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CITTA' E CAMPAGNA
Città e campagna hanno rappresentato, in ogni epoca, due poli opposti
d'interessi e di civiltà. Per le loro caratteristiche diverse, di umanità e d'organizzazione sociale, sono apparse, soprattutto nel passato, come due mondi antagonisti alla ricerca d'un impossibile equilibrio stabile. Nell'alto Medioevo la campagna
era stata il fondamento della civiltà occidentale, di natura prevalentemente rurale,
e solo con ritardo le popolazioni dell'Europa centrale e settentrionale iniziarono
a fondare molte città. Sullo spostamento del centro di gravità dell'Europa dal
Sud al Nord, dalle terre classiche del Mediterraneo alle grandi pianure alluvionali della Loira, della Senna, del Reno e del Tamigi cí sono varie teorie e spiegazioni, tra cui quella dello storico belga Henri Pirenne, che ne fa risalire le
cause al trionfo dell'Islam (H. Pirenne, Mahomet et Charlemagne, Paris, 1947),
e quella dello storico statunitense Lynn White jr., secondo cui la soluzione del
fenomeno va cercata nella rivoluzione agraria dell'alto Medioevo (L. White jr.,
Medieval Technology and Social Change, London, 1962).
Carlo Cattaneo sostiene che la città sia l'unico filo ideale dei trenta secoli
delle istorie italiane. Senza le città, scrive il Cattaneo, « la memoria si smarrisce
nel labirinto delle conquiste, delle fazioni, delle guerre civili e dell'assidua composizione e scomposizione degli stati; la nazione non può veder lume in una rapida alternativa di potenza e debolezza, di virtù e corruttela... n (Il « Crepuscolo n,
rivista milanese, 18 5 7) .
In ogni tempo e in ogni Paese, la città ha un'inconfondibile e comune caratteristica: quella di essere il luogo di confluenza e di confronto degl'interessi
e delle idee d'una popolazione. Appunto perché è l'ambiente e il luogo ideale
in cui la volontà di ogni individuo e d'ogni classe sociale può esprimersi e realizzarsi, la città è oggetto di esaltazione da parte di chi si afferma e di esecrazione
da parte di chi soccombe. Nell'uno e nell'altro caso è una realtà che non può
essere ignorata, ma che va studiata a fondo perché costituisce il più agevole luogo
d'incontri, il meglio organizzato e capace di creare nuovi tipi di personalità e
nuovi modi di vivere. Ecco come è analizzata la società urbana ne La Città di
Park, Burgess e McKenzie, volume che è considerato un « classico » della sociologia:
« Non soltanto l'abitante della campagna e l'abitante della città mostrano
certe differenze fondamentali nella personalità, ma le variazioni che si trovano
nella città superano in larga misura quelle della campagna, e la rapidità con cui
nella città si creano costantemente nuovi tipi è assai maggiore di quella della
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campagna. Il contadino è ancora in larga misura un prodotto della natura che lo
circonda, mentre l'abitante della città è diventato una parte della macchina con
cui lavora e ha sviluppato tante specie differenti quante sono le tecniche a cui
si dedica. Gli atteggiamenti, i sentimenti, l'organizzazione della vita dell'uomo
di città e dell'uomo di campagna sono tanto diversi quanto lo sono quelli dell'uomo
civile e dell'uomo primitivo. Come la città estende la propria influenza nella
campagna, così il contadino viene riplasmato e in ultima analisi le differenze tra
le due possono estinguersi » (Park-Burgess-McKenzie, The City, Chicago, 1925).
Questi studi degli anni Trenta sulla città e la campagna sono validi ai nostri
giorni solo in parte. Come nota Alessandro Pizzorno nell'Introduzione ai saggi,
nelle nazioni industriali avanzate « la città tende sempre più a coincidere con
l'intera società e dà sede a un insieme di strutture che non sono più tipiche di
essa ».
Charles Blessing, direttore del « City planning » di Detroit, ha progettato
cose meravigliose per la Detroit del 2000. La capitale mondiale dell'auto, come
molte altre grandi città statunitensi, New York e Washington comprese, perde
abitanti. Nell'ultimo decennio ne ha perduti centomila. Gl'immobili invecchiano,
la gente ha bisogno di verde, le industrie emigrano in cerca di spazio, portandosi
dietro gli operai, che seguono il cammino inverso di quello dei loro padri. Detroit
non ha finito di crescere, ma deve rinnovarsi, riscattare le zone malate e creare
più alti livelli di rapporti umani. Aspira a diventare una città-regione, col traffico
sotterraneo e in superficie giardini, centri residenziali, città universitaria, case
decorose, fontane, teatri, accademie.
Cinta di verde, Londra ha perduto circa duecentomila abitanti rispetto a
quarant'anni fa (8.348.000). E di duecentomila abitanti si è alleggerita Parigi
negli ultimi sei anni (2.548.000). A Milano, ogni anno, cinquantamila abitanti
si trasferiscono in campagna, lasciando agli immigrati i vecchi quartieri in decadenza. Dietro la facciata di Roma è sorta una rete di enormi alveari umani,
privi di verde, di scuole, di ospedali. Recriminare, lamentarsi degli effetti negativi della civiltà industriale che minaccia di trasformare il mondo in una landa
inabitate, è vano perché non si può fare a meno dei benefici della tecnica. La
crisi dell'urbanesimo è la crisi della società nel suo complesso; le città patiscono
perché la società patisce. Recentemente il Consiglio d'Europa si è occupato del
costo delle città. Oltre certi limiti spaziali le metropoli non hanno più senso e
dovrebbero essere sostituite da altri tipi di città; ad esempio dal tipo rurale-urbano
a zone residenziali semiagricole, vivificate da nuclei dinamici con funzioni diverse.
Le teorie del Mumford, esposte nell'opera The City in History (New York, 1961),
trovano conferma nelle deliberazioni del Consiglio d'Europa, che auspicano una
società integrata, in cui città e campagna possano avere forme e strutture complementari. A questo proposito così scrive Placide Rambaud, docente di sociologia
rurale nella scuola superiore di scienze economiche e sociali di Parigi:
« Per la società rurale, la città presenta due caratteristiche inseparabili, di
cui le altre sono, per così dire, conseguenziali: la città è il luogo del lavoro e
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dell'istruzione. Essa fa sembrare la campagna come lo spazio definito dalla rarità
degli impieghi e da una diversa concezione del lavoro. In effetto la penetrazione
della società urbana, dei valori e delle speranze, si ripercuote, prima di tutto, nei
metodi di lavoro. D'altra parte, l'accrescimento della frequenza scolastica ha
un'immensa portata; essa provoca la rapida acculturazione di certi gruppi, il cui
termine è spesso l'esodo in città col conseguente impoverimento intellettuale dei
paesi e la diffusione d'una nuova cultura nelle campagne » (P. Rambaud, Société
rurale et urbanisation, Paris, 1969).
Dunque quel dato culturale di differenziazione tra città e campagna, così
evidente nella storia e nella letteratura del secolo scorso, tende a ridursi, ad attenuarsi fino a scomparire, almeno nei Paesi più progrediti e di maggiore sviluppo
industriale. Separazione ed autonomia tra società urbana e società contadina sono
in netto regresso, soprattutto perché le due antiche componenti sociali — città
e campagna — sono diventate interdipendenti sul piano politico culturale.
Con l'inizio dell'era industriale, l'opposizione tra città e campagna ha assunto
un nuovo aspetto e un più ampio significato storico e sociale. L'impoverimento
della società contadina, per effetto della rivoluzione industriale, è un fenomeno
d'incalcolabile portata nella storia del progresso umano. Nel Settecento, in Gran
Bretagna, col sorgere dell'economia capitalistica, la campagna entrò in crisi nei
confronti della città. Si ruppe l'antico equilibrio e si cominciò a pensare in termini di occupazione, di attività economica e non in termini di località.
Sull'insediamento della società urbana in Gran Bretagna, il geografo francese Max Derruau scrive:
« La città della Gran Bretagna non ha nulla di rurale, anche se si prolunga,
come è in generale, con una vasta periferia di villette. Piuttosto è la campagna
inglese che si è urbanizzata. Il fortissimo sviluppo nel XIX secolo ha accresciuto
a dismisura le città dove vive oggi 1'85% della popolazione britannica, proporzione che costituisce un record mondiale. Esistono forse meno città complete che
in Francia: le vecchie città amministrative e religiose si sono più raramente ingrandite del doppio con quartieri industriali. La tranquilla « città con cattedrale », che è pure una « città castello » e un « capoluogo di contea », cioè un centro
amministrativo (per esempio: Winchester o Worcester), contrasta coi grandi
centri di vita intensa nati dalla rivoluzione industriale e capitalistica, un Birmingham o un Manchester. Rare sono le vecchie città di contea che si sono industrializzate, come Newcastle dal XVIII secolo o Oxford dal secondo quarto del
secolo XX. L'aspetto urbano britannico è pure molto originale: la città in formazione è molto sviluppata, gl'immobili poco elevati, perfino nel centro, e i quartieri nuovi si distinguono dalle interminabili file di case uguali, di mattoni rossi
o bruni ». (M. Derruau: Précis de Géographie humaine, Paris, 1961).
La distinzione tra società urbana e società rurale non è facile se si vuol dare
una chiara definizione dell'aggregato urbano e di quello rurale e metterli a confronto. Le differenze di composizione e di struttura dei due ambienti sono notevoli e la letteratura sociologica, a questo proposito, è ricca di suggerimenti e
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classificazioni. Il criterio di distinzione che merita particolare considerazione è
quello della mobilità della popolazione, che è maggiore nella società urbana per
la presenza dei centri di potere politico ed economico, dell'Università e dei circoli
culturali, delle organizzazioni finanziarie e industriali. Nel primo Congresso nazionale di Scienze sociali, svoltosi a Milano nel 1958, il tema « città e campagna »
è stato ampiamente svolto e gli atti sono stati pubblicati in due grossi volumi.
Ecco alcune considerazioni di Angelo Pagani, dell'Università Bocconi di Milano,
contenute nel suo intervento:
« Quando si parla del processo di urbanizzazione l'essenza del fenomeno può
essere colta se all'idea elementare di una estensione fisica della città, come allargamento delle zone d'insediamento o di diretta influenza economica, si associa
quella più approfondita di una diffusione dei valori culturali. Quando si afferma
che la diffusione dei mezzi collettivi di comunicazione tende ad alterare la distinzione tra città e campagna, favorendo l'assimilazione della campagna alla città,
altro non si vuole intendere se non la diffusione nella popolazione rurale delle
forme di vita degli atteggiamenti, dei valori, in una parola della cultura espressa
dalla città.
Se le zone rurali appaiono oggi, in una fase tipica del processo di industrializzazione, investite da intense correnti di trasformazione economica, sociale e
culturale, se la mobilizzazione dei rapporti sociali, delle strutture, dei sistemi culturali, con cui si attua il trapasso da unità sociali chiuse a forme associative
spazialmente più estese ed integrate, accelera il processo di assimilazione alla
città e diffonde le forme collettive di relazione e di comunicazione non si può che
concludere che la distinzione tradizionale abbisogna di essere corretta o, meglio,
di essere intesa in un senso nuovo che tenga debito conto della progressiva urbanizzazione della struttura che noi chiamiamo rurale.
L'attenuazione degli elementi distintivi, che si compie con questa nuova
interpretazione, conduce a considerare la società rurale non come una struttura
nettamente distinta da quella urbana, dalla quale cioè si differenzi in ciascuno
degli elementi significativi, ma come un complesso di condizioni economiche,
sociali e culturali in fase di progressiva urbanizzazione, differenziate dallo schema
urbano da un grado più o meno prossimo di assimilazione. La società rurale cessa
così di essere un termine fisso di contrapposizione alla città, per divenire un indice di sviluppo non ancora compiuto, ma già riconoscibile nella sua direzione e
intensità. L'urbanizzazione è essenzialmente un processo e non può essere inteso
come uno stadio definitivo di sviluppo. La società rurale è quindi la non città o
meglio la campagna che tende sempre più ad assimilare la condizione, la struttura
e la cultura della città ». (L'integrazione delle scienze sociali. Città e campagna,
Bologna, 1959).
In base a tali concetti, ormai acquisiti alla sociologia, è in corso in Gran
Bretagna la trasformazione amministrativa degli enti locali, per cui il Paese
( eccetto Londra) dovrebbe essere suddiviso in 61 unità territoriali, ciascuna delle
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3 - LA ZAGAGLIA
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quali dovrebbe comprendere sia la città che la campagna, ponendo fine alla secolare distinzione tra distretti urbani e distretti rurali.
Nelle strutture fino ad oggi vigenti si distinguono sei tipi di amministrazioni
locali: County Borough (mandamenti di contea), Administrative County (contee
amministrative), Municipal or Non County Borough (mandamenti municipali),
Urban Districts (distretti urbani), Ritrai Districts, (distretti rurali), Parrish (la
parrocchia). La struttura dell'amministrazione locale di Londra è recente (1963)
e consiste nel Greater London Council, dal quale dipendono venti Consigli mandamentali interni (Inner London Borough Councils), l'Autorità scolastica per
Londra città, e la City of London Corporation che presiede ai servizi della City.
Nel corso di tre anni (1967-1969) la Commissione Redcliffe-Maud ha elaborato e pubblicato (giugno 1969) il rapporto sulla riforma degli enti locali ín
Inghilterra. Tale documento è interessante per l'affermazione di alcuni princìpi
che modificano i rapporti tradizionali tra città e campagna, di cui si riconosce la
interdipendenza, e propongono l'istituzione della Città regione, essendo oggi la
popolazione molto più mobile di quanto non lo sia stata nel passato. I 61 nuovi
enti locali dovrebbero essere raggruppati con la « Grande Londra » in otto Province o Regioni, ciascuna amministrata da un proprio « Provincial Council ».
Delle 61 unità territoriali, tre sarebbero denominate aree metropolitane, coi centri
di Birmingham, Liverpool e Manchester e amministrazione suddivisa; le altre
58 avrebbero un'amministrazione unica. Intorno ai grandi centri stanno sorgendo
le « New Towns » che segneranno la fine dell'urbanesimo tipo Ottocento, delle
squallide periferie e dei disagi fisici e morali denunciati da un'imponente letteratura. Le villette unifamiliari, i parchi pubblici e i campi di golf (The New
Towns Act, 1946) accoglieranno i lavoratori che vi si trasferiranno al seguito
delle industrie. Il Paese del liberismo manchesteriano e del « laissez faire » di
Adam Smith ha deciso di programmare il futuro dell'urbanistica e di metterla al
servizio dell'uomo. La riforma si propone di dare dimensioni maggiori alla sfera
d'azione degli enti locali e di garantire l'efficienza delle pubbliche amministrazioni.
Essa è molto interessante per i Paesi europei, tutti impegnati a creare nuove
Regioni a statuto ordinario e a risolvere l'opposizione città-campagna.
MARIA DIURISI
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