1 "Dovete splendere come astri nel mondo" (Fil 2,15) Bartolomeo

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LA DIMENSIONE
DIMENSIONE SOCIALE E' PARTE INTEGRANTE DELL'IDENTITA' CRISTIANA
"Dovete splendere come astri nel mondo" (Fil 2,15)
Bartolomeo Sorge S.I.
Il tema della dimensione sociale dell'identità cristiana assume un valore tutto particolare
nel contesto della difficile crisi che il Paese attraversa. Non occorre davvero spendere parole di
fronte agli avvenimenti di cui siamo spettatori e attori. Tuttavia, preferisco qui affrontare il tema
nell'ottica del momento eccezionale che la Chiesa sta vivendo in seguito all'elezione di Papa
Francesco. Infatti, l'efficacia del servizio della Chiesa al mondo dipende anzitutto dalla sua
riforma interna.
Ebbene, ricordiamo tutti il clima pesante che si respirava fino a qualche mese fa, dopo la
rinuncia di Benedetto XVI al pontificato. La Chiesa appariva visibilmente provata e stanca,
rassegnata e ripiegata su se stessa e sui suoi problemi interni. Da un lato, era preoccupata dal calo
della pratica religiosa e dalla generalizzata caduta della fede, dall'altro, era prostrata e umiliata a
motivo dei numerosi scandali: dalla pedofilia dei preti alla mancanza di trasparenza nelle
operazioni finanziarie della Banca vaticana, ai casi di carrierismo mondano, alle lacerazioni
profonde ai vertici della Santa Sede. L'elezione di Francesco a vescovo di Roma ha spazzato via,
in pochi giorni, ombre e paure e ha fatto passare la Chiesa da quello che poteva sembrare
l'inverno a una nuova primavera.
L'aspetto più significativo della «svolta» della Chiesa sta nel fatto che il nuovo Papa si è
riallacciato esplicitamente a Giovanni XXIII e alla svolta del Concilio. 50 anni fa. Anche papa
Francesco, come già fecero papa Giovanni e il Concilio, anziché condannare preferisce mostrare
in positivo la forza «rinnovatrice» del Vangelo. Il vento del Concilio ha ripreso a soffiare! Vincere
il male con il bene, non con le scomuniche, ma testimoniando la forza trasformatrice del Vangelo.
In questo contesto, la consapevolezza che l'identità cristiana ha un'intrinseca dimensione
sociale acquista tutta la sua importanza. E' stata, questa, una delle acquisizioni più feconde del
Concilio Vaticano II. Perciò – in primo luogo – cercheremo di capire quali sono le ragioni
profonde su cui poggia l'affermazione dell'intrinseca «dimensione sociale» dell'identità cristiana;
in secondo luogo, sulla base di quelle motivazioni, tenteremo di tracciare l'identikit del cristiano
impegnato socialmente nella costruzione della città dell'uomo. Sono le due parti del mio discorso.
1. La «dimensione sociale»
sociale» della fede
Le ragioni profonde su cui si fonda la dimensione sociale dell'identità cristiana si
ricollegano ai tre più importanti «aggiornamenti» teologici del Concilio.
a) Il primato della comunione sull'istituzione. Il primo «aggiornamento» conciliare su cui si
fonda la dimensione sociale dell'identità cristiana, è stato il passaggio dall'ecclesiologia
societaria tridentina all'ecclesiologia di comunione. La Chiesa, cioè, non si definisce più una
«società perfetta», un tempio chiuso, riservato ai fedeli cattolici; è cosciente di essere una
comunità aperta, «popolo di Dio in cammino attraverso la storia»; la Chiesa è il Corpo mistico
di Cristo, al quale «in vario modo appartengono o sono ordinati sia i fedeli cattolici, sia gli
altri credenti in Cristo, sia infine tutti gli uomini, dalla grazia di Dio chiamati alla salvezza»1.
La Chiesa non è più un luogo chiuso, riservato agli eletti; la vitalità della Chiesa sta nell'essere
tempio aperto, preoccupata non tanto dei suoi problemi interni, quanto piuttosto dei problemi
delle periferie del mondo, geografiche ed esistenziali, di quanti cioè soffrono, sono oppressi,
poveri materialmente e spiritualmente. E' il punto su cui tanto insiste papa Francesco: «Si
deve evitare la malattia spirituale della Chiesa autoreferenziale: quando lo diventa, la Chiesa
si ammala. E' vero che uscendo per strada, come accade a ogni uomo e a ogni donna, possono
capitare degli incidenti. Però se la Chiesa rimane chiusa in se stessa, autoreferenziale,
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Lumen gentium, n.13.
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invecchia. E tra una Chiesa accidentata che esce per strada e una Chiesa ammalata di
autoreferenzialità, non ho dubbi nel preferire la prima»2.
In altre parole, il «regime di cristianità» è stato definitivamente superato
dall'ecclesiologia di comunione del Concilio: la Chiesa non aspira più a essere una forza
rilevante nel quadro politico della società, operante sullo stesso piano delle altre forze e in
concomitanza e concorrenza con loro. Lo Spirito Santo la spinge fortemente a realizzare il volto
evangelico della Sposa di Cristo, quello, cioè, di una Chiesa libera, povera e serva.
Ovviamente il Concilio non nega affatto che il divino Fondatore abbia voluto la Chiesa
come un'istituzione visibile – «Una città posta su un monte non può restare nascosta» (Mt 5,
14), ha detto il Signore –; ma ha messo in chiaro che l'istituzione è subordinata al mistero di
comunione degli uomini tra di loro e con Dio: «la Chiesa è in Cristo come un sacramento o
segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano»3. La
priorità, quindi, va alla comunione non all'istituzione; chiunque ha una responsabilità nella
Chiesa è chiamato non a esercitare un potere, ma a svolgere un servizio. Dunque, la prima
radice della dimensione sociale dell'identità cristiana va posta nell'ecclesiologia di comunione.
b) La storicità dell'evento cristiano. Un secondo «aggiornamento» teologico del Concilio,
su cui si fonda la dimensione sociale dell'identità cristiana è stato l'accento posto sulla
dimensione storica della salvezza. Cristo è Dio fatto uomo che entra nella storia del mondo,
l’assume e la ricapitola in sé4. L’Incarnazione quindi si compie nella storia dell’umanità,
attraverso tutte le epoche e tutte le culture. Ecco perché la Chiesa, che la continua e la attua,
s’incarna nella storia e cammina con il mondo, sentendosi «realmente e intimamente solidale
con il genere umano e con la sua storia»5; la sua missione ha una intrinseca dimensione
sociale. Infatti, la verità rivelata aiuta a meglio comprendere la storia e la storia aiuta a
meglio comprendere la verità rivelata. Dunque, la seconda ragione teologica su cui si fonda la
dimensione sociale dell'identità cristiana va ricercata nell'accento posto dal Concilio sulla
storicità dell'evento cristiano. La fede non è questione solo di adesione intellettuale alle verità
del Credo, ma è soprattutto testimonianza vissuta del Risorto.
c) Autonomia e laicità delle realtà terrestri. Infine un terzo «aggiornamento», su cui si
fonda la dimensione sociale dell'identità cristiana è l'approfondimento compiuto dal Concilio
della teologia del laicato e delle realtà temporali. Questo ha portato a rivalutare sia la
vocazione e la missione dei fedeli laici, sia il vero significato dell'autonomia e della laicità delle
realtà terrestri. Salvezza evangelica e promozione umana, pur essendo distinte, non sono
estranee una all’altra; tra loro non vi è dicotomia o dualismo, ma integrazione e
complementarità. Viene da questa terza radice la riscoperta, messa in luce dal Concilio, della
promozione umana come parte integrante ed essenziale dell'evangelizzazione.
Ecco, dunque, le ragioni teologiche profonde che hanno concorso a mettere in luce la
dimensione sociale dell'identità cristiana. Rimane allora da vedere quali ricadute pastorali
concrete questa coscienza nuova del nostro essere cristiani è destinata a produrre
sull'impegno della Chiesa e dei fedeli nella costruzione della città dell'uomo.
2. Identikit del cristiano impegnato
Sulla base delle ragioni teologiche profonde che abbiamo ricordato, è possibile ora
tracciare una sorta di identikit della presenza e dell'impegno dei cristiani impegnati nella
costruzione della città dell'uomo.
2
Cit., in L'elezione di Papa Francesco, in Civ. Catt. 2013 I 537.
Ivi, n. 1.
cfr Gaudium et spes, n. 38.
5
ivi, n.1.
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4
3
Prima, però, è importante fare una premessa: il fatto che l'identità cristiana abbia
un'intrinseca «dimensione sociale» non significa affatto che sia di natura ideologica o
sociologica. Essa, infatti, appartiene al piano della fede, si radica nel Battesimo e si sviluppa
con la pratica sacramentale della vita cristiana. In altre parole, il cristiano è chiamato a
divenire Cristo; fino a poter affermare con san Paolo: «Non sono più io che vivo, ma Cristo
vive in me» (Gal 2, 20). E' chiamato, cioè, a partecipare dell'identità stessa di Cristo: identità
«filiale» nei confronti del Padre e identità «fraterna» nei confronti di tutti gli esseri umani.
Perciò è fondamentale, per un efficace impegno sociale cristiano, fare sintesi tra l'amore
del Padre, che impone di vivere solo per lui, per la sua maggior gloria, e l'amore per i fratelli,
che impone di «impastarci» nella cultura e nelle sfide del nostro tempo, per costruire insieme
a tutti un mondo di giustizia e di pace. E' assolutamente necessario realizzare nella propria
vita la sintesi tra preghiera e azione, se vogliamo evitare il grave pericolo denunciato da Gesù
stesso: «Voi siete il sale della terra – ha detto –; ma se il sale diventa insipido, con che cosa si
dovrà dare sapore ai cibi? A null’altro sarà più buono, se non a essere gettato via e calpestato
dalla gente» (Mt 5, 13). In altre parole, affinché il cristiano s'impegni efficacemente nella
società, è necessario che egli non cessi mai di nutrirsi con il pane di vita e con la Parola viva,
meditata nella lectio divina e proclamata nella liturgia. La maturità della «dimensione
spirituale» è condizione insostituibile per la fecondità apostolica della «dimensione sociale»:
«Senza di me non potete fare nulla» (Gv 15,5).
Fatta questa necessaria premessa, tentiamo di tracciare i lineamenti fondamentali di
un'autentica identità cristiana sociale: un'identità visibile, comunitaria, dialogante, al servizio
dei poveri, laica.
1. Visibile. Poiché l'identità cristiana ha un'intrinseca dimensione sociale, segue che essa
non può rimanere confinata nella sfera privata della coscienza del credente, ma va testimoniata
apertamente anche nella vita pubblica: «Chi si vergognerà di me […], anche il Figlio dell'uomo
si vergognerà di lui quando verrà nella gloria del Padre» (Mc 8, 38). Bisogna dire subito, però,
che l'identità cristiana, «a scanso di equivoci, non coincide con i programmi di azione culturale
o sociale o politica che i cristiani, singoli o associati, perseguono. Si fonda invece sulla fede e
sulla morale cristiana, con il loro preciso richiamo all’insegnamento [della Chiesa] in campo
sociale; si vive nella comunione ecclesiale e si confronta fedelmente con la Parola di Dio letta
nella Chiesa»6. Il cristiano, dunque, non imporrà agli altri la concezione di vita di cui è
portatore, sebbene abbia il diritto-dovere, come cittadino, di proporre e perseguire programmi
coerenti con la sua fede; neppure potrà pretendere che solo un determinato programma (il
suo!) sia coerente con la «identità cristiana», accusando gli altri di non esserlo. Infatti, dalla
fede non è possibile dedurre un partito o una forma di società, ma «nelle situazioni concrete e
tenendo conto delle solidarietà vissute da ciascuno, bisogna riconoscere una legittima varietà di
opzioni possibili. Una medesima fede cristiana può condurre a impegni diversi»7.
La visibilità dell'identità cristiana, in secondo luogo, non è sinonimo di sovraesposizione
mediatica, né di manifestazioni pubbliche di potenza. Sta soprattutto nel testimoniare in ogni
ambito della vita quotidiana la speranza in Cristo, di cui il credente è portatore. Perciò, il
cristiano impegnato nella costruzione della città dell'uomo, affronterà i rischi e compirà le
scelte necessarie, condividendo con tutti gli altri le incertezze della ricerca, compresa anche la
possibilità di sbagliare. E' essenziale, tuttavia, che nell'impegno temporale egli si sforzi sempre
di mantenere uno stile proprio, coerente con la propria identità cristiana, fondando il suo
contributo sul rispetto della dignità della persona umana e dei suoi diritti inalienabili, sulla
solidarietà, sulla difesa e promozione della legalità, della giustizia e della pace. Tutto ciò nel
rispetto delle regole democratiche, della laicità e del pluralismo, sapendo che il cristiano non
6
7
CONSIGLIO PERMANENTE della CEI, La Chiesa italiana e le prospettive del Paese, cit., n. 25.
PAOLO VI, esortazione apostolica Octogesima adveniens, n. 50.
4
tradisce la propria identità se, in circostanze particolari, dovrà accettare sul piano legislativo
un male minore per evitarne uno peggiore e dovrà sottostare alla necessaria gradualità
(richiesta dalla crescita delle coscienze e del consenso, sempre necessario in democrazia) nel
perseguire la traduzione in termini politici di valori in sé irrinunciabili. Nello stesso tempo,
però, il cristiano non si vergognerà di esserlo e di testimoniarlo con la vita e con le parole,
proponendosi di raggiungere sul piano operativo il maggior bene concretamente possibile e
usando a questo fine tutti gli strumenti democratici disponibili.
2. Comunitaria. L'identità cristiana, essendo intrinsecamente sociale, non si può ridurre
alla sola testimonianza individuale e personale. E’ necessario che i cristiani testimonino la fede
insieme come Chiesa, comunitariamente («città posta su un monte»), attraverso l'assiduità nella
preghiera, nell’ascolto e nell’annuncio della Parola di Dio, nello spezzare il pane eucaristico,
nell’unione fraterna, nel servizio dei poveri. La testimonianza pubblica di comunione, di unità
nella diversità, caratteristica propria della Chiesa, è fondamentale per rendere visibile e
credibile il Vangelo in un mondo come il nostro, lacerato e profondamente segnato dall’egoismo
e dall’individualismo. Esemplare è stata l'iniziativa di papa Francesco d'invitare tutti (credenti,
non credenti e diversamente credenti) a partecipare alla giornata di digiuno e di preghiera per
la pace. La Chiesa è stata promotrice di un'azione in favore della pace, condivisa da tutti. E' il
lievito che fermenta la massa.
3. Dialogante. La dimensione sociale dell'identità cristiana comporta essenzialmente il
«dialogo». Paolo VI lo ha detto in forma molto incisiva: «La Chiesa deve venire a dialogo col
mondo in cui si trova a vivere. La Chiesa si fa parola; la Chiesa si fa messaggio; la Chiesa si fa
colloquio»8. Non è solo questione di metodo. La categoria del dialogo è centrale nella stessa
rivelazione cristiana e quindi nell'evangelizzazione: «La rivelazione, cioè la relazione
soprannaturale che Dio stesso ha preso l’iniziativa di instaurare con l’umanità, può essere
raffigurata in un dialogo, nel quale il Verbo di Dio si esprime nell’Incarnazione e quindi nel
vangelo. […] Bisogna che noi abbiamo sempre presente questo ineffabile e realissimo rapporto
dialogico, offerto e stabilito con noi da Dio […], per comprendere quale rapporto noi, cioè la
Chiesa, dobbiamo cercare d’instaurare e di promuovere con l’umanità»9.
Ora, dialogare in un mondo globalizzato, multietnico, multiculturale e multi religioso
significa tradurre in termini laici le ragioni dell’antropologia ispirata ai valori evangelici, così
da renderle comprensibili e accettabili agli uomini di buona volontà, anche non credenti o
diversamente credenti. Significa riconoscere che la Chiesa, mentre annunzia il Vangelo, non ha
solo da dare ma ha anche molto da ricevere, poiché «parecchi elementi di verità» si trovano
anche al di fuori di essa10, presso le religioni non cristiane11 e perfino presso i non credenti12.
Tuttavia, se è vero che il Vangelo non si può imporre a nessuno, è anche vero che «non
dobbiamo avere paura che possa costituire offesa all’altrui identità ciò che è invece annuncio
gioioso di un dono che è per tutti, e che va proposto con il più grande rispetto della libertà di
ciascuno: il dono della rivelazione del Dio-Amore […] che abbiamo il dovere di annunciare»13.
4. Al servizio dei poveri. Parlare di «dimensione sociale» dell'identità cristiana significa
soprattutto parlare del servizio ai fratelli, a cominciare dai più poveri. Dio è amore; dove c’è
amore lì c’è Dio. Ecco perché l’amore per i fratelli, soprattutto per i più poveri, è un modo di
rendere visibile il Dio invisibile. Nell'enciclica Deus caritas est, papa Benedetto spiega che vi
sono due «forme alte» di carità, in cui l'identità sociale cristiana si esprime. La prima è il
servizio verso i bisognosi, gli ammalati, gli emarginati. Accanto a questa, che è la forma classica
8
ID., enciclica Ecclesiam suam (1964), n. 192 (in Enchiridion Vaticanum, 2, 259).
Ivi, 263.
10
Lumen gentium, n. 8
11
Nostra aetate, n. 2
12
Gaudium et spes, n. 92.
13
GIOVANNI PAOLO II, Lettera apostolica Novo millennio ineunte (2001), n. 56.
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e tradizionale della carità evangelica, Benedetto XVI cita come seconda «forma alta» di carità
l’assunzione di responsabilità civili e politiche da parte dei fedeli laici14: la fede cristiana,
infatti, purifica la ragione e irrobustisce «le energie morali e spirituali che consentano di
anteporre le esigenze della giustizia agli interessi personali, o di una categoria sociale, o anche
di uno Stato».
Ritorna qui il discorso sulla priorità dell'amore quale contributo specifico del cristiano
alla costruzione della città dell'uomo: «I cristiani, ricordando le parole del Signore "in questo
conosceranno tutti che siete i miei discepoli, se vi amerete gli uni gli altri" (Gv 13,35), niente
possono desiderare più ardentemente che servire con maggiore generosità ed efficacia gli
uomini del mondo contemporaneo. Perciò, aderendo fedelmente al Vangelo e usufruendo della
sua forza, uniti con tutti coloro che amano e cercano la giustizia, hanno assunto un compito
immenso da adempiere su questa terra: di esso dovranno rendere conto a Colui che tutti
giudicherà nell'ultimo giorno. Non tutti infatti quelli che dicono "Signore, Signore" entreranno
nel Regno dei Cieli»15, ma quanti fanno la volontà del Padre, pongono cioè la propria vita al
servizio dei fratelli. Non basta dirsi cristiani a parole, occorre esserlo nei fatti e nella vita!
5. Laica. Infine, alla luce della teologia delle realtà terrestri, approfondita dal Concilio,
affermare che la dimensione sociale è parte integrante della fede cristiana, vuol dire riconoscere
che la laicità non è solo una necessità in vista del funzionamento della vita politica in una
società pluralistica come la nostra, ma è un valore cristiano. Cristo stesso sembra indicarlo
quando, nel Discorso della montagna, usa la similitudine della luce: «Voi siete la luce del
mondo […]. Non si accende una lucerna per metterla sotto il moggio; la si pone invece sul
candelabro affinché faccia luce a tutti quelli che sono nella casa. Così risplenda la vostra luce
davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è
nei cieli» (Mt 5, 14 s.). La fede, illuminando la storia e le realtà temporali (tra cui la politica,
l’economia, la cultura, le scienze), non si sostituisce a esse, ma ne rispetta l’autonomia, le
finalità, le regole e gli strumenti propri che non sono di natura «confessionale», ma «laici»,
secondo il disegno stesso di Dio creatore. Dunque, il cristiano, se vuol dare gloria al Padre che è
nei cieli, è tenuto a rispettare la laicità. Da qui l'urgenza pastorale oggi di formare fedeli laici
maturi, cioè uomini e donne, che nella propria vita realizzino la sintesi tra spiritualità e
professionalità. Non basta essere santi per essere bravi politici (o lavoratori, o professori, o
economisti, o artisti…), occorre anche essere professionalmente preparati, ciascuno secondo le
doti di cui dispone.
Conclusione. Alla luce del discorso fatto sulla «dimensione sociale» dell'identità
cristiana, che cosa significa, allora, vivere la fede oggi a Reggio Calabria, impegnarsi con tutti i
cittadini a farne un'autentica città dell'uomo? Il contributo specifico che la Chiesa e i cristiani
possono dare alla rinascita di Reggio e della Calabria è certamente quello che è stato posto
come sottotitolo alla mia relazione: «Dovete splendere come astri nel mondo» (Fil 2,15). Ciò
significa non solo formare le coscienze e illuminare le intelligenze con il Vangelo, ma precedere
e illuminare con la testimonianza della vita, impegnandosi concretamente, con parresia
evangelica e con scelte coraggiose, a vincere il male con il bene.
Consentitemi qui una nota personale. Il nostro incontro di oggi mi fa ripensare agli anni
belli e difficili della «primavera di Palermo», che ho vissuto in prima persona. Palermo e
Reggio Calabria, due città sorelle, sia per il duro confronto con la criminalità organizzata, sia
per il coraggio che i cittadini migliori hanno di sognare e d'impegnarsi per la legalità e per la
fraternità, come mostra, per esempio, una vostra iniziativa come «Reggionontace». Come vorrei
vedere oggi la «primavera di Reggio Calabria»!
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Deus caritas est, nn. 28-29.
Gaudium et spes, n. 93.
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Tra pochi giorni, il 15 settembre, ricorre il XX° anniversario dell'assassinio del beato Pino
Puglisi, martire della mafia. E' l'icona del cristiano cosciente della dimensione sociale della
fede. Il suo martirio è la sintesi migliore possibile di tutto il discorso che abbiamo fatto. Il suo
eroico sacrificio ci ricorda che la Chiesa non può rimanere indifferente di fronte alla piaga
della criminalità organizzata che devasta le nostre belle città e le regioni del Sud. La natura di
questo cancro è essenzialmente di costume, di mentalità e di cultura, una cultura disumana e
antievangelica. E ciò interpella direttamente la coscienza dei cittadini e in primo luogo dei
cristiani. Rinnoviamo dunque la nostra fiducia nel Signore! Vincere il male con il bene, si può.
Vincere costruendo, si può. Vincere amando, si può. Una rinnovata coscienza della dimensione
sociale della fede si trasforma necessariamente in liberazione e in crescita della città dell'uomo.
Il frutto del nostro convegno diocesano sia dunque un rinnovato impegno sociale dei cristiani
per la risurrezione di Reggio e della Calabria. Il buio presente non ci deve spaventare. I tempi
bui sono i tempi dell'impegno cristiano! Non ha forse detto il Signore: «Voi siete la luce del
mondo»? Per questo, anche san Paolo ci ripete: «Dovete splendere come astri nel mondo». Sì.
Più fonda è la notte, più splendono le stelle!