Rapporto sullo stato dell’ambiente Anno 2010
NATURA
ANIMALI IN CITTA’
LA FLORA DEL MONTE BALDO
SPECIE ALIENE
Provincia di Verona
Rapporto sullo stato dell’ambiente Anno 2010
ANIMALI IN CITTA’
Provincia di Verona
Rapporto sullo stato dell’ambiente Anno 2010
Provincia di Verona
Introduzione
Una recente indagine, svolta dai ricercatori del Museo di Storia Naturale di Verona, ha avuto come
oggetto di studio gli animali che vivono nelle città ed in particolare a Verona.
Si riportano in questo capitolo alcune delle innumerevoli informazioni che gli autori del lavoro hanno
messo in risalto, evidenziando come gli studi sul rapporto tra l’uomo e l’ambiente urbano siano ormai
motivo di scoperta di importanti interrelazioni, in grado di incidere fortemente sulla qualità di vita dei
cittadini.
L’indagine, conclusasi con la realizzazione di un volume, prende in considerazione i principali
ambienti, naturali e non, presenti in città, analizzandone gli animali che li frequentano e i motivi della
loro presenza.
Foto: femmina di Germano reale ai giardini di piazza Isolo
La fauna urbana
La fauna è definita come l’insieme delle specie animali viventi in un dato settore geografico, non in
cattività, inserite negli ecosistemi naturali. Se il settore geografico di riferimento è una città è
conseguentemente corretto parlare di fauna urbana.
Si tratta di un complesso di organismi che ha delle caratteristiche dinamiche, la cui composizione si
modifica più o meno lentamente nel tempo e nello spazio, soprattutto in relazione a fenomeni naturali,
ma anche in seguito all’azione dell’uomo. Si tratta sia di specie proprie dell’area (autoctone) sia delle
specie estranee all’area stessa (alloctone) ma che sono riuscite ad insediarsi con popolazioni stabili e
in grado di riprodursi.
Foto: Femmina di Merlo ai giardini di piazza Isolo
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Fuori dal concetto di fauna urbana, sono anche le popolazioni di specie sfuggite alla domesticazione,
in grado di riprodursi, ma che dipendono strettamente dall’uomo per l’alimentazione, come ad
esempio il colombo di città, che ha origine domestica e le popolazioni di cani e gatti randagie. Anche
questi animali hanno comunque notevole importanza dal punto di vista pratico, veterinario, igienicosanitario, ecologico e conservazionistico.
Foto: Colomba livia
A partire dagli anni settanta, un sempre maggior numero di studi di ecologia urbana, ha evidenziato
come anche in ambienti così pesantemente influenzati dall’uomo, siano rappresentati elevati valori di
biodiversità, soprattutto in termini di numero di specie.
Foto: Airone cenerino su pietra in lungadige Attiraglio (foto N. Giarola)
Gli uccelli sono i più studiati e nei centri urbani europei sono presenti regolarmente 100-200 specie tra
nidificanti, migratrici, stanziali e occasionali.
In Italia, delle 240 specie nidificanti sul territorio nazionale, ben 193, quasi l’80% della fauna ornitica
del paese, nidificano in area urbana.
Ma sono gli artropodi e in particolare gli insetti, gli animali che costituiscono la componente più
significativa della fauna di un’area e anche di quella urbana, sia in numero di specie che come numero
di individui.
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Le aree urbane possono ospitare anche specie di interesse conservazionistico o a rischio di
estinzione incluse nella Direttiva 92/43/CEE, nota come “Direttiva Habitat”, il cui obiettivo è la
conservazione degli ambienti naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche.
La ridotta estensione dei frammenti naturali residui in aree urbane e il loro grado di isolamento, sono i
fattori che limitano fortemente la possibilità di autosostentamento delle popolazioni animali presenti e
la loro gestione dovrebbe volgere alla scelta di criteri di utilizzo del territorio volti al rispetto ed
all’incremento della biodiversità.
La sinantropia
Specie sinantrope o antropofile, animali o vegetali, sono quelle permanentemente associate all’uomo
e ai suoi ambienti che si rinvengono sia in aree urbane che rurali. Le relazioni possono essere di tipo
parassitario (acari, zecche, cimici, pidocchi, pulci, ditteri flebotomi e culicidi), alimentare (acari,
pesciolini d’argento, tarli, tignole, roditori), o perché in grado di fornire ambienti idonei ( termiti, blatte,
ditteri drosofilidi e muscilidi, formice, uccelli, pipistrelli). Con gli scambi commerciali alcune di queste
specie hanno acquisito una distribuzione spaziale molto vasta, cosmopolita o subcosmopolita (ratto
nero e surmolotto).
Si tratta di specie generalmente ben conosciute e di grande interesse pratico, perché spesso infestanti
e moleste, al centro di problematiche igienico-sanitarie, di difesa delle derrate alimentari, dei beni
storici e artistici, del verde ornamentale. E’ tuttavia la componente meno numerosa della fauna che
può essere presente in un centro urbano. Le specie sinantrope si possono utilizzare come indici
numerici con cui calcolare il grado di alterazione del territorio prodotto dalle attività dell’uomo.
La fauna urbana può essere distinta in due componenti: una autoctona che rappresenta la
componente più abbondante e una introdotta, in minore presenza come numero di specie.
Ovviamente al crescere del grado di urbanizzazione di una determinata area corrisponde una
diminuzione del numero di specie e l’impoverimento e la banalizzazione delle comunità animali. Prima
scompaiono le specie più sensibili ai cambiamenti ambientali e ciò può avvenire in tempi anche
relativamente brevi. L’inquinamento luminoso che disturba l’orientamento stellare dei lepidotteri
notturni è probabilmente all’origine dell’apparente scomparsa di alcune specie migratrici, un tempo
regolarmente presenti in città. In città il maggior numero di specie si osserva generalmente nei parchi
di ville storiche e nelle aree verdi residue, ma dette aree sono generalmente isolate e la presenza di
specie animali è talvolta di tipo relitta.
L’inurbamento
Negli ultimi tempi un numero sempre maggiore di specie animali sta manifestando capacità di
colonizzazione di ambienti urbani e di adattamento alle loro specifiche condizioni di disturbo antropico
e di instabilità ecologica. Questo fenomeno viene indicato con il termine di “inurbamento”. E’ un
fenomeno riscontrato in particolare negli uccelli, in quanto la possibilità di volare consente loro il
superamento di barriere, soprattutto quelle costituite dall’uomo. Ma ci sono esempi anche tra anfibi,
rettili, mammiferi ed invertebrati. I meccanismi per mezzo dei quali si realizza l’inurbamento sono
diversi da specie a specie, ma possono essere ricondotte a due categorie fondamentali: l’inurbamento
passivo e l’inurbamento attivo. Il primo si attua come conseguenza della progressiva urbanizzazione
del territorio. Un specie può trovarsi intrappolata in un’area cittadina in seguito all’espansione
urbanistica a costituire popolazioni isolate in genere rappresentate da un basso numero di individui e
quindi dotate di bassa vitalità e a notevole rischio di estinzione. L’inurbamento attivo si compie invece
in seguito a più generali movimenti di espansione di una specie che riesce a colonizzare anche le
aree urbane. E’ noto il caso della volpe tra i mammiferi, del gabbiano reale, del cormorano, della
tortora dal collare orientale, del merlo, della gazza, della cornacchia grigia, dello storno, tra gli uccelli.
Caratteristiche della fauna urbana
Si tratta in genere di specie ad ampia valenza ecologica ossia ecologicamente molto tolleranti, in
grado di colonizzare con facilità numerosi altri ambienti, onnivore e con scarsa specializzazione
alimentare. Hanno inoltre ampia distribuzione geografica ed ampio potenziale riproduttivo, non danno
luogo a cure parentali e sono legate ad ambienti ecologicamente instabili, ossia soggetti ad improvvisi
e imprevedibili cambiamenti. Hanno in genere ampia capacità di dispersione, in quanto sono in grado
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spostarsi con facilità, sia attivamente che passivamente, come le specie areonaute che si fanno
trasportare dal vento.
In area urbana si determina il cosiddetto effetto “Isola di calore” delle città che crea condizioni più
favorevoli alle specie termofile mentre molte specie notturne sono avvantaggiate nel loro
insediamento in città per lo scarso disturbo da parte dell’uomo.
In genere la presenza di elementi verticali delle strutture abitative e
monumentali, simula condizioni di ambienti rupestri con il conseguente
possibile insediamento di specie legate alle falesie rocciose. Noti sono i casi di
molti uccelli come il balestruccio, il rondone, la taccola, il gheppio, il falco
pellegrino, la civetta, il passero solitario, il gabbiano reale, tra gli uccelli,
mentre tra i mammiferi gli ambienti degli edifici sono favorevoli ai pipistrelli e
tra i rettili al geco comune, all’emidattilo e alla lucertola muraiola.
La fauna urbana mostra talvolta caratteristiche eco-etologiche differenti
rispetto alle medesime popolazioni che vivono in ambienti naturali. Ad
esempio uno degli aspetti più noti tra gli uccelli riguarda la maggiore densità
che si osserva nelle aree urbane. Altre particolarità sono il prolungamento
della stagione riproduttiva e la riduzione del comportamento migratorio.
Alcune specie di norma diurne possono svolgere le loro attività legate alla ricerca di cibo o difesa del
territorio, molto prima dell’alba o dopo il tramonto. Noti sono anche i casi di modifica delle abitudini
alimentari come nei casi dei corvidi e della passera o delle caratteristiche genetiche come nel caso
della zanzara di cui si riconoscono una forma rurale ed una urbana. La volpe legata agli ambienti
urbani ha adattato le proprie esigenze al nuovo ambiente evidenziando una maggiore gregarietà degli
individui e una minore estensione o parziale sovrapposizione degli home range, di solito largamente
esclusivi. Talune popolazioni di sauri sono caratterizzati da colorazioni e morfologia relativamente
diverse da quelle riscontrate nelle popolazioni extraurbane come nel caso della lucertola muraiola a
Roma che presenta una colorazione nerastra sul dorso e sul ventre, particolarmente accentuata o
dell’orbettino a Tarvisio in cui si è riscontrata la presenza di macchie azzurre dorsali accentuata
rispetto alle popolazioni di orbettino viventi in aree naturali.
Specie infestanti e randagismo
In ambiente urbano alcune specie animali, in seguito all’aumento della consistenza numerica delle
loro popolazioni, possono interferire negativamente con l’attività dell’uomo, provocando problemi di
vario genere e sui quali è necessario intervenire. Tra i vertebrati sono considerate problematiche
alcune specie di uccelli come lo storno (Sturnus vulgaris), il gabbiano reale (Larus cachinnans), la
gazza (Pica pica) e la cornacchia grigia (Corvus cornix). Tra i mammiferi, preoccupano le infestazioni
del ratto delle chiaviche (Rattus norvegicus), del ratto nero (Rattus rattus) e del topo domestico (Mus
musculus domesticus). Tra gli artropodi è spesso necessario intervenire per il controllo di insetti
(mosche, zanzare, insetti delle derrate, insetti litofagi) e acari. Il controllo delle specie infestanti è un
argomento di grande attualità, molto complesso e ingenti sono le risorse finanziarie impiegate e gli
studi dedicati a questo tema. La gestione delle specie infestanti deve comunque svilupparsi a partire
da un’analisi della situazione, attraverso idonei censimenti e monitoraggi per poi delineare una
strategia di gestione integrata e corretta.
Per quanto riguarda il randagismo, comunemente sono considerati randagi i cani e i gatti domestici
che vivono liberi nell’ambiente e non dipendono più dall’uomo per la loro sopravvivenza, riuscendo da
soli a procurarsi il cibo e a riprodursi. E’ un fenomeno che minaccia la conservazione della natura e
della fauna, per l’inquinamento genetico delle popolazioni naturali in seguito a ibridazione, per il
disturbo che arreca, per la competizione e la predazione e per la possibilità di trasmettere malattie
altrimenti rare o episodiche. Negli ambienti urbani il randagismo è un fenomeno che, oltre al cane e al
gatto, interessa anche il piccione di città. I residui alimentari offerti dall’uomo a questi animali
rappresentano un attrattivo per ratti e topi, la cui rilevanza dal punto di vista igienico e sanitario è nota.
Perche’ studiare la fauna urbana
Secondo alcune stime, entro i primi decenni del ventunesimo secolo più della meta della popolazione
umana (oltre 6 miliardi) sarà concentrata in città. L’espansione urbana e la conseguente
frammentazione degli ambienti naturali avrà conseguenze negative sulle comunità animali e vegetali.
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La fauna urbana offre numerosi elementi di interesse di tipo faunistico-biogeografico, ecologicopopolazionistico, applicativo e didattico. Verona, per la sua posizione geografica, per le caratteristiche
climatiche, la presenza di un fiume e per la sua storia, è una città estremamente diversificata dal
punto di vista naturalistico. Negli ultimi 50 anni un numero cospicuo di specie è scomparso dall’area
urbana di Verona. Ad esempio negli anni 60 erano presenti nelle acque del fiume Adige 11 specie di
Plecotteri e molte di queste non sono state più rinvenute. Sono però aumentate le conoscenze sulle
specie restanti per tutelare le quali la pianificazione territoriale non può prescindere dalla studio e dal
monitoraggio delle componenti faunistiche e vegetazionali della città.
Isole verdi nel centro della citta’
I colli verso nord della città mostrano evidenti i segni di un fenomeno di inselvatichimento che ha
seguito l’abbandono dell’attività agricola .
Il sistema di fortificazioni che cinge Verona a ovest e a sud, da ponte Catena a ponte San Francesco,
riprende a Porta Vittoria chiudendo la città a est fino a Porta Vescovo e di qui risale a nord in un ampio
tratto di collina per tornare all’Adige a Ponte Garibaldi, rappresenta un habitat favorevole a molte
specie animali.
I bastioni nel tratto di pianura sono coperti da prati stabili che stanno progressivamente scomparendo
dalla Pianura Padana per il rilievo sempre minore che viene dato al fieno nell’alimentazione dei bovini
e con esso si va rarefacendo la fauna a invertebrati associata. Recenti ricerche sugli invertebrati dei
bastioni di San Bernardino hanno documentato la presenza di una comunità del suolo simile a quella
che popola i prati stabili padani.
Le pareti verticali delle muraglie, contribuiscono ad aumentare la fauna a molluschi gasteropodi
mentre i manufatti dell’area occupata fino a qualche anno fa dal giardino zoologico andrebbero
eliminati. I giardini raggio di sole sono caratterizzati dalla presenza di specie arboree molto varie
alternate da asfaltature eccessive mentre l’Istituto Agli Angeli ospita il più grande giardino interno alla
cinta muraria. L’area della Spianà, posta tra lo stadio Bentegodi, via San Marco e via Albere,
rappresenta l’unica area verde significativa urbana e ancora oggi si caratterizza per la presenza di
coltivi e prati stabili anche se la costruzione della tangenziale ha di fatto diviso in due l’area.
La fauna che popola le “isole verdi” della città deve tollerare la presenza dell’uomo. Sono presenti
molti fitofagi come la Chrisolina americana, un bel crisomelide comune nei giardini su rosmarino e
lavanda, la farfalla Poligonia egea legata alla parietaria, una pianta comunissima sui muri urbani. Tra
gli uccelli sono i corvidi ad evidenziare maggior capacità di adattamento all’ambiente urbano. Tra gli
anfibi la specie più caratteristica è il rospo smeraldino (Bufo viridis). Tra i rettili, oltre alle onnipresente
lucertola (Podarcis muralis), vanno segnalati il ramarro occidentale (Lacerta bilineata) in collina e
soprattutto il geco (Tarantola mauritanica) comparso a Verona negli anni Sessanta e ora
particolarmente comune nel centro storico, soprattutto in vicinanza della collina. Il biacco (Coluber
viridiflavus) nella sua varietà scura (quello che i veronesi chiamano “Carbonasso”) e raramente, della
vipera comune (Vipera aspis).
Foto: Vipera aspis in attraversamento di strada asfaltata (foto N. Giarola)
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Tra i mammiferi la volpe (Vulpes vulpes) è stata avvistata non lontano dalla Spianà e vicino ad Avesa,
il riccio (Erinaceus europeus) , la faina (Martes foina), la donnola (Mustela nivalis), la talpa (Talpa
europea), lo scoiattolo comune (Sciurus vulgaris), il ratto delle fogne (Rattus norvegicus), il topolino
delle case (Mus domesticus). Tra l’infinita schiera di invertebrati troviamo anche specie vistose come
lo scarabeo dei pini (Polyfhylla fullo) simile a un grosso maggiolino dalle elitre marezzate di bianco e
nero, o come il carabo coriaceo (Carabus coriaceus) nero e opaco, divoratore di chiocciole e l’Ocypus
olens, grande coleottero stafilinide nero, la grande cavalletta solitaria Anacridium aegiptiacum, la
cicala (Lyristes plebejus), la mantide (Mantis religiosa), la forbicina (Euborellia moesta). O insetti legati
ai boschi come i coleotteri carabidi Abax parallelepipedus, rinvenuto sui bastioni e Abax continuus,
trovato presso l’Adige a San Giovanni Lupatoto, Cetonischema aeruginosa, grande coleottero dallo
splendido colore verde metallico e nei parchi di villa Buri e villa Pullè si rinviene il cervo volante
(Lucanus cervus). La gestione dei grandi alberi nelle città richiede attenzione e intelligenza. Si tratta
infatti di conciliare l’esigenza di conservarli sia per motivi estetici che più propriamente ambientali, cioè
come sostenitori della biodiversità, con quello della sicurezza per il pericolo costituito dai possibili
schianti.
Un polmone verde alle porte di Verona
Il 28 febbraio 2005 il Consiglio Comunale ha istituito il Parco dell’Adige quale "area naturale protetta di
interesse locale", su una superficie comunale e demaniale di quasi 200 ettari. L'area del Parco
dell'Adige comprende la fascia fluviale a Nord e a Sud della città collegate da percorsi lungo il fiume:
dalla diga del Chievo alle aree del Boschetto, Giarol Grande, Bosco Buri. La zona adiacente a Corte
Molon è stata recentemente piantumata con siepi e alberature con diverse essenze vegetali che
assieme alla crescente fascia alberata di riva Adige andrà via via sempre più arricchendo in termini di
crescità di zone di rifugio alimentazione e riproduzione di molte specie animali.
I nostri conviventi
La relazione tra l’uomo e alcuni degli artropodi sinantropi è cominciata, con buona probabilità, ancora
prima della nascita dell’uomo moderno (Homo sapiens). Sicuramente i nostri antenati condividevano i
loro rifugi con mosche, zanzare, pulci, formiche e altri insetti in qualche modo legati a essi e alle loro
attività. La domesticazione ha poi aumentato il numero di artropodi che si sono venuti a stabilire negli
insediamenti umani; tra questi, zecche e altri acari e alcuni ditteri; la coltivazione di piante ornamentali
e l’utilizzo del legname per costruzioni o riscaldamento ha incrementato il numero di ragni, coleotteri,
emitteri e così via.
Una rapida scorsa all’elenco degli animali, prevalentemente artropodi, che, seppure non
esplicitamente invitati, possono essere presenti nelle nostre case, ci lascia immediatamente intuire il
numero elevato di piccoli ospiti che condividono la nostra vita familiare.
Per quanto asettici possano sembrare, i nostri appartamenti sono infatti formati da una moltitudine di
ambienti che offrono cibo e protezione ad insetti e altri artropodi. Di questi ignoriamo spesso la
presenza fino al momento in cui accendiamo la luce in cucina durante la notte incontrandovi una
blatta, prendiamo un libro polveroso dalla libreria lasciando senza casa un pesciolino d’argento o
alziamo gli occhi all’angolo del soffitto in camera da letto da cui pende un ragno.In questo capitolo
sono brevemente descritte le più comuni specie di insetti e di altri artropodi che frequentano le nostre
case. Per ovvi motivi di spazio sono state prese in considerazione solo le specie più comuni, diffuse e
che possiamo incontrare all’interno degli appartamenti, sono quindi escluse le specie che frequentano
poggioli, muri, sottotetti, cassoni di avvolgibili, grondaie e ambienti simili. La Thermobia domestica è
un grande tisanuro (lungo fino a 20 mm) appartenente allo stesso ordine di insetti (gli zigentomi) del
più conosciuto pesciolino d’argento (Lepisma saccharina). Di colore bruno con strisce trasversali più
chiare e appendici posteriori molto lunghe. Predilige gli ambienti caldi e sopporta bene anche
temperature elevate. Per questo motivo è piuttosto comune nelle cucine delle case, nelle panetterie e
nei ristoranti, vicino ai forni. È del tutto innocuo e non trasmette alcun agente patogeno per l’uomo e
gli animali da compagnia.Tra gli insetti più comuni nelle abitazioni si ricordano le blatte. Esse
appartengono a un ordine molto antico, i blattari, insetti dal corpo generalmente appiattito e con
lunghe antenne filiformi, abili corridori, di cui sono note circa 3500 specie diffuse soprattutto nelle aree
tropicali e subtropicali di tutto il mondo. Di queste, una decina si sono adattate all'ambiente antropico e
sono in grado di sfruttare i resti alimentari abbandonati e gradiscono il clima tendenzialmente caldo e
umido degli ambienti chiusi. A Verona sono frequenti la blatta nera (Blatta orientalis) e la blatta grigia
(Blattella germanica), entrambe, a dispetto del loro nome scientifico, di probabile origine africana
tropicale e subtropicale che, grazie agli scambi commerciali, sono oggi divenute cosmopolite. Oltre
che nelle abitazioni, entrambe le specie invadono spesso magazzini, bar, ristoranti, ospedali, navi e
persino aerei, con conseguenze gravi dal punto di vista igienico-sanitario, in quanto possono veicolare
funghi, virus, protozoi e batteri patogeni molto pericolosi per la salute dell'uomo e sono in grado di
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contaminare gli alimenti con i loro escrementi, che talora possono indurre allergie, e con sostanze di
odore sgradevole prodotte da particolari ghiandole. Nome dialettale: panaròto. I Dermestidi sono
piccoli coleotteri di forma ovale e colore scuro o bruno, talvolta con macchie più chiare sul dorso. Le
loro dimensioni vanno, a seconda delle specie, da 1 a 12 mm di lunghezza. In primavera gli adulti di
alcune specie possono trovarsi sui fiori, mentre le larve attaccano le derrate alimentari. Si nutrono di
resti animali e vegetali freschi o secchi. Dermestes lardarius, Attegenus pellio e Anthrenus verbasci ,
sono comuni nelle case in primavera e in estate. Sono insetti adattati alla vita in ambienti asciutti e
caldi, che si trovano dunque a loro agio nelle cucine, dove hanno anche a disposizione abbondanti
riserve di cibo. Le larve sono facilmente riconoscibili per i lunghi peli che ricoprono il corpo e che, in
alcuni casi, formano dei ciuffi posteriori. Nome dialettale: tàrma de la soménsa. Lo Sitophilus
granarius è un coleottero curculionide, chiamato comunemente punteruolo per la caratteristica testa
terminante in un rostro allungato con la bocca all’apice, tipica degli insetti di questa famiglia. Lungo da
2 a 5 mm, ha un colore che può variare dal rossastro al nero. Il corpo è di forma piuttosto allungata;
mancano le ali. La femmina depone le uova in un piccolo buco scavato in un chicco di grano, orzo o
mais. Questo insetto è dunque molto abbondante nei magazzini, ma non è raro incontrarlo nelle
dispense delle nostre cucine su pasta, riso o biscotti. Nome dialettale: pontiròl del forménto. Lo
Stegobium paniceum è un piccolo coleottero (2-4 mm) appartenente alla famiglia degli anobidi. Ha un
colore bruno-rossiccio ed è ricoperto da una fine peluria che, con il movimento dell'animale, produce
riflessi dorati. Si nutre principalmente di sostanze vegetali, è frequente quindi in estate nelle derrate
ma si può trovare anche su legno e carta. Gli adulti sono buoni volatori e sono attirati dalla luce
artificiale, è dunque possibile incontrarli anche lontano dalle loro fonti di cibo. Le larve sono bianche,
con zampe corte e testa bruno-rossiccia; sono molto attive e possono vivere anche una settimana
senza mangiare. Sul tabacco e nelle spezie si può trovare anche un altro anobide: Lasioderma
serricorne o tarma del tabacco. Si tratta di una specie leggermente più piccola e più chiara della
precedente, che si trova in ambienti simili, sebbene prediliga il tabacco. Il Tribolium castaneum è un
coleottero tenebrionide di piccole dimensioni (intorno ai 3 mm), stretto e allungato, con una serie di
striature sulle elitre. Di colore marrone-bruno. Si nutre preferibilmente di farina, ma non disdegna frutta
secca, cacao, cioccolata e semi vari. La mosca domestica (Musca domestica) è una specie
cosmopolita ed ubiquitaria. Si tratta forse dell'insetto più noto e diffuso al mondo, data la sua ampia
capacità di adattamento la sua elevata capacità moltiplicativa (una femmina è in grado di deporre 120150 uova ogni 2-4 giorni, fino a oltre duemila in una sola estate). Non si tratta solo di un animale
molesto e noioso, data la sua abitudine di volare continuamente sui cibi e sulle persone, ma anche di
un vettore di numerosi organismi patogeni come virus, spirochete ed altri batteri, protozoi, uova e
larve di vermi parassiti e altro ancora. La mosca si carica di questi germi frequentando e nutrendosi di
materiali organici in decomposizione, come escrementi, cadaveri, liquami, espettorati, immondizie,
ecc. Tutto questo rappresenta un ambiente molto gradito dall'adulto il quale, oltre a cercarvi il
nutrimento, depone lì le uova e vi si sviluppano brulicanti le larve. Tra le innumerevoli malattie che
questa specie può diffondere figurano la tubercolosi, la lebbra, il carbonchio, la peste, il colera, il tifo,
la poliomelite e molte altre ancora. Nella diffusione di queste malattie la mosca assume un ruolo che,
comunque, può variare molto. In molti casi il suo intervento è accidentale e facoltativo e dipende sia
dall'abbondanza dell'insetto, sia dall'incidenza della malattia. Una caratteristica della mosca domestica
è quella di rigurgitare e riassorbire più volte il cibo di cui si nutre, grazie al suo particolare apparato
boccale succhiatore e alla speciale costituzione dell'apparato digerente. Il rigurgito è rappresentato da
una gocciolina che si forma alla estremità dell'apparato boccale. Questa gocciolina spesso contiene i
microbi di cui si è già parlato e che l'insetto ha assunto alimentandosi. Nel corso delle soste che la
mosca compie tra un volo e l'altro, questa gocciolina può essere depositata sui nostri cibi, sulle
posate, sui bicchieri, sul nostro corpo. Gli stessi germi possono essere trasportati anche dalle
numerose setole che rivestono il corpo della mosca oppure possono essere depositati, ancora vitali,
insieme alle sue feci. Nome dialettale: mósca. Nelle case entrano sovente i mosconi dei generi
Calliphora e Sarcophaga, ditteri appartenenti rispettivamente alle famiglie dei calliforidi e dei
sarcofagidi, due gruppi che in Italia comprendono una sessantina di specie il primo e circa
centocinquanta il secondo. I rappresentanti di questi due generi sono collettivamente noti col nome di
“mosconi della carne”, per via delle abitudini alimentari delle larve. Si tratta di mosche di medie
dimensioni, il cui corpo degli adulti presenta in genere vivaci colori metallici, blu o verde brillante, e le
cui larve si sviluppano su sostanze organiche in decomposizione, in particolare carni macellate o
cadaveri. Eccezionalmente, le larve di alcune specie possono provocare miasi, cioè invadere tessuti
vivi, ferite, cavità naturali dell’uomo e di altri animali, comportandosi quindi come parassiti. Nome
dialettale: moscón celeste, moscón d’oro. La Drosophila costituisce un genere di piccoli ditteri, noti
come "moscerini dell'aceto", appartenenti ad una famiglia, i drosofilidi, che in Europa conta un
centinaio di specie, una quarantina delle quali è presente in Italia. In tutto il mondo, una ventina di
specie di questa famiglia è antropofila e alcune di esse sono presenti su tutti i continenti. Questi
moscerini infestano tipicamente le industrie della frutta, della marmellata, dell'aceto e della birra. In
casa, si possono vedere mentre volano sulla frutta matura o marcescente o vicino a bottiglie di vino o
di aceto lasciate aperte. Per l'eventualità che siano contaminati da organismi patogeni, per gli
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escrementi deposti o per i resti di individui morti, gli alimenti con cui questi insetti sono entrati in
contatto possono diventare disgustosi e perciò alcune specie hanno importanza economica e igienicosanitaria. Come vettori di lieviti, certe specie possono avere un ruolo nella produzione del vino. Gli
adulti infatti sono attratti da sostanze in fermentazione e su di esse depongono le uova; le larve si
nutrono di microrganismi che vivono su questi substrati. In Italia, nelle abitazioni sono molto comuni D.
fasciata, D. fenestrarum e D. funebris. I piccoli ditteri del genere Drosophila sono molto celebri poiché,
alcune specie (in particolare D. melanogaster), sono largamente impiegate in laboratorio, da quasi un
secolo, negli studi di genetica, essendo molto prolifiche e con ciclo biologico molto rapido. Nome
dialettale: mussolìn, mussolin de l’asédo, moscarìn. La Plodia e l’efestia sono insetti molto comuni
nelle case, in particolare nelle cucine, ma anche nelle industrie dolciarie e nei magazzini, sono la
plodia o tignola fasciata (Plodia interpunctella), una farfallina di 8-22 mm di apertura alare, così
chiamata per la peculiare banda più chiara che attraversa trasversalmente le sue ali anteriori, e le
efestia, Ephestia spp., genere di microlepidotteri che in Italia include cinque specie, di dimensioni
leggermente più grandi, anch'esse legate alle derrate, delle quali la più comune è E. kuehniella.
Appartenenti tutte alla famiglia delle piralidi, sono specie moderatamente termofile, con una buona
capacità di penetrazione anche negli imballaggi, oggi cosmopolite in quanto accidentalmente diffuse
da secoli con il commercio dei prodotti alimentari. Le larve, lunghe pochi millimetri, si nutrono di farine,
pasta, riso, uvetta, cereali, cacao, frutta secca e altri prodotti molto comuni nelle dispense delle nostre
abitazioni. Questi insetti hanno generalmente ridotte esigenze idriche e riescono a svilupparsi con
piccole quantità di cibo. Se questo scarseggia essi riescono comunque a concludere, benché più
lentamente, il loro ciclo biologico, come ad esempio nel caso di P. interpuntella. Nome dialettale:
bissòl (del bruco). La Formica delle zolle (Tetramorium caespitum), è la più comune formica delle
abitazioni italiane, deve il suo nome volgare alla capacità di costruire il nido anche in spazi molto
ristretti come appunto una zolla, un sasso o una crepa del muro. Ha dimensioni che variano da 2 a 3,5
mm e si nutre di molti dei nostri avanzi o dei nostri animali domestici, pur preferendo i cibi ricchi di
zuccheri. Sono particolarmente attive di notte e in primavera ed estate ma negli appartamenti
riscaldati possono essere presenti tutto l’anno. Nonostante le loro ridotte dimensioni, sono piuttosto
aggressive e spesso ingaggiano feroci battaglie tra nidi vicini per il possesso del territorio. Nome
dialettale: formiga. La Formica dei faraoni (Monomorium pharaonis), deve probabilmente il nome alla
credenza errata che fosse stata una delle piaghe d’Egitto, si ritiene originaria dell’Africa o
dell’Indonesia ed è oggi distribuita in tutto il mondo. Monomorium una delle formiche più comuni nelle
abitazioni, presenta una colorazione giallo-bruna e non supera i 2,5 mm di lunghezza. Costruisce i nidi
in zone caldo-umide della casa (27-30 °C all’interno del nido), talvolta nei vuoti dei muri, vicino alle
riserve di cibo. Ciascuna colonia può avere più di una regina. Il numero di formiche per ciascun nido
può variare da poche decine a migliaia di individui. Quando il loro numero diventa troppo elevato,
alcune operaie, con qualche uovo, delle larve e una o più regine, si spostano e vanno a formare una
nuova colonia poco distante. Sono sufficienti circa 40 giorni perché dall’uovo si sviluppi un’operaia di
questa specie. Per queste loro caratteristiche, è molto difficile eliminare stabilmente dalle abitazioni
queste piccole formiche. Nome dialettale: formiga. La formica nera (Lasius niger) è molto adattabile e
può nidificare in numerosi ambienti, tra questi prati, boschi, ambienti rocciosi; talvolta anche sui
balconi, o all’interno delle case. Non ha bisogno di spazi particolarmente ampi per il nido, per il quale
può infatti possono bastare anche un vaso di fiori o il riparo offerto da una pietra. Le operaie hanno
dimensioni comprese tra i 2 e i 4 mm di lunghezza e sono di colore nero o bruno scuro. Nei mesi
invernali rimangono spesso inattive all’interno dei nidi. Nei mesi estivi possono comparire grandi
sciami di maschi e regine alate. Si nutrono spesso delle secrezioni zuccherine degli afidi, che allevano
e proteggono come i pastori un gregge di pecore. Entrano nelle case alla ricerca di avanzi di cibo,
soprattutto nel caso di abitazioni di campagna. Nome dialettale: formiga, formigòto (degli esemplari
alati). Nei salotti, nei corridoi e in ambienti simili arrivano “casualmente” molti animali, attratti dalla luce
nelle calde serate estive, cercando in inverno la temperatura più elevata o inseguendo le loro prede,
siano esse altri artropodi, animali domestici o l’uomo. Le librerie sono invece un ambiente a parte, in
esse si annidano diverse specie attratte dalla carta, dalla polvere o addirittura dalla colla delle
rilegature dei libri.
Tra i numerosi invertebrati che possono parassitare i piccioni, la zecca dei piccioni (Argas reflexus) è
la specie che più facilmente può interagire con l’uomo, penetrando nelle case. Questa zecca molle
(cioè priva dello scudo chitinoso tipico delle altre zecche) è attiva soprattutto di notte, quando si nutre
del sangue dei piccioni nei nidi. Quando il numero delle zecche diventa particolarmente elevato e,
generalmente, nel caso di abbandono dei nidi da parte dei piccioni, questo parassita può invadere le
abitazioni nascondendosi nelle crepe dei muri, dietro i mobili e i quadri o dietro i battiscopa. È attiva
soprattutto nei mesi estivi e può rimanere molti anni senza nutrirsi. La sua resistenza e le tossine che
può introdurre con la puntura (provocando in alcuni casi lesioni eritemato-papulose, reazioni allergiche
e altro) possono creare seri problemi per la salute umana.
In diverse aree di Verona, frequentate da piccioni e poi bonificate, si sono verificati casi di infestazioni
di questa zecca.
Rapporto sullo stato dell’ambiente Anno 2010
Provincia di Verona
Scytodes thoracica, volgarmente detto ragno sputatore, appartenente alla famiglia degli scitodidi, vive
comunemente nelle case dove si ciba di pesciolini d’argento, moscerini e altri piccoli insetti. È attivo
soprattutto di notte e non esce frequentemente dai suoi nascondigli dietro i battiscopa, i libri, i mobili e
nelle crepe dei muri. Non raggiunge il centimetro di lunghezza ma, se si riesce a vederlo, è facilmente
identificabile per la sua caratteristica forma a otto determinata dalla parte anteriore del corpo
(prosoma) che è grande come la posteriore (opistosoma). Deve il nome alla particolare modalità di
cattura delle prede; immobilizza infatti gli insetti di cui si nutre sputando loro addosso una sostanza
collosa che li immobilizza. Può catturare le prede cacciando attivamente oppure, più frequentemente,
rimane immobile nel suo rifugio sporgendo con le zampe anteriori; quando la preda le sfiora, il ragno
lancia dai cheliceri uno spruzzo di colla che la ricopre immobilizzandola; a questo punto si avvicina
alla vittima inerme per iniettarle il veleno e quindi nutrirsene.
Lepisma saccharina, volgarmente nota come "pesciolino d'argento" per il colore delle squame che
rivestono il corpo, è un insetto dell'ordine degli zigentomi, animaletti di 10-15 mm di lunghezza, molto
primitivi, privi di ali, spesso assai longevi, di cui sono note al mondo circa 600 specie diffuse nelle aree
temperate e temperato-calde. Questa specie, la cui attività è prevalentemente notturna, è molto
frequente nelle case e negli edifici, dove si nutre soprattutto della carta, del cartone e della colla di cui
in particolare sono fatti i vecchi libri e altri documenti cartacei ai quali produce talora vistose corrosioni.
Si nutre anche di residui alimentari e altri detriti, che può trovare negli angoli meno disturbati delle
abitazioni, come dietro i mobili o sotto i vasi da fiori nelle terrazze e sui balconi, dove spesso ristagna
l'umidità, fattore che più di altri favorisce la sua presenza. Dal punto di vista igienico sanitario, il
pesciolino d’argento ha scarso interesse, in quanto non trasmette organismi patogeni e quindi
rappresentano solo un motivo di generale disturbo per l'uomo. Nome dialettale: argentìn, pesséto
d’argénto.
Sclerodermus domesticus è un piccolo imenottero dall’aspetto molto simile a quello di una formica ma
dotato di un robusto pungiglione. Raggiunge la lunghezza di 3-4 mm. La presenza nelle case di
questo animale è legata a quella dei tarli del legno, dei quali è parassita. Grazie alla sua forma
allungata, la femmina dello scleroderma riesce a infilarsi nelle gallerie scavate da questi nei mobili;
una volta raggiunti li punge, paralizzandoli e deponendovi sopra le sue uova. Il pungiglione può però
essere utilizzato anche contro l’ignaro essere umano che inavvertitamente schiacci l’imenottero
sedendosi sulla poltrona o sdraiandosi sul suo letto (di legno). Le punture sono molto dolorose e
difficilmente la causa viene identificata subito. Pungono prevalentemente nel periodo primaverileestivo. La profilassi più sensata è la disinfestazione dei mobili dai tarli.
I più diffusi tarli del legno, facilmente identificabili a causa della polvere di legno che compare alla
base dei mobili dopo il loro insediamento, sono coleotteri appartenenti alle famiglie degli anobidi,
come Anobium punctatum, dei lictidi, tra cui Lyctus brunneus, e dei cerambicidi, come Hylotrupes
bajulus.
Tutti questi insetti hanno in comune il fatto che le larve scavano lunghe gallerie nel legno del quale si
nutrono. Anobium punctatum è il tarlo più diffuso, grazie ai numerosi enzimi digestivi la larva riesce
infatti ad attaccare quasi tutti i tipi di legno. Poiché la femmina adulta inserisce le uova nelle fessure
del legno, i mobili trattati con vernici vetrificanti ne impediscono la deposizione. Lyctus brunneus
attacca preferibilmente i legni più morbidi. Depone 50-60 uova che schiudono dopo una settimana.
Hylotrupes bajulus, detto anche capricorno del legno, ha uno sviluppo larvale che va dai 3 agli 11
anni. Questo lo rende particolarmente pericoloso, poiché la sua presenza e i danni causati all’interno
del legno sono visibili dopo molto tempo. Nome dialettale: caròl.
La presenza di animali sinantropi nelle camere da letto è regolata principalmente da due fattori: la
presenza dell’uomo e dei suoi indumenti. Molti degli animali che incontriamo in questi ambienti sono
infatti parassiti dell’uomo in senso lato o si nutrono dei componenti dei suoi vestiti. Non mancano però
i predatori, che a loro volta si cibano degli artropodi che seguono l’uomo. Gli acari della polvere,
appartenenti soprattutto al genere Dermatophagoides, sono piccolissimi artropodi, difficilmente visibili
senza l’aiuto del microscopio. Prediligono gli ambienti caldo-umidi e non sopravvivono sopra i 2000
metri di quota. Si nutrono di forfora e di muffe microscopiche. Prediligono dunque i cuscini, le
imbottiture dei divani, la moquette e tutti gli ambienti in cui vi siano raccolte di polvere e temperature
non troppo basse. Non sopportano condizioni di umidità relativa al di sotto del 50%. Le feci di questi
minutissimi acari possono causare allergie respiratorie e riniti. Le specie più comuni in Italia sono
Dermatophagoides pteronyssinus e D. farinae.
Gli opilioni sono aracnidi abbastanza simili ai ragni, noti per le lunghe zampe che caratterizzano
alcune specie. Dai ragni si distinguono però per il corpo più o meno ovoidale e senza strozzatura tra la
parte anteriore e la posteriore (prosoma e opistosoma sono, cioè, fusi insieme). Sono inoltre privi di
filiere e, quindi, non capaci di produrre fili di seta e non posseggono ghiandole velenifere. Possono
vivere in ambienti naturali, come prati e boschi, ma alcune specie si trovano anche nelle abitazioni
cittadine. Spesso i piccoli si trovano nei prati mentre gli adulti si fanno vedere sulle rocce e sui muri
delle case tra luglio e dicembre. Opilio parietinus, il più comune opilione delle case, ha il dorso di
colore grigio-verde, ricoperto di tubercoli appuntiti neri. Il ventre è grigio, le zampe possono
Rapporto sullo stato dell’ambiente Anno 2010
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raggiungere i 50 mm di lunghezza. Sono presenti in Nord America, Europa, Nord Africa e Medio
Oriente. Nome dialettale: ragno saton.
Saitis barbipes è un piccolo ragno appartiene alla famiglia dei salticidi. Come indica il nome stesso,
questi animali sono in grado di compiere dei grandi salti per catturare la preda o per sfuggire a loro
volta ai predatori. Non utilizzano la classica tela ma cacciano ricercando attivamente la preda;
possiedono per questo una vista particolarmente acuta e hanno occhi enormi rispetto alle dimensioni
dell’animale. Saitis barbipes è la specie di salticidi più comune nelle nostre abitazioni. Di 4-5 mm di
lunghezza, si nutre di piccoli insetti, tra cui moscerini e altri ditteri.
Delle circa sessanta specie di zanzare presenti in Italia, Culex pipiens è la più comune. Si tratta di una
presenza costante nei nostri pensieri serali da giugno a ottobre. Il numero sempre crescente di
prodotti chimici e naturali che usiamo per tenerla lontana è la dimostrazione più evidente del difficile
rapporto che abbiamo con essa. Specie cosmopolita, la zanzara comune si distingue abbastanza
facilmente dalle altre poiché quando è posata, tiene il corpo orizzontale con i tarsi delle zampe
posteriori ripiegati verso l’alto. Mentre il maschio non si nutre e ha l'apparato boccale atrofizzato, la
femmina punge l'uomo e altri animali omeotermi, nutrendosi del sangue che le è indispensabile per la
produzione delle uova. È attiva principalmente al tramonto e, per localizzare le proprie prede, utilizza
dei sensori che le permettono di percepire la presenza di calore, l’emissione di CO2 e alcuni odori del
corpo. Di questo insetto, la cui distribuzione mondiale è vastissima, sono state recentemente
riconosciute due forme, una rurale, tendenzialmente legata agli uccelli (ornitofila), considerata la più
primitiva, e una antropofila, di origine più recente, particolarmente adattata agli ambienti antropizzati.
Le due forme non si riconoscono per caratteri morfo-anatomici bensì per particolarità della loro
biologia. Infatti, la forma antropofila è adattata alla vita in ambienti chiusi, spesso ipogei, essendo in
grado, ad esempio, di accoppiarsi in spazi ristretti o, la femmina, di maturare le uova della prima
generazione anche senza aver goduto di un pasto di sangue. Gli individui di questa forma, inoltre, non
effettuano la diapausa invernale, cioè sono attivi per tutto l'anno. Infine, mentre la forma ornitofila
utilizza per la deposizione delle uova acque limpide moderatamente fredde (fino a 18 °C), quella
antropofila è meno esigente, essendo capace di riprodursi in un'ampia gamma di raccolte d'acqua, in
particolare in quelle caratterizzate da elevato inquinamento organico, molto frequenti nelle aree
urbane. Gli ambienti dove più comunemente questa zanzara depone le uova sono quindi i tombini in
cui si raccoglie l'acqua piovana, le cisterne, le fontane, le vasche, i depuratori, i canali a cielo aperto,
le cantine allagate. Durante l'estate, il ciclo biologico di C. pipiens si completa in meno di due
settimane, dando luogo durante questa stagione a numerose generazioni. Nome dialettale: sansàra,
sginsala, sdinsala, sinsala.
I Chironomidi sono ditteri simili alle zanzare, dalle quali si riconoscono piuttosto facilmente per le
antenne, che nei maschi sono piumose e nelle femmine lunghe e filiformi, per le ali che non ricoprono
completamente l’addome, per la posizione a riposo con tutte le zampe che toccano la superficie su cui
sono posati e soprattutto perché non pungono. Devono il loro nome alla particolare abitudine degli
adulti che, quando sono posati, agitano le zampe anteriori allungate in avanti, ben oltre la testa. Nugoli
di questi insetti si possono osservare, nelle giornate primaverili, in volo sui ponti di Verona o sui muri
bianchi e sui vetri delle case in prossimità dell’Adige o di altre raccolte d’acqua. Le larve dei
chironomidi vivono infatti in acqua, dove quelle di molte specie si nutrono di vegetali e di detrito,
mentre altre sono predatrici. Gli adulti invece non si nutrono affatto e vivono solo pochi giorni.
Le pulci costituiscono un ordine di insetti a sviluppo indiretto, i sifonatteri, rappresentato in tutto il
mondo da circa 2500 specie, un centinaio delle quali è presente in Italia. Gli adulti sono parassiti
ematofagi di vertebrati a sangue caldo e sono caratterizzati da un corpo sprovvisto di ali, appiattito
lateralmente, con zampe adatte al salto. Le larve sono vermiformi, apode, conducono vita libera e si
nutrono di detriti organici. In Italia, nelle aree urbane e rurali sono frequenti cinque specie: Pulex
irritans, la pulce dell'uomo; Ctenocephalides canis, la pulce del cane; C. felis, la pulce del gatto;
Nosopsyllus fasciatus, principalmente legata ai roditori; Ceratophyllus gallinae, frequente sugli uccelli.
A dispetto dei loro nomi scientifici o volgari, l'ospite di queste specie non è mai specifico ma può
essere rappresentato da specie anche molto diverse, tra le quali, abitualmente o accidentalmente, è
incluso l'uomo. Tale caratteristica biologica, unitamente alla loro notevole mobilità, rende questi insetti
preoccupanti vettori di agenti patogeni per l'uomo e gli animali, ad esempio il virus della mixomatosi,
malattia infettiva letale dei conigli selvatici e domestici, Yersinia pestis, il batterio che provoca la peste
bubbonica, Rickettia mooseri, che causa il tifo murino, o possono fungere da ospiti intermedi di altri
parassiti, come i cestodi dei generi Dipylidium e Hymenolepis. Nome dialettale: pòlse, pulso.
Nei bagni che sono ovviamente gli ambienti più umidi delle abitazioni, le mattonelle dietro lavandini,
bidet e water offrono ottimo riparo per diverse specie come gli psicodidi che sono una famiglia di ditteri
con larve vermiformi, lunghe pochi millimetri, e adulti di colore grigiastro e ali tondeggianti, anch’essi
molto piccoli (lunghezza 1-4 mm). Gli adulti hanno corpo e ali fittamente rivestiti di lunghe setole e
squame e, perciò, superficialmente somiglianti a microscopiche farfalle. Si tratta di insetti che vivono
in un’ampia gamma di ambienti, le cui larve possono svilupparsi in acque ferme o correnti, dolci o
salmastre, nel terreno umido, nelle stalle, nei letamai, nelle latrine, nelle strutture fognarie, nelle
cantine, nelle crepature dei muri, dove si nutrono di detriti organici, e i cui adulti, generalmente ad
Rapporto sullo stato dell’ambiente Anno 2010
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attività notturna o crepuscolare, frequentano luoghi umidi, zone paludose, abitazioni, dove si nutrono
di sostanze organiche in fermentazione, linfa vegetale, sangue di vertebrati. In particolare si ricorda il
genere Psychoda, molto diffuso, di cui la specie probabilmente più frequente è Psychoda alternata, ad
ampia distribuzione mondiale. Generalmente innocui, tali ditteri possono talvolta provocare reazioni
allergiche. Degli psicodidi fa parte anche un altro gruppo, quello dei flebotomi, di cui alcuni
rappresentanti si trovano nelle aree rurali ma anche nelle periferie delle città. Gli adulti di questi insetti,
in particolare le femmine, hanno apparato boccale pungente-succhiatore e si nutrono del sangue di
vertebrati tra cui l'uomo. Meglio noti come pappataci, i flebotomi devono il loro nome popolare,
composto da pappa, imperativo di pappare, mangiare, e taci, imperativo di tacere, al volo silenzioso e
alle punture che infliggono per nutrirsi. Mangia in silenzio, quindi. Diversamente dagli psicodini, i
pappataci hanno grande importanza igienico-sanitaria perchè possono trasmettere all’uomo e agli
animali domestici protozoi del genere Leishmania e virus che inducono gravi malattie come, ad
esempio, la leishmaniosi viscerale e cutanea e la cosiddetta "febbre dei tre giorni" o "febbre da
pappataci", di origine virale. La specie più diffusa e di maggiore importanza sanitaria in Italia è
Phlebotomus perniciosus.Nome dialettale: moschéta, papatàsi.
Sulla zanzara tigre (Aedes albopictus), si possono trovare notizie nel capitolo dedicato alle specie
alloctone.
La Scutigera coleoptrata è un centopiedi dell'ordine degli scutigeromorfi, gruppo rappresentato da un
centinaio di specie diffuse soprattutto nelle aree tropicali, subtropicali e temperate di tutto il mondo. La
scutigera, volgarmente chiamata anche “fortuna”, è un animale notturno che vive cacciando una
grande varietà di artropodi, in particolare ditteri, pesciolini d'argento, falene, blatte, termiti, ragni, api,
vespe e altri ancora. Il corpo è lungo 25-30 mm ma, se si includono le zampe e le antenne, arriva fino
a 150 mm. Grazie alle lunghe zampe dotate di spine, che utilizza non solo per inseguire e cacciare le
prede ma anche per trattenerle e consumarle una alla volta, raggiunge velocità tra le maggiori
misurate tra gli artropodi. Essa è diffusa in tutto il bacino mediterraneo, dove generalmente vive negli
ambienti aperti aridi e semiaridi e nelle pietraie e dove spesso è presente anche nelle aree urbane.
Questa specie è anche presente in Italia settentrionale e, più a nord, in Europa centrale e
settentrionale, dove però si trova quasi esclusivamente all’interno delle abitazioni. Nome dialettale:
sentogambe, fortuna.
Le cantine sono forse i luoghi dei palazzi cittadini più simili agli ambienti naturali, in particolare quelli
sotterranei, per la mancanza di luce, le limitate variazioni di temperatura e l’elevata umidità. Il disturbo
dell’uomo è piuttosto ridotto e le alterazioni dovute alle pulizie domestiche sono minime. Nelle cantine
possiamo trovare una parte degli animali che spesso frequentano le cavità naturali, così come animali
adattati a climi freschi e umidi come gli scorpioni. In Italia sono attualmente conosciute otto specie di
scorpioni appartenenti al genere Euscorpius e una del genere Buthus (quest’ultima però limitata al
confine italo-francese o a casuali introduzioni). Le specie del genere Euscorpius sono tutte di
dimensioni piuttosto ridotte (la specie più grande raggiunge i 50-60 mm di lunghezza), di colore bruno
rossiccio o nero e non sono particolarmente pericolose per l’uomo (mortali solo in caso di shock
anafilattico o allergia). Sono predatori notturni di altri invertebrati. Piuttosto schivi, non amano la
presenza dell’uomo che pungono solo se afferrati o schiacciati con mani o piedi nudi. Amano i luoghi
umidi e scuri e, in ambiente urbano, alcuni rappresentanti si possono incontrare anche in cantine e
sotterranei. A Verona le specie più frequenti sono Euscorpius italicus, specie ampiamente diffusa in
tutta Italia ed Europa, e Euscorpius alpha, recentemente riconosciuta come specie diversa da E.
germanus, specie molto simile ma geneticamente differente.
La Tegenaria domestica è un ragno di dimensioni relativamente grandi: il corpo della femmina
raggiunge i 10 mm, mentre il maschio arriva a 8-9 mm. Nonostante il suo aspetto, questa specie
morde l'uomo molto difficilmente e il suo veleno non è tossico per noi. Costruisce tele piatte terminanti
con una sorta di imbuto dove dimora; quando una preda incappa nella tela, il ragno balza fuori del suo
nascondiglio per immobilizzarla. È attivo soprattutto di notte e si può incontrare durante tutto l’anno.
Frequentano di preferenza cantine e soffitte.
La Gryllomorpha dalmatina è un ortottero grillide diffuso in Europa meridionale, Nord Africa e Medio
Oriente. In Italia, è presente in tutte le regioni escluse quelle nord-occidentali. Di colore giallastro,
lungo un paio di centimetri, è privo di ali e perciò non vola e non emette suoni, diversamente da altri
grilli che “cantano” sfregando le ali tra loro. È un insetto lucifugo, notturno e onnivoro. Nel nostro
Paese è frequente nelle grotte, nelle cavità artificiali, nonché nelle case, dove frequenta soprattutto le
cantine e gli androni dei palazzi. È un animale del tutto innocuo che, se disturbato, fugge rapidamente
a grandi salti. Nome dialettale: grijo bianco. Rapporto sullo stato dell’ambiente Anno 2010
Provincia di Verona
La Blaps mucronata è un coleottero della famiglia dei tenebrionidi si trova con
una certa frequenza nelle cantine delle abitazioni, talvolta insieme a individui di
altre specie dello stesso genere. Si nutre di detriti di origine vegetale in
decomposizione, di muffe e di altre sostanze di origine animale e vegetale. Si
può incontrare anche nei garage e nelle legnaie. Non è vettore di alcun agente
patogeno e non arreca particolare disturbo all’uomo. Nome dialettale: panaròto,
panaròto de le càneve.
Rapporto sullo stato dell’ambiente Anno 2010
LA FLORA DEL MONTE BALDO
Provincia di Verona
Rapporto sullo stato dell’ambiente Anno 2010
Provincia di Verona
Premessa
Nel precedente rapporto sullo stato dell’ambiente del 2006 abbiamo riportato notizie riguardanti la
flora di due aree protette della provincia di Verona, l’una posta alle pendici del Monte Baldo (riserva
integrale Lastoni Selva Pezzi) e l’altra comprendente le colline moreniche del Lago di Garda.
Una recente pubblicazione (dicembre 2009) curata dai ricercatori del Museo Civico di Rovereto
(Filippo Prosser, Alessio Bertolli e Francesco Festi) e dal titolo: “Flora illustrata del Monte Baldo”,
rappresenta, a detta degli autori, il primo tentativo di comprendere una descrizione e la relativa
immagine, di tutte le piante vascolari del Monte Baldo.
Si riportano di seguito solo alcune delle numerosissime informazioni e foto di fiori che il monumentale
lavoro dei botanici del museo di Rovereto ha prodotto.
Foto: Dactylorhiza sambucina (L) (N. Giarola)
Dati ed elaborazioni
I dati sono stati raccolti dai ricercatori del Museo di Rovereto, in gran parte secondo la metodologia
della cartografia floristica medioeuropea (Ehrendorfer & Hammann, 1965). I campionamenti sono stati
effettuati per mezzo di una lista di rilevamento prestampata, su cui sono state evidenziate tutte le
specie osservate lungo ciascuna escursione in un dato quadrante. I dati sono stati raccolti tra il 1991 e
il 2008 e quindi inseriti nel programma di gestione della cartografia floristica del Trentino (Prosser &
Festi, 1993).
Rapporto sullo stato dell’ambiente Anno 2010
Provincia di Verona
Sulla base di questo progetto l’area indagata è stata suddivisa in quadranti, che coincidono con gli
elementi della cartografia tecnica provinciale alla scala 1:10.000. Il numero totale di dati di campagna
utilizzati per le mappe è di 141.574. Oltre ai dati di campagna sono stati considerati anche i dati
storici, tratti da fonti bibliograficiche e d’erbario. Analizzando il numero di specie identificate per ogni
quadrante indagato è emerso che in rapporto ad analoghe elaborazioni effettuate per il Parco Naturale
Adamello Brenta (Festi & Prosser, 2008) e per il Parco Naturale Paneveggio Pale di San Martino
(Festi & Prosser, 2000) si nota che il Monte Baldo presenta in genere un numero di taxa per
quadrante nettamente più elevato. Ciò è dovuto in buona misura ad un consistente numero di specie a
gravitazione mediterranea che non raggiungono i suddetti territori. Rispetto ai quadranti della pianura
veronese, che a stento raggiungono le 400 specie, la ricchezza floristica risulta essere all’incirca tripla.
Il maggior numero di entità è presentato dal quadrante Ischia/Ferrara di Monte Baldo con ben 1193
taxa, nonostante una consistente porzione del quadrante (26,4%) ricada al di fuori della zona di
studio. Ciò è dovuto alla grande variabilità ambientale di quest’area e al fatto che si tratta di un
territorio ben esplorato.
Foto: Lilium martagon L. (Giglio martagone) (N. Giarola)
Inquadramento geografico e ambientale
Il Monte Baldo. si situa tra la fossa tettonica del Lago di Garda e la Valle Lagarina con il fiume Adige.
In direzione sud-sud-ovest, nord-nord-est il rilievo si allunga partendo da Caprino fino alla Valle di
Loppio per 38 Km e con una superficie di circa 390 Kmq elevandosi dai 65 mslm del lago di Garda
fino ai 2218 di Cima Valdritta. La bocca di Navene (1425 m) separa il M. Baldo in due parti. La parte
meridionale comprende cima Valdritta e quella settentrionale il Monte Altissimo di Nago(2079 m). Gli
oltre 2100 m di dislivello tra la zona basale e le vette, consentono di passare dalla fascia termofila
submediterranea fino al clima tipicamente alpino.
L’area comprende 15 comuni di cui 6 ricadenti in provincia di Trento e 9 (58% del territorio
complessivo) rappresentati dal Comune di Caprino V.se, Brenzone, San Zeno di Montagna, Ferrara di
Monte Baldo, Brentino Belluno, Torri del Benaco, Costermano, Garda e Rivoli V.se in quella di
Verona.
Le formazioni rocciose testimoniano i diversi intervalli di circa 200 milioni di anni che si sono
succeduti. Il monte Baldo è formato per lo più da rocce sedimentare, in particolare calcare e dolomie
formatesi tra il Triassico e l'Oligocene nel mar della Tetide che allora ricopriva questa zona.
L'innalzamento della catena iniziò 40 milioni di anni fa, nell'ambito dell'orogenesi alpina. Si possono
trovare anche sporadici affioramenti di basalti e tufi. Col tempo gli agenti atmosferici hanno eroso le
cime creando le forme attuali. Il versante occidentale dell'anticlinale maggiore presenta la
Rapporto sullo stato dell’ambiente Anno 2010
Provincia di Verona
stratificazione delle rocce a franapoggio cioè disposte inclinate verso il lago, mentre il versante
orientale dello stesso presenta la testata degli strati, spezzati e interrotti da faglie. Nella Val Dritta,
vallata del versante occidentale dell'omonima cima, sono presenti tipiche rocce eruttive
Foto: Genziana verna (L) (Genziana primaverile) (N. Giarola)
Cenni storici sull’esplorazione floristica
Il capostipite degli esploratori botanici del Monte Baldo è unanimemente considerato Francesco
Calzolari (1522-1609) con la sua opera: “Il Viaggio di Monte Baldo della magnifica città di Verona”. In
quest’epoca la conoscenza del mondo vegetale era vista in un’ottica utilitaristica, legata soprattutto
all’uso medicinale delle piante. Il Viaggio del Monte Baldo di Calzolari è di fatto una guida botanicoescursionistica ante litteram.
Calzolari ebbe un ruolo fondamentale nella “rinascenza” della botanica, fornendo dati e piante nuove
ai colleghi affermati nel campo della scienza nomenclatoria, a volte anche in modo disinteressato,
cooperando al progresso del sapere, tanto da essere gratificato dallo stesso Linneo quando scelse il
nome Calceolaria per un genere di piante tropicali dalla forma di scarpetta.
Già alla fine del 1600 sul Monte Baldo erano note oltre 230 entità. Per gli altri massicci montuosi
europei una conoscenza floristica paragonabile si è avuta solo due secoli più tardi. Ciò rende il Monte
Baldo una delle montagne più importanti dal punto di vista storico-botanico.
Si rimanda alle esaustive notizie contenute nel volume “Flora illustrata del Monte Baldo” che delinea
accuratamente la storia dell’esplorazione botanica del famoso rilievo dal Calzolai ai giorni nostri.
Numero di specie floristiche
Il numero totale dei taxa censiti dai ricercatori del Museo di Rovereto all’interno del territorio assomma
a 2131. Le schede riportate nel volume “Flora illustrata del Monte Baldo” sono 1952 e si riferiscono
alle entità spontanee e alle entità casuali relativamente ben insediate. In allegato vengono menzionate
anche le entità casuali avventizie non insediate e quelle dubbie o errate. Il totale di taxa confermati dai
rilevamenti recenti assomma a 1982 (1703 in Trentino, 1830 in provincia di Verona) di cui 1792
spontanei o spontaneizzati e 190 casuali. In riferimento al totale 150 risultano non autoctoni in Italia e
103 entità non autoctone per il Monte Baldo.
La parte veronese presenta sia una diversità floristica più elevata, sia un maggior numero di taxa
casuali (152) rispetto alla porzione trentina perché nel complesso è caratterizzata da un territorio più
ampio, più diversificato e più soggetto ad impatto antropico.
Rapporto sullo stato dell’ambiente Anno 2010
Provincia di Verona
Foto: Lilium bulbiferum L. (Giglio di San Giovanni) (N. Giarola)
I 149 taxa non confermati (in relazione ai dati storici) in qualche caso possono essere estinti, in
qualche altro non sono stati semplicemente rinvenuti oppure la segnalazione antica potrebbe essere
stata errata. Tra le specie estinte si contano ben 93 entità la cui estinzione è verosimilmente da
ricondurre all’alterazione e alla distruzione dell’ambiente di crescita. E’ stato calcolato che nella fascia
tra il Lago di Garda e i 500m di quota si concentrano circa l’80% delle specie non confermate.
Foto: Crocus vernus (L.) (Zafferano alpino) (N. Giarola)
In questa zona maggiori sono stati i cambiamenti a livello del suolo e gli impatti legati
all’urbanizzazione e alle bonifiche. Sulla base di questi dati i ricercatori sono giunti alla conclusione
che i cambiamenti climatici, almeno fino ad oggi, non hanno determinato l’estinzione di specie di quote
più elevate.
Specie delle liste rosse
Nell’ambito di un progetto di cartografia floristica della provincia di Verona, è stata redatta una lista
rossa della flora della provincia di Verona in cui le specie baldensi rappresentano circa il 90% del
totale. Il numero di specie di lista rossa per la provincia di Verona, è nettamente superiore (494)
Rapporto sullo stato dell’ambiente Anno 2010
Provincia di Verona
rispetto ala porzione trentina (291) , sia per la presenza di numerose entità assai termofile di bassa
quota minacciate dall’espansione di attività antropiche incompatibili con la loro sopravvivenza, sia per
il fatto che il Monte Baldo costituisce per la provincia di Verona l’unico territorio di crescita per molte
entità di montagna rare. Minore è invece l’importanza che assume in questo senso il massiccio
baldense per la provincia di Trento, ricca di zone montuose. Nel volume “Flora illustrata del Monte
Baldo” è riportato l’intero elenco delle specie floristiche incluse nella lista rossa con i diversi gradi di
minaccia d’estinzione.
Foto: Leucoium vernum L. (Campanellino di primavera) (N. Giarola)
Nell’area compresa tra Prada, La Colma di Malcesine e il Ventrar sono presenti varie specie rarissime
in provincia di Verona (Cypripedium calceolus, Callianthemum kerneranum, Draba dubia), diverse
entità legate ad ambienti particolarmente minacciati, quali prati sfalciati e pascoli estensivi (Erigerum
alpinus). La zona di Capo San Vigilio ospita invece soprattutto entità legate ai prati e agli incolti aridi
che si stanno rimboschendo o sono fortemente minacciati dalla speculazione edilizia (Helianthemum
salicifolium, Trigonella monspeliaca e Potentilla brauneana). Tra Albisano e Torri del Benaco grazie
alla zona umida di Valmagra si trovano le specie più minacciate non solo del Monte Baldo ma di tutto
il nord-est Italia (Orchis laxiflora e Anagallis tenella)
Specie in direttiva habitat
Quindici specie flogrstiche sono state inserite negli allegati 2, 4 e 5 della Direttiva 92/43/CEE “Habitat”.
In allegato 2 alla direttiva sono inserite le specie animali e vegetali d’interesse comunitario la cui
conservazione richiede la designazione di zone speciali di conservazione (Adenophora lilifolia,
Cypripedium calceolus, Gypsophila papillosa, Gladiolus palustris, Himantoglossum adriaticum,
Saxifraga tombeanensis). Gypsophila papillosa risulta la specie più importante a livello comunitario in
quanto contrassegnata con asterisco che significa trattarsi di una specie prioritaria. Si tratta di una
pianta appartenente alla famiglia delle Caryophyllacee considerata un endemismo puntiforme di
eccezionale interesse fitogeografico (Bianchini, 1986) rinvenibile solo nell’area di Garda, Costermano
e Marciaga. Nell’allegato 4 sono inserite le specie animali e vegetali d’interesse comunitario che
richiedono una protezione rigorosa (Physoplexis comosa, Primula spectabilis, Spiranthes aestivalis).
Nell’allegato 5 sono inserite le specie animali e vegetali d’interesse comunitario il cui prelievo in natura
e il cui sfruttamento potrebbero formare oggetto di misure di gestione (Arnica montana, Galanthus
nivalis, Genziana lutea subsp. Vardjanii, Lycopodium annotinum, Lycopodium clavatum, Ruscus
aculeatus).
Rapporto sullo stato dell’ambiente Anno 2010
Provincia di Verona
Foto: Cypripedium calceolus L. (Scarpetta di Venere) (N. Giarola)
Specie endemiche
Si tratta di un gruppo particolarmente importante di specie poiché la loro distribuzione interessa
territori limitati. In sostanza si tratta delle specie il cui areale è limitato esclusivamente alle Alpi
(endemiche) o che si trovano solo in limitatissime stazioni al di fuori di esse (subendemiche). Sono
stati conteggiati 71 taxa endemici di cui 62 nella parte veronese. Tra le entità esclusive del Monte
Baldo assumono particolare significato Brassica repans subsp. baldensis, Callianthemum kerneranum
e Gypsophila papillosa. Il massiccio baldense è quindi giustamente ritenuto un importante centro
dell’elemento endemico prealpino, anche se è stato in parte ridimensionato dalle ricerche effettuate
nelle catene prealpine subito a ovest del Lago di Garda, come ad esempio nella catena TremalzoTombea al confine tra la provincia di Brescia e il Trentino (Bianchini, 1986; Prosser, 1999).
Spettro corologico
Le diverse categorie considerate si rifanno alla codifica semplificata proposta dal Pignatti (1982), Si
contano più specie mediterranee nella parte veronese rispetto alla trentina e viceversa le specie
boreali sono maggiormente diffuse in provincia di Trento. Significativo è l’aumento delle entità ad alta
distribuzione, sintomo di disturbo antropico, nel Monte Baldo veronese. L’elemento endemico si
concentra nelle zone rupestri, soprattutto nelle vette più alte del Monte Baldo che non furono
completamente coperte dalle lingue glaciali e dalle nevi perenni durante i periodi di glaciazione.
L’elemento steno-mediterraneo raggiunge valori massimi in corrispondenza di Capo San Vigilio con
17 entità. Questa zona è fra le aree che risentono maggiormente sia dell’influsso mitigatore del Lago
di Garda, sia dell’esposizione a mezzogiorno. Mentre l’elemento euri-mediterraneo segue l’andamento
del precedente ma sale maggiormente in quota. L’elemento mediterraneo montano evita le vette più
elevate e rocciose e si localizza con un numero limitato di specie sul Monte Altissimo e su alcuni rilievi
secondari. Le specie eurasiatiche appaiono più frequenti nelle fasce collinari e montane e cala
progressivamente verso le parti sommitali. L’elemento atlantico segue l’andamento di quello
eurimediterraneo. Si distribuisce nelle zone più calde e si smorza verso le aree di quota maggiore.
L’elemento orofita sud-europeo è simile a quello delle endemiche con valori massimi in
corrispondenza delle vette più alte. L’elemento boreale è costituito per lo più da entità gravitanti in
brughiere e zone torbose e presenta la maggior diffusione tra Bocca del Creer e il M. Altissimo.
Nell’elemento ad alta distribuzione sono incluse molte specie indice di disturbo antropico come in Val
d’Adige e Caprino e costa gardesana.
Rapporto sullo stato dell’ambiente Anno 2010
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Foto: Aquilegia atrata W. D.J. Koch (Aquilegia scura) (N. Giarola)
Spettro biologico
Le variazioni più consistenti si hanno con le terofite (piante annuali), tipicamente legate agli ambienti
più caldi e disturbati. Il maggior numero è concentrato a Capo san Vigilio con 146 terofite. Le idrofite
(piante acquatiche) presentano i valori massimi sulla costa gardesana, lungo il fiume Adige e in pozze
d’alpeggio. Le poche elofite (piante di palude) presenti sono state ricondotte a forme biologiche affini.
Le neofite (piante perenni con gemme sotterranee), includono specie ad ecologia varia e non sono
molto significative. Le cametofite (piante legnose con gemme a 20-30 cm dal terreno) presenta i valori
più elevati in alcune zone aride semicespugliate di bassa quota e in alcune zone rupestri di alta quota.
Le nano-fanerofite (arbusti di piccole dimensioni ma con gemme a più di 20-30 cm dal terreno) se
confrontate con le fanerofite (alberi e arbusti di grandi dimensioni) dimostrano che mentre gli arbusti
riescono a colonizzare anche le zone più elevate del M. Baldo, le specie legnose di taglia elevata si
distribuiscono soprattutto nelle zone di quota inferiore.
Foto: Primula vulgaris Huds. (Primula comune) (N. Giarola)
Rapporto sullo stato dell’ambiente Anno 2010
Provincia di Verona
Indici ecologici
Sono stati utilizzati gli indici secondo Ellenberg et al. (2001), che hanno riguardato i parametri
luminosità, temperatura, continentalità, umidità, reazione del suolo e azoto del suolo. I valori e le
mappe di questi indici sono riportati in modo completo nel testo “Flora illustrata del Monte Baldo”. Il
lavoro riporta anche considerazioni sulle specie rilevate come casuali e sulle illustrazioni che
accompagnano ogni singola specie.
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SPECIE ALIENE
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Rapporto sullo stato dell’ambiente Anno 2010
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Premessa
L’introduzione, accidentale o deliberata, di organismi vegetali e animali provenienti da altre aree,
costituisce una notevole minaccia per la conservazione delle comunità biologiche autoctone ed il
fenomeno è particolarmente intenso nei centri urbani.
Nel precedente rapporto sullo stato dell’ambiente, anno 2008, sono state discusse le problematiche
relative alla presenza sempre più diffusa di specie alloctone. In questa seconda parte si vuole
approfondire il tema affrontando casi concreti di specie alloctone invasive e delle problematiche che la
loro presenza comporta alla popolazione, agli animali e vegetali e più in generale all’ambiente.
La nuova arrivata: La zanzara tigre
Notevoli disagi alla cittadinanza sono arrecati dalla zanzara Aedes albopictus, nota come zanzara
tigre, specie del sud-est asiatico, giunta in Italia negli anni Novanta del XX secolo. La presenza del
fastidioso insetto si rivela solo un attimo prima della puntura, con un breve ronzio smorzato, molto
diverso dal lieve strombettio della comune zanzara notturna, la Culex pipiens. Le larve di questa
zanzara si sviluppano solo in piccole raccolte d’acqua e le uova non vengono deposte direttamente in
acqua ma poco sopra la superficie e schiudono solo se il livello dell’acqua aumenta. La presenza di
zanzare è stata monitorata a Verona già a partire dall’estate del 1996, per mezzo di ovitrappole
costituite da vasi neri (il nero attira la zanzara tigre) riempiti d’acqua, in cui è stata immersa
verticalmente per tre quarti della sua lunghezza un’astina di legno ruvido sulla quale la zanzara tigre
depone le uova. La sostituzione settimanale dell’astina e il suo esame allo stereo-microscopio, alla
ricerca delle uova, ha permesso di scoprire la presenza di questa specie di zanzara. Il conteggio
settimanale delle uova deposte ha consentito di stimare l’andamento della popolazione nel tempo. Di
ovitrappole nella zona attorno a Ponte Catena ne furono collocate una cinquantina e il loro esame
regolare permise di disegnare una prima mappa dell’infestazione, orientando l’esplorazione diretta del
territorio alla ricerca dei focolai larvali. Questa esplorazione portò alla scoperta del focolaio primario
dell’infestazione della zona: un vasto deposito di mezzi militari dimessi, con accumuli di rottami,
pneumatici e altro, il tutto esposto agli agenti atmosferici. Fu bonificato subito l’ambiente, eliminando il
deposito e spianando con le ruspe il terreno. Nel frattempo la zanzara tigre si era però insediata
stabilmente nella zona circostante utilizzando tutte le piccole raccolte d’acqua a disposizione
rappresentate principalmente dai tombini della rete fognaria. Tali piccole raccolte d’acqua vengono
chiamate focolai larvali. Le zanzare adulte, vale a dire le alate, trovano invece condizioni ideali di vita
nelle zone ombrose in prossimità dei focolai larvali. Qui, dopo l’accoppiamento, nascoste nella
vegetazione, le femmine fecondate attendono il momento opportuno per pungere l’uomo, altri
mammiferi o uccelli.
Dal punto di vista sanitario, malgrado Aedes albopictus sia una specie in grado di trasmette arbovirus,
come quello della dengue, (gli arbovirus sono virus trasmessi agli uomini da artropodi e il termine
deriva dall’acronimo arthropod-borne viruses) il rischio che ciò accada nel nostro paese è per il
momento trascurabile. Il ruolo vettore di Aedes albopictus, si esplica solo nella trasmissione di filarie
come Dirofilaria immitis e D. repens, agenti eziologici delle filariosi canine. L’aspetto più importante dal
punto di vista sanitario dell’azione di questa zanzara, è rappresentato dall’enorme fastidio causato
dalle sue punture. I suoi attacchi vengono portati di giorno, prevalentemente all’aperto e talvolta sono
così intensi da costringere le persone aggredite ad abbandonare attività lavorative o ricreative. Le
punture provocano spesso ponfi dolorosi e se portate contemporaneamente da più zanzare, possono
dare origine a reazioni allergiche in soggetti particolarmente sensibili. Le persone più colpite sono i
bambini e gli anziani.
Il metodo di lotta efficace e meno dannoso per l’ambiente per il controllo delle popolazioni di questa
specie è costituito dal trattamento dei focolai con sostanze larvicide (lotta antilarvale). Tale metodo
permette infatti di trattare solo ambienti confinati, precedentemente individuati e mappati. La lotta
adulticida è invece necessariamente effettuata in ambienti aperti, dove vivono l’uomo e molte altre
specie. Essa risulta quindi molto meno rispettosa della salute e dell’ambiente.
La disinfezione dei focolai stabili in area pubblica, i tombini stradali, risolve solo una parte del
problema, perché restano fuori dal trattamento tutti i i focolai privati, molto più vari e numerosi. Focolai
stabili sono ad esempio i tombini o le vasche dei giardini. Focolai rimuovibili sono i recipienti comuni
nei giardini, come annaffiatoi, sottovasi, secchi ecc. E’ estremamente difficile far comprendere ai
cittadini che l’infestazione si alimenta principalmente a causa dei numerosi focolai presenti e la
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zanzara ha avuto via libera alla sua diffusione. Nel corso dell’estate 1997 l’infestazione andò
espandendosi e ad oggi le aree più colpite sono quelle periferiche o subperiferiche della città. Le
persone vengono punte per strada perché l’insetto si limita a volare basso e non entra ai piani alti
delle case, inoltre trattandosi di specie che vive prevalentemente in ambienti esterni la sua presenza
egli edifici è limitata ai garage e ai piani bassi.
Lago di Garda e fiume Mincio
Tra le specie alloctone facenti ormai parte delle acque del Garda e del Mincio troviamo una specie
appartenente al genere di invertebrati di maggiori dimensioni: il gambero.
Il gambero della Louisiana (Procambarus clarkii), il gambero americano (Orconectes limosus) e il
gambero turco (Astacus leptodactylus) sono quelli che da più tempo ci sono familiari e hanno avuto
rapida espansione anche nelle acque italiane.
Il gambero americano è stato segnalato presente nelle acque del Tione e del Menago già nel 1994
(Confortini & Natali). La sua comparsa è probabilmente stata dovuta ad una fuoriuscita da impianti di
piscicoltura, oppure conseguente ad immissioni di pesci di provenienza estera a scopo di pesca
sportiva.
Anche le acque del lago di Garda e del Mincio ospitano gamberi di origine alloctona.
Nel corso di campagne di controllo della qualità delle acque del fiume Mincio svolte in prossimità di
Peschiera del Garda e di Borghetto, abbiamo frequentemente rinvenuto gamberi di nuova
introduzione che fino a pochi anni fa non facevano parte della fauna di queste acque. La loro
presenza causa l'indebolimento degli argini per la presenza di tane ma i danni maggiori sono sul
profilo biologico: il gambero si è insediato rapidamente, grazie alla sua voracità e all'eccezionale
capacità di riproduzione e adattamento. ll gambero mangia i girini di rane e rospi e la diminuzione di
questi anfibi porta a un aumento del numero degli insetti, soprattutto zanzare.
Una recente breve indagine svolta presso Lazise ha rivelato che nella fascia costiera delle acque
gardesane la presenza del gambero è una costante. Nell’arco di poche decine di minuti su una
superficie di circa 2500 m2 sono stati conteggiati una ventina di esemplari. Per il rinvenimento
degli animali è stata utilizzata semplice attrezzatura da apnea, con immersioni effettuate
a pochi metri di profondità cercando i gamberi sotto le pietre del fondale. Questi crostacei
durante le ore del giorno permangono per lo più rintanati sotto i sassi ma nelle ore
notturne sono attivi, voraci predatori.
Nelle acque del territorio italiano sono state segnalate, oltre a quelle sopra citate anche altre specie di
gambero; fra queste si ricordano: Astacus astacus (gambero europeo), Orconectes spp, Pacifastacus
leinuluscus, Cherax spp.
L’introduzione di questi organismi ha causato l’insorgenza di parassitosi e di agenti patogeni
ed in particolare la peste dei gamberi introdotta dai gamberi di origine americana ha causato la
diminuzione delle popolazioni autoctone di gambero (Austrapotamobius pallipes).
Utilizzando una guida al riconoscimento dei gamberi d’acqua dolce della Regione Emilia Romagna
(David Mazzoni - Francesca Gherardi - Paolo Ferrarini guida al riconoscimento dei gamberi d’acqua
dolce) abbiamo appreso che alcune specie manifestano una serie di proprietà biologiche (per
esempio, elevata fecondità, plasticità fenotipica e alta variabilità genetica), ecologiche (per esempio,
politrofismo e resistenza a condizioni ambientali estreme) ed etologiche (elevata competitività e rapida
dispersione), che le rendono potenzialmente invasive. Sono quindi specie che possono minacciare la
stabilità ecologica delle aree di eventuale neo-introduzione.
I gamberi sono i più grandi invertebrati viventi in acqua dolce. Astacopsis gouldi della Tasmania è la
specie che raggiunge le dimensioni maggiori, superando i quattro chilogrammi di peso. A causa della
loro importanza ecologica, molte specie sono definite “specie chiave”, in quanto una loro rimozione
dall’ambiente può causare modifiche, spesso irreversibili, nella catena trofica. Sono onnivori, anche se
spesso selettivi, ma gli stadi giovanili e alcune specie si comportano prevalentemente da predatori.
Alcune specie possono essere definite “bioingegneri”, a causa dell’elevato impatto esercitato
sull’ambiente fisico provocato dalla loro intensa attività di scavo. Per esempio, Fallicambarus
devastator del Texas può costruire fino a 61.000 tane per ettaro. Alcune specie hanno una vita breve,
ma sono dotate di elevata fecondità, fino a produrre oltre 500 uova per covata; crescono rapidamente
e possono raggiungere la maturità sessuale dopo un solo anno di vita. In altre specie la maturità
sessuale viene raggiunta a due o più anni e la durata di vita è relativamente lunga, fino a un massimo
di 15 anni di età.
Una caratteristica peculiare della biologia dei gamberi d’acqua dolce è lo sviluppo diretto, cioè il fatto
che alla schiusa delle uova non si liberano larve, come nella maggior parte degli altri decapodi, ma
adulti in miniatura che per i primi due (Astacidae) o tre (Cambaridae e Parastacidae) stadi rimangono
attaccati all’addome della madre. Proprio la mancanza di stadi larvali planctonici rende i gamberi
relativamente facili da allevare, se confrontati con aragoste e peneidi. Abbiamo potuto constatare
Rapporto sullo stato dell’ambiente Anno 2010
Provincia di Verona
direttamente ciò tenendo un esemplare di gambero rinvenuto a Sirmione. L’animale si trovava sulla
spiaggia a pochi metri dalle acque del lago di Garda e ciò probabilmente a causa del violento
temporale delle ore precedenti. Abbiamo tenuto per qualche settimana il crostaceo in un acquario
osservando che non solo l’animale si nutriva ma deponeva sul fondo diverse decine di uova.
L’animale quindi ha raccolto le uova dal fondo dell’acquario e le ha “agganciate” alla zona addominale,
fatto ciò per diversi giorni ha provveduto all’ossigenazione degli embrioni muovendo continuamente le
“pinne” (pleopodi) dell’addome. Alcune delle uova sono schiuse e sono stati osservati piccolissimi
gamberi del tutto simili all’adulto.
Sono al momento descritte oltre 540 specie di gamberi, la maggior parte delle quali è presente in Nord
America e in Australia. L’Europa presenta un numero di specie limitato, con un totale di sei specie
indigene appartenenti alla famiglia degli Astacidae e a due generi (Astacus e Austropotamobius):
Astacus astacus, Astacus leptodactylus,Astacus pachypus, Austropotamobius pallipes,
Austropotamobius torrentium e, se verrà confermato, Austropotamobius berndhauseri.
L’applicazione delle recenti tecniche di biologia molecolare ha condotto a nuove importanti scoperte.
In primo luogo, si è visto che in parte l’attuale distribuzione delle specie indigene in Europa è il
risultato dell’azione di traslocazione operata dall’uomo. L’importanza della caratterizzazione genetica
di queste specie indigene è rilevante anche per le ricadute che ne possono derivare sul piano
gestionale. L’immissione di una data specie o sottospecie in zone diverse da quelle di origine può
infatti comportare la perdita, a lungo termine, dell’identità genetica delle diverse unità evolutive e, a
breve termine, il fallimento degli interventi e lo spreco di risorse economiche.
Con l’ausilio della guida abbiamo provato ad analizzare gli esemplari di gambero rinvenuti nel Garda
allo scopo di individuare di quale specie di gambero si trattasse tra le sei possibili specie descritte
nella guida.
Le caratteristiche morfologiche su cui si basa la chiave di riconoscimento riguardano il rostro, il
carapace e le chele.
ROSTRO. Nel rostro i bordi possono essere paralleli o divergenti; può inoltre essere presente una
cresta mediana liscia o dentellata.
CARAPACE. Le creste post-orbitali possono essere presenti nel carapace in numero di una o due
paia.
CHELE. Le caratteristiche importanti da osservare sono due:
- presenza o meno di una spina sul carpo;
- margine interno liscio e regolare oppure irregolare con denti e tubercoli.
Scheda descrittiva
La chiave di riconoscimento è organizzata come un percorso con doppia possibilità di scelta per ogni
caratteristica morfologica considerata. Partendo dalla presenza o meno della spina sul carpo dei
chelipedi si sceglie la direzione che corrisponde alla descrizione del soggetto che si sta osservando.
Rapporto sullo stato dell’ambiente Anno 2010
Provincia di Verona
In questo modo siamo agevolmente risaliti all’identificazione della specie.Si tratta del gambero
americano (Orconectes limosus) identificato per la presenza di una spina sul carpo dei chelipedi.
GAMBERO AMERICANO
Orconectes limosus (Rafinesque, 1817)
Famiglia: Cambaridae.
Nomi comuni: Gambero americano (It), Striped crayfish, American river crayfish (Ing), Kamberkrebs
(Ger), Ecrevisse américaine (Fr), Cangrejo de río americano (Spa).
Distribuzione. Il Gambero americano è originario della costa est degli Stati Uniti. Introdotto in Europa
alla fine del 1800, si è diffuso in gran parte del continente (Polonia, Russia, Francia e Germania). In
Italia è stato introdotto accidentalmente con l’importazione di stock di pesci contenenti gamberi vivi da
altri Paesi europei. È stato segnalato in diverse regioni del Centro-Nord (Lazio, Emilia-Romagna,
Piemonte e Lombardia).
Habitat e comportamento. Il Gambero americano colonizza corsi d’acqua a lento scorrimento, laghi
e stagni, anche con acqua di qualità scadente o inquinata. Preferisce fondi melmosi ma si adatta
anche a fondi di ghiaia e ciottoli. Pare essere resistente alla peste del gambero e per questo è un
potenziale diffusore della malattia. Si tratta di una specie molto aggressiva ed attiva. Se catturato
assume un atteggiamento caratteristico con l’addome ripiegato e le chele distese fino a toccare la
punta del telson. Caratteristico è anche l’accoppiamento prolungato.
Rapporto sullo stato dell’ambiente Anno 2010
Provincia di Verona
Colore. Verde oliva con caratteristiche macchie bruno rossastre di forma quasi triangolare sulla zona
dorsale dell’addome.
Taglia. Si tratta di un gambero di piccole dimensioni. La lunghezza totale media varia tra i sei ed i
nove cm con punte massime di 11 cm.
CARATTERISTICHE MORFOLOGICHE
Rostro. I bordi del rostro sono quasi paralleli. L’apice è liscio senza cresta mediana e i denti evidenti.
Carapace. Il carapace è contraddistinto da un paio di creste post-orbitali. La regione antero-laterale
presenta una spina prominente e due-tre spine più piccole.
Chele. Il lato interno del carpo ha una spina prominente e ricurva; la punta delle chele è ncinata e con
bande nere e arancione, il margine interno è regolare e liscio.
Addome e telson. L’addome si caratterizza per le tipiche bande bruno-rossastre sulla parte dorsale.
GAMBERO DI FIUME
Austropotamobius pallipes (Lereboullet, 1858)
Famiglia: Astacidae.
Nomi comuni: Gambero di fiume (It), White-clawed crayfish (Ing), Dohlenkrebs (Ger), Ecrevisse à
pattes blanches (Fr), Cangrejo de río (Spa).
Distribuzione. Specie tipica dell’Europa occidentale, il Gambero di fiume è in rarefazione in tutto il suo
areale distributivo. In Italia è presente come sottospecie Austropotamobius pallipes italicus (Faxon,
1984) in tutto il territorio nazionale, ad esclusione della Puglia e delle isole. Ricordiamo comunque che
è in corso una profonda revisione della tassonomia di questa specie.
Habitat e comportamento. Il tipico habitat del Gambero di fiume è rappresentato dalle acque correnti,
limpide, fresche e ben ossigenate. Colonizza preferibilmente torrenti con fondali duri ricoperti di limo,
ma si adatta anche a fondali fangosi e ad ambienti lacustri.
Non sopporta a lungo temperature superiori ai 24-25°C. Predilige acque dure ricche di carbonati di
calcio. Si tratta di una specie con abitudini notturne, essenzialmente zoofaga, ma può assumere in
caso di necessità anche detriti e vegetali. Il periodo riproduttivo va dal tardo autunno (fecondazione)
alla fine della primavera (schiusa delle uova). È una specie assai sensibile all’inquinamento ed alla
peste del gambero.
Colore. Il colore è variabile da bruno a bruno-verdastro, più chiaro ventralmente.
Taglia. La lunghezza totale media è di circa 10-12 cm.
Siamo stati recentemente di notte nel progno di Fumane. Quel torrente ci ricorda un’avventura di una
serata di tanti anni fa (più di quaranta) quando da bambini ci siamo dedicati con successo, privi di
coscienza ecologica, alla raccolta del gambero di fiume che a quel tempo popolava le acque del
progno. Questa volta però, non siamo riusciti a trovare nessun gambero.