Luigi Einaudi e Federico Caffè:
lineamenti di
una politica sociale per il
Buongoverno
di Giuseppe Garofalo
Imprinting della tradizione italiana
in economia
A partire dai suoi primi sviluppi (il 700 riformatore,
di Verri, Beccaria, Genovesi, Galiani, Filangieri)
e proseguendo fino agli economisti liberali di fine
800-primi del 900, nonostante la tendenza
ricorrente a dividersi in fazioni opposte
continuità tra l’indagine teorica e quella
applicata, calata sulle specificità storicoistituzionali del sistema economico oggetto di
studio;
consapevolezza del ruolo della società civile;
consapevolezza che tanto il Mercato quanto lo
Stato possono “fallire”
Caffè ed il pensiero liberale
[Francesco Ferrara, Gustavo Del Vecchio, Luigi Einaudi,
ma anche Roosevelt e Keynes]
“[In Einaudi] le armonie economiche costituivano
un paradigma ideale, ma in terra prevaleva la
propensione a monopolizzare, nei confronti della
quale occorreva essere vigili, combattivi, pronti a
reagire. Ho l’impressione che ci sia la tendenza
a rendere omaggio all’Einaudi che fa comodo,
ma a lasciar perdere quello grintoso ed aspro
(soprattutto, poi, nei confronti delle banche e dei
banchieri, a leggerlo bene)” (F.Caffè, Un liberale
sulle cose, 1981)
Einaudi ed il riformismo
[Carlo Cattaneo e Piero Gobetti, ma anche Ernesto Rossi]
“La celebre massima laissez faire, laissez passer .. non vuol dire che lo
stato debba lasciar passare il male, tollerare il danno dei più a
vantaggio dei pochi. Vuol dire che, nella maggior parte dei casi,
salvo prova contraria assai difficile a darsi, l’industriale e l’agricoltore
deve essere lasciato lavorare a suo rischio e pericolo e non deve
essere protetto contro la concorrenza dello straniero. Chi chiede
protezione contro lo straniero o sussidi o favori dallo stato, nove
volte su dieci è il nemico del suo connazionale e vuole ottenere un
monopolio per estorcere prezzi più alti, profitti più lauti e salari
ultranormali a danno dei suoi connazionali. Resta quel caso su dieci
o su cento che meriterebbe di essere considerato, ma il liberista
esita anche in confronto ad esso, perché l’esperienza storica gli ha
dimostrato che all’ombra di una iniziativa meritevole di
incoraggiamento statale, passa trionfalmente il contrabbando di
mille avventurieri e sfruttatori del pubblico. Il liberismo non è una
dottrina economica, ma invece una tesi morale” (L. Einaudi, voce
“Liberismo” nel Piccolo dizionario politico, parte di un corso di
educazione civica dal titolo “Uomo e cittadino”, Berna, 1945)
L’esperienza di direzione de “La Riforma sociale” (1908-1935)
“La bellezza della lotta”
Nel giudizio di Caffè
“Nonostante la celebre affermazione einaudiana per cui “il
proprio piano [inteso nel significato più comprensivo] non
era quello di Keynes, … non può esservi alcun dubbio
circa la piena corrispondenza del pensiero di Luigi
Einaudi con quanto Keynes ebbe a scrivere sulla
funzione e i vantaggi dell’iniziativa e della responsabilità
individuali” (F.Caffè, Luigi Einaudi nel centenario della
nascita, 1974)
Successivamente Caffè riporta una citazione dalla Teoria
generale di Keynes, che sgombra il campo da ogni
rischio di olismo statalista:
“è dalla iniziativa e responsabilità individuali che deve
attendersi la migliore salvaguardia della varietà della
vita, che emerge precisamente da [un] ampio campo di
scelta personale e la cui perdita è la massima fra tutte le
perdite dello Stato omogeneo e totalitario”
Il buongoverno
Allegoria del Buon Governo
Ambrogio Lorenzetti (1338-1340)
Effetti del Buon Governo
Ambrogio Lorenzetti (1338-1340)
Il giudizio di Bobbio
«Buongoverno e malgoverno [è] un’antitesi che
percorre tutta la storia del pensiero politico, uno
dei grandi temi, se non il più grande, della
riflessione politica di tutti i tempi»
«Nessuno usa più le parole buongoverno e
malgoverno, e chi le usa ancora sembra volto al
passato, a un passato remoto, che solo un
compositore di prediche inutili ha ancora il
coraggio di riesumare» (Teoria generale della
politica, 1999)
La tesi di questo intervento
Sia Einaudi (1964) sia Caffè (1970) usano l’espressione
politica sociale (al posto del classico economica) per
qualificare l’attenzione che deve esservi per le
conseguenze, appunto, sociali del mercato. Tale politica,
definibile liberal-democratica riformista, è finalizzata
all’obiettivo del Buongoverno (che è il titolo di una
celebre raccolta di saggi di Einaudi).
Tale politica è fondata su valori etici nonché:
• su una prospettiva di lungo periodo (in critica del
cosiddetto shortermismo),
• con un orientamento all’obiettivo dell’efficienza («l’agire
senza spreco»),
• e, allo stesso tempo, a quello dell’equità («l’uguaglianza
nei punti di partenza»),
segue:
Lineamenti di una politica sociale
per il buongoverno
• …
• con un coinvolgimento della responsabilità individuale
(«ciascuno è responsabile delle scelte che compie»),
• e, contemporaneamente, di quella collettiva («la
concordia sociale non può prescindere dalla garanzia a
tutti di risorse e di opportunità»)
L’approccio einaudiano
• “Perché dovrebbe essere un ideale pensare ed
agire nello stesso modo? … Perché una sola
religione e non molte, perché una sola opinione
politica o sociale o spirituale e non infinite
opinioni? Il bello, il perfetto, non è l’uniformità,
ma la varietà e il contrasto… Un’idea, un modo
di vita che tutti accolgono, non vale più nulla.
L’idea nasce dal contrasto. Se nessuno vi dice
che avete torto, voi non sapete più di possedere
la verità” (L.Einaudi, Il Buongoverno, pp. 32-33
[lo scritto originario, Verso la città divina, è del
1920]).
• “L’impero della legge [è] condizione per
l’anarchia degli spiriti” (ivi, p. 35)
La fede in una “società aperta”
La politica prima delineata si fonda su un’idea di “società
aperta”, caratterizzata dall’atteggiamento razionale della
libera discussione critica, in cui l’agire politico si
configura come una tecnologia sociale che non pretende
di riorganizzare globalmente e in maniera definitiva la
società, ma affronta via via problemi specifici
cercandone le soluzioni più adeguate.
E’ noto che è questa la tesi di Karl Popper, autore nel 1945
de The Open Society and its Enemies.
Mi sento di utilizzare il termine in questa sede sulla scorta
del giudizio espresso da Sergio Steve in uno scritto del
1975, dove egli riconosce ad Einaudi, letteralmente,
“la fede in una società aperta”