Declinazioni socio-culturali dell’ecologia per un approccio integrato DECLINAZIONI SOCIO-CULTURALI DELL’ECOLOGIA PER UN APPROCCIO INTEGRATO di Marco Fratoni* Non ce ne rendiamo più conto, ma la natura ci fa vivere, è parte essenziale del quotidiano che ci circonda: energia, cibo, acqua e sostentamento di ogni essere vivente vengono da Madre Natura, anche se la nostra società, così complessa e articolata, sta considerando scienza ecologica e scienza sociale due materie i cui confini stanno diventando sempre più labili. L’evoluzione ha richiesto sviluppo economico a scapito degli ecosistemi e dell’ambiente, e da pochi decenni si sta rivolgendo lo sguardo alle tematiche dello sviluppo sostenibile. Nel trattato è esposto esaurientemente un viaggio attraverso il pensiero ecologico: partendo dalla definizione di social ecology, si teorizza sull’ecofemminismo, l’ecosocialismo marxiano, fino ad arrivare alla disciplina dell’ecologia umana d’ispirazione darwinista. Quanto la cultura ha influenzato “l’idea ecologica”? We do not even consider any longer that nature keeps us alive, that it is an essential part of what generally surrounds us everyday: energy, food, water and any nourishment for living beings come fro Mother Nature, even if our society, so complex and articulate, considers ecology and sociology two subjects often entwining. Evolution asked for an economic development to the detriment of ecosystems and environment, and now since few decades we are paying attention to sustainable development. In this treatise a journey is exhaustively traced through the ecological thought: starting from a definition of social ecology, it theorizes about eco-feminism, marxian eco-socialism up to human ecology derived from Darwin’s theories. I mmersi nella vita quotidiana è difficile rendersi conto di quanto la nostra esistenza dipenda dalla natura e dagli straordinari servizi che i sistemi naturali ci offrono gratuitamente: l’aria che respiriamo o l’acqua che beviamo, ciò che mangiamo e i prodotti che utilizziamo ogni giorno. La natura garantisce con l’energia che proviene dal sole e l’utilizzo di elementi chimici fondamentali la produzione della materia organica che consente a tutta la vita di esistere e di evolversi, di diversificarsi. I * Commissario Capo Forestale, dottore magistrale in Scienze Politiche (2003) e in Scienze Sociali (2009) SILVÆ - Anno V n. 11 - 209 Declinazioni socio-culturali dell’ecologia per un approccio integrato sistemi naturali del nostro pianeta sono in grado di auto-rinnovarsi e di generare la vita, per questa capacità sono stati definiti life-support systems1. Oggi che tutta la cultura scientifica è in una situazione di ebollizione, i confini disciplinari risultano sempre più labili, la percezione della nostra incapacità di comprensione della realtà è sempre più elevata. La consapevolezza che la natura non si possa capire con semplici relazioni di causa ed effetto è ormai consolidata. Gli stessi concetti centrali della nostra conoscenza sono ben lungi dall’avere una chiara comprensione: regna pervasivamente un diffuso senso di incertezza2. L’ecologia, fondata a partire da chiari confini disciplinari, è scienza complessa ed intrigante. Nutrita dalle straordinarie novità concettuali ed operative di discipline diverse ed innovative, la moderna scienza ecologica cerca di tracciare mappe utili e praticabili affinché le nostre società possano vivere in armonia con i sistemi naturali. Chiarendo gli obiettivi fissati e i metodi osservati, si cercherà, in questo breve approfondimento, di battere la via semplice, ma ambiziosa, che porta alla verificazione di una posizione ecologica alternativa, testandone legittimità e opportunità predittiva. Il futuro delle nostre relazioni con il mondo naturale sembra infatti dipendere dalla capacità di sensibilizzazione, consapevolezza e cultura, e andrà concretandosi in una effettiva integrazione dei sistemi naturali con quelli socio-economici da esperirsi per il tramite privilegiato di approcci innovativi, transdisciplinari e aperti. Ma cominciamo dal partecipare alcune riflessioni. E.P. Odum asserisce, senza chiosare, che “l’ecologia è diventata sempre più una disciplina integrata che associa scienze naturali e sociali”3. È evidente che l’ecologia mantenga una forte e fondamentale radice nelle scienze naturali, ma non è più esclusivamente un soggetto biologico. L’ecologia storicamente considerata una hard science perché ricorre alla strumentazione concettuale della matematica, della fisica, della chimica, etc…, veste con sempre maggiore assiduità i panni di una soft science, complici le interferenze del comportamento umano con la struttura e la funzione degli ecosistemi. “L’ecologia come integrazione di scienze naturali e sociali ha un tremendo potenziale applicativo di interesse per l’uomo, dato che situazioni del mondo reale, quasi sempre coinvolgono componenti delle scienze naturali e sociali, economiche e politiche. Ciascuno 1 2 3 Odum E.P., Principi di ecologia, Piccin, 1973 e Odum H.T., Environment, Power and Society, Wiley Interscience, 1971 Giddens A., Modernità, ecologia e trasformazione ecologica, in P. Ceri (a cura di), Ecologia politica, Feltrinelli, 1987 Odum E.P., Basi di Ecologia, Piccin, 1988 210 - SILVÆ - Anno V n. 11 Declinazioni socio-culturali dell’ecologia per un approccio integrato di questi due gruppi di componenti non può essere trattato separatamente se si vogliono trovare soluzioni definitive a problemi di importanza critica”4. Proprio la necessità di comprendere sempre meglio l’oggetto della scienza ecologica ha rafforzato le ricerche relative alle interrelazioni tra sistemi naturali e sistemi umani. Comprendere la storia delle relazioni tra la specie umana e la natura richiede uno sforzo di integrazione di differenti prospettive, teorie e strumenti di numerose discipline nell’ambito delle scienze naturali, sociali ed umanistiche. Tutte le ricerche sostenute da uno straordinario sforzo di connessione tra conoscenze, culture e pratiche, sono chiamate a fornire chiavi interpretative della realtà e proposte di azione più adeguate. Del resto si vive simultaneamente l’ambiente naturale, la società (ambiente sociale o milieu), il sistema economico nel quale operare. Questi aspetti della vita vengono troppo spesso trattati come se fossero tra di loro separati. I confini sono invece sfumati anche se apparentemente possono sembrare netti, le connessioni esistenti sono molteplici. Le risposte della politica e del mondo del mercato, alle sfide che la modernità ci impone, sono ancora dominate da una visione settoriale e non integrata della realtà. Come ricorda Edgar Morin “l’intelligenza parcellizzata, compartimentata, meccanicistica, disgiuntiva, riduzionistica, rompe il complesso del mondo in frammenti disgiunti, fraziona i problemi, separa ciò che è legato, unidimensionalizza il multidimensionale”5. La questione affrontata ci obbliga ad un diverso ragionamento, interdisciplinare e multicriterico, più cosciente e consapevole. La realtà è in continuo mutamento (in fieri). La verità dei fatti cambia al variare di chi la osserva e la vive (da uno scienziato in laboratorio ad un politico, da un giornalista ad un operaio, da un pigmeo della foresta africana ad un business man americano), vista, operata e considerata in tanti modi e sempre adottando modalità differenti. L’esempio più chiaro dell’impossibilità di isolare il discorso ambientale dalle sue implicazioni sociali è dato dall’approccio della social ecology. Sin dagli anni sessanta l’americano Murray Bookchin, che della social ecology è l’esponente più noto e vilipeso, analizza la crisi ambientale alla luce delle dinamiche ideologiche, storiche e politiche della società occidentale6. Proprio in quanto ecologia, la social ecology predilige una visione organica della società. Tra la comunità e gli individui 4 5 6 ibidem Morin E. e Kern A.B., Terra-Patria, Raffaello Cortina Editore, 1994 (n.d.r.) L’opera che sintetizza il pensiero di quegli anni è Our Synthetic Environment del 1962 mai pubblicato in Italia. SILVÆ - Anno V n. 11 - 211 Declinazioni socio-culturali dell’ecologia per un approccio integrato sussiste una relazione olistica: entrambi appartengono ad un unico insieme, e i loro processi devono essere considerati come forme di uno sviluppo interdipendente. Se da un lato, cioè, sono gli individui a creare la società, dall’altro è anche la società (come luogo in cui si consolidano e condividono valori, immagini, linguaggi, pratiche, modelli economici e politici) e creare gli individui. È in questo, dice Bookchin, che la società è una seconda natura per l’uomo: una natura non meno autentica della prima e da cui l’uomo non si allontana mai. Come l’ambiente per l’ecologia, dunque così la società è per l’ecologia sociale un territorio di relazioni. Sebbene possano essere rinvenute alcune ascendenze comuni, il punto di vista di Bookchin non coincide interamente né col marxismo né con l’anarchismo. La sua ecology of freedom serve piuttosto a mettere in luce che la prima e fondamentale forma di libertà per Bookchin non è tanto l’assenza materiale di costrizioni, quanto la consapevolezza che al dominio dell’umanità sulla natura va sostituito l’idea di una interdipendenza, strutturale e funzionale. Questa presa di coscienza rappresenta una nuova forma di umanesimo o se si preferisce di nuovo illuminismo ecologico, “un passaggio dal cielo alla terra, (…), dalle divinità alla gente”7. Quale integrazione? Evoluzione della scienza ecologica Come osserva il professor Fulvio Beato “l’ordine di problemi qui segnalato come centrale si genera da un interrogativo tanto semplice quanto radicale: quale sapere per l’ambiente? Quale sapere, con riferimento alla nostra problematica, relativo alla rete di relazioni che si stabiliscono tra sistemi sociali e sistemi ambientali naturali ed artificiali, tra biosfera, tecno sfera e socio sfera? Si tratta di un interrogativo cruciale tanto sul piano della costruzione dei quadri di riferimento teorico per l’insieme delle scienze umano-sociali quanto sul piano del trasferimento delle conoscenze acquisite nella formulazione di politiche pubbliche fondate sull’informazione scientifica e sulla partecipazione sociale”8. La matrice eminentemente sociale di un siffatto stato di cose rimane quella individuata da Jean Piaget nel saggio sui Problèmes généraux de la recherche interdisciplinaire et mécanismes communs (1970). Con riferimento alla scienze umane e sociali, egli poneva, accanto agli ostacoli logici ed epistemologici, la tragique répartition dell’assetto istituzionale degli insegnamenti universitari. 7 8 Bookchin M., L’ecologia della libertà, Eleuthera, 1986 Beato F., Rischio e mutamento ambientale globale, Franco Angeli, 1998 212 - SILVÆ - Anno V n. 11 Declinazioni socio-culturali dell’ecologia per un approccio integrato D’altro canto, che una vasta gamma di forze - politiche, amministrative, scientifiche, professionali e culturali - sia di fatto in concertazione “contro tentativi anche cauti di affermare la dimensione interdisciplinare, o, almeno, la più perseguibile logica della multidisciplinarietà, costituisce ormai un dato accertato”9. E tuttavia le barriere e le difficoltà che si frappongono alle forme plurime di negoziazione dei diversi orientamenti disciplinari nello studio dei sistemi uomo-ambiente, non debbono produrre come esito, pena la segmentazione di ciò che è nell’essenza globale ed interconnesso, la rinuncia all’arginamento della atomizzazione dei problemi o un ripiegamento sulla semplice riorganizzazione del sistema delle conoscenze acquisiste. La questione ecologica, nella sue caustiche implicazioni, va affrontata attraverso un approccio disciplinare multipolare. La parola ecologia deriva dal greco oikos, che significa casa (ovvero posto per vivere), e logos, che significa discorso. L’ecologia è, quindi, lo studio della vita nella casa con particolare riguardo a tutte le relazioni (o ai modelli di relazione) tra gli organismi ed il loro ambiente. Si deve attribuire a Ernest Haeckel, biologo tedesco di convinta fede darwiniana, in Generelle Morphologie der Organismen (1866), la primagenia del termine: “il corpus di conoscenze riguardanti l’economia della natura10: l’indagine di tutte le relazioni dell’animale sia con il suo ambiente organico sia con il suo ambiente inorganico; (…); l’ecologia è lo studio di tutte le interrelazioni complesse che Darwin chiamò condizioni della lotta per l’esistenza”. Anche se, giustamente, fanno notare gli storici, l’idea di ecologia nasce molto prima del suo nome. Per Donald Worster è quella di Darwin “la figura più importante nella storia dell’ecologia”11; per l’ecologo Charles Krebs: “egli è il giusto padrino della scienza dell’ecologia perché ha riconosciuto le intricate connessioni tra l’ecologia e l’evoluzione”12. Con Haeckel nasce ufficialmente la prima fase del pensiero scientifico ecologico (c.d. dell’ecologia ambientale). La scienza ecologica abbandona l’antica immagine del mondo basata sulla metafora di una natura materna ed accogliente (il grande organismo) e sull’immediata corrispondenza tra macrocosmo (natura) e microcosmo (essere umano), e cede il passo alla visione riduzionistica e meccanicistica accreditandosi come moderna scienza, in grado di tradurre in modelli matematici e 9 ibidem 10 (n.d.r.) Con la locuzione economia della natura C. Darwin nella sua opera principale Sull’origine della specie (1859) intende sostenere che tutta la natura si presenta come un sistema ordinato, ben regolato, di interazioni fra piante e animali e tra essi e il loro ambiente. 11 Worster D., Storia delle idee ecologiche, Il Mulino, 1994 12 Krebs C.J., Ecology, Benjamin Cummings, 2001 SILVÆ - Anno V n. 11 - 213 Declinazioni socio-culturali dell’ecologia per un approccio integrato equazioni fisiche la complessità del mondo vivente e delle sue relazioni con l’ambiente. Con l’ipotesi Gaia di James Lovelock ha inizio la seconda stagione dell’ecologia (c.d. ecologia globale). Nel 1979 la Oxford University Press pubblica Gaia. A New Look at Life on Earth, primo lavoro di James Lovelock, scienziato indipendente. L’ipotesi sostenuta è molto stimolante: l’intera biosfera viene presentata come una entità autoregolata, in grado di mantenere vitale il nostro pianeta mediante il controllo dell’ambiente chimico e fisico. Ricorda Wolfang Sachs che “l’apparizione del volto della terra colpì tutti; (…); l’improvvisa consapevolezza dell’unicità della terra ha consentito l’emergere di una nuova emozione e la prima osservazione del globo come unicum ha rappresentato un salto nella storia dell’autopercezione dell’umanità13”. È grazie al contributo, romantico ancorché speculativo, dell’ipotesi Gaia, che la scienza ecologica di stampo riduzionistico mette le ali e realizza un gap qualitativo, riconosce l’emergente necessità di aprirsi verso orizzonti disciplinari alteri, cerca il confronto aperto con le scienze umane trovandovi la giusta via per reinterpretare la complessità del reale. La moderna ecologia di secondo corso, anche detta ecofilosofia, si sviluppa sue due direttrici ermeneutiche complementari: da un lato un più classico approccio scientista di tipo riduzionista, dall’altro una prospettiva precipuamente olistica. La proposta scientista risente dell’influenza dell’ecologia scientifica tradizionale. Adotta ancora uno sguardo troppo meccanicistico nei confronti della natura, che, una volta reificata, viene ridotta a mera res extensa, costretta nella sola dimensione quantitativa. Il mantenimento di siffatte basic assumptions comporta l’impossibilità di scorgere il necessario retroterra analitico capace di elevare a statuto filosofico le accreditate elaborazioni scientiste. Non mancano contributi brillanti e significativi. Ma il modello scientista rimane imbrigliato nelle maglie della fallacia naturalistica, non riuscendo a superare l’impasse fra essere e dover essere. Fra questi indirizzi la ricordata ipotesi Gaia e il c.d. biologismo sociale. Quella sociobiologica è una prospettiva, ancorchè relativamente attuale, pure ancorata alle dottrine di C. Darwin e H. Spencer. Per il suo più noto esponente, l’americano E.O. Wilson14, la sociobiologia è lo studio sistematico delle basi biologiche di tutte le forme di comportamento sociale in tutte le specie di organismi, compreso l’uomo. Aggres13 Sachs W., Ambiente e giustizia sociale, Editori Riuniti, 2002 14 (n.d.r.) Si ricordi tra le sue opere Sociobiology: the new synthesis, 1975, Harward University Press, 25th Anniversary Edition, 2000. 214 - SILVÆ - Anno V n. 11 Declinazioni socio-culturali dell’ecologia per un approccio integrato sività, comportamento sessuale, interazioni, rapporti parentali o semplicemente di parentela, rapporti di genere, etc…, sono tutti argomenti cari alla sociobiologia ma sui quali l’arena scientifica tende a dividersi. Lo stretto parallelismo instaurato tra comportamenti umani e comportamento animale conduce spesso i sociobiologi a perdere di vista le qualità distintive della specie umana rispetto a quella animale. Al di là delle polemiche che di frequente riesce a sollevare, la sociobiologia si afferma più per ciò che rivela sulla vita degli animali, che per quanto dimostra a proposito del comportamento umano. E infatti sono riusciti a dimostrare che alcune specie animali sono molto più socievoli di quanto si ritenesse in precedenza e che i gruppi animali hanno una considerevole influenza sul comportamento dei loro membri15. In buona sostanza nessuno può negare la presenza di una base biologica al comportamento sociale ma, deve riconoscersi che, tale ipostasi biologica non compare mai allo stato puro. La sociobiologia tende a configurare se stessa come autonoma rispetto al mondo culturale, sociale, politico, economico16. Rectius il comportamento biologicamente fondato va inteso sempre come mediato culturalmente. L’uomo è ovviamente condizionato biologicamente ma le società umane si specificano storicamente in modi che non sono direttamente determinati dall’essere biologico dell’uomo: ogni condizionamento biologico appare mediato socialmente, non è mai immediato17. Nel panorama nostrano, recentemente, è Mariachiara Tallachini18 a ribadire che, fin dai suoi albori, l’ecologia è portatrice di due anime espressioni di una doppia natura, una olistica e l’altra riduzionistica, ammonendo che lo stesso Arne Naess fosse solito distinguere l’ecologia come scienza dall’ecologia come sistema filosofico. Ed infatti, il quid pluris offerto dall’ecologia globale di seconda generazione (c.d. ecofilosofia) risiede tutto nella sua dimensione olistica19. L’olismo ecofilosofico trova la sua più alta espressione nel pensiero e nelle opere del ricordato filosofo norvegese Arne Naess, studioso di Spinoza e di positivismo logico, docente all’Università di Oslo. Nell’estate del 1973 la rivista Inquiry pubblica un articolo breve ma per certi versi rivoluzio15 F. Crespi, Il pensiero sociologico, Il Mulino, 2006. 16 (n.d.r.) Si osservi come lo stesso Wilson quando cerca di indicare qualche conseguenza delle determinanti biologiche nel concreto comportamento umano è costretto ad usare il condizionale: il suo programma di ricerca sociobiologico si arresta, non può andare oltre l’ipotetico. 17 A. Izzo, Storia del pensiero sociologico, Il Mulino, 2003. 18 Tallachini M. (a cura di), Etiche della terra. Antologia di filosofia dell’ambiente, Vita e Pensiero, 1998 19 (n.d.r.) Il termine olismo è stato coniato nel 1926 dall’uomo politico sudafricano Jan C. Smuts per indicare la tendenza generale della natura a raggruppare ordinatamente in ogni settore e fase della realtà, unità strutturali in complessi dotati di proprietà qualitativamente nuove rispetto alle componenti (si veda in merito La Vergata A., Filosofia e biologia, in Rossi P. (a cura di), La filosofia volume II. La filosofia e le scienze, Garzanti, 1996). SILVÆ - Anno V n. 11 - 215 Declinazioni socio-culturali dell’ecologia per un approccio integrato nario dal titolo The Shallow and the Deep, Long-Range Ecology Movement. La contrapposizione tra superficiale (shallow) e profondo (deep) è funzionale allo scopo di distinguere un approccio ambientalistico (c.d. ecologia di superficie) da un approccio ecologico (c.d. ecologia profonda): il primo caratterizzato da un atteggiamento di tutela paternalistica della natura, prevalentemente concepita come risorsa per l’uomo (assimilabile alle posizioni antropocentriche e, in qualche misura, biocentriche20), il secondo animato dall’idea di una identificazione con l’ambiente naturale, riconosciuto come portatore di un intrinseco valore (attestato su posizioni ecocentriche). La deep ecology di cui parla Naess non è soltanto la disciplina a cavallo tra scienza naturale e filosofia della natura nomenclata da Haeckel un secolo prima. Traguardando le posizioni etiche dell’ambiente secondo cui la tradizionale immagine dell’imperialismo umano sulla natura deponeva in favore di un modello orizzontale aperto alla considerazione di una responsabilità verso i soggetti non umani, la deep ecology si spinge ancora oltre. Essa non mira solo a edificare una nuova cultura dell’ambiente, ma avanza una vera e propria visione ecologica del mondo. Ridisegnare la cornice complessiva del rapporto uomo-natura e imparare a vedere questo rapporto in una ottica unitaria e non più dualistica diventano, quindi, il progetto di questa corrente di pensiero. Più di un’etica strictu sensu, essa si rivolge a vari aspetti della vita sociale e individuale, proponendosi come completa rivisitazione di abitudini mentali e stili di vita. Per quanto ridotto qui ai suoi termini generici è questo il modello ecocentrico, polemico e innovativo, della deep ecology. All’idea di una realtà composta da elementi individuali, si preferisce l’ipotesi di una realtà costruita su una rete relazionale. Ciò significa sostituire il classico paradigma individualistico con un fresco, generale modello olistico. Nell’affermare e realizzare un cambio di paradigma la deep ecology si propone non solo come approccio filosofico, ma anche come sistema cognitivo, etico e sociale. Il richiamo all’olismo, così vivo all’interno dell’environmental debate, ben rappresenta il segno della necessità di una visione a tutto campo, in cui il rapporto tra uomo e natura non viene posto più in termini dicotomici, ma di complementarietà e co-appartenenza. L’uomo e la natura possono essere concettualmente separati, devono riconoscersi in un unico orizzonte di riferimento. Tutto quanto nella realtà si discosti da questa ideale contiguità e continuità deve essere sottoposto ad una analisi critica sistematica. Anche la società occidentale, con il suo ordine gerarchico, con la sua divisione in classi, diventa un 20 (n.d.r.) Si veda per un ulteriore approfondimento Pagano P., Filosofia ambientale, Mattioli 1885, 2006 216 - SILVÆ - Anno V n. 11 Declinazioni socio-culturali dell’ecologia per un approccio integrato momento da superare. L’ecologia può e deve fornire una strada alternativa. Altre declinazioni Al pari della social ecology, anche il c.d. ecofemminismo lega strettamente la crisi ambientale a strutture e rappresentazioni culturali presenti nelle società affluenti dell’occidente. Nasce dall’idea che nelle società tradizionali regolate dal patriarcato, donne e natura siano assoggettate ad un paritetico dominio, frutto della stessa logica di sopraffazione. Nessuna emancipazione per le donne, nessuna soluzione alla crisi ecologica: una equazione che impone alle istanze femministe di legarsi a quelle del movimento ecologico nel tentativo di opporsi ai rapporti di dominio che informano il modello relazionale, per “provvedere ad una revisione radicale socio-economica”21. Le dicotomie umanità-natura e uomo-donna sanciscono la superiorità della mente sul corpo, dell’oggettivo sul soggettivo, della ragione sull’emotività. L’antropocentrsimo diventa ben presto una forma generalizzata di androcentrismo: le ragioni della battaglia ecofemministista mette alla gogna tanto il sessismo che il naturismo, in quanto ideologie caratterizzate da una comune cornice concettuale oppressiva contraddistinta da una logica di dominio. Ergo, la questione ambientale si tinge di rosa, assurgendo a “a femminist issue”22, come peraltro è dimostrato dai numerosi punti di incontro tra le filosofie dell’ambiente e le rivendicazioni femministe. Scrive Greta Gaard: “L’ecofemminismo chiede la fine di forme di oppressione, nell’idea che nessun tentativo di liberare le donne (o ogni altro gruppo oppresso) avrà successo senza un uguale tentativo di liberare la natura”23. Anche qui l’idea dominante è che gli esseri umani non sono astratti individui, separati dall’ambiente sociale e naturale che li circonda. Ancora una volta l’ecologia rivela un intrinseco potenziale sovversivo, capace di sollevare ed ispirare una critica severa agli atteggiamenti ideologici dominanti. A queste dottrine radicali si affianca, sul piano della teoria politica, l’ecosocialismo (o ecomarxismo): una forma di socialismo post-ideologico anche detto rosso-verde. Solo in epoca relativamente recente alcune delle posizioni che si richiamano all’eredità del pensiero di Marx hanno avviato una riflessione sui problemi sollevati dalla questione ambientale. 21 Ruether R.R., New Woman/New Earth. Sexist Ideologies and Human Liberation, Seabury Press, 1975 22 Warren K.J., Ecofeminism. Introduction, in Zimmerman M.E. et al., Environmental Philosophy. From Animal Right to Radical Ecology, Prentice Hall, Upper Saddle River, 1998 23 Gaard G.C. (a cura di), Ecofeminism: Women, Animals, Nature, Temple University Press, 1993 SILVÆ - Anno V n. 11 - 217 Declinazioni socio-culturali dell’ecologia per un approccio integrato Nonostante il comune riferimento ad un paradigma forte delle scienze sociali, occorre notare che, tra gli autori neomarxisti, esiste oggi un ampio ventaglio di orientamenti che non possono qui essere ricostruiti nel dettaglio ma che, comunque, non hanno ancora trovato una sintesi generalmente accettata. Per quanto riguarda il versante politico di questa linea di pensiero, occorre sottolineare l’importanza del marxismo americano e, in particolar modo, della figura del sociologo ed economista James O’Connor. In diversi saggi, egli cerca di reinterpretare la teoria marxiana del capitalismo, valorizzandone gli elementi che possono essere ritenuti tuttora fecondi come strumenti di interpretazione della crisi ambientale che coinvolge le società capitalistiche contemporanee (O’Connor 1988). Inoltre, egli puntualizza il contributo che i movimenti ecologisti recano alla lotta anticapitalistica e auspica una sempre più forte convergenza tra la tradizione socialista e il pensiero ambientalista (O’Connor 1992). I temi proposti da questo autore sono al centro di un interessante dibattito, che trova una delle sue sedi nella influente rivista Capitalism Nature Socialism la cui edizione americana è diretta dallo stesso O’Connor (di questa esistono inoltre una edizione in spagnolo, diretta da Juan MartinezAlier, e una in italiano, il cui titolo attuale è Ecologia Politica e il cui orientamento ideologico è aperto non solo ai contributi del marxismo, ma anche a quelli di altre forme di pensiero critico come l’eco-femminismo, il pensiero ambientalista di tradizione non occidentale e le varie forme di critica radicale ai modelli dominanti di sviluppo socio-economico). Per quanto riguarda il versante teorico, una posizione di rilievo è indubbiamente quella di Peter Dickens, un sociologo inglese in cui il riferimento al marxismo classico è presente, ma è coniugato con altre linee del pensiero contemporaneo con esso compatibili, come ad esempio la sociologia di Anthony Giddens o la cosiddetta epistemologia del realismo critico di Roy Bhaskar e, ancora, con richiami allo sviluppo delle scienze biologiche. Un contributo significativo alla sociologia dell’ambiente, da parte di Dickens, lo si trova nel libro Society and Nature del 1992, cui va aggiunto un più recente testo del 1996, Reconstructing Nature, che sviluppa le idee del precedente. Per Dickens è auspicabile il superamento della rigida divisione del lavoro tra scienze fisico-biologiche e scienze sociali. Entrambi i campi disciplinari, infatti, operano con un metodo analogo, che va dall’osservazione dei fenomeni all’analisi dei loro meccanismi generativi, anche se è vero che esistono significative differenze tra i fenomeni naturali e quelli storico-sociali. 218 - SILVÆ - Anno V n. 11 Declinazioni socio-culturali dell’ecologia per un approccio integrato Ora, se si assume un punto di vista scientificamente unificato, si deve essere pronti a riconoscere che “l’ordine sociale è contenuto condizionato dall’ordine naturale da cui esso emerge e su cui, a sua volta, retroagisce” (Bhaskar 1989, Dickens 1992). La constatazione di questo incapsulamento dell’ordine sociale nell’ordine naturale non deve tuttavia condurre ad un riduzionismo naturalistico, ovvero ad una concezione in cui la società sia considerata semplicemente come un’entità subordinata alle leggi di natura. Al contrario, il realismo critico - sostenuto da Bhaskar e dallo stesso Dickens - si propone di interpretare la relazione delle società umane con la natura come la dipendenza non da qualcosa di estraneo, ma da un’entità di cui l’uomo stesso già fa originariamente parte. La natura, infatti, può essere intesa - secondo la celebre frase di Marx - come il “corpo inorganico dell’uomo”: non solo il corpo umano è esso stesso parte della natura, ma anche la vita fisica e spirituale dell’uomo implica un costante contatto con quella parte della natura che è diversa dal corpo umano, poiché essa è al tempo stesso fonte dei mezzi immediati di sussistenza dell’uomo ed è la materia, l’oggetto e lo strumento della sua attività vitale. Ma il filone sociologico che affronta più direttamente la relazione ambiente/società o, se si vuole, il binomio natura/cultura, è, all’inizio del diciannovesimo secolo, quello della Scuola di Chicago. Partendo dall’analisi delle città e delle profonde trasformazioni che essa subisce in quegli anni, questo gruppo di studiosi (tra cui ricordiamo soprattutto Robert E. Park, Ernest W. Burgess, Harvey W. Zorbaugh), subendo indubbiamente l’influenza del darwinismo, si propone di fondare una nuova disciplina, definita ecologia umana, che consiste nello studio delle relazioni spaziali e temporali degli esseri umani in quanto influenzati dalle forze selettive, distributive e adattive che agiscono nell’ambiente. Questa nuova disciplina pretende di applicare alle società umane, per la verità a volte un po’ forzatamente, le caratteristiche comportamentali rinvenibili nell’ecologia vegetale, i.e. un ordine biotico (una base biologica innata e caratteristica della specie), fondamento, a sua volta, dell’ordine sociale. Proprio nell’utilizzazione, da parte di Park, di Burgess e dei loro colleghi, di questo doppio piano di lettura, appare il tentativo di rendere intelligibile l’intima relazione esistente tra la dimensione naturale e quella costruita, sia socialmente sia spazialmente. Le aree naturali (le zone in cui si divide la città e che presentano caratteristiche omogenee per la composizione sociale o etnica della popolazione, o per gli stili di vita adottati o le funzioni sviluppate), infatti, costituiscono il punto di incontro tra i principi che regolano ontogeneticamente tutte le specie, da un lato, e i meccanismi regolativi sociali ed economici, dall’alSILVÆ - Anno V n. 11 - 219 Declinazioni socio-culturali dell’ecologia per un approccio integrato tro. Nella definizione di questo concetto troviamo così i meccanismi che operano nella relazione tra territorio e comunità sociali. I principi di competizione, di invasione e di simbiosi, a cui obbediscono tutte le specie viventi, sono all’origine della particolare configurazione della città: il primo spiega la lotta, da parte dei gruppi etnici o dei ceti sociali, per accaparrarsi un territorio il più possibile rispondente ai propri bisogni, mentre il secondo rende ragione dell’alternarsi di differenti popolazioni sulle varie aree urbane, e infine il terzo rileva le molteplici forme di integrazione tra popolazione e territorio, nonché di uniformazione all’interno degli abitanti di un’area naturale. Ferme restando le critiche che si possono muovere all’ingenuità e al semplicismo con cui il gruppo della Scuola di Chicago ha spesso ritenuto di risolvere il rapporto in questione, si deve tuttavia riconoscere che questo approccio rappresenta l’ultima tematizzazione esplicita in campo sociologico, fino al risveglio di interesse contemporaneo, e peraltro limitato a settori specialistici (come, del resto, brevemente argomentato in queste pagine). Terza fase La concreta attuazione dei programmi ecologici di seconda generazione equivale ad una vera e propria rivoluzione culturale, che richiede la messa in discussione dei sistemi di pensiero consolidati e la capacità di elaborare e attuare tempestivamente azioni e politiche capaci di futuro, in grado cioè di interpretare, anticipare, prevedere quello che sta avvenendo e ciò che potrebbe aver luogo, alla luce delle migliori conoscenze scientifiche. Possono dirsi maturi i tempi per un terzo stadio della scienza ecologica? È auspicata una stagione post-moderna dell’ecologia, che la renda più qualificata e disponibile ad affrontare e risolvere la crescente complessità del vivente attraverso un suo forte coinvolgimento culturale. Ma, quand’anche l’edificazione di una ecologia culturalmente mediata non apparisse troppo ardita, quali fondamenti epistemologici interverrebbero a sostegno di questa inedita prospettiva? La dimostrazione della sopravvenuta necessità di una nuova dimensione ecologica è, come evidenziato in apertura del presente lavoro, davanti gli occhi di tutti. Soluzione edificante ed edificanda risulterà, pertanto, quella più prossima all’analisi integrata di sistemi naturali e culturali che, indagando lo stretto legame esistente tra natura ed essere umano, sappia comunque tenere in conto l’intima relazione tra evoluzione naturale ed evoluzione socio-culturale. Ogni proposta di soluzioni ori- 220 - SILVÆ - Anno V n. 11 Declinazioni socio-culturali dell’ecologia per un approccio integrato ginali dovrà essere subordinata alla conduzione attenta di un programma idoneo a creolizzare la componente sistemica naturale e quella sociale. Solo l’integrazione delle conoscenze scientifiche ottenute specialmente dalle discipline di impostazione olistica e di taglio storico (come la biologia, geologia, ecologia, climatologia, oceanografia, etc…), armonizzate con la conoscenza delle interrelazioni ricavate dalle scienze umanistiche e sociali, mirate a valutare, sia a livello regionale che mondiale, i rapporti intrasistemici esistenti, assicura la sopravvivenza del pianeta, in quanto imprescindibile condicio sine qua non del cambiamento prospettico auspicato. Beato (si veda il paragrafo 2) non è il solo a ricordare l’esistenza di forti barriere, soprattutto culturali, che impediscono di affrontare con capacità innovativa e di futuro le sfide che abbiamo di fronte e soprattutto di affrontare i problemi in un approccio realmente negoziato e transdisciplinare24. È indispensabili un confronto a tutto campo con ciò che la cultura rappresenta, anche in relazione alla elasticità interpretativa del suo essere sistema25. Recentemente il genetista di popolazioni Luigi Luca Cavalli Sforza ha proposto una interessante definizione di cultura dal taglio più evolutivo: “L’accumulo globale di conoscenze e di innovazioni, derivante dalla somma di contributi individuali trasmessi attraverso le generazioni e diffusi al nostro gruppo sociali, che influenza e cambia continuamente la nostra vita”. Lo stesso sostiene altresì che la cultura abbia una base biologica “si può dire che la cultura sia un meccanismo biologico, in quanto dipende da organi, come le mani per fare gli strumenti, la laringe per parlare, le orecchie per udire, il cervello per capire, etc…, che ci permettono di comunicare fra noi, di inventare e di costruire nuove macchine capaci di esercitare funzioni utili e speciali, di fare tutto quel che è necessario, desiderato e possibile”. (…). “L’uomo ha potuto avere una evoluzione molto rapida rispetto ad altri organismi viventi, pechè ha sviluppato la cultura più di tutti gli altri animali. Infatti la cultura può esser considerata un meccanismo di adattamento all’ambiente straordinariamente efficiente”26. Secondo l’etologo Konrad Lorenz “l’evoluzione culturale dell’umanità procede dritto davanti a sé, sempre più veloce; in questo momento ha raggiunto un movimento così rapido che non è esagerato affermare che, 24 Gunderson L.H., Holling C.S. e Light S.S., Barriers and Bridge sto the Renewal of Ecosystem and Institutions, Columbia University Press, 1995 25 (n.d.r.) Per una definizione anche contenutistica del concetto di cultura si veda Signorelli A., Antropologia culturale, McGraw-Hill, 2007 26 Cavalli Sforza L.L., L’evoluzione della cultura, Codice Edizioni, 2004 SILVÆ - Anno V n. 11 - 221 Declinazioni socio-culturali dell’ecologia per un approccio integrato al confronto con l’evoluzione culturale, l’evoluzione genetica possa essere considerata trascurabile, addirittura uguale a zero. I mutamenti della cultura umana si compiono secondo ritmi tanto veloci da escludere del tutto che lo sviluppo genetico della specie possa tenervi dietro, possa restare al passo”. Quale via di uscita? “La sensibilità degli uomini verso determinati valori. L’evoluzione della vita organica sul nostro pianeta e nel nostro presente procederà verso l’alto oppure verso il basso? Sarà l’uomo a decidere e ne porterà l’intera responsabilità”27. Il monito è ben chiaro: senza una specifica sensibilità per i valori, al problema dell’agire umano non si potrà dare risposta alcuna, né con comandi, né con divieti. Ma l’attuale formazione di valori sconta il fatto che la cultura dominante è fondamentalmente economica e tecnocratica, carente di conoscenze e di approcci di stampo ecologico e men che meno umanistico. Il problema culturale è essenzialmente una questione giocata su scale di sistemi valoriali. Il grande dilemma del ragionamento ambientalista per il grande studioso di Harward, Edward Wilson, deriva dal conflitto fra valori di lungo periodo e valori a breve termine. La scelta dei valori per il futuro immediato della propria comunità è relativamente impegnativo, scegliere per il futuro lontano dell’intero pianeta richiede una accresciuta consapevolezza. Meticciare le due visioni per creare un’etica ambientalista universale è tanto complesso quanto necessario28. La stragrande maggioranza dei policy makers ignora le basilari conoscenze dell’ecologia, vive in una dimensione culturale distante dalla natura, dalle conoscenze delle sue funzioni, dei suoi processi, delle sue dinamiche. Un tentativo sui generis, nella direzione di un maggiore e più consapevole coinvolgimento culturale delle hard sciences, è rappresentato dall’interpretazione agita dall’ecocritism (ecologia letteraria o ecocritica). Il termine spunta tra le righe di un articolo datato 1978 di Wiliam Rueckert, sebbene l’idea di una critica letteraria ecologica appartiene ad un libro, datato 1972, di Joseph Meeker, The Comedy of Survival: Studies in Literary Ecology, con la prefazione di Konrad Lorenz. Nelle intenzioni di Meeker l’ecologia letteraria avrebbe dovuto occuparsi dello studio dei temi e delle relazioni biologiche che appaiono nelle opere letterarie e, al tempo stesso, di rinvenire il ruolo occupato dalla letteratura nell’ecologia della specie umana. L’interpretazione ecologica dei testi letterari permette di acquisire e trasmettere una coscienza critica del rap27 Lorenz K., Il declino dell’uomo, Edizioni ISEDI, 1990 28 Wilson E.O., Il futuro della vita, Codice Edizioni, 2004 222 - SILVÆ - Anno V n. 11 Declinazioni socio-culturali dell’ecologia per un approccio integrato porto tra essere umano e ambiente. Come scrive Scott Slovic “non esiste una singola opera letteraria che non possa essere fatta oggetto di interpretazione ecocritica”29. Del resto sono sempre più numerosi gli studi dedicati a intersezioni tematiche e prospettiche ad esempio con l’ecofemminismo, con la sociologia e le questioni di giustizia sociale, la scrittura nativa e afroamericana, con l’ecologia urbana e gli studi sul paesaggio, il cinema, l’arte, la pratica pedagogica , la semiotica30. In epoca post-moderna, l’idea che un ordine culturale possa proficuamente informare i migliori propositi ecologici è communis opinio, condivisa anche da intellettuali prossimi a posizioni di matrice tradizionalmente scientista. L’ecologa Nancy Langston ha scritto che “tutte le ipotesi sono soltanto modelli parziali, semplificazioni del mondo influenzate dalle lenti culturali attraverso le quali guardiamo la natura. Tuttavia i modelli implicano che lo scienziato si rapporti con il mondo in un modo importante: il metodo scientifico richiede che egli si accosti al mondo con mente aperta; si suppone che egli consideri le sue idee con umiltà, che modifichi le sue ipotesi se i risultati non le sostengono. Questo processo non è mai privo di pregiudizi; le idee iniziali su come dovrebbe funzionare il mondo plasmano il modo in cui si costruiscono le ipotesi, ciò che si vede quando ci si accinge a verificare quelle ipotesi è ciò che si ritiene valga la pena di notare. La storia dell’ecologia è consistita in una lunga serie di negoziazioni con il mondo naturale, (…). L’ecologia non è in grado di offrire una visione del mondo pura, non contaminata dalla politica e dall’incertezza; tuttavia è uno strumento essenziale per rendere più sostenibili le relazioni dell’uomo con la natura”31. Conclusioni Gli uomini si confrontano da sempre con la natura che li circonda e con la quale interagiscono. Nel corso della storia le concezioni umane della natura sono via via mutate in funzione delle diverse ipotesi culturali relative al ruolo della specie umana sulla terra, e tali idee hanno a loro volta influenzato i modi in cui la nostra specie trasforma e modifica i sistemi naturali del pianeta. La cultura (come insieme di pratiche e valori), non seguendo i tempi classici dell’evoluzione biologica, si diffonde con grande rapidità ed 29 Slovic S., Ecocriticism: Containing Moltitudes, Practising Doctrine, in Ecocriticism at the MLA: a Roundtable, Asle News, 11/1 - 1999. 30 Iovino S., Ecologia letteraria, Edizioni Ambiente, 2006. 31 Langston N., in Dodson S.I. et al., , Ecologia, Zanichelli, 2000. SILVÆ - Anno V n. 11 - 223 Declinazioni socio-culturali dell’ecologia per un approccio integrato influenza le percezioni individuali, il nostro modo di vedere il mondo, condiziona ciò che ciascuno di noi considera importante e suggerisce i comportamenti che possono essere ritenuti appropriati o inappropriati a seconda delle situazioni. Sappiamo bene che oggi il modello culturale di origine occidentale, basato sull’impostazione di società industriali e post-industriali, tecnologicamente avanzate e ispirate a principi economicistici e consumistici radicati in una sconfinata rete commerciale globale, è dominante, ormai esteso a livello planetario e sta penetrando persino nelle società che ancora vivono con relazioni sociali che potremmo definire di economia di sussistenza. Comprendere quanto la cultura imposta dai codici dominanti sia distante dall’originale legame e dal contatto fisico con i sistemi naturali è il vero e centrale problema che impedisce la compiuta attuazione di politiche di sostenibilità e integrazione. L’interdisciplinarietà ricercata si colloca in una dimensione che è e deve essere dichiaratamente prospettica. Ricerca interdisciplinare non significa connessione di conoscenze già acquisite, ma condizione per la loro acquisizione. E questo nuovo modo di sorgere della scienza è possibile perché al fondo dell’esigenza interdisciplinare sta il principio dell’unità della scienza. La tensione all’unità è sentita da tutte le discipline come un ritorno alle origini, alla riscoperta della primagenia del conoscere. Ove si accetti una siffatta concezione sarà necessario riconoscere che la interdisciplinarietà non è sollecitata dalla necessità o dall’opportunità di collegare in un sistema ciò che è noto, ma è richiesta dallo sviluppo che non solo la scienza, ma anche l’esistenza, vuole avere. Il contributo di una cultura ecologica inclusiva e narrativa agevola la comprensione della complessità sociale, spariglia la edulcorata gerarchia tra ecologia della natura ed ecologia della società, riconoscendo il valore di una differenza che è soprattutto unitas multiplex del vivente. 224 - SILVÆ - Anno V n. 11