Immaginando per la città soluzioni verdi e sostenibili

II
GIOVEDÌ 18 MARZO 2010
il Cittadino
Sezione
D
urante gli ultimi giorni d’in­
verno la vita in città può di­
ventare insopportabile: i
balconi sono ancora spogli, i
rami degli alberi nudi, ai lati delle
strade il verdeggiare della primave­
ra tenta di farsi strada tra le crepe
del marciapiede, ma subito impalli­
disce, ingrigito da un velo di polve­
ri sottili. Il naso cerca profumi ma
trova ovunque puzza di smog, l’oc­
chio vorrebbe colori e non vede che
asfalto; quando però si imbatte in
qualche disperata margherita, su­
bito lo riferisce all’immaginazione,
che prontamente risponde fabbri­
cando foreste al posto dei caseggia­
ti, prati invece che strade, e trasfor­
mando la città in un posto nuovo,
pulito, verde. A Lodi ci sono tanti
luoghi che si prestano a questo gio­
co primaverile, ed è divertente gira­
re in bici per scoprire dove e come
si potrebbe intervenire per render­
la una città a misura d’ambiente,
magari facendosi aiutare dai tanti
architetti che (vedi box a lato) han­
no progettato edifici e spazi urbani
sostenibili.
Prendiamo, ad esempio, gli spalti
sul lato destro di via Secondo Cre­
monesi, coltivati a sterpaglie e ce­
mento fatta eccezione per qualche
orticello: se passasse di qui l’archi­
tetto argentino Emilio Ambasz ci
vedrebbe bene un parco come quel­
lo che ha realizzato nel cuore della
città di Fukuoka, in Giappone, vici­
no alla prefettura e al centro finan­
ziario: 90 mila metri quadrati di
verde e giardini disposti sopra
quindici terrazze digradanti, sotto
le quali sono stati ricavati spazi
multimediali, uffici, un museo e
parcheggi. Ogni terrazza ospita
aiuole, orti, spazi per la meditazio­
ne e piccoli specchi d’acqua, colle­
gati tra loro da un sistema di ru­
scelli e cascate che, precipitando
verso il laghetto sottostante, copro­
no con il loro rumore il traffico cit­
tadino. Dalla terrazza più alta si go­
de una vista panoramica, che nel
caso di Lodi abbraccerebbe i campi
della Barbina fino al fiume; dall’al­
tro lato le fabbriche del quartiere
Selvagreca, i capannoni del lanifi­
cio e l’area un tempo occupata dalla
Cetem, un’azienda elettromeccani­
ca, oggi fallita,
specializzata nel­
la produzione di
apparati elettrici
per media e alta
tensione
Si parla di par­
cheggi, nuovi in­
sediamenti abi­
tativi, servizi: il
futuro dell’ex Ce­
tem è ancora in­
certo, l’area è
privata e ci vorrà
del tempo prima
che salti fuori un
progetto concre­
to. Siamo anco­
ra, cioè, nel cam­
po delle pure ipo­
tesi, e tanto vale
allora prendere
in considerazio­
ne anche idee
che potrebbero
apparire azzar­
date per una cit­
tadina piccola
come Lodi. “Im­
p r at i c ab i l e ” ,
suggerirebbe il
realismo, “Que­
stioni di priori­
tà” rispondereb­
be la lungimi­
ranza, sostenen­
do che simili
progetti sono già
stati realizzati, e
non in contesti
metropolitani.
Linz, Austria,
200 metri sul li­
vello del mare,
270 mila abitanti
e un fiume, il Da­
nubio, ancora
più blu da quan­
do, nel 1994, si co­
minciarono a costruire le 1294 ca­
sette di Solar City, un quartiere do­
ve si ricicla praticamente tutto, an­
che gli scarichi civili, la pioggia e il
sole. Le tipologie edilizie presenti,
seppur diverse per architettura e
funzione (oltre alle abitazioni pri­
vate Solar City ospita edifici pub­
blici, parchi gioco, giardini), sono
in larga parte coerenti con gli stan­
dard economici dell’edilizia popola­
re e riescono a colmare metà del lo­
ro fabbisogno energetico – soli 36
kwh/m² – grazie agli impianti sola­
ri installati all’interno della citta­
della. Tra gli architetti che hanno
partecipato al progetto, coordinato
dal pioniere dell’energia solare
Thomas Herzog, anche l’italiano
Renzo Piano, che già conosce il tes­
suto urbano della nostra città per
avervi progettato il Bpl Center.
Chissà che non lo si possa ricontat­
tare per farsi dare qualche suggeri­
mento su come recuperare l’area
Cetem, oppure su come trasforma­
re la piscina coperta in un’autenti­
ca foresta tropicale.
Qualcosa di simile, infatti, Renzo
Piano l’ha già fatto nel Golden Gate
park di San Francisco, sede della
California Academy of Sciences, ri­
costruito dall’architetto italiano do­
po il terremoto del 1989. Uno degli
edifici che formano il complesso
MOSTRA
A Green Life per
vivere diversamente
negli spazi urbani
n Thomas Herzog, Norman
Foster, Renzo Piano e Richard
Rogers: l’architettura con­
temporanea si unisce per
smentire chi vede nell’urbani­
stica e nella sostenibilità
ambientale due concetti in­
conciliabili e contrapposti. I
loro progetti, molti dei quali
già tradotti in edifici sparsi in
tutto il mondo, sono i prota­
gonisti di Green Life, una
mostra dedicata agli architet­
ti e alle città sostenibili che
resterà alla Triennale di Mi­
lano fino al 28 marzo. Patroci­
nata da Legambiente e dal­
l’Istituto di ricerche Ambien­
te Italia, la mostra vuole di­
mostrare come proprio dalle
città, luogo dell’artificiale per
eccellenza, possano giungere
risposte e soluzioni concrete
ai problemi ambientali che
affliggono circa 5 miliardi di
persone, tante sono quelle
che, in tutto il mondo, vivono
in un’area urbanizzata. «È
necessario passare dall’utopia
alla realizzazione ­ è l’invito
di Green Life ­ per dimostrare
che è possibile vivere diversa­
mente negli spazi urbani;
bisogna interpellare i saperi
della scienza e della cultura,
perché nessuno è autosuffi­
ciente». Tutti i progetti in
mostra a Green Life si sono
già tradotti in opere concrete,
in edifici costruiti con mate­
riali e tecnologie che sembra­
no venire dal futuro, ma che
appartengono invece alla
realtà del nostro presente.
Zurigo, Friburgo, Amster­
dam, San Francisco, Linz,
Bolzano, Stoccolma: l’elenco
delle città sostenibili si allun­
ga, sta a Lodi scegliere se
aggiungere il proprio nome.
ospita l’acquario marino, un altro il
museo, un terzo è una campana di
vetro appoggiata su un fazzoletto di
foresta tropicale, cresciuta come
crescerebbe sulle sponde del Rio
delle Amazzoni. La geometria del­
l’edificio è sferica, i volumi sono
molto grandi, ma alcune idee trove­
rebbero perfetta applicazione nella
vecchia piscina coperta della Fau­
stina, in odor di pensione da quan­
do, lì vicino, sono cominciati i lavo­
ri di costruzione di una nuova
struttura sportiva. Le sue vetrate
permettono alla luce naturale di pe­
netrare in abbondanza all’interno,
qualche finestrone in più sul tetto e
la fotosintesi clorofilliana sarebbe
garantita. L’altezza dell’edificio
consentirebbe poi di coltivare, se
non un palmizio, alberi alti almeno
una quindicina di metri, senza con­
tare il fatto che, proprio come a San
Francisco, parte dell’edificio è in­
terrato e si guadagnerebbero così
altri tre o quattro metri. Tra la pi­
scina e la vicina palestra si potreb­
be stendere un fazzoletto verde co­
me quello che ricopre la California
Academy, un tetto di terra che se­
gue il saliscendi delle strutture
dando vita ad avvallamenti, piccole
colline, praticamente un prato so­
speso sopra una foresta. Per cinque
anni i biologi americani hanno se­
lezionato le piante giuste, capaci di
crescere senza essere innaffiate ar­
tificialmente, e oggi sul tetto del­
l’Academy fioriscono un milione e
700mila piante, senza bisogno di
nessun impianto di irrigazione.
Con la speranza di nuotare un gior­
no sotto a un prato di violette, spo­
stiamoci ai piedi di un altro edificio
lodigiano che, per forma e dimen­
sioni, sarebbe adatto ad ospitare un
giardino, questa volta però vertica­
le. Criticato da molti e frequentato
da pochi, il grattacielo che sorge ac­
canto al centro commerciale di via
Grandi ha tutte le carte in regola
per trasformarsi in un parallelepi­
pedo ricoperto di verde: l’esposizio­
ne è buona (l’edificio è isolato e ri­
ceve luce diretta su tre lati), tra un
piano e l’altro sono state collocate
delle griglie metalliche che sembra­
no fatte apposta per appenderci fio­
riere o sacche di terra pensili, come
quelle utilizzate in questo genere di
coltivazioni; i muri in cemento del
grattacielo sarebbero in grado di
trattenere il calore accumulato du­
rante il giorno, rilasciandolo la not­
te per scongiurare il rischio di con­
gelamenti radicali. Il tetto del grat­
tacielo, inoltre, è piano: ci si potreb­
bero piantare sopra alberi ad alto
fusto oppure, per ottimizzare le pre­
stazioni energetiche dell’intero edi­
ficio, ricoprirlo di pannelli solari o
collocarvi una cisterna per racco­
gliere l’acqua piovana, da utilizzare
poi per l’irrigazione delle pareti
coltivate.
Il giardino verti­
cale è soltanto
un esempio di
come l’architet­
tura contempo­
ranea si sforzi di
individuare solu­
zioni progettuali
in grado di sfrut­
tare lo spazio ur­
bano in tutte le
sue dimensioni,
soprattutto in al­
tezza, soprele­
vando di qualche
piano ciò che pri­
ma si trovava a
livello del suolo.
Prati sospesi,
giardini vertica­
li, ma c’è anche chi – come l’archi­
tetto statunitense Steven Holl – ha
pensato di sospendere in aria perfi­
no le strade, e lo ha fatto in una del­
le città con il traffico più caotico del
mondo, Pechino. Otto torri collega­
te fra loro all’altezza del ventesimo
piano da altrettanti ponti sospesi,
sede di servizi, ristoranti, spazi col­
lettivi. Così non c’è più bisogno di
scendere in strada per passare da
un edificio all’altro, e i 2500 abitanti
di Linked Hybrid – questo il nome
con cui sono state battezzate le torri
cinesi – possono spostarsi in sicu­
rezza, lontano dalle insidie del traf­
fico pechinese. A Lodi un comples­
so così grande non c’è e la densità
urbana è fortunatamente inferiore,
ma l’anello sospeso di Linked Hy­
brid starebbe bene tra i palazzi Aler
di via San Fereolo, ultima tappa del
nostro itinerario. Immaginarli col­
legati da una verde passerella è una
forte tentazione per la fantasia,
mortificata dall’aspetto attuale del
complesso, disordinato e un po’ fati­
scente.
Basta chiudere gli occhi per far
comparire, al posto dei muri scro­
stati, una cascata di rampicanti e
svuotare dalle auto il parcheggio
sul retro per riempirlo di biciclette,
da condividere con il vicino di casa.
Molti degli inquilini dei palazzi
Aler sono persone anziane, oppure
famiglie a basso reddito che fareb­
bero volentieri a meno di pagare la
rata dell’assicurazione: le due ruote
rappresentano l’alternativa più
conveniente, ma se proprio non si
può evitare di guidarne quattro si
potrebbe fare come a Friburgo, do­
ve il 40% della popolazione di Vau­
ban, un quartiere sorto nel 2006 al
posto di un vecchio sito militare, ha
rinunciato volontariamente al pos­
sesso di un’auto­
m o b i l e, e p e r
spostarsi usa
quelle della flot­
ta condominiale,
disponibili a tut­
ti grazie a un ser­
vizio di car­sha­
ring. Condivide­
re l’auto con il
vicino di casa in­
cide positiva­
mente sul bilan­
cio familiare e
sulla salubrità
dell’aria, ma im­
plica anche un
cambio di men­
talità che Lodi
non sembra an­
cora pronta a so­
stenere: basta fa­
re un giro in cit­
tà per accorgersi
di quanto la gen­
te faccia fatica a
prendersi cura
delle cose pubbli­
che con la stessa
attenzione con cui bada ai propri
affari, e pensarla intenta a lucidare
un’automobile che non le appartie­
ne è un’eventualità purtroppo dav­
vero remota, anche per la più fervi­
da delle immaginazioni.
Silvia Canevara
Immaginando per la città
soluzioni verdi e sostenibili
“Gioco primaverile” per una Lodi a misura di ambiente
Nelle immagini si alternano le installazioni di Green Life
con alcuni angoli di Lodi che potrebbero vedere una svolta
secondo i principi della mostra dedicata agli architetti e
alle città sostenibili, che resterà alla Triennale di Milano
fino al 28 marzo. L’articolo immagina di applicare le idee
di Emilio Ambasz, Thomas Herzog, Renzo Piano e Steven
Holl ad aree, abitazioni e insediamenti dismessi di Lodi