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Le Regioni d’Italia
Sicilia
Il sito ufficiale della regione: www.regione.sicilia.it
Una città: Catania
Catania si trova ai piedi dell'Etna, il suo
nome deriva dalla parola siculo Katane
(grattugia) che indica il terreno lavico su
cui sorge. Nel corso dei secoli è stata più
volte lambita da colate laviche, ma i resti
della città antica sono ancora visibili.
La conquista romana del 263 a.C., agli
inizi della prima guerra punica, aprì per
Catania un periodo di circa sette secoli
durante il quale essa accrebbe
notevolmente la sua importanza e il suo
prestigio.
Nei secoli successivi seguì la sorte della
Resti dell’anfiteatro romano.
Sicilia con l’occupazione da parte di
diverse potenze straniere fino ad entrare a
far parte dell’Italia unita.
In passato, gli eventi naturali che hanno cambiato il volto della città sono stati l'eruzione
dell’Etna del 1669 e il terremoto nel 1693. Catania infatti ci appare oggi come una città
nuova, con strade larghe e dritte, che si incrociano ad angolo retto, con palazzi e chiese
uniformi per stile, decorazioni e materiali. Ciò è dovuto alla fatto che dopo il terremoto
fu interamente ricostruita. La stessa sorte è toccata a diverse altre città della stessa zona.
Nel 1800, in seguito ad una riforma che divideva la Sicilia in sette province, Catania si
ritrovò capoluogo di un vasto territorio. A cavallo degli anni 50 e 60 del secolo scorso,
nella parte meridionale della città è nata la zona industriale, si sono sviluppate grandi
imprese edili ed è fiorito il commercio.
A Catania sono nati lo scrittore Giovanni Verga, autore tra gli altri del romanzo “I
malavoglia” e il musicista Vincenzo Bellini, autore di opere liriche molto famose tra cui
“La sonnambula”.
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Un sito archelogico: La valle dei templi di Agrigento
Nel V sec. a.C., in una zona collinare nei pressi della città di Agrigento, i Greci che
allora dominavano l’isola, costruirono numerosi templi a testimonianza della prosperità
della città. Incendiati in seguito dai Cartaginesi, i templi furono poi restaurati dai
Romani (I sec. a.C.) ma successivamente crollarono, forse a causa dei terremoti o per la
distruzione operata dai cristiani che volevano eliminare i segni della religione greca e
romana. L’unico rimasto intatto fino ai giorni nostri è il Tempio della Concordia; i
materiali di cui erano fatti i templi in passato sono stati utilizzati anche per innalzare
altre costruzioni nelle zona di Agrigento.
Tutti i templi della valle sono orientati verso est, perché l'ingresso alla cella che ospitava
la statua della divinità a cui era dedicato il tempio, doveva essere illuminato dal sole
nascente. I templi sono costruiti in tufo, una pietra di origine vulcanica facilmente
lavorabile, sono particolarmente suggestivi da vedere all'alba e al tramonto, quando la
pietra assume una colorazione dorata.
Il Tempio di Zeus Olimpio (Giove per i Romani), con i suoi 113 m di lunghezza e 56 m
di larghezza, era uno dei più grandi dell'antichità e si suppone non sia mai stato
terminato. Il Tempio di Castore e Polluce è diventato il simbolo di Agrigento, di esso
restano solo quattro colonne ed una parte delle travi di sostegno. Il Tempio di Eracle
(Ercole) è il più antico: oggi presenta 8 colonne in posizione eretta, rialzate nella prima
metà del 1900.
Il Tempio della Concordia è uno dei templi meglio conservati dell'antichità. Il fatto che
sia giunto integro fino a noi è da attribuire alla sua trasformazione in chiesa nel VI sec.
Della chiesa si possono ancora
intravedere, all'interno del colonnato, le
arcate praticate nell'originario muro della
cella del tempio classico. Si suppone sia
stato costruito intorno al 430 a.C., ma non
si sa a chi fosse dedicato. Il nome
Concordia deriva da un'iscrizione latina
trovata nelle vicinanze. Le colonne si
assottigliano verso l'alto in modo da
sembrare più alte e sono leggermente
inclinate verso il centro del lato frontale.
Questo permette all'osservatore che si
trovi ad una certa distanza dal tempio di
Il Tempio della Concordia.
cogliere un'immagine perfettamente
diritta.
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Storie e leggende: Colapesce
Cola era un ragazzo simile a tanti altri, solo che aveva moltissima passione per il mare:
infatti stava giornate intere a contemplarlo. Aveva un infinito rispetto per i pesci e
ributtava in mare, affinché vivessero, tutti quelli che il padre riusciva a prendere. Sua
madre era disperata, così un giorno, per rabbia, gli lanciò una maledizione. "Possa
diventare anche tu un pesce"; così fu, gli spuntarono le pinne, le branchie e le squame.
Divenne un pesce anche di nome, fu chiamato Colapesce e cominciò a vivere sempre più
in mare e sempre meno in terra. Si gettava in mare dalla punta di Messina sprofondando
giù e tirando, per divertimento, le code alle murene, cavalcava i delfini e quando, dopo
alcuni giorni, tornava in superficie, raccontava tutte le meraviglie che aveva visto nelle
profondità marine. Molti navigatori lo incontravano lungo le loro rotte e lui indicava il
percorso più conveniente per evitare le secche e le burrasche.
Colapesce era un bravo corriere, infatti in molti gli affidavano messaggi da portare in
varie località; era capace di nuotare per oltre 100 chilometri e il capitano della città di
Messina lo nominò palombaro.
Colapesce, che in realtà era un bel giovane, divenne così famoso che lo volle conoscere
persino il re di Sicilia, il quale venne a Messina per sperimentare la sua abilità. Il re con
la sua nave si portò nello stretto, fece venire il giovane e lanciò in mare una coppa d'oro
chiedendo a Colapesce di andare a prenderla. Quando egli risalì descrisse al re il
paesaggio marino, i pesci e le piante che aveva visto.
Il re, ancora più incuriosito, gettò la sua corona in mare in un punto più lontano: Cola si
tuffò e cercò per due giorni e due notti; per due volte passò sotto la Sicilia fino a quando
ritrovò la corona ed emerse dal mare. Il re gli chiese cosa avesse visto e lui rispose che
aveva visto la Sicilia poggiare su tre colonne: una era rotta ma resistente, la seconda era
solida come granito, la terza era corrosa e scricchiolante: gli disse anche che aveva visto
un fuoco magico che non si spegneva.
Il re desiderava avere maggiori informazioni: buttò nell'acqua un anello e invitò
Colapesce ad andarlo a ripescare e riferirgli cosa avesse visto. Il giovane era stanco e
titubava ma il re insisteva e Colapesce non se la sentiva di dire di no.
Decise di obbedire e disse che se si fossero visti risalire a galla un pugno di lenticchie e
l'anello di certo non sarebbe più risalito. Così si tuffò lasciando tutti in ansiosa attesa;
dopo diversi giorni, quando il re stava decidendo di andar via, si videro galleggiare le
lenticchie insieme all'anello che bruciava.
Il re capì che il fuoco esisteva veramente nel mare e si rese conto che Colapesce non
sarebbe risalito mai più: era rimasto a sostenere la colonna corrosa.
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La cucina regionale
Nella cucina siciliana, oltre ai primi piatti conditi spesso con verdure, come le
melanzane, sono rinomati i piatti a base di pesce come:
• la zuppa di cozze, fatta con le cozze cotte nell'olio con uno spicchio d'aglio e
insaporite con pomodoro e peperoncino;
• la zuppa di pesce fatta con una grande varietà di pesci e molluschi (nasello, dentice,
cozze, polpi, seppie, scorfani) cotti tutti insieme e insaporiti con pomodoro e verdure.
Viene servita su fette di pane abbrustolite.
Altri piatti tipici sono:
• le arancine, palline di riso bollito con dentro pezzetti di uovo sodo, provola, carne
macinata e piselli. Le palline vengono poi passate nell'uovo sbattuto e nella mollica e
fritte in olio;
• i cannoli siciliani, una “scorza” fatta con una pasta fritta a forma di tubo riempita
con ricotta e canditi;
• la cassata siciliana, un dolce molto rinomato la cui realizzazione è però un po’
laboriosa. Si fodera uno stampo rotondo con fette di pan di spagna (una pasta
morbida e spugnosa), si farcisce lo stampo con ricotta, canditi e pezzetti di
cioccolato. Si capovolge lo stampo e si toglie la torta che viene ricoperta con una
glassa (zucchero fuso, non annerito) al pistacchio, dal caratteristico colore verde, e
infine guarnita con pezzi di frutta candita.
Con l’aiuto di un adulto puoi preparare questo piatto tipico:
Granita siciliana
Ingredienti
- 1 litro e mezzo di acqua
- 750 gr di zucchero
- mezzo litro di succo di
limone
Preparazione
Fai scaldare l’acqua e scioglici dentro lo zucchero
ottenendo uno sciroppo. Quando si sarà raffreddato
aggiungi il succo di limone passato al colino per eliminare
semini e pezzi di polpa rimasti.
Mescola tutto bene e poni nel freezer dentro un
contenitore a forma di parallelepipedo un po’ largo. Dopo
qualche ora il liquido si sarà indurito ma la presenza dello
zucchero gli avrà impedito di diventare un blocco di
ghiaccio.
Per ricavare la granita, gratta la superficie indurita con un
cucchiaio e metti le scaglie che ottieni in un bicchiere.
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Un canto: Vitti na crozza
La la la leru lala la la leru lala la la leru la la la la la.
La la la leru lala la la leru lala la la leru la la la la la.
Vitti na crozza supra nu cantuni
e cu sta crozza mi misi a parlari.
Idda m'ha rispunniu cu gran duluri
iu' mossi senza toccu di campani.
La la la leru lala la la leru lala la la leru la la la la la.
La la la leru lala la la leru lala la la leru la la la la la.
Prestu passanu tutti li me anni.
Passano e si ni ienu un sacciu unni.
Ora cha sugnu vecchiu di tant'anni
chiamu la crozza e nuddu m'ha rispunni.
La la la leru lala la la leru lala la la leru la la la la la.
La la la leru lala la la leru lala la la leru la la la la la.
Chinnaia a fari chiù di la me vita.
Non sugnu bono ciuù mi travagghiari.
Sta vita è fatta tutta di duluri
e da cussì non vogghiu chiù; campari.
La la la leru lala la la leru lala la la leru la la la la la.
La la la leru lala la la leru lala la la leru la la la la la.
Cunzatimi cu ciuri lu me lettu.
Picchi' alla fine già sugnu arriduttu.
Vinni lu tempu di lu me rizzettu.
Lassu stu beddu munnu e lassu tuttu.
La la la leru lala la la leru lala la la leru la la la la la.
La la la leru lala la la leru lala la la leru la la la la la.
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