Associazione Culturale IL CARRO DEI COMICI - Via G. Cozzoli 5/B - 70056 Molfetta (ba) – Italy - Partita Iva 05979150728
Sede Operativa TEATRO DEL CARRO Via Giovene n. 23 – 70056 Mofetta (ba)
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IlCarrodeiComici Teatro del Carro - tel/fax + 30 080 3346935 mob. +39 349 2380823
Testo drammaturgico e regia Francesco Tammacco
Con:
VALMIR XOXA (PIANOFORTE), ARDITA MENI (SOPRANO) - ALBANIA
FRANCESCO TAMMACCO, PANTALEO ANNESE, ROSA TARANTINO (ATTORI)
BURATTINI, MUPPETS, OMBRE: MATTEO ALTOMARE
Cosa ci fanno tre bambine nel foyer di un gran bel Teatro?
Certamente attendono l’inizio di uno spettacolo teatrale per bambini. La grande sorpresa è che non si tratta di uno
spettacolo qualunque ma di una vera e propria opera lirica meglio di un’opera che si fa in tre: un vero viaggio nel
Belcanto Italiano e non solo attraverso il quale ci si inoltra con la guida di personaggi coerenti con i libretti operistici,
nelle arie più celebri quali:
 CAPULETI E MONTECCHI di Bellini,
 LA TRAVIATA di Verdi,
 LUCREZIA BORGIA di Donizetti.
Un’Opera per ragazzi che mette in moto una vera “macchina teatrale” fatta di muppets, burattini, teatro delle ombre e
soprattutto attori e cantanti lirici in carne ed ossa.
Pensiamo difatti che sia più che un capriccio artistico, un impegno serio e importante quello diretto alla trasmissione
dell’Arte canora e lirica Italiana solleticando il palato, sì dei più piccoli ma certamente incuriosendo e perché no,
istruendo anche gli adulti sul tesoro più conosciuto al mondo che è la composizione lirica e il belcanto italiano.
Ecco le tre eroine all’opera sono tre bimbe i cui nomi corrispondono ai nomi delle più celebri eroine delle Opere che lo
spettacolo propone. Solo per loro tutti ci auguriamo un destino felice, più di quello sortito dalle bellissime protagoniste.
TRAME E CURIOSITÀ IN SINTESI
LA TRAVIATA - (Giuseppe Verdi)
La traviata è un'opera in tre atti di Verdi su libretto di Francesco Maria Piave. È basata su La signora delle camelie, opera
teatrale di Alexandre Dumas (figlio), che lo stesso autore trasse dal suo precedente omonimo romanzo.
Fa parte della "trilogia popolare" assieme a Il trovatore e a Rigoletto.
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CAPULETI E MONTECCHI - (Vincenzo Bellini)
Il libretto costituisce un adattamento di un precedente melodramma di Romani, già messo in musica da Nicola Vaccaj. Esso si
basa su un'ampia tradizione letteraria italiana (tra cui la novella IX di Matteo Bandello - 1554) dedicata alla celebre coppia di
innamorati veronesi, e non, come talvolta si legge, sulla tragedia Romeo e Giulietta di William Shakespeare, all'epoca
pressoché sconosciuta in Italia. L'opera fu composta in poco più di un mese, tra la fine di gennaio ed i primi di marzo, tanto
che Bellini dovette attingere a piene mani a motivi della Zaira, l'opera composta l'anno precedente e andata incontro ad un
irrimediabile insuccesso. La romanza di Giulietta Oh! quante volte, oh quante!, il brano più famoso dell'opera, fu, invece,
ricavata dall'opera d'esordio, Adelson e Salvini. In tutti questi casi, tuttavia, Bellini non si limitò a riciclare la vecchia musica,
bensì la sottopose ad un'accurata rielaborazione, per adattarla ai personaggi, ai versi e agli interpreti, al punto che di alcuni
brani non è facile riconoscere ad orecchio la fonte.
LUCREZIA BORGIA- (GAETANO DONIZETTI)
Lucrezia Borgia è un'opera in un prologo e due atti composta da Gaetano Donizetti tra l'ottobre e il dicembre del 1833, su
libretto di Felice Romani, tratto dall'omonima tragedia di Victor Hugo (1833).
La prima rappresentazione ebbe luogo al Teatro alla Scala di Milano il 26 dicembre 1833. Il cast diretto da Eugenio Cavallini
comprendeva Henriette Méric-Lalande, nei panni della protagonista, Marietta Brambilla, Francesco Pedrazzi, Luciano Mariani.
Donizetti apportò modifiche alla partitura fino al 1840, inserendo nuove arie per i tenori Nikolaj Ivanov e Mario.
Pur essendo stata regolarmente rappresentata sia nel XIX che nel XX secolo, è entrata stabilmente nel
cosiddetto repertorio solo dopo la ripresa del 24 aprile 1933 nell'ambito del Maggio Musicale Fiorentino.
Per Lucrezia, Donizetti scrisse due finali differenti; oggi vengono spesso eseguiti entrambi. Uno è l'aria del tenore "Madre se
ognor lontano" e l'altro la cabaletta di Lucrezia "Era desso il figlio mio", che richiede al soprano un'ottima coloratura.
È definita belcanto, bel canto o belcantismo una tecnica di canto virtuosistico caratterizzata dal passaggio omogeneo dalle
note gravi alle acute, da agilità nell'ornamentazione e nel fraseggio e dalla concezione della voce umana come strumento.
Si tratta di un termine musicale di origine italiana, riferito in modo più generale all'arte e alla scienza della tecnica vocale,
affermatosi nel tardo XVI secolo.
La diffusione della melodia composta per una sola voce (la monodia accompagnata del "recitar cantando") diede la possibilità
anche ai compositori, oltreché ai cantanti, di curare maggiormente la disciplina del canto, che si concretizzò con la stesura di
vari esercizi, chiamati solfeggi, atti ad allenare la voce ad una migliore esecuzione delle opere. I compositori dell'epoca (ad
esempio esponenti della scuola napoletana quali Nicola Porpora e Alessandro Scarlatti) favorirono questa tendenza creando
melodie di particolare seducente eufonia.
Tale stile di canto è caratterizzato dalla perfetta uniformità della voce, da un eccellente legato, da un registro lievemente più
alto, da un'incredibile agilità e flessibilità e da un timbro morbido. La maggiore enfasi posta sulla tecnica, rispetto al volume,
ha fatto sì che sia stato a lungo associato ad un esercizio atto a dimostrare la bravura dell'esecutore.
Dal Seicento al Settecento
Fino a tutto il Settecento impera il Belcanto, dolcissimo ricco e armonioso, splendidamente favorito dal cadenzato
sillabare della nostra lingua. Contraddicendo quegli attuali scettici esterofili sedicenti esperti di musica leggera che
ritengono l'Italiano una lingua penalizzante da un punto di vista metrico-espressivo-compositivo, il canto sillabico, o
recitativo all'italiana, si sviluppa un po' dovunque. È caratterizzato da suoni chiari, morbidi, omogenei, di ritmo elegante
e squisitezza formale. Si fa ampio ricorso al flautato e al falsetto che consentono di rendere piacevoli anche le note più
alte. il ritmo respiratorio è regolare e coincide sempre e favorisce pause e legati, i passaggi sono morbidi, le aperture,
le scale, i vocalizzi, i portamenti si dischiudono luminosi e vellutati.
Si aspira alla bellezza ideale, salvifica e depurata dai drammi della realtà. La distinzione di ruoli e caratteri è del tutto
trascurata. La supremazia vocale è prioritaria e sorvola e glissa sulla verosimiglianza scenica della vicenda
rappresentata. In due secoli (epoca barocca, illuminista e neoclassica), sia nell'Opera Buffa che in quella Seria si
affermano i cantanti sopranisti o falsettisti naturali, altrimenti detti musici o voci bianche: quasi esclusivamente di
estrazione clericale, castrati o evirati già in età prepuberale, grazie a questa terribile usanza acquisiscono timbri
ricchissimi, estensioni abnormi, ampliando capacità e pienezza polmonare, dolcezza e duttilità espressiva,
interpretando, con strabilianti virtuosismi, indistintamente personaggi idealizzati, esotici, mitologici, allegorici, senza
predeterminate partiture maschili o femminili (il grande Farinelli com’è noto era un castrato).
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Una leggenda storiografica
Rossini, Bellini e Donizetti sono generalmente indicati come i massimi esponenti di questo stile. In realtà gli spartiti di
questi tre compositori non rispondono che in minima parte ai canoni estetici sopra descritti. D'altronde il termine
belcanto - proposto per la prima volta da Vittoria Archilei alla fine del Cinquecento - fu utilizzato nell'accezione oggi
corrente solo con l'avvento del romanticismo (primi decenni del XIX secolo), periodo a partire dal quale tutti gli operisti,
da Bellini e Donizetti a seguire con Wagner, Verdi fino ai veristi Leoncavallo, Giordani, Mascagni e particolarmente
Puccini, esigettero voci più tese, struggenti, drammatiche e robuste. Chi si oppose a questa nuova tendenza iniziò a
lamentarsi della perdita di una tradizione ("Ahinoi, abbiamo perso il nostro bel canto"), attribuendola a Rossini.
Ma nelle opere di Rossini le disomogeneità timbriche sono al contrario uno degli ingredienti vocali più saporiti, basti
pensare all'uso del falsettone nelle voci tenorili, che il compositore difese sempre a spada tratta. Ancora più impropria è
l'attribuzione di uno stile "belcantistico" a Bellini e Donizetti, la cui vocalità sorprese il pubblico dell'epoca proprio per la
sua potenza espressiva, tanto da porre in secondo piano sia l'aspetto puramente tecnico (ancora centrale in Rossini), sia
la purezza del suono.
Il "belcanto" nel Novecento
I soprani Maria Callas, Renata Tebaldi, Joan Sutherland e Montserrat Caballé, e i tenori Luciano Pavarotti e Jussi
Bjoerling sono tra i maggiori esponenti della tecnica di canto all'italiana nel periodo post-bellico: l'evidente differenza
tra le rispettive voci e, in una certa misura dei rispettivi repertori, conferma che la tecnica di canto all'italiana non è
qualcosa di limitabile storicisticamente alle origini belcantistiche, applicabile quindi solo a quegli autori che a torto o a
ragione sono stati definiti, per l'appunto, belcantistici (dalla Camerata fiorentina fino a Rossini), ma ha un valore
universale.