Stampa documento visualizzato 04-10-2008 10:34:21 Pagina 1 di 16 CORTE COSTITUZIONALE; sentenza, 24-07-1998, n. 322 (1) L’«evaporazione» della persona giuridica innanzi alla Corte costituzionale. (*) I. - Le premesse dell’art. 2941, n. 7, c.c., sono state poste su queste colonne, con la nota di CARNELUTTI – che, non può sottacersi, interveniva in causa propria – ad App. Milano 5 luglio 1932, Foro it., 1932, I, 1560, secondo cui la sospensione della prescrizione (prevista dall’art. 2119 c.c. del 1865 «fra le persone che per legge sono sottoposte all’amministrazione altrui e quelle a cui l’amministrazione è commessa») non si sarebbe applicata ai rapporti fra le società anonime e i loro amministratori: è il Carnelutti, l’autorevole dottrina accolta, secondo la Relazione al re, con l’art. 2941, n. 7; è sua la tesi «formulata sotto il vigore del codice civile del 1865», riferita dalla sentenza in epigrafe. L’interesse della questione rimessa alla Corte costituzionale, peraltro, non si esaurisce nella determinazione del dies a quo della prescrizione dell’azione di responsabilità contro gli amministratori delle società in accomandita semplice. Condivisibile nella conclusione, la sentenza in epigrafe non sembra, in verità, pienamente appagante sul piano della motivazione, tutta incentrata, in definitiva, sulle poche parole dedicate all’inerenza della sospensione della prescrizione al rapporto gestorio intercorrente tra società ed amministratori e sulla conseguente irrilevanza della qualità di persona giuridica in ipotesi posseduta dalla società. Se ciò può valere come (parziale) traguardo, risulta inespresso il processo argomentativo attraverso il quale vi si perviene. A tale esplicitazione appare arduo sottrarsi quando si rilevi che l’accento tonico dell’art. 2941, n. 7, cade sulla nozione di persona giuridica, vale a dire su «una forma tecnica», su un nome, che «non individua un tipo specifico di ente (come lo individuano i nomi di associazione, fondazione o società), ma designa un possibile modo di essere dell’associazione o della fondazione o della società» (GALGANO, Persona giuridica, voce del Digesto civ., Torino, 1995, XIII, 392 ss., spec. 397; RESCIGNO, Personalità giuridica e gruppi organizzati, in Persona e comunità, Padova, 1987, II, 103 ss., spec. 109). Ne segue che l’indagine volta a risolvere il problema posto alla corte travalica l’ambito strettamente societario ed investe più in generale la nozione di persona giuridica, quale si è venuta elaborando anche sotto la spinta di esigenze pubblicistiche (v. fin d’ora ORESTANO, Il «problema delle persone giuridiche» in diritto romano, Torino, 1968, 32 ss.; M.S. GIANNINI, Organi (teoria gen.), voce dell’Enciclopedia del diritto, Milano, 1981, XXXI, 37 ss., spec. 40; per recenti rassegne delle teorie susseguitesi sulla nozione di persona giuridica, v., altresì, GALGANO, Diritto civile e commerciale, Padova, 1993, I, 173 ss.; SCALFI, L’idea di persona giuridica e le formazioni sociali titolari di rapporti nel diritto privato, Milano, 1968, 2 ss.). Solo da questa più ampia prospettiva è possibile comprendere aspetti non secondari della questione in esame: ad esempio, perché il legislatore stimò insufficiente sul punto la formula del già ricordato art. 2119 c.c. del 1865 (riprodotta nel n. 6 dell’art. 2941 c.c.) e ritenne necessaria una norma ad hoc per quel «modo di essere» degli enti, riassunto nella locuzione «persona giuridica»; perché, inoltre, detto «modo di essere» fu ritenuto idoneo a giustificare una disciplina diversa dell’azione di responsabilità verso gli amministratori a seconda che il gruppo ne fosse contrassegnato o no (nel senso che la sospensione dell’art. 2941, n. 7, c.c. opera solo per le società di capitali e non per le società di persone, v. Cass. 4 settembre 1985, n. 4603, Foro it., Rep. 1985, voce Prescrizione e decadenza, n. 47). A quest’ultimo proposito, non basta dire che l’azione di responsabilità attiene al rapporto con gli amministratori ed è, quindi, estranea al riconoscimento della personalità giuridica: invero, l’art. 2941, n. 7, c.c. di per sé dimostra che la qualità di persona giuridica è idonea – o, quanto meno, tale fu ritenuta dal legislatore – ad imprimere un connotato specifico anche ai rapporti interni. Né questa constatazione può essere superata grazie all’orientamento (cui sembra ispirarsi la Corte costituzionale e che, a sua volta, si collega all’art. 42 del progetto preliminare del codice civile), secondo cui una disparità di disciplina tra enti privi ed enti muniti di personalità giuridica è giustificata solo per gli aspetti per i quali quest’ultima è in concreto rilevante: ancora una volta, infatti, vale il rilievo che l’art. 2941, n. 7, c.c., per l’appunto, assegna rilevanza giuridica al riconoscimento IL FORO ITALIANO 1987 - luglio-agosto 2008 (c) 2008 Zanichelli editore S.p.A. - Soc. Editrice de Il Foro Italiano Stampa documento visualizzato 04-10-2008 10:34:21 Pagina 2 di 16 della personalità per quanto riguarda lo specifico aspetto della decorrenza della prescrizione dell’azione di responsabilità contro gli amministratori. Di qui la necessità non solo di verificare cosa rimane delle virtù (non solo) in passato attribuite a quel «modo di essere» degli enti e dei gruppi contrassegnato dalla locuzione «persona giuridica», ma anche e soprattutto di rispondere ad un quesito inevitabile, che purtroppo la Corte costituzionale, attenta a circoscrivere la portata della propria decisione alle società in accomandita semplice, lascia aperto: quid della decorrenza del termine prescrizionale dell’azione di responsabilità contro amministratori (o comunque, organi esecutivi) di società personali diverse da quelle prese oggi in considerazione, di enti comunque non riconosciuti persone giuridiche? La valenza sistematica della questione si delinea, così, in tutta la sua evidenza: l’art. 2941, n. 7, c.c. è una delle rarissime norme in cui la nozione di persona giuridica rappresenta un elemento essenziale della fattispecie disciplinata. L’individuazione della portata normativa di detta nozione, pertanto, si conferma pregiudiziale per qualsiasi opinione si intenda esprimere intorno alla legittimità costituzionale della disposizione. II. - «Qual è il valore di enunciati . . . come ‘la società è persona giuridica’, ‘l’associazione acquista la personalità giuridica’», si chiede ancor recentemente la dottrina più autorevole (BASILE, FALZEA, Persona giuridica (dir. priv.), voce dell’Enciclopedia del diritto, Milano, 1983, XXXIII, 234 ss., spec. 238; SCALFI, Persone giuridiche, I) Diritto civile, voce dell’Enciclopedia giuridica Treccani, Roma, 1990, XXIII, 6), testimoniando, così, l’inappagamento per i risultati fin qui raggiunti. In proposito, si è da tempo sottolineata l’estrema difficoltà di individuare una disciplina specifica, che possa ritenersi implicita nella nozione di persona giuridica, sì da offrire una base sicura per l’elaborazione di un concetto unitario, in grado di esprimerne il tratto peculiare (cfr. GALGANO, Struttura logica e contenuto normativo del concetto di persona giuridica, in Riv. dir. civ., 1965, I, 553 ss., spec. 597). Eppure da questa ricerca non può prescindersi, poiché essa ha il merito di spostare il baricentro della riflessione dalla «struttura logica» al «contenuto normativo» della persona giuridica, restituendo, così, la materia ad una dimensione maggiormente consona al giurista, in quanto mirata alla ricerca del regime positivo riservato nel vigente ordinamento alle persone giuridiche in quanto tali. Certo, anche per quanto riguarda questa materia, il ritorno dall’ontologia all’esperienza, dal concetto assunto come immutabile al fluire del diritto vivente (in proposito, v. ORESTANO, Azione in generale, voce dell’Enciclopedia del diritto, Milano, 1959, IV, 785 ss., spec. 814 ss.; ID., Introduzione allo studio del diritto romano, Bologna, 1987, 393 ss.), non è privo di contraddizioni. Il rilievo, secondo cui «ciascun ordinamento ha il potere di determinare i soggetti cui attribuisce una rilevanza giuridica e, in particolare, di riconoscere la personalità giuridica a determinati centri di interessi» (Cass. 15 febbraio 1993, n. 1853, Foro it., 1993, I, 2535, con nota di CALÒ; sul tema, v. ORESTANO, Il «problema delle persone giuridiche», cit., 74 ss.; ZATTI, Persona giuridica e soggettività, Padova, 1975, 57 ss.; M.S. GIANNINI, Diritto amministrativo, Milano, 1993, I, 122 ss., 135 ss.; P. RESCIGNO, Ascesa e declino della società pluralista, in Persona e comunità, cit., 3 ss.; ID., Le società intermedie, ibid., 29 ss.; FUSARO, L’associazione non riconosciuta. Modelli normativi ed esperienze atipiche, Padova, 1991, 1 ss.; BIROCCHI, Persona giuridica nel diritto medievale e moderno, voce del Digesto civ., Torino, 1995, XIII, 407 ss.), sembra solo apparentemente condiviso da chi, pur sottolineando come «i fenomeni indicati con l’espressione ‘persona giuridica’ non sono sempre e dovunque i medesimi, cosicché gli elenchi delle persone giuridiche variano nei diversi ordinamenti e pure all’interno del medesimo ordinamento» (BASILE, FALZEA, op. cit., 235), propende a considerare l’evoluzione giuridica che contraddice le sue premesse concettuali come deviazioni da reprimere con adeguati interventi legislativi (BASILE, FALZEA, op. cit., 239, 274). Il punto merita di essere approfondito poiché consente una prima verifica del concreto contenuto normativo da assegnare alla locuzione «persona giuridica»: secondo la dottrina appena ricordata, infatti, dovrebbe confermarsi la tradizionale impostazione, per la quale il dato caratterizzante della personalità consisterebbe nell’acquisizione, da parte dell’ente, della capacità di divenire autonomo titolare di poteri e doveri, in quanto centro di imputazione di interessi (BASILE, FALZEA, op. cit., IL FORO ITALIANO 1987 - luglio-agosto 2008 (c) 2008 Zanichelli editore S.p.A. - Soc. Editrice de Il Foro Italiano Stampa documento visualizzato 04-10-2008 10:34:21 Pagina 3 di 16 240, 265 s.; FERRARA sr., Le persone giuridiche, Torino, 1958, spec. 32 ss.). Senonché, almeno in diritto italiano, la connessione tra attribuzione della personalità giuridica e riconoscimento dell’autonoma capacità dell’ente non è esplicitata in alcuna norma (BASILE, FALZEA, op. cit., 245); in secondo luogo – ed è quel che più conta – detta connessione è smentita dalla giurisprudenza e (ormai anche) dalla legislazione vigente. Più precisamente, la capacità di rappresentare un centro di imputazione di interessi e, dunque, di poteri e doveri, non è idonea a fungere da catalizzatore della disciplina implicita nella nozione di persona giuridica, dal momento che una capacità sostanzialmente analoga è ormai riconosciuta anche ad organizzazioni prive di personalità. E quest’ultima osservazione (per le cui ascendenze, v. RESCIGNO, Associazione non riconosciuta e capacità di testimoniare, in Persona e comunità, cit., 247 ss., spec. 253 e 265 ss.) è, sotto certi aspetti, condivisa dalla stessa dottrina in analisi, allorché – sulla premessa che alla base di ogni situazione giuridica soggettiva vi è un interesse – dubita che la configurabilità (e, dunque, l’imputabilità) di interessi «impersonali», cioè non riferibili, secondo questa dottrina, ad un individuo umano, sia condizione sufficiente ad identificare la persona giuridica (BASILE, FALZEA, op. cit., 266), con ciò implicitamente ammettendo che analoghi interessi possono essere imputati anche ad una «formazione sociale» priva di riconoscimento (e v. infatti BASILE, Comitati duraturi ed accertamento della titolarità degli acquisti immobiliari dei loro componenti, in Nuova giur. civ., 1995, I, 33 ss., spec. 37). E valga il vero: di associazioni e di comitati privi di riconoscimento si è affermato che «pur non essendo persone giuridiche, sono figure soggettive alle quali può essere attribuita la titolarità diretta nei rapporti a contenuto patrimoniale» (Cons. giust. amm. sic. 13 settembre 1995, n. 542, Foro it., Rep. 1996, voce Associazione non riconosciuta, n. 8; Trib. Napoli 5 febbraio 1994, id., Rep. 1994, voce cit., n. 2; Trib. Lucca 2 febbraio 1994, ibid., n. 3; Pret. Civitavecchia 9 agosto 1991, id., Rep. 1992, voce cit., n. 34). In particolare, dei comitati e delle «forme associative non personificate in genere» si è ammessa la capacità ad acquistare direttamente beni immobili per mezzo dei propri organi (Cass. 23 giugno 1994, n. 6032, id., 1995, I, 1268, con osservazioni di LENOCI; e v. CAROTA, in Contratto e impresa, 1994, 1090). «La capacità di porsi come autonomi centri di imputazione di rapporti giuridici» e «la capacità di stare in giudizio come tali in persona dei loro componenti o di chi, comunque, ne abbia la legale rappresentanza secondo il paradigma indicato dall’art. 36 c.c.», sono state riconosciute allo studio professionale (Cass. 23 maggio 1997, n. 4628, Foro it., Rep. 1997, voce Professioni intellettuali, n. 251, e Giur. it., 1998, I, 88); del pari, alle fabbricerie delle chiese cattedrali, pur essendo prive di personalità giuridica, è stata riconosciuta la capacità di «gestire gli immobili di proprietà della chiesa, dare attuazione a rapporti di locazione che li riguardano, disporre la cessazione di quelli esistenti», nonché la «capacità di stare in giudizio a mezzo di coloro che, secondo l’ordinamento interno dell’ente, ne hanno la rappresentanza» (Cass. 29 gennaio 1997, n. 901, Foro it., Rep. 1997, voce Enti e beni ecclesiastici, n. 11). Alla contrada senese, nonché al consorzio per la tutela del Palio di Siena, è stata riconosciuta la legittimazione attiva con riguardo al diritto sull’immagine e sui simboli del Palio stesso (Trib. Milano 9 novembre 1992, id., Rep. 1993, voce Nome, n. 2). L’autonoma soggettività delle società personali è stata affermata da Cass. 28 luglio 1997, n. 7021, id., Rep. 1997, voce Società, n. 499; 7 agosto 1996, n. 7228, id., 1997, I, 2986, con osservazioni di NAZZICONE. E, a proposito dell’associazione non riconosciuta, Cass. 18 settembre 1993, n. 9589, id., 1994, I, 3503, con osservazioni di PATANÈ, ha confermato che essa, al pari dell’ente munito di personalità giuridica (nonché della «fondazione d’impresa», definita quale formazione sociale, dedita all’attività imprenditoriale «non a titolo di lucro effettivo e priva del requisito dell’affectio societatis»: cfr. Trib. Milano 17 giugno 1994, ibid., 3544, con nota di PONZANELLI; sulla sentenza, v. però GALGANO, in Contratto e impresa, 1994, 1045), può assumere lo status di imprenditore commerciale quando l’esercizio dell’impresa esaurisca l’attività dell’ente, ovvero risulti prevalente rispetto ad altre attività. Sul tema, v. MORANDI, La fallibilità degli enti non profit, in Contratto e impresa, 1998, 336 ss. Se si passa all’esame dei diritti della personalità, non muta il delineato quadro di indifferenza della tutela riconosciuta a persone giuridiche rispetto a quella assegnata IL FORO ITALIANO 1987 - luglio-agosto 2008 (c) 2008 Zanichelli editore S.p.A. - Soc. Editrice de Il Foro Italiano Stampa documento visualizzato 04-10-2008 10:34:21 Pagina 4 di 16 ad enti di fatto. Quando la giurisprudenza ha ritenuto di circoscrivere alla persona fisica la tutela dei diritti della personalità, lo ha (ovviamente) fatto in termini tali da escludere qualsiasi spazio per una differenziazione tra enti muniti, ed enti privi, di personalità giuridica: così, per l’esclusiva riferibilità alle persone fisiche della tutela del nome ex art. 7 c.c. e del ritratto ex art. 10 c.c., v. Cass. 21 ottobre 1988, n. 5716, Foro it., 1989, I, 764, spec. 777. Per entrambe le categorie di enti può valere quanto affermato da Cass. 2 maggio 1991, n. 4785, id., 1992, I, 831, con nota di CHIAROLLA, per escludere la configurabilità di un diritto all’identità personale a favore di soggetti diversi dalle persone fisiche: «notizie non vere che riguardino una società-imprenditore possono concretare tutt’al più atti di concorrenza sleale; ma sempre alla condizione che la diffusione della notizia provenga da un concorrente e che la diffusione stessa sia idonea a danneggiare l’altrui azienda» (col. 841). In particolare, mette conto qui sottolineare come le riportate affermazioni, pur originate da una fattispecie avente ad oggetto una persona giuridica, siano ispirate al tema dell’«immagine» (in senso lato) dell’impresa, di guisa che esse ben possono estendersi a tutte le forme giuridicoorganizzative utilizzabili per l’esercizio in forma collettiva della stessa. Non diversamente, l’estensione alla persona giuridica della tutela del nome, nelle sue manifestazioni più recenti (cfr. Trib. Roma 24 gennaio 1994, id., Rep. 1994, voce Nome, n. 3; Trib. Milano 28 gennaio 1993, id., Rep. 1995, voce cit., n. 14) ha fatto perno su argomentazioni prive di collegamento con la «piena capacità giuridica» tradizionalmente riportata al riconoscimento della personalità, dal momento che l’«interesse ad evitare confusione con altri soggetti» non appare, e non è connotato proprio, né di detto riconoscimento, né della «piena capacità giuridica». Infatti, Trib. Roma, ord. 23 marzo 1995, id., 1995, I, 2562, ha ritenuto ammissibile l’azione, da parte del partito politico, per la tutela del nome e dei segni di identificazione, sul rilievo che «alle associazioni non riconosciute, oltre agli art. 36, 37, 38 c.c., si applica, in quanto possibile, la normativa prevista per le persone giuridiche, sicché le stesse sono ritenute titolari di situazioni giuridiche soggettive tutelabili in via giudiziaria, tra le quali ovviamente deve comprendersi il diritto a richiedere ed ottenere la tutela della propria denominazione e dell’eventuale sigla e/o simbolo, come segni che la contraddistinguono dinanzi agli altri soggetti giuridici che operano nello stesso contesto sociale» (col. 2583) (in materia, ANELLI, Sul diritto all’uso di segni distintivi dei partiti politici, in Corriere giur., 1995, 961; LERRO, L’identità personale e i segni distintivi dei partiti politici, in Dir. informazione ed informatica, 1995, 667). È stata recentemente ammessa la tutela della sigla (Cass. 28 gennaio 1997, n. 832, Foro it., 1997, I, 2537, con nota di BELLOMUNNO e COLOMBO), dell’onore e della reputazione (Trib. Roma 18 aprile 1994, id., Rep. 1994, voce Persona fisica, n. 32, e 26 giugno 1993, ibid., n. 30), di associazioni non riconosciute, nonché del nome di società irregolari o semplici intraviste nel complesso musicale (Trib. Napoli 2 dicembre 1996, id., Rep. 1997, voce Nome, n. 9; Trib. Velletri 29 settembre 1994, ibid., n. 11). Il diritto all’identità personale dei gruppi è stato affermato da Trib. Milano 11 giugno 1994, id., Rep. 1995, voce Persona fisica, n. 31, dove, peraltro, ancora una volta si parla di un «diritto dell’impresa», senza alcun collegamento, dunque, con la personalità giuridica; Trib. Milano 9 novembre 1992, id., Rep. 1993, voce Nome, n. 9; Pret. Roma 23 marzo 1990, id., Rep. 1990, voce Partiti politici, n. 7, le quali confermano (ma v. già Pret. Roma 2 giugno 1980, id., 1980, I, 2046, con osservazioni di PARDOLESI) l’estensibilità alle associazioni non riconosciute dei rilievi che hanno indotto Cass. 22 giugno 1985, n. 3769, id., 1985, I, 2211, con osservazioni di PARDOLESI, a riconoscere alla persona giuridica il diritto all’identità personale. Sulla riferibilità a persone giuridiche e ad enti non riconosciuti, dei diritti della personalità, v. RESCIGNO, Personalità (diritti della), voce dell’Enciclopedia giuridica Treccani, Roma, 1990, XXIII, 7; ZENO ZENCOVICH, Personalità (diritti della), voce del Digesto civ., Torino, 1995, XIII, 430 ss., spec. 440. In via generale, sul diritto all’identità personale, v. Cass. 7 febbraio 1996, n. 978, Foro it., 1996, I, 1253, con osservazioni di PALMIERI. III. - La ricognizione della giurisprudenza più recente non lascia intravedere quali IL FORO ITALIANO 1987 - luglio-agosto 2008 (c) 2008 Zanichelli editore S.p.A. - Soc. Editrice de Il Foro Italiano Stampa documento visualizzato 04-10-2008 10:34:21 Pagina 5 di 16 maggiori e diversi diritti, doveri, interessi siano imputabili alle persone giuridiche, rispetto agli enti non riconosciuti. Peraltro, la rilevata tendenza giurisprudenziale ad espandere la capacità giuridica degli enti privi di personalità, fino ad equipararla sostanzialmente a quella delle persone giuridiche, ha riscontro in dottrina: vuoi, in sede teorica, con la configurazione di un concetto di «persona», come centro di imputazione riferibile, oltre che all’uomo, al «gruppo organizzato istituito tramite la posizione di un ordinamento» (ZATTI, op. cit., 208 s.), senza, dunque, assegnare alcun rilievo al positivo riconoscimento della qualità di «persona giuridica» per concessione amministrativa o al ricorrere di requisiti predefiniti e, anzi, con l’esplicito rifiuto dell’«arbitrio logico», consistente nel negare la qualità di «soggetto» agli enti non riconosciuti pur utilizzando per loro un «criterio di unificazione» omogeneo a quello delle persone giuridiche (ibid., 288 ss.); vuoi quando, attraverso l’analisi del diritto positivo, lungi dal considerare l’esposto orientamento giurisprudenziale una «fuga in avanti», se ne sono rinvenuti i presupposti negli art. 2, 3, 18, 19, 20, 33, 39, 49 Cost., osservando che essi non tollerano che su un aspetto fondamentale, come quello della capacità giuridica, perduri una discriminazione a svantaggio degli enti di fatto, in virtù, non già di un’intrinseca diversità di scopi e funzioni, ma della mancata richiesta o della mancata concessione del riconoscimento amministrativo (BASILE, Associazione, III) Associazioni non riconosciute, voce dell’Enciclopedia giuridica Treccani, Roma, 1988, III, 5; e v. già GALGANO, Delle persone giuridiche, Bologna-Roma, 1969, 133 ss.; RESCIGNO, Personalità giuridica e gruppi organizzati, cit., 114; ID., in Associazioni e fondazioni, Proposte per una riforma del primo libro del codice civile, Rimini, 1995, 37 ss., spec. 39; contra, SCALFI, L’idea di persona giuridica, cit., 50, 71). Su una linea di analoga equiparazione, d’altra parte, si è mosso il legislatore ordinario. Non mi riferisco solo all’art. 2659 c.c., che – malgrado i dubbi sollevati (v. COSTANZA, Associazioni e comitati (acquisto di beni e trascrizione), voce dell’Enciclopedia del diritto, aggiornamento, Milano, 1997, I, spec. 153 ss.) – conferma la capacità di tutti gli enti di acquistare direttamente beni immobili (cfr. Cass. 24 luglio 1989, n. 3498, Foro it., 1990, I, 1617, con osservazioni di PAGANELLI; 23 giugno 1994, n. 6032, cit., col. 1276). Maggiore attenzione meritano interventi più recenti: in primo luogo, l’art. 13 l. 15 maggio 1997 n. 127, «misure urgenti per lo snellimento dell’attività amministrativa e dei procedimenti di decisione e di controllo», che pone il problema se il riconoscimento ancora rilevi al fine di determinare la capacità degli enti di acquistare beni a titolo gratuito. Le interpretazioni offerte dalla dottrina sono più d’una: a fianco a chi ritiene immutata la situazione per tutti gli enti non riconosciuti (TONDO, Nuovo regime degli acquisti degli enti non profit, in Notariato, 1997, 305; DE GIORGI, L’autorizzazione all’acquisto delle persone giuridiche: ingloriosa fine di un istituto secolare, in Studium iuris, 1997, 1010), ovvero solo per gli enti privi di controlli analoghi a quelli conseguenti al riconoscimento (VITTORIA, L’abrogazione dell’art. 17 c.c.: l’incidenza sull’assetto normativo degli enti del I libro del codice civile, in Contratto e impresa, 1998, 314 ss.), vi è chi ritiene caduti gli ostacoli per gli acquisti a titolo gratuito degli enti di fatto (CARNEVALI, L’abrogazione dell’art. 17 c.c., in Contratti, 1997, 229; PONZANELLI, Abrogazione dell’art. 17 c.c.: verso una riforma degli enti non profit?, in Corriere giur., 1997, 841; VIOLA, L’autorizzazione agli acquisti delle persone giuridiche dopo la Bassanini «bis», in Giust. civ., 1997, II, 541). A favore di quest’ultima opinione v’è la lettera dell’art. 13 l. 127/97, (che, a ben vedere, non abroga solo le disposizioni che prescrivono autorizzazioni all’acquisto – e all’«alienazione»: v. art. 2, comma 26, l. 16 giugno 1998 n. 191 – di beni da parte delle «persone giuridiche», ma anche quelle riferite alle «associazioni e fondazioni» in genere e, dunque, anche non riconosciute), il concorrere delle norme costituzionali a favore di una lettura dell’art. 37 c.c. comprensiva degli acquisti a titolo gratuito, nonché considerazioni sulla valenza politica della novella. L’art. 17 c.c. è stato preposto alle finalità più varie, dalla prevenzione della «manomorta» (Cass. 7 settembre 1992, n. 10281, Foro it., Rep. 1992, voce Persona giuridica, n. 10), alla politica economica, alla tutela dei legittimari, alla lotta antiriciclaggio (DE GIORGI, L’abrogazione dell’art. 17 c.c., in Nuove leggi civ., IL FORO ITALIANO 1987 - luglio-agosto 2008 (c) 2008 Zanichelli editore S.p.A. - Soc. Editrice de Il Foro Italiano Stampa documento visualizzato 04-10-2008 10:34:21 Pagina 6 di 16 1997, 1307), al controllo delle Anstalten operanti in Italia (BORGIOLI, Treuunternehmen, Anstalten e la Cassazione, in Riv. società, 1977, 1156). Si è, peraltro, sottolineato come la norma, in quanto strumento di controllo sulle fonti di finanziamento degli enti intermedi, costituisse elemento essenziale di un quadro complessivo, non di favore, ma di tolleranza, di diffidenza verso gli stessi (RESCIGNO, in Associazioni e fondazioni, cit., 41 ss.; LARICCIA, ibid., 83; COSTANZA, op. cit., 147). In questa prospettiva, la sua abrogazione può essere letta come un momento essenziale del passaggio della disciplina dei gruppi «dal dominio dello Stato al diritto dei privati», che, obiettivo dei progetti di riforma degli enti del primo libro, si sta delineando già nei recenti interventi di settore (CASSESE, Le persone giuridiche e lo Stato, in Contratto e impresa, 1993, 1). Più precisamente, questo nuovo contesto risulta caratterizzato, da un lato, dalla consapevolezza che la capacità degli enti di acquistare beni a titolo gratuito non è una sovrana concessione, ma un’espressione dell’autonomia privata, e dall’altro lato dalla svalutazione della dicotomia persona giuridica/ente non riconosciuto a favore di un’altra distinzione, quella tra ente privato munito di privilegi, quali agevolazioni fiscali, contributi statali e altri (da ultimo, la legittimazione ad agire per la tutela degli interessi dei consumatori: v. art. 3, 4 e 6 l. 30 luglio 1998 n. 281 «disciplina dei diritti dei consumatori e degli utenti»), concessi in virtù degli interessi perseguiti, ed ente senza privilegi (DE GIORGI, op. cit., 1316; VITTORIA, op. loc. cit.). Con lo scenario delineato sono coerenti, sia una mutata «filosofia» dei controlli – non più attenti all’acquisizione di risorse da parte degli enti privati, riconosciuti e no, quanto piuttosto all’effettiva sussistenza dei requisiti ritenuti necessari per accedere al regime privilegiato – sia la circostanza che l’esito negativo del controllo determinerà l’esclusione dai privilegi e non lo scioglimento dell’ente o la sua incapacità ad acquistare immobili a titolo gratuito (così, invece, VITTORIA, op. cit., 323, 332). IV. - La dottrina ha ormai chiaramente percepito l’insufficienza del criterio dell’imputabilità all’ente di diritti, doveri, qualità, ecc., vale a dire il criterio della soggettività giuridica, della capacità giuridica, al fine di pervenire ad una netta distinzione tra persone giuridiche ed enti privi di personalità (cfr. ad es. RESCIGNO, Associazione non riconosciuta e capacità di testimoniare, cit., 253; GALGANO, Delle associazioni non riconosciute e dei comitati, Roma-Bologna, 1976, 119 ss.; ROSSI, Persona giuridica, proprietà e rischio d’impresa, Milano, 1967, 54; COSTI, Fondazione e impresa, in Riv. dir. civ., 1968, I, 1 ss., 34 ss.; ROPPO, Istituzioni di diritto privato, Bologna, 1994, 202; G. MARICONDA, in Associazioni e fondazioni, cit., 74; IUDICA, ibid., 150; TORRENTE-SCHLESINGER, Manuale di diritto privato, Milano, 1997, 101 s.). Ha, così, proposto di ricercare altrove lo specifico contenuto normativo del concetto di persona giuridica, con particolare attenzione, innanzi tutto, al profilo oggettivo, ossia ai rapporti tra il gruppo, i suoi componenti, la struttura organizzativa adottata ed i terzi. Il tutto, peraltro, con esiti deludenti se confrontati con la disciplina complessivamente risultante dalla legge. Infatti, l’art. 38 c.c. esclude la responsabilità dei membri dell’associazione non riconosciuta per le obbligazioni dell’ente (cfr. Cass. 18 settembre 1993, n. 9589, cit.), mentre l’art. 2291 c.c. la impone per tutti i componenti della società in nome collettivo (e per la relativa ampiezza, v. Cass. 24 giugno 1997, n. 5624, Foro it., Rep. 1997, voce Società, n. 826), e, a loro volta, gli art. 2267 e 2313 c.c. la limitano a quei soci della società semplice e della società in accomandita semplice che (con accettabile approssimazione possiamo designare come coloro i quali) gestiscono l’impresa sociale, ammettendo il primo che i patti sociali possano limitare con efficacia verso i terzi la suddetta responsabilità degli altri soci. D’altra parte, la posizione verso i terzi dei soci di una società di capitali, di regola, non è dissimile da quella dei soci accomandanti dell’accomandita semplice, o da quella di quei soci di una società semplice che beneficino del patto di limitazione di responsabilità di cui all’art. 2267, 2° comma, c.c., ovvero da quella degli associati di una associazione non riconosciuta. Mentre, sotto questo aspetto, gli accomandatari di una società in accomandita per azioni non godono di un trattamento diverso da quello dei soci di una società in nome collettivo o da quello dei componenti il comitato «qualora [questo] non abbia ottenuto la personalità giuridica» (art. 41 c.c.), ovvero di quanti abbiano agito in nome e per conto dell’associazione non riconosciuta (art. 38 c.c.). IL FORO ITALIANO 1987 - luglio-agosto 2008 (c) 2008 Zanichelli editore S.p.A. - Soc. Editrice de Il Foro Italiano Stampa documento visualizzato 04-10-2008 10:34:21 Pagina 7 di 16 Il frastagliato quadro normativo esibisce un duplice profilo di interesse: innanzi tutto, esso è tale da frustrare i tentativi di risalire al comun denominatore, alla «speciale disciplina», riassunta nella locuzione «persona giuridica», sulla base dell’autonomia patrimoniale (più o meno perfetta) e della limitazione della responsabilità. In proposito, è stato agevole osservare che la destinazione di determinati beni ad un’attività, con «la possibilità di quanti sono creditori in relazione all’esercizio dell’attività . . . di soddisfarsi sui beni destinati all’attività stessa, escludendosi la possibilità di diretta soddisfazione su detti beni di altri creditori» (ASCARELLI, Personalità giuridica e problemi delle società, in Problemi giuridici, Milano, 1959, I, 236 ss., spec. 261), non sono connotati propri solo delle persone giuridiche o delle società (anche personali: v. art. 149 l. fall., con le pallide eccezioni degli art. 2270, 2° comma, e 2307 c.c.), ma si riscontrano in tutti i gruppi organizzati, ivi comprese le associazioni non riconosciute, gli enti di fatto (GALGANO, Struttura logica e contenuto normativo, cit., 608). Per altro verso, l’illimitata responsabilità degli amministratori della s.a.p.a., ossia di un’organizzazione classificata tra le persone giuridiche dall’art. 2498 c.c., esclude che il nesso amministrazione-responsabilità sia tipico dell’associazione priva di riconoscimento (v., invece, FERRO LUZZI, I contratti associativi, Milano, rist. 1976, 247 ss.), e, al tempo stesso, depotenzia l’idea, secondo cui «lo specifico contenuto normativo della personalità giuridica . . . risiede . . . nel beneficio della responsabilità limitata» (GALGANO, op. cit., 611): lo riconosce lo stesso A., Delle associazioni, cit., 124 ss., declinando verso la conclusione che «la sola costante . . . che può dirsi garantita dal concetto di persona giuridica, è . . . suscitare l’immagine di una distinta soggettività giuridica del gruppo rispetto ai suoi membri» (GALGANO, Diritto civile e commerciale, cit., 180). Conclusione, questa, che però non riesce a connotare gli enti muniti di personalità giuridica, atteso che – lo si è già evidenziato e sarà ribadito infra – anche negli altri enti sussiste la netta separazione tra il singolo ed il gruppo, col conseguente corollario della distinta soggettività di questo. Si innesta, a questo punto, un’ulteriore osservazione. Essa trae spunto dal rilievo che – per quanto sviluppatesi autonomamente (SCALFI, L’idea di persona giuridica, cit., 58 ss.; GALGANO, Delle persone giuridiche, cit., 24 ss.; ID., Persona giuridica, voce cit., 401) – personalità giuridica ed autonomia patrimoniale costituiscono due diverse tecniche legislative (se si vuole: l’una imperniata sul profilo soggettivo, l’altra su quello oggettivo) utilizzate per realizzare un medesimo disegno di politica economica: creare le condizioni di diritto privato più propizie per la diffusione e lo sviluppo delle imprese societarie, attraverso, in particolare, il trattamento preferenziale assegnato ai creditori sorti a seguito dell’attività e la limitazione del rischio di quanti partecipano all’attività stessa (CAMPOBASSO, Diritto commerciale, 2, Diritto delle società, Torino, 1997, 58). Senonché – e siamo al secondo profilo di interesse del quadro normativo sopra riassunto – queste caratteristiche percorrono trasversalmente le organizzazioni contemplate dal codice civile; non solo non valgono a distinguere le persone giuridiche dalle organizzazioni prive di tale qualità, ma sono di fatto condivise dagli enti del primo come del quinto libro: tutti sono preordinati all’esercizio di un’attività utilizzando beni posti dai partecipanti in comune; in tutti è garantito il trattamento preferenziale dei creditori; in quasi tutti si riscontra la limitazione del rischio del partecipante al conferimento o al contributo. Queste circostanze comuni hanno aperto la via allo sviluppo di attività economiche, anche importanti, da parte del c.d. mondo non profit (su cui v. PONZANELLI, Non profit organization, voce del Digesto civ., Torino, 1997, XVI, 667 ss.), ossia da parte degli enti del primo libro, persone giuridiche e no, tanto da sollecitare la riflessione della dottrina in più direzioni: da un lato, si è rilevata la flessibilità delle forme giuridiche a fini diversi da quelli che ne determinarono la maturazione e si è autorevolmente parlato di una loro neutralità (RESCIGNO, Fondazione e impresa, in Persona e comunità, cit., II, 55 ss., spec. 75 ss.; SANTINI, Tramonto dello scopo lucrativo nelle società di capitali, in Riv. dir. civ., 1973, I, 151 ss.); per altro verso, si è ripensato il criterio di distinzione tra enti collettivi del primo libro ed enti del quinto libro del codice (il tema è ripercorso da FUSARO, op. cit., 128 ss.), concludendosi nel senso che esso ormai possa essere individuato con sicurezza solo nella obbligatoria non distribuzione di utili da parte IL FORO ITALIANO 1987 - luglio-agosto 2008 (c) 2008 Zanichelli editore S.p.A. - Soc. Editrice de Il Foro Italiano Stampa documento visualizzato 04-10-2008 10:34:21 Pagina 8 di 16 dei primi (v., per tutti, PONZANELLI, in Foro it., 1994, I, 3545, del quale v. anche i rilievi a col. 3547 s., sui limiti della teorizzata neutralità delle forme giuridiche; e su quest’ultimo punto, cfr. Cass. 10 dicembre 1996, n. 10970, id., 1998, I, 212, commentata da GALGANO, in Contratto e impresa, 1998, 1); infine, quasi a trarre le inevitabili conseguenze, si è suggerito di imprimere sulla riforma delle persone giuridiche del primo libro il segno dell’organizzazione interna delle società di capitali (cfr. COSTI, La riforma delle «fondazioni bancarie», in Banca impr. società, 1997, 507 ss.). Peraltro, proprio il fatto che la limitazione del rischio (svalutata, dunque, ingiustamente da SCALFI, op. cit., 62 ss.) si riscontra e ha un ruolo anche nell’ente a scopo «ideale», a prescindere dalla personalità giuridica eventualmente riconosciuta all’ente stesso, conferma che è inoperante – fosse anche circoscritta alle organizzazioni di cui al primo libro del codice – la conclusione per la quale «il concetto di persona giuridica assolve . . . la funzione, che gli è propria, di occultare discipline speciali» rispetto al regime di responsabilità patrimoniale delineato dall’art. 2740 c.c. (GALGANO, Delle persone giuridiche, cit., 44), in quanto analogo risultato derogatorio alla norma appena cit. si verifica per il tramite di forme giuridiche diverse da quelle aventi il crisma della personalità (cfr. ROSSI, op. cit., 72 ss., 110 ss., sia pure con riguardo alle società). V. - Si profila, pertanto, l’alternativa: o si rinuncia – come già accennato – ad assegnare alcun significato normativo unificante alla nozione di persone giuridica, al più rilevandone il diverso «contenuto normativo», a seconda che sia adoperata nel primo o nel quinto libro del codice (GALGANO, Delle associazioni, cit., 126 s.); ovvero, si ricerca un ulteriore elemento distintivo del concetto. Questa seconda opzione è stata coltivata da quanti, di fatto collegandosi con una delle teorie tradizionalmente più accreditate, hanno rinvenuto il tratto caratterizzante della persona giuridica nella necessaria esistenza di una struttura organizzativa in grado di determinare, attraverso la divisione delle competenze, un reciproco controllo tra gli organi (per la dottrina volta a collegare la personalità giuridica con l’organizzazione corporativa, v. GALGANO, Il principio di maggioranza nelle società personali, Padova, 1960, 24 ss.). Più precisamente, da un lato, si è valorizzato il nesso tra personalità giuridica, limitazione della responsabilità ed organizzazione corporativa, ravvisando in quest’ultima il necessario presupposto della persona giuridica, nel senso che se ne è individuata la «sola e specifica funzione» in ciò che «essa opera quale condizione alla presenza della quale è subordinata la concessione, ai membri del gruppo, del beneficio della responsabilità limitata» (GALGANO, Struttura logica e contenuto normativo, cit., 624; SCALFI, op. cit., 78). Dall’altro lato, si è aggiunto che, a seguito della rilevata strutturazione organizzativa delle persone giuridiche – secondo la tesi in esame, loro propria perché prevista per esse in modo inderogabile (in tal senso, già GALGANO, Il principio di maggioranza, cit., 235, 250, ove ulteriori citazioni) – solo in queste ultime vi sarebbe il riconoscimento di posizioni giuridiche (diritti, obblighi) dei componenti del gruppo, nelle loro diverse qualifiche (soci, amministratori, sindaci), nei confronti dell’ente, mentre, per quanto riguarda i gruppi privi di personalità, «nei rapporti interni non è disposta un’alterità tra soggetto e socio» (SCALFI, op. cit., 70 ss., spec. 87 s.; meno netto EROLI, Le associazioni non riconosciute, Napoli, 1990, 139 ss.). Questi rilievi aprono il campo ad ulteriori riflessioni. Innanzi tutto, inducono ad interrogarsi sull’effettiva pregnanza del momento organizzativo a descrivere il contenuto normativo (o piuttosto, a questo punto, il presupposto normativo?) della persona giuridica; in secondo luogo, sollecitano un approfondimento del significato dell’organizzazione negli enti non riconosciuti, che, come si è detto, parte della dottrina revoca in dubbio. Per quanto riguarda il primo punto, occorre essere consapevoli che l’equazione tra organizzazione corporativa e personalità giuridica non può ritenersi affidante per estrapolare il «contenuto normativo» di quest’ultima. Quell’equazione, di cui già si è dubitato in passato (v. ad es., CARLO, Il contratto plurilaterale associativo, Napoli, 1967, 187 ss.), infatti, è stata definitivamente messa in crisi dall’introduzione della s.r.l. unipersonale (v., anche per riferimenti, WEIGMANN, Società di un solo socio, voce del Digesto comm., Torino, 1997, XIV, 209 ss., spec. 212 ss.). IL FORO ITALIANO 1987 - luglio-agosto 2008 (c) 2008 Zanichelli editore S.p.A. - Soc. Editrice de Il Foro Italiano Stampa documento visualizzato 04-10-2008 10:34:21 Pagina 9 di 16 Invero, se tratto distintivo dell’organizzazione corporativa non è la mera esistenza di una pluralità di organi, ma la sostanziale esigenza che il gruppo sia costituito in assemblea e che i suoi membri concorrano alla formazione della volontà del gruppo stesso secondo le regole del metodo collegiale (GALGANO, Struttura logica e contenuto normativo, cit., 619 ss.), è escluso che gruppo e collegialità delle decisioni siano ravvisabili nella società costituita da un solo socio, malgrado la riconosciuta natura di persona giuridica di detta società (v., sotto quest’ultimo aspetto, OPPO, Società, contratto, responsabilità, in Riv. dir. civ., 1993, II, 183 ss., spec. 184; G. SCOGNAMIGLIO, La disciplina della s.r.l. unipersonale: profili ricostruttivi, in Giur. comm., 1995, I, 237 ss., spec. 238). In proposito, la stessa XII direttiva dà atto che tutte le decisioni sono prese dal socio unico in qualità di assemblea e che i poteri di questa sono esercitati dal predetto socio unico. Del pari, è dubbio che in tale società in concreto sussista la divisione di competenze tra assemblea ed amministratori (su entrambi i profili qui considerati, v. NAZZICONE, Le società unipersonali, Milano, 1993, 27 ss., 39 ss.), con particolare riferimento all’esclusione di un incontrollato potere dei soci sull’organizzazione corporativa elevata a persona giuridica (CALANDRA BONAURA, Gestione dell’impresa e competenze dell’assemblea nella società per azioni, Milano, 1985). Questa conclusione è condivisa dalla stessa dottrina qui analizzata, laddove scrive che «una società di capitali con unico socio non è diversa, sotto l’aspetto patrimoniale, da una società di capitali con pluralità di soci: la riunione delle azioni o delle quote in unica mano non diminuisce le garanzie dei creditori sociali, né determina l’inapplicabilità di alcuna delle norme che tutelano il patrimonio sociale. Essa fa cadere, invece, quel complesso sistema di controlli reciproci tra organi diversi nel quale è l’essenza dell’organizzazione corporativa» (GALGANO, op. cit., 626 s.; v., altresì, ROSSI, op. cit., 85 s.). Essa, in altre parole, conferisce all’unico detentore delle quote quel controllo sulla società e sull’impresa, che, per diritto vigente, ormai non vale ad estendere la responsabilità di costui a tutte le obbligazioni connesse all’esercizio dell’impresa stessa. Occorre aggiungere che a connotare in qualche modo la persona giuridica nei confronti degli enti non riconosciuti, non varrebbe accogliere l’orientamento meno rigoroso rispetto a quello appena analizzato, che fa salva l’organizzazione corporativa tipica delle società di capitali in presenza di un organo amministrativo dotato del potere di sindacare la conformità delle decisioni assembleari a criteri di corretta gestione, a pena della propria diretta responsabilità verso i terzi, verso i creditori sociali (cfr. CALANDRA BUONAURA, op. cit., 269 ss.). Un’analoga responsabilità degli amministratori, infatti, sussiste nelle società personali e, in genere, nei gruppi non riconosciuti. Anzi, qui la responsabilità degli amministratori, e dunque la tutela dei creditori, è più ampia, in quanto estesa a tutti i casi di insufficienza del patrimonio comune a far fronte alle passività, e non limitata all’ipotesi di mancata diligenza nella conservazione del patrimonio stesso. Si ritorna, così, alla conclusione, secondo cui «perde . . . importanza l’antico problema se determinati gruppi . . . siano o no persone giuridiche» (v. citazioni in GALGANO, op. cit., 597). L’altro orientamento, secondo cui nelle società di persone i rapporti interni si risolverebbero in rapporti tra soci, investe un tema particolarmente dibattuto, quello sulla rilevanza e la struttura dell’organizzazione degli enti non riconosciuti (v. Cass. 10 gennaio 1998, n. 153, Foro it., Mass., 17; 12 giugno 1996, n. 5416, id., 1996, I, 3093, con nota di NAZZICONE). Che l’organizzazione sorta dal contratto associativo non sia preordinata solo ai rapporti esterni, ma anche a disciplinare l’utilizzazione dei beni comuni da parte di ciascun partecipante e l’incidenza di questo sull’attività comune, è ormai insegnamento risalente (ASCARELLI, Il contratto plurilaterale, in Studi in tema di contratti, Milano, 1952, 97 ss., 116 ss.). In proposito, il riferimento alla comunione può essere utile, non per ripercorrere il raffronto degli enti non riconosciuti con la comunione di tipo germanico, ovvero con quella romanistica (G. BONELLI, I concetti di comunione e di personalità nella teorica delle società commerciali, in Riv. dir. comm., 1903, I, 285 ss.; CARNELUTTI, Personalità giuridica e autonomia patrimoniale nella società e nella comunione, id., 1913, I, 86 ss.; FERRARA, op. cit., 69 ss.; RUBINO, Le associazioni non riconosciute, Milano, 1952, 172 ss.; PUGLIATTI, IL FORO ITALIANO 1987 - luglio-agosto 2008 (c) 2008 Zanichelli editore S.p.A. - Soc. Editrice de Il Foro Italiano Stampa documento visualizzato 04-10-2008 10:34:21 Pagina 10 di 16 La proprietà e le proprietà, Milano, rist. 1964, 176 s.; RESCIGNO, Enti di fatto e personalità giuridica, in Persona e comunità, cit., II, 119 ss., spec. 132 ss.), quanto piuttosto per rilevare un omogeneo dato strutturale, vale a dire «la coesistenza di più diritti: un diritto spettante alla collettività dei partecipanti sulla cosa nella sua interezza; ed un complesso di diritti spettanti a ciascuno di essi, di partecipare alla comunione secondo la misura della rispettiva quota» (PUGLIATTI, op. cit., 170; e v. D’ALESSANDRO, Persone giuridiche e analisi del linguaggio, Padova, 1989, 114, 161; SPADA, La tipicità delle società, 1974, 114), o, se si preferisce, di partecipare alle decisioni relative alle modalità di utilizzazione dei beni comuni. A dirimere questa situazione, a sciogliere il nodo tra «sfera dell’interesse individuale» e «sfera dell’interesse collettivo» sta l’organizzazione interna (cfr. FERRO LUZZI, op. cit., 322 s., in nota; SERRA, Unanimità e maggioranza nelle società di persone, Milano, 1980, spec. 163 ss.; FUSARO, op. cit., 231 ss., 266 ss.; COSTA, Le assemblee speciali, in Trattato delle società per azioni diretto da G.E. COLOMBO e G.B. PORTALE, Torino, 1993, vol. 3, II, 499 ss., spec. 518; CAMPOBASSO, op. cit., 49): il problema delle regole di funzionamento interno del gruppo non riconosciuto – se, cioè, nel silenzio della legge e del contratto, le decisioni debbano prendersi a maggioranza o all’unanimità (sul dibattito, v. VOLPE PUTZOLU, La tutela dell’associato in un sistema pluralistico, Milano, 1977, 197 ss.; CAMPOBASSO, op. cit., 101 ss.) – presuppone proprio la rilevanza giuridica della contrapposizione tra il gruppo ed il singolo componente ed esprime l’esigenza di conciliare la tutela di quest’ultimo con valori diversi, quali, per quanto riguarda le società di persone, l’efficienza di gestione e la sicurezza dei traffici, ossia gli interessi degli altri soci e dei terzi. Ne segue che la prospettiva della tesi qui contestata dovrebbe essere invertita: l’organizzazione (più o meno sofisticata) rileva, innanzi tutto, all’interno, quale rapporto giuridico, costituito ex art. 1321 e 1374 c.c. tra le parti del contratto associativo, diretto a determinare il ruolo di ciascun contraente nel perseguimento dello scopo comune. Questa osservazione non è affatto ostacolata dalle diverse valutazioni espresse in dottrina sul rapporto tra contratto ed organizzazione (v., anche per riferimenti, GAMBINO, Il principio di correttezza nell’ordinamento delle società per azioni, Milano, 1987, 107 ss.; GALGANO, Diritto civile e commerciale, cit., II, 1, 259 ss.), dal momento che detta disparità di vedute non esclude caratteri comuni a tutte le organizzazioni di derivazione contrattuale (v., infatti, GAMBINO, op. cit., 131 s., in nota). D’altra parte, la contrapposizione tra socio e gruppo (e, dunque, società) si intravede in precise vicende delle società personali, quali il regime dei conferimenti non in denaro, la revoca dell’amministratore, la sua responsabilità (cfr. i richiami in nota a Cass. 7 agosto 1996, n. 7228, cit., col. 2988, cui adde Trib. Napoli 14 marzo 1996, Foro it., Rep. 1996, voce Società, n. 490; nonché CAMPOBASSO, op. cit., 94 s.), l’esclusione del socio (Cass. 10 giugno 1998, n. 5757, Foro it., Mass., 645; 20 aprile 1994, n. 3773, id., 1995, I, 233), il diritto del socio alla distribuzione degli utili dopo l’approvazione del bilancio (Cass. 20 aprile 1995, n. 4454, id., 1997, I, 920; BUSSOLETTI, Società semplice, voce dell’Enciclopedia del diritto, Milano, 1990, XLII, 908 ss., spec. 914 s.; ID., Società in accomandita semplice, ibid., 951 ss., spec. 964 s.; CAGNASSO, La società semplice, Torino, 1998). Dottrina e giurisprudenza hanno segnalato l’incidenza delle norme costituzionali sull’impianto codicistico dell’organizzazione dei gruppi non riconosciuti: infatti, per quanto riguarda le società personali, gli art. 3 e 41 Cost. sono stati invocati al fine di eliminare il paradosso di regole più severe in ipotesi di revoca dell’amministratore, che non nel più grave caso di esclusione del socio (WEIGMANN, Il procedimento di esclusione del socio nelle società di persone: profili di incostituzionalità, in Giur. comm., 1996, I, 539); gli art. 2 e 18 Cost., poi, limitano la libertà di regolare gli ordinamenti interni, assegnata agli accordi degli associati dall’art. 36 c.c. (cfr. Cass. 14 maggio 1997, n. 4244, Foro it., 1997, I, 2484, con osservazioni di LAGHEZZA; Trib. Torino 15 febbraio 1996, id., Rep. 1996, voce Associazione non riconosciuta, n. 11; sembra invertire la gerarchia delle fonti, VOLPE PUTZOLU, op. cit., 86). Più precisamente, diritti inviolabili del singolo e consapevole esercizio della libertà di associazione, ragionevolmente non possono non specificarsi in un minimo di partecipazione degli associati alla determinazione delle decisioni dell’associazione (per il relativo dibattito, v. FUSARO, op. cit., 167 ss.), partecipazione che, sempre più IL FORO ITALIANO 1987 - luglio-agosto 2008 (c) 2008 Zanichelli editore S.p.A. - Soc. Editrice de Il Foro Italiano Stampa documento visualizzato 04-10-2008 10:34:21 Pagina 11 di 16 spesso pretesa dal legislatore quale requisito per l’accesso delle associazioni a benefici di vario genere (e v. i richiami di legislazione ordinaria di S. TOFFOLI, in Foro it., 1992, I, 924, 928, cui adde art. 10, 1° comma, lett. h, d.leg. 460/97; 5, 2° comma, lett. a, l. 281/98), a sua volta postula, proprio nei rapporti interni, un’adeguata struttura organizzativa del gruppo (sul problema, v. VOLPE PUTZOLU, op. cit., 172 ss.; BASILE, op. cit., 5 s.; FUSARO, op. cit., 216 ss.). Pertanto, se unanimità, principio di maggioranza e collegialità sono in varia misura preordinati (anche) alla tutela dei singoli (SCHLESINGER, L’approvazione del rendiconto annuale nelle società di persone, in Riv. società, 1965, 807; GRIPPO, Deliberazione e collegialità nella società per azioni, Milano, 1979, 23 ss.; WEIGMANN, op. loc. cit.; PREITE, La destinazione dei risultati nei contratti associativi, Milano, 1988, 123 ss.), una coerente struttura organizzativa non può mancare nelle formazioni sociali in discorso senza contraddire la «garanzia» costituzionale di diritti e libertà dell’individuo, siano essi l’uguaglianza, l’intrapresa anche in forma collettiva, l’associazione. Così, l’organizzazione ed il conseguente incanalamento dei rapporti interni in un dialogo tra i singoli e gli organi associativi costituiscono il risultato «tecnico» pressoché obbligato di quel processo che, muovendo dalla visione dell’uomo quale sostrato sostanziale di tutti i gruppi, di tutte le formazioni sociali, si conclude nell’individuazione degli aspetti tipici – e, pertanto, di generale validità – del contratto associativo e dei suoi moduli esecutivi, uno dei quali – va evidenziato fin d’ora – è l’amministratore (v., per i diversi aspetti accennati, RUBINO, op. cit., 128; PERSICO, Associazioni non riconosciute, voce dell’Enciclopedia del diritto, Milano, 1958, III, 878 ss., spec. 884; GALGANO, op. cit., I, 209 ss., 226 ss., 241 ss.; RESCIGNO, Personalità giuridica e gruppi organizzati, cit., 103 ss.; ID., Enti di fatto e persona giuridica, cit., 119), ovvero, secondo l’art. 1332 c.c., l’«organo . . . costituito per l’attuazione del contratto» stesso. VI. - Dalle precedenti osservazioni non consegue solo l’infondatezza della tesi, che, risolvendo ogni relazione associativa sempre in un rapporto tra singoli associati, di fatto nega un preciso ruolo agli organi dei gruppi privi di personalità. In esse, infatti, sono già presenti spunti in grado di avviare a soluzione la questione rimessa alla Corte costituzionale. Più precisamente, dal non breve (e pur tuttavia sommario) resoconto delle ipotesi formulate in dottrina sul contenuto normativo della personalità giuridica può trarsi la seguente conclusione: la personalità giuridica contraddistingue non più il soggetto di diritto, quanto piuttosto l’ente che, per l’organizzazione interna e/o per gli oneri di pubblicità e/o per le modalità di tenuta della contabilità, imposti dalla legge, assicura, in varia misura, una qualche forma di tutela per i terzi circa la correttezza (almeno in teoria) della gestione delle attività economiche esercitate, inclusa la (teorica) rispondenza patrimoniale dell’ente stesso (v., infatti, in teoria generale, GIANNINI, Diritto amministrativo, cit., 123). A questo livello di genericità la nozione di persona giuridica può accomunare sia gli enti ex art. 19 ss. c.c., sia quelli auspicati nei progetti di riforma (cfr. MARICONDA, cit., 76; COSTI, op. cit., 510), sia le società di capitali, da quelle quotate alle s.r.l. unipersonali. Così, se si vuole necessariamente tradurre la nozione di persona giuridica in termini di privilegio, si deve ammettere che il privilegio in realtà assegnato dal riconoscimento è solo indiretto, nel senso che consiste, non già nell’esenzione da determinate normative o nell’esclusiva possibilità di svolgere attività economiche, quanto nell’incentivo indotto sui terzi ad intrattenere relazioni economiche con gli enti riconosciuti piuttosto che con gli altri, in ragione delle minori asimmetrie informative subite nei confronti dei primi. Con il delineato connotato della personalità giuridica, quale suggello di una maggiore tutela dei terzi, sono a ben vedere coerenti le origini e gli svolgimenti della teoria generale dell’organo, in quanto strumento di imputazione giuridica di atti ed effetti in guisa tale da non consentire alla persona giuridica di sottrarsi alle conseguenze dell’attività posta in essere dai propri esponenti (cfr. SANTI ROMANO, voce Organi, Frammenti di un dizionario giuridico, Milano, rist. 1983, 167; GIANNINI, Organi, voce cit., 40 s.; ID., Diritto amministrativo, cit., 145). Peraltro, se questo è il (si ripete: vago) connotato tipizzante, che al cader del IL FORO ITALIANO 1987 - luglio-agosto 2008 (c) 2008 Zanichelli editore S.p.A. - Soc. Editrice de Il Foro Italiano Stampa documento visualizzato 04-10-2008 10:34:21 Pagina 12 di 16 secolo è possibile riconoscere alla qualità di persona giuridica, l’art. 2941, n. 7, c.c. si rivela, prima ancora che incostituzionale, irrazionale. La conferma è offerta dalla vicenda processuale alle radici della disposizione. A Carnelutti, che, nel difendere la società anonima contro i suoi ex amministratori, richiamava le teoriche meno recenti sulla persona giuridica, assimilandola al minore, ovvero, più in generale alle «persone che per legge sono sottoposte all’amministrazione altrui», App. Milano 5 luglio 1932, cit., replicò, facendo propri stadi successivi della riflessione dottrinale, che «nessuna analogia corre fra la persona giuridica che agisce per mezzo dei suoi organi rappresentativi e il minore sottoposto a tutela. La rappresentanza dell’ente non deriva dalla sua incapacità, e la volontà della rappresentanza non è volontà eteronoma, che si sostituisce a quella dell’ente» (col. 1565). Del pari, in primo grado, Trib. Milano 17 dicembre 1931, Foro it., 1932, I, 1504, con nota di MONTEL (che inserisce N. COVIELLO tra gli autori d’accordo con la decisione: v. invece Manuale di diritto civile italiano, Milano, 1924, 469; sulla sentenza, v. altresì PUGLIATTI, Rappresentanza legale e sospensione della prescrizione, ora in Studi sulla rappresentanza, Milano, 1965, 385 ss.), aveva osservato che «la dottrina parla nel caso di rappresentanza ex lege di sostituzione della volontà di una persona con quella di un’altra; ma per la società questa sostituzione non si verificherebbe, perché il suo volere si identifica con quello dell’organo, mentre l’incapace, psicologicamente, può avere una volontà, ma l’ordinamento giuridico non l’utilizza per i fini che esso intende proporsi». Dunque, quel che per i giudici milanesi degli anni trenta rendeva impossibile estendere alla società anonima le disposizioni relative al minore o alle «persone per legge soggette all’amministrazione altrui» era la dualità soggettiva intravista in questi ultimi casi tra amministrato ed amministratore ed esclusa, invece, nell’ipotesi dell’anonima, rispetto al suo organo: qui si postulava l’esistenza di un solo soggetto, la persona giuridica, di cui l’amministratore avrebbe rappresentato il «cervello», la «bocca», la parte che non si distingue dal tutto. A questa prospettazione sembra implicitamente aderire il legislatore del 1941, quando, nel riproporre con l’art. 2941 c.c. le medesime fattispecie del previgente art. 2119, ha aggiunto quella oggi dichiarata incostituzionale. Ciò significa che l’art. 2941, n. 7, c.c. predica un ordinamento, nel quale alla persona giuridica, quale centro unitario dotato di soggettività (v., infatti, Relazione al re, n. 60), privo della capacità d’agire se non a mezzo dei suoi organi, si contrappone l’ente non riconosciuto, non «nuova unità giuridica», ma «contrattuale riunione di più persone», che, nella loro qualità di effettive titolari delle situazioni giuridiche astrattamente riferite al gruppo, sarebbero legittimate a far valere le stesse direttamente, ovvero a mezzo di loro mandatari, contro i quali ciascun mandante potrebbe sempre agire in ipotesi di inadempimento. Di qui, la non necessità di una specifica causa di sospensione della prescrizione di tale azione. Senonché, la precedente analisi ha mostrato come questa impostazione – modellata, si direbbe, sulla vecchia società civile (cfr. FERRARA, op. cit., 72; PUGLIATTI, Il rapporto di gestione sottostante alla rappresentanza, ora in Studi, cit., spec. 177 s.), ma smentita già dallo stesso art. 38 c.c.: cfr. VOLPE PUTZOLU, op. cit., 152 – sia sicuramente estranea al diritto vigente: gli enti non riconosciuti sono autonomi centri di imputazione giuridica, soggetti di diritto distinti dai loro componenti; sulla rilevanza interna ed esterna della loro organizzazione non vi è spazio per dubbi; essi esibiscono, quale elemento strutturale necessario, un organo deputato all’espletamento dell’attività necessaria al conseguimento del loro scopo. Sono, in altre parole, mutate «le esigenze storiche di politica legislativa», che, proprio in quanto «relativizzano» la nozione di persona giuridica (v. § 2), ne determinano le differenze di disciplina con gli enti non riconosciuti (v. già COVIELLO, op. cit., 207; RUBINO, op. cit., 31). Per questi ultimi, dunque, ha avuto luogo l’evoluzione che si è voluta intravedere a proposito della comunione: si è proceduto «dalla pluralità (sciolta, indistinta, numerica), alla collettività (organizzata), al gruppo (giuridicamente unificato)» (PUGLIATTI, La proprietà, cit., 168 ss.). Giurisprudenza, dottrina, legislazione, e oggi la Corte costituzionale, hanno segnato la misura di quest’evoluzione giuridica e storico sociale. Peraltro, il processo di parificazione degli enti non riconosciuti alle persone giuridiche rinviene il proprio motivo di fondo nel comune sostrato sostanziale: IL FORO ITALIANO 1987 - luglio-agosto 2008 (c) 2008 Zanichelli editore S.p.A. - Soc. Editrice de Il Foro Italiano Stampa documento visualizzato 04-10-2008 10:34:21 Pagina 13 di 16 l’origine di tutti gli enti di diritto privato – riconosciuti e no – da un atto di autonomia, il quale sancisce, da un lato, la pertinenza a tutti i componenti del gruppo dello scopo e degli interessi perseguiti dall’ente, e dall’altro lato la natura strumentale dell’ente stesso alla realizzazione dei fini propri dei membri (cfr. Cass. 26 ottobre 1995, n. 11151, Foro it., Rep. 1995, voce Società, n. 607, e Giur. comm., 1996, II, 329, con note di JAEGER, ANGELICI, GAMBINO, COSTI, CORSI; nonché di GALGANO, in Contratto e impresa, 1996, 1). Tutto ciò è stato colto dalla dottrina, quando, in sede di approfondimento del contratto associativo – superati i dubbi (BASILE, op. cit., 3; VINCENZI AMATO, Associazione e tutela dei singoli, Napoli, 1984, 144 ss.) sulla sussistenza del requisito della patrimonialità negli «accordi» di cui all’art. 36 c.c. (cfr. VOLPE PUTZOLU, op. cit., 19 ss.; EROLI, op. cit., 101 ss.): il perseguimento di qualsiasi scopo «ideale» comporta l’impiego di risorse! – ne ha posto in risalto il momento esecutivo, caratterizzato dall’attività svolta in comune dalle parti «sia, mediante un’unitaria organizzazione, nei rapporti interni, sia attraverso l’unitaria rappresentanza del gruppo nei rapporti esterni» (GALGANO, Diritto civile e commerciale, cit., II, 1, 268; e v. già ASCARELLI, op. cit., 134 ss.). In questa prospettiva – l’unica corretta, in quanto, si ripete, fondata sul dato sostanziale dell’ente, della sua organizzazione e della sua attività quale espressione strumentale degli interessi e degli scopi fissati nell’atto di autonomia a base dell’ente stesso, riconosciuto o no – l’amministratore non si configura mai (o, se si preferisce, non si configura più) come il mandatario dei singoli componenti, ma assume rilevanza in quanto elemento essenziale del contratto associativo, l’organo necessario per l’attuazione del contratto (l’inciso dell’art. 1332 c.c. relativo alla sua eventuale mancanza va riferito ai contratti aperti all’adesione di terzi, ma non associativi), per il conseguimento dello scopo comune (e v., infatti, la dottrina, cit., in fine del § V). Risulta, in proposito, ancora prezioso il contributo di PUGLIATTI, op. cit., 187 s.: egli pose in luce come il rapporto sostanziale tra l’amministratore e i componenti del gruppo, sia esso munito di formale riconoscimento o no, consista sempre in una «rappresentanza di interessi» del gruppo da parte del primo: «il rappresentante della collettività agisce in vista della realizzazione del fine per cui il gruppo si è costituito, e vincola il patrimonio destinato a quel fine». Merita qui sottolineare che ciò avviene anche quando, per la natura dell’ente (società in nome collettivo), ovvero a seguito degli accordi dei componenti (associazione non riconosciuta, società semplice), ciascun aderente sia legittimato ad agire per il conseguimento dello scopo comune: in tali ipotesi, infatti, viene perseguito un interesse condiviso dal gruppo e non esclusivo dell’agente. Si profila così un preciso rapporto di gestione tra chi agisce e gli altri componenti, che non è circoscritto ad atti determinati, ma si estende alla complessiva attività volta al perseguimento dello scopo comune: di qui il divieto di utilizzare le risorse comuni per fini estranei a quelli del gruppo (art. 2256 c.c.); di qui la responsabilità verso il gruppo in ordine alla complessiva gestione (art. 2260 c.c.); di qui l’imputabilità al gruppo non dei soli negozi, ma della complessiva attività, con connessa estensione della responsabilità civile (Cass. 4 aprile 1998, n. 3512, Foro it., Mass., 372; GALGANO, op. cit., 389; BASILE, op. cit., 9). Questo rapporto di gestione – proprio perché fondato sul comune dato sostanziale del contratto associativo – si configura come assolutamente omogeneo, sia che intercorra tra l’amministratore ed un gruppo la cui organizzazione abbia ottenuto il formale riconoscimento della personalità giuridica, sia che detto riconoscimento non sia intervenuto: questo dato è espresso dal – e, ad un tempo, ispira il – costante rinvio alle norme sul mandato quale parametro normativo del rapporto tra amministratori e gruppo (art. 18, 2260, 2392, 2608 c.c.). Dubbi sul rapporto gestorio qui messo a fuoco, sulla sua configurazione, possono filtrare dal versante delle persone giuridiche, dove nell’ultimo scorcio di secolo non sono mancati esempi di frattura tra contratto associativo e organizzazione societaria, vuoi per quanto riguarda la fonte di quest’ultima, vuoi con riferimento alla disciplina dell’imputazione al gruppo dell’attività dei rappresentanti. Sotto il primo profilo (sul quale v. anche, per riferimenti, ANGELICI, Società in generale (appendice), voce del Digesto comm., Torino, 1997, XIV, 267 ss.), la rappresentanza di interessi, intravista a base del rapporto gestorio in discorso, sussiste almeno fino a quando all’organizzazione societaria venga conservata la natura di strumento per la IL FORO ITALIANO 1987 - luglio-agosto 2008 (c) 2008 Zanichelli editore S.p.A. - Soc. Editrice de Il Foro Italiano Stampa documento visualizzato 04-10-2008 10:34:21 Pagina 14 di 16 realizzazione di interessi privati, o comunque autoreferenziali, fino a quando, in altre parole, non si profilino (nihil sub sole novi) ipotesi di funzionalizzazione. Ma, in questo caso, giustamente ci si chiede se con la parola «società» non si designi una «cosa» diversa da quella finora chiamata così (ibid., 269). Sotto il secondo aspetto sopra evidenziato, è agevole constatare che il suddetto rapporto di gestione emerge anche all’esterno, nei rapporti tra enti privati riconosciuti e terzi: invero, l’imputazione dell’attività dell’organo alle persone giuridiche private non è assoluta, ma circoscritta ai poteri in effetti conferiti e pubblicizzati (art. 19 c.c.: Cass. 9 aprile 1990, n. 2965, Foro it., Rep. 1990, voce Persona giuridica, n. 7), con la possibilità di eccepire l’eventuale conflitto di interessi dell’organo (Cass. 24 febbraio 1998, n. 1998, Corriere giur., 1998, 665, con nota di FICI; Trib. Milano 20 ottobre 1997, Giur. it., 1998, I, 965; Cass. 19 settembre 1992, n. 10749, Foro it., Rep. 1993, voce Rappresentanza nei contratti, n. 9; 1° febbraio 1992, n. 1089, id., 1992, I, 2139, con osservazioni di LENOCI), o la rappresentanza apparente (Cass. 19 settembre 1995, n. 9902, id., Rep. 1996, voce cit., nn. 10-12), secondo moduli non dissimili da quelli propri della rappresentanza volontaria (Cass. 21 agosto 1996, n. 1625, id., 1996, I, 3355; 10 novembre 1994, n. 9381, id., Rep. 1995, voce cit., n. 10) e condivisi dalla rappresentanza commerciale (Cass. 1° ottobre 1997, n. 9594, id., Rep. 1997, voce cit., n. 16; Trib. Cagliari 27 giugno 1995, id., Rep. 1996, voce cit., nn. 15-16; App. Milano 25 giugno 1993, id., Rep. 1995, voce cit., nn. 22-25; Cass. 19 febbraio 1993, n. 2020, id., 1994, I, 159, con osservazioni di DONATIVI) e dagli enti non riconosciuti (App. Roma 22 febbraio 1996, id., 1997, I, 1612; Cass. 24 giugno 1995, n. 7166, id., Rep. 1995, voce Società, n. 653). La sola eccezione apparentemente configurabile (art. 2384 e 2384 bis c.c.: Cass. 6 febbraio 1993, n. 1506, id., 1994, I, 165, con osservazioni di NAZZICONE) è finalizzata, oltre che a tutelare i terzi, a consentire una piena operatività mercantile alle società di capitali, ad agevolare il traffico economico, e, comunque, si discute dell’incidenza degli art. 2383, 6° comma, e 2457 ter c.c. sull’art. 2384 c.c. onde consentire alla società di opporre al terzo l’eventuale difetto di potere rappresentativo dell’organo (cfr. Cass. 1° dicembre 1995, n. 12420, id., Rep. 1996, voce cit., n. 647, e Giust. civ., 1996, I, 1355, con nota di VIDIRI, cui si rinvia per riferimenti). Tutto ciò, ovviamente, non autorizza l’equiparazione tra rappresentanza volontaria e rappresentanza degli enti privati (v., infatti, SPADA, op. cit., 227), ma segnala che i due fenomeni non appartengono a «mondi» diversi. Piuttosto, la matrice contrattuale, la «rappresentanza di interessi» di persone fisiche per essa realizzata – se rende ragione sia di taluni forti rifiuti della prospettazione tradizionale (D’ALESSANDRO, op. cit., 129 s.), sia dei tentativi di tracciare itinerari comuni ai due tipi di rappresentanza sopra menzionati (TASSINARI, La rappresentanza delle società di persone, Milano, 1993) – per altro verso sgancia le persone giuridiche private da quelle pubbliche e non rende possibile un’automatica estensione alle prime delle teoriche elaborate per le seconde, ivi comprese quelle sull’organo, sensibili, da un lato, all’esigenza di ridurre quanto più possibile l’alterità giuridica tra lo Stato, la persona giuridica pubblica ed i suoi agenti (MARONGIU, Organo e ufficio, voce dell’Enciclopedia giuridica Treccani, Roma, 1990, XXII), e dall’altro lato all’esigenza di tutelare i destinatari dell’azione dei poteri pubblici nel senso che si è già accennato: esigenze entrambe destinate a rafforzare la c.d. immedesimazione organica e, quindi, a disconoscere la meritevolezza di tutela dell’ente, che nel caso di società, associazioni e fondazioni si risolverebbe in un assoluto diniego di tutela per l’interesse dei privati che ad esse fanno capo (l’ulteriore riflessione sulla materia mi induce a precisare nei termini quì riferiti talune affermazioni formulate in La scrittura privata tra rappresentanza organica e volontaria, in Foro it., 1998, I, 524, le cui conclusioni, nel segno di una disciplina processuale analoga di rappresentanza organica e volontaria, sono, peraltro, confermate dallo studio odierno). La rilevata circostanza che ciò non avviene, che il rapporto gestorio tra la persona giuridica privata ed il suo organo assume rilevanza anche nei confronti dei terzi, che – secondo le parole di un autore lontano per impianto dogmatico dai rilievi qui formulati – «la personalità giuridica non pone la società al di fuori dei soci in un piano superiore e diverso, non la estrania dai loro particolari interessi» (G. FERRI, IL FORO ITALIANO 1987 - luglio-agosto 2008 (c) 2008 Zanichelli editore S.p.A. - Soc. Editrice de Il Foro Italiano Stampa documento visualizzato 04-10-2008 10:34:21 Pagina 15 di 16 Fideiussioni prestate da società, oggetto sociale, conflitto di interessi, in Banca, borsa, ecc., 1959, II, 27 ss., spec. 37), tutto ciò, si diceva, allontana l’organo della persona giuridica privata dal suo omologo di diritto pubblico e, al tempo stesso, ne favorisce l’accostamento all’amministratore, all’organo dell’ente di fatto. A ridurre ad unità i molteplici aspetti della problematica in esame vale osservare che nella medesima direzione si colloca l’ormai ammessa soggettività giuridica degli enti non riconosciuti. In sede di teoria generale (GIANNINI, Diritto amministrativo, cit., 131 ss.), sul presupposto della negata idoneità di tali enti ad essere centri di imputazione di atti, situazioni ed effetti giuridici (ibid., 140), è stata elaborata la distinzione tra officium («strumento dell’agire giuridico degli enti di fatto») ed organo (meccanismo per l’imputazione di fatti ed effetti alla persona giuridica). Come si è anticipato, questa distinzione, ed in particolare la figura dell’officium, costituisce la diretta e coerente conseguenza del ritenuto difetto di capacità giuridica dei c.d. enti di fatto: più precisamente, una volta escluso che, a causa del mancato riconoscimento, a tali enti potessero imputarsi atti ed effetti giuridici, si è delineata la necessità di configurare un tertium genus tra il rappresentante e l’organo, caratterizzato dal fatto che «esso imputa a sé stesso atti ed effetti» (ibid., 148). Senonché, venuta meno la premessa, cade l’esigenza di un’ulteriore figura soggettiva. A questo punto, la fondamentale analogia dei meccanismi di imputazione giuridica tra enti privati riconosciuti ed enti privi di riconoscimento si intravede con chiarezza: «il concetto di organo è ormai disancorato da quello di persona giuridica e vale per ogni organizzazione collettiva con attività esterna, anche se non elevata al rango di persona giuridica» (GALGANO, op. cit., 389; GIAMPIERI, Organo della persona giuridica, voce del Digesto civ., Torino, 1995, XIII, 189 ss.; e v. già ROMANO, op. cit., 150 ss., ma per motivi diversi da quelli qui esposti; contra, BASILE, voce cit., 7). In pari tempo, si comprendono i motivi dell’irrazionalità dell’art. 2941, n. 7, c.c.: la norma pretende di diversificare la decorrenza dei termini di prescrizione dell’azione di responsabilità – dunque, un aspetto strettamente inerente al rapporto di gestione, interno, tra amministratori e gruppo – sulla base di qualità (quelle di persona giuridica, di organo e dei rapporti tra loro), delle quali la prima ha ormai una qualche sua specificità non nel rapporto interno, ma esclusivamente nei rapporti esterni, vale a dire nei rapporti tra il gruppo, la sua organizzazione ed i terzi, mentre le altre sono condivise da persone giuridiche ed enti non riconosciuti (v. quanto appena osservato a proposito della rappresentanza organica) e non possono, dunque, giustificare una disparità di trattamento. La rilevata irrazionalità si traduce nell’incostituzionalità della disposizione per violazione dell’art. 3 Cost., nella parte in cui detta una disciplina diversa per rapporti sostanzialmente omogenei: quelli tra ente, gruppo organizzato per il conseguimento dello scopo del contratto associativo e l’organo designato per l’attuazione dello stesso. GIOACCHINO LA ROCCA --- Estremi documento --- Tipo documento: nota a sentenza Vai a: sentenza, nota a sentenza Voci e sottovoci Repertorio: Prescrizione e decadenza [5110] Persona giuridica Autore: Gioacchino La Rocca Titolo: L’«evaporazione» della persona giuridica innanzi alla Corte costituzionale. Giudicante: CORTE COSTITUZIONALE; sentenza, 24-07-1998, n. 322 (Gazzetta ufficiale, 1ª serie speciale, 29 luglio 1998, n. 30); Magistrati: Pres. Granata, Est. Marini Parti e avvocati: Soc. Ge. Col. (Avv. Paoli) c. Romaldi. Giudizio precedente: Ord. Cass., sez. I, 5 novembre 1996-12 febbraio 1997, n. 127 (G.U., 1ª s.s., n. 16 del 1997). Nella rivista: anno 1998, parte I, col. 2617 IL FORO ITALIANO 1987 - luglio-agosto 2008 (c) 2008 Zanichelli editore S.p.A. - Soc. Editrice de Il Foro Italiano Stampa documento visualizzato 04-10-2008 10:34:21 Pagina 16 di 16 --- Note --- (*) In ricordo di Carlo Scialoja. IL FORO ITALIANO 1987 - luglio-agosto 2008 (c) 2008 Zanichelli editore S.p.A. - Soc. Editrice de Il Foro Italiano