Estratto libro Il cibo Immaginario

annuncio pubblicitario
 ESTRATTO
DAL
LIBRO
© ARTIX-MARCO PANELLA IL CIBO IMMAGINARIO.1950-1970 PUBBLICITÀ E IMMAGINI DELL’ITALIA A TAVOLA
01 L’ITALIA COM’ERA
Il racconto de Il Cibo Immaginario inizia nel 1950, data simbolica e in qualche modo convenzionale da cui partire,
però, per delineare il percorso di miglioramento sociale che vedrà protagonista una Nazione intera.
Un’Italia che Il Cibo Immaginario mostra attraverso i riflessi estetici ed il linguaggio delle icone pubblicitarie che
l’hanno accompagnata negli anni cruciali della sua modernità, icone che, in questa lettura, diventano un media di
grande suggestione che dell’Italia racconta la versione quotidiana e popolare.
Icone che oggi, a distanza di alcuni decenni dalla pubblicazione, sono sempre più un vero e proprio giacimento di
cultura contemporanea, spesso di pregio artistico e creativo, specchio assolutamente fedele dell’evoluzione di tempi,
usi, costumi e consumi; icone nate da sensibilità creative ed espanse, capaci di percepire i segni ancora nascosti e
leggeri del cambiamento così come, altrettanto spesso, capaci di accelerarlo ed indirizzarlo.
Com’era quell’Italia?
Sintetiche per natura e a volte drammatiche per interpretazione, le statistiche ci restituiscono i contorni di un’Italia da
cui sembra che ci separino distanze siderali, anche se basta voltarsi di poco indietro per quasi toccarla ancora con
mano, quell’Italia.
Numeri ed immagini, quindi.
Una combinazione di elementi che ci portano a percorrere vie inaspettate delle memorie familiari, capaci di farci
vivere in maniera semplice ed immediata quell’esperienza ambita che ha fatto la fortuna di tanta letteratura
d’anticipazione, da Herbert George Wells in poi: il viaggio nel tempo.
Un viaggio nel tempo che, per Il Cibo Immaginario, inizia senza macchine fantascientifiche ma con la semplicità e la
sintesi dei numeri della spesa quotidiana.
Nel 1950 un chilo di pane costava 100 lire, un litro di latte 75 lire, un chilo di pasta 130 lire, un chilo di riso 120 lire,
un chilo di carne 800 lire; con 20 lire, si prendeva il tram, con 30 lire una tazzina di caffè al bar e con 100 lire, in
città, si poteva andare al cinema.; una bicicletta costava circa 20.000 lire, un muratore guadagnava circa 15.000 lire
al mese, un operaio tra le 20 e le 30.000 mila ed un impiegato tra le 35 e le 45.000 lire al mese.
Nel 1951 il censimento generale dell’Istat registra 47 milioni di abitanti; le donne, con il 51,1%, sono la maggioranza
del Paese. Un dato influente che non sfuggirà ai pubblicitari.
La popolazione ha un saldo attivo di 377 mila unità e gli italiani in età non lavorativa - minori di 14 anni e maggiori di
65 - sono il 52,3%; nella realtà, però, il lavoro anche dei minori di 14 anni era assolutamente frequente, sia nelle
campagne che nei cantieri, nelle piccole fabbriche e nelle botteghe, dove la figura del garzone è quella di un bambino
che ha appena finito la scuola elementare, destinato alla dispersione scolastica e ad imparare un mestiere lavorando.
Nel 1960 il reportage di un grande documentarista, Raffaele Andreassi, racconterà con immagini crude e vivide il
lavoro di bambini e adolescenti nelle cave di tufo nella pianura di Puglia che si stende dalla Murgia al mare.
Tra le città, solo Milano, Roma e Napoli superano il milione di abitanti e la maggior parte della popolazione non vive in aree
urbane.
Nella giovane Repubblica, l’unità del Paese sembra ancora lontana, almeno sotto il profilo linguistico e
dell’istruzione: 27 milioni di italiani parlano il dialetto, oltre 5 milioni - circa il 12,9% della popolazione - sono
analfabeti e, di questi, il 48,6% vive al Sud e nelle Isole.
Il tasso più basso di analfabetismo, il 2.8%, si registra nel Nord-Ovest, segue il Nord-Est con il 6,3%.
Nel 1951 i laureati sono l’1%, i diplomati il 3,30%, mentre il 59% ha completato la scuola elementare. La scuola
media unica, obbligatoria e gratuita arriverà solo nel 1963.
La scuola farà molto, ma anche la televisione, con Telescuola in onda dal 1958 al 1966 e con il maestro Alberto Manzi
di Non è mai troppo tardi in onda dal 1960 al 1968, svolgerà in quegli anni una forte funzione sociale
nell’alfabetizzazione del Paese.
La famiglia italiana è una famiglia tradizionale.
Quattro italiani su dieci, il 41,8%, sono sposati; i matrimoni celebrati nel 1950 sono 328 mila e le separazioni legali
poco più di 5 mila.
Mediamente una famiglia si compone di quattro persone, quelle con tre persone sono il 20,7% e con quelle con sei o
più componenti il 20,1%; le famiglie single, ma non si chiamano ancora così, sono il 9,5%.
© ARTIX-MARCO PANELLA
IL CIBO IMMAGINARIO.1950-1970 PUBBLICITÀ E IMMAGINI DELL’ITALIA A TAVOLA
01 L’ITALIA COM’ERA
La configurazione della famiglia tipo non sfuggirà alle aziende, che in quel modello troveranno un mercato di
riferimento al quale proporranno prodotti specifici, e non sfuggirà ai creativi che lo recepiranno nelle
rappresentazioni iconografiche delle campagne pubblicitarie.
Nel 1951 l’agricoltura è ancora la principale occupazione degli italiani: vi lavora il 42% della popolazione attiva,
mentre il 32% lavora nell’industria ed il 25% nel terziario, dove trovano occupazione prevalentemente donne.
L’occupazione femminile è destinata a crescere con una certa rapidità, introduce nuovi equilibri sociali e familiari e
spinge verso nuove dinamiche dei consumi; per le donne il tempo inizia ad avere un valore diverso da prima e, di
questo, troveremo anticipazione e riflesso in molte icone pubblicitarie del cibo e di tutto quello che ruota intorno alla
cucina, dal detersivo all’elettrodomestico.
Antesignane, in proposito, le pubblicità del Sugòro della Althea, del detersivo Trim e del Lesso Galbani, che
enfatizzano la dote del prodotto nel far risparmiare alle donne il tempo da passare in cucina.
Finita la guerra bisogna ora uscire dall’economia di guerra, e il percorso non è semplice.
L’Italia è da ricostruire; infrastrutture, abitazioni ed industria, soprattutto.
Ma l’Italia ha anche fame e i sacchi di farina dono del popolo degli Stati Uniti agli Italiani scaricati nei porti, più che un
dono sembrano una manna.
Tra il 1948 ed il 1952, l’Italia riceve dagli Stati Uniti aiuti economici e finanziari per 1.480 milioni nell’ambito
dell’European Recovery Program, il piano Marshall, volto a favorire le condizioni infrastrutturali per una ripresa della
capacità industriale e di mercato.
A Trieste, nel 1950 e nel 1951, le casalinghe ricevono in omaggio dall’ERP il Libro della Massaia, con ricette e
consigli di economia domestica: tra il 1948 ed il 1951 il Piano Marshall ha inviato a Trieste grano e generi alimentari
per un valore di 6 miliardi e 688 milioni di lire. La questione triestina non è ancora risolta e solo nel 1954 la Zona A
di Trieste, quella sotto il controllo anglo-americano, tornerà definitivamente all’Italia.
Il comparto industriale, specialmente l’industria metallurgica, quella chimica e quella meccanica, si rimette in moto ed
ha bisogno di mano d’opera.
La terra sta bassa, come dicevano i contadini, e la fabbrica significa affrancamento dalle fatiche della terra, dal sole che
brucia e dalla grandine che spezza; il richiamo è forte e anche se inizialmente si lasciano terre, case e famiglie, la
grande migrazione interna è continua - da sud a nord, dall’entroterra verso le coste, dalle frazioni ai paesi e alle città –
e cambia la geografia sociale del Paese; tra il 1955 ed il 1970 circa 25 milioni di italiani sposteranno la loro residenza.
Milano, Torino, Genova e Roma saranno protagoniste di un fenomeno di inurbazione senza precedenti: solo a Roma
nel 1954 si contavano 31 borgate che, nel 1960, diventeranno 100.
Il mondo delle baracche e dei baraccati sarà un protagonista assoluto dei romanzi di Pier Paolo Pasolini, che lo
racconterà in profondità in Ragazzi di vita del 1955 e in Una vita violenta del 1959.
Dal punto di vista alimentare, usi, abitudini, ricette e prodotti seguono le persone come un codice genetico
indelebile, diventando testimonianza quotidiana e rivendicata dell’origine, delle radici, della memoria, tratto
identitario forte ma che, al tempo stesso, si fonde e si confonde con quello dei territori di destinazione per dare vita ad
una vera e propria cucina fusion popolare.
Nel 1951 il 48% dei dirigenti lavora da 8 a 10 ore al giorno, il 14% da 10 a 12 ore e il 3% oltre 12 ore al giorno; il
30% dichiara di aver lavorato anche la mattina dell’ultima domenica prima dell’intervista, mentre solo il 13% ha
effettuato una gita o un viaggio.
La dedizione per il lavoro, quindi, almeno nelle classi sociali più alte, somiglia molto ad una specie di religione civile,
ma nell’Italia che inizia a scorgere qualche avvisaglia di futuro, una larga fascia di popolazione vive ancora in
condizioni di povertà e la politica decide di approfondirne la conoscenza in maniera, per quegli anni, inusuale.
Il 28 settembre 1951 i deputati Vigorelli, Cornia, Tremelloni, Saragat, Zagari, Chiaramello e Bellinardi depositano
alla Camera la proposta per realizzare un’Indagine parlamentare sulla miseria in Italia perché “…il Parlamento deve
acquisire la conoscenza delle condizioni di miseria del popolo italiano e dei mezzi per vincerle definitivamente…” .
© ARTIX-MARCO PANELLA
IL CIBO IMMAGINARIO.1950-1970 PUBBLICITÀ E IMMAGINI DELL’ITALIA A TAVOLA
01 L’ITALIA COM’ERA
Chi sono i poveri in Italia?
È questa la prima questione di metodo da risolvere per definire l’ambito dell’indagine.
Una domanda che trova risposta con l’individuazione di tre indicatori sociali - la casa, il cibo ed il vestiario considerati bisogni fondamentali dell’esistenza umana senza soddisfare adeguatamente i quali “….le famiglie sono
ben lontane da quella esistenza libera e dignitosa elevata a principio costituzionale…”.
E a non soddisfare adeguatamente questi bisogni sono in tanti.
Le famiglie misere sono 1.357.000 per un totale di circa 6.200.000 persone, alle quali si devono aggiungere altre
1.345.000 famiglie, appena limitrofe per condizione e definite disagiate, con ulteriori 5.900.000 persone.
Nel 1951, quindi, oltre 12 milioni di italiani e 2.702.000 di famiglie sono in condizioni di povertà, disagio e
bisogno.
Per raggiungere al meglio le fasce di popolazione di cui si voleva avere una fotografia la più reale possibile, lo
svolgimento dell’indagine è affidato agli assistenti sociali, che si trovano a ricoprire il delicato ruolo d’intervistatori
fiduciari presso un campione di 1.994 famiglie povere, distribuite in 37 Comuni capoluoghi di provincia.
L’impostazione metodologica sceglie di privilegiare la capacità di dialogo rispetto alle competenze tecniche ed i
risultati finali premieranno la scelta: lo scarto delle interviste utili, infatti, sarà di appena il 7% ed i dati aggregati
emersi da un campione effettivo di 1.847 famiglie faranno dell’inchiesta la prima vasta indagine nazionale sulle classi
povere.
Quell’Italia è un punto di partenza che non si può dimenticare, anche e soprattutto alla luce di una lettura sociale fatta
attraverso l’estetica ed il linguaggio della pubblicità del cibo e dei riti del mangiare.
Non si può dimenticare perché, in quell’Italia, la fame non è solo una parola come tante.
Alla spesa alimentare gli italiani destinano il 47% del loro bilancio familiare e, mediamente, l’apporto nutrizionale
giornaliero si attesta intorno alle 2.400 calorie, di cui solo il 14% proviene da carne e zucchero.
Sui principali alimenti base, il confronto con le altre nazioni europee ci vede sempre perdenti: consumiamo 12 chili di
zucchero l’anno, contro i 23 dei francesi, i 37 degli inglesi ed i 51 degli svedesi; con la carne non va meglio, ne
consumiamo 14 chili l’anno, contro i 52 degli inglesi ed i 67 dei danesi; di latte, invece, ne beviamo 47 litri l’anno,
contro i 92 dei francesi ed i 238 degli svizzeri.
Dei 14 chili di carne, solo 8 sono di carne bovina, mentre gli altri 6 sono di carne ovina e suina.
L’analisi dei consumi interni è impietosa: “…870.000 famiglie non consumano né carne, né vino, né zucchero; oltre
un milione di famiglie consumano quantità minime di zucchero e vino e niente carne…Il tenore alimentare può essere
considerato molto basso per il 27,9% degli italiani, da modesto a buono per il 51,4% ed elevato solo per il 21%.”.
Un approfondimento utile a completare il quadro di come mangiano gli italiani lo forniscono alcuni sondaggi della
Doxa.
Un sondaggio del 1951 rileva che a tavola appena il 4% degli italiani beve acqua minerale in bottiglia, il 10% beve
acqua minerale fatta con polverine, il 39% beve acqua semplice, il 49% beve vino.
Riguardo alle abitudini del bere, alla domanda se si è bevuto o meno una certa bevanda negli ultimi tre mesi, il 45%
degli intervistati dichiara di non aver mai bevuto birra mentre il 19% lo ha fatto due o più volte la settimana; il 48%
non ha mai bevuto aranciata o chinotto, mentre il 13% lo ha fatto due o più volte la settimana; il 73% non ha mai
bevuto aperitivi e il 6% lo ha fatto due o più volte a settimana; il 79% non ha mai bevuto Coca-Cola, Ginger Soda o
altre bevande gasate in bottigliette e il 5% lo ha fatto due o più volte a settimana; il 94% non ha bevuto succhi di frutta.
Per il 79% degli italiani, inoltre, i pasti si consumano tutti in casa.
Nel 1953 un’indagine sull’uso del caffè rileva che “…in una normale giornata d’inverno, gli italiani adulti bevono in
media circa 48 milioni di tazzine di caffè (senza contare il caffelatte): dunque circa una tazza e mezzo per ogni adulto e
due tazze per ogni bevitore di caffè (escludendo cioè gli adulti che non lo bevono mai)”.
Il 33% beve espressi al bar, il 20% beve espressi in casa fatti con macchinetta mentre il 33% beve caffè in casa, fatto,
però, con caffettiera napoletana: altra macchinetta, altra tradizione, altro caffè.
© ARTIX-MARCO PANELLA
IL CIBO IMMAGINARIO.1950-1970 PUBBLICITÀ E IMMAGINI DELL’ITALIA A TAVOLA
01 L’ITALIA COM’ERA
Qualche anno dopo, nel 1954, un’indagine sulle abitudini dietetiche degli italiani realizzata su un campione di 1.453
adulti, rileva che per il 76% degli italiani il pasto più importante è quello del pranzo, che il 72% non mangia tra un
pasto e l’altro, che il 42% fa la colazione con cappuccino e caffelatte e il 35% solo con il caffè.
Al tempo stesso il 35% degli italiani ritiene inadeguata la propria dieta per mancanza di carne e il 25% ritiene di
seguire un regime alimentare composto di alimenti poco nutrienti.
Interessante notare, poi, che il 78% degli intervistati dichiara di non parlare mai di politica a tavola, o di farlo
raramente, mentre il 73% ha l’abitudine di ascoltare sempre, o per buona parte del pasto, la radio.
Sempre nel 1954, un’indagine su passatempi e vacanze, rileva che il 56% degli italiani non ha, all’infuori del lavoro,
qualche grande passione per un’altra attività; l’8% dichiara di essere appassionato alla lettura, il 7% al cucito ed al
ricamo, il 3% allo sport ed ancora il 3% alla caccia ed alla pesca.
Sovverte invece un certo stereotipo, il risultato che vede il 44% degli uomini preferire di passare il tempo stando con
gli amici a chiacchierare, contro il 34% di preferenza espresso in proposito dalle donne. In fondo, il social network
non è un’invenzione moderna.
Eppure l’Italia sogna.
Nel 1949 il matrimonio che Linda Christian e Tyrone Power celebrano a Roma infiamma le cronache rosa e,
soprattutto, l’ambizione e la speranza di tante ragazze che vedono nel cinema e nel concorso di bellezza la strada del
loro successo, ragazze che leggono sui rotocalchi la scalata alla notorietà ed al divismo di Lucia Bosè, Gina
Lollobrigida, Silvana Pampanini e Sofia Scicolone, più tardi in arte Loren e Miss Eleganza nel 1950.
Nel 1950 la copertina del primo numero di Epoca è dedicata a loro, a queste ragazze, che hanno tutte il volto di
Liliana, ragazza italiana commessa che vende gelati da Motta in piazza Duomo a Milano; il suo giorno libero è la
domenica e nel tempo libero legge fotoromanzi, rotocalchi e romanzi rosa con protagoniste che hanno nomi
vagamente esotici come Consuelo, Dianora, Eliana, Carola.
Del 1951 è il film Bellissima di Luchino Visconti, dove Anna Magnani è Maddalena Cecconi, madre di una ragazzina
di 8 anni che vuole avviare proprio al mondo del cinema, per riscattare se stessa, la sua storia ed il suo destino.
Nel 1951 si vendono 3 milioni di dischi; nel 1958 se ne venderanno18 milioni.
Nel 1953 le sale cinematografiche sono numerosissime, una ogni 33.000 abitanti, in Europa siamo secondi solo
dietro la Svezia e per andare al cinema spendiamo 93 miliardi di lire. Sempre nel 1953 le pellicole di produzioni
americane distribuite nei cinema sono 5.350: un modello di stile di vita e propensione al consumo inizia ad entrare in
profondità nel sistema delle aspettative e delle ambizioni di una fascia sempre più ampia di popolazione.
Nel 1954 si inizierà a sognare con la televisione e, già dall’anno dopo, ci si appassionerà alle fortune dei concorrenti
di Lascia o raddoppia?, il quiz condotto da Mike Bongiorno che la RAI sarà costretta a spostare dal sabato sera al
giovedì per le proteste dei gestori di cinema e locali pubblici che il sabato, in concomitanza con la messa in onda della
trasmissione, avevano visto calare vertiginosamente i loro incassi.
Nel 1955 il cinema vende 819 milioni di biglietti.
Nel 1956 le sale cinematografiche superano le 10.000, oltre alle circa 5.000 di oratori e parrocchie.
La diffusione della televisione colpirà le presenze cinematografiche facendole calare di circa il 15%, un’incidenza
nettamente inferiore dei cali registrati negli Stati Uniti ed in Gran Bretagna.
Lascia o raddoppia?, Il Musichiere, L’amico del giaguaro, gli sceneggiati che mettono in onda i classici della
letteratura e, dal 1957, Carosello, appassionano l’Italia e cambiano il modo di stare insieme, al bar e nei ritrovi
pubblici prima, nelle case appena dopo, dove in sala da pranzo la televisione fa cambiare posto alle radio e, quando
proprio non ammutolisce i commensali, ne anima la conversazione.
Carosello, in particolare, porterà l’innovazione pubblicitaria della sua formula originale nelle case degli italiani,
segnerà l’ora del sonno per i bambini e popolerà l’immaginario nazionale con personaggi disegnati come Calimero e
l’Olandesina, Jo Condor e il Gigante Amico, Salomone il pirata pasticcione, Caballero e Carmencita, Pippo
l’Ippopotamo, la Mucca Carolina e la Linea, oppure dal volto umano, come l’Ispettore Rock e Ringo, diventando nel
1960 la trasmissione più seguita in televisione.
© ARTIX-MARCO PANELLA
IL CIBO IMMAGINARIO.1950-1970 PUBBLICITÀ E IMMAGINI DELL’ITALIA A TAVOLA
01 L’ITALIA COM’ERA
Nell’Italia che sogna, un posto particolare lo meritano le cosiddette cassette propaganda, confezioni regalo molto
natalizie, ma buone per ogni stagione o ricorrenza e loro stesse veicolo di ulteriori premi e concorsi: Cinzano, Gancia,
Stock, Cirio, Alemagna, Motta e, con una certa sorpresa, anche Simmenthal riempiono i rotocalchi di inserzioni che
pubblicizzano le loro cassette regalo.
Grande ascendente sul consumatore ha poi il concorso a premi e la raccolta punti, che promette regali per tutti, grandi e
piccoli, e di qualunque natura, dai gettoni d’oro agli elettrodomestici, dai giocattoli alle macchine fuoriserie sino ad un pollo
al mese per un anno proposto dalla Smeg; in quest’ultimo caso solo la conferma di quanto il pollo fosse un alimento principe
ed ambito negli anni cinquanta e parte dei sessanta, ricorrente nelle ricette e nelle pubblicità dei frigoriferi che, spesso, ne
mostrano uno intero al loro interno.
Nell’Italia che tira la cinghia e sogna, il risparmio è un valore.
Nel 1954 un’indagine Doxa sul consumo dei prodotti tessili nelle famiglie italiane rileva che il 92% degli italiani,
anche se il loro reddito aumenta, non sono disposti a spendere di più per vestirsi meglio.
Nella filosofia del risparmio trova sempre più spazio, però, la propensione all’acquisto dei beni di consumo durevoli;
elettrodomestici e automobili, infatti, sono visti come strumenti di miglioramento della propria condizione di vita e
simboli di uno status sociale da rincorrere e da esibire, acquistarli quindi non è uno spreco di denaro, da usare sempre
con parsimonia, ma significa fare un giusto uso del denaro che si è riusciti a risparmiare, oppure, sempre più spesso,
del denaro che si guadagnerà.
L’Italia che cresce, infatti, è anche l’Italia delle cambiali, le farfalle come erano comunemente chiamate, che si
firmano guardando con fiducia al futuro e con il pudore di non farlo sapere troppo in giro; se ne firmano tante, si
firmano ancora quasi con una certa vergogna, ma esibire o raccontare a parenti ed amici la 600 nuova fiammante, il
frigorifero o la televisione non ha prezzo.
Cambiali firmate e quasi sempre pagate, perché onorare i debiti è un dovere morale, perché il non farlo avrebbe
significato perdere la faccia e vedere il proprio nome pubblicato sul bollettino dei protesti; in quell’Italia la faccia era
un valore da custodire, per sé e per la famiglia.
Una magistrale rappresentazione dell’Italia a rate la troviamo nel film La cambiale, con Totò, Peppino De Filippo,
Vittorio Gassman, Paolo Ferrari, Aroldo Tieri, Ugo Tognazzi Raimondo Vianello, Sylva Koscina, diretti da Camillo
Mastrocinque nel 1959.
Con o senza cambiali, comunque, il frigorifero entra nelle case e, a suo modo, diventa artefice e protagonista di una
piccola rivoluzione domestica; cambia gli arredi delle cucine, cambia il modo di fare la spesa e anche quello di
cucinare.
Nel 1951 di frigoriferi se ne producono 18.500 e, ad un sondaggio Doxa, solo il 2% degli italiani dichiara di avere in
animo di acquistarne uno nel prossimi mesi.
Nel 1957 di frigoriferi se ne produrranno 370.000, nel 1967 3.200.000.
Complici la crescente occupazione femminile, i nuovi elettrodomestici che riducono il tempo da dedicare alla cucina e
il frigorifero che via via sta sostituendo le vecchie ghiacciaie e che consente di fare la spesa una sola volta la settimana,
l’innovazione investe anche il commercio alimentare.
La rete della distribuzione alimentare è ancora basata su negozi di prossimità con superfici di vendita ridotte, mercati
rionali, contadini che arrivano dalle campagne per diventare venditori ambulanti che girano le città chiamando alle
grida i clienti; il tratto caratteristico di questo tipo di commercio è il rapporto di conoscenza, fiduciario e quasi di
familiarità che si instaura tra negoziante e cliente.
Un aspetto questo che, ad esempio, troverà eco duratura nella pubblicità dei prodotti Galbani, perché Galbani vuol
dire fiducia.
Quello che mancava alla modernità dei tempi, però, arriva il 27 novembre del 1957 quando a Milano, in viale Regina
Giovanna, la Supermarkets Italiani apre un negozio di 500 metri quadri, il primo supermercato italiano di diretta
ispirazione americana; il marchio giganteggia sul negozio e la esse che si allunga sotto tutta la parola Supermarkets,
diventerà presto il nuovo logo dell’impresa che, semplicemente, si chiamerà Esselunga e che è ancora oggi tra i
protagonisti della grande distribuzione.
© ARTIX-MARCO PANELLA
IL CIBO IMMAGINARIO.1950-1970 PUBBLICITÀ E IMMAGINI DELL’ITALIA A TAVOLA
01 L’ITALIA COM’ERA
Il successo è immediato, i cibi ordinati in bella vista sugli scaffali da poter prendere da soli scegliendo in base a gusti,
convenienza, istinto e suggestione, con i prodotti freschi già sporzionati e confezionati nei loro rivestimenti di
pellicola trasparente, pronti per essere cucinati o conservati, con prezzi chiari, competitivi ed attrattivi, riempiono i
carrelli, fanno spostare le persone da una parte all’altra della città per andare il sabato a fare la spesa grande, quella che
dura tutta una settimana e che, immancabilmente, trova posto in frigorifero.
Il successo, ovviamente, sarà replicato da altri concorrenti e fare la spesa inizia a diventare un’esperienza per sé e,
sempre più spesso, da vivere con tutta la famiglia, bambini compresi.
L’Italia tira la cinghia, sogna e si muove.
La motorizzazione è forse il più importante fenomeno sociale di massa degli anni cinquanta, incide in profondità sul
carattere del Paese, ne cambia il paesaggio, accelera la produzione industriale, influenza gli stili di vita.
Nel 1947 Mario Pavesi apre il primo ristoro sull’autostrada Torino- Milano, vicino al casello di Novara, dove ha sede
il suo stabilimento e, inizialmente lo pensa come punto di promozione per la vendita dei suoi prodotti, in particolare
dei biscotti Pavesini.
Probabilmente Mario Pavesi non immagina, in quel momento, di aver spalancato le porte ad un futuro che sarà molto
più ampio.
Nel 1950 le automobili in circolazione sulle nostre strade sono meno di mezzo milione e l’industria nazionale ne
produce circa 120 mila, oltre a poco meno di 30 mila tra camion, autobus e furgoni.
Nel 1952, 88 veicoli su 100 sono a due ruote, Vespa e Lambretta in particolare ma, chi può, compra MV Agusta,
Moto Guzzi, Moto Morini e Benelli.
Nel 1953 Audrey Hepburn e Gregory Peck, con Vacanze Romane, consegnano la Vespa all’immaginario collettivo;
nel 1956 la Piaggio lancia la campagna pubblicitaria Vespizzatevi! e i giovani italiani hanno ben chiaro quanto le due
ruote possano cambiare la loro vita sociale, accorciando distanze e facilitando incontri.
Nel 1953 l’Agip, l’Agenzia Italiana Petroli, diventa ENI, la Supercortemaggiore con il cane a sei zampe è la potente
benzina italiana.
Nel 1958 la Fiat 500 costa 395.000 lire, 85.000 lire in meno rispetto al prezzo di lancio dell’anno prima, e lo
stipendio di un operaio è di circa 30.000 lire al mese.
Nel 1959 i motoveicoli in circolazione sono 3.600.000, le automobili 1.650.000.
Nel 1952 le automobili erano una ogni 61 abitanti, nel 1962 sono una su 11 e nel 1972 saranno una su 4 abitanti.
La Fiat, prima con la 600 e poi con la 500, è la protagonista assoluta della filosofia dell’auto per tutti, la sua missione
industriale che diventerà un suo slogan pubblicitario.
Nel 1953 entra in linea sulla tratta Roma-Milano l’Elettrotreno ETR 300, il Settebello, prodotto dalla Breda, un
gioiello di design e stile italiano, con salotto di lusso, aria condizionata e soluzioni tecniche assolutamente innovative;
un segno dei tempi moderni che, nel 1961, ritroveremo a fare da sfondo in una pubblicità della Charms, la caramella
del nostro tempo.
L’elettrotreno è comunque ancora un’eccezione in un panorama ferroviario fatto di locomotori a carbone che segnano
di fumo il loro percorso e le carrozze, di terze classi – abolite solo nel 1957 - e di sedili in legno, di binari a
scartamento ridotto e rotaie uniche ma, per un Paese alla ricerca di se stesso, il Settebello è una grande iniezione di
fiducia.
La modernizzazione italiana è destinata a fare strada: nel 1956 si apre il cantiere per la costruzione dell’Autostrada
del Sole, 755 chilometri da Milano a Napoli completati a tempo di record otto anni dopo, nel 1964.
Gli Autogrill Pavesi, i Mottagrill e gli Autobar Alemagna diventano pietre miliari del paesaggio autostradale, calano
nel paesaggio soluzioni architettoniche ardite, forniscono un modello di consumo alimentare innovativo, scandiscono
appuntamenti e ritrovi, punteggiano il tempo del viaggio in automobile.
Nel 1959 un pranzo in autostrada costava mediamente 750 lire e, soprattutto, forniva un’esperienza del mangiare
unica, quasi fantasmagorica, con il cibo offerto così in bella vista e in abbondanza.
© ARTIX-MARCO PANELLA
IL CIBO IMMAGINARIO.1950-1970 PUBBLICITÀ E IMMAGINI DELL’ITALIA A TAVOLA
01 L’ITALIA COM’ERA
Le vecchie testate dedicate all’automobile si rinnovano per adeguarsi ai tempi; nel 1956 arriva in edicola Quattroruote ma,
soprattutto, nel 1957 esce la prima edizione italiana della Guida Michelin, un vero compendio per il guidatore con
distanze chilometriche, piantine stradali, consigli di guida oltre che indirizzi, classificazione per categoria e prezzo di
ristoranti ed alberghi.
Il consiglio dell’editore è di farla vedere la Guida, di portarla con sé quando si scende alla reception di un albergo e di
tenerla sul tavolo del ristorante quando si mangia, perché con quella Guida non si può barare ed un consumatore
consapevole non può essere ingannato.
Per lunghi anni il libro rosso sarà nelle macchine degli italiani, molto spesso insieme all’immancabile boccetta da
viaggio riempita di brandy, la maggior parte in acciaio lucido ma in argento e rivestite in pelle le più ricercate, per dare
conforto e sprint energetico al guidatore.
L’etilometro non esiste e l’automobilista è servito.
L’Italia dei primati è quella che costruisce in otto anni l’Autostrada del Sole, ma è anche quella di Giulio Natta, premio
Nobel per la chimica nel 1963, l’uomo che dieci anni prima aveva sintetizzato il polipropilene isotattico, la plastica
moderna che ha cambiato la vita quotidiana e da cui la Montecatini farà derivare il Moplen, che ha portato utilità e
colore negli utensili per la cucina e per la casa, immortalato nella pubblicità dalla simpatia di Gino Bramieri e dallo
slogan ..e mò?...e mò e mò e mò… Moplen!
È l’Italia di Adriano Olivetti, con il suo modello sociale di azienda con mensa ed asilo in fabbrica, le sue macchine da
scrivere vendute in tutto il mondo, le pubblicità coloratissime della Lettera 22, il primato nel 1959 dell’Elea 9003, il
primo supercalcolatore italiano, ed ancora il primato di Programma 101, il primo personal computer presentato nel
1964 e venduto agli americani e che Adriano Olivetti, morto nel 1960, non vedrà.
Il primato è anche quello della Lira che, nel 1960, si vedrà assegnare da una giuria di esperti del Financial Times
l’Oscar come migliore moneta occidentale.
Il miglioramento sociale passa per i primati dell’industria, si vede attraverso la diffusione dei suoi simboli estetici e si
misura con i numeri della busta paga.
Nel 1951 il reddito pro capite non superava il 60% di quello dei tedeschi, il 40% di quello dei francesi ed era meno
del 20% di quello degli americani.
Tra il 1954 ed il 1964 il reddito medio pro capite passa da 350.000 lire a 571.000, con un aumento di quasi il 63% e
l’accresciuta disponibilità di denaro fa guadagnare spazio anche in Italia ad un nuovo modello di consumo; tra il 1951
ed il 1961 i consumi privati crescono di circa il 60%, con una spinta ancora più forte a partire dal 1958.
Di fatto, il popolo di santi e navigatori stava diventando un popolo di consumatori.
Il 25 maggio del 1959 il giornale inglese Daily Mail, riferendosi all’Italia, conierà per primo l’espressione miracolo
economico, da allora entrata nel linguaggio comune e nella storia del Paese.
Anche in questo caso, i numeri restituiscono al meglio la misura delle cose.
Tra il 1951 ed il 1958 il prodotto interno lordo italiano aumentò mediamente del 5% l’anno, nel 1959 si avvicinò al
7% e nel 1961 superò l’8%.
Tra il 1953 ed il 1961 la produttività crebbe mediamente dell’84%, con salari cresciuti per il 49%.
Tra il 1959 ed il 1963, la produzione di automobili passa dalle 148.000 unità annue alle 760.000; nel 1964 avremo
5 milioni di autoveicoli in circolazione.
I frigoriferi erano 370.000 nel 1959 e saranno 1.500.000 nel 1963, così come i televisori, che sempre nel 1959
erano 88.000 per diventare 634.000 nel 1963.
Tra il 1954 ed il 1965 i lavoratori in agricoltura diminuiscono vertiginosamente e calano da 8 milioni ad appena un
milione.
Le abitazioni con elettricità, acqua e servizi igienici passano dall’8% del 1954 ad oltre il 30% nel 1964.
Tra il 1956 ed il 1965 le presenze negli alberghi raddoppiano ed i campeggi vedono crescere i loro ospiti dai
3.700.000 del 1958 ai circa 11.000.000 del 1965.
Nel 1958 gli aeroporti italiani registrano poco meno di 900.000 partenze che diventano 3.600.000 del 1965.
© ARTIX-MARCO PANELLA
IL CIBO IMMAGINARIO.1950-1970 PUBBLICITÀ E IMMAGINI DELL’ITALIA A TAVOLA
01 L’ITALIA COM’ERA
Nel 1965 il 55% delle famiglie possiede un frigorifero, il 23% una lavatrice ed il 55% un televisore:
l’elettrodomestico aveva definitivamente perso un certo tono di prodotto voluttuario ed era entrato definitivamente e a
pieno titolo tra i prodotti di necessità.
L’etica del risparmio che aveva permeato gli anni cinquanta, quindi, alla fine del decennio si trasforma sempre più in
una propensione al consumo, alimentata dal miglioramento delle condizioni di reddito personali e dalle suggestioni
della pubblicità.
Non casualmente in una scena de La Dolce Vita, durante una festa qualcuno chiede a Marcello Mastroianni se fa
ancora il giornalista e lui, con la voce un po’ trasognata, complice l’ora tarda e l’alcol, risponde che no, ora lui fa il
pubblicitario, il lavoro del futuro; da maestro, in quella battuta probabilmente passata inosservata ai più, Federico
Fellini mette tutta la nuova epoca che sta arrivando.
Dal punto di vista sociologico, due nuovi soggetti avanzano nell’Italia che cambia; i giovani e le donne diventano
categorie con percorsi propri di riposizionamento sociale, diventano mercato e quindi destinatari di prodotti specifici
e di una comunicazione pubblicitaria del tutto propria.
Rock ‘n roll, juke box, jeans, Chesterfield, Coca-Cola e persino fumetti diventeranno presto simboli identitari di una
generazione che, anche nell’estetica, nei modi e nei costumi, vuole essere nuova, ribelle e trasgressiva.
L’ironia di Alberto Sordi, che nel film di Steno del 1954 regala carattere e mimica al Nando Mericoni di Un americano
a Roma, con la sua maglietta bianca, i jeans, i maccheroni e la moto, è solo l’inizio del nuovo corso.
Renato Carosone ci mette del suo e nel 1957, con Tu vuò fa l’americano, prende in giro e dissacra i nuovi tempi.
La maschera di Vittorio Gasmann, invece, ne Il Sorpasso di Dino Risi del 1963 è il volto di un’Italia nuova, sì, ma
anche un po’ arraffona e smargiassa, che mantiene inalterati e forse amplifica i vizi storici di un suo carattere innato.
I tempi corrono e le statistiche ci dicono che l’Italia tra il 1961 ed il 1971, nonostante i baby boomers, invecchia, che
si vive mediamente di più e che siamo anche più alti, segno inequivocabile che il miglioramento dell’alimentazione sta
dando i suoi frutti, e che gli analfabeti diminuiscono di pari passo con la maggiore scolarizzazione dei ragazzi.
Le famiglie, poi, sono meno numerose: già nel 1961 la famiglia prevalente ha tre componenti e non più quattro come
nel 1951; nel 1971 la media rimane di tre, ma aumentano le famiglie senza figli.
Per quanto riguarda il lavoro, già nel 1961 gli occupati nell’industria e quelli nel terziario superano gli occupati in
agricoltura.
Nel 1971 siamo oltre 54 milioni e le donne sono stabilmente maggioranza del Paese, come già lo erano nel 1951.
Anche la crescita ha i suoi ritmi e la corsa italiana ha una prima battuta d’arresto tra il 1963 ed il 1964: il
rapporto produttività salario si inverte, i prezzi iniziano a crescere.
È una crisi congiunturale da cui ci si riprende; fino al 1969, di meno, ma si continuerà a crescere.
Il miracolo, però, finisce lì.
La pubblicità puntualmente misura la portata dei tempi; la convenienza del prezzo inizia a diventare un elemento
chiave per il successo delle vendite e, quindi, da evidenziare con offerte e super sconti che diventano messaggio
centrale nelle inserzioni.
Le misure di finanza pubblica e di politica monetaria riescono a stimolare una piccola ripresa, ma gli anni che si
prospettano sono grigi; tra il 1968 ed il 1972 la conflittualità sindacale esplode, l’industria perde competitività, la lira
barcolla e, infine, la crisi energetica diventa la pietra tombale dei venti anni irripetibili della storia italiana.
Austerity diventa una parola di uso comune: ristoranti, cinema e locali pubblici devono chiudere prima la sera, le
strade sono meno illuminate, la benzina aumenta.
Domenica 2 dicembre 1973 le automobili rimangono ferme e gli italiani tornano in bicicletta per decreto del
governo.
Antonio e Bruno, papà e figlio in Ladri di biciclette, il film di Vittorio de Sica premio Oscar nel 1949 come miglior
film straniero, sono lì che guardano e forse sorridono di quell’Italia che aveva scoperto il benessere e che torna a
pedalare.
Il futuro è un attimo.
© ARTIX-MARCO PANELLA
Scarica