di lavoro fisiologico, diciamo che si fa fatica perché c’è da mantenere integro” un corpo non rigido che è il corpo dell’atleta, quindi si il lavoro delle contrazioni muscolari per mantenere l’equilibrio e “l’integrità” è la misura del lavoro fisiologico necessario anche se il lavoro meccanico compiuto è nullo . 2° caso : Forza variabile Nel caso in cui F è una forza variabile che dipende dalla posizione, ogni volta che avviene uno spostamento ∆ x la forza cambia. Il lavoro totale sarà la somma dei lavori elementari fatti sui tratti piccoli sui quali la forza può essere assunta costante Ltot = ∑i F ( xi ) ⋅ ∆xi . ( Se si fa il limite per ∆ xi piccolo → 0 e la ∑ i è l’integrale Ltot = ∫ xtin xin F ( x) ⋅ d x ) Ad esempio la forza F può essere la forza di richiamo di una molla vincolata al muro. L’intensità della forza elastica varia durante lo spostamento aumentando con l’allungamento (o la compressione) della molla ed ha la direzione parallela allo spostamento, ma può avere verso concorde o discorde, quindi con cos ϑ che vale o +1 o –1. Immaginiamo di avere un blocco attaccato alla molla e di tirarlo da Xin a Xfin , allora F(x) = - kx Fig. 28 Il lavoro della forza elastica si calcola sommando i lavori infinitesimali compiuti per spostamenti infinitesimi durante i quali la forza si assume costante. Ciò è rappresentato graficamente nel calcolo l’area compresa al di sotto della curva del grafico di F (Fig 28/A). In figura si è cambiato il segno della funzione forza per comodità di rappresentazione. F= k⋅x F k⋅xfin LAB= -area k⋅xin 0 Xin Xfin x Fig 28/A Area = differenza aree dei due triangoli = 1 1 x B ⋅ kx B − x A ⋅ kx A 2 2 Ricordandoci del segno 1 1 Lin,fin = − kx 2fin + kxin2 2 2 1 e in generale L = kx 2 2 Se si calcola il lavoro della forza di richiamo durante un allungamento della molla si ha lavoro negativo, mentre durante il ritorno alla posizione di equilibrio il lavoro è positivo (segno dello spostamento x e della forza concordi) Energia cinetica Il termine “energia” indica la capacità di compiere lavoro. L’energia cinetica è la proprietà che rende conto quantitativamente del legame fra il lavoro compiuto ed il moto generato. Avevamo detto più o meno lo stesso parlando della seconda legge della dinamica riferendoci alle forze. Qui, col lavoro, non è necessaria la descrizione dettagliata delle forze che agiscono sul punto in considerazione. E’ sufficiente conoscere il loro lavoro totale. 1 L’energia cinetica: K = mv2 (> 0 perché m > 0 v2 > 0 ) (m e v sono la massa e la velocità del 2 corpo). [ ] L’unità di misura e le dimensioni di K sono le stesse del lavoro : Joule ( J ) e [K ] = ml 2t −2 . Teorema dell’energia cinetica Se una forza F compie un lavoro L su un punto materiale di massa m, si ha una variazione dell’energia cinetica pari al lavoro compiuto L = Kfin – Kin = ∆ K. Nel caso che più forze agiscono sul punto materiale, il teorema dell’energia cinetica si applica al lavoro totale (equivalentemente al lavoro della risultante ). E il caso dell’atleta che solleva il peso di 2500N ? Sappiamo che ha compiuto un lavoro di 5000J, ma il bilanciare con i pesi era fermo all’inizio ed è fermo alla fine. Quindi Kin = 0 e Kfin = 0 perché vin = 0 e vfin = 0. Allora il teorema dell’energia cinetica? Vale per il lavoro totale o lavoro della forza totale, e noi abbiamo visto che la forza netta totale = 0 ( Fa + P = 0 ) ed il lavoro totale è nullo, quindi giustamente si ha ∆ K = 0 1)Caso di una palla da tennis che cade : → → la forza peso P compie un lavoro positivo con spostamento concorde a P ; si dovrebbe avere ∆ K > 0, infatti la velocità v aumenta. 2)Caso di una palla lanciata verso l’alto: → lo spostamento ha verso opposto a P . Il lavoro della forza peso è negativo e quindi ∆ K è negativo: giusto! La velocità diminuisce. NB. Durante il volo agisce solo la forza di gravità quindi il lavoro totale comiuto sul corpo è solo quello della gravità. 3)Caso del moto circolare uniforme: la forza che agisce è la forza centripeta che è perpendicolare allo spostamento. Quindi non compie lavoro: deve essere ∆ K = 0. Iinfatti il moto è uniforme, cioè la velocità è in modulo costante. Potenza Si chiama potenza il lavoro che si è in grado di svolgere nell’unità di tempo. L P= ( potenza media ) ∆t ∆L ( potenza istantanea) ∆t Non è solo una stima del lavoro compiuto, ma anche della rapidità con cui si compie lavoro. P = lim ∆t →0 Fig. 29 Per superare il muro ci vuole un certo lavoro che consiste nell’innalzare il proprio corpo di un’altezza h. Sia l’atleta che lo supera in un sol balzo, sia il vecchietto che sale pian piano la scalinata faranno lo stesso lavoro. Quel che è diverso è la potenza dei due personaggi. Dimensioni e unità di misura della potenza: [P] = [L] [t-1] = [ml2t-3] 1 watt = 1 joule / 1sec (1w) Energia Potenziale K è energia connessa allo stato di moto di un sistema. C’è anche energia connessa alla posizione di un corpo in un campo di forze (configurazione). Si chiama energia potenziale. Nel caso dell’atleta di sollevamento pesi, il lavoro compiuto dall’atleta Lm non ha alterato l’energia cinetica K dell’attrezzo, ma ha modificato la configurazione del sistema (terra-attrezzo) variandone l’energia potenziale (W). Il lavoro non è stato sprecato ma “immagazzinato” : l’attrezzo prima è a terra, poi è in alto nel sistema che ora “potenzialmente” può compiere un lavoro, cedendo la sua “energia potenziale”. Energia cinetica ed energia potenziale sono due parti dell’energia meccanica: possono trasformarsi l’una nell’altra ed in lavoro. Nell’esempio precedente, quando l’attrezzo è in alto si ha che K = 0 e W = WA . Quando cade, K aumenta perché la velocità v aumenta e l’energia potenziale W diminuisce. In basso W = WB < WA e K è massima. L’attrezzo cadendo può compiere lavoro. Se fosse un martello potrebbe far avanzare un chiodo, ad esempio. L’energia potenziale viene definita proprio a partire dal concetto di lavoro di forze conservative. E’ conservativa una forza il cui lavoro per spostare il suo punto di applicazione da una posizione (configurazione) ad un’altra dipende solo dalle due posizioni (configurazioni) iniziale e finale. Equivalentemente si può definire la forza conservativa dicendo che il lavoro di tale forza è nullo se le posizioni (configurazioni) iniziali e finali coincidono. -Lavoro per passaggio dalla posizione A a B è lo stesso lungo I o II -Se da A vado a B e torno in A il lavoro totale è nullo. Fig. 30 Posso allora definire una funzione della posizione W che assume i valori WA e WB in A e B e tale per cui LAB = WA – WB ( W energia potenziale) WA, WB sono definiti a meno di una costante, tanto quello che interessa è la differenza fra loro. Variazione di energia potenziale del passaggio da A a B : WB – WA = ∆ W , allora LAB = - ∆ W Con questa convenzione sui segni si rende conto del fatto che un lavoro positivo ( fatto dalle forze conservative sul corpo) fa diminuire l’energia potenziale W ( L positivo → ∆ W negativo → → ho usato energia potenziale) un lavoro negativo (subito) aumenta W (L W B< W A negativo → ∆ W positivo → WB> WA → ho guadagnato energia potenziale). W si misura in Joule, come il lavoro e l’energia cinetica. Qual è la Forma di W? 1 Mentre la forma dell’energia cinetica è sempre K = mv2 indipendentemente dal tipo di forze 2 che provocano il movimento, W dipende dal tipo di forza conservativa di cui si sta calcolando il lavoro. Consideriamo due forze conservative : a) Forza gravitazionale, forza peso F(y) = -mg Stato di riferimento y0 = 0 in cui W0 = 0 Fig.31 Abbiamo detto che LAB = WA- WB ma siccome LAB = P ⋅ s = − mg ⋅ (− h AB ) dove hAB= yA-yB è la distanza tra A e B allora ⇒ WA = mgyA; WB = mgyB e in generale W(y) =mgy 1 Per la forza peso W(y) =mgy e l’energia totale meccanica (W+K) = mgy+ mv2=Etot 2 b) Forza elastica Fig. 32 F(x) = -kx Stato di riferimento x = 0, allungamento nullo; la lunghezza della molla è la sua lunghezza di riposo L ( W(0) = 0) Immaginiamo che la configurazione della molla venga modificata passando dalla posizione xA alla posizione xB. (Fig 32) Il lavoro della forza elastica è calcolato come 1 1 LAB = − kx B2 + kx A2 2 2 Ricordando che LAB = WA- WB possiamo ricavare l’espressione per l’energia potenziale elastica ⇒ WA = 1 2 kx A ; 2 WB = 1 2 kx B 2 1 e in generale W(x) = kx 2 2 Energia totale meccanica – Conservazione dell’energia In presenza di sole forze conservative la somma dell’energia cinetica e dell’energia potenziale costituisce l’energia totale meccanica. Tale energia meccanica gode della proprietà importantissima di conservarsi durante l’evoluzione del sistema. L’energia connessa al movimento e alla posizione si scambiano: una diminuisce e l’altra cresce, ad esempio, ma la loro somma rimane costante. - Esempio delle montagne russe. Se non ci sono attriti (infatti il trucco è quello di rendere il sistema privo di attriti), so già quale altezza massima potrò raggiungere (quella iniziale e non di più), quale velocità massima potrò raggiungere (in fondo alla valle). Queste quantità sono fra loro legate dal teorema della conservazione dell’ energia meccanica. Fig. 33 - Esempio del salto con l’asta. L’energia cinetica dell’atleta acquisita nella rincorsa viene trasformata in energia potenziale gravitazionale, parte direttamente e parte attraverso l’energia potenziale elastica dell’asta acquisita nella sua deformazione durante il salto. La flessibilità dell’asta (costante elastica dell’asta) è legata all’energia che si può immagazzinare in una data deformazione. Infatti, con aste rigide (alluminio, acciaio, bambù) il salto era più basso. Con fibra di vetro il record è stato polverizzato!! Fig. 34 Fig. 35 Fig. 36 Osserviamo che il teorema dell’energia cinetica ha validità generale, qualunque siano le forze che agiscono, conservative o non conservative (le forze non conservative si dicono anche “dissipative”) Ltot = ∆K L fc + L fnc = ∆K e ricordando che ↓ Lfc = - ∆W( fc ) Si ottiene che ∆K + ∆W( fc ) = Lfnc Si vede che nel caso in cui Lfnc sia nullo, cioè quando non ci sono forze dissipative, la somma delle variazioni di energia cinetica e energia potenziale è uguale a zero, cioè l’energia totale meccanica (somma dell’energia cinetica e potenziale) è costante. E questo corrisponde al teorema della conservazione dell’energia meccanica. Nel caso ci siano forze dissipative la somma delle energie non è costante, quindi al contrario del teorema dell’energia cinetica il teorema della conservazione dell’energia meccanica non ha validità generale (vale solo in assenza di attriti, ad esempio). Le forze non conservative di attrito, compiono lavori solo negativi e fanno perdere quantità di energia non recuperabile. Parte di questa energia va in generale in calore, quindi se ne può tenere conto considerando un’altra forma di energia: l’energia termica ( ci sono anche altri fenomeni dissipativi, ad esempio le deformazioni permanenti negli urti, o la propagazione di onde sonore). L’ energia può dunque conservarsi o trasferirsi: proprietà caratterizzanti dell’energia! Il lavoro rende conto del trasferimento di energia, della perdita di energia sotto una forma e del guadagno sotto un’altra forma (cioè energia conservativa) o del passaggio dell’energia da un sistema ad un altro. Il teorema di conservazione dell’energia meccanica, quando è applicabile, può essere sfruttato per risolvere facilmente problemi altrimenti complicati. Esercizio Una palla da tennis viene lanciata con velocità iniziale v0 (senza effetti strani, taglio, etc.) al di là della rete. Con quale velocità arriva a terra? Se durante il moto Etot si conserva K+W = cost Fig. 37 e W = mgh è solo energia potenziale gravitazionale, h = 0 alla fine come all’inizio, dunque Kin = Kfin e vfin = v0. Se la palla è lanciata verso l’alto, non c’è componente orizzontale della velocità ma solo verticale, al punto più alto di arresto h K(h) = 0 W(h) = max = Kin , cioè mgh = ½ mv02 , si può così calcolare facilmente l’altezza massima raggiunta h = (½ v02)/g e vicenversa si può calcolare il valore della velocità v0 che bisogna imprimere alla palla affinchè raggiunga l’altezza h. v0 = 2 gh Esercizio Una saltatrice di massa M = 61Kg salta da un ponte di altezza H = 45m agganciata ad una corda elastica. La lunghezza di riposo della corda elastica è L = 25m e la sua costante elastica è k = 160 N/m. Nel punto più basso si arresta, prima di venire rimbalzata in alto. Qual’ è lquesta quota più bassa h (a cui si trovano i suoi piedi ai quali è legato l’elastico)? Fig. 38 Etot = Wgrav + Wel + K = cost sono solo forze conservative, vale la conservazione dell’energia Nel punto A : K = 0 perché la saltatrice è ferma prima di lanciarsi Wel = 0 perché l’elastico non è ancora svolto Wgrav = MgH Nel punto B : K=0 perché la saltatrice è ferma prima di rimbalzare Wel = ½ kd2 Wgrav = Mgh = Mg(H-(L+d)) Etot(A) = Etot (B) MgH + 0 + 0 = Mg (H-(L+d)) + ½ kd2 + 0 MgH = MgH – MgL – Mgd +½ kd2 1 (160)d2 – (61)(9.8)d – (61)(9.8)(25) = 0 2 equazione di II° grado che dà per d il valore accettabile: d = 17.9m (l’altro è negativo e non è accettabile perchè non ha senso fisico; la saltatrice va in giù, non in su!) Allora : h = H-(L+d) = 45 – (25+17.9) = 45 – 42.9 = 2.1m quindi con la testa poco sopra l’acqua. Sistemi di punti materiali e corpi rigidi – Centro di Massa Un giocoliere o un ginnasta che lancia la clavette fa compiere all’attrezzo movimenti complicati, tuttavia c’è un punto dell’attrezzo che si muove seguendo una traiettoria semplice, come quella di un punto materiale: ad esempio, lanciato, segue una traiettoria parabolica. Tale punto si chiama centro di massa dell’oggetto. Il centro di massa può essere definito per un oggetto o per un insieme di punti materiali. E’ importante perché in generale il moto di un corpo esteso (o di un insieme di punti) si può studiare separando il moto del centro di massa (moto traslatorio) e il moto del corpo attorno al centro di massa (moto rotatorio). Centro di Massa (CDM) di un sistema di punti - Consideriamo il caso semplice di due punti materiali di massa m1 , m2 posti sull’asse x in posizione x1 , x2 Fig. 39 la posizione del centro di massa è definita xCDM = m1 x1 + m2 x2 m1 + m2 a) xCDM è compreso fra x1 e x2 b) se m1 = m2 CDM è a metà strada fra m1 ed m2 c) xCDM è più prossimo alla massa maggiore. - Nel caso di più punti allineati, nelle posizioni xi ,detto M = ∑ mi allora xCDM = 1 ∑ mi xi M → - Nel caso di punti distribuiti nello spazio, detti → → 1 r CDM = ∑ i mi r i M r i i vettori che identificano le loro posizioni → dove xCDM = r 1 η CDM ha coordinate (xCDM, yCDM, zCDM) definite come ∑ mi xi 1 ∑ mi yi M 1 ∑ mi z i zCDM = M yCDM = - Consideriamo un oggetto qualsiasi, questo è composto da un gran numero di particelle, ma conviene considerarlo come un continuo di materia e per calcolare il centro di massa si prendono in considerazione degli elementi infinitesimi di massa dm centrati intorno alle posizioni (x,y,z), allora 1 1 1 xCDM = xdm ; yCDM = ydm ; zCDM = zdm ∫ ∫ M M M∫ dm M se si può considerare il corpo omogeneo (densità uniforme), allora = e allora si può fare il dv V calcolo considerando il volume V e gli elementi di volume dv anzichè la massa e gli elementi di massa. 1 xdv etc. V∫ In un oggetto solido (corpo rigido) i diversi punti materiali che lo compongono non cambiano la loro posizione relativa (non come un corpo elastico!). xCDM = - se un oggetto ha un elemento di simmetria, un asse od un piano, il CDM si trova su tale elemento di simmetria (asse per cono, centro per sfera, piano per una banana, etc.) Non è detto che il CDM di un oggetto appartenga all’oggetto, vedi uno pneumatico, un cerchio. Il CDM è esterno all'oggetto. Legge fondamentale della dinamica per un sistema di punti materiali Caso della palla da bigliardo : urto fra due palle dopo il lancio di una, le due si muovono : 1) una è ferma (B), l’altra la lancio (A) 2) le due si urtano in qualunque modo 3) le due si muovono secondo traiettorie differenti, una possibilmente andrà in buca l’altra no. Dopo il lancio, sulla palla A non agisce più nessuna forza, quindi la sua velocità v è costante. Va bene, ma dopo l’urto? Il CDM delle due palle continua a muoversi con velocità costante, anche se il centro di massa è un punto teorico che non appartiene a nessuna delle due palle. Tuttavia, al CDM possiamo assegnare una massa (M totale del sistema), una velocità ed una accellerazione. Si ha: → ∑ F → ext =M a ( CDM ) → a) ∑ F ext è la somma di tutte le forze esterne che agiscono sul sistema, non quelle interne (ad esempio, nel caso del bigliardo non devo considerare le forze che si applicano fra le due palle quando si urtano). b) M è la massa totale del sistema. Si suppone che durante il moto M rimanga costante. → c) a ( CDM ) è l’accelerazione del CDM. Dell’accellerazione di un altro punto, ad esempio, del centro della palla A, non si dice nulla. Cosideriamo alcuni esempi. 1) Bigliardo : {∑ Fext = 0; aCDM = 0; vCDM = cos t } prima dell’urto, nell’urto si verificano solo forze interne. Quindi {∑ Fext = 0; aCDM = 0; vCDM = cos t } dopo l’urto e durante tutto il moto. 2) Sistema terra-luna: {∑ Fext = gravitazione del sole; aCDM è “centripeta”, accellerazione di una forza che è diretta verso il sole (forza “centrale”) } è il CDM terra-luna che segue la traiettoria dovuta all’attrazione gravitazionale del sole, poi terra e luna si muovono intorno al loro CDM. 3) Clavette lanciate: ∑ Fext = Mg, aCDM = g, il centro di massa si comporta come un punto materiale nel lancio. 4) La ballerina nel “grand-fetè” fa seguire a testa e busto una traiettoria rettilinea perché modifica l’assetto in modo da alzare il suo CDM. Nel corso del salto (alza le braccia e distende orizzontalmente le gambe non appena lasciato il suolo) il suo CDM segue la traiettoria parabolica del lancio di un corpo soggetto all’accelerazione di gravità g. → Quantità di moto P - Si definisce quantità di moto di una particella il vettore : → → P =m v → con m massa della particella e v la sua velocità. → → Si vede che P è diretto come v . Newton, scrisse la legge fondamentale della dinamica in termini di quantità di moto (a differenza di Galileo che la scrisse in termini di massa e di accelerazione) : “la rapidità di variazione della quantità di moto di una particella è proporzionale alla forza netta che agisce sulla particella ed è nella direzione di quella forza” cioè → ∆ P ∑ F = ∆t → che è più generale della formulazione di Galileo perchè descrive bene anche il caso in cui variasse la massa del corpo durante il moto (ad esempio un vettore spaziale). Se la massa è costante, le due formulazioni sono identiche: → → → ∆ P ∆(m v ) ∆ v ∑ F = = =m ∆t ∆t ∆t → → → =m a → → → Ricordiamo che F è diretto come a (o la risultante R = ∑ F ) Per un sistema di punti materiali si definisce la quantità di moto totale : → → P = P → m1 v → 1+ P → 2 + ……+ P → n = → → 1 + m2 v 2 +………+ mn v n = M v CDM (si può dimostrare), dove M è la massa totale. → → → → → → d d [essendo infatti M v CDM = (M r CDM) = (m1 r 1 + m2 r 2 +….) = m1 v 1 + m2 v 2 + dt dt ….] → → quindi P = M v CDM per un sistema di particelle e → → → d P d → =M v CDM = M a CDM = ∑ F ext dt dt Conservazione delle quantità di moto → Per un sistema chiuso (M non varia) e isolato ( ∑ F ext = 0) Allora → → → → ∆ P =0 ; P = cost ; P i = P f ∆t che sono tre modi equivalenti per dire che la quantità di moto si conserva. Vale per un sistema nel quale non agisca nessuna forza esterna netta. Il teorema di conservazione dell’energia meccanica e la conservazione delle quantità di moto sono due concetti fisici importantissimi. Valgono sia per le palle da bigliardo che per qualunque altro sistema, anche le galassie nell’universo. Queste equazioni sono vettoriali. Ciò significa che rappresentano una terna di equazioni scalari, ognuna valida sul proprio asse del sistema di riferimento (x ,y , z). Può accadere, a seconda delle forze che agiscono nel sistema, che la quantità di moto si conservi in una direzione, o in due e non in tutte e tre. → Ad esempio, se consideriamo una palla come un insieme di punti materiali, la F → sistema è m g non su x e y. ext che agisce nel → diretta lungo z , senza componenti su x e y, quindi P varia lungo z , ma Perché “complicarci la vita” con questa storia del CDM, del sistema di particelle etc…, non bastava il moto del punto rappresentativo materiale? Avevamo già considerato il punto rappresentativo e avevamo svolto anche problemi sulla palla, sul bilanciere, e per altri oggetti. Abbiamo sempre sbagliato? La questione è : se un corpo è rigido , cioè, se tutti i suoi punti si muovono mantenendo le loro distanze relative, non c’è problema, abbiamo solo visto che il punto materiale rappresentativo si chiama CDM ed abbiamo imparato a situarlo all’interno del corpo. Ma se il corpo non è rigido, cioè se il suo CDM si sposta rispetto a lui stesso nel corso del moto, la disposizione del corpo intorno al punto rappresentativo varia nel corso del tempo e le leggi di conservazione valgono per il CDM. - Consideriamo ad esempio il teorema dell’energia cinetica, che per un punto materiale si scrive Ltot = Kfin-Kin = ∆ K (qui, ovviamente, non c’è da specificare lavoro delle forze“esterne” perché essendo in un punto materiale, che si assume infinitamente piccolo, non ci sono forze “interne”) Per analogia, il teorema dell’energia cinetica si estende al caso di un insieme di punti materiali nel seguente modo → → Ltot forze ext= F ext· s CDM = ∆ KCDM Dove s CDM è lo spostamento del centro di massa. A titolo di esempio, risolviamo il problema: un giocatore di hockey su ghiaccio di massa M = 110Kg si muove verso la balaustra a bordo campo alla velocità di 3m/sec. Nell’arrestarsi, flettendo le braccia, il suo CDM si sposta in avanti di 30cm. Qual è la ∆ K del suo CDM durante la manovra? ∆ KCDM = = 0 Fig. 40 - 1 2 1 mv CDM fin − mv 2CDM in = 2 2 1 110 32 = -495 J 2 → → Sia L il lavoro delle forze esterne F ext (dirette come d x L = - Fext . 0,3 = ∆ KCDM quindi, − 495 Fext = = + 1650N − 0,3 CDM ), allora: → ( si considera la forza esterna F ext costante nell’intervallo dell’arresto, fatto che equivale a dire → che il giocatore si arresta con a CDM costante). Dinamica e statica del corpo esteso Finora abbiamo sempre discusso del moto di un punto materiale (punto rappresentativo, dicevamo sempre). In particolare abbiamo sempre applicato le forze a quel punto materiale, quindi, se diverse forze erano applicate, esse concorrevano in quel punto lì e, con le forze concorrenti, sapevamo come calcolare la risultante, con il metodo grafico o con quello numerico delle coordinate cartesiane. Una volta calcolata la risultante, applicata al punto, si otteneva un moto di pura traslazione del punto (al massimo traslava lungo una traiettoria curva) senza rotazioni proprie del punto, che non hanno neanche senso : un punto che ruota su se stesso? Come faccio ad accorgermi? Un punto, per definizione, è infinitamente piccolo! (Dicevamo infine che il punto è in equilibrio → traslazionale se la risultante R delle forze applicate è nullo). Consideriamo invece un corpo esteso. Prima osservazione : questo ha più punti (direi ∞ ) a → cui la forza può essere applicata. Prendiamo una racchetta da tennis ed una forza F applicata: il → moto che ne risulta dipende dal punto al quale viene applicata la forza F : qui la racchetta trasla Fig. 41 stessa forza qui la racchetta ruota Fig. 42 Seconda osservazione: C’è un caso in cui le forze non possono essere fatte concorrere in un punto, ed è quando sono parallele ed hanno rette di applicazione distinte. Chiaramente non abbiamo mai dovuto considerare questo caso per il punto materiale, perché per un punto non possono mai passare due rette parallele. Ma per il corpo esteso? So benissimo che se sono ferma con la macchina in → panne e la sto spingendo applicando una forza F 1, sono contenta se qualcuno si affianca a me ed, → esercitando una forza F 2 lungo una direzione parallela a quella della mia, mi aiuta a spingere. In particolare mi viene spontaneo dire che se F1 = F2 allora spingeremo con una forza doppia. Ci sarà quindi un modo per sommare due forze non concorrenti in un punto, ma parallele e sarà Ftot = F1+ F2. La retta di applicazione di Ftot divide il segmento congiungente i punti di applicazione di F1 ed F2 in due segmenti inversamente proporzionali all’intensità delle forze F1 e F2. Terza osservazione: se F1 = - F2 , sono uguali in intensità, ma di verso opposto, sempre lungo due rette di applicazione parallele passanti per un corpo esteso, cosa succede? La loro somma Ftot risultante sarà 0, ma io so che il corpo non sta fermo sotto l’azione di tali due forze, ma ruoterà. Concludo che le nozioni che ho acquisito finora vanno riviste ed ampliate o corrette o specificate per i corpi estesi ed inoltre che mi mancano totalmente i mezzi per descrivere le rotazioni dei corpi estesi. Occorrono nuovi concetti, nuove quantità, la forza non basta. Prendo l’esempio più semplice dell’altalena con due bambini in due bracci, uno più leggero, uno più pesante. Fig. 43 Qualitativamente so che perché l’altalena stia in equilibrio e non ruoti intorno al punto fisso non è necessario che i due bambini abbiano lo stesso peso (ugual massa), occorre che il bambino più leggero sieda più lontano rispetto al punto fisso (fulcro). La regola quantitativa dice che l’altalena è in equilibrio se il prodotto del peso per la distanza del fulcro è uguale PB . dB = Pb. db . Per generalizzare questa regola ai casi più complessi occorre definire una nuova quantità : il momento di una forza. Momento di una forza → → Consideriamo una forza F applicata ad un punto P ed un punto O. Sia r → → → il vettore OP , allora il momento M di F rispetto ad O è: → → → M = r x F e → → → | r | · | F | sin ϑ = | M | Fig. 44 → → oppure anche, considerando la componente di F perpendicolare ad r → o di r → perpendicolare a F ; r // e ┴ rispetto a F → → → | M |=| r || F → ⊥|; → | M | =| r → ⊥| | F | → In generale, si dice che il modulo del momento | M | è il prodotto delle intensità della forza per la distanza dal punto della retta di applicazione della forza. → → → Come vettore, M è perpendicolare al piano che contiene F ed r ed ha verso calcolato con la → → regola della mano destra (con r che si chiude su F ). La distanza r⊥ si chiama braccio della forza. Si vede che il momento è nullo quando il braccio è nullo, cioè quando il punto O si trova sulla retta di applicazione di F. Il momento della forza peso P è nullo rispetto al baricentro, che coincide con il centro di massa nel caso (praticamente“sempre”!) in cui il corpo non sia abbastanza esteso perché diversi punti del corpo risentano di una forza gravitazione differente. Praticamente si deve parlare di galassie perché CDM e baricentro (BC) non coincidono. Quindi la condizione del momento nullo della forza peso diventa un modo per definire il CDM come quel punto rispetto al quale la forza peso P ha momento nullo. Per un corpo “articolato” estendiamo il concetto di forza normale come forza di contatto nell’articolazione utile, cioè la forza che l’articolazione che si sta considerando esercita su quello che nell’articolazione si appoggia. La forza peso P di un corpo esteso può immaginarsi applicata al CDM. Principio di equilibrio di un corpo esteso : → → se su un corpo esteso agiscono solo Peso e Normale , cioè se un corpo è appoggiato ad un piano orizzontale, allora il corpo è in equilibrio se e solo se il baricentro si trova sopra la superficie di appoggio. Fig. 45 → Finchè il baricentro è sopra il tavolo il libro non cade, perché P applicata a CDM può essere → → controbilanciata da N . Se CDM si sposta in fuori N rimane nel tavolo e c’è momento non nullo, → non equilibrato da P che continua ad essere applicato nel CDM. Il baricentro di una persona in posizione eretta si trova nell’area delimitata dei suoi piedi, 3cm davanti all’articolazione della caviglia : Fig. 46 Quando la persona si piega in avanti il baricentro esce dal corpo e per mantenere l’equilibrio è necessario che le anche si spingono indietro perché il baricentro cade di nuovo in quella posizione. Notiamo che anche in posizione eretta, essendo la forza peso e la forza di contatto non allineate (quei 3cm!) (forza di contatto sull’articolazione della caviglia che regge il peso!!) occorre un momento correttivo che impedisca la rotazione in avanti, mantenuto dal tendine di Achille che si lega alla caviglia. Altro esempio di spostamento del baricentro è l’atleta che assume una posizione ad L : chi regge il peso è l’articolazione della spalla, quindi il CDM si sposta sotto la spalla (già era uscita dal corpo per via delle gambe distese in avanti). Nel camminare il baricentro continua a muoversi da sopra un piede a sopra un altro (quello appoggiato, ovviamente). Si osservi l’ondeggiamento. Per assurdo l’ancheggiare delle indossatrici serve a mantenere il baricentro il più possibile fermo rispetto alla direzione media del moto (porre un piede esattamente davanti all’altro) rendendo più facile muoversi anche con tacchi altissimi. Al contrario l’equilibrista che cammina sui trampoli sta fermo il meno possibile, perché è stando fermo che il piccolo spostamento che fa uscire il baricentro (ALTO) dalla superficie d’appoggio può verificarsi facilmente, preferisce il “non – equilibrio” o l’ ”equilibrio dinamico” dell’ondeggiare continuamente fra due posizioni di equilibrio. Ricordiamo che un equilibrio è detto stabile se quando una perturbazione lo altera, spontaneamente il sistema lo ripristina. Viceversa un equilibrio è instabile se la più piccola perturbazione lo distrugge. L’equilibrio è molto stabile se il baricentro è basso ed il corpo ha una grande area d’appoggio : la posizione accucciata del giocatore di football americano dà grande stabilità. Ancor più grande stabilità si ha se il baricentro (CDM) si trova al di sotto della superficie d’appoggio. E’ come se si fosse “appesi” anziché “appoggiati” alla superficie d’appoggio. Proprio per questo motivo, l’equilibrista sul filo porta una lunga asta, che spesso si flette agli estremi Fig. 47 Gli uccelli, bipedi da 100.000.000 di anni, hanno sviluppato questo adattamento per cui sono appesi alle anche, mentre gli uomini, bipedi da solo 1.000.000 di anni, fanno fatica con il CDM dalla parte alta del corpo. E’ un equilibrio instabile “sopra” le anche che le reggono (65% del peso del corpo). Modificazioni strutturali per reggere la posizione eretta: 1) Colonna vertebrale rastremata (più tozza in basso che in alto, perché più in basso vuol dire una maggior forza di contatto). 2) Muscoli estensori della schiena 3) Gambe ed anche ingrossate 4) Ginocchio che blocca la gamba estesa Ciononostante si ha spesso il mal di schiena. Se una forza ha momento non nullo rispetto ad un punto allora il corpo può ruotare intorno a quel punto sotto l’azione di quella forza. “Diciamo che se sostengo il corpo per quel punto, il corpo può ruotare intorno a quel punto”. (Prendo in mano un foglio di carta per un estremo, per esempio). La presenza di un momento non nullo è dunque la condizione che genera rotazione e viceversa. L’assenza di un momento risultante è la condizione che genera l’equilibrio rotazionale di un corpo esteso. Quindi la condizione di equilibrio per un corpo esteso è: → 1) R =0 risultante delle forze applicate = 0 (equilibrio traslazionale) → 2) M = 0 momento risultante = 0 (equilibrio rotazionale). Supponiamo di avere un corpo esteso al quale siano applicate delle forze che diano luogo ad un momento non nullo, allora il corpo ruota. Per equilibrarlo dovrò applicare un altro momento tale che la loro somma sia nulla. Questo è il principio di funzionamento delle leve. LEVE → Una leva è un corpo esteso al quale sono applicate delle forze con un momento risultante R , → allora per portare il corpo in equilibrio applico un momento correttivo P in modo che il momento totale sia nullo. Si dice in genere: potenza (P) e resistenza (R) di una leva. Le leve sono macchine semplici. Servono per applicare forze in punti scomodi o in direzioni particolari. Il fulcro è il punto nel quale la leva è incernierata. Si definisce il guadagno meccanico di una leva → GM = F( R ) → F( P ) cioè il rapporto fra la forza che genera il momento resistente e quella che genera il momento agente. A seconda che GM sia <> 0, una leva si dice che è vantaggiosa o svantaggiosa, ma solo per quel che riguarda le forze perché per quel che riguarda i lavori non si ha né vantaggio né svantaggio. Il lavoro esercitato dalla forza che dà la “potenza” e quello esercitato dalla forza che dà la “resistenza” sono sempre uguali. Infatti forze e spostamenti sono inversamente proporzionali. Le leve si dicono di I II o III specie a seconda se il fulcro si trovi I) in mezzo fra R e P (leva indifferente GM dipende da caso a caso) II) dalla parte di R (leva vantaggiosa: il braccio di R è sempre minore del braccio di P, basta quindi una P minore per equilibrare una R maggiore) III) dalla parte di P (leva svantaggiosa). Classici esempi dei tre tipi di leve sono, i remi (I), lo schiaccianoci (II) e la pinzetta per francobolli (III). Tuttavia vediamo degli esempi meno classici ma attinenti al campo della biologia e della medicina. Criterio generale è che le leve vantaggiose consentono di essere molto potenti ma con brevi spostamenti, mentre viceversa quelle svantaggiose fanno perdere in potenza ma consentono grandi spostamenti : sarà difficile vedere un cavallo che con le lunghe zampe si scava la tana, d’altronde una talpa scava bene la tana ma ha movimenti molto meno ampi che non le consentono di correre veloce come un cavallo (compromesso fra forza e velocità del movimento!). Se contiamo tutti i movimenti di rotazione che il corpo può compiere capiamo che siamo pieni di leve di ogni tipo. Sono classici : a) il capo fulcro (articolazione occipito-atlantoide) Fig. 48 muscoli della nuca (Potenza) peso del capo (Resistenza) b) muscolo bicipide (Potenza) Fig. 49 Peso dell’avambraccio (Resistenza) Fulcro (articolazione del gomito) Questa leva permette grandi spostamenti. Si vede che la forza operata dal muscolo bicipite è massima quando l’avambraccio è orizzontale (la distanza dal fulcro è massima) ed è minima quando l’avambraccio è verticale( con la distanza dal fulcro nulla). Attenzione : - la colonna vertebrale è costituita da 24 vertebre separate da dischi di liquido. Quando una persona si piega, la schiena è una leva con GM molto piccolo. Quindi un piegamento completo per raccogliere un oggetto anche leggero produce una forza molto intensa sul disco lombosacrale che separa l’ultima vertebra dell’osso sacro. Se indebolito, questo disco può rompersi o deformarsi comprimendo i nervi vicini e causando grande dolore. Vediamo un modello che rende conto come mai questa forza è così grande. Fig. 50 I muscoli della schiena esercitano T Con un angolo α = 12°, quando la schiena è piegata a 90° Peso della parte superiore del corpo (circa il 65% del peso totale) Fulcro lombosacrale (il fulcro produce R) Essendo α piccolo la retta di azione, Τ passa vicino al fulcro e dunque la distanza r┴ , che costituisce il suo braccio, è molto piccola. Al contrario il peso è perpendicolare alla colonna e il suo punto di applicazione è molto più distante dal fulcro. Τ deve essere molto grande per equilibrare il momento di P. Dunque, se T è grande, anche la sua componente orizzontale è grande e di conseguenza, anche R, che costituisce la reazione dell’osso sacro, deve avere componente orizzontale molto grande, per equilibrare Τ (uguale ed opposta alla componente orizzontale di Τ ). Facendo i conti si ottengono numeri grandi : per 75Kg di peso, T ed R sono equivalenti al peso di una massa di 220Kg!! Senza sollevare pesi, solo piegandosi. Conviene piegare le ginocchia quando si sollevano pesi!!!. - Nel corpo è difficile che il peso cada sulla verticale dell’articolazione che lo sostiene; è sempre un po’ spostato e c’è un tendine con un muscolo che compensa il momento del peso. - La contrazione muscolare è una successione di brevi contrazioni delle fibre muscolari stimolate da impulsi che provengono dal sistema nervoso. Contrazioni sono molto ravvicinate e avvengono in tempi differenti nelle diverse parti del muscolo così che il risultato apparente è una lenta e progressiva contrazione. Se la frequenza degli impulsi aumenta, la tensione cresce finchè si raggiunge la tensione massima (ricordare la tensione di un cavo). Un ulteriore aumento della frequenza degli impulsi, a questo punto, non causa ulteriore aumento della tensione. La tensione massima è proporzionale all’area della sezione trasversa del muscolo nel suo punto più largo. La tensione massima dipende anche dalla lunghezza del muscolo che varia. Si ottiene tensione massima quando il muscolo è solo di poco allungato rispetto alla sua lunghezza di riposo di riposo ed è circa 30-40 N/cm2. La tensione massima si riduce moltissimo se il muscolo è molto allungato o accorciato. Dinamica Rotatoria Fino ad ora abbiamo studiato moti traslatori ma il moto di un corpo rigido è in generale rototraslatorio. Naturalmente dobbiamo ridurre il problema complesso ad uno più semplice e per fare ciò immaginiamo di posizionarci su un sistema di riferimento solidale al corpo rigido i moto: immaginiamo cioè di “sederci” sul corpo rigido. In questo modo non saremo più sensibili al moto traslatorio e guardando il corpo rigido osserveremo solo le sue rotazioni. Trattiamo allora il moto generico scomponendo la parte traslatoria (già discussa ) da quella rotatoria. Se si trascura la parte traslatoria del moto di un corpo rigido, quello che rimane da trattare è la sua rotazione. Nel nostro corso consideriamo le rotazioni che avvengono su un piano; le rotazioni nello spazio potranno essere trattate come composizione di rotazioni su un piano. Per le rotazioni su un piano si identifica un asse di rotazione perpendicolare al piano di rotazione e passante per il centro di rotazione. Le articolazioni del gomito e del ginocchio sono articolazioni libere di ruotare intorno ad un asse, a differenza ad esempio di quella della spalla che può ruotare intorno a due assi. Si definisce spostamento angolare la variazione di una posizione che è definita in modo completo da una misura di angolo. Una rotazione di un intero corpo rigido è definita in modo completo da uno spostamento angolare θfin - θin= ∆θ e si misura in radianti R θfin ∆θ S θin Fig 51 Dobbiamo definire anche un verso di rotazione: θ si incrementa per rotazioni antiorarie, positive, le rotazioni in senso orario sono invece negative. La velocità angolare si definisce, analogamente alla velocità lineare, come il rapporto tra lo spostamento angolare e il tempo t impiegato per eseguire tale rotazione ωm = ∆θ e si misura in rad /s ∆t Anche per w si definisce ωist = lim ∆t→0 ∆θ ∆t Ancora, l’accelerazione angolare si definisce αm = ∆ω ∆t e αist = lim ∆t→0 ∆ω ∆t Anche la legge fondamentale della dinamica ha un analogo nel ambito dei moti rotatori. Si stabilisce che se ad un corpo rigido è soggetto ad un momento torcente diverso da zero esso subisce un’accelerazione angolare ad esso proporzionale. Nel caso delle rotazioni la resistenza al moto è espressa dal momento di inerzia I associato al corpo rigido ,che gioca il ruolo della massa nei moti traslatori. La legge della dinamica delle rotazioni è M = I ·α E sostituendo M = I· ω fin − ω in ∆ω = I· ∆t ∆t Il momento di inerzia I di un corpo rigido dipende dalla disposizione della massa del corpo rispetto all’asse di rotazione: per una massa puntiforme m a distanza R dall’asse di rotazione I= m R2, per un oggetto esteso sommerò il momento d’inerzia delle sue parti I = Σi mi Ri2. Se si definisce momento angolare L il prodotto del momento d’inerzia per la velocità angolare L=Iω la legge della dinamica diventa L fin − Lin M= . ∆t Il momento angolare è la grandezza fisica che si conserva se non viene applicato momento torcente. Tutti i gesti di volo, salti, lanci, tuffi… sono azioni nelle quali si conserva il momento angolare. Infatti in volo agisce solo la forza di gravità che, essendo applicata al CDM, non genera momento torcente. Il corpo umano nei gesti di volo Il corpo umano non è rigido e pertanto in volo agendo con i muscoli possiamo cambiare la disposizione del nostro corpo intorno al centro di massa, che in volo coincide col centro di rotazione. In questo modo si ottiene una variazione del momento di inerzia I, e di conseguenza la velocità angolare deve compensare questa variazione in modo che si mantenga costante il momento angolare L (grandezza che si conserva in assenza di momento torcente). E’ questo il principio che spiega il realizzarsi delle trottole sul ghiaccio, dei salti mortali, tuffi con avvitamento e così via: in posizione raccolta I diminuisce e ω aumenta! Moto circolare e moto circolare uniforme Per utilizzare le relazioni della cinematica e della dinamica lineare che abbiamo studiato è interessante poter passare dalle variabili angolari alle variabili lineari, velocità e accelerazione, delle masse in moto rotatorio. Se una massa si muove su una traiettoria curva la velocità tangenziale vt, diretta come la tangente alla traiettoria, dipende dalla velocità angolare ω ( ωm= ϑ /t )e dal raggio di curvatura della traiettoria. Se la traiettoria è una circonferenza di raggio R e se gli angoli sono espressi in radianti, l’arco percorso per uno spostamento angolare ϑ S = ϑ ⋅R e la velocità lineare tangente vt = S/t= ϑ ⋅R/t è risulta vt = ω⋅R Se la velocità angolare ω è costante il moto è detto circolare uniforme. La legge oraria è quella dei moti uniformi: spostamenti angolari uguali in tempi uguali. ϑ(t) = ω t. Anche la velocità tangente sarà di intensità costante se ω è costante (archi uguali per tempi uguali s(t) = vt (t) ), ma c’è una accelerazione, normale, infatti la velocità anche se non cambia in modulo, cambia continuamente di direzione. Questa accelerazione si dice centripeta, è diretta normalmente rispetto alla traiettoria, verso il centro della circonferenza e vale in modulo ac = v2 R Fig. 52 Essendo la velocità tangente vt = ωR L’ accelerazione centripeta si può scrivere ac = v2 = ω2 R R Il tempo impiegato dal punto a muoversi sulla circonferenza è una costante (moto uniforme) T periodo : in T viene percorso uno spazio 2 π R 2πR v= T La frequenza f è invece il n° di giri al secondo 1 f= T Se si prendono punti diversi sul raggio della circonferenza, questi hanno la stessa velocità angolare e velocità tangenziali crescenti al crescere del raggio. Esempio carosello dei pattinatori. Esercizi : 1- un velocista con una velocità di 10 m/s viaggia su una curva di raggio 25m – accelerazione? v2 100 = 4 m/s2 a= = R 25 2 – un velocista con v = 9,2 m/s su una pista circolare con ac = 3,8 m/ s2 – Raggio della pista? Tempo per percorrere un giro completo? v2 v2 (9,2) 2 a= ⇒ R= = = 22,27m R a 3,8 2πR 2π ∗ 22,27 = T= = 15,2 sec v 9,2 Forza centripeta, forza centrifuga Una forza centripeta è una forza, di qualunque natura, che trattiene un corpo in moto su una traiettoria curvilinea, ad esempio, circolare. In assenza di tale forza, il corpo proseguirebbe il suo moto lungo una traiettoria rettilinea. Nel gesto del lancio del martello, ad esempio, il lanciatore che esercita sul peso in cima all’attrezzo una forza, mediata dalla tensione dal cavo, che lo trattiene nella traiettoria circolare. Quando il lanciatore lascia la maniglia il martello viene lanciato lungo la direzione della tangente alla traiettoria nell’istante di rilascio. L’intensità della forza centripeta necessaria a mantenere una massa m in moto con velocità tangente v lungo una traiettoria circolare di raggio r, si può calcolare a partire dall’accellerazione centripeta secondo la legge fondamentale della dinamica → → v2 | Fc | = m | ac | = m r Tale forza è diretta come l’accelerazione centripeta e cioè verso il centro della circonferenza che costituisce la traiettoria. La forza centripeta è dunque una forza reale. Con ‘forza centrifuga’ invece non ci si riferisce ad un forza che agisce su un corpo ma alla situazione apparente cui sembra sottoposto un corpo in moto curvilineo. Esso pare tirato, o attirato, lontano dal centro di rotazione: pare ci sia una ‘forza’ che vuole farlo sfuggire. Quando viene lasciato, il martello si allontana dal centro di rotazione, perché si muove di moto rettilineo uniforme, non essendo più soggetto a forze altre che la forza peso. L’acqua esce dal cestello della lavatrice quando il cestello ruota velocemente (funzione centrifuga) perché l’acqua, che non costituisce un corpo solo con il cestello bucato, non è soggetta alla forza centripeta e può passare attraverso i buchi. I panni invece, pure non parte del cestello, sono troppo grandi per passare dai buchi, si possono solo schiacciare contro le pareti; questo schiacciamento sembra il risultato di una forza ma è invece il risultato dell’assenza di una forza, quella centripeta. Una volta là contro il cestello fanno tutt’uno con le pareti di metallo che esercitano su di essi la forza centripeta (cioè con direzione verso l’asse di rotazione) che li mantiene in rotazione. Le parti di un corpo rigido esteso che si muove di moto rotatorio rispetto ad un asse, quale ad esempio la gamba di un giocatore di calcio che calcia un pallone, sono soggette alla forza centripeta che le mantiene sulla traiettoria curva. Tale forza viene trasmessa alle varie parti tramite le forze di tensione che si sviluppano all’interno del corpo stesso, ad esempio il piede è soggetto alla forza centrifuga tramite l’azione dei legamenti e tendini a livello della caviglia che vengono messi in tensione per trattenere il piede stesso.